LE BEATITUDINI EVANGELICHE (-4A-)

LE BEATITUDINI 4 A

[A. Portaluppi: Commento alle beatitudini; S.A.L.E.S. –ROMA, 1942, imprim. A. Traglia, VIII, Sept. MCMXLII]

CAPO QUARTO

Beati qui esuriunt et sitiunt justitiam: quoniam ipsi saturabuntur.

Beati quelli che hanno fame e setedi giustizia

         I

GIUSTIZIA È OBBEDIENZA ALLA LEGGE ETERNA

Il poeta Charles Péguy ha definito la santità con una genialità desta di lui in un poema dedicato « alla seconda virtù », che è la speranza. Egli dice, che ci sono due sorta di santi. « Ci sono quelli che vengono e che escono dai giusti; ci sono quelli che vengono generati dai peccatori. Ci sono due formazioni. I santi di Dio escono da due scuole, dalla scuola del giusto e dalla scuola del peccatore… Fortunatamente è sempre il Signore il maestro di scuola ». – C’è nei riguardi della santità anche un’altra fortuna. Ed è che tutti vi possono arrivare. I santi sono i soli eroi la cui opera sia durevole e insieme proporzionata alla capacità di ognuno. Non tutti sono in grado di essere Dante, Michelangelo, Verdi; ma ciascuno può essere… il curato d’Ars, se sa amare sino alla fine. E ciò costituisce una grande ragione di speranza. Dio ci aspetta per tutte le strade che conducono a Lui ed esige soltanto un po’ di bontà benevola e generosa. Una sorta di merito proporzionato a tutte le attitudini. Basta averne il sincero desiderio. E non occorre compiere prodigi per questa strada, basta fare le opere che il dovere ci impone giorno per giorno. Poiché è appunto il dovere indicato dalla condizione e dalla vocazione di ciascuno, l’indicazione divina della volontà superiore, e della santità. La giustizia è pertanto la santità commisurata al dovere di ognuno. Il santo, chiamato ad essere guida di molte anime, dovrà camminare per sentieri ripidi e faticosi; l’uomo comune andrà per la sua strada, or pianeggiante ed ora salente, ora liscia ed ora scabrosa, e giungerà alla sua meta senza grandi scosse e senza grandi meriti, ma giungerà a salvezza.

PROVVIDENZA DELLA LEGGE

Dio ha fissato nella sua legge eterna, che sta scritta nei nostri cuori e che trova una esplicazione nelle leggi della Chiesa dal lato spirituale e in quelle dello Stato come guida della vita civile, l’orientamento di ciascuno. Per tal modo rende agevole ai suoi la conformità alla sua volontà di salute. Nelle proporzioni più minute ognuno trova nei superiori prossimi le indicazioni particolari e gli stimoli opportuni, affinché la mèta venga raggiunta senza disperdimenti d’energia e di tempo. Le legge è provvidenza. Così che sarà bene per il Cristiano di amare la volontà di Dio e di compierla con quella attenzione, che rende gradito il sacrificio. Non sia essa considerata uno strumento di schiavitù, un mezzo di asservimento, la dura necessità del vivere associato; sebbene la saggia guida, l’ordinamento paterno, il sussidio di chi sa a chi ignora. Lo stimolo misurato e prudente eppure efficace, che fa la giornata serena, riducendo notevolmente le preoccupazioni di ciascuno ed eliminando il pericolo di innumerevoli attriti delle volontà singole. I santi sono i modelli espressi in realtà dalle voci della legge. Sono la legge fatta persona. Sono gli emblemi di Dio, le bandiere delle sue schiere. La santità è nella linea della virtù comune, ma accompagnata, con gli occhi rivolti al cielo, dalla fede e dalla carità. E noi tutti abbiamo un immenso interesse, che almeno alcuno dei nostri fratelli si elevi sopra di noi e venga proposto come a guardia dei nostri rapporti con l’Infinito. Ci sentiamo, non umiliati, ma appoggiati alla loro solidità granitica. Sono stimolo per il nostro intelletto e calore per la nostra fragile e tepida volontà. « Non est inventus similis illi — non è possibile trovare uno simile a lui » dice la Liturgia dei Santi tutti, giacché ogni Santo interpreta a modo suo qualcuno degli infiniti e stupendi aspetti del Cristo. E lo rende accostabile e imitabile. È questo infatti il primo passo da fare per convincere la nostra indolenza a seguire le vie del bene e salire per il sentiero arduo della bontà. La considerazione dei Santi, la conoscenza della vita loro splendente di luci affascinanti, sveglia il desiderio e stimola la volontà. A tutti piace la santità. Il racconto dei loro prodigi e delle loro opere ha sempre una visibile potenza d’attraimento. Rimane l’argomento più gradito alle folle dei semplici e alla curiosità intelligente dei colti. Chiunque si decida a leggere una vita di santo, scritta passabilmente, non sa più sospendere la gustosa fatica. Non si leggono così sovente come dovrebbe essere soprattutto per il pregiudizio iniziale. Tutti noi, piccoli uomini, amiamo la grandezza e lo splendore della vita e delle opere. E si corre ai loro sepolcri, per la sicurezza della loro protezione anche nell’altra sede del loro fervore.

LA VOCAZIONE ALLA SANTITÀ’

Gesù ci impose di essere perfetti, cioè santi, come il Padre che è nei Cieli. Egli sapeva di averci infuso, come Creatore, il bisogno della bontà e della santità nelle forme più integre e compiute. Per questo anche gli infelici che non sanno camminare per codeste strade alte e folgorate dal Sole della bellezza immortale, non sanno resistere a lungo, senza rodenti rimorsi nel fango della colpa. Ognuno viene a concludere in Dio la sua trista esperienza. Non hai mai ascoltato un furfante lodarsi di aver servito, da ragazzo, la santa Messa? E non è raro d’incontrare di codeste anime, smarrite per i meandri del vizio o della dissipazione peccaminosa, le quali ti snodano davanti agli occhi cento ricordi di contatti con la santità. E tutto ciò non senza una chiara e pungente nostalgia. Non son forse anche costoro creature di Dio e redenti dal Sangue di Cristo? Tutti dunque sentiamo la stima per la giustizia, tutti amiamo la santità. – Ma non tutti ne abbiamo fame e sete. Ammiriamo le gesta dei giusti, sognando d’essere da loro protetti, ma la nostra giornata striscia per i bassi sentieri della mediocrità, paurosa di sacrifici e di prove. Infatti sono molte le contraddizioni a cui il Santo viene sottoposto. Può bene affermarsi, che il grado di santità corrisponde a quello della sofferenza. Ogni gran Santo è un uomo del dolore. La loro offerta a Dio è così profumata di sacrificio. Sappiamo di santa Coletta, della beata Liduina, di santa Aldegonda, di altri molti, che passarono pressoché tutta la vita in un letto. Ma nessuno andò esente da dolori almeno spirituali, da sospetti, da persecuzioni. L’amore della santità porta a contrastare col mondo sotto le vesti più composte. Oh, i beati non hanno rubato la gloria celeste, sicuramente. Tutta la loro vita fu un calvario, verso il quale hanno portato la croce umiliante delle nostre miserie dei nostri peccati e delle loro stesse materiali fragilità. Queste gravano soprattutto sulla esistenza terrena dei Santi, poiché esse tradiscono la loro debolezza e il pericolo costante di cadere. Siccome poi amano tanto il Signore, la sola possibilità di abbandonarlo e di disertare per passare sotto gli stendardi del nemico li umilia. – Ma la riflessione ben presto volta questo sentimento in proposito della volontà di tener di continuo le armi spirituali in pugno, affinché la sorpresa non li colga. Lottare generosamente è la loro sorte. Se non che questo stato di guerra permanente non li stanca. Stancano forse le vittorie? Ed essi ben sanno che Cristo vittorioso combatte, con loro in loro. Sicché della loro fame e sete di giustizia essi fanno un rogo di gloria, una corona di bellezza, un serto di conforto. Beati dunque anche tra la fame e nella sete. Il Signore La Lacordaire in fin di vita esclamò: « O Signore se la mia spada s’è consumata, s’è consumata al vostro servizio! ».

II

LA PERFETTA GIUSTIZIA NON È DI QUESTO MONDO

SANTITÀ E MONDO

Gesù nell’ultimo discorso agli Apostoli dopo la Cena, disse che essi non erano del mondo « De mundo non sunt, sicut et ego non sum de mundo » (Joan., XVII, 16). Infatti la santità è cosa del Cielo. È un raggio di Dio posato in terra su alcune creature predilette. La santità eminente, che serve da documento a prova della divinità della Chiesa, è tanto rara, che desta stupore e agisce come molla di slancio per noi che apparteniamo alla folla grigia. È in aperto contrasto con i principi del mondo, si oppone alle sue massime, turba le sue agiatezze, le sue indulgenze, il suo programma di godimento di questa vita, poiché di là non ha occhio per vedere. – Infatti l’atmosfera del mondo è del tutto infetta, morbosa, appestata per il Santo. Sui suoi inizi egli fugge nella solitudine e si rafforza alla resistenza risoluta contro le seduzioni; si addestra a indagare le origini, le vie di diffusione, le arti segrete, le magie di sorpresa. Poi, se il Signore lo chiama, scende in lizza e affronta il mondo fieramente. Prima lo ha vinto dentro di sé, poi lo va sconfiggendo nei simili. I motivi della sua azione sono tutti in sintesi nell’amore di Dio e in quello del prossimo. Vince sempre, il Santo, la sua prova? In sé, non v’ha dubbio. Per duro che sia l’urto col male, egli vincerà. Almeno sino a non essere abbattuto. Molti Santi hanno dovuto lottare decenni prima di qualche successo. Sant’Alfonso De’ Liguori vide la sua prima fondazione missionaria sgretolarsi sotto i colpi dei suoi stessi amici e compagni. San Giovanni Bosco tollerò l’abbandono di alcuni giovani, che gli avevano fatto nascere in cuore molte lusinghiere speranze. San Francesco di Sales dovette mutare radicalmente l’Istituto delle sue religiose, per l’opposizione di chi aveva su codeste iniziative autorità. – Che cosa ci dicono le schiere dei martiri di tutte le età? La intolleranza del mondo per tutte le forme di santità. Quaggiù l’aria è dominata dalla violenza di satana. Pacifico non può essere lo spirito di chi ha fatto la sua volontà spada spezzata a servizio di Dio. Il mondo talvolta è indotto a denti stretti a lasciare una certa libertà al bene; ma, appena l’occasione gli si offra propizia, spezza i freni e si scaglia contro le manifestazioni di Dio per abbatterle e frantumarle. Se trovi una zona di pace, quella sarà tale per poco. Non si dice la Chiesa di quaggiù « militante »? Ora lo stato di guerra non è normale per nessuno. Il mondo perciò non è normale per la « fame e la sete della giustizia ». Se mai lo è per il demonio, il quale qui ha il suo gioco libero contro tale ambizione morale.

MALVAGIA MONDANITÀ’

Come abbia potuto scrivere l’Autore dell’Imitazione, che « ogni volta che andai fra gli uomini, tornai meno uomo » allora si capisce. E si ammette anche ciò che altri disse, che cioè, gli uomini nel frequentarsi si abbassano e che ogni associazione tra di essi non è che un compromesso. Sovente dobbiamo riconoscere, che il fiore e l’aroma di certe belle nature, che ammiriamo, svaniscono all’accostarsi le une le altre. Tommaseo, che d’esperienze n’ebbe, parlando della educazione, disse che « gli uomini sociabilissimi sono i più disamorati ». Ma questo non dice tutto. Vi sono troppe nefandità che non hanno nome e non si possono riferire senza destare la protesta della coscienza morale. San Giovanni ha ragione di dire: « mundus totus in maligno positus est » (I, V, 19). È tutto immerso nella cattiveria. È tutto opera del demonio. È la quintessenza della volontà del maligno. – Ma non deve essere così sempre. Chiaro è, che sino al termine della vita umana la zizzania allignerà nel suo campo quaggiù, ma bei covoni di sanissimo grano si potranno sempre maggiormente ammassare. La lotta persistente dovrà giungere a circoscrivere via via la potenza del male. Il bene troverà più aperta accoglienza e i figli della luce avranno modo di cantare, non dirò vittoria, ma qualche più risonante successo. I Santi sono sempre con noi. Devono anzi crescere di numero. La Redenzione di Gesù nostro Signore ha un compito ancora vasto da assolvere; anime ed anime ne avvertono la soave fragranza e l’efficacia intima, sovente senza averne una chiara idea. La grazia agisce con una sua penetrazione inosservabile, ma reale e noi, a volta a volta, ne riconosciamo il risultato. È una benedizione continua sul mondo delle anime, che assorbono e assimilano.

LA SANTITÀ’ SCIAMA LONTANO

Ma e noi, che cosa facciamo per un più largo influsso di Dio sull’umanità? Dobbiamo soltanto ammetter l’opera dei Santi e tenerci affatto in disparte? Nessun contributo siamo disposti a dare ad un’opera che appartiene a Dio nei risultati, ma che deve partire dagli uomini nella predisposizione di certi elementi e nella preparazione degli animi? – Santa Teresa del Bambin Gesù, pur chiusa nel suo chiostro di carmelitana, agognava di poter riuscire utile all’apostolato attivo di qualche sacerdote, mentre ella si dedicava a quello contemplativo. E le avvenne di essere scelta dalla superiora a rispondere alla lettera di un seminarista, il quale chiedeva di concedergli d’essere come fratello a qualcuna delle suore, per averne aiuto di preghiere e di sacrifici, quando sarebbe andato in missione. Essa esprime le sue impressioni. « Anch’io, nell’intimo del mio cuore, pensavo così, e poiché lo zelo d’una carmelitana deve abbracciare il mondo, spero ancora con la grazia di Dio, di essere utile a più di due missionari. Io prego per tutti, senza lasciare da parte i semplici sacerdoti, il cui ministero è talora difficile quanto quello degli apostoli che evangelizzano gli infedeli. Io voglio, insomma essere « figlia della Chiesa » come la nostra Madre Teresa, e pregare secondo tutte le intenzioni del Vicario di Gesù Cristo. Questo è il fine generale della mia vita ». – E poi continua a commentare la sua nuova missione in termini tanto generosi e con una viva intuizione dell’efficacia dell’aiuto da lei prestato alla fatica dei suoi nuovi fratelli. Non intendo trascurare nessuno « dei grandi interessi della Chiesa, che abbracciano l’universo, io così resto adesso particolarmente unita ai nuovi fratelli, che Gesù mi ha concesso. – Tutto ciò che mi appartiene, appartiene a ciascuno di loro, perché sento che Dio è troppo buono e troppo generoso per far delle divisioni; è tanto ricco, che dà senza misura ciò che gli chiedo, per quanto io non mi perda punto in lunghe enumerazioni ». – Questa pagina serena e cristallina pari a un mattino di primavera, ci dice come sia possibile servire la causa del bene anche rimanendo assente dalla battaglia esteriore. Sicché ognuno deve sentire il dovere, l’impegno di dare alla vittoria contro il demonio la propria collaborazione. – Innanzi tutto portiamo ad essa il peso diretto della personale virtù. Contendere per la conquista di quel grado di bontà, che il Signore ci chiama a conquistare, è già la vittoria d’un settore della vita del mondo. Questa non potrà rimanere circoscritta in noi. Si esprimerà nelle forme sociali e influirà beneficamente intorno. Un’anima, che sia appena in grazia, è come una stella in cielo; non tollera foschia intorno a sé. È un raggio di sole. E l’apostolato è già in atto. Apostolato per il quale ognuno possiede attitudini sufficienti. Ciascuno di noi ha il posto ben segnato. Pensate, che il demonio fallirebbe presto, se alcune migliaia di spiriti ferventi prendessero fra loro contatto per dargli aperta battaglia.

SACRAMENTUM ORDINIS DI S. S. PIO XII

SACRAMENTUM ORDINIS

PIUS EPISCOPUS
SERVUS SERVORUM DEI
AD PERPETUAM REI MEMORIAM

CONSTITUTIO APOSTOLICA

DE SACRIS ORDINIBUS DIACONATUS, PRESBYTERATUS ET EPISCOPATUS

1. Sacramentum Ordinis a Christo Domino institutum, quo traditur spiritualis potestas et confertur gratia ad rite obeunda munia ecclesiastica, unum esse idemque pro universa Ecclesia catholica fides profitetur; nam sicut Dominus Noster Iesus Christus Ecclesiae non dedit nisi unum idemque sub Principe Apostolorum regimen, unam eandemque fidem, unum idemque sacrificium, ita non dedit nisi unum eundemque thesaurum signorum efficacium gratiæ, id est Sacramentorum. Neque his a Christo Domino institutis Sacramentis Ecclesia sæculorum cursu alia Sacramenta substituit vel substituere potuit, cum, ut Concilium Tridentinum docet, (Conc. Trid., Sess. VII, can. 1, De Sacram. in genere) septem Novae Legis Sacramenta sint omnia a Iesu Christo Domino Nostro instituta et Ecclesiae nulla competat potestas in substantiam Sacramentorum », id est in ea quae, testibus divinæ revelationis fontibus, ipse Christus Dominus in signo sacramentali servanda statuit.

2. Quod autem ad Sacramentum Ordinis de quo agimus spectat, factum est ut, non obstante eius unitate et identitate, quam nemo unquam e catholicis in dubium revocare potuit, tamen, aetatis progressu, pro temporum et locorum diversitate, illi conficiendo ritus varii adiicerentur; quod profecto ratio fuit cur theologi inquirere coeperint, quinam ex illis in ipsius Sacramenti Ordinis collatione pertineant ad essentiam, quinam non pertineant : itemque causam praebuit dubiis et anxietatebus in casibus particularibus, ac propterea iterum iterumque ab Apostolica Sede humiliter expostulatur fuit, ut tandem quid in Sacrorum Ordinum collatione ad validitatem requiratur, suprema Ecclesiae auctoritate decerneretur.

3. Constat autem inter omnes Sacramenta Novae Legis, utpote signa sensibilia atque gratiae invisibilis efficientia, debere gratiam et significare quam efficiunt et efficere quam significant. Iamvero effectus, qui Sacra Diaconatus, Presbyteratus et Episcopatus Ordinatione produci ideoque significari debent, potestas scilicet et gratia, in omnibus Ecclesiae universalis diversorum temporum et regionum ritibus sufficienter significati inveniuntur manuum impositione et verbis eam determinantibus. Insuper nemo est qui ignoret Ecclesiam Romanam semper validas habuisse Ordinationes graeco ritu collatas absque instrumentorum traditione, ita ut in ipso Concilio Florentino, in quo Græcorum cum Ecclesia Romana unio peracta est, minime Graecis impositum sit, ut ritum Ordinationis mutarent vel illi instrumentorum traditionem insererent : immo voluit Ecclesia ut in ipsa Urbe Graeci secundum proprium ritum ordinarentur. Quibus colligitur, etiam secundum mentem ipsius Concilii Florentini, traditionem instrumentorum non ex ipsius Domini Nostri Iesu Christi voluntate ad substantiam et ad validitatem huius Sacramenti requiri. Quod si ex Ecclesiae voluntate et praescripto eadem aliquando fuerit necessaria ad valorem quoque, omnes norunt Ecclesiam quod statuit etiam mutare et abrogare valere.

4. Quae cum ita sint, divino lumine invocato, suprema Nostra Apostolica Auctoritate et certa scientia declaramus et, quatenus opus sit, decernimus et disponimus : Sacrorum Ordinum Diaconatus, Presbyteratus et Episcopatus materiam eamque unam esse manuum impositionem; formam vero itemque unam esse verba applicationem huius materiae determinantia, quibus univoce significantur effectus sacramentales, — scilicet potestas Ordinis et gratia Spiritus Sancti, — quaeque ab Ecclesia qua talia accipiuntur et usurpantur. Hinc consequitur ut declaremus, sicut revera ad omnem controversiam auferendam et ad conscientiarum anxietatibus viam praecludendam, Apostolica Nostra Auctoritate declaramus, et, si unquam aliter legitime dispositum fuerit, statuimus instrumentorum traditionem saltem in posterum non esse necessariam ad Sacrorum Diaconatus, Presbyteratus et Episcopatus Ordinum validitatem.

PIUS PP. XII


*A.A.S., vol. XL (1948), n. 1-2, pp. 5-7

Acta Apostolicæ Sedis, vol. XL, n°s 1-2 (28, 1.-27. 2. 48). pp. 5-7

1. La Fede cattolica professa che il Sacramento dell’Ordine istituito da Cristo, per mezzo del quale è conferito il potere e la grazia spirituale di svolgere le funzioni propriamente ecclesiastiche, è uno e lo stesso per la Chiesa universale; poiché, come Nostro Signore Gesù Cristo ha dato alla Chiesa, un solo e medesimo governo sotto il Principe degli Apostoli, una sola e stessa fede, un solo stesso Sacrificio, così anche Lui le diede solo uno e medesimo tesoro di efficacia con i segni di grazia, cioè i Sacramenti. Oltre questi Sacramenti istituiti da Cristo Nostro Signore, la Chiesa nel corso dei secoli non ha mai costituito altri Sacramenti, né avrebbe potuto farlo, poiché, come insegna il Concilio di Trento (Conc. Tr., Sess. VII, can. De Sacram, in genere), i sette Sacramenti della nuova legge furono tutti istituiti da Gesù Cristo nostro Signore, e la Chiesa non ha potere sulla “sostanza dei Sacramenti”, cioè su quelle cose che, come è provato dalle fonti della rivelazione divina, Cristo, il Signore stesso ha stabilito fossero mantenuto come segni sacramentali.

2. Ma, in ciò che concerne il Sacramento dell’ordine, di cui qui si tratta, malgrado la sua unità  e la sua identità, che nessun cattolico ha mai potuto mettere in dubbio, è accaduto nel corso degli anni, secondo la diversità dei tempi e dei luoghi, che si sono aggiunti diversi riti alla sua amministrazione. È questo che spiega certamente che a partire da un certo momento i teologi abbiano cominciato a ricercare tra questi riti dell’ordinazione appartengano all’essenza del Sacramento e quali non vi appartengano affatto. Questo stato di cose ha ancora occasionato, in casi particolari, dei dubbi e delle inquietudini; così, a più riprese si è domandato alla Santa Sede che l’Autorità suprema della Chiesa, voglia be pronunciarsi su ciò che, nei confronti degli Ordini sacri, sia richiesto per la validità,

3. Si riconosce unanimemente che i Sacramenti della nuova Legge, segni sensibili e producenti la grazia invisibile, debbano significare la grazia che producono e produrre la grazia che significano. Ora, gli effetti che le ordinazioni diaconale, sacerdotale ed episcopale debbano produrre e pertanto significare, cioè il potere e la grazia, si trovano in tutti i riti in uso nella Chiesa Universale, nelle diverse epoche e nei differenti paesi, sufficientemente indicati con l’imposizione delle mani e le parole che la determinano. Inoltre, nessuno ignora che la Chiesa Romana ha sempre ritenuto valide le ordinazioni fatte nel rito greco senza la tradizione degli strumenti. Così il Concilio di Firenze, ove è stata conclusa l’unione dei Greci con la Chiesa Romana, non ha loro imposto di cambiare il rito di Ordinazione né inserirvi la tradizione degli strumenti. Ben più, la Chiesa ha voluto che anche a Roma i Greci fossero ordinati secondo il loro rito proprio. Da questo ne risulta che anche nel pensiero del Concilio di Firenze, la tradizione degli strumenti non sia richiesta al pari della volontà del Signore Nostro Gesù-Cristo per la sostanza e per la validità di questo Sacramento. Se nel tempo essa è stata necessaria, anche per la validità, al pari della volontà e del precetto della Chiesa, si sa che ciò che Essa ha stabilito, la Chiesa può anche cambiare ed abrogare.

4. Ecco perché, dopo avere invocato la luce divina, in virtù della nostra suprema Autorità apostolica ed in piena conoscenza della cosa, Noi dichiariamo e, per quanto ce ne sia bisogno, Noi decidiamo e dichiariamo ciò che segue: la materia e la sola materia degli Ordini sacri del Diaconato, del Sacerdozio e dell’Episcopato è l’imposizione delle mani; similmente, la sola forma sono le parola che determinano l’applicazione di questa materia, parole che significano in modo univoco gli effetti sacramentali, cioè il potere di ordine e la grazia dello Spirito Santo, parole che la Chiesa accetta ed impiega come tali. Ne consegue che Noi dobbiamo dichiarare, come Noi dichiariamo effettivamente, in virtù della nostra Autorità apostolica, per sopprimere ogni controversia e prevenire le angosce delle coscienze, e decidiamo, anche nel caso in cui nel passato l’autorità competente avesse preso una diversa decisione, che la tradizione degli strumenti, al meno in avvenire, non sia necessaria per la validità degli Ordini sacri del diaconato, del sacerdozio, dell’episcopato.

