LE BEATITUDINI EVANGELICHE (-5B-)

BEATITUDINI EVANGELICHE

 [A. Portaluppi: Commento alle beatitudini; S.A.L.E.S. –ROMA, 1942, imprim. A. Traglia, VIII, Sept. MCMXLII]

CAPO QUINTO

Beati misericordes: quoniam ipsi misericordiam consequentur.

Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia

III

VIRTÙ DI CHI CONOSCE IL CUORE UMANO

Il mondo è sempre piuttosto duro nel giudicare e trattare con chi è caduto nel male. Non ci rendiamo conto delle condizioni nelle quali sono cresciuti, della loro famiglia, dell’esempio che ivi ebbero nella loro fanciullezza e poi sempre. Neppure abbiamo notizia di quello che impararono quando tutto s’assorbe e si trasforma in elemento o di vita o di morte.

FAMIGLIA E SOCIETÀ’ SENZA DIO

Quanta miseria infesta certe famiglie, indegne dello stesso nome! Sono più covi e tane, che case di Cristiani. Vi regna piuttosto l’odio che l’amore. L’ira e l’invidia vi si respira, anziché la pace e la gioia della vita. Come può svolgersi un’anima? Né l’intelletto viene illuminato dalle verità della Fede; né il cuore scaldato dai principi della divina carità e dal desiderio della virtù. La virtù per tanti giovanetti è l’abilità di farla franca. Evitare con l’astuzia la sorveglianza della legge, questa è la qualità più pregiata. Sfuggire alle maglie della giustizia umana. Questo concetto della vita, come equilibrio tra il costume esterno e le proprie voglie disordinate, si conserva poi sempre; poiché vedono che molti cittadini onorati » lo tengono effettivamente, se non apertamente come guida e norma della loro riuscita. Povere esistenze prive d’ogni conforto, alle quali non giunge neppure l’ombra d’un gesto gentile, neppur l’eco d’una parola buona. Ignare del massimo patrimonio di vitale energia, che è la pietà religiosa, passano gli anni della giovinezza o annebbiati dallo spasso volgare o avvelenati da delusioni irritanti. Non sentono mai parola di Dio, se non per bestemmiarla;non conoscono i Sacramenti che han forse ricevuto da bambini, se non per un lontano e velato ricordo seducente; la Madonna di cui vedono le immagini dovunque, è per essi non il richiamo gentile e materno ma il termine di ingiurie innominabili per la bestialità battezzata; le virtù della purezza, della modestia, della carità, della mortificazione, sono ignote anche come vocaboli, come realtà esistenti. Miseria della vita di cui la responsabilità resta in gran parte della società effettivamente atea e tesa verso la contaminazione di tutti e di tutto. Siamo pertanto colpevoli in solido. E in solido dobbiamo renderne a Dio strettissimo conto. – Come dunque non essere misericordiosi, quando si conosca l’origine del male e la felicità per molti di cadérne vittime? Debole la natura, corrotta sovente la famiglia, la società colma di seduzioni maligne, i poveri che peccano quale responsabilità avranno al tribunale di Dio?

LA NOSTRA NOBILTÀ’

Vero è che sotto tutto codesto marasma sentiamo nell’uomo una grandezza e un alto destino. L’uomo è come un ricco decaduto; sotto i suoi cenci si avverte il tipo del nobile sangue, la linea distinta del volto, la delicatezza dell’indole. I suoi grandi desideri sono un «curo segno d’origine divina; la voce della coscienza, sempre vigile a suggerire il bene e a condannare il male, è voce che viene da più alto di lui; lo stesso bruciore del rimorso tradisce un fondo dello spirito, che si ribella alla schiavitù della terra. Non è forse vero, che le prime tentazioni turbano assai e che le prime cadute lasciano amara la bocca e il fiele in cuore? La stessa natura decaduta non ha cancellato la purità delle origini e insieme alla miseria presente sente ancora la sua congenita nobiltà. E poi v’è anche modo di leggere questa alta parola nella stessa vergogna delle passioni. Le quali esprimono, in fondo, il bisogno di possedere un oggetto eguale alla capacità del cuore umano. Sono pertanto, la manifestazione d’uno sforzo, che fallisce la sua direzione e batte una strada errata; ma lo scontento dice qualcosa. È sapienza conoscere così il nostro cuore e quello altrui. Da tale conoscenza acquista valore il sentimento di compassione e di misericordia. È questa sostanzialmente odio del male e amore del bene; salire alto verso il Cielo e discendere giù sino all’abisso. – Che cosa cerchiamo in Cielo, se non la luce di Dio, la sua bontà per noi, la volontà di salvezza che muove il suo cuore? Saliamo a Dio per attingervi il coraggio della virtù, le sue ragioni più pure, per sentire forte forte l’imperativo della coscienza — strato umano attraverso cui parla il Signore. È pertanto necessario questo incontro con Lui, per dire a noi medesimi: « Sta su d’animo, sei ancora buono e devi rimetterti in pace con te stesso per rappacificarti con Dio ». L a divina misericordia è benevola verso chi la seconda nella condotta della propria vita. Essa vi vede uno strumento docile delle sue effettuazioni nel mondo umano, un collaboratore intelligente e capace.

PENSIAMO Al PECCATORI

È evidente d’altronde, che con la salita alla sommità della scala verso il Giudice divino, occorre accoppiare la discesa verso l’abisso dove si trovano i caduti, per aiutarli nella fatica dell’uscire e del riprendersi in una vita rifatta in Dio. È questa un’opera di redenzione di alto valore ed apprezzata dal cuore del Signore, come una funzione ausiliatrice alla sua ed anche come lo sforzo di far meglio produrre la sua stessa Passione. Darle uno sviluppo nella effettiva applicazione agli smarriti, alle vittime dell’errore, della passione. La misericordia qui è la forma più evidentemente efficace dell’amore compassionante, che onora il Cristiano verace. « Siccome, diceva in un catechismo il santo Curato d’Ars, nulla affligge il cuore di Gesù quanto il vedere perdute, per un gran numero di persone, le sue sofferenze, gli sono bene accette le preghiere per la conversione dei peccatori. Son queste le suppliche più belle, perché i giusti possano perseverare, le anime del Purgatorio andare in Cielo, ma che sarà dei poveri peccatori, che non pregano mai, se qualcuno non prega per loro? « Alcuni esitano a convertirsi : un Pater e un’Ave basterebbero a deciderli. Quante anime potremo riportare al Signore con le preghiere! « La Santa Comunione e il Santo Sacrificio della Messa sono i due atti più efficaci per ottenere la conversione dei cuori. Vi sono pure le novene, soprattutto quelle che precedono le quattro grandi feste della Santa Vergine; spesso con queste funzioni si ricevono grazie, che non era stato possibile ottenere con altre preghiere, ma bisogna domandarle con il cuore puro. Quante belle anime ci sono, che ottengono tante conversioni con le loro preghiere! ». Infine, che cosa interpreta la nostra necessità spirituale meglio dell’esercizio della misericordia? Siamo in armonia con Dio, con noi medesimi, con il prossimo. Questo ambisce il soccorso in un affare di tale importanza; quello ha deciso che l’uomo debba collaborare alla propria salvazione; e noi intermediari siamo gli interpreti del diverso sentimento di ambedue. Anello di congiunzione fra il Cielo e la terra, entriamo, poveri ma volenterosi, nella funzione stessa del Redentore del mondo. Anche se la nostra persona val poco, la funzione è grande e onorevole. Noi allora ci sentiamo stimolati ed impegnati a servire il Signore con dignità e onore della nostra coscienza. Sentiamo cioè la vocazione all’esercizio della misericordia, per aiutare il Signore.

