LE BEATITUDINI EVANGELICHE (-5A-)

BEATITUDINI EVANGELICHE

[A. Portaluppi: Commento alle beatitudini; S.A.L.E.S. –ROMA, 1942, imprim. A. Traglia, VIII, Sept. MCMXLII]

CAPO QUINTO (5A)

Beati misericordes: quoniam ipsi misericordiam consequentur.

Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia

I.

LA MISERICORDIA DOPO LA GIUSTIZIA

Poveri noi, se Iddio per il nostro giudizio usasse la sola misura della giustizia! Se Egli ci giudicasse soltanto in base ai comandamenti e alla carenza delle nostre opere buone e se la sua sentenza fosse formulata sotto la fredda luce del diritto e del dovere, come mai potremmo noi salvarci? È vero, che Cristo Giudice non sarà appena giusto, ma anche ispirato dalla misericordia.

L’ABUSO DELL’INDULGENZA

Ed ecco, che l’uomo trova anche in questa consolante verità il pretesto per secondare ogni mala tendenza. Siamo tanto frivoli, da raggiungere tutte le forme della ingratitudine. Dietro la affermazione « Dio è buono », anziché favorire una volontà tenace nell’obbedienza e nel sacrificio, deponiamo, come in un rifugio provvido, il proposito di indipendenza e di ribellione. Ma l’abuso del senso del perdono, oltre ad essere grave offesa al Signore, è un piano inclinato su cui si scivola verso ogni bassezza. Abusare della indulgenza di Dio è provocare la sua più severa condanna. – E quando fossimo tentati in questo senso, subito reagiamo mantenendoci nella ferma ubbidienza alla legge del Signore. Provocare la divina giustizia è stoltezza. – Dice l’Autore della Imitazione: « O miserabile e sciocco peccatore, che cosa risponderai a Dio consapevole di tutte le tue iniquità, mentre ora talvolta tremi davanti ad un uomo sdegnato? » (I, 24, I).

Ma la misericordia esiste. La misericordia vive ed agisce. È anzi la nostra garanzia di salvezza. Sopra di essa noi poggiamo tutta l’opera della Redenzione. Non è per merito di questo attributo divino, forse, che noi leggiamo e gustiamo la storia della nostra liberazione dalla schiavitù di satana? Storia tragica, ma soffusa di una ineffabile atmosfera di indulgenza. In essa noi abbiamo la prova e il documento della potenza di Dio, che salva ciò che era perduto nella oscurità della colpa e che redime ciò che era smarrito dietro la vanità della mondana leggerezza. E sappiamo, che questa potenza salvatrice non s’è esaurita nei secoli, ma piuttosto sviluppata e affermata in una ricchezza e varietà stupenda di applicazioni. « Della misericordia del Signore è piena la terra ». Ed « è per la tua misericordia se noi non siamo ridotti in frantumi ».

DIO NON E’ NOSTRO SERVITORE

Penso alle colpe dei singoli contro la Divinità. È una cosa orrenda, una enormità, che l’uomo, creatura fragile, da un incidente minimo distrutto, ardisca ribellarsi contro il suo Creatore. Chi lo penserebbe d’un uomo verso un altro uomo, a lui superiore? Lo può fare un pazzo. Deve essere più che pazzo il peccatore, che sfida la giustizia del Signore. Talvolta l’incredulità si nasconde dietro il peccato e ne è la causa segreta. È una vera provocazione della Divinità, fatta da un essere di nessuna consistenza e tutto e in tutto alla sua mercé. L’uomo intende invitare Dio a dimostrargli la sua presenza e potenza e lo fa in tono di sfida insana. Ho letto una dimostrazione evidente del modo come Dio osserva questa pretensiosa empietà. – « Due uomini stanno davanti a un angolo della camera, coperto da una tenda.

A dice a B: — Sotto quella tenda sta un uomo con un’arma carica. B sorride e risponde: — Io non ci credo; tu vuoi darmela ad intendere per spaventarmi. A : — Certo, ci sta. Allora B : — Io voglio mostrarti che non v’è dentro nessuno. Si ferma indietro alquanto, poi grida verso la tela: — Ehi, tu, se effettivamente vi sei nascosto, uccidimi! A è terrorizzato e aspetta il colpo mortale; ma nessuno si muove.

Ride B e dice: — Vedi ora, che non v’è nessuno dietro la tenda? Ambedue si dirigono verso l’angolo, sollevando la tela e davvero vedono un uomo con l’arma carica in mano. Stupore e terrore di B. Il quale chiede all’uomo: — Perché non hai sparato? Egli risponde: — Devo io farlo quando lo dici tu? Puoi tu impormi qualcosa? — Così, allorché il bestemmiatore sfida apertamente la divina giustizia e Dio non risponde, non è lecito affermare che Dio non esiste, ma soltanto: — Dio, in questo caso non si muove. – Altrimenti Dio sarebbe alla mercé del nostro capriccio e noi potremmo provocare miracoli. Ha forse Dio il dovere di manifestare prodigiosamente la sua esistenza, per far piacere al peccatore? Quando entreremo nell’eternità, sarà levato il velo e il negatore fatuo e presuntuoso si sentirà invaso da una sorpresa spaventosa. – La più elementare prudenza deve suggerire