5. In ciò che concerne la materia e la forma nei confronti di ugnino di questi ordini, Noi decidiamo e decretiamo, in virtù della nostra Autorità apostolica, ciò che segue. Per l’ordinazione al diaconato, la materia è l’imposizione delle mani del Vescovo, la sola prevista nel rito di questa ordinazione. La forma è costituita dalle parole del Prefatio, di cui le seguenti sono essenziali e pertanto richieste per la validità: « Emitte in eum, quaesumus, Domine, Spiritum Sanctum, quo in opus ministerii tut fideliter exsequendi septiformis gratiae tuae munere roboretur

Nell’Ordinazione sacerdotale, la materia è la prima imposizione delle mani del Vescovo, quella che si fa in silenzio, e non la continuazione di questa stessa imposizione che si fa estendendo la mano destra, né l’ultima imposizione accompagnata da queste parole: « Accipe Spiritum Sanctum: quorum remiseris peccata, etc. » La forma è costituita dalle parole del Prefatio, delle quali le seguenti sono essenziali e pertanto necessarie per la validità; « Da, quaesumus, omnipotens Pater, in hunc famulum tuum Presbyterii dignitatem; innova in visceribus eius spiritum sanctitatis, ut acceptum a Te, Deus, secundi meriti munus obtineat censuramque morum exemplo suæ conversationis insinuet ». Infine per l’ordinazione o consacrazione episcopale, la materia è l’imposizione delle mani fatta dal Vescovo consacratore. La forma è costituita dalle parole del Prefatio, delle quali le seguenti sono essenziali. La scrittura e l’antichità greca e latina non menzionano che l’imposizione delle mani e la preghiera. È soltanto verso la fine del Medio Evo e senza un atto ufficiale della Chiesa che la tradizione degli strumenti si è diffusa in Occidente ed è penetrata poco a poco nell’uso romano. È il decreto per gli Armeni, promulgato nel 1439 alla conclusione del Concilio di Firenze, che fissò come materia dei diversi ordini la tradizione degli strumenti. Ma d’altra parte, Roma continuava a considerare come valide le ordinazioni orientali fatte senza la tradizione degli strumenti. Nelle sua  Istruzione « Presbyterii græci » (31/08/1595), Clemente VIII esigeva che un Vescovo di rito greco fosse presente a Roma per conferire agli studenti della sua nazione, l’ordinazione secondo il rito Greco. Nela Bolla « Etsi pastoralis » (26/05)1742) per gli Italo-Greci, Benedetto XIV dichiara: « Episcopi græci in ordinibus conferendis ritum proprium græcum in Euchologio descriptum servent ». A più riprese, i Sovrani Pontefici si sono pronunciati nel medesimo senso. La complessità di questi fatti spiega la diversità delle opinioni, che si sono fatte luce sull’essenza del sacramento dell’Ordine e che è superfluo qui enumerare. Poco a poco l’opinione che, ispirandosi all’antichità cristiana e alla liturgia, non ammette che un solo rito essenziale, l’imposizione delle mani con l’invocazione dello Spirito Santo, aveva finito per allineare la grande maggioranza dei teologi. È evidente che dopo la presente Costituzione Apostolica, questa è l’unica tesi autorizzata. Resta da sapere quale fosse il valore del decreto per gli Armeni, menzionato più in alto. Secondo alcuni, il decreto sarebbe semplicemente una istruzione pratica di ordine disciplinare e pastorale. Secondo il cardinale Van Rossum, la cui opera « De essentia sacramenti Ordinis » (Fribourg-en-Brisgau 1914),è fondamentale in materia, il decreto sarebbe dottrinale, ma non definitivo, ex cathedra, infallibile. Egli ne vede la prova nel fatto che la Chiesa non sia mai intervenuta contro le opinioni diverse. (V. Dict. De Théol. cath., art. « ordine », soprattutto col. 1315 e segg.). « Diffondete su di lui, vi supplichiamo, Signore, lo Spirito Santo; che lo fortifichi con i sette doni delle vostra grazia perché compia con fedeltà il vostro ministero ». – « Date, ve ne supplichiamo, Padre onnipotente, al vostro servo qui presente la dignità del Sacerdozio; rinnovate nel suo cuore lo spirito di santità, affinché egli eserciti questa unzione del secondo ordine [della gerarchia] che Voi gli affidate e che l’esempio della sua vita corregga i costumi ». Per la validità è pertanto richiesta: « Comple in Sacerdote tuo ministerii tui summam, et ornamentis totius glorificationis instructum cœlestis unguenti rore sanctifica ». Tutti questi riti saranno compiuti conformemente alle prescrizioni della Nostra Costituzione apostolica « Episcopalis consecrationis » del 30 novembre 1946.6. Onde prevenire eventuali dubbi, noi ordiniamo, Noi ordiniamo che nei confronti di ogni Ordine, l’imposizione delle mani si faccia toccando fisicamente la testa dell’ordinando, benché sia sufficiente il contatto morale per conferire validamente il Sacramento. Infine, non è affatto permesso interpretare ciò che stiamo dichiarando e decretando sulla materia e la forma, in modo da credersi autorizzato sia a trascurare, sia ad  omettere le altre cerimonie previste nel Pontificale Romano; inoltre Noi ordiniamo che tutte le prescrizioni del Pontificale Romano siano religiosamente mantenute ed osservate. Le disposizione della presente Costituzione, non hanno effetto retroattivo; qualora si presenti un dubbio, lo si sottometterà alla Sede Apostolica. Ecco pertanto ciò che Noi ordiniamo, dichiariamo e decretiamo, nonostante qualsiasi disposizione contraria, anche degna di speciale menzione. Di conseguenza, Noi vogliamo ed ordiniamo che le disposizioni sopramenzionate siano incorporate, in un modo o nell’altro nel Pontificale Romano.

NESSUNO AVRÁ DUNQUE IL DIRITTO DI ALTERARE LA PRESENTE COSTITUZIONE DA NOI DATA NÉ DI OPPORVISI CON TEMERARIO ARDIMENTO


Dato a San Pietro, il 30 novembre, festa di Sant’Andrea Apostolo nell’anno 1947, nono anno del Nostro pontificato.

PIO XII, PAPA.



Questa costituzione apostolica di S. S. Pio XII, è la pietra di inciampo [sarebbe meglio forse dire: pietra tombale! … fate voi …] per quanti, nelle finte chiese di ogni parte del mondo, si dicono ordinati Sacerdoti, o peggio Vescovi. Questo documento infatti, stabilisce in modo infallibile ed immutabile, come ogni altro documento del Magistero Universale, le formule, cioè la “forma sacramentale”, del Sacramento dell’Ordine. (… per il Santo Padre era naturalmente superfluo ricordare che prima di accedere a queste Consacrazioni, bisognava aver ricevuto obbligatoriamente la tonsura ecclesiastica dall’Ordinario della propria Diocesi di appartenenza, nonché gli ordini clericali minori, come indicato tassativamente dal Sacrosanto Concilio di Trento – Sess. XXIII).

Solo chi sia stato ordinato con queste formule – dopo la tonsura e il conferimento degli ordini minori – da un Vero Vescovo, cioè non scomunicato ipso facto (come ad esempio un Cavaliere Kadosh, grado XXX della Massoneria, in cui si è compiuto un giuramento solenne di obbedienza a Lucifero con tanto di brindisi e pugnale di sfida a Dio; né da pseudo-vescovi senza Mandato Papale e senza Giurisdizione), può considerarsi validamente consacrato ed usare della giurisdizione o della missione canonica per le funzioni proprie dei relativi Ordini. Ogni altra formula non ha alcuna validità, né si può pretendere di utilizzare, solo per fare un esempio, formule blasfeme e sacrileghe inventate da antipapi usurpanti, con documenti che possono essere usati al massimo come carta igienica (salvo diverso parere medico!). Le formule dell’antipapa marrano Montini del 18 giugno del 1968, studiate dal massone Bugnini – BUAN 1365/75 su imbeccate del “fratello” benedettino dom Botte e dei 6 (si noti il numero! … chi ha intelletto comprenda!) compagni di merenda di retrologgia, sono utili per formare pseudo-vescovi “perfetti manichei”, quindi come tali appartenenti ad organismi di confessione gnostica, come l’attuale “Novus ordo”, che usurpanti cariche e prebende, pretendono di essere addirittura cattolici, ingannando pseudo ignari fedeli, ed altrettanti pretesi e falsi sacerdoti (che hanno quanto meno una falsa coscienza, secondo i dettami della teologia morale … che essi giustamente non hanno mai studiato …), che spacciano sacramenti ed officiano riti satanici offerti, in buona o in cattiva fede, al signore dell’universo, il baphomet-lucifero adorato nelle logge ad eterna condanna loro e di quanti li seguono. Possiamo solo pregare per essi, perché il Signore apra loro gli occhi, anche se San Paolo impietosamente ci ricorda che … a coloro che non hanno amato la verità, Iddio manderà una « operationem erroris ut credant mendacio » (2 Tess. II, 11). SI SALVI CHI VUOLE!

SALMI BIBLICI: “IN DOMINO CONFIDO” (X)

Salmo 10: In Domino Confido

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR

13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.: Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

SALMO X

  In finem. Psalmus David.

[1] In Domino confido;

quomodo dicitis animæ meae: Transmigra in montem sicut passer?

[2] Quoniam ecce peccatores intenderunt arcum; paraverunt sagittas suas in pharetra, ut sagittent in obscuro rectos corde;

[3] quoniam quae perfecisti destruxerunt; justus autem quid fecit?

[4] Dominus in templo sancto suo; Dominus in caelo sedes ejus.

[5]Oculi ejus in pauperem respiciunt, palpebræ ejus interrogant filios hominum.

[6] Dominus interrogat justum et impium; qui autem diligit iniquitatem, odit animam suam.

[7] Pluet super peccatores laqueos; ignis et sulphur, et spiritus procellarum, pars calicis eorum.

[8] Quoniam justus Dominus, et justitias dilexit: aequitatem vidit vultus ejus.

SALMO X

[Vecchio Testamento secondo la Volgata

Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

Esortazione alla confidenza nel tempo delle calunnie ed altre tribolazioni.

Per la fine, salmo di David.

1. Nel Signore pongo la mia speranza; perché dite voi all’anima mia: Trafugati al monte come una passera? (1)

2. Imperocché ecco che i peccatori han leso l’arco, tengono preparate le loro saette nel

turcasso per saettare all’oscuro quelli che sono di cuore retto.

3. Perché quello che tu facesti di buono, lo hanno ridotto a niente; or il giusto che ha egli fatto?

4. Il Signore nel tempio suo santo, il Signore nel cielo ha sua sede;

5. gli occhi di lui al povero son rivolti: le pupille di lui disaminano i figliuoli degli uomini.

6. Il Signore disamina il giusto e l’empio; echi ama l’iniquità, odia l’anima propria.

7. E i pioverà lacci sopra de’ peccatori; il fuoco eil zolfo e il vento procelloso è la porzione del loro calice. (2)

8. Imperocché il Signore è giusto, ed ha amato la giustizia; la faccia di lui è rivolta alla equità.

(1) I paesi montagnosi nel sud della Giudea, ove Saul inseguiva Davide. Fuggite sulla montagna, come gli uccelli quando sono inseguiti nella pianura fuggono con volo rapido verso le montagne coperte dagli alberi.

(2). Il vento di tempesta è il simoun degli arabi, vento del deserto. Quando esso soffia, in luglio, ci si getta a terra e si evita di essere soffocati, perché soffia con violenza tranne che a due passi da terra.

Sommario analitico

Questo salmo che Davide ha composto probabilmente quando il profeta Gad gli venne a dire « Non dimorate in questo forte, partite ed andate nella terra di Giuda » (I Re XXII, 6), e che, nel senso tropologico si applica all’uomo giusto, rigettante tutte le suggestioni con le quali il demonio cerca di allontanarlo da Dio, può dividersi in due parti: nella prima, Davide fa vedere tutti gli sforzi dei suoi nemici per prenderlo, cosa che determina i suoi amici nel consigliargli di fuggire. Nella seconda, egli dichiara che è senza paura, sicuro com’è della giustizia e della potenza di Dio.

I° PARTE.

I. –  Egli riporta i timidi consigli che gli danno i suoi amici (1);

2) i disegni crudeli dei suoi nemici contro di lui (2); .

3) le loro audaci imprese contro Dio stesso (3).

II PARTE.

II. – Egli espone i quattro motivi della sua fiducia in Dio:

1) coloro che lo attaccano sono peccatori, – essi hanno distrutto ciò che Dio aveva stabilito; – Davide, dal canto suo non aveva mai dato loro, in nessun luogo, alcuna occasione di perseguitarlo;

2) Dio è il Re ed il Signore di tutte le cose, ed Egli può, in un sol colpo, capovolgere e distruggere tutti i loro sforzi (4);

3) Dio è un guardiano vigilante che ha sempre gli occhi sulle sue pecore; Egli esamina con cura tutte le azioni degli uomini (5);

4) Dio è un giudice severo che punisce gli empi secondo la grandezza dei loro crimini e le regole della sua giustizia (6-8).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1 – 3.

ff. 1, 2. – Le anime lasse e timide trovano mille difficoltà quando si tratta di intraprendere qualcosa per le gloria di Dio ed abbandonano tutto alla minima resistenza. – Sono questi consigli di bassa lega ed interessati di falsi amici che cercano di intimidire un Pastore zelante per la gloria di Dio, per la disciplina della Chiesa e la salvezza delle anime. Bisogna cedere per un tempo alla persecuzione; l’arco già è stato teso, le accuse sono tutte pronte, voi non potrete difendervi, perché si tirerà contro di voi nell’oscurità. Si cerca di distruggere tutto ciò che avete fatto di meglio, e chiederete inutile quel che avete fatto, ma non sarete nemmeno ascoltati. Perché dunque non prendere una condotta più accomodante, e non cedere qualcosa alla consuetudine ed al tempo in cui si vive? Ci sarà una sola e solida risposta a tutto questo: « Io ripongo la mia fiducia nel Signore » (Duguet). – « Perché parlate così alla mia anima? Cosa mi consigliate? Io ho come aiuto il Maestro dell’universo, ho per capo ed appoggio Colui che fa tutto senza fatica e con la più grande facilità, e voi mi spingete a fuggire nei luoghi disabitati, di cercare la mia salvezza del deserto? Può il deserto offrirmi un soccorso più sicuro di Colui che fa tutto senza il minimo sforzo? (S. Chrys.). – A questa prima ragione, io ne aggiungo un’altra che mi impedisce di prendere la fuga. Quando abbiamo Dio come difensore ed i peccatori come nemici, , si può forse consigliare, senza renderci colpevoli di follia, di imitare il timore di timidi uccelli? (Idem).

ff. 3. – Essi hanno distrutto tutto ciò che avete fatto con tanta perfezione, altra causa che completa la distruzione delle loro forze; essi si rivolgono alle opere di Dio, fanno a Dio ed alla sua Chiesa una guerra accanita, distruggono la sua legge e mettono sotto i piedi i suoi precetti. Qual più grande prova di debolezza osar dichiarare la guerra a Dio? (S. Chrys.). – Ordinariamente la vita dei peccatori fa più rumore di quella dei giusti, perché l’interesse e le passioni scuotono tutto nel mondo. I peccatori hanno teso il loro arco, lo hanno rilasciato contro i giusti, li hanno distrutti, li hanno rovesciati, non si parla che di essi nel mondo. Ma il giusto cosa fa? Sembra che non agisca, ed in effetti non agisce secondo l’opinione dei mondani che non conoscono l’azione senza agitazione, né affari senza imprese. Non avendo il giusto azione, almeno secondo il sentimento degli uomini di mondo, non bisogna meravigliarsi che i grandi successi non siano per lui (Bossuet, s. III Dim., ap. Paq.).

II — 4 – 8.

ff. 4. – Come si è preparato il giusto a rigettare gli sforzi dei suoi nemici? Cosa ha fatto? Egli ha cercato il suo rifugio in Dio che è nei cieli, e che tutto riempie con la sua immensità. Egli non ha impiegato le armi per difendersi; le sole sue armi sono state il confidare in Dio, egli non ha opposto ai suoi nemici se non Colui che non ha bisogno di alcun mezzo di difesa, né di luogo, né di tempi favorevoli, né di armi, né denaro, ma che fa tutto con un cenno della sua volontà (S. Chrys.). – Quale fondamento più sicuro della fiducia di un cuore retto? Dio è in cielo e l’uomo sulla terra.

ff. 5. –  Ecco ciò che consola l’uomo giusto; egli sa di non poter dubitare che il Signore, dall’alto del cielo, vede tutto, esamina tutto, giudica tutto ciò che accade sulla terra; discerne e giudica i buoni ed i cattivi; dalla estremità in cui si trova, Dio vede tutto e non dimentica. – Le pupille di Dio da sole sono sufficienti, perché Egli vede tutto, Egli conosce tutto; Egli non ha bisogno della prugnola degli occhi (Teodoreto). – « L’uomo che esce dal suo letto disprezzando la sua anima, dicendo: « … chi mi vede? Le tenebre mi circondano e le muraglie mi coprono e nessuno se ne accorge: perché aver paura? L’Altissimo non si ricorderà dei miei peccati! » quest’uomo non ha compreso che l’occhio del Signore vede ogni cosa … non ha capito che gli occhi del Signore, più luminosi del sole, penetrano tutte le vie dei mortali e la profondità degli abissi, l’intimo dei cuori ed i luoghi più reconditi. » (Eccles. XXIII, 25-28).

ff. 6. – Terribile è l’interrogatorio che lo sguardo di Dio, presente dappertutto, fa subire ai peccatori. – L’iniquità è per l’anima che la commette, un nemico acerrimo, il più pericoloso, e che la minaccia di una certa rovina. Il peccatore ne è la vittima anche prima di essere consegnato al supplizio (S. Chrys.). – Ogni peccatore è nemico della sua anima, corruttore nella sua coscienza, del suo bene più grande che è l’innocenza. Nessuno pecca senza oltraggiare se stesso; nessuno mina l’integrità altrui senza perdere la propria; nessuno si vendica dei suoi nemici e non porti il primo colpo, il più mortale, al proprio seno; e l’odio, questo veleno mortale della vita umana, comincia la sua funesta operazione nel cuore ove esso è concepito, perché vi spegne la carità e la grazia (Bossuet, Circons. De N.-S.).

ff. 7. – Durante questa vita, questo spirito di tempesta sono il tumulto e le agitazioni di una coscienza agitata e che cerca di ingannare se stessa. – La pioggia delle insidie, è incomparabilmente più terribile della pioggia di fuoco e zolfo. Il mondo è inondato da questa pioggia. Un cattivo pastore, un confessore ignorante, debole o compassio-nevole, un predicatore che attenua, che altera, che rende bonarie le severe massime del Vangelo, sono altrettante insidie nelle quali le anime possono cadere (Duguet). Quanto più spaventosi sono questi castighi, comparati alla catastrofe delle cinque città abominevoli, castighi che saranno applicati irrevocabilmente ai peccatori dopo questa vita! Questa sarà la parte del loro calice: vale a dire che questi flagelli saranno la loro parte, il loro possesso; essi non potranno sottrarvisi e ne saranno le tristi vittime.

ff. 8. – La ragione di queste vendette così temibili è che il Signore è giusto, e che Egli essenzialmente ama la giustizia. Egli l’ama in Dio, cioè infinitamente, Egli la vendica in Dio, e cioè mediante pene eterne (Berthier). – Il Signore è giusto ed ama “le giustizie”. Non è senza ragione che questa parola è messa al plurale; non è perché parla degli uomini che il Profeta impiega la parola “giustizie” invece che “giusti”? Sembra in effetti che vi siano tante giustizie per tanti giusti, mentre la giustizia di Dio, alla quale tutti gli altri partecipano, è unica (S. Agost.). – Ad esempio di Dio non si perda mai di vista la giustizia in tutto ciò che si fa: essa è la luce e la regola che si deve seguire.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO XII – “SACRAMENTUM ORDINIS”

Questa costituzione apostolica di S. S. Pio XII, è la pietra di inciampo [sarebbe meglio forse dire: pietra tombale! … fate voi …] per quanti, nelle finte chiese di ogni parte del mondo, si dicono ordinati Sacerdoti, o peggio Vescovi. Questo documento infatti, stabilisce in modo infallibile ed immutabile, come ogni altro documento del Magistero Universale, le formule, cioè la “forma sacramentale”, del Sacramento dell’Ordine. (… per il Santo Padre era naturalmente superfluo ricordare che prima di accedere a queste Consacrazioni, bisognava aver ricevuto obbligatoriamente la tonsura ecclesiastica dall’Ordinario della propria Diocesi di appartenenza, nonché gli ordini clericali minori, come indicato tassativamente dal Sacrosanto Concilio di Trento – Sess. XXIII).

Solo chi sia stato ordinato con queste formule – dopo la tonsura e il conferimento degli ordini minori – da un Vero Vescovo, cioè non scomunicato ipso facto (come ad esempio un Cavaliere Kadosh, grado XXX della Massoneria, in cui si è compiuto un giuramento solenne di obbedienza a Lucifero con tanto di brindisi e pugnale di sfida a Dio; né da pseudo-vescovi senza Mandato Papale e senza Giurisdizione), può considerarsi validamente consacrato ed usare della giurisdizione o della missione canonica per le funzioni proprie dei relativi Ordini. Ogni altra formula non ha alcuna validità, né si può pretendere di utilizzare, solo per fare un esempio, formule blasfeme e sacrileghe inventate da antipapi usurpanti, con documenti che possono essere usati al massimo come carta igienica (salvo diverso parere medico!). Le formule dell’antipapa marrano Montini del 18 giugno del 1968, studiate dal massone Bugnini – BUAN 1365/75 su imbeccate del “fratello” benedettino dom Botte e dei 6 (si noti il numero! … chi ha intelletto comprenda!) compagni di merenda di retrologgia, sono utili per formare pseudo-vescovi “perfetti manichei”, quindi come tali appartenenti ad organismi di confessione gnostica, come l’attuale “Novus ordo”, che usurpanti cariche e prebende, pretendono di essere addirittura cattolici, ingannando pseudo ignari fedeli, ed altrettanti pretesi e falsi sacerdoti (che hanno quanto meno una falsa coscienza, secondo i dettami della teologia morale … che essi giustamente non hanno mai studiato …), che spacciano sacramenti ed officiano riti satanici offerti, in buona o in cattiva fede, al signore dell’universo, il baphomet-lucifero adorato nelle logge ad eterna condanna loro e di quanti li seguono. Possiamo solo pregare per essi, perché il Signore apra loro gli occhi, anche se San Paolo impietosamente ci ricorda che … a coloro che non hanno amato la verità, Iddio manderà una « operationem erroris ut credant mendacio » (2 Tess. II, 11). SI SALVI CHI VUOLE!

N. B. : Ne diamo il testo originale in latino con la successiva traduzione italiana per gli a-cattolici.

PIUS EPISCOPUS
SERVUS SERVORUM DEI
AD PERPETUAM REI MEMORIAM

CONSTITUTIO APOSTOLICA

SACRAMENTUM ORDINIS

DE SACRIS ORDINIBUS DIACONATUS, PRESBYTERATUS ET EPISCOPATUS

1. Sacramentum Ordinis a Christo Domino institutum, quo traditur spiritualis potestas et confertur gratia ad rite obeunda munia ecclesiastica, unum esse idemque pro universa Ecclesia catholica fides profitetur; nam sicut Dominus Noster Iesus Christus Ecclesiae non dedit nisi unum idemque sub Principe Apostolorum regimen, unam eandemque fidem, unum idemque sacrificium, ita non dedit nisi unum eundemque thesaurum signorum efficacium gratiæ, id est Sacramentorum. Neque his a Christo Domino institutis Sacramentis Ecclesia sæculorum cursu alia Sacramenta substituit vel substituere potuit, cum, ut Concilium Tridentinum docet, (Conc. Trid., Sess. VII, can. 1, De Sacram. in genere) septem Novae Legis Sacramenta sint omnia a Iesu Christo Domino Nostro instituta et Ecclesiae nulla competat potestas in substantiam Sacramentorum », id est in ea quae, testibus divinæ revelationis fontibus, ipse Christus Dominus in signo sacramentali servanda statuit.