IV

L A MISERICORDIA ATTIRA MISERICORDIA COME SI AMA IL POVERO

L’animo, che sa commuoversi a pietà per il prossimo, sa compiere il sacrificio di piegarsi verso la sua debolezza e soccorrerla. A questo serve assai un cuore modesto. L’orgoglioso è troppo preoccupato di sé e dei suoi ambiziosi desideri, per avvertire il bisogno altrui. Gli pare, anzi, che il piegarsi verso gli altri sia una compromissione e una debolezza. Così è normale, che alla cura abituale dei poveri e dei deboli si consacrino i cuori umili e pii, i quali, sentendo l’amore di Dio, lo dimostrano praticamente sui prossimi, per onorare lui. – Quando Federico Ozanam sentì ben robusto quest’amore, si avvide del poco che gli dava per la sua gloria, notò che l’amare il prossimo lo avrebbe aiutato a dargli il tributo del suo cuore e, con altri amici del medesimo sentimento, pur essendo studenti alla Sorbona, si dedicò alle opere da cui nacquero le Conferenze di san Vincenzo. Il mondo presente appare ostentatamente orgoglioso delle sue opere sociali. Si pavoneggia delle molte effettuazioni a vantaggio dei poveri. Ma anche si avvede, che le necessità maggiori sfuggono alle sue attenzioni, non sa soccorrerle a dovere. Gli abbisogna l’aiuto della Religione e del suo unico spirito di carità. Questa sa fecondare gli animi con mezzi esclusivi. Insegna ad accostare il povero senza umiliarlo e dà senza condizioni. Il suo appoggio e le sue ragioni sono soltanto in Dio. Nell’intento di Ozanam l’aiuto materiale non deve scompagnarsi da quello spirituale; ma senza ombra di ostentazione. Soleva dire ai compagni, che anche nelle conversazioni coi poveri non si deve introdurre la Religione, se non al momento in cui essa viene naturalmente richiesta, o per consolare un’afflizione, che non ha alcun terreno conforto, o per spiegare alle menti oscurate dall’errore, come sia giusta e soccorrevole la Provvidenza. « Badiamo, che uno zelo impaziente, invece che fare dei Cristiani, non faccia degli ipocriti». Questa delicatezza è ben notata dai poveri. I quali stabiliscono dei confronti fra coloro che si dedicano per ufficio al loro soccorso; e sanno apprezzare la finezza di chi dà senza mirare a soddisfare la propria vanità, il proprio orgoglio, e neppure il senso soltanto umano della compassione, ma che vedono nel povero l’immagine di Dio da consolare e da purificare con l’amore disinteressato. Orbene questo si misura dall’offerta del tempo e della vita.

« Multum facit qui multum dilìgit — molto fa chi molto ama » dice l’Imitazione. E il solo amore del Signore dà il tono del disinteresse totale. La misericordia salva il misericordioso. Anche davanti a Dio. I poveri hanno certo il diritto d’essere aiutati, ma devono pure riconoscere, che non può bastare un proposito umano, un fine politico a spingere il benestante ad affondare le mani nei forzieri per toglierne da distribuire ai bisognosi. Il motivo umano servirà talvolta a stimolare alla donazione; ma il cuore è mosso soltanto dal pensiero di Dio e dal dovere della generosità in faccia al bisogno materiale altrui. Per altro vediamo bene come vivono gli avari.

GRANDE URGENZA DI OFFRIRSI

« Da queste parti c’era un avaro che s’ammalò… racconta san Giovanni Vianney. Al curato che andò a visitarlo disse: « Beviamo e parliamo della guerra signor curato ». — « Avete del vino dunque? » — « Andate in cantina e vedrete ». Era piena di barili di vino. Disse ancora: «Andate nel granaio». Era pieno di grano. « Ah! mio Dio, datemi ancora un anno di vita! » Ebbene no, morì e lasciò tutto quanto. Egli voleva mangiarsi tutte le provviste e non ne ebbe il tempo. Era disperato di dover morire e lasciare ad altri questi beni. Se fosse stato un buon Cristiano avrebbe considerato di nessun valore i suoi beni, poiché tutto proviene dalla terra ». La naturale accortezza suggerisce quello appunto che ci dice la Fede. Perché essere duri e insensibili verso i nostri compagni di viaggio poveri, mentre noi non siamo certi di poter godere neppure una parte dei nostri beni? Certa invece è la necessità di costoro. Clemente IX volle prender come stemma un pellicano, che alimenta i suoi piccini, e come motto: « Aliis non sibi clemens — clemente non verso di sé, ma verso gli altri ». E un altro Papa, sommo giurista, Innocenzo III, soleva dire ch’egli considerava la compassione superiore al diritto. Sopra tutte le autorità umane, Dio stesso si pronuncia per l’amore. Scrisse il Cardinale De Berulle nelle Grandezze di Gesù: « Così Dio incomprensibile si fa conoscere in questa umanità; Dio ineffabile, si fa udire nella voce del suo Figlio incarnato; Dio invisibile, si fa vedere nella carne che egli unì con la natura dell’eternità; e Dio che si fa sentire nella sua dolcezza, nella sua benignità e impone terrore nello splendore della sua grandezza, nella sua umanità… O meraviglia! O grandezza! » Sicché il trionfo è della sensibilità del cuore di Dio. Volete scorgere chiaramente come Dio si umiliò per potere amare la sua creatura umana? « La santa anima di N. S . Gesù Cristo scrisse il gesuita Lallemant non fu creata che per l’amore di noi; il suo sacro corpo non fu formato che per noi; la sua umanità non fu unita alla persona del Verbo, che per gli uomini.. Che cosa facciamo noi per Cristo?

L’ANIMA DELLA CARITÀ’

Noi siam fatti pure per amare. E l’amore non sta senza un soffio d’umiltà. « Non ti far giudice non competente di te medesimo, scrive in un’omelia san Basilio; né volere esaminarti, mettendo in conto alcuna cosa di buono, che ti sembri aver fatto, dimenticandoti a bella posta dei tuoi peccati, ovvero non insuperbire di ciò che hai fatto bene oggi, scusando poi le cose malfatte… Ma se mai il presente ti gonfia, riduciti alla memoria il passato e l’insensata gonfiezza si riumilierà. E quando vedrai peccare il prossimo, non considerare di lui questa cosa sola, ma ricordati insieme quante cose egli ha fatto e fa rettamente, e sovente troverai lui essere migliore di te, facendo la ricerca di tutte le sue azioni e non sentenziando solo rispetto a una parte ». – Se noi, insomma ci poniamo sempre di fronte ai nostri simili, verso i quali siamo tentati di sentire malamente, avremo tante ragioni di compatirli e di giudicarli meno colpevoli di quanto sembri, mentre sovente sono migliori di noi. – Sicché la misericordia è spesso un dovere di giustizia. « Perdona a noi come noi perdoniamo ai nostri debitori ». Ma anche per questo occorre tanto sentimento di umiltà, che ci tenga presente la indegnità nostra e il bisogno di una espiazione fervorosa e continua. In questa condizione morale sono abitualmente le anime più aperte alla grazia. Carlo Psichari, mentre era ai suoi primi esperimenti di vita religiosa nel secolo, espandeva il suo cuore così col Padre Clérissac, suo direttore spirituale: « È una adorabile scoperta ch’io faccio in questo momento, è una dolce e crudele riconoscenza, e non v’è ufficio (religioso) nel quale io non versi le lagrime abbondanti davanti al Maestro, che ho sì a lungo crocifisso e che la Francia stessa crocifigge ogni momento… Io ho potuto accostarmi ogni mattina alla Santa Mensa e l’ho fatto con coraggio, contando sulla misericordia di Nostro Signore, per ottenere il perdono delle mie debolezze, che mi rendono così indegno di ricevere il suo Corpo, e abbandonarmi del tutto a Lui in ogni cosa… Credo bene, che sia quando siamo abbattuti il momento di desiderare con più vivo amore l’Eucaristia; e, quanto a me, è in queste ore che mi volgo con maggior confidenza verso il Maestro al quale ormai io sono rivolto ». – Anime tanto ardenti e umili, così poco fiduciose di sé affatto abbandonate nel Signore, sono destinate ad attirare dal suo Cuore ogni delicatezza. Non danno esse tutto a Dio? Perché il Signore non si darà loro con quella generosità delicata, di cui offre esempio nella esperienza dei santi? La misura usata da Dio non è proporzionata al nostro merito, bensì alla sua ricchezza.

1 Agosto: SAN PIETRO IN VINCOLI (2019)

San Pietro in Vincoli

Hymnus {ex Proprio Sanctorum}
Quodcúmque in orbe néxibus revínxeris,
Erit revínctum, Petre, in arce síderum:
Et quod resólvit hic potéstas trádita,
Erit solútum cæli in alto vértice;
In fine mundi judicábis sǽculum.

Patri perénne sit per ævum glória,
Tibíque laudes concinámus ínclitas,
Ætérne Nate; sit, supérne Spíritus,
Honor tibi decúsque: sancta júgiter
Laudétur omne Trínitas per sǽculum.
Amen.

Lettura 1


Dagli Atti degli Apostoli

Atti XII: 1-5
1 Il re Erode mise mano a maltrattare alcuni della Chiesa.
2 Uccise di spada Giacomo, fratello di Giovanni.
3 E vedendo che ciò piaceva ai Giudei, procedé anche all’arresto di Pietro. Erano i giorni degli azimi.
4 E fattolo catturare, lo mise in prigione, dandolo in guardia a quattro picchetti, di quattro soldati ciascuno, volendo dopo la Pasqua processarlo davanti al popolo.
5 Pietro dunque era custodito nella prigione. Ma dalla Chiesa si faceva continua orazione a Dio per lui.

Lettura 2
Atti XII: 6-8
6 Or, la notte stessa che Erode stava per processarlo, Pietro dormiva tra due soldati, legato con due catene; e le sentinelle alla porta custodivano la prigione.
7 Quand’ecco si presenta un Angelo del Signore e brilla una luce nella cella, e dato un colpo nel fianco a Pietro, lo risvegliò, dicendo: Lévati su in fretta. E caddero le catene dalle mani di lui.
8 Poi l’Angelo gli disse: Mettiti la cintura e lègati i sandali. Ed egli fece così. E gli soggiunse: Buttati addosso il tuo mantello, e seguimi.

Lettura 3
Atti XII: 9-11
9 E uscito che fu, lo seguiva, senza rendersi conto che fosse realtà quanto si faceva dall’Angelo; ma credeva di avere un’allucinazione.
10 E passata la prima e la seconda sentinella, giunsero alla porta di ferro che mette in città, la quale s’aprì loro da sé medesima; e usciti fuori, s’inoltrarono in una contrada, e d’improvviso l’Angelo si partì da lui.
11 Pietro allora, rientrato in se, disse; Adesso riconosco veramente che il Signore ha mandato il suo Angelo, e m’ha liberato dalle mani d’Erode, e da tutta l’attesa del popolo dei Giudei.

Lettura 4
Sotto l’imperatore Teodosio il giovane, Eudossia, sua sposa, essendo andata a Gerusalemme per sciogliere un voto, vi fu colmata di numerosi doni. Il più prezioso di tutti fu il dono della catena di ferro, ornata d’oro e di gemme, colla quale si affermava essere stato legato l’Apostolo Pietro da Erode. Eudossia, dopo aver venerato piamente detta catena, l’inviò in seguito a Roma, alla figlia Eudossia, che la portò al sommo Pontefice. Questi a sua volta glie ne mostrò un’altra colla quale lo stesso Apostolo era stato legato sotto Nerone.

Lettura 5
Mentre dunque il Pontefice confrontava la catena conservata a Roma con quella portata da Gerusalemme, avvenne ch’esse si unirono talmente da sembrare non due, ma una catena sola fatta dallo stesso artefice. Da questo miracolo si cominciò ad avere tanto onore per queste sacre catene , che la chiesa del titolo d’Eudossia all’Esquilino venne perciò dedicata sotto il nome di san Pietro in Vincoli, in memoria di che fu istituita una festa al 1° Agosto.

Lettura 6
Da questo momento, gli onori che usavasi tributare in questo giorno alle solennità dei Gentili, si cominciò a darli alle catene di Pietro, il contatto delle quali guariva i malati e scacciava i demoni. Il che avvenne nell’anno dell’umana salute 969 a un certo conte, famigliare dell’imperatore Ottone, il quale essendo posseduto dallo spirito immondo, si lacerava coi proprii denti. Condotto per ordine dell’imperatore dal Pontefice Giovanni, non appena le sante catene n’ebbero toccato il collo, il maligno spirito se ne fuggì all’istante lasciando libero l’uomo: dopo di che la devozione alle sante catene si diffuse in Roma sempre più.

Lettura 7
Lettura del santo Vangelo secondo Matteo
Matt 16:13-19
In quell’ occasione: Gesù venuto nelle parti di Cesarea di Filippo, interrogò i suoi discepoli dicendo: La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo? Eccetera.


Omelia di sant’Agostino Vescovo

Sermone 29 sui Santi, alla metà
Pietro è il solo degli Apostoli che meritò di udire: «In verità ti dico che tu sei Pietro, e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa» Matth. XVI,18; degno certo d’essere, per i popoli di cui sarebbesi formata la casa di Dio, la pietra fondamentale, la colonna di sostegno, la chiave del regno. Così leggiamo nel sacro testo: «E mettevano fuori, dice, i loro infermi, affinché, quando Pietro passava, almeno l’ombra sua ne coprisse qualcuno» Act. V,15. Se allora l’ombra del suo corpo poteva portare soccorso, quanto più ora la pienezza del suo potere? se, mentr’era sulla terra, si sprigionava al suo passaggio tal fluido salutare per i supplicanti, quanta maggior influenza non eserciterà ora ch’è nel cielo? Giustamente dunque in tutte le chiese cristiane si ritiene più prezioso dell’oro il ferro delle catene onde egli fu legato.