2. Quod autem ad Sacramentum Ordinis de quo agimus spectat, factum est ut, non obstante eius unitate et identitate, quam nemo unquam e catholicis in dubium revocare potuit, tamen, aetatis progressu, pro temporum et locorum diversitate, illi conficiendo ritus varii adiicerentur; quod profecto ratio fuit cur theologi inquirere coeperint, quinam ex illis in ipsius Sacramenti Ordinis collatione pertineant ad essentiam, quinam non pertineant : itemque causam praebuit dubiis et anxietatebus in casibus particularibus, ac propterea iterum iterumque ab Apostolica Sede humiliter expostulatur fuit, ut tandem quid in Sacrorum Ordinum collatione ad validitatem requiratur, suprema Ecclesiae auctoritate decerneretur.

3. Constat autem inter omnes Sacramenta Novae Legis, utpote signa sensibilia atque gratiae invisibilis efficientia, debere gratiam et significare quam efficiunt et efficere quam significant. Iamvero effectus, qui Sacra Diaconatus, Presbyteratus et Episcopatus Ordinatione produci ideoque significari debent, potestas scilicet et gratia, in omnibus Ecclesiae universalis diversorum temporum et regionum ritibus sufficienter significati inveniuntur manuum impositione et verbis eam determinantibus. Insuper nemo est qui ignoret Ecclesiam Romanam semper validas habuisse Ordinationes graeco ritu collatas absque instrumentorum traditione, ita ut in ipso Concilio Florentino, in quo Græcorum cum Ecclesia Romana unio peracta est, minime Graecis impositum sit, ut ritum Ordinationis mutarent vel illi instrumentorum traditionem insererent: immo voluit Ecclesia ut in ipsa Urbe Graeci secundum proprium ritum ordinarentur. Quibus colligitur, etiam secundum mentem ipsius Concilii Florentini, traditionem instrumentorum non ex ipsius Domini Nostri Iesu Christi voluntate ad substantiam et ad validitatem huius Sacramenti requiri. Quod si ex Ecclesiae voluntate et praescripto eadem aliquando fuerit necessaria ad valorem quoque, omnes norunt Ecclesiam quod statuit etiam mutare et abrogare valere.

4. Quae cum ita sint, divino lumine invocato, suprema Nostra Apostolica Auctoritate et certa scientia declaramus et, quatenus opus sit, decernimus et disponimus : Sacrorum Ordinum Diaconatus, Presbyteratus et Episcopatus materiam eamque unam esse manuum impositionem; formam vero itemque unam esse verba applicationem huius materiae determinantia, quibus univoce significantur effectus sacramentales, — scilicet potestas Ordinis et gratia Spiritus Sancti, — quaeque ab Ecclesia qua talia accipiuntur et usurpantur. Hinc consequitur ut declaremus, sicut revera ad omnem controversiam auferendam et ad conscientiarum anxietatibus viam praecludendam, Apostolica Nostra Auctoritate declaramus, et, si unquam aliter legitime dispositum fuerit, statuimus instrumentorum traditionem saltem in posterum non esse necessariam ad Sacrorum Diaconatus, Presbyteratus et Episcopatus Ordinum validitatem.

5. De materia autem et forma in uniuscuiusque Ordinis collatione, eadem suprema Nostra Apostolica Auctoritate, quae sequuntur decernimus et constituimus : In Ordinatione Diaconali materia est Episcopi manus impositio quae in ritu istius Ordinationis una occurrit. Forma autem constat verbis « Præfationis » quorum haec sunt essentialia ideoque ad valorem requisita:

« Emitte in eum, quæ sumus, Domine, Spiritum Sanctum, quo in opus ministerii tui fideliter exsequendi septiformis gratiæ tuæ munere roboretur ».

In Ordinatione Presbyterali materia est Episcopi prima manuum impositio quae silentio fit, non autem eiusdem impositionis per manus dexteræ extensionem continuatio, nec ultima cui coniunguntur verba: « Accipe Spiritum Sanctum: quorum remiseris peccata, etc. ». Forma autem constat verbis « Præfationis » quorum hæc sunt essentialia ideoque ad valorem requisita:

« Da, quæsumus, omnipotens Pater, in hunc famulum tuum Presbyterii dignitatem; innova in visceribus eius spiritum sanctitatis, ut acceptum a Te, Deus, secundi meriti munus obtineat censuramqne morum exemplo suae conversationis insinuet ».

Denique in Ordinatione seu Consecratione Episcopali materia est manuum impositio quae ab Episcopo consecratore fit. Forma autem constat verbis « Praefationis », quorum haec sunt essentialia ideoque ad valorem requisita :

« Comple in Sacerdote tuo ministerii tui summam, et ornamentis totius glorificationis instructum coelestis unguenti rore sanctifica».

Omnia autem hæc fiant sicut per Apostolicam Nostram Constitutionem « Episcopalis Consecrationis » diei trigesimi novembris anni MCMXLIV statutum est.

6. Ne vero dubitandi præbeatur occasio, præcipimus ut impositio manuum in quolibet Ordine conferendo caput Ordinandi physice tangendo fiat, quamvis etiam tactus moralis ad Sacramentum valide conficiendum sufficiat. Tandem quae supra de materia et forma declaravimus ac statuimus, nequaquam ita intelligere fas sit ut vel paulum negligere vel prætermittere liceat ceteros « Pontificalis Romani » ritus constitutos; quin immo iubemus ut omnia data præscripta ipsius « Pontificalis Romani » sancte serventur et perficiantur.

Huius Nostrae Constitutionis dispositiones vim retroactivam non habent; quod si dubium aliquod contingat, illud huic Apostolicæ Sedi erit subiiciendum.

Haec edicimus, declaramus et decernimus, quibuslibet non obstantibus, etiam speciali mentione dignis, proindeque volumus et iubemus Tit eadem in « Pontificali Romano » quadam ratione evidentia fiant.

Nulli igitur homini liceat hanc Constitutionem a Nobis latam infringere vel eidem temerario ausu contraire.

Datum Romæ , apud Sanctum Petrum, die trigesimo novembris, in festo S. Andreæ Apostoli, anno millesimo nongentesimo quadragesimo septimo, Pontificatus Nostri nono.

PIUS PP. XII


*A.A.S., vol. XL (1948), n. 1-2, pp. 5-7

Acta Apostolicæ Sedis, vol. XL, n°s 1-2 (28, 1.-27. 2. 48). pp. 5-7

1. La Fede cattolica professa che il Sacramento dell’Ordine istituito da Cristo, per mezzo del quale è conferito il potere e la grazia spirituale di svolgere le funzioni propriamente ecclesiastiche, è uno e lo stesso per la Chiesa universale; poiché, come Nostro Signore Gesù Cristo ha dato alla Chiesa, un solo e medesimo governo sotto il Principe degli Apostoli, una sola e stessa fede, un solo stesso Sacrificio, così anche Lui le diede solo uno e medesimo tesoro di efficacia con i segni di grazia, cioè i Sacramenti. Oltre a questi Sacramenti istituiti da Cristo Nostro Signore, la Chiesa nel corso dei secoli non ha mai costituito altri Sacramenti, né avrebbe potuto farlo, poiché, come insegna il Concilio di Trento (Conc. Tr., Sess. VII, can. De Sacram, in genere), i sette Sacramenti della nuova legge furono tutti istituiti da Gesù Cristo nostro Signore, e la Chiesa non ha potere sulla “sostanza dei Sacramenti”, cioè su quelle cose che, come è provato dalle fonti della rivelazione divina, Cristo, il Signore stesso ha stabilito fossero ritenute come segni sacramentali.

2. Ma, in ciò che concerne il Sacramento dell’Ordine, di cui qui si tratta, malgrado la sua unità  e la sua identità, che nessun Cattolico ha mai potuto mettere in dubbio, è accaduto nel corso degli anni, secondo la diversità dei tempi e dei luoghi, che si siano aggiunti diversi riti alla sua amministrazione. È questo che spiega certamente che a partire da un certo momento i teologi abbiano cominciato a ricercare quali tra questi riti dell’ordinazione appartengano all’essenza del Sacramento e quali non vi appartengano affatto. Questo stato di cose ha ancora occasionato, in casi particolari, dei dubbi e delle inquietudini; così, a più riprese si è domandato alla Santa Sede che l’Autorità suprema della Chiesa, voglia ben pronunciarsi su ciò che, nei confronti degli Ordini sacri, sia richiesto per la validità,

3. Si riconosce unanimemente che i Sacramenti della nuova Legge, segni sensibili e producenti la grazia invisibile, debbano significare la grazia che producono e produrre la grazia che significano. Ora, gli effetti che le ordinazioni diaconale, sacerdotale ed episcopale debbano produrre e pertanto significare, cioè il potere e la grazia, si trovano in tutti i riti in uso nella Chiesa Universale, nelle diverse epoche e nei differenti paesi, sufficientemente indicati con l’imposizione delle mani e le parole che la determinano. Inoltre, nessuno ignora che la Chiesa Romana ha sempre ritenuto valide le ordinazioni fatte nel rito greco senza la tradizione degli strumenti. Così il Concilio di Firenze, ove è stata conclusa l’unione dei Greci con la Chiesa Romana, [la Chiesa] non ha loro imposto di cambiare il rito di Ordinazione né inserirvi la tradizione degli strumenti. Ben più, la Chiesa ha voluto che anche a Roma i Greci fossero ordinati secondo il loro rito proprio. Da questo ne risulta che anche nel pensiero del Concilio di Firenze, la tradizione degli strumenti non sia richiesta al pari della volontà del Signore Nostro Gesù-Cristo per la sostanza e per la validità di questo Sacramento. Se nel tempo essa è stata necessaria, anche per la validità, al pari della volontà e del precetto della Chiesa, si sa che ciò che Essa ha stabilito, la Chiesa può anche cambiare ed abrogare.

4. Ecco perché, dopo avere invocato la luce divina, in virtù della nostra suprema Autorità apostolica ed in piena conoscenza della cosa, Noi dichiariamo e, per quanto ce ne sia bisogno, Noi decidiamo e dichiariamo ciò che segue: la materia e la sola materia degli Ordini sacri del Diaconato, del Sacerdozio e dell’Episcopato è l’imposizione delle mani; similmente, la sola forma sono le parola che determinano l’applicazione di questa materia, parole che significano in modo univoco gli effetti sacramentali, cioè il potere di ordine e la grazia dello Spirito Santo, parole che la Chiesa accetta ed impiega come tali. Ne consegue che Noi dobbiamo dichiarare, come Noi dichiariamo effettivamente, in virtù della nostra Autorità apostolica, per sopprimere ogni controversia e prevenire le angosce delle coscienze, e decidiamo, anche nel caso in cui nel passato l’autorità competente avesse preso una diversa decisione, che la tradizione degli strumenti, almeno in avvenire, non sia necessaria per la validità degli Ordini sacri del Diaconato, del Sacerdozio, dell’Episcopato.

5. In ciò che concerne la materia e la forma nei confronti di ugnuno di questi ordini, Noi decidiamo e decretiamo, in virtù della nostra Autorità apostolica, ciò che segue. Per l’ordinazione al diaconato, la materia è l’imposizione delle mani del Vescovo, la sola prevista nel rito di questa ordinazione. La forma è costituita dalle parole del Prefatio, di cui le seguenti sono essenziali e pertanto richieste per la validità: « Emitte in eum, quæsumus, Domine, Spiritum Sanctum, quo in opus ministerii tut fideliter exsequendi septiformis gratiæ tuæ munere roboretur

Nell’Ordinazione sacerdotale, la materia è la prima imposizione delle mani del Vescovo, quella che si fa in silenzio, e non la continuazione di questa stessa imposizione che si fa estendendo la mano destra, né l’ultima imposizione accompagnata da queste parole: « Accipe Spiritum Sanctum: quorum remiseris peccata, etc. » La forma è costituita dalle parole del Prefatio, delle quali le seguenti sono essenziali e pertanto necessarie per la validità; « Da, quæsumus, omnipotens Pater, in hunc famulum tuum Presbyterii dignitatem; innova in visceribus eius spiritum sanctitatis, ut acceptum a Te, Deus, secundi meriti munus obtineat censuramque morum exemplo suæ conversationis insinuet ». Infine per l’Ordinazione o consacrazione episcopale, la materia è l’imposizione delle mani fatta dal Vescovo consacratore. La forma è costituita dalle parole del Prefatio, delle quali le seguenti sono essenziali. La scrittura e l’antichità greca e latina non menzionano che l’imposizione delle mani e la preghiera. È soltanto verso la fine del Medio Evo e senza un atto ufficiale della Chiesa che la tradizione degli strumenti si è diffusa in Occidente ed è penetrata poco a poco nell’uso romano. È il decreto per gli Armeni, promulgato nel 1439 alla conclusione del Concilio di Firenze, che fissò come materia dei diversi ordini la tradizione degli strumenti. Ma d’altra parte, Roma continuava a considerare come valide le ordinazioni orientali fatte senza la tradizione degli strumenti. Nelle sua  Istruzione « Presbyterii græci » (31/08/1595), Clemente VIII esigeva che un Vescovo di rito greco fosse presente a Roma per conferire agli studenti della sua nazione, l’ordinazione secondo il rito Greco. Nela Bolla « Etsi pastoralis » (26/05)1742) per gli Italo-Greci, Benedetto XIV dichiara: « Episcopi græci in ordinibus conferendis ritum proprium græcum in Euchologio descriptum servent ». A più riprese, i Sovrani Pontefici si sono pronunciati nel medesimo senso. La complessità di questi fatti spiega la diversità delle opinioni che si sono fatte luce sull’essenza del Sacramento dell’Ordine e che è superfluo qui enumerare. Poco a poco l’opinione che, ispirandosi all’antichità cristiana e alla liturgia, non ammette che un solo rito essenziale, l’imposizione delle mani con l’invocazione dello Spirito Santo, aveva finito per allineare la grande maggioranza dei teologi. È evidente che dopo la presente Costituzione Apostolica, questa è l’unica tesi autorizzata. Resta da sapere quale fosse il valore del decreto per gli Armeni, menzionato più in alto. Secondo alcuni, il decreto sarebbe semplicemente una istruzione pratica di ordine disciplinare e pastorale. Secondo il cardinale Van Rossum, la cui opera « De essentia sacramenti Ordinis » (Fribourg-en-Brisgau 1914), è fondamentale in materia, il decreto sarebbe dottrinale, ma non definitivo, ex cathedra, infallibile. Egli ne vede la prova nel fatto che la Chiesa non sia mai intervenuta contro le opinioni diverse. (V. Dict. De Théol. cath., art. « ordine », soprattutto col. 1315 e segg.). « Diffondete su di lui, vi supplichiamo, Signore, lo Spirito Santo; che lo fortifichi con i sette doni delle vostra grazia perché compia con fedeltà il vostro ministero ». – « Date, ve ne supplichiamo, Padre onnipotente, al vostro servo qui presente la dignità del Sacerdozio; rinnovate nel suo cuore lo spirito di santità, affinché egli eserciti questa unzione del secondo ordine che Voi gli affidate e che l’esempio della sua vita corregga i costumi ». Per la validità è pertanto richiesta: « Comple in Sacerdote tuo ministerii tui summam, et ornamentis totius glorificationis instructum cœlestis unguenti rore sanctifica ». Tutti questi riti saranno compiuti conformemente alle prescrizioni della Nostra Costituzione apostolica « Episcopalis consecrationis » del 30 novembre 1946.

6. Onde prevenire eventuali dubbi, Noi ordiniamo che nei confronti di ogni Ordine, l’imposizione delle mani si faccia toccando fisicamente la testa dell’ordinando, benché sia sufficiente il contatto morale per conferire validamente il Sacramento. Infine, non è affatto permesso interpretare ciò che stiamo dichiarando e decretando sulla materia e la forma, in modo da credersi autorizzato, sia a trascurare, sia ad omettere le altre cerimonie previste nel Pontificale Romano; inoltre Noi ordiniamo che tutte le prescrizioni del Pontificale Romano siano religiosamente mantenute ed osservate. Le disposizione della presente Costituzione, non hanno effetto retroattivo; qualora si presenti un dubbio, lo si sottometterà alla Sede Apostolica. Ecco pertanto ciò che Noi ordiniamo, dichiariamo e decretiamo, nonostante qualsiasi disposizione contraria, anche degna di speciale menzione. Di conseguenza, Noi vogliamo ed ordiniamo che le disposizioni sopramenzionate siano incorporate, in un modo o nell’altro nel Pontificale Romano.

NESSUNO AVRÁ DUNQUE IL DIRITTO DI ALTERARE LA PRESENTE COSTITUZIONE DA NOI DATA NÉ DI OPPORVISI CON TEMERARIO ARDIMENTO.

Dato a San Pietro, il 30 novembre, festa di Sant’Andrea Apostolo nell’anno 1947, nono anno del Nostro pontificato.

PIO XII, PAPA.

DOMENICA VI DOPO PENTECOSTE (2019)

DOMENICA VI DOPO PENTECOSTE

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXVII: 8-9 Dóminus fortitudo plebis suæ, et protéctor salutárium Christi sui est: salvum fac pópulum tuum, Dómine, et benedic hereditáti tuæ, et rege eos usque in sæculum. [Il Signore è la forza del suo popolo, e presidio salutare per il suo Unto: salva, o Signore, il tuo popolo, e benedici i tuoi figli, e govérnali fino alla fine dei secoli.]

Ps XXVII: 1 Ad te, Dómine, clamábo, Deus meus, ne síleas a me: ne quando táceas a me, et assimilábor descendéntibus in lacum. [O Signore, Te invoco, o mio Dio: non startene muto con me, perché col tuo silenzio io non assomigli a coloro che discendono nella tomba.]

Dóminus fortitudo plebis suæ, et protéctor salutárium Christi sui est: salvum fac pópulum tuum, Dómine, et benedic hereditáti tuæ, et rege eos usque in sæculum. [Il Signore è la forza del suo popolo, e presidio salutare per il suo Unto: salva, o Signore, il tuo popolo, e benedici i tuoi figli, e govérnali fino alla fine dei secoli.]

Oratio

Orémus.

Deus virtútum, cujus est totum quod est óptimum: ínsere pectóribus nostris amórem tui nóminis, et præsta in nobis religiónis augméntum; ut, quæ sunt bona, nútrias, ac pietátis stúdio, quæ sunt nutríta, custódias. [O Dio onnipotente, cui appartiene tutto quanto è ottimo: infondi nei nostri cuori l’amore del tuo nome, e accresci in noi la virtú della religione; affinché quanto di buono è in noi Tu lo nutra e, con la pratica della pietà, conservi quanto hai nutrito.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános. Rom. VI: 3-11

“Fratres: Quicúmque baptizáti sumus in Christo Jesu, in morte ipsíus baptizáti sumus. Consepúlti enim sumus cum illo per baptísmum in mortem: ut, quómodo Christus surréxit a mórtuis per glóriam Patris, ita et nos in novitáte vitæ ambulémus. Si enim complantáti facti sumus similitúdini mortis ejus: simul et resurrectiónis érimus. Hoc sciéntes, quia vetus homo noster simul crucifíxus est: ut destruátur corpus peccáti, et ultra non serviámus peccáto. Qui enim mórtuus est, justificátus est a peccáto. Si autem mórtui sumus cum Christo: crédimus, quia simul étiam vivémus cum Christo: sciéntes, quod Christus resurgens ex mórtuis, jam non móritur, mors illi ultra non dominábitur. Quod enim mórtuus est peccáto, mórtuus est semel: quod autem vivit, vivit Deo. Ita et vos existimáte, vos mórtuos quidem esse peccáto, vivéntes autem Deo, in Christo Jesu, Dómino nostro”.

Omelia I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1929]

IL BATTESIMO

“Fratelli,  quanti siamo stati battezzati in Gesù Cristo, siamo stati battezzati nella morte di Lui. Per il battesimo siamo stati, dunque, sepolti con Lui nella morte; affinché a quel modo che Gesù Cristo risuscitò dalla morte, mediante la gloria del Padre, così, anche noi viviamo una nuova vita. Infatti, se siamo stati innestati a Lui per la somiglianza della sua morte, lo saremo anche per quella della resurrezione; ben sapendo che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso in Lui, affinché il corpo del peccato fosse distrutto, sicché non serviamo più al peccato. Ora, se siamo morti con Cristo crediamo che vivremo pure con Cristo; perché sappiamo che Cristo risuscitato da morte non muore più: la morte non ha più dominio su di Lui. La sua morte fu una morte al peccato una volta per sempre; e la sua vita la vive a Dio. Alla stessa guisa, anche voi consideratevi morti al peccato e viventi a Dio in Cristo Gesù Signor nostro.

(Rom. VI, 3-11).

Nell’Epistola di quest’oggi, che è tolta dalla lettera ai Romani, sono messe in relazione col Battesimo la morte, la sepoltura e la risurrezione di Gesù Cristo. Il Battesimo, mediante il quale l’uomo diventa membro del mistico corpo del Redentore, significa tanto la morte, la sepoltura e la risurrezione di Gesù Cristo, quanto la morte dell’uomo al peccato e la sua risurrezione alla vita della grazia. L’uomo, morto al peccato, non deve più farsene schiavo. Gesù Cristo dalla tomba, risorse alla vita nuova per la, gloria del Padre. Il Cristiano, dal fonte battesimale, risorge con Gesù Cristo a una vita nuova, tutta consacrata a Dio. Il cristiano deve pensare frequentemente al Battesimo, che ci ricorda:

1. Che siamo morti al peccato e liberati dalla schiavitù di satana,

2. Che siamo risorti alla vita della grazia,

3. Nella quale dobbiamo perseverare.

1.

Quanti siamo stati battezzati in Gesù Cristo, siamo stati battezzati nella morte di Lui. Queste parole alludonoalla maniera con cui veniva amministrato il Battesimo nei primi tempi della Chiesa. Il battezzando veniva immerso nell’acqua, e subito ne usciva. L’immersione nell’acqua rappresentava la morte e la sepoltura del Redentore;e vi era pure significata la morte mistica del neofito; la sepoltura del vecchio uomo con i suoi peccati. Infatti, nel Battesimo, per virtù dello Spirito Santo, vengono pienamente cancellati tutti i peccati. Cancellati i peccati, anche il dominio di satana cessa. L’anima che era schiava diventa libera; «Poiché il demonio non può dominare che per mezzo dei peccati» (S. Agostino. En. In Ps. LXXII, 5).Coloro che nel Battesimo sono liberati dal peccato «lasciano oppresso nell’acqua il demonio, antico dominatore» (Tertulliano. De Baptismo. 9. 2). – Dell’importanza di questa liberazione dal giogo di satana è tutta piena la liturgia del Battesimo. Subito, in principio della cerimonia, il sacerdote, dopo che ha ammonito il battezzando sull’osservanza dei comandamenti e sull’amor di Dio, si rivolge allo spirito delle tenebre, e gli intima: «Esci da lui, o spirito immondo, e cedi il luogo allo Spirito Santo Consolatore». Segnato con un duplice segno di croce, il battezzando si rivolge ancora allo spirito delle tenebre e gli fa sentire l’ingiunzione da parte di Dio. «Ti esorcizzo, spirito immondo, nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo, perché t’allontani da questo servo di Dio. Te lo comanda, dannato maledetto, colui che camminò sul mare, e porse la destra a Pietro che stava per sommergersi». Introdotto il battezzando in chiesa, dopo altre cerimonie, prima che venga battezzato, il sacerdote gli domanda: «Rinunci a satana… e a tutte le sue opere… e a tutte le sue pompe?». Dopo la triplice dichiarazione di rinuncia al demonio, alle sue opere, alle sue pompe si procede ad altri riti, e finalmente al Battesimo. – I primi Cristiani, innanzi di ricevere il Battesimo venivano a lungo istruiti sull’importanza di queste cerimonie. Così si fa ancora di regola generale, anche oggi nei paesi infedeli. Da noi, specialmente per assicurare la salvezza dell’anima contro le sorprese della morte, il Battesimo si amministra, in via ordinaria, ai bambini. Ma questa circostanza non ci sottrae all’obbligo di stare alle rinunce fatte per noi dai padrini. Ogni promessa è debito, sia essa fatta da noi, sia fatta da altri per noi. Neppure ci sottrae all’obbligo di istruirci sugli effetti del Battesimo. II Cristiano non ringrazierà mai abbastanza Dio, che nel Battesimo gli ha tolto la macchia del peccato che deturpava l’anima sua, che ha spezzato i vincoli che lo tenevano legato a satana, liberandolo dal suo dominio. Il Cristiano non farà mai troppo per restar fedele alle promesse e alle rinunce fatte nel Battesimo, se non vuol essere un Cristiano solamente di nome.

2.