Lettura 8
Se fu sì salutare l’ombra del suo passaggio, quanto più la catena della sua prigionia? Se la fuggitiva apparenza d’una vana immagine poté avere in sé la proprietà di guarire, quanta maggior virtù non meritarono d’attrarre dal suo corpo le catene onde egli soffrì e che il peso impresse nelle sacre membra? S’egli a sollievo dei supplicanti fu tanto potente prima del martirio, quanto più efficace non sarà dopo il trionfo? Benedette catene, che, da manette e ceppi dovevano poi cambiarsi in corona, e che toccando l’Apostolo, lo resero così Martire! Benedette catene, che menarono il loro reo fino alla croce di Cristo, più per immortalarlo, che per farlo morire!

(dal Breviario Romano, Mattutino).

La Santa Madre Chiesa ha istituito questa festa proprio per questi tempi, per richiamarci alla fiducia in Gesù-Cristo ed alla presenza ininterrotta fino alla fine dei tempi, del suo Vicario in terra che, se pur tra vincoli come ai tempi di Erode, è tra noi, impedito ed ammutolito dai nemici di Dio, tradito dai falsi prelati che sanno e restano cani muti, e da quelli che sono sotto costante ricatto perché … non amano la verità, ma il loro ventre … i precursori dell’anticristo che è oramai alle porte, quelli della lobby gay del “novus ordo” ed i fiancheggiatori empi delle sette sedevacantiste e dei fallibilisti disobbedienti delle fraternità paramassoniche. Pietro è vivo e presto tornerà libero ed operante quando il soffio di Cristo brucerà l’anticristo ed i suoi seguaci maledetti, gli usurpanti servi di satana.

Viva Pietro, il Principe degli Apostoli, Vicario di Cristo e pietra fondante la Chiesa Cattolica, l’unica Arca in cui c’è salvezza e vita eterna.

Qui mange le Pape meurt!!!

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: 1 AGOSTO – Sul martirio dei MACCABEI

1 Agosto.

SUL MARTIRIO DEI MACCABEI (1).

Parati sumus mori, magis quam patrias Dei leges prævaricari”.

[Siamo pronti a morire, anziché violare le leggi di Dio e della patria].

(II de’ Maccabei VII, 2).

[I Sermoni del B. GIOVANNI B. M. VANNEY, trad. It. di Giuseppe D’Isengrad P. d. M. – vol. IV, Torino, Libreria del Sacro Cuore – 1908- imprim. Can. Ezio Gastaldi-Santi, Provic. Gen., Torino, 8  apr. 1908]

(1) La festa dei santi Maccabei si celebra con solennità nella diocesi di Belley e in altre circonvicine: un’antica chiesa di Lione era ad essi intitolata. (Nota degli editori francesi).

Tale risposta diede ad Antioco, famoso persecutore della religione, l’illustre famiglia de’ Maccabei. Quei giovani ebrei risposero coraggiosamente: « Dobbiamo a Dio un amore forte ad ogni prova, e nessun tormento potrà farci violare la fedeltà di cui gli siamo debitori. Eccoci: puoi farci patire; i nostri corpi sono in tuo potere; ma della nostra fede e del nostro amore non sei padrone; rispetto a questo non hai impero su noi; non aspettarti dunque che facciamo cosa la quale possa dispiacere al Signore: siam lieti di morire ». Non esitano punto: coll’aiuto di Dio son risoluti di perdere non solo i beni e l’onore, ma anche la vita. Vedete qual coraggio in quegli antichi martiri, che avevano meno grazie che noi? No, miei fratelli, questi santi martiri non avevano veduto come noi Gesù Cristo portar la croce al Calvario; non avevano ancor veduto quelle schiere di eroi che, conformandosi all’esempio di Gesù Cristo, con tanto coraggio han sacrificato la vita; essi invece segnavan la via. Non avevano come noi la bella sorte d’udir la voce di Gesù Cristo, il quale, dall’alto della croce, par che ci dica: « Venite, figli miei, salite sul vostro Calvario, com’io son salito sul mio ». Ecco un linguaggio capace di darci forza. Ma no, essi non ebbero sì bella sorte! Oh! se i nostri padri ricomparissero tra noi, potrebbero forse riconoscerci per loro figliuoli ed eredi nella fede? Ohimè! quanti fra noi, non per timor della morte o della perdita dei beni, ma per un meschino rispetto umano, un lieve timore d’essere scherniti, abbandonano Iddio e arrossiscono d’esser buoni Cristiani! Quanti altri disonorano questa santa Religione con una vita tutta pagana e secondo il costume del mondo? Per eccitarvi, fratelli miei, a non temer nulla, quando si tratta di piacere a Dio e salvar l’anima nostra, vi metterò sott’occhio il coraggio de’ santi martiri dell’antico Testamento e di qualcuno del nuovo. Ma non contentiamoci d’ammirarne l’intrepidezza e lo zelo per la gloria di Dio e la salute dell’anima loro. Raffrontiamo la loro vita con la nostra, il loro coraggio con la nostra viltà, i loro tormenti col nostro orrore alla penitenza, e vediamo se possiamo, com’essi sperare il cielo facendo quel che facciamo. Ohimè! quanti Cristiani dannati! Facciamo quanto è in poter nostro per imitar questi eroi.