Per il Battesimo siamo stati, dunque, sepolti con Lui nella morte; affinché a quel modo che Gesù Cristo risuscitò da morte, mediante la gloria del Padre, così, anche noi viviamo una nuova vita. Il Battesimo che ci unisce a Gesù nella morte e nella sepoltura, ci unisce pure con Lui nella risurrezione. Per la gloriosa potenza del Padre, Gesù Cristo è risuscitato da morte a vita immortale: e noi partecipiamo alla sua risurrezione, risorgendo dalle acque del Battesimo a una vita nuova. Se nel Battesimo non risorgiamo a una vita nuova, tutta diversa dalla vita passata a che ci gioverebbe esser stati sepolti in esso con Gesù Cristo?Il Battesimo trasforma l’uomo. Se ci fosse concesso di vedere un’anima qual era prima del Battesimo e qual è dopo, non la riconosceremmo più. Prima del Battesimo indossava la veste di Adamo, la veste del peccato. Dopo il Battesimo indossa la veste candida della grazia, la veste di Gesù Cristo, al quale il battezzato è stato incorporato. «Tutti voi che siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo», ricorda S. Paolo ai Galati (III, 27). Salomone, parlando della sapienza che egli aveva chiesto a Dio, dice: «E insieme con essa vennero a me tutti i beni, e per le mani di lei un’infinita ricchezza» (Sap. VII, 11). Lo stesso può ripetere ciascuno che ha ricevuto la veste della grazia nel Battesimo. L’uomo con il peccato aveva offeso Dio; e l’offesa fattagli non avrebbe mai potuto riparare. Aveva contratto un debito che nessuno, al mondo, avrebbe potuto estinguere. Con il Battesimo l’offesa è riparata, il debito è estinto. L’uomo da nemico di Dio diventa sua amico, anzi figlio adottivo. «Siete stati mondati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signor nostro Gesù Cristo, e mediante lo Spirito del nostro Dio» (I Cor. VI, 11), dichiara l’Apostolo ai Corinti. Esule dal Paradiso l’uomo non poteva aspirare a mettervi il piede, se fosse dipeso dalle sue forze. Era una condanna, che non si sarebbe potuta scontare col tempo, e che nessun uomo poteva togliere. Nel Battesimo la condanna è tolta. «Nessuna condanna, dunque, ora per coloro che sono incorporati in Cristo» (Rom. VIII, 1). Divenuto nel Battesimo membro della Chiesa, l’uomo può usare dei mezzi della grazia, che essa somministra per la santificazione dei suoi figli; e progredire, così, sempre più nella santità cui è chiamato. S. Gerolamo, parlando del Battesimo, dichiara: «Mi mancherebbe il tempo, se volessi esporre quanto si contiene nella Sacra Scrittura su l’efficacia del Battesimo». (Epist. 69 7, ad Ocean.) A noi basti considerare che, prima del Battesimo, l’uomo è tempio del demonio, e, dopo, è tempio di Dio; che nel Battesimo egli è generato a una vita nuova, la vita della grazia.

3.

Gesù Cristo aveva preso sopra di sé i peccati di tutti gli uomini, e morì come rappresentante dei peccatori. Morì, però, una volta per sempre. Ed espiati i peccati una volta per sempre, mediante la sua morte, non ha più che fare con il peccato. La vita che vive dopo la sua risurrezione, la vive a onore e gloria di Dio. Alla stessa guisa — dice S. Paolo — anche voi consideratevi morti al peccato e viventi a Dio in Cristo Gesù Signor nostro ». Cioè, ad esempio di Gesù Cristo, dobbiamo considerarci morti per sempre al peccato, e condurre a onore e gloria di Dio la vita, che Egli ci serba dopo il Battesimo. – Il popolo d’Israele s’era sottratto alla schiavitù dell’Egitto, attraverso il Mar Rosso. Da questo mare Israele esce salvo; ma i suoi nemici vi trovano la morte, sepolti nelle onde. Sentiamo una bella osservazione di S. Agostino. «Muoiono nel Mar Rosso tutti i nemici di quel popolo, muoiono nel Battesimo tutti i nostri peccati. Osservate fratelli: dopo quel Mar Rosso non vien data subito la patria, né il trionfo è completamente sicuro, come se non esistessero più nemici; poiché rimane ancora la solitudine del deserto; rimangono ancora i nemici che insidiano il cammino. Così, anche dopo il Battesimo, la vita cristiana è soggetta alla tentazione», (En. In Ps. LXXII, 5) Dal Battesimo il Cristiano è risorto a nuova vita con Gesù Cristo, ma la concupiscenza, ch’è rimasta anche dopo la morte al peccato, non gliela lascia godere con completa sicurezza. Di qui la necessità, per il Cristiano, di lottare continuamente contro la concupiscenza per non lasciarsi trascinare da essa, alla vita di peccato di prima. Sarebbe un inganno dormir tranquilli, perché nel Battesimo e più tardi nella Confessione, i nostri peccati furono seppelliti. Un giardiniere apparecchia con tutta cura l’aiuola. Con la vanga volta, sminuzza il terreno e lo monda dalle erbe inutili e nocive. Ma quanti germi vi son rimasti, sfuggiti al suo sguardo, o vi sono continuamente portati. Senza ulteriori, continue cure, quell’aiuola si ricoprirà ben presto dell’erbacce di prima. Senza continua vigilanza e premura, i peccati che furono sepolti nel Battesimo, e più tardi nella Penitenza, torneranno ben presto a dominare. Quando il missionario versa sul capo dei neofiti, da lui preparati, l’acqua del Battesimo, si sente l’animo ripieno di giubilo al pensiero che la Chiesa acquista un nuovo figlio, e il Cielo un nuovo erede. Ma questo giubilo è ben spesso turbato da un dubbio: Si manterrà costante nella fede? Continuerà nella buona via? Date le circostanze, i pericoli in cui vengono a trovarsi quei novelli convertiti, l’esperienza dimostra che questo dubbio non è fuor di posto. Questa domanda facciamocela schiettamente noi: Abbiam continuato nella buona via? Non siamo più ritornati al peccato al quale eravamo morti nel Battesimo? Domanda molto opportuna, anzi, necessaria, poiché «per il solo Battesimo non si consegue la vita eterna, se dopo averlo ricevuto si vive malamente » (S. Fulgenzio De Reg. verae Fidei. 44). Dopo il Battesimo abbiamo un altro Sacramento, nel quale vengono seppelliti i nostri peccati; ma anche questo Sacramento, come il Battesimo, va ricevuto con il fermo proposito di risorgere a vita nuova e di non ritornare più al peccato. C’è sempre questa disposizione nel continuo alternarsi di grazia e di peccato, di morte e di vita dell’anima? A confermare il nostro proposito di esser morti per sempre al peccato e di progredire nella vita della grazia, giova grandemente la considerazione della dignità, da noi conseguita nel Battesimo, e degli obblighi che ne derivano. Tanti usano notare su apposito memoriale le date più importanti della vita. I cristiani fervorosi non trascurano di porre, tra queste date, quello del Battesimo, della Cresima, della 1. Comunione. Un santo e zelante missionario, il gesuita P. Vittorio Delpech, per tenersele in mente più facilmente e in modo più vivo, le scrisse sopra un cranio, che volle aver sempre con sé. La data della nascita era scritta sulla fronte, accompagnata da questi due. versetti: «Ricorda il tuo Battesimo ed esulterai in eterno. — Ricorda i novissimi e non peccherai in eterno». Se vogliamo pervenire all’esultanza a cui il Battesimo ci dà diritto, ricordiamolo spesso, e non smentiamolo mai.

Graduale

Ps LXXXIX: 13; LXXXIX: 1 Convértere, Dómine, aliquántulum, et deprecáre super servos tuos. V. Dómine, refúgium factus es nobis, a generatióne et progénie. Allelúja, allelúja. [Vòlgiti un po’ a noi, o Signore, e plàcati con i tuoi servi. V. Signore, Tu sei il nostro rifugio, di generazione in generazione. Allelúia, allelúia]

Alleluja

Ps XXX: 2-3 In te, Dómine, sperávi, non confúndar in ætérnum: in justítia tua líbera me et éripe me: inclína ad me aurem tuam, accélera, ut erípias me. Allelúja. [Te, o Signore, ho sperato, ch’io non sia confuso in eterno: nella tua giustizia líberami e allontanami dal male: porgi a me il tuo orecchio, affrettati a liberarmi Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Marcum.

Marc. VIII: 1-9 In illo témpore: Cum turba multa esset cum Jesu, nec haberent, quod manducárent, convocatis discípulis, ait illis: Miséreor super turbam: quia ecce jam tríduo sústinent me, nec habent quod mandúcent: et si dimísero eos jejúnos in domum suam, defícient in via: quidam enim ex eis de longe venérunt. Et respondérunt ei discípuli sui: Unde illos quis póterit hic saturáre pánibus in solitúdine? Et interrogávit eos: Quot panes habétis? Qui dixérunt: Septem. Et præcépit turbæ discúmbere super terram. Et accípiens septem panes, grátias agens fregit, et dabat discípulis suis, ut appónerent, et apposuérunt turbæ. Et habébant piscículos paucos: et ipsos benedíxit, et jussit appóni. Et manducavérunt, et saturáti sunt, et sustulérunt quod superáverat de fragméntis, septem sportas. Erant autem qui manducáverant, quasi quatuor mília: et dimísit eos.

Omelia II

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE XXXIV

“Di quei giorni essendo di nuovo grande la folla con Gesù, né avendo quelli da mangiare, chiamati a sé i discepoli, disse loro: Mi fa compassione questo popolo, perché sono già tre giorni che si trattiene con me, e non ha da mangiare, e se li rimanderò alle case loro digiuni, verranno meno per istrada: imperocché taluni di essi son venuti di lontano. E i discepoli gli risposero: E come potrà alcuno qui in una solitudine satollarli di pane? Ed egli domandò loro: Quanti pani avete? Risposero: Sette. E ordinò alle turbe che sedessero per terra. E presi i sette pani, rese le grazie, li spezzò, e li diede a’ suoi discepoli, perché li ponessero davanti alle turbe, come li posero. E avevano ancora pochi pesciolini: e questi pur benedisse, e ordinò che fossero distribuiti. E mangiarono, e si satollarono; e raccolsero degli avanzi che rimasero, sette sporte”. (Marc. VIII, 1-8).

Nostro Signor Gesù Cristo per due volte nel tempo della sua vita pubblica operò il miracolo della moltiplicazione dei pani. La prima volta con cinque pani e con due pesci il Redentore diede nutrimento a cinquemila uomini, senza contare le donne ed i fanciulli, avanzando ancora dodici ceste di pane. La seconda volta Gesù moltiplicò sette pani e alcuni pochi pesciolini, dando cibo a quattromila uomini, anche qui senza tener conto delle donne e dei fanciulli, ed avanzando sette sporte. Il primo di questi miracoli, che è anche il più strepitoso, ci viene ricordato nel Vangelo della quarta domenica di quaresima; ed il secondo viene proposto alla nostra considerazione oggi.

1 . Racconta adunque il Vangelo di questa Domenica come essendo grande la folla che teneva dietro a Gesù, attirata dalle sue parole e da’ suoi prodigi, né avendo da mangiare, chiamati a sé i discepoli, disse loro: Mi fa compassione questo popolo, perché sono già tre giorni che si trattiene con me, e non ha da mangiare; e se li rimanderò alle case loro digiuni verran meno per istrada: imperocché taluni di essi sono venuti da lontano. E qui, o miei cari, come non restare ammirati di queste turbe devote, le quali, abbandonate le loro case, i loro lavori e le loro industrie, a cielo aperto, a stomaco digiuno, se ne stavano da tre giorni e tre notti presso di Gesù per godere della sua compagnia e ascoltare la sua predicazione! Quale contrasto tra queste turbe così sollecite di apprendere e di fare ciò che gioverà alla loro eterna salute, e tanti Cristiani, i quali alle cose di Dio e dell’anima pensano così poco! Eppure esige forse il Signore che per attendere alle cose di Dio e dell’anima lasciamo ancor noi le nostre faccende e per più giorni di seguito? No, o miei cari. È bensì vero che tutti i giorni sono del Signore, e che tutti li dobbiamo dedicare alla sua gloria; ma siccome i bisogni della vita c’impediscono di sempre attendere agli esercizi di religione, Iddio riservavasi in modo speciale un giorno solo della settimana, ordinando però che fosse da noi occupato nel conoscerlo, nell’adorarlo e nel servirlo. E questo comandamento lo fece fin dal principio del mondo, perciocché il Signore, creato l’universo, santificò subito un tal giorno, onde gli uomini celebrassero la memoria della creazione e del misterioso riposo, ch’Egli prese dopo aver compiuta l’opera sua. Questo giorno nella Legge antica era il settimo, e si chiamava Sabbato, parola che significa riposo: ma nella Legge nuova è il primo giorno della settimana, che si chiama Domenica, ossia giorno del Signore, sostituito al Sabbato dagli Apostoli, per divina ispirazione, in memoria della Risurrezione di Gesù Cristo, e delia discesa dello Spirito Santo. Il Signore dice adunque: « Lavorate per sei giorni, ma il settimo è il riposo del vostro Iddio, e in esso non lavorate, né voi. né il figlio vostro, né il vostro servo. Con tutto ciò andando con noi con la massima larghezza, ci permette i lavori voluti dalla necessità e dalla carità, come anche le opere dette liberali, quali sono leggere, scrivere, disegnare, e simili, vietando solo le opere servili, cioè ogni lavoro che può distogliere dall’attendere al divino servizio. Poteva adunque il Signore essere meno esigente con noi! Epperò questa poca esigenza di Dio a nostro riguardo non accresce anche di più la gravezza della nostra colpa nel non obbedirlo? Che gran male adunque è quello di occuparsi in tal giorno in opere mercenarie, senza grave necessità imposta o dal divino servizio, o dal servizio pubblico, o dalla mancanza del necessario alla vita! Che male anche peggiore l’abbandonarsi nel giorno di festa a profani dissipamenti, a divertimenti mondani, ad atti peccaminosi! Questi sono vietati sempre, ma non debbono esserlo anche maggiormente nei giorni sacri al Signore? Certamente il peccato è sempre un gran male, anche commesso nei dì feriali; ma in giorno di festa apparisce come una maggiore enormità, essendo che indica una dimenticanza più grande del Signore, ed un disprezzo più marcato della sua santa legge. Ma a non offendere Iddio e a soddisfarlo invece nei giorni festivi non basta astenerci dalle opere servili e peccaminose, bisogna anche occupare la festa nel suo santo servizio, applicandoci ad opere di pietà e di religione. In ciò consiste l’essenza ed il fine del precetto. Se Dio comanda d’interrompere i lavori ordinari, si è affinché niente ci distolga dall’attendere al divino suo servizio. Potrebbe essere onorato Iddio con un riposo di ozio? Si santificherebbe forse questo giorno, passandolo unicamente nel divertirsi? No, certo: ciò che santifica il giorno consacrato a Dio è l’assistenza alla Messa, ai divini uffici, alle istruzioni religiose, ad ogni buona opera, che ha per oggetto il culto di Dio, la santificazione dell’anima nostra o il bene del prossimo. Iddio però non vieta un sollievo onesto o moderato: no, esso ci è necessario, e possiamo prenderlo; non mai tuttavia a danno della pietà e in tempo destinato all’orazione, alle funzioni ecclesiastiche e all’istruzione religiosa. – Nella legge di Mosè vi era la pena di morte contro i profanatori del Sabbato; dappoiché Iddio non solo comandò che fosse lapidato chi trovarono in tal giorno a raccogliere sarmenti nel deserto, ma disse ancora a Mosè: « Parla ai figliuoli d’Israele e di’ loro: Osservate il Sabato, perché per voi è santo: chi lo violerà, sarà punito con la morte ». Se ora Iddio sembra mostrarsi più clemente, non dobbiamo però abusarcene. E poiché Iddio, così buono e così largo con noi si accontenta, che al suo divino servigio e alle cose dell’anima impieghiamo in modo speciale un giorno solo della settimana, ossequenti al suo comando, impieghiamolo con impegno.

2. Gesù, pieno di compassione per quel popolo, che gli dava prova di tanto amore, rivolse a lui il suo pensiero, non potendo patire che se ne tornasse a casa digiuno, e temendo che alcuno ne avesse a soffrire. Ma alle parole di Gesù i discepoli, che sembravano aver già dimenticato il miracolo della prima moltiplicazione dei pani, risposero: E come potrà alcuno qui in una solitudine satollarlo di pane? E il Signore domandò loro: Quanti pani avete? Risposero: Sette. E fatta (ancor questa volta) sedere a terra quella moltitudine, benedice, spezza, moltiplica, fa distribuire quei sette pani avuti ed alcuni pesciolini che pur si trovarono, ed (anche questa volta) quelle turbe mangiarono, e furono satollate, anzi, raccolto ciò che era rimasto, si empirono ancora sette sporte. Che strepitoso miracolo è questo! Eppure un miracolo assai più grande è quello a cui si assiste e di cui si gode qui nelle nostre chiese specialmente alla Domenica dai buoni Cristiani, che vengono ad assistere al santo Sacrifizio della Messa. Ed in vero, si può dire che sia piccola meraviglia ciò che nel Sacrifizio della santa Messa operano poche parole, non già profferite da Dio, ma da un semplice sacerdote! E chi mai poteva immaginarsi che la voce di un uomo, la quale non ha forza dalla natura neppure di alzare una paglia da terra, dovesse poi avere dalla grazia una forza così straordinaria da far scendere dal cielo in terra il Figlio di Dio? Questo pertanto è un prodigio analogo a quello della moltiplicazione dei pani, ma di gran lunga superiore, giacché per esso avviene in certa guisa la moltiplicazione del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo. E ciò con quale immenso vantaggio, non solo specialissimo per coloro che vi assistono, ma ancor generale per tutto il mondo. Se al mondo non vi fosse il sole, che sarebbe mai di esso? Ogni cosa sarebbe tenebre, orrore, sterilità e somma miseria. Ma se al mondo non vi fosse la S. Messa, noi saremmo privi di ogni bene, e ricolmi di ogni male; saremmo il bersaglio di tutti i fulmini dell’ira di Dio. – Alcuni si meravigliano, parendo loro che Iddio abbia cambiato il modo di governare, essendo che anticamente si faceva chiamare il Dio degli eserciti, e parlava ai popoli framezzo alle nuvole, e con i fulmini alla mano, e castigava le colpe con tutto il rigor della sua giustizia, mentre ora tollera con pazienza non solo le vanità e le leggerezze; ma i peccati più sordidi, gli scandali più iniqui, e le bestemmie più orrende, che molti de’ Cristiani vomitano ad ogni tratto contro il suo santissimo nome. Come va dunque! Perché sì gran diversità di governo? Forse le nostre ingratitudini sono più scusabili, che non erano prima? Tutto all’opposto. Sono assai più colpevoli, stante l’aggiunta di benefici sì immensi. La ragione vera di sì stupenda clemenza è la S. Messa, in cui si offre all’eterno Padre questa gran vittima di Gesù. Ecco il sole di Santa Chiesa, che dissipa le nuvole, e rasserena il cielo. Ecco l’arco celeste, che placa la tempesta della divina giustizia. Io per me credo, dice S. Leonardo da Porto Maurizio, che se non fosse la Santa Messa, a quest’ora il mondo sarebbe già sprofondato, per non poter più reggere al grande peso di tante iniquità; la Messa è quel poderoso sostegno, che lo tiene in piedi. Arguite adunque da tutto questo, quanto vantaggioso per il mondo intero sia il divin Sacrifizio dei nostri altari. Ora, o miei cari, non rattrista il vedere taluni a farne poco e nessun conto! Alcuni giungono a tal segno d’infedeltà verso la bontà di Dio, che ommettono di assistere all’augusto sacrifizio della santa Messa nei medesimi giorni festivi. Altri la vanno ad ascoltare di rado, o vi stanne di mala voglia: altri l’ascoltano distratti, senza modestia, senza venerazione, senza rispetto, rimanendo seduti o in piedi, talvolta ridendo, talvolta parlando o guardando qua e là. Deh! Non sia così di noi. Quando andiamo ad ascoltare la santa Messa, procuriamo di assistervi col massimo raccoglimento. Il nostro spirito, il nostro cuore, i sentimenti nostri non siano ad altro intenti che ad onorare Iddio. Oh! una Messa ben ascoltata quali grazie e benedizioni ci può apportare! La grazia che ricevettero le turbe nel deserto coll’essere state satollate di cibo materiale non è che un’ombra di quella grazia spirituale ed abbondante, con cui Iddio riempie l’anima nostra durante il sacrifizio della Messa. Epperò aveva ancor ben ragione lo stesso S. Leonardo di predicare così: ” Lasciate che io salga sulle cime dei più alti monti, e quivi a gran voce esclami: Popoli ingannati, che fate voi? Perché non correte alla chiesa ad ascoltare santamente quante Messe potete?” Ma se Iddio vuole dispensare con tanta abbondanza le sue grazie specialmente nei giorni a lui sacri e durante il Sacrifizio della Messa, non lascia tuttavia di dispensarle negli altri tempi, massime a coloro che vanno a visitarlo, a passare qualche istante con Lui, che si trova nel SS. Sacramento. Sì, o miei cari, nostro Signor Gesù Cristo trovasi realmente presente nei nostri tabernacoli, e vi sta notte e giorno per spargere sopra di noi una pioggia non mai interrotta di benedizioni celesti. Ma Egli desidera ardentemente, che noi imitiamo le turbe del deserto, che ci avviciniamo a Lui, che ci rechiamo a fargli visita, che ci intratteniamo qualche volta presso i suoi altari. Un giorno dandosi a vedere a San Giovanni Berchmans e mostrandogli una corona di rose, “ecco – gli disse – le mie grazie: ma io le comparto a coloro, che vengono dinnanzi ai miei altari per domandarmele”. Ecco pertanto le parole che rivolge a noi dal santo tabernacolo: “Venite, o voi che siete travagliati dalle sventure, dalle traversie, dalle infermità della vita, ed Io vi ristorerò; venite, voi già vicini al tramonto della vita, ed Io vi sosterrò nei vostri stanchi anni. Venite voi massimamente, o giovani, che nell’aprile della vita siete dal mondo, dal demonio, dalla carne sollecitati a correre perdutamente a cogliere i fiori di ogni vietato piacere, a porre il labbro incauto al calice di Babilonia, sì, venite a me, e Io sarò il fiore soavissimo dell’anima vostra, e Io vi darò a gustare le dolcezze inebrianti del mio purissimo amore, e vi farò cittadini onorati della terrena e della celeste Sion. Sì, perché Io conosco i vostri bisogni, ed ho compassione di voi: misereor super turbam!” E noi non asseconderemo questo tenero invito? Ah! I Santi trovavano le loro delizie in visitare sì spesso Gesù, e nello sfogarsi con Lui in dolci affetti! S. Vincenzo de’ Paoli lo visitava più spesso che gli era possibile, e il principale sollievo che prendeva tra le gravi sue occupazioni, era quello di passare un po’ di tempo dinnanzi al sacro Tabernacolo. S. Luigi Gonzaga era tutto in festa quanto poteva fare compagnia al suo caro Gesù, e non sapeva partirsene che con pena. S. Francesco Saverio, in mezzo alle immense sue fatiche, trovava un grandissimo ristoro nel passare gran parte della notte avanti a Gesù Sacramentato. Lo stesso soleva fare San Francesco Regis, il quale, trovando chiusa talvolta la chiesa, si tratteneva di fuori genuflesso avanti alla porta, esposto all’acqua e al freddo per far corteggio, almeno così da lontano, al suo Sacramentato Signore. Oh, che vastissimo campo allo sfogo della divozione presenta mai un altare dove abita Gesù Sacramentato! Prendiamo adunque, o miei cari, la bella pratica di fare ogni giorno una visita a Gesù Sacramentato. Non occorre che ci fermiamo molto tempo in chiesa: basteranno pochi minuti, purché questi siano da noi ben impiegati nel fare qualche atto di adorazione e di amore, nel domandare umilmente qualche grazia. Come ne sarà contento Gesù e quanto ne avvantaggerà l’anima nostra!

3. Finalmente dobbiamo considerare che non è solamente nel SS. Sacramento dell’Eucarestia che noi possiamo essere rifocillati della grazia di Dio, ma in tutti quanti i sette Sacramenti. I quali appunto, come osserva il Venerabile Beda, sono raffigurati nel miracolo di oggi, prima nei sette pani, che Gesù moltiplicò e poi, come nota San Giovanni Grisostomo anche nelle sette sporte che avanzano. Imperciocché i sette Sacramenti di nostra Santa Chiesa sono sempre superstiti, sempre duraturi sino alla consumazione dei secoli, benché continuamente ne siano nutriti i fedeli Cristiani. Quanto grande adunque è la bontà di Gesù Cristo, il quale con l’istituzione dei sette Sacramenti, che dureranno sine alla fine del mondo, va perpetuando nella sua chiesa il gran miracolo della moltiplicazione incessante della sua grazia per cibarne e riempierne le anime dei Cristiani, secondo i bisogni diversi della loro vita. Difatti per mezzo del Battesimo noi nasciamo spiritualmente in Gesù Cristo, siamo accolti nel seno di santa Madre Chiesa, cessiamo di essere schiavi del demonio, diventiamo figliuoli di Dio e perciò eredi del paradiso. Nella Cresima, ovvero Confermazione, noi siamo rafforzati e rinvigoriti ricevendo la pienezza dei doni dello Spirito Santo, e diventando perfetti Cristiani. Nell’Eucarestia Gesù Cristo ci dà in nutrimento e ristoro il suo sangue, la sua anima e la sua divinità sotto le specie del pane e del vino consacrati. Nella penitenza siamo guariti dalle infermità del peccato contratte dopo il Battesimo. Nella Estrema Unzione, ovvero Olio Santo, Dio viene in soccorso degl’infermi, e per mezzo della sacra unzione ci comunica le grazie necessarie per cancellare dall’anima nostra i peccati con le loro reliquie, per darci forza a sopportare pazientemente il male, fare una buona morte, qualora Iddio abbia decretato di chiamarci all’eternità, ed anche per dare la sanità corporale, se è utile alla salute dell’anima. Nel Sacramento dell’Ordine ovvero nella sacra Ordinazione, Dio comunica ai sacri Ministri le grazie convenienti per acquistare quell’alto grado di santità, che loro è necessario, ed anche per poter guidare ed istruire i fedeli nella fede, nella fuga del vizio, e nella pratica delle virtù. Finalmente il Matrimonio è quel Sacramento, che dà la grazia ai coniugati di vivere tra loro in pace e carità, ed allevare cristianamente la propria figliolanza, qualora Iddio nell’infinita sua sapienza giudichi di concederne. Vedete adunque, o cari giovani e cari Cristiani, con quale bontà, con quale sapienza, con quale armonia Gesù Cristo ha stabilite nei suoi Sacramenti quelle grazie, che ci sono necessarie nelle diverse condizioni della vita. Poteva Egli essere più generoso con noi? Oh sì, riconosciamo e confessiamo che in confronto di tutto questo è ben poca cosa il miracolo della moltiplicazione dei pani a prò di quelle turbe del deserto. Ma intanto fermiamoci alcuni istanti a considerare come abbiamo corrisposto a questi grandi segni dall’amor Divino; che se ci accorgessimo, che la nostra coscienza ci rimorda di qualche ingratitudine, procuriamo di porvi rimedio al più presto possibile, specialmente col prepararci a fare una buona Confessione e una buona Comunione. E intanto non dimentichiamo, che se noi non ci diamo sollecitudine di approfittare di questi grandi mezzi di salvezza secondo lo stato in cui ci troviamo, noi non potremo partecipare al gran benefizio della Redenzione, e perciò non potremo salvare l’anima nostra.

Credo …

Offertorium

Orémus

Ps XVI: 5; XVI: 6-7 Pérfice gressus meos in sémitis tuis, ut non moveántur vestígia mea: inclína aurem tuam, et exáudi verba mea: mirífica misericórdias tuas, qui salvos facis sperántes in te, Dómine. [Rendi fermi i miei passi sui tuoi sentieri, affinché i miei piedi non vacillino: porgi l’orecchio ed esaudisci la mia preghiera: fa rispleyndere le tue misericordie, o Signore, Tu che salvi quelli che sperano in Te.]

Secreta

Propitiáre, Dómine, supplicatiónibus nostris, et has pópuli tui oblatiónes benígnus assúme: et, ut nullíus sit írritum votum, nullíus vácua postulátio, præsta; ut, quod fidéliter pétimus, efficáciter consequámur. []

Communio

Ps XXVI: 6 Circuíbo et immolábo in tabernáculo ejus hóstiam jubilatiónis: cantábo et psalmum dicam Dómino. [Circonderò, e immolerò sul suo tabernacolo un sacrificio di giubilo: canterò e inneggerò al Signore].

Postcommunio

Orémus.

Repléti sumus, Dómine, munéribus tuis: tríbue, quæsumus; ut eórum et mundémur efféctu et muniámur auxílio. [Colmàti, o Signore, dei tuoi doni, concédici, Te ne preghiamo, che siamo mondati per opera loro e siamo difesi per il loro aiuto.]

Per l’ordinario vedi:

ORDINARIO DELLA MESSA – ExsurgatDeus.org

LO SCUDO DELLA FEDE (69)

LO SCUDO DELLA FEDE (69)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]

PARTE SECONDA.

FRODI PER CUI S’INTRODUCE IL PROTESTANTISMO

CAPITOLO IV

QUARTA FRODE. FARE Ogni PRIVATO GIUDICE DELLA FEDE.

Un’altra astuzia adoperano eziandio questi iniqui per rubarvi il tesoro della S. Fede. Come fa il lupo che vuol ghermire la pecorella? procura di coglierla, quando i pastori sono lontani ed i cani dormono. Come fa l’insidiatore che vuol sedurre una donna od ingannare un giovane? procura di assalire quella, mentre il marito è lontano, e trappolare questo, mentre il padre è assente. – Così fanno questi maestri Protestanti. V’insinuano i loro errori, quando i vostri Sacerdoti, i vostri Parrochi non li odono: anzi vi proibiscono di far loro sapere nulla di quel che vi dicono, di mostrare loro i libri che vi regalano, di manifestare gl’insegnamenti che vi danno. E tutti i loro errori li spargono nel segreto, nei conventicoli. O perché così? Se fosse la verità quello che v’insegnano non temerebbero tanto la luce. Solamente chi fa il male odia la luce (Joan. III, 20), dice nostro Signor Gesù Cristo. Se essi tanto la odiano che segno è? – Poi come vi fanno questo insegnamento? Proprio alla maniera di chi vuole ingannare. Si accorgono che vi occupati del lavoro della campagna o di qualche arte per guadagnarvi il pane, non avete potuto fare studi sopra la religione e però non potete sapere quale sia la vera Santa Scrittura, né come si debba intendere per non errare. Ebbene essi vi mettono in mano per l’appunto la Santa Scrittura e questa falsificata in più modi, sia perché ve ne danno una traduzione in cui hanno inserito parole e sensi fallaci, sia perché ne hanno levati dei tratti e dei libri interi. Quando vi hanno posto questo libro in mano v’invitano a leggere qua e là. Vedete queste parole, vedete quest’altre, e voi che non avete fatto studio di quel Santo libro, non sapete rispondere, rimanete confuso: allora essi vi spiegano quelle parole a loro modo, v’insinuano degli errori gravissimi, e vi fanno credere che quei loro errori hanno fondamento nella Santa Scrittura e voi rimanete miseramente ingannato. Quegli però a cui accadesse sì gran disgrazia, non dovrebbe accagionarne altri che se stesso: perocché e non ci ha avvertito Gesù, che non dessimo retta ad altri che alla Chiesa e che non ci fidassimo del nostro giudizio? Qual meraviglia però che quelli che invece di riposare sicuri sugl’insegnamenti dei sacri pastori, vogliono vedere coi propri occhi, toccare con le proprie mani, giudicare col proprio giudizio, mentre non ne hanno la capacità, restino alfine vittime della loro superbia? La fede è un albero fortunato, che non mette bene nei cuori superbi: laddove nei cuori umili getta profonde radici e cresce e prospera e fruttifica mirabilmente. Guai, guai ai superbi, dice Gesù tante volte, perché Iddio, resisterà loro, e negherà ad essi la sua grazia! – Quando adunque essi cominceranno a regalarvi quelle Bibbie corrotte, quei Vangeli falsificati, dite loro francamente che non volete neppure toccarli, perché non volete contaminarvi. Quando vi contano tutte quelle buone ragioni, dite loro che voi non vi vergognate di non esser capaci d’intenderle, perché non avete potuto fare studi in quelle materie, che vadano dai vostri maestri, dai vostri Sacerdoti, che convertano prima quelli, e che poi penseranno a voi. E questo, diciamolo così di passaggio, è quello appunto che fa la S. Chiesa Cattolica. – Questa buona Madre, che non teme la luce, quando si adopera per spargere la Santa Fede, non si rivolge di preferenza alle persone ignoranti, ma in piena luce si rivolge ai Protestanti più dotti, a quelli che hanno studiato di più; a quelli appunto propone le sue sante dottrine, e questi spesse volte, perché più capaci d’intenderle, sono i primi che abbracciano la Santa Fede Cattolica. – In questi giorni appunto in cui essi tentano di sedurre voi inesperti di questa materia, i più gran savi tra di loro abbandonano il protestantismo e si fanno Cattolici. E se vi negassero ciò perché hanno una faccia molto proterva per negare la verità conosciuta, voi domandate se sia vero che i principali professori protestanti dell’Università di Oxford in Inghilterra si sono fatti Cattolici o no: se ve lo negheranno, dite loro che mentono alla presenza di tutta l’Europa, che li conosce e ne li loda fino al cielo: se ve lo concedono, dite loro, che essi che sanno tanto, vadano a convertire quelli, e che voi non volete abbracciare una Religione la quale è lasciata in abbandono dai più sapienti, tra quelli che avevano tutto l’interesse a non lasciarla, perché erano nati in essa, se già non fosse che l’hanno trovata apertamente falsa.

SALMI BIBLICI “CONFITEBOR TIBI DOMINE” (IX)

SALMO 9:  “Confitebor tibi Domine”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR

13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

TOME PREMIER.

SALMO IX.

In finem, pro occultis filii. Psalmus David.

[1] Confitebor tibi, Domine,

in toto corde meo; narrabo omnia mirabilia tua.

[2] Laetabor et exsultabo in te; psallam nomini tuo, Altissime.

[3] In convertendo inimicum meum retrorsum; infirmabuntur, et peribunt a facie tua.

[4] Quoniam fecisti judicium meum et causam meam; sedisti super thronum, qui judicas justitiam.

[5] Increpasti gentes, et periit impius: nomen eorum delesti in aeternum, et in saeculum saeculi.

[6] Inimici defecerunt frameæ in finem, et civitates eorum destruxisti. Periit memoria eorum cum sonitu;

[7] et Dominus in æternum permanet. Paravit in judicio thronum suum;

[8] et ipse judicabit orbem terræ in aequitate, judicabit populos in justitia.

[9] Et factus est Dominus refugium pauperi; adjutor in opportunitatibus, in tribulatione.

[10] Et sperent in te qui noverunt nomen tuum, quoniam non dereliquisti quærentes te, Domine.

[11] Psallite Domino qui habitat in Sion; annuntiate inter gentes studia ejus,

[12] quoniam requirens sanguinem eorum recordatus est; non est oblitus clamorem pauperum.

[13] Miserere mei, Domine: vide humilitatem meam de inimicis meis,

[14] qui exaltas me de portis mortis, ut annuntiem omnes laudationes tuas in portis filiae Sion.

[15] Exultabo in salutari tuo. Infixæ sunt gentes in interitu quem fecerunt; in laqueo isto quem absconderunt comprehensus est pes eorum.

[16] Cognoscetur Dominus judicia faciens; in operibus manuum suarum comprehensus est peccator.

[17] Convertantur peccatores in infernum, omnes gentes quæ obliviscuntur Deum.

[18] Quoniam non in finem oblivio erit pauperis; patientia pauperum non peribit in finem.

[19] Exsurge, Domine; non confortetur homo: judicentur gentes in conspectu tuo.

[20] Constitue, Domine, legislatorem super eos, ut sciant gentes quoniam homines sunt.

[21] Ut quid, Domine, recessisti longe, despicis in opportunitatibus, in tribulatione?

[22] Dum superbit impius, incenditur pauper: comprehenduntur in consiliis quibus cogitant.

[23] Quoniam laudatur peccator in desideriis animæ suæ, et iniquus benedicitur.

[24] Exacerbavit Dominum peccator, secundum multitudinem iræ suæ, non quæret.

[25] Non est Deus in conspectu ejus, inquinatae sunt viae illius in omni tempore. Auferuntur judicia tua a facie ejus; omnium inimicorum suorum dominabitur.

[26] Dixit enim in corde suo: Non movebor a generatione in generationem, sine malo.

[27] Cujus maledictione os plenum est, et amaritudine, et dolo; sub lingua ejus labor et dolor.

[28] Sedet in insidiis cum divitibus in occultis, ut interficiat innocentem.

[29] Oculi ejus in pauperem respiciunt; insidiatur in abscondito, quasi leo in spelunca sua. Insidiatur ut rapiat pauperem; rapere pauperem dum attrahit eum.

[30] In laqueo suo humiliabit eum; inclinabit se, et cadet cum dominatus fuerit pauperum.

[31] Dixit enim in corde suo: Oblitus est Deus; avertit faciem suam, ne videat in finem.

[32] Exsurge, Domine Deus, exaltetur manus tua; ne obliviscaris pauperum.

[33] Propter quid irritavit impius Deum? dixit enim in corde suo: Non requiret.

[34] Vides, quoniam tu laborem et dolorem consideras, ut tradas eos in manus tuas. Tibi derelictus est pauper; orphano tu eris adjutor.

[35] Contere brachium peccatoris et maligni; quæretur peccatum illius, et non invenietur.

[36] Dominus regnabit in æternum, et in sæculum saeculi; peribitis, gentes, de terra illius.

[37] Desiderium pauperum exaudivit Dominus; præparationem cordis eorum audivit auris tua,

[38] judicare pupillo et humili, ut non apponat ultra magnificare se homo super terram.

[Vecchio Testamento secondo la Volgata

Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO IX

Càntico trionfale a Dio per la liberazione dai nemici, e nel senso più inteso dallo Spirito Santo, per la liberazione dal demonio e dalla idolatria, operata da Cristo con la sua morte. Per ciò il titolo del

Salmo: Per gli arcani del Figlio; e nell’ Ebreo:

Per la morte del Figlio.Per la fine: pegli occulti (misteri) del Figlio.

1. Te, io loderò, o Signore, con tutto il mio cuore: racconterò tutte le tue meravigli!

2. in te mi rallegrerò e tripudierò, canterò inni al tuo nome, o Altissimo.

3. Perché tu hai messo in fuga il mio nemico: e diverranno impotenti, e dal tuo cospetto saran dissipati.

4. Perocché tu hai presa in mano la mia causa e la mia difesa: ti se’ assiso sul trono, tu che giudichi con giustizia.

5. Tu hai sgridate le nazioni, e l’empio è ito in rovina: hai cancellato il nome loro in eterno e per tutti i secoli.

6. Sono senza forza per sempre le spade dell’inimico; tu hai distrutte le loro cittadi.

7. Svanì col suono la loro memoria; ma il Signore sussiste in eterno.

8. Egli ha preparato il suo trono per far giudizio; ed egli stesso giudicherà il mondo con equità, giudicherà i popoli con giustizia.

9. E il Signore è stato rifugio al povero, aiutatore al tempo opportuno, nella tribolazione.

10. E sperino in te quei checonoscono il nome tuo, perchè tu, o Signore, non hai abbandonato coloro che ti cercano.

11. Cantate inni al Signore, che abita in Sion; annunziate i consigli di lui tra le nazioni;

12. Imperocché colui che fa vendetta del sangue, si è ricordato di essi: non ha posto in dimenticanza le grida del povero.

13. Abbi misericordia di me, o Signore: mira l’umiliazione mia per opera de’ miei nemici.

14. Tu che mi rialzi dalle porte di morte, affinché annunzi io tutte le lodi tue alle porte della figliuola di Sion.

15. Esulterò per la salute che viene da te; si son sommerse le genti nella fossa, che aveano fatta. In quel laccio stesso, che tenevan nascoso è stato preso il loro piede.

16. Sarà conosciuto il Signore, che fa giustizia: nelle opere delle mani sue è stato preso il peccatore.

17. Sian gettati nell’inferno i peccatori, le genti tutte che di Dio si dimenticano.

18. Imperocché non per sempre sarà dimenticato il povero; la pazienza del povero non sarà vana per sempre.

19. Levati su, o Signore, non cresca l’uomo in possanza, sien giudicate le genti dinanzi a te.

20. Poni sopra di loro, o Signore, un legislatore, affinché conoscan le genti ch’elle sonouomini.

21. E perché, o Signore, ti se’ ritirato in lontananza, ci hai negletti nel maggior uopo, nella tribolazione?

22. Mentre l’empio insolentisce, il povero è nella fornace: sono presi nei consigli che hanno ideati.

23. Imperocché lode riscuote il peccatore  nei desideri dell’anima sua, el’iniquo benedizione.

24. Il peccatore ha esacerbato il Signore;  secondo la molta sua arroganza egli noi cercherà.

25. Dinanzi a lui Dio non è: le di lui vie sono sempre contaminate. I tuoi giudizi son lungi dalla vista; ei trionferà di tutti i suoi avversari.

26. Imperocché egli ha detto in cuor suo: Io non sarò scosso, d’una in altra età (sarò) senza infortunio.

27. La bocca di lui è piena di maledizione e di amarezza e di fraude; sotto la lingua di lui, affanno e dolore.

28. Sta in agguato co’ facoltosi, all’oscuro per uccidere l’innocente.

29. Ei tiene gli occhi rivolti contro del povero: sta in agguato, come un leone nella sua tana. Sta in agguato per porre le unghie sopra del povero; per porre le unghie sopra del povero, attraendolo a sé.

30. Nei suoi lacci lo abbatterà; si inchinerà egli, e si getterà a terra, quando si farà padrone de’ poveri.

31. Imperocché egli ha detto in cuor suo: Dio non tiene ricordanza, ha rivolto altrove la faccia per non vedere giammai.

32. Levati su, Signore Dio, si alzi la mano tua; non ti scordare de’ poveri.

33. Per qual motivo ha l’empio irritato Dio? Perché ha detto in cuor suo: Ei non faranno ricerca:

34. Tu vedi; tu l’affanno e il dolore consideri, per abbandonar coloro nelle tue mani. Alla tua cura è rimesso il povero; aiuto dell’orfano sarai tu.

35. Spezza il braccio del peccatore e del maligno: si farà ricerca del peccato di lui, e non troverassi.

36. Il Signore regnerà in eterno e per tutti i secoli; nazioni, voi sarete sterminate dalla terra di lui!

37. Il Signore ha esaudito il desiderio dei poveri: il tuo orecchio ha ascoltato la preparazione del loro cuore.

38. Per far giustizia al pupillo eall’oppresso, affinché non seguiti più a farla da grande l’uomo sopra la terra.

Sommario analitico

Questo salmo è un cantico di azioni di grazie cantato da Davide dopo una qualche grande vittoria. Nel titolo, per i misteriosi segreti del Figlio, la maggior parte degli interpreti ha intravisto la visione di un canto di trionfo per la gloriosa vittoria riportata dal Figlio di Dio sul principe delle tenebre nell’Incarnazione, la Passione e gli altri misteri compiuti per la salvezza degli uomini, e soprattutto per i segreti giudizi di Dio in favore dei buoni e contro i malvagi. Questo salmo può essere diviso in due parti principali. Nella prima (1-12) Davide rende grazie a Dio dei suoi benefici; nel secondo (13-39), egli implora il soccorso di Dio contro le afflizioni presenti e future. Per maggiore chiarezza noi lo divideremo in sei sezioni.

Sezione PRIMA

-I frutti della Redenzione-

Davide annuncia che loda il Signore come Salvatore, ed erompe in azioni di grazie, di cuore, di bocca, e con le sue opere (2, 3).

Egli indica: 1) la ragione di questa azione di grazie: il demonio messo in fuga; – l’abbattimento del demonio e del suo seguito; – la sua completa distruzione (4) 2) La causa di queste meraviglie, la Passione di Gesù-Cristo, per la quale il Salvatore ha interrotto la controversia che esisteva tra Dio e l’uomo, tra l’uomo ed il demonio, soddisfacendo alla giustizia di Dio e strappando al demonio la sua preda. (4-5).

Sezione II

I frutti della vittoria: la predicazione degli Apostoli.

Gli Apostoli sono stati inviati: 1) per impedire i crimini e distruggere l’impero del demonio (6); 2) per distruggere il culto tanto rinomato degli idoli; 3) per togliere le armi ai ribelli, distruggere le loro fortezze, annientare ogni ricordo degli idoli e affermare la fede di Gesù-Cristo (7).

Sezione III

Gesù-Cristo, protettore dei suoi Apostoli e dei poveri perseguitati.

I. Egli ci presenta Gesù-Cristo come il sovrano giudice che ha stabilito un trono nei cieli, ed ha due assistenti, la misericordia e la giustizia (8).

II. Egli lo considera giudice della terra di sovrana equità (9).

III. Egli mette a confronto i due avversari: da un lato gli Apostoli, gli uomini apostolici e tutti i fedeli perseguitati; dall’altro i tiranni, i potenti del secolo che li perseguitano: 1) Egli dichiara che i primi troveranno rifugio ed appoggio nel tempo favorevole (10); 2) di rimando egli esige da essi che servano il Signore sperando in Lui e celebrando i suoi benefici (11, 12); 3) predice la punizione dei ricchi e dei potenti che hanno perseguitato i poveri (13).

Sezione IV

Quale sarà al termine della vita, la sorte dei giusti e degli empi.

I. Il profeta ci fa scorgere un Dio interamente dedicato agli interessi dei giusti.

-1) Essi sono l’oggetto particolare della sua misericordia; 2) considera attentamente le loro afflizioni (13,14); 3) Egli li toglie dalle porte della morte e li conduce fino alle porte della Città celeste, dove li ricolma di una gioia eterna (15).

II. Descrive la rovina degli empi. –

1) … che cadranno nella fossa che essi stessi hanno scavato, ed il loro piede sarà nella rete che essi stessi hanno teso (16); 2) tutti applaudiranno ai giudizi di Dio su di loro (17); 3) la giusta punizione che essi hanno ricevuto dell’oblio nei confronti di Dio, sarà l’essere precipitati nell’inferno (18).

II. – Egli fa conoscere le cause e gli effetti della punizione degli empi.- 1) Il povero non sarà mai dimenticato, la speranza dell’afflitto non sarà senza ricompensa (19); .2) Dio si leverà nel prendere la sua difesa, per giudicare e condannare i suoi persecutori (20); 3) Egli farà sentire loro che è il loro Legislatore ed il loro Giudice (21).

Sezione V

Il profeta si rincresce che le punizioni degli empi e dei persecutori siano differite.

.I. – Egli espone il suo pianto con un’umile e filiale richiesta a Dio (22), ed apporta due motivi in appoggio della sua preghiera:

1) nel suo orgoglio l’empio perseguita il povero (23); 2) e si glorifica altamente dei desideri della sua anima (24); 3) mentre egli si affida a Dio solo, e disdegna il proprio pensiero (25).

IIFa vedere l’enormità e la moltitudine dei crimini dell’empio: che è:

1) cieco nella sua intelligenza, dalla quale ha bandito il ricordo di Dio; 2) corrotto nei suoi desideri e nella sua volontà; 3) i giudizi di Dio non sono nulla per lui, ed esercita la sua tirannia su tutti quelli che considera come suoi nemici con arrogante insolenza (26, 27); 4) la sua bocca è piena di maledizioni e bestemmie (28).

III.Lo compara ad un leone nel suo antro, che spia la sua preda per aggredirla e ridurla in pezzi (29-31).

IV. – Indica la causa di tutti questi crimini: l’errore insensato nel quale vivono gli empi, che Dio cioè non si occupa delle cose umane (32).

Sezione VI

Cura paterna che Dio prende per i poveri e gli oppressi.

I- Il profeta domanda a Dio di venire in soccorso del povero oppresso ed offre tre ragioni pressanti della sua preghiera (33):

1) la blasfemia dell’empio che dice con alterigia che Dio non recriminerà per i suoi misfatti (34); 2) il giogo schiacciante che egli fa pesare sul povero, e che non può sfuggire riguardo a Dio; 3) è a Dio solo che è rimessa la cura del povero, Lui solo può essere suo appoggio e suo Salvatore (35).

.II. – Egli annuncia che le sue richieste saranno esaudite:

1) Dio si ergerà per esercitare il suo sovrano impero; 2) gli empi saranno distrutti (37); 3) Dio si ricorderà dei poveri e porgerà l’orecchio ai desideri del loro cuore, giudicherà la loro causa e porrà un termine all’oppressione dei malvagi (38,42).