I. — Se apriamo i Libri santi vediamo in tutti i tempi i buoni perseguitati dai cattivi. E questo dobbiamo aspettarci se vogliamo sperare il cielo. Vedete Abele e Caino, Giuseppe e i suoi fratelli, Davide e Saul, Giacobbe ed Esaù, ecc. Non abbiamo altro retaggio quaggiù, e ce lo provano abbastanza quelli che ci hanno preceduti. In ogni tempo chi volle esser di Dio dovette fare il sacrifìcio de’ suoi beni, della sua riputazione ed anche della vita: se vogliamo sperare eguale ricompensa dobbiamo imitarne l’esempio, altrimenti non avremo la sorte felice di aver parte a’ medesimi gaudi. Ecco un esempio che servirà a meglio convincervene. – Leggiamo nell’antico Testamento (1 Macc. I) che gli Ebrei, tornati dalla schiavitù di Babilonia, stettero in pace finché non salì sul trono l’empio Antioco. Questo re perverso suscitò la più crudele persecuzione che fino allora si fosse veduta. Dio, è vero, lo permise per far prova de’ suoi servi fedeli, e d’altra parte il profeta Daniele l’aveva loro predetto (Dan. XI). Era divisamento di quell’empio re abolire, se gli fosse riuscito, il culto del vero Dio. Intimò, sotto pena di morte, di profanare il sabbato e le feste, spogliare i luoghi santi, edificare altari e templi al demonio, e sacrificare animali, che la legge proibiva. Nel tempio fece porre un idolo infame, e i libri della legge furono distrutti ed abbruciati. Quei Giudei che volevano servire al Signore erano subito arrestati e puniti di morte. La citta santa fu abbandonata da’ suoi abitatori e diventò dimora de’ pagani. Il tempio rimase deserto, le feste si mutarono in duolo; tuttavia, non ostante i terrori che cominciavano a diffondersi per costringere i Giudei a rinunziare al vero Dio, parecchi risolvettero di non far nulla contro la legge e morire anziché violarla. Tra quelli che si mostrarono intrepidi fu un buon vecchio per nome Eleazaro, in età di novantanni, noto per la purità ed innocenza della sua vita (II Macc. VI). I persecutori l’arrestarono e gli comandarono di mangiar carne offerta agli idoli, altrimenti, secondo la legge del malvagio re, sarebbe fatto morire. Poiché vi si rifiutava, si volle costringerlo: alcuni gli aprivano la bocca: altri v’introducevano la carne, come se non sapessero, quegli insensati, che la volontà sola commette il peccato e che non è colpevole un’azione nella quale il cuore non ha parte. Eleazaro non poté esser vinto: volle piuttosto la morte che obbedire al re mangiando quella carne contro il divieto della legge. « Preferisco, diss’egli, una morte innocente ad una vita rea ». Mentre andava con gioia al supplizio ebbe ad incontrare da parte de’ suoi amici una prova, la quale, per ciò stesso, fu ben più formidabile che quella a cui l’aveva posto l’empio re. Venuti a visitarlo, gli dissero piangendo : « Amico, Siam venuti per salvarti, come ci siamo salvati noi. Faremo portar carne non immolata agli idoli, cioè al demonio, e tu, per condiscendere al nostro desiderio, la gusterai soltanto: e noi diremo agli ufficiali del re che hai obbedito. Ecco un mezzo sicuro di sfuggire la morte e conservarti al tuo popolo ». Ma il santo martire gridò: « No, no: non lo farò mai; mi si conduca subito al supplizio anziché commettere simile viltà che offenderebbe il mio Dio; piuttosto mi si getti vivo nel sepolcro; ciò mi è mille volte più caro. Ecché. mio Dio, mi si crede capace di dissimulare, all’età mia, e far credere che sia superstizione la mia religione? Io dar sì cattivo esempio alla gioventù che vuol prendermi qual modello! Io lasciar credere ad essa d’essere stato vinto dall’amor della vita e dal timor de’ tormenti? No, no! Ne’ brevi giorni di vita che mi restano non mi lascerò davvero andare a tale viltà. Quando pure oggi potessi, prostituendo l’anima mia e la mia coscienza, scansare i supplizi degli uomini, potrei forse sfuggire alla giustizia di Dio? No: moriamo costanti, amici miei, e mostriamoci degni della nostra età, poiché Dio si degna di eleggerci per darci come spettacolo alla gioventù. La morte, anche più crudele, è dolce del pari che gloriosa quando si fa a Dio il sacrificio della vita. Perché dovrei temere di perder la vita, che ben presto dovrò abbandonare senza merito, mentre sacrificandola adesso per amor di Dio, ne riceverò si bella ricompensa per l’eternità? Venite. carnefici, aggiungeva con singolare coraggio, venite, e vedrete quali sacrifici possono fare coloro cui sostiene la virtù dall’alto: mi toglierete un avanzo di vita, e mi procurerete in ricambio la vita eterna. Ah! mi par di veder gli Angeli che vengono a me per condurre in cielo l’anima mia (L’anima .di Eleazaro non poteva esser condotta immediatamente in Paradiso, perché il cielo era chiuso finché fosse compita la Redenzione. – Nota del Traduttore); no, no, amici miei, non temo né i tormenti né la morte: tutto questo è per me un bene. Moriamo pel nostro Dio, e li faremo vedere che l’amiamo veramente. Moriamo, figli miei, e lasceremo la guerra e i patimenti per andarcene in un luogo di pace, di gaudio, di delizie. Sì, mio Dio, vi faccio volentieri il sacrifizio della vita ». Oh! fratelli miei, quanto son belli questi sentimenti! E come son degni della grandezza d’un’anima bella e d’una Religione santa qual è la nostra! Tutte queste belle parole, da Eleazaro pronunziate dinanzi a’ suoi carnefici, avrebbero dovuto commuoverli e mutarne il cuore; ma no: divengono anzi più furibondi. Si scagliano su quel povero vegliardo, lo gettano per terra, lo spogliano, lo legano; i manigoldi armati di verghe, lo battono fino a perder la lena: ma tra tanti dolori raccoglie le poche forze che gli restano, e si volge al Signore dicendo: « Lo sapete, o mio Dio, che soffro per voi, per timore d’offendervi; sostenetemi, mio Signore, e fate che muoia per amor vostro ». Non cessarono di batterlo finché non ebbe reso la sua bell’anima a Dio. – Qual esempio per noi, miei fratelli: ma insieme qual vergogna per tanti codardi Cristiani che per un maledetto rispetto umano trasgrediscono sì spesso le leggi della Chiesa mangiando carne nei giorni proibiti! Ditemi, se foste stati posti a simili prove, avreste fatto come quel buon vecchio di novant’anni che volle morire anziché far mostra di mangiar la carne proibita dalla legge giudaica? Qual condanna per tanti apostati che si mettono sotto ai piedi le sante nostre leggi! Andate in occasione di fiera in una bettola in giorno di venerdì o in altro in cui sia vietato mangiar carne: vedete quelle tavole che ne sono coperte, osservate quei che ne mangiano. Ohimè! son padri, madri di famiglia, padroni e padrone che forse avranno con sé i loro figliuoli o i loro domestici; son cattivi Cristiani, e anche sacrileghi, che avranno adempiuto al dovere pasquale, e tante volte bau promesso di non più trasgredire questa legge! Quale idea si ha ai giorni nostri di Dio, della sua religione, delle sue leggi? Ohimè! miei fratelli, agli occhi del maggior numero de’ Cristiani la nostra santa Religione è ormai una chimera, un fantasma; non si conservano più che certe esteriorità, quando non ce ne viene alcuna molestia, o il conservarle non ci costa nulla: ma al menimo ostacolo dispregiamo tutto e pare che siam divenuti apostati. Oh! quanti Cristiani perduti! Son pur disgraziati, poiché commettono il peccato con tanta riflessione, sapendo pur bene che dan morte a Gesù Cristo, e strappano a Lui la loro povera anima per trascinarla all’inferno! Che cosa potranno rispondere quando Gesù li giudicherà? Diran forse che la loro fragilità o miseria li ha indotti a far questo? Quale vergogna per quei sciagurati apostati, di cui gli uni han peccato per empietà schernendo le leggi della Chiesa, altri per maledetto rispetto umano! Anziché sopportare l’onta d’una parola uscita dalla bocca d’un empio, d’un libertino, vollero piuttosto perder l’anima loro ed offendere Iddio!…. Passiamo ad altri esempi, fratelli miei, e vedremo che, se la vecchiaia è naturalmente più ferma nella fede, anche l’età più tenera ci dà esempi non meno grandi. Dopo i combattimenti di quel buon vecchio, entrarono in campo una madre coi sette suoi figli nel fior dell’età. Avevano tanto candore e tanta modestia, ch’erano a tutti oggetto d’ammirazione. Il crudele Antioco se li fece condurre dinanzi, e immantinente comandò loro di mangiar carne offerta al demonio, e senza replica conforme agli ordini da lui dati. Ad una voce ricusarono di farlo. A tal rifiuto li fece in sua presenza spogliare e ordinò che fossero battuti a colpi di flagelli e di nervi di bue, finche il loro corpo ne fosse tutto straziato. Il primogenito dei sette fratelli, non punto stupito di tale trattamento, parla pel primo e dice al tiranno: «Che cosa vuoi da noi? Impara che noi sappiano patire e morire, ma non tradire la legge del Signore ». Questa risposta fece salir l’empio Antioco in sì grande furore, che comandò tosto di far arroventar caldaie di bronzo, e mentre tutti i manigoldi s’affrettavano ad obbedirlo, furente contro quel giovane che a nome di tutti l’aveva affrontato, gli fece tagliar la lingua, strappare la pelle del capo, tagliar le mani ed i piedi sotto gli occhi della madre e dei fratelli. Fece poi accostare a tutte le parti del suo corpo strisce di ferro infocato; e siccome dopo siffatto tormento viveva ancora, ordina che sia gettato nella caldaia di bronzo, che il fuoco aveva resa ardente come una verga di ferro ch’esca dal fuoco, e si trattiene spietatamente a vederlo bruciare. Frattanto sua madre e i suoi fratelli s’incoraggiavano vicendevolmente a patire. « Orsù, figliuoli miei, gridava quella madre, coraggio! Con la nostra morte possiamo dar gloria a Dio e addivenire eternamente felici! Poiché tutti siamo condannati a morire pel peccato dei nostri progenitori, moriamo: la nostra morte avverrà in pochi istanti; ma avremo una ricompensa, una felicità eterna ». Morto il primo, fu preso il secondo. Prima di tutto gli si strapparono i capelli e la pelle del capo, chiedendogli se volesse mangiar di quella carne che gli sarebbe messa innanzi. Rispose che saprebbe patire e morire conforme all’esempio di suo fratello, ma non commetterebbe mai la viltà di violare la legge del Signore. Gli si fecero soffrire gli stessi tormenti, gli si tagliarono le mani ed i piedi. Vicino a rendere l’ultimo respiro disse al re: « Re scellerato, tu ci togli la vita presente; ma siam certi che il Signore, per cui la perdiamo, ce la renderà eterna ». Dopo questo si venne al terzo, che da sé stesso si presentò, e senza aspettare d’essere interrogato si offerse pronto ai medesimi supplizi. Gli si chiesero le sue mani e le presentò con gioia: « Dal cielo, disse, ho ricevuto queste membra, e le lascio volentieri in vostra balìa perché le facciate soffrire, dacché con questi patimenti posso glorificare Iddio e guadagnarmi il Paradiso ». – Ah! fratelli miei, se avessimo una fede viva al pari di quella di questi santi martiri, come dispregeremmo la nostra vita e i piaceri sensuali!…. Avremmo forse il coraggio di sacrificare ad essi così facilmente la nostra anima e la nostra eternità?…. Ah! se pensassimo alla nostra risurrezione che sarà tanto più gloriosa, quanto più i nostri corpi saranno stati sprezzati e perseguitati!… Di qual gloria appariranno cinte quelle schiere di martiri, che lasciarono mettere in brani il loro corpo!… Il re e i suoi cortigiani non conoscevano abbastanza qual forza dà la religione; e non potevano riaversi dal loro stupore. Ne divennero sempre più furibondi. Antioco passò al quarto de’ santi fratelli; non si die più la briga di minacciare, perché sapeva bene ch’era tempo perduto, e mise mano subito ai tormenti. Gli fece dunque strappare la pelle: gli si tagliarono le mani e i piedi e fu gettato in una caldaia rovente. Ma anch’egli rispose: « Non temo i tuoi tormenti, perché una risurrezione gloriosa ci aspetta, e il Dio che serviamo è tutta la nostra speranza: tu pure risusciterai un giorno, ma non alla vita: t’aspetta un’eterna morte ». S’impadronirono del quinto e il re disse furente: « Vedremo, se saran tutti egualmente insensibili ». Il giovinetto non aspetta che i manigoldi l’afferrino, ma corre loro incontro, e dal mezzo delle fiamme, ove il suo corpo era già tutto lacerato, leva tranquillo lo sguardo verso il tiranno: « Tu fai adesso di noi ciò che ti piace; ma verrà tempo in cui alla tua volta proverai il rigore della giustizia divina ». Il re non poteva più contenersi: « Finiamo, disse ai suoi carnefici, di sterminare questa famiglia insolente ». – Viene il sesto con la dolcezza dipinta sulla fronte: si fa innanzi con gioia e si abbandona senza terrore tra le mani de’ manigoldi. Quei manigoldi incominciano a straziarlo, gli strappano la pelle e gli tagliano mani e piedi: « Che temi tu, o re spietato? disse il martire generoso : non mi resta più che un fratello e la madre; un fanciullo e una donna; i miei fratelli m’aspettano in cielo: tu mi fai morire, e ne son ben contento ». Tuttavia più degno d’ammirazione è l’atteggiamento di quella povera madre, che vede senza versare una lacrima morir sotto i suoi occhi tutti i suoi figliuoli e in un giorno solo. Seppe sì bene frenare il suo dolore, che faceva invece quanto poteva per incoraggiarli. O madri, che m’ascoltate, se i vostri figli non sono religiosi, o piuttosto son senza religione, non ne incolpate che voi medesime!… Se aveste la bella sorte d’imitare questa madre generosa, se, com’essa, pensaste che Dio vi ha fatto dono de’ vostri figliuoli solo per darli al cielo!… « Ah! miei figliuoli, gridava loro mentre se ne straziavano i corpi e venivano fatti a brani, miei figliuoli, coraggio, morite pel Signore e il paradiso sarà vostro! Perdete pur codesta vita piena di miserie: ne avrete una felice ed eterna ». Ohimè! Quante povere madri, troppo deboli, vedono i loro poveri figli precipitare nel male, o piuttosto all’inferno senza versare una lagrima, fors’anche senza dire un Pater ed un Ave! Lasciamo da parte, fratelli miei, queste tristi riflessioni. Frattanto di sette figli restava a quella povera madre un solo, il più giovane. Antioco, pieno di confusione per non aver potuto vincere quei fanciulli, volle tentare un ultimo sforzo per guadagnare almeno questo. Gli fece belle promesse dicendo che lo annovererebbe tra’ suoi favoriti, purché rinunziasse alla sua religione. Ma il fanciullo era irremovibile. Il re, fingendo compassione, chiamò a se la madre coraggiosa: « Salva almeno, ten prego, quest’ultimo figliuolo. Sarà tua gioia e tua consolazione pei favori di cui lo ricolmerò ». Padri e madri, venite ad istruirvi: udite il linguaggio d’una madre, la quale sa bene che i figliuoli le sono dati per guidarli al cielo e non per dannarli. Disse dunque al figliuolo in presenza del re : « Figliuol mio, abbi pietà di colei che t’ha portato nove mesi nel seno, che ti ha nutrito per tre anni del suo latte, e ti ha allevato sino all’età a cui sei giunto: considera, figliuol mio, quel bel cielo: tu sei sulla terra soltanto per giunger là: vedi i tuoi fratelli, che siedono già su troni di gloria? Ti aspettano: conforme al loro esempio, sacrifica volentieri la tua vita pel tuo Dio ». Queste parole ispirarono al fanciullo così grande amor verso Dio, che si volse al carnefice dicendo: « Che aspetti? Credi tu ch’io voglia obbedire a’ vostri empi comandi? No, no: voglio mostrare che son degno di camminare sulle orme dei miei fratelli cui la vostra crudeltà ha posto su troni di gloria: essi m’aspettano: vedi che mi tendon le mani? Sì, com’essi sacrifico il corpo e la vita in difesa della legge del mio Dio ». Il re, allora, vedendo che una donna e un fanciullo si burlavano di lui, fu acceso di tal furore, che volle farlo soffrire anche più. Gli fece tagliar mani e piedi…. e alfine lo fece gettare in una caldaia arroventata, ove quel tiranno, con gioia diabolica, pigliava diletto nel vederlo soffrire. Rimase sola la madre in mezzo alle membra sparse de’ suoi figliuoli; da qualunque parte volga lo sguardo, vede i piedi, le mani, la pelle e la lingua dei suoi figli, gittate qua e là intorno ad essa per sempre più torturarla. Antioco, non avendo più speranza di espugnare l’animo della madre, le fece soffrire sì atroci tormenti, che morì tra i supplizi benedicendo Dio della lieta ventura che le aveva dato di vedere tutti i suoi figli morire e andarsene in cielo. Così morì quella madre beata, che lasciò la terra pel paradiso. Madre avventurata, i cui sette figli sono ora assisi su troni gloriosi! O figli fortunati, che aveste una tal madre, la quale vi ha dato la vita sol per condurvi al possesso di Dio! – Quanto ad Antioco, lo sciagurato tiranno la mano vendicatrice dell’Onnipotente lo punì in modo manifesto: fu colpito da una piaga invisibile ed incurabile, giusta pena ad un tiranno, che aveva inventato tanti supplizi per far soffrire i servi di Dio. Cadde dal suo carro, e si ammaccò tutto il corpo. Le sue viscere formicolavano di vermi, le sue carni cadevano a brandelli; mandava così insopportabile fetore, che niuno poteva avvicinarsegli o servirlo. Sentendosi colpito dalla mano invisibile di Dio, fece grandi promesse e prese le più belle risoluzioni; ma lo Spiritò santo ci dice che solo il timore de’ tormenti ve l’induceva. Dio non ascoltò la sua preghiera e lo sgraziato principe morì roso dai vermi. Così d’ordinario fluiscono gli empi, che par vivano soltanto per offendere Iddio, e indurre gli altri a far male. Dio, stanco delle loro empietà, li colpisce e li precipita all’inferno per purgarne la terra. Se vi fu sì grande differenza, fratelli miei, fra Antioco e quella madre coi suoi figliuoli, la differenza è anche maggiore di presente: il re è all’inferno, mentre quella madre e i suoi figliuoli sono in cielo. Oh! quanto pochi Cristiani ai dì nostri son pronti, non dico a dar la vita per Iddio, come fecero que’ sette fratelli, ma anche solo a sopportar la minima cosa per non violare le leggi della nostra Religione! Quanti vi sono che omettono la Confessione e la Comunione pasquale? Quanti non badano ai digiuni prescritti dalla Chiesa, e passano il tempo santo della penitenza come un tempo qualsiasi, senz’alcuna mortificazione, forse neppure astenendosi dal mangiare tra un pasto e l’altro? Ohimè! quanti altri frequentano pur le bettole, o, se nol fanno, passano almeno i giorni sacri alla penitenza, senza fare una preghiera o un’opera buona di più? E quanti senza difficoltà mancano alle funzioni parrocchiali, e forse vi mancheranno tre domeniche consecutive, sapendo benissimo di che li minaccia la Chiesa? (Forse il Beato allude qui a pene minacciate dalle Costituzioni sinodali di qualche diocesi particolare. – Nota del Traduttore). Quanti padri e quanti padroni costringono i loro figliuoli o i loro domestici a lavorare nel giorno santo della Domenica, e quanti poveri fanciulli stanno forse mesi interi senza assistere alle funzioni! Ohimè! quanti padroni dannati! Altri non si contentano di violare le leggi della Chiesa, spregiarle, farsene beffe; ma non fan conto alcuno della parola del Signore, che riguardano come parola umana. Quanti assistono alle sante funzioni senza divozione, e lasciano correre la loro mente, ove meglio le piace! A stento sanno che cosa vengono a fare in chiesa, e sarebbero in un bell’impiccio se dovessero rispondere a chi chiedesse loro, perché vengon alla santa Messa. Quanti fanno appena l’atto di mettersi in ginocchio!… Non si ha difficoltà di mancare ai vespri, all’istruzione, al rosario, alla Via Crucis, alla preghiera della sera. Taluni non fànno mai una visita al SS. Sacramento nell’intervallo tra le varie funzioni, e passano il giorno santo della Domenica meno bene che gli altri giorni. Oh! come osano poi sperare il cielo? Come possono credere che Dio debba far loro misericordia in quel giorno terribile, che ha fatto tremare anche i più gran santi, la cui vita era stata tutta opere buone, e che, per poche colpe leggere, avevano fatto tante penitenze? Quanti ancora tra codesti poveri Cristiani passano intere giornate senza pensare a Dio e senza far un po’ di riflessione sopra se stessi, cioè sulla lor povera vita, per concepire orrore de’ lor peccati, ed eccitarsi a far qualche opera buona onde attirarsi la misericordia di Dio! Ecco, fratelli miei, come si comporta la maggior parte dei Cristiani de’ nostri giorni! Non pensano punto alla propria salute: sono interamente occupati delle cose temporali, pensano che la morte non debba per essi giunger mai. E ciò nonostante quel momento arriva per tutti; e se non si è fatto nulla per assicurarsi il paradiso, la moltitudine de’ nostri peccati si affaccia alla nostra memioria, e insieme tutte le grazie disprezzate, le opere buone e le preghiere che si sarebbero potute fare e non si son fatte. In quel terribile momento si vedranno tutte lo anime perdute pei nostri cattivi esempi, che avremmo potuto condurre a Dio, se avessimo dati esempi buoni. Oh! quale infelicità si apparecchia chi è vissuto senza religione, senza far penitenza, senza esaminare a che l’obbligassero i Comandamenti di Dio e della Chiesa!.» Non così si deve fare, né così fecero i santi, ai quali stava tanto a cuore di piacere a Dio e salvar le anime loro, che non solo si studiavano di sfuggire anche i minimi peccati, ma di più passavano la vita nelle opere buone, nelle lacrime e nella penitenza. Gran numero di martiri sacrificarono la vita per assicurarsi il cielo; e ne abbiamo belli esempi nella storia de’ santi del nuovo Testamento. Vi citerò soltanto quello di S. Cosma e Damiano (Ribadeneira, 27 settembre).