Spiegazioni e Considerazioni

I. – 1-5.

ff. 1. –  Dio vuole il cuore tutto intero e non vuole dividere con nessuno ciò che Gli è dovuto « la coperta è troppo stretta, ci dice il profeta Isaia, di modo che se due vi si riparano, uno cadrà e la coperta stretta non può coprire l’uno e l’altro » (XXVIII, 20). – Lodare Dio con tutto il proprio cuore, è applicarsi interamente alla lode, all’azione di grazie che sono la parte principale della preghiera, è ricordarla interamente davanti a Dio, in modo da poter dire come Davide: « il vostro servo ha trovato puro il suo cuore per offrirvi questa preghiera » (II Re, VII, 27).- Lodare Dio con tutto il cuore, significa lodarlo in ogni tempo, nella tribolazione e nella prosperità; significa riconoscere che Dio è l’autore di ogni dono perfetto; è comprendere e proclamare che tutte le cose sono sottomesse al governo della divina Provvidenza (S. Agos.). La redenzione, sintesi di tutte le meraviglie di Dio, è l’opera di misericordia che riassume tutti i benefici di Dio.

ff. 2. –  È indizio di un’anima avanzata in saggezza, il porre in Dio tutta la propria gioia. In tal modo colui che sa rallegrarsi perfettamente in Dio, allontana il cuore da ogni altro piacere, da ogni altra gioia dei piaceri presenti (S. Chrys.). – Non sarà più nelle gioie di questo mondo che mi rallegrerò, né nelle voluttà sensuali, né nelle soddisfazioni del palato o della lingua, né nella soavità degli odori, né nel piacere dei suoni sfuggenti, né nelle forme e nei colori del corpo, né nella vanità della lode umana, né nel superfluo delle ricchezze temporali, né nelle ricerche della scienza mondana, ma « io mi rallegrerò e farò accendere la mia gioia in voi » (S. Agost.). – Coloro che amano prendere come materia dei loro canti le persone oggetto del loro amore, hanno sempre il loro nome sulle labbra e si consolano così della loro assenza. È ciò che fa il profeta: egli non può vedere Dio, Lo prende a soggetto dei suoi canti, si unisce a Lui con una unione così stretta, da un nuovo ardore ai suoi desideri e sembra gioire della sua presenza (idem).

ff. 3. – Questo nemico per eccellenza è il demonio, che prima della venuta di Gesù-Cristo era il maestro, il principe del mondo, e che il Salvatore ha messo in fuga. Tutti gli altri nemici sono abbattuti ed annientati col solo sguardo di Dio (S. Chrys.).

ff. 4. – Uno degli attributi particolare di Dio, e che si avvicina maggiormente alla sua natura divina, è la giustizia. Gli uomini mille volte giusti, non giudicano secondo giustizia, perché essi non possono distinguere ciò che sia veramente giusto, tanto per ignoranza, tanto per effetto delle loro passioni e della loro negligenza; ma Dio, che è esente da queste imperfezioni, giudica sempre secondo giustizia, perché Egli sa con-formarvi il suo giudizio (S.Chrys.) – Nei mali che arrivano, occorre guardare a Dio che è nel nostro cuore, come su di un trono dal quale giudica la nostra giustizia, cioè ciò che c’è di più giusto in noi, alfine di renderci più conformi all’immagine di suo Figlio (Duguet).

ff. 5. –  Dio non ha bisogno né di armi, né di spade, né d’arco, né di frecce, queste espressioni sono adattate al nostro linguaggio. Egli ha semplicemente da riprendere e fa perire coloro che meritano questo castigo (S. Chrys.). Sull’esempio di Dio, occorre tuonare contro l’empio e la sua empietà, distruggere l’empio, facendolo morire al peccato e passare alla vita della grazie, cancellare il suo nome primitivo, e farne prendere uno nuovo (Dug.). Cosa significa  « il secolo dei secoli » se non l’eternità della quale il secolo presente non ci offre, per così dire, che l’immagine e l’ombra. (S. Agost.).

II. 6 – 7

ff. 6. – Learmi del demonio, nostro nemico, hanno perso la loro forza per sempre. Il “forte armato” è stato vinto da Colui che era più forte di lui. Le sue armi gli sono state tolte, come dice Gesù-Cristo (Matt. XII, 19). – Tale è la collera di Dio, essa distrugge, annienta tutto ciò che colpisce (S. Chrys.). – Questa spada smussa sono i diversi errori con i quali satana fa perire le anime (S. Agost.). – Queste città distrutte sono le assemblee di satana, città sulle quali regna il demonio, o i consigli di inganno e di frode che hanno luogo nei governi, nei quali il demonio ha come satelliti e ministri, ognuno dei membri del corpo: gli occhi per la curiosità, le orecchie per i propositi lascivi e per tutte le parole cattive, le mani per la rapina e per ogni altro crimine odioso, e le altre membra che assecondano in questo modo il potere tirannico di una volontà perversa. C’è dunque una città ovunque si trovino un re, un consiglio, un ministro e un popolo. In effetti, tutte questi mali non esisterebbero nelle città corrotte, se non esistessero prima già negli uomini, che sono gli elementi ed i principi delle città (S. Agost.).

ff. 7. –  È ancora uno dei caratteri della Provvidenza di Dio, quella di non punire i propri nemici in segreto, affinché il castigo degli uni possa rendere gli altri migliori. La loro rovina sarà dunque eclatante! (S. Chrys.). – Cosa vogliono i grandi, i potenti della terra? Fare grande strepitio. Dio permette talvolta che essi ne facciano più di quanto essi non avrebbero osato sperare, ma quando non sono più, essi periscono con lo strepitio che hanno fatto, la loro caduta è proporzionale alla loro elevazione, e la memoria dell’empio – dice Sant’Agostino – si estingue con il medesimo strepitio nel quale la loro empietà si agitava tumultuosamente (S. Agost.). – Quanti personaggi sono passati davanti a noi con tutto il fulgore di una brillante nomea! Si vantava in essi il loro sapere, la prudenza, la saggezza, il bel talento dell’eloquio e dello scrivere; essi erano gli arbitri del gusto, il centro degli affari, e ciò nonostante la loro memoria è sparita nella tomba con un po’ di schiamazzo. Il brusio della lode si è forse prolungato ancora per qualche giorno dopo il loro funerale, oggi il loro ricordo è perso nell’oblio, come in un abisso. – Ecco l’opposizione che c’è tra la distruzione dei malvagi e la durata eterna di Dio!

ff. 8. –  Due motivi propri inspirano agli uomini il timore di Dio: la grandezza della sua gloria, opposta alla bassezza della loro natura, e la sua eterna giustizia che infligge ai peccatori terribili punizioni (S. Chrys.). Il Signore ha preparato questo trono nel momento in cui Egli stesso andava ad essere giudicato. Da allora Egli rende dei giudizi segreti su ognuno di noi (S. Agost.). Ma questa predizione abbraccia nello stesso tempo la vita presente e quella futura. Il giudizio generale e definitivo è riservato all’altra vita, ma in questa vita Dio esercita un giudizio parziale, e fa spesso mostrare dei tratti della sua giustizia, affinché gli insensati non immaginino che tutto vada sulla terra secondo il caso (S. Chrys.). – Si rappresenta spesso questo trono di potenza, di giustizia e di verità da cui esce in ogni attimo il nostro giudizio, e da cui uscirà un giorno la nostra sentenza definitiva, irrevocabile per l’eternità. Tutto è preparato da ora: i supplizi, le corone, ed i giudizi (S. Chrys.). Quanto diverso è il giudizio di Dio da quello degli uomini! (S. Agost.).

III — 9 – 13.

ff. 9. –  Davide, benché re, si riconosce e si definisce povero, considerandosi un mendicante seduto alla porta di un ricco sovrano. Noi tutti siamo dei mendicanti davanti a Dio (S. Agost.). – Tutti i beni di questa vita sono più fuggitivi di un’ombra, il solo bene che ci è veramente proprio, è la virtù che portiamo con noi ovunque andiamo, tutto il resto è simile alle foglie degli alberi che non si vedono che all’esterno (S. Chrys.). – Il povero per il quale la terra è niente, ed il cielo è tutto, merita di avere Dio come rifugio e come difensore, sia in questa vita in mezzo alle sue afflizioni, sia nel giorno della grande desolazione di tutti gli uomini. (Dug.). – doppia convenienza, evidenzia Davide, è il soccorso che Dio accorda, e l’opportunità del tempo in cui lo dà, cioè il tempo dell’afflizione (S. Chrys.). – È proprio del soccorso celeste l’arrivare sempre nel momento in cui si presenti all’uomo nel tempo più conveniente. Ausilio intelligente: se il Signore presta man forte alla sua creatura, fa giungere il rinforzo sempre nel momento critico e decisivo, e si può dire che la principale efficacia dell’intervento divino consista ordinariamente nella sua perfetta opportunità (Mgr. Pie. Inst. Sur le Jub.).

ff. 10. –  Conoscere un nome, significa conoscere colui che lo porta; un nome non è un nome per se stesso, ma per ciò che esso significa (S. Agost.). – Non è conoscere Dio il non volere o il non osare sperare in Lui. – Non bisogna mettere la propria speranza nelle cose che il tempo trasporta nel suo rapido incedere, e che non conoscono che un futuro e un passato. L’avvenire che sembra appartenere loro non è ancora arrivato, che è già passato: lo si aspetta con avidità, lo si perde con dolore. In Dio, al contrario, non c’è futuro che non sia già, non c’è passato che non sia più; non c’è se non quel che c’è, e cioè l’eternità (S. Agost.). – La principale ragione per la quale noi dobbiamo sperare in Dio, è che Egli non abbandona mai quelli che Lo cercano. – Come possiamo cercare Dio, visto che Egli è dappertutto? Con l’attività santa della nostra anima, con il distacco dalle cose della terra e da tutte le preoccupazioni del secolo. Talvolta accade di avere sotto gli occhi o tra le mani degli oggetti senza accorgercene e che ci circondano da ogni lato, e cerchiamo ciò che abbiamo davanti a noi, perché il nostro spirito è occupato da altri pensieri (S. Chrys.).

ff. 11, 12. –  Dio abita in Sion, cioè nella Chiesa; Egli abita in mezzo a noi, non che Egli possa essere limitato dalla nostra debole natura, ma a causa del particolare attaccamento che Egli ha per noi (S. Chrys.). Egli è con la sua Chiesa fino alla fine dei secoli, come un padre, per fare del bene; come un giudice ed un protettore, per difenderla; come uno sposo per renderla feconda, e come un pastore, per nutrirla. – È un obbligo per i Cristiani annunziare ovunque si trovino la saggezza dei consigli di Dio, l’altezza dei suoi pensieri, la magnificenza dei suoi disegni sulla sua Chiesa (Duguet). Gli uomini immaginano quasi che Dio dimentichi, perché non agisce così in fretta come essi vorrebbero (S. Agost.). – Egli si ricorderà però a suo tempo dei cuoi fedeli servitori, che sembrava aver dimenticato abbandonati alla malizia dei loro persecutori. Se Egli non giudica opportuno il farlo in questa vita, si ricorderà della pazienza dei suoi poveri oppressi (Duguet). Non si intenda qui ogni genere di povero, ma coloro che sono poveri di spirito, secondo le raccomandazioni di Gesù-Cristo (S. Chrys.). – Il grido dei poveri è l’affezione del loro cuore piuttosto che il suono prolungato della loro voce (idem).

IV. — 14 – 21

ff. 13, 14. – Mai è da separare queste due cose, la preghiera e l’umiltà; l’umiltà è come il veicolo della preghiera (S. Crys.). – Rappresentare con umiltà a Dio la propria abiezione, è un mezzo efficace per attirare i suoi sguardi ed il suo soccorso. – Davide non dice soltanto « … Voi che mi liberate », ma « … Voi che mi togliete dalle porte della morte ». La protezione di Dio non si limita a liberare i suoi servi dalle loro prove, essa li eleva e li circonda di considerazione, di onore e di gloria (S. Chrys.). – Dio attende talvolta fino all’estremo per venire in nostro soccorso, ci tira fuori dalle porte della morte per dimostrarci che Egli dà la morte e ci resuscita, che ci sprofonda fino agli inferi e che ce ne ritrae, che guarisce in un attimo tutte le nostre ferite. – Saggio consiglio di Dio per attirare a Lui i peccatori, è far loro annunziare la sua misericordia dagli uomini che l’hanno già provata. Non si desideri però essere liberati dai propri mali per manifestare le lodi di Dio.

ff. 15, 16. –  È una gioia giusta e ragionevole essere salvato dalle mani dei nemici, ma una gioia incomparabilmente più grande è quella di essere salvati dal soccorso di Dio solo (Dug.). – Cerchiamo non di essere salvati e liberati dai nostri mali ad ogni costo, ma secondo la volontà di Dio (S. Chrys.). – Ben prima del castigo che Dio prepara al peccatore, il suo crimine diviene il suo primo supplizio (Id.). – Per consiglio della saggezza divina, ognuno viene tormentato dal suo peccato (Sap. XI, 17). – Il castigo riservato al peccatore deriva dalle sue opere; quelli che voglio perseguitare la Chiesa cadono nell’abisso dove essi vogliono precipitarla (S. Agost.).

ff. 17. –  Funesto accecamento dello spirito dell’uomo, è la durezza inflessibile del suo cuore! Egli non conosce quasi Dio, quando non fa del bene; bisogna che eserciti i suoi giudizi in modo eclatante per farsi conoscere e sentire. Dio non ha creato né il peccato né la morte; i peccati sono dunque, in senso stretto, le opere dei peccatori, nei quali saranno soppressi (Duguet).

ff. 18. –  Per essere riprovato, il profeta non assegna che l’oblio di Dio, come se questo solo peccato sia sufficiente per meritare la riprovazione. – L’oblio di Dio, è principe in effetti di tutti i peccati e come il gran cammino per l’inferno. L’oblio di Dio, che in tutti i secoli ha costituito la grande piaga del mondo, in questi ultimi tempi in modo speciale, ci induce a dimenticare la nostra qualità di creature. – Questo oblio, che domina in questa cattiva porzione degli uomini che la Scrittura chiama il “mondo”, si incontra in una moltitudine di persone che fanno professione di religione (Faber, Il Creatore e la creatura). – Vi sono diverse maniere per cui gli uomini dimenticano Dio. Essi non Lo giudicano degno che si pensi seriamente a Lui. Appena appena sono attenti alla sua verità quando si prega, alla sua maestà quando si sacrifica, alla sua giustizia quando colpisce, alla sua bontà quando dona; infine Lo ritengono talmente un nulla, che essi pensano in effetti di non aver nulla da temere tanto da averLo per testimone (Bossuet).

ff. 19. –  « La pazienza dei poveri non perirà per sempre ». Questo è ben lungi dal verificarsi sempre per le cose della vita presente, dove i nostri lavori restano sovente sterili ed infruttuosi. Con Dio non c’è nulla di simile al timore; ciò che noi facciamo per Lui ottiene necessariamente la sua ricompensa (S. Chrys.). – È di fede che il povero non sarà mai eternamente nell’oblio. È di fede che la pazienza dei poveri non perirà mai. Ed è altrettanto evidente che questi due oracoli dello Spirito-Santo non si verificano sempre, neanche comunemente in questa vita, ed è anche per questo che bisogna che vi sia un giudizio superiore a quello degli uomini, nel quale si riconosca che la pazienza dei poveri non perisca affatto, cioè che Dio ha per essa tutti gli sguardi che ha il diritto di aspettarsi un maestro sovranamente equanime (Bourdaloue, Jug. Dern.).

ff. 20. – Èuna contraddizione tanto terrificante quanto inconcepibile, che l’uomo, vile creatura, che trae origine dalla terra, che non è che polvere e cenere, e che è in fondo un nulla, acquisendo il peccato, osi sollevarsi contro Dio. Desiderio ragionevole è che egli non si raffermi in una potenza che Dio gli ha dato per il bene, e di cui egli si serve invece per il male. Desiderio degno di un Cristiano, è che l’uomo vecchio, con le viziose inclinazioni, non si fortifichi in noi (Dug.).

ff. 21. –  Dove sono qui questi uomini brutali che trovano tutte le leggi inopportune, e che vorrebbero vederle abolite per non accettarle se non da se medesimi e secondo i propri desideri sregolati? Che essi si ricordino almeno di essere uomini, e che non ricerchino una libertà che li renda simili alle bestie. Che ascoltino queste belle parole di Tertulliano: « È ben accaduto che Dio abbia dato all’uomo una legge … », e questo per quale motivo? Per privarlo della propria libertà?  « Niente affatto – egli risponde – ma per testimoniargli la sua stima … ». Se Egli dunque ha stabilito per noi delle leggi, non è per limitarci nella nostra libertà, ma per sottolineare la sua stima per noi: ci ha voluto trattare come delle creature intelligenti e, in una parola, trattarci da uomini. « O Dio, date loro un legislatore, moderateli con delle leggi, affinché si sappia che sono degli uomini capaci di ragione e di intelligenza, e degni di essere governati da una condotta regolata … » Date loro prima un Mosè, che faccia apprendere i primi elementi, e conduca la loro infanzia; date loro in seguito Gesù-Cristo, che insegni loro in età più matura, e li conduca alla perfezione; e così farete conoscere che Voi li trattate da uomini, cioè come creature che avete formato a vostra immagine, e dei quali volete anche formare i costumi secondo le leggi della vostra eterna verità (Bossuet, I S. pour une velure, Serm. Pour la Purification). – Cosa strabiliante è che sia tanto difficile convincere gli uomini circa questa verità così elementare, che essi cioè non sono che degli uomini. – Nulla dimostra meglio la loro debolezza, la loro ignoranza, la loro miseria, triste frutto del peccato originale che ha alterato le nostre facoltà e degradato i nostri sentimenti, fino a veder perdere finanche la coscienza della propria natura, dandosi ad eccessi inauditi ed a disconoscere se stessi (S. Chrys.). – Quando l’uomo rivendica l’indipendenza nei confronti di Dio, quando vuole porsi al di sopra o solamente al di fuori di Lui, l’Essere necessariamente deve Egli stesso riportare la sua creatura alla ragione, ricondurla ad un sentimento più vero e più modesto di quello che è e di quello che può. « Levatevi o Dio, e che l’uomo non si affermi in questa attitudine orgogliosa ». Che le nazioni siano entro i vostri limiti, e sappiano che le loro dimensioni non oltrepassano la dimensione dell’uomo (Mgr. Pie, Sur les malheurs actuels de la France).

V. — 22-32

ff. 22. –  È permesso, senza cadere nel mormorio, lamentarsi con Dio e domandargli con rispetto e sottomissione, perché si sia allontanato da noi. Gesù-Cristo stesso ce ne ha dato l’esempio sulla croce. Talvolta è utile conoscere la cause di questo allontanamento per porvi rimedio: interrogare la coscienza, sondare il proprio cuore, vedere quale amore vi predomini, chiedere lumi a Dio per conoscere queste cause (Duguet).

ff. 23. –  L’empio a cui l’orgoglio eleva il cuore alla vista del felice successo della propria empietà, il povero scandalizzato e come consumato dalla apparente felicità di quest’empio, sono entrambi ingannati nei pensieri che vanno meditando: l’empio perché il successo dovrebbe farlo tremare piuttosto che alimentare il suo orgoglio; il povero perché questo successo non dovrebbe scardinare la sua fede (Duguet). – Orbene, come dice il Santo Agostino, i disegni colpevoli dei peccatori diventano delle catene per essi, perché essi si compiacciono di atti che non solo non hanno timore di veder censurati, ma che intendono anche lodare (S. Agost.).

ff. 24. –  Che c’è di più comune, ma di più funesto degli applausi che un peccatore riceve a causa della sua iniquità! Si ricevono tante lodi ed ammirazioni per delle azioni che dovrebbero coprirlo di vergogna e di confusione … Ecco ciò che deplora il Profeta, che il vizio sia divenuto molto potente nel compiacersi in se stesso, nell’ostentarsi con sicurezza e, ciò che è più triste ancora, di non vederlo arrossire, anzi che dico, di sentire che si faccia l’elogio da se stessi e  dagli altri.

ff. 24, 25. –  I difetti del ricco e del potente, sono delle perfezioni; i suoi errori delle luci; Si lodano – dice il Re-Profeta – finanche i desideri del suo cuore, cioè finanche le sue passioni, perfino le sue escandescenze. Quello che si biasima negli altri, è per lui materia di elogi e soggetto di benedizione (Bourdal, Sur les rich.). –Nessuno c’è che non feliciti il colpevole che prospera nella sua via, che non trovi nulla per cui vendicare, onde punire i suoi difetti, ma solo degli adulatori per lodarlo. C’è allora la collera più terribile del Signore. È una prova che il peccatore abbia irritato il Signore, il sopportare Egli tutto con indifferenza, il non essere più giudicato degno di punizioni mediante le quali correggere i colpevoli … l’ultimo effetto della collera del Signore è quando Egli si mette più in afflizione per il peccatore, quando sembra cioè dimenticare le sue colpe e non farne più alcuna attenzione, quando infine lo abbandona ai desideri del suo cuore (S. Agost.). Misericordia apparente, è questa, mille volte più temibile della giustizia più terribile. È una maniera nuova di vendicarsi che appartiene a Dio solo: lasciare a riposo il suo nemico, nascondere in sé tutta la sua collera, di modo tale che il peccatore sia stupefatto delle ampie prosperità e del corso fortunato dei propri affari, immaginando così di non aver nulla da temere, e non sentendo alcun rimorso nella propria coscienza (Bossuet).

ff. 26, 27. –  Ecco i tristi frutti del vizio, ed in primo luogo l’accecamento del peccatore. La luce dello spirito si spegne, la forza della ragione si indebolisce, l’anima diventa schiava dell’iniquità e resta costantemente annegata nel vizio. Per colui che ha cessato di aver Dio davanti agli occhi, non c’è altra alternativa di vizio e di virtù, perché è sempre sotto la schiavitù odiosa del vizio; egli non pensa né all’inferno, né al giudizio prossimo, né al conto che dovrà rendere, si scrolla come un freno odioso i pensieri che gli sarebbero di prezioso aiuto. Egli è come un navigante che ha perso la sua zavorra e diventa il giocattolo del furore dei venti e della violenza dei flutti, senza guida per dirigere e condurre l’imbarcazione (S. Chrys.). – « I vostri giudizi sono cancellati davanti ai suoi occhi ». L’anima che ha coscienza dei suoi peccati, e che non si sente colpita da nessuna punizione, crede che Dio non lo giudichi; ed è così che i giudizi di Dio sono tolti dalla sua vista: accecamento che è già la più grave delle condanne (S. Agost.). – Il peccatore in questa cecità, non comprende che il suo giudizio più terribile è quello di non essere giudicato al presente, di dominare tutti i suoi nemici, mentre egli stesso è dominato, o piuttosto tiranneggiato, dalle sue passioni (Duguet).

ff. 28. – Cosa c’è di più irragionevole di un uomo la cui esistenza è tanto fragile, che è come avvolto dagli interessi di un giorno, sottomesso a mille cambiamenti, esposto a tutti gli accidenti di questa vita, e che possa immaginare di restare sempre nel medesimo stato? Si crede facilmente a ciò che si desidera! – Egli si forma, con l’abitudine al peccato, una sorta di baldanza che sfida la Provvidenza, che non prevede né le sue vendette segrete, né i suoi giudizi pubblici e manifesti (Berthier).

ff. 29. – Dopo gli effetti del peccato nei riguardi di Dio, vengono gli effetti rispetto al prossimo. Il Profeta ci ha descritto il cuore dell’empio dimentico di Dio e dei suoi giudizi, che confida orgogliosamente nell’avvenire, e ci fa ora conoscere i suoi discorsi. – Le maledizioni sono bestemmie contro Dio ed ingiurie contro gli uomini; l’amarezza nelle parole sono le maldicenze, le mormorazioni, le liti; l’inganno comprende le calunnie, la menzogna, lo spergiuro. Accrescere la pena, il dolore degli afflitti, ecco lo scopo di tutte le parole dell’empio, ciò che nasconde la sua lingua, e ciò a cui si esercita sempre (Bellarm.). – « Sotto la sua lingua sono il lavoro e il dolore ». Molto più penosamente laboriosi sono dell’iniquità e dell’empietà. Il dolore segue questo lavoro, perché esso non è solo infruttuoso, ma funesto (S. Agost.).

ff. 30-33. – Alle parole fanno seguito le azioni. La scaltrezza, la sorpresa, la violenza pubblica, gli omicidi, l’unione con le persone potenti, tutto è messo in opera per opprimere i deboli e gli innocenti. Il leone nella sua tana è la figura di colui che agisce con violenza ed astuzia. La prima persecuzione portata contro la Chiesa è stata violenta, sforzandosi con le proscrizioni, le torture e i massacri, di costringere i Cristiani a sacrificare agli idoli. La seconda persecuzione ha impiegato la frode, ed è stata quella degli eretici. Resta la terza, che sarà suscitata dall’anti-Cristo e che sarà la più pericolosa di tutte, perché metterà in opera nello stesso tempo la frode e la violenza (S. Agost.). – Questo è un quadro troppo reale della perfidia crudele degli uomini del mondo nei riguardo di quegli stessi che hanno dato loro confidenza. Essi si mascherano per sorprenderli, profanano per ingannarli sotto un nome amichevole; mentre la loro bocca sorride, essi tendono insidie nell’ombra, e quando a forza di dispute, menzogne e basse malvagità, li hanno ravvolti nelle loro reti, tutto ad un tratto si riversano su di essi e li divorano, come la iena divora la sua preda. Condizione lamentevole questa, ma Dio non abbandona i suoi poveri servi in questo estremo. – « Come il leone rannicchiato nel suo antro … » ammirabile immagine del pericolo che ci minaccia e del quale periremo. Non sono tanto i ruggiti della bestia che sono formidabili, ma è il suo silenzio ed il segreto del suo antro. – D’altra parte l’impunità non sarà sempre assicurata all’empio: quando sarà giunto a questa dominazione assoluta, quando si riterrà superiore a tutto e al riparo da ogni sventura … è allora che Dio lo colpirà per mostrare la sua potenza (S. Chrys.).

VI. — 33 – 42

ff. 34-36. –  Perché, si domanda Davide, l’empio ha irritato Dio? Perché egli nel suo cuore ha detto queste tre cose oltraggiose nei riguardi di Dio. L’empio ha irritato Dio, perché ha detto nel suo cuore: non c’è oltraggio a Dio (Sal. XIII) che non abbia voluto riconoscere. Egli ha irritato Dio, perché nel suo cuore ha detto: se Dio c’è, o non ha visto, o questo Dio ha dimenticato il male che io ho commesso; è un oltraggio alla Provvidenza che egli ha combattuto e alla quale ha preteso sottrarsi. Egli ha irritato Dio, perché nel suo cuore ha detto: quand’anche questo Dio di cui mi si minaccia, avesse visto il mio peccato, e se ne fosse ricordato, Egli non mi cercherà né mi dannerà per così poca cosa; questo è un oltraggio alla giustizia vendicatrice di Dio, che l’empio ha disprezzato, e di cui ha cercato di scuotere il giogo … Dio, nel suo giudizio, verrà per tentare di convincere l’empio che c’è un Dio che non ha ignorato nulla, nulla dimenticato dei più segreti disordini della sua vita. Egli verrà per confondere l’empio facendogli vedere che questo Dio, nemico inconciliabile del peccato, non è più capace di patire eternamente lasciando il peccatore nell’impunità, più di quanto cessi Egli stesso di essere Dio (Bourdal, Sur le Jug. dern.). – La pazienza di Dio, stupefacente al punto da dare luogo all’empio il credere che Egli si sia addormentato. Ma Egli si leva quando è tempo e fa sentire, con gli effetti della sua Onnipotenza, che Egli veglia sempre e che non ha dimenticato i poveri (Duguet). – « Voi li vedete ed osservate i loro crimini per metterli nelle vostre mani », cioè voi aspettate, lo sopportate fino a che essi siano vittime dell’eccesso stesso della loro ingiustizia. Dio avrebbe potuto punirli e perderli molto prima, ma la sua pazienza è come un oceano senza limiti, poiché Egli li vede e non li punisce perché attende che facciano penitenza. (S. Chrys.). – La giustizia infinitamente saggia di Dio sa ben prendere il suo tempo per proporzionare la pena al crimine che vuole punire, e per punirlo con le stesse cause che lo hanno fatto commettere e nelle stesse circostanze (Duguet).

ff. 37. – « È a voi che è stata lasciata la cura del povero », è qui la vostra opera di scelta e predilezione. Dio non ha mancato al dovere che si è imposto. È all’architetto che spetta dirigere la costruzione dell’edificio, al pilota governare il battello, al sole rischiarare l’universo, ed anche a voi, mio Dio, il prendere la difesa degli orfani, il tendere ai poveri una mano sicura; nessuno può prendersene cura più di Voi (S. Chrys.). – Il Profeta-Re, era entrato ben profondamente nella meditazione della durata e dell’insensibilità degli uomini, quando dice a Dio: « O Signore, a Voi si abbandona il povero ». In effetti è vero che si cerca di evitare lo stato di infelicità, ed ognuno che si affanna intorno alle fortune della terra; i poveri soltanto sono reietti, solo la loro presenza dà afflizione, non c’è che Dio solo che al loro pianto li prenda in carico. Quando i poveri si indirizzano a noi perché li risolleviamo dalle loro necessità, non è vero che il favore più ordinario che noi facciamo loro, è quello di augurar loro che Dio li assista? Dio vi aiuti, noi diciamo loro; ma il contribuire da parte nostra a soccorrerli, è il minore dei nostri pensieri … poiché tutto il mondo li abbandona, era degno della bontà di Dio riceverli sotto le sue ali, e prendere nelle mani la loro difesa. Così si è dichiarato loro protettore, perché non si disprezzi la loro condizione, e si risollevi la loro dignità; perché non si creda di non dover nulla a loro, … Egli impone la necessità di soccorrerli (Bossuet).

ff. 39. – Ci sono due maniere per Dio per spezzare le braccia del peccatore, di modo che non si trovi più il suo peccato: 1) sterminarlo in maniera che non resti alcuna traccia delle sue violenze e dei suoi crimini; 2) distruggere le sue forze, la sua potenza, questo focolaio di iniquità che lo divora, di modo che non resti più traccia del suo peccato. La prima maniera è in effetti di una giustizia terribile; la seconda di una misericordia infinita (Duguet).

ff. 40. – Non occorre inquietarsi quando il castigo dei malvagi viene differito. Di che avete paura, dice il Re-Profeta, e cosa temete? Forse Dio è un giudice passeggero e mortale? Forse che il suo regno un giorno finirà? Dunque, benché il castigo degli empi sia differito, non di meno è certo! Colui che gli domanderà conto dei suoi crimini, dimora e regna eternamente (S. Chrys.). – Nazioni ribelli distrutte ed annientate ai piedi del suo trono. Questo regno non è possibile qui in terra. Vi sono soggetti ribelli. Esso non lo sarà perfettamente se non quando « Gesù-Cristo avrà rimesso il suo reame a Dio e a suo Padre, ed avrà distrutto ogni impero, ogni dominazione ed ogni potenza ». (I Cor: XV, 24).

ff. 41, 42 – Dio si compiace nell’esaudire semplici desideri, ed il suo orecchio è così delicato che ascolta finanche la preparazione dei cuori. È questa preparazione, questo primo desiderio, questo proposito della vita, dei pensieri e delle opere, che deve essere santo, puro, sottomesso a Dio e consacrato al suo culto. Quando Dio, il cui sguardo penetra fino al fondo del nostro essere, scopre questa preparazione ben formata dalla sua grazia nel cuore dell’anima fedele, non può rifiutargli nulla. Quale grande consolazione è questa verità, « Dio ascolta la preparazione del loro cuore! » Ci sono delle circostanze nella quali non si può pregare nell’assemblea dei fedeli, non sia possibile frequentare il tempio del Signore, ma non c’è luogo in cui il proprio cuore non possa essere rivolto verso Dio, o non possa formare il desiderio di piacergli! Dio ascolta e ricompensa questo desiderio, questa preparazione del cuore. È sufficiente, per piacergli, il volergli piacere, è sufficiente essere a Lui piegato, per essere ricolmi dei suoi beni (Bourdal, Rec. des Saints). – Il povero trionferà infine accanto a Voi, Signore: ciò che gli avrà rifiutato ogni tribunale della terra; Voi prendete la difesa del povero e dell’orfano, affinché il potente, il grande, che aveva tanto abusato della sua grandezza, cessi di glorificarsi. Fino ad allora egli avrà sempre avuto il sopravvento; fin qui, fiero dei suoi successi, perché nulla gli resisteva, egli sarà passato non solo per il più forte, ma per il più abile, per il più stabile nei suoi diritti, come il più degno di essere distinto ed onorato; fino ad allora egli si sarà costituito una falsa gloria ed un presunto merito delle sue stesse violenze; ma Voi lo disingannerete allora., Signore, e gli farete abbattere le sue vane idee. E come? Perché sottrarrete il debole dall’oppressione, ed egli troverà in voi, o mio Dio, un vendicatore ed un protettore (Bourdal).

LE BEATITUDINI EVANGELICHE (-3B-)

LE BEATITUDINI (3 B)

[A. Portaluppi: Commento alle beatitudini; S.A.L.E.S. –ROMA, 1942, imprim. A. Traglia, VIII, Sept. MCMXLII]

CAPO TERZO

Beati qui lugent: quoniam ipsi consolabuntur.

Beati i dolenti

III

BEATI I DOLENTI PERCHÉ SARANNO CONSOLATI

PIANGERE CON GLI AFFLITTI

Quanta finezza di sentimento occorre allo spirito, che voglia prender parte al dolore che rode e logora fuori di sé i prossimi! Sa rilevare tutte le sfumature che il male presenta nella esistenza altrui. Una intuizione profonda, che raggiunge le fibre più delicate dei cuori. Una esperienza, che consente di capire ogni palpito dell’animo nel suo corpo. Una simpatia per la nostra misera natura, che assomiglia a quella del Signore Gesù. La sensibilità, che giunge fino a soffrire davanti al male del prossimo, è un dono della grazia e l’espressione della sua intera efficacia sulla nostra natura. L’invito di Paolo ai Romani di entrare nell’ambito della solidarietà umana, alla quale non erano educati, ha bene un valore in questo argomento.

« Gaudere cum gaudentibus, fiere cum flentibus— godere con chi è lieto, piangere con chi è nel dolore» (Rom., XII, 15) segna un bel passo avanti perla morale di costoro; e addita altresì alla loro volontàdi bene un punto alto del nuovo monte della perfezione.Mentre esso esige finezza la provoca e la sviluppa.Avranno forse i Romani opposto delle difficoltàall’Apostolo, per questo alto invito? Non sappiamo;ma certo la prospettiva era lontana dalla consuetudinedel loro mondo. Ma dove difetta la natura o laconsuetudine entra plasmatrice l’educazione. La Religione cristiana è interamente tesa all’affinamentodelle anime, alla compiutezza del loro sforzo verso lacompassione dei deboli, degli afflitti, delle vittime delmale. E non per mollezza, per fatua commozione, ma per aver letto giusto nella parola del Signore. La Religione sua infatti ci insegna efficacemente, che la vita non è lotta di interessi, ma gara di servigi, e talora vicendevole scambio di amarezze, le quali scompartite si fanno dolci, ma anche dolcezze, che partecipate diventano più gustose. Questo stato d’animo è frutto della generosità divina. Nessuno, che osservi solo dal lato umano la solidarietà del dolore, ne capirà mai qualcosa. Perché moltiplicare il patire? Non basta quello che c’è? E l’essere in molti a soffrire accosta forse all’ideale, che sarebbe la serenità e il benessere d’ognuno? « A chi tocca la tocca », ripetono taluni con irrisione. Quelli che soffrono, si dice pure, sono le retroguardie del mondo che cammina verso la piena gioia; sventurati coloro che rimangono indietro; ma noi non sappiamo che farci. È evidente, che la compassione è virtù cristiana. Esige pertanto una intima elaborazione del precetto della carità. I più sono sul versante della mondanità paganeggiante. Non conoscono i vocaboli atti a esprimere il patimento dei fratelli prossimi e lontani, noti e ignoti, buoni e cattivi. È dunque un privilegio partecipato da Dio a chi fa di meritarselo. È un fattore che prepara la nuova umanità foggiata secondo il Vangelo. Dono di Dio, che ci conferisce qualcosa dell’anima di Gesù suo Figlio, il quale si abbandonò alla passione e alla morte per noi — « prò nobis». Il modello di ogni reale e sentita solidarietà umana.

L’EROISMO DELLA COMPASSIONE

Nella famiglia cristiana non occorre predicarla. È un bisogno spontaneo e un dolce dovere dello spirito. La madre, che consuma le notti al capezzale del figlio o del marito, è documento quotidiano della efficacia dell’esempio di Cristo. Il padre, che fatica e rinuncia per il benessere della famiglia e vive appartato da distrazioni e da diporti, perché nulla manchi al desco e all’agiatezza della sua casa, è normale. Non abbisogna di descrizioni, né giova inculcarlo. Ci si stupisce davanti al contrario come contro la natura. È contro alla natura sublimata da Cristo nostro Signore. Poiché incontriamo tra le nostre file non solo la generosità, ma altresì l’eroismo della virtù. Non hai scoperto chi benedice le prove della vita, le fatiche e i dolori come un grande onore, come l’onore di ricevere sulle proprie spalle la Croce del Signore e di salirvi insieme con lui? Il dolore diventa dentro di essi una gioia. Ecco una consolazione, che Gesù ha promesso a chi piange. Una soddisfazione pronta, immediata, evidente e tangibile. « Iuxta est Dominus hiis qui tributati sunt corde— il Signore è vicino a coloro che sono tribolatiin cuore » (Sal., XXXIII, 19). Sai d’essere sotto gli occhi di Lui, che ti guardacon compiacimento, poiché accetti di salire sulla suaCroce a vivere con Lui. Lo Spirito Santo pensa a offrirticonsolazioni, che ti risuscitano con Cristo innovità di vita. I conforti che vengono direttamenteda Dio sono i più preziosi e rappresentano una concretapromessa di quell’altre consolazioni, che da Luinella eternità ci verranno deposte in cuore.A questo modo nella famiglia i genitori, che sentonola fatica e l’impegno gravoso dei figli, tesi consincera volontà verso la meta dei loro sogni, pregustanola gioia della riuscita. Gioia che si moltiplicanelle loro anime ansiose, se il bene e il sogno per cuii figli si vanno plasmando fiduciosi sia quello dellavirtù, del compiacimento di Dio, del possesso dellagrazia divina. Godimento appena iniziale e incipiente,ma già consistente e capace di appagare un cuoresollecito.Scrisse il Kempis nel Giardinetto di rose: « Tu nonsii migliore del Dio tuo, per te flagellato e deriso e,alla fine, dai maligni ucciso. L’uomo non sa quantosia egli buono e virtuoso, se non quando si trova vessatodalle contrarietà. Molti ha Cristo amatori e compagnidi mensa; ma pochi seguaci nell’astinenza ».

VIGILE REAZIONE

Si è che anche le consolazioni del Signore non sono per tutti; come non tutti sanno sentire il dolore umano. Il mondo è infestato dall’egoismo; il cuore degli uomini non avverte che il proprio utile, o ciò che tale ritiene; tutti siamo presi da questa forza travolgente e cieca e se non vi resistiamo con attenzione, ne restiamo vittime. È il dominio del male attraverso il gretto interesse personale e l’incomprensione ottusa del problema; poiché il male del prossimo non è mai senza influsso su di noi medesimi. Sicché solo la sensibilità cristiana del dolore altrui può via via temperare il male di ciascuno e sollevare tutti dalla oppressione. L’egoismo priva delle divine consolazioni; e spinge alla caccia disperata dell’appagamento immediato e inferiore degli appetiti bestiali. Infatti le tre concupiscenze svegliano una avidità che non rispetta neppure i membri della medesima famiglia. Se pertanto vogliamo arrivare alla consolazione di Dio quaggiù e poi con pienezza nell’altra vita, procuriamoci la condizione assolutamente esagita: la larghezza del cuore, la capacità di sentire il vasto dolore della vita nostra e altrui, la delicatezza per cui sappiamo piangere sui nostri falli e su quelli che addolorano il nostro fratello. « Beati quelli che piangono ». Privilegio la capacità di sentire il dolore e privilegio il contorto offerto da Dio. Sicché la tua vita, o Cristiano fedele, ottiene compensi impensati. Ci sono santi i quali si dichiarano sopraffatti da tanta generosità del Signore. « Quam magna multitudo dulce dinis tuæ Domine— come è grande, Signore, la della tua dolcezza! » (Sal., XXX, 20). Per tal modo Dio è sempre presente nelle vicende nostre, e come padre indulgente; e compensa con lautezza la docilità delle sue creature.

IV

ADDESTRARE I GIOVINETTI ALLE VOLONTARIE RINUNCE

E’ TRISTE LA VITA DELL’UOMO

Il dolore è una realtà inesorabile della vita. Chi non vi pensa e non vi si prepara è condannato a rivelazioni tardive, ma tremende. Come mai un genitore od un educatore potrà pensare di preparare il giovinetto o l’adolescente fuori d’ogni contatto volontario con questo fatale elemento della esistenza umana di quaggiù? Non è tuttavia raro di incontrare chi dica: « Avranno già molto da soffrire, che non è bene imporre loro rinunce prima che l’ora scocchi ». Unragionamento simile può essere tollerato in chi non abbia responsabilità d’educatore e di guida sulla strada della esistenza. Ognuno è libero di evitare un dolore inutile e di battere la strada meno disagiata. Se tu devi addestrare un inesperto ad affrontare una lotta di qualunque natura, ti curi di studiare le condizioni nelle quali essa dovrà svolgersi e di preparare il soggetto a tutte quelle condizioni di clima, di nutrimento, di sforzi, per averlo destro e pronto e vittorioso al momento opportuno. Che cosa diremmo se un capo di spedizione polare facesse partire la propria carovana come se dovesse andare all’Equatore, o viceversa? La nostra vita è evidentemente intessuta di difficoltà, di resistenza, di dure prove, di pazienti attese, di rinunce senza fine, di sorprese e di delusioni. Occorre pertanto saper disporre l’animo dei giovani così da trovarlo sereno e consapevole ad ogni contingenza. Chi agisce in tal modo si dimostra ispirato da un vero amore del suo discepolo. È un maestro preveggente. Una guida illuminata. E le difficoltà volontariamente e liberamente affrontate, anche prima della prova, non sono un atto crudele, bensì una precauzione accorta e fatta di amorose sollecitudini.

DOVERE DI MORTIFICAZIONE

Questo campo di volontaria abnegazione è aperto davanti a chiunque nella cura del corpo e nelle attenzioni dello spirito. Scrive il Cardinal Bona: « Quanto basta perché il corpo sia sano, tanto, e non più, gli darai. Questo è il tenore di vita ragionevole e salutare, al quale devi attenerti. Il corpo si ha da trattare rigidamente anzi che no, sicché non si faccia repugnante ai voleri dell’animo. È necessario concedergli quello di che abbisogna, ma non servirgli. Abbia cibo per sedare la fame, bevanda per estinguer la sete, vestimenta per ripararsi dal freddo, casa per garantirsi dalle ingiurie del tempo. Se ti propongono tali altre cose, le quali servono di puro ornamento, soffermati, impallidisci, e temi; che vi stanno apparecchiate insidie per l’anima ». – Tale rigida concezione della vita deve essere guida della madre consapevole e saggia. Abbia cura essa di infondere nell’adolescente la convinzione, che non siamo nati per essere schiavi del proprio corpo; il quale è appena uno strumento della volontà e dello spirito, ma tale strumento, che mira, se gli riesce, d’essere tiranno dell’animo e arbitro della nostra vita. D’altra parte, come fare senza il corpo? Perciò usiamone con l’occhio vigile, sicché non si sottragga al dominio nostro e ci umili nella soggezione a lui. Nota, che i sensi sono dell’anima le finestre. Non lasciarli aperti troppo verso terra; siano mantenuti intatti e vigorosi di fronte alle contaminazioni possibili. Nello stesso fanciullo venga istillato il dovere di rispettare il proprio corpo per le funzioni intese dalla natura. Sappia che esso risorgerà. Su questo piano si ingaggia e si avvia il combattimento spirituale, che dovrà durare tutta la vita. Mutano le forme, le condizioni, le circostanze degli assalti da parte della materia, ma la vigilanza e la decisione di resistere deve accompagnare il giovane per sempre. Si noti, che non soltanto occorre educare alla vittoria sopra gli stimoli della carne, ma altresì su quelli disordinati, che vengano dallo spirito. Anche qui necessita la vigilanza. L’orgoglio, in tutte le sue manifestazioni, è peccato dello spirito. Sovente è la causa di altri disordini del senso; poiché Dio non aiuta il superbo e lo lascia scivolare in basso, come castigo della intima ribellione alla Legge. La vittoria sull’orgoglio apparisce anche più difficile. Certi genitori non se ne avvedono per tempo; ne sono piuttosto lusingati dapprima e non di rado lo fomentano e se ne trovano lì per lì ammirati. Risposte spavalde, gesti sprezzanti, atteggiamenti prepotenti non allarmano sempre e subito le persone che amano senza cure spirituali e luce di Fede religiosa. Non vedono esse se non l’esplicazione di energie, alle quali occorre dare la via aperta, far largo. Così, pensano essi, potranno fare la loro posizione senza timidezze sciocche. Piace insomma nel piccolo la forma truculenta, che pare rivelare chissà quali straordinarie qualità d’ingegno e di carattere.

DOLOROSE SORPRESE

Ma codesti genitori, i quali si guardano bene dall’ammonire e, e occorre, dall’umiliare il piccolo tiranno, si avvedono poi tardi, che mentre fuori con i compagni quello deve rintuzzare dentro di sé l’impulso superbioso, con essi, al contrario, è libero e si abbandona allo sfogo dell’intemperante considerazione del proprio valore. In casa non ha trovato opposizione. Codesti genitori sono poi molto sorpresi e rattristati; ma forse non saranno più a tempo per provvedere energicamente e con profitto. In ogni zona della vita, del corpo e dello spirito, chi non sa rinunciare a qualcosa di lecito, non saprà evitare tutto ciò che è illecito. Per aver saputo da ragazzo privarsi d’un giocattolo, il giovane e poi l’uomo maturo sapranno voltare le spalle a soddisfazioni peccaminose e disonoranti. – La vita nostra si avvia per la strada che noi scegliamo. Se questa è fatta di appagamenti, come pretendere poi che gli incontri subdoli del male vengano superati e vinti da una volontà inesperta di rinunce? Il giovane deve crescere nella consapevolezza del dominio da esercitare sui cattivi istinti. Non è da dimenticare, che questa battaglia ha da essere condotta con i sussidi spirituali della Religione. Nessuno sosterrà lotte, se non riconosca di avere sopra di sé, buono e benevolo, un Padre che lo guardi e lo segua. Se Dio è sentito così e osservato come giusto giudice dei buoni e dei ribelli, eserciterà un influsso sommamente efficace sui pericoli nei quali l’uomo incorre ogni dì. Dio però è anche provvidente e ci somministra aiuti, attraverso i sacramenti della Religione, che sono i carismi sovrannaturali. Grazie d’ogni sorta ci vengono elargite dalla sua generosità ogni momento. Sono le più valide forze e i migliori conforti da noi desiderabili. Il fattore sovrannaturale ha una funzione somma nella formazione del carattere e quindi anche nella capacità di sopportazione dei disagi inevitabili alla intima battaglia. I sacramenti esercitano sui giovani un influsso di capitale rilievo. Sono i veicoli della forza, dell’amore, della compassione. In primo luogo rappresentano lo stimolo alle alte aspirazioni. La Grazia di Dio, come avvalora l’impegno nella sopportazione del dolore, sostiene l’animo nei momenti di sfiducia per le sconfitte possibili. Rianima, solleva, rinvigorisce. Essa ci dà modo di trarre dalle umiliazioni il coraggio delle sofferenze avvenire per quella vittoria, che Dio non lascia mancare alle buone e semplici e fedeli volontà.

SALMI BIBLICI: “DOMINE, DOMINUS NOSTER” (VIII)

Salmo 8: “Domine, Dominus noster.”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR

13, RUE DELAMMIE, 1878.

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 8:

In finem, pro torcularibus. Psalmus David.

[1] Domine, Dominus noster,

quam admirabile est nomen tuum in universa terra!

[2] quoniam elevata est magnificentia tua super cœlos.

[3] Ex ore infantium et lactentium perfecisti laudem propter inimicos tuos, ut destruas inimicum et ultorem.

[4] Quoniam videbo caelos tuos, opera digitorum tuorum, lunam et stellas quae tu fundasti.

[5] Quid est homo, quod memor es ejus? aut filius hominis, quoniam visitas eum?

[6] Minuisti eum paulo minus ab angelis; gloria et honore coronasti eum;

[7] et constituisti eum super opera manuum tuarum.

[8] Omnia subjecisti sub pedibus ejus, oves et boves universas, insuper et pecora campi,

[9] volucres caeli, et pisces maris qui perambulant semitas maris.

[10] Domine, Dominus noster, quam admirabile est nomen tuum in universa terra!

SALMO VIII

Vecchio Testamento Secondo la Volgata

Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Lodi della potenza, sapienza e bontà di Dio, principalmente verso il genere umano. — Per gli strettoi, che traggono il vino, figura dell’amor di Dio tratto dai cuori. Si trova questo titolo in tre Salmi, che parlan dell’amor di Dio.