II. — Erano due gemelli. La lor madre, timorata di Dio, ebbe tutte le cure possibili per istillar loro l’amor del Signore: parlava sovente ad essi della felicità di quelli che dan la vita per Gesù Cristo. I due fratelli, che avevano dinanzi agli occhi soltanto buoni esempi, furono naturalmente tratti ad imitare le virtù della loro madre. Oh! qual grazia, quale felicità pei figli l’aver buoni genitori! Oh ! quanti poveri figli van dannati, e sarebbero invece in Paradiso se avessero avuto parenti veramente religiosi! Mio Dio! Possibile che la mancanza di religione de’ parenti precipiti tante anime all’inferno? Sciagurati parenti, che pare abbiano figliuoli soltanto per trascinarli alla perdizione!… Come possono praticar la virtù quei figliuoli che han dinanzi agli occhi solo esempi cattivi? I figliuoli saran migliori de’ parenti, che non si confessano e non fan Pasqua, che punto non pregano, ma si levano e vanno al riposo come bestie da soma; che han sempre alla bocca cattive parole; che giungono sino a schernire e a censurare la Religione e chi la pratica, e mettono in ridicolo la Confessione e coloro che si confessano? I figliuoli, dico, saran migliori de’ loro parenti, che li lasciano vivere a loro talento, e permettono ad essi giuochi, balli e taverne; che forse vi passano anch’essi notti quasi intere con ogni sorta di libertini? Se un pastore, vedendo sì mali esempi, cercherà di far loro conoscere la colpa loro e quelle de’ loro figliuoli, andranno in collera, lo biasimeranno, ne diran male e faranno ai loro figliuoli mille contrarietà. Oh! quanti poveri fanciulli malediranno il giorno della loro nascita e i loro parenti, che, invece d’aiutarli a salvarsi, s’adoprarono a perderli con la lor poca cura nel fare ad essi conoscere i loro doveri religiosi e la gravezza del peccato!… Ohimè! fratelli miei! un giorno riconoscerete pur troppo che questo è vero!… Ma torniamo a’ nostri santi, ch’ebbero la sorte felice d’aver parenti sì virtuosi. Finiti i loro studi, riuscirono abilissimi nella medicina. La loro scienza era accompagnata dal dono della grazia, sicché col solo visitare gli infermi, restituivano ad essi la sanità: i ciechi riacquistavano la vista, gli zoppi camminavano, i sordi riavevan l’udito, e alla loro sola presenza i demoni fuggivano. Lo splendore di tante meraviglie li faceva da tutti ammirare; ma quest’alta rinomanza fu causa del loro martirio. Avendo gli imperatori Diocleziano e Massimiano rinnovato la persecuzione contro i Cristiani, mandarono nella città di Egea, qual prefetto, Lisia, perché ne facesse ricerca e li punisse secondo le leggi. Appena Lisia fu giunto in Egea, gli furono denunziati i due medici, che andavano di provincia in provincia e operavano stupendi prodigi nel nome di Colui al quale davano il nome di Gesù Cristo. Si aggiunse che per tal modo molti abbandonavano il culto degl’idoli per abbracciare una Religione all’atta nuova. Avuta questa denunzia, Lisia li fece arrestare. Quando gli furono dinanzi, pieno di collera disse loro: « Siete dunque voi quei seduttori, che andate per le città e per le province, sollevando il popolo contro gli dei dell’impero col pretesto di far loro adorare un uomo crocifisso? Se da questo momento non rinunziate a codesto Dio, e non obbedite agli editti degli imperatori, userò ogni sorta di tormenti per farvi patire. Ditemi i vostri nomi e la vostra patria » . — « Siamo Arabi, ed abbiamo nome, l’uno Cosma e l’altro Damiano. Abbiamo altri tre fratelli, che, come noi, adorano il vero Dio ». Lisia comandò loro d’offrir incenso al demonio. Poiché ricusarono, li fece mettere alla tortura, e fece loro soffrire supplizi terribilmente crudeli. Tuttavia i santi martiri erano così avvalorati dalla grazia di Dio, che ueppur sentivano i loro tormenti; sicché gli dissero: « Tu ci fai soffrire troppo leggermente; se hai altri supplizi, usali, perché questi neppur li sentiamo ». Il prefetto, divorato dalla rabbia, per sbarazzarsene più presto, li fece gettar in mare. Ma un Angelo ruppe le loro catene, li ritrasse dall’acqua e li ricondusse alla riva. Il prefetto, attribuendo questo prodigio al demonio, intimò loro d’insegnargli i sortilegi, di cui si valevano, per servirsene anch’egli com’essi. « Non sappiamo, risposero i martiri, che cosa sia magia, in nome di Gesù Cristo facciamo tutte queste cose. Se vuoi farti Cristiano, riconoscerai la verità di ciò che ti diciamo ». — « In nome del dio Apollo, riprese Lisia, voglio operare un simile prodigio ». Appena uscita dalle sue labbra questa bestemmia, due demoni s’impadronirono di lui, lo batterono senza misericordia, e lo avrebbero ucciso se i due santi non li avessero cacciati. « Vedi bene, gli dissero, che i tuoi dei non son che demoni, i quali cercano solo di nuocerti; riconoscerai adesso il nostro Dio, come il solo vero? Detesta dunque i tuoi idoli ». Non ostante la grazia ottenuta il prefetto rimase insensibile; di più fece condurre in prigione i suoi liberatori. Il giorno dopo comandò che gli fossero ricondotti innanzi, e, vedendo di non poterli vincere, fece accendere un gran fuoco e ve li fece gettar dentro. Ma essi passeggiavano in mezzo alle fiamme senza alcun dolore, anzi erano come in un giardino di delizie e cantavano inni di ringraziamento; e il fuoco, che non faceva loro alcun danno, si volse ad abbruciare gli idolatri, di cui gran numero perdette la vita. Queste meraviglie, che avrebbero dovuto convertire il prefetto, lo indurarono invece sempre più. Li fece stender sul cavalletto, ove i carnefici li tormentarono fino a perder la lena; poi furono appesi ciascuno ad una croce, per farne scempio a colpi di pietra; ma le pietre ricadevano impetuosamente su quelli che le lanciavano. Lisia, inasprito perché non riusciva a farli morire, diede egli stesso mano alle pietre per lanciarle sul loro capo; ma ricaddero su lui con tanta forza che gli spezzarono i denti. Diede poi ordine ai soldati d’armarsi di frecce per lanciarle contro i santi; ma anche queste, anziché nuocer loro, tornarono indietro e uccisero gran numero d’uomini e di donne venuti a vedere questo spettacolo. Il prefetto, disperando di farli morir in mezzo ai tormenti, li fece decapitare. Ecco che cosa può la grazia in un buon Cristiano, e ne’ figliuoli educati con cura da’ genitori, ispirando loro grande amor verso Dio, e sincero disprezzo dei beni di questo mondo e anche della vita. Avventurati figliuoli e beati genitori! Ecco, fratelli miei, come i buoni genitori salvano i loro figli! D’altra parte avete veduto, che i parenti senza Religione trascinano all’inferno con sé i loro poveri figliuoli, coi loro cattivi esempi, e col curarsi poco d’educarli nell’amor di Dio. Terminiamo, miei fratelli, dicendo che noi non siamo certamente esposti a prove sì grandi, come questi santi; ma se volessimo far buon uso delle pene, alle quali andiamo incontro, potremmo pur meritare la corona del martirio. Quante malattie, quante contraddizioni, quante umiliazioni, quanti disprezzi! Quante volte ci tocca rinunziare alla propria volontà, quanti sforzi dobbiam fare per perdonare e amare chi ci fa qualche cosa di male! Ebbene ecco il martirio, fratelli miei, cui Dio vuole che tolleriamo per meritare l’istessa felicità, di cui ora godono i santi! Chiediamo spesso, miei fratelli, a questi buoni santi d’ottenerci tal forza e tal coraggio nelle nostre prove quotidiane; così lavoreremo per piacere a Dio e pel paradiso. Questa felicità vi desidero.