Per la fine: Per gli strettoi: Salmo di David.

1. Signore, Signor nostro, quanto ammirabile è il nome tuo per tutta quanta la terra!

2. Perocché la tua maestà è elevata fin sopra dei cieli.

3. E dalla bocca de’ fanciulli e dei bambini di latte tu hai ricavata perfetta laude contro de’ tuoi nemici, per distruggere il nemico e il vendicativo.

4. Or io miro i tuoi cieli, opere delle tue dita, la luna e le stelle disposte da te.

5. Che è l’uomo, che tu di lui ti ricordi? Od il figliuolo dell’uomo che tu lo visiti?

6. Lo hai fatto per alcun poco inferiore agli Angeli, lo hai coronato di gloria e di onore;

7. E lo hai costituito sopra le opere delle tue mani.

8. Tutte quante le cose hai soggettate ai piedi di lui, le pecore e i bovi tutti e le fiere della campagna.

9. Gli uccelli dell’aria, e i pesci del mare, i quali camminano le vie del mare.

10. Signore, Signor nostro, quanto ammirabile è il nome tuo per tutta quanta la terrai!

Sommario analitico

Il re Davide, durante la festa dei tabernacoli, passando la notte sotto una tenda di fogliame, contemplava il cielo, nel quale brillava la luna, e scintillavano mille stelle; poi ritornando con gli occhi sulla terra, è colmo di ammirazione per Dio che ha creato e governa tutte le parti di questo vasto universo. – Nessuno dubita che questo Salmo non abbia per oggetto Gesù-Cristo nel senso elevato, dopo l’applicazione che Nostro Signore stesso ne ha fatto del vv. 3 (Matt. XXI, 17), e come San Paolo (I Cor. XV, 26; Efes. I, 22; Ebr. II, 6,7,8). Due cose sono l’effetto della nostra ammirazione: il mondo creato e l’uomo ornato dai doni di Dio.

I – La sovrana potenza di Dio e la sua magnificenza nella creazione del cielo e della terra, e nella conoscenza che Egli da di Se stesso, imprimendo questa conoscenza nel cuore degli uomini, sia dei semplici che dei più istruiti e dei più versati nella scienza delle cose divine (2, 4).

II – La sua benevolenza, il suo amore per l’uomo che considera sotto due aspetti: 1) Nulla è più vile dell’uomo, se si considera il limo dal quale è stato tratto; ciò nonostante Dio lo ama, veglia su di lui con cura particolare, lo aiuta con il suo soccorso (5). – 2) Nulla è più elevato che l’uomo, se si considera che egli brilla dei doni di Dio: a) comparato agli Angeli, è quasi uguale a loro; b) considerato in se stesso è come una regina coronata di gloria e di onore (6), possiede la ragione e la libertà; c) se si compara l’uomo alle creature inferiori, è come un re che ha l’impero sull’universo, e comanda a tutti gli animali (7, 9).

Spiegazioni e Considerazioni

I –  1, 4

ff. 1. – Per coloro che non credono in Lui, Dio non è il loro Signore che in un sola maniera; Egli è “il nostro” a doppio titolo, sia perché ci ha tratti dal nulla con la Creazione, sia perché ci ha estratti dal secondo niente del peccato, mediante la Redenzione. – Il profeta non si impegna nel dire quanto sia ammirevole il suo Nome, questo è impossibile; ma egli esprime, così come può, la grandezza e l’eccesso della sua ammirazione (S. Chrys.). – Chi è colui che in mezzo alle innumerevoli meraviglie della creazione: tra queste foreste superbe e maestose in cui la solitudine, il silenzio, il fitto degli alberi, penetrano l’animo di un santo raccoglimento; ai bordi di un mare alternativamente calmo e in tempesta; sulla cima di queste alte montagne dove l’occhio si perde lontano in un orizzonte immenso e contempla con trasporto questo vasto insieme di vallate e di colline, di monti e di pianure, di campi coperti da ricche messi e di praterie verdeggianti, non si lasci scappare lacrime di ammirazione e di commozione e non gridi: « Dio, nostro Maestro sovrano, che il vostro nome sia mirabile su tutta la terra! ». Il Nome di Gesù, mirabile in particolare nel cielo e sulla terra, Nome al di sopra di ogni nome, Nome che è il solo per il quale possiamo essere salvati, Nome davanti al quale tutto si piega in cielo, sulla terra e negli inferi.

ff. 2. – La magnificenza dei prìncipi della terra che ha eretto dei palazzi superbi, ha costruito delle città, ha posseduto un gran numero di servi ed anche intere armate, ha ricolmato persone di ricchi doni, non è che debolezza, indigenza, povertà, comparata alla magnificenza di Dio che ha elevato i palazzi del mondo, di cui la terra è il pavimento ed il cielo il tetto, e nutre tutti gli esseri della terra, benché numerosi (Bellarm.). – Bisogna ammirare le opere di Dio ma senza arrestarsi; … elevare la propria anima, i propri pensieri, i propri affetti fino all’Autore di tutte queste meraviglie. – Le creature sono lo specchio in cui si riflette l’immagine di Dio, un’eco, una voce che grida a noi che esse non si sono fatte da se stesse, ma che sono l’opera di Dio; sono come le vestigie dei passi di Dio sulla terra, una scala che tocca terra e che deve condurci fino al cielo, le lettere con le quali Dio ha scritto caratteri strabilianti e rese visibili le sue perfezioni invisibili, la sua eterna potenza e la sua divinità (Rom. I, 20).

ff. 3. – Perché tuttavia questa magnificenza che oltrepassa i cieli non è riconosciuta e lodata in tutto il mondo? Gesù-Cristo ha risposto a questa domanda quando ha detto: « Io vi lodo, Signore, per ciò che avete nascosto ai saggi ed ai prudenti, per rivelarlo ai piccoli » (Luca X,21). – Dio chiede una prova eclatante della sua potenza facendo asservire alla sua gloria il più debole, delegando la lingua ancora balbettante dei bambini a cantare le sue lodi (S. Chrys.). – I prìncipi hanno bisogno di bocche eloquenti per far conoscere e rendere pubbliche le loro presunte grandezze, quella di Dio è invece così eclatante, che bastano dei bambini per proclamarla (Dug.). – la Chiesa di Gesù-Cristo è stata fondata non dai sapienti, dai saggi, dagli oratori secondo il mondo, ma da uomini deboli, ignoranti, balbettanti come bambini al seno materno; così l’orgoglio presuntuoso dei filosofi e dei saggi è stato confuso e annientato dalla semplicità della fede (S. Agost.). – I predicatori eloquenti convertono raramente i grandi peccatori, affinché l’uomo non sia tentato dall’attribuire alla delicatezza o alla sublimità dei suoi pensieri, alla disposizione delle sue parole, all’armonia ed alla perfezione del suo stile, ciò che è invece l’opera di Dio. – Dio ha introdotto l’uomo in questo mondo sensibile e corporeo per contemplarlo e gioirne; contemplarlo in ciò che Davide dice con queste parole: « Io vedrò i vostri cieli che sono l’opera delle vostre dita, io vedrò la luna e la stelle che voi avete stabilito ». In mezzo a queste immense perfezioni con cui avete regolato il corso del tempo per mezzo di una legge di inviolabile stabilità, l’uomo deve anche gioire del mondo, secondo gli usi che Dio ne ha prescritto: del sole, della luna e delle stelle, « per distinguere i giorni, i mesi, le stagioni e gli anni » (Bossuet, Elév., IV S., IV E.).

ff. 4 – Davide si unisce ai bambini per lodare il Creatore del cielo e della terra. Davide si mostrava essere un sapiente osservatore degli astri, quando diceva: « Io vedrò i vostri cieli, l’opera delle vostre mani, la luna e le stelle che avete stabilito! » Figuratevi una notte tranquilla e serena, che in un cielo pulito e terso sfoggia tutte le sue luci. È durante una tal notte che Davide guardava gli astri, perché egli non parla del sole: la luna e l’armata del cielo che la segue costituiscono l’oggetto della sua contemplazione. Egli non vede qui se non la bellezza della notte, gioisce di un sacro silenzio, e in una bella oscurità contempla la dolce luce che gli presenta la notte, per elevarsi così a Colui che solo riluce tra le tenebre (Bossuet, Elév.). – Studiare, come lui, i corsi regolari della luna e delle stelle, non serve altro che a far ammirare ed adorare la saggezza e la potenza di Dio e considerare la natura dei cieli per il fine onde Dio li ha creati.

II. — 5- 9.

ff. 5. – Quando con l’occhio misurate la distanza tra i pianeti dal sole, la loro relativa grandezza, la loro densità, il tempo di rotazione e di rivoluzione; quando vedete questa flottiglia di mondi vagare di concerto ed avanzare nello stesso senso, e la nostra terra illuminata da questa isola di luce che è il nostro sole; quando vedete tutta questa geometria in azione, tutta questa fisica vivente, tutto questo meraviglioso meccanismo della natura, sempre intrattenuta dalla presenza di Dio e manifestamente regolata dalla sua sapienza con leggi che sono la sua immagine; quando vedrete la vita e la morte nel cielo, un mondo infranto i cui rottami rotolano intorno a noi, il cielo che trascina con sé i suoi cadaveri nel suo viaggio del tempo, come la terra trascina i suoi; le stelle sparire, mentre altre nascono, crescono e si ingrandiscono; … quando vedrete su tutti questi mondi questo alternarsi di notte e di giorno, questo susseguirsi di stagioni in armonia con la vita della natura, e direi anche con la vita dei nostri pensieri e delle nostre anime, con le vicissitudini, le alternanze ovunque inevitabili, eccetto che in questo mondo centrale ove regna un’estate piena, un mezzogiorno pieno … qual è il grido naturale che prorompe dal cuore? « Che cos’è l’uomo Signore perché vi degnate ricordarvene? » (Gratry, Sources). – « Che cos’è l’uomo perché gli accordiate uno sguardo salvante? » Davide non ignorava che Giobbe prima di lui aveva già detto: « l’uomo nato dalla donna vive poco tempo e questo breve spazio è pieno di molte miserie ». Egli è simile al fiore che non appena schiuso è calpestato dal piede; egli fugge come l’ombra e non resta mai nello stesso stato (Giob. XIV, 1, 2). Ecco cos’è l’uomo nella sua condizione mortale e corruttibile. « Ora, Signore, è su di un essere di questo tipo che Voi vi degnate di posare gli occhi, è su di lui che vi prendete pena di confidare! » Conviene alla grandezza di Dio abbassarsi fino a considerare il dettaglio dei passi di una creatura così insignificante e così fragile? – In verità l’uomo è poca cosa e tuttavia questa poca cosa offre nella sua stessa natura degli aspetti così grandi da toccare l’infinito. Per questo, solo per chi è dotato di un’anima intelligente e libera, i suoi atti morali sono suscettibili di prendere una direzione assolutamente contraria, a seconda che sia osservata o disconosciuta la Volontà divina: ed è da questo libero esercizio delle facoltà umane che ne risulta un bene o un male, uno stato di ordine o di disordine, al quale il Dio di ogni perfezione e di ogni giustizia non sarebbe indifferente. Ma questa risposta non è che una risposta abbozzata. Che cos’è l’uomo? Ebbene consideratelo in Colui del quale è stato detto: « Ecco l’uomo ». Che cos’è il Figlio dell’uomo? Ebbene esaminatelo in Colui al quale il Padre ha detto nel tempo, come Gli aveva detto nell’eternità: « Voi siete mio Figlio ». Comprendete dopo ciò come Dio si ricordi dell’umanità e non la tratti da estranea. Sì, o Dio, e non si tratta solo della Persona del vostro Cristo, ma di tutto quanto Egli rappresenta, di tutto ciò che continua e prolunga, nella razza umana, questo Figlio di Dio, divenuto il Figlio dell’uomo; sì, Egli ha allora di che attirare i nostri sguardi, c’è là un oggetto legittimo dei nostri pensieri e delle nostre attenzioni (Mgr. Pie, Tom. VIII, 243, 244). – Pensare che oltre al rapporto che noi abbiamo sotto l’aspetto corporale con la natura cangiante e mortale, noi abbiamo d’altro canto un rapporto intimo ed una segreta affinità con Dio, perché Dio stesso ha messo qualche cosa in noi che può confessare la verità del suo Essere, ed adorarne la perfezione, ammirarne la pienezza; qualche cosa che può sottomettersi alla sovrana potenza, abbandonarsi alla sua alta ed incomprensibile saggezza, confidare nella sua bontà, temere la sua giustizia, sperare nella sua eternità. Da questa angolazione, se l’uomo crede di avere un’elevazione, non si ingannerà (Bossuet, Or. Fun. De la Duch. D’Orl.). – La grandezza dell’uomo, è tale in ciò che si riconosce miserabile. È dunque miserabile riconoscersi miserabile, ma è grande riconoscere che si è miserabile. Il pensiero fa la grandezza dell’uomo. L’uomo non è che una canna, la più debole della natura, ma è una canna pensante. Non occorre che l’universo intero si armi per schiacciarlo. Un vapore, una goccia d’acqua è sufficiente per ucciderlo. Ma quando pure l’universo lo schiaccerebbe, l’uomo sarebbe ancora più nobile di chi lo uccide, perché egli sa che muore; mentre del sopravvento che l’universo ha su di lui, l’universo non ne sa nulla. (Pascal). – Dopo la creazione di cui Davide ha fatto comprendere il magnifico insieme per una sola delle sue parti, il Re-Profeta giunge alla provvidenza particolare per gli uomini, e soprattutto al grande beneficio dell’Incarnazione, che ne è l’espressione più sublime (S. Chrys.). Questi termini di “ricordo”, di “visita”, designano nel testo, come nelle versioni, delle attenzioni particolari della Provvidenza, dei benefici segnalati, delle testimonianze di favore. (Berthier). – Dio, infinitamente elevato al di sopra dell’uomo, vuole certo ricordarsi di lui: Egli lo ha visitato in mille modi, in tutti i tempi, ed infine con la straordinaria visita del Figlio suo incarnato: e questa visita intima, la più stretta dopo l’unione ipostatica, Egli l’ha perpetuata fino alla fine dei tempi nell’adorabile Sacramento dell’Eucarestia, vera e sostanziale estensione dell’Incarnazione, ove un Dio si offre non più alla natura umana in generale, ma distintamente ad ogni fedele in particolare.

ff. 6, 7, 8. – Tre sono i benefici di Dio verso la natura umana: – Egli lo ha creato di poco inferiore agli Angeli, – lo ha circondato di gloria e di onore, facendolo a sua immagine, dotandolo di intelligenza e di libertà, – infine gli ha dato il dominio su tutte le altre sue opere (Bellarm.). – Malgrado l’abbassamento dell’uomo seguito al suo peccato, Dio non lo ha spogliato interamente delle sue prerogative, non gli ritirato, ma solo ristretto l’impero che gli aveva dato su tutti gli animali (S. Chrys.). – O Dio, io ho considerato le vostre opere e ne sono stato colpito. Cosa è diventato questo impero che Voi ci avete dato sugli animali. Non se ne vede più tra noi che un piccolo resto, come un debole memoriale della nostra antica potenza ed un resto maledetto della nostra passata fortuna (Bossuet, Elév.). – Per grande giustizia, gli animali si sono rivoltati contro colui che si era rivoltato contro Dio. – L’uomo, quasi uguale all’Angelo per la sua condizione, si mette al di sotto degli animali con le sue inclinazioni sregolate; Dio lo ha coperto di gloria e di onore, ed egli si copre di obbrobrio e di infamia; Dio l’ha stabilito sulle opere delle sue mani, ed egli si assoggetta alle creature delle quali la sua cupidigia lo rende schiavo. Ahimè, Ahimè « L’uomo, che è stato messo in tanto onore, distinto dagli animali con la sua creazione, costituito loro maestro e loro sovrano, si è reso uguale alle bestie insensate, ed è divenuto simile a loro » (Sal. XLVIII, 13, 21).

ff.10 – Questo salmo, che termina come è incominciato, ci fa comprendere che noi dobbiamo cominciare e finire la nostra vita, i nostri anni, i nostri mesi, le nostre giornate, le nostre ore, tutte le nostre azioni, con l’ammirare ed adorare la grandezza di Dio, e che dobbiamo concludere tutte le nostre preghiere gettando uno sguardo su Gesù-Cristo.

16 LUGLIO: MADONNA DEL CARMELO (2019)

16 LUGLIO MADONNA DEL CARMELO (2019)

LA MADONNA DEL CARMINE

L’ ORAZIONE.

Deus, qui beatíssimæ semper Vírginis et Genetrícis tuæ Maríæ singulári título Carméli órdinem decorásti: concéde propítius; ut, cujus hódie Commemoratiónem sollémni celebrámus offício, ejus muníti præsídiis, ad gáudia sempitérna perveníre mereámur: Qui vivis et regnas cum Deo Patre, in unitate Spiritus Sancti, Deus, per omnia saecula saeculorum.

“0 Dio, che avete concesso all’ Ordine del Carmelo l’insigne onore di portare il nome della beatissima sempre Vergine Maria vostra Madre, concedete a noi, nella vostra misericordia, che circondati dalla protezione di Colei di cui onoriamo oggi solennemente la memoria, meritiamo di pervenire all’eterna felicita; voi che Dio vivete e regnate etc. “

L’EPISTOLA.

Lezione tratta dal Libro dell’Ecclesiastico. Cap XXIV, v. 23,31.

Io come la vite gettai fiori di odor soave, e i miei fiori sono frutti di gloria e di ricchezza. Io madre del bell’amore, e del timore e della scienza e della santa speranza: in me ogni grazia per conoscer la via della verità, in me ogni speranza di vita e di virtù. Venite a me voi tutti,voi che siete presi dall’amore di me; e saziatevi dei miei frutti; perché dolce è il mio spirito più del miele e lamia eredità più’ del favo del miele. Memoria di me si farà per tutta la serie dei secoli. Coloro che mi mangiano hanno sempre fame, e coloro che mi bevono hanno sempre sete. Chi ascolta me non avrà mai da arrossire, e quelli che per me operano non peccheranno. Coloro che mi illustrano, avranno la vita eterna.

IL VANGELO.

Segue il santo Vangelo secondo s. Luca, Cap. XI, v. 17. 28.

lo quel tempo mentre Gesù parlava alle turbe, alzò la voce una donna di mezzo ad esse, e gli disse: Beato il seno che ti ha portato, e le mammelle che hai succhiate. Ma Egli disse: Anzi beati coloro, che ascoltano la parola di Dio, e l’osservano.

In qualità di Madre di Dio, Maria è pietosa alle nostre necessità; in qualità di Madre di Dio, Maria può soccorrerci nelle nostre necessità: questo è quanto ci insegnano i Padri, e c’insegna la Chiesa, è quanto ci detta la ragione, e l’esperienza di tutti i tempi c’impedisce di porre in dubbio. Alla nostra profonda venerazione per l’augustaMadre di Dio uniamo adunque la più gran fiducia; ricorriamo a Lei in tutte le penose congiunture in cui ci troveremo: poiché in qualunque occasione ciò avvenga, Maria può essere per noi un aiuto infallibile, estendendosi la sua misericordia ad ogni cosa, intromettendosi in tutte le nostre necessità, quanto ai beni spirituali, e quanto ai beni temporali. Voi dunque, dice s. Bernardo, voi tutti che vogate in mezzo agli scogli e alle tempeste di questo mondo, se volete salvarvi dal naufragio, mirate la vostra stella, alzate gli occhi verso Maria. Siete assaliti da violente tentazioni, vi sentite mancare le forze, e il vostro cuore è presso a soccombere? Chiamate in vostro soccorso Maria. Siete esposti a gonfiarvi d’orgoglio, all’amarezza dell’odio, agli impeti dell’ira, al veleno dell’invidia? Invoca te Maria. È la tribolazione che vi perseguita, vi affligge, vi abbatte e vi desola? Cercate in Maria il vostro sostegno. In tutti i pericoli, in tutti i mali, in tutte le sventure di questa vita mortale, pensate a Maria,  e tendete a Lei le braccia per implorare la sua assistenza – La Regina dei cieli, che oggi onoriamo, sotto il titolo di Nostra Donna del santo scapolare, apparendo al Beato Simone Stock, generale dell’ordine dei Carmelitani, gli pose nella mano il santo scapolare, come uno scudo contro tutti gli assalti e una difesa in tutti i pericoli, come uno dei più saldi appoggi nell’ultima ora, e quasi assicurazione contro lo spaventoso rischio di una irrevocabile condanna: ma non perdiamo di vista che tante promesse sono unite alla confraternita del santo scapolare, non per dispensarci dalla penitenza, ma per aiutarci a far penitenza; non per sottrarci alle leggi del Vangelo. ma per facilitarcene l’osservanza; non per darci una colposa sicurezza nelle nostre sregolatezze, ma per ottenerci i mezzi di uscirne; non per assicurarci una santa morte dopo una vita peccaminosa, ma per farci pervenire alla morte preziosa dei giusti con la vita pura o penitente dei giusti. – Maria è il rifugio dei peccatori, ma dei peccatori contriti,dei peccatori penitenti, dei peccatori che sentendo l’infelice stato a cui gli ha ridotti il peccato, si sforzano di uscirne e di salvare la loro anima dal fuoco eterno. Mariaè la Madre di misericordia, ma la sua misericordia non e una pietà meschina e cieca, una molle indulgenza che favorisca il peccato, ledendo i diritti della giustizia divina; è una misericordia illuminata e pronta sempre a seguire i sentimenti di Gesù Cristo; una misericordia che, facendo sperare il perdono al peccatore, l’eccita nello stesso tempo alla penitenza. Maria è pronta sempre a domandare a Dio la grazia della nostra conversione; ma bisogna che la domandiamo noi stessi con Lei, bisgna che che cooperiamo alla nostra santificazione; ed è follia il riposarci sopra il soccorso di Lei quando da noi medesimi ci abbandoniamo. Facciam capitale, si, di Maria, possiamo, e anzi dobbiamo farlo; ma non speriamo di star d’accordo con Maria, se non temiamo di essere in discordia con Gesù Cristo; e se siamo sempre degni di condanna al tribunale del Figlio di Lei, non speriamo giammai di essere assoluti al tribunale di Maria. Rammentiamoci che per conciliar a noi la benevolenza materna della potente protettrice che onoriamo specialmente oggi, dobbiamo accompagnare alla nostra azione costumi religiosi e puri, costante applicazione nell’adempire tutti i nostri doveri, e la pratica di tutte quelle virtù cristiane, di cui essa ci ha dato l’esempio.

(L. Goffiné: manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste. Tip. Calas., Firenze – 1869)

Decor Carmeli, ora prò nobis.

Indulgentia trecentorum dierum (S. Pæn. Ap., 8 nov.1921).

406

O Vergine benedetta, o piena di grazie, o Reginadei Santi, quanto m’è dolce di venerartisotto questo titolo di Madonna del Monte Carmelo!

Esso mi richiama ai tempi profetici di

Elia, quando Tu fosti, sul Carmelo, raffigurata

in quella nuvoletta, che poi, dilargandosi, si

aprì in una pioggia benefica, simbolo delle grazie

santificatrici, che ci provengono da te. Sin

dai tempi apostolici Tu fosti onorata con questo

misterioso titolo : ed ora mi rallegra il pensiero

che noi ci uniamo a quei primi tuoi devoti e con

essi ti salutiamo, dicendoti: O decoro del Carmelo,

o gloria del Libano, Tu giglio purissimo,

Tu rosa mistica del fiorente giardino della Chiesa.

Intanto, o Vergine delle vergini, ricordati

di me miserabile, e mostra di essermi madre.

Diffondi in me sempre più viva la luce di quella

fede che ti fece beata; infiammami di quell’amore

celestiale, onde Tu amasti il Figliuol

tuo Gesù Cristo. Son pieno di miserie spirituali

e temporali. Molti dolori dell’anima e del corpo

mi stringono da ogni parte ed io mi rifugio,

come figliuolo, all’ombra della tua protezione materna.

Tu, Madre di Dio, che tanto puoi e tanto vali,

impetrami da Gesù benedetto i doni

celesti dell’umiltà, della castità, della mansuetudine,

che furono le più belle gemme dell’anima

tua immacolata. Tu concedimi di esser forte

nelle tentazioni e nelle amarezze, che spesso mi

travagliano. Allorché poi si compirà, secondo

il volere di Dio, la giornata del mio terreno pellegrinaggio,

fa’ che all’anima mia sia donata,

per i meriti di Cristo e per la tua intercessione,

la gloria del paradiso. Amen.

Indulgentia quingentorum dierum

(Breve Ap., 12 apr. 1927; S. Pæn. Ap., 29 apr. 1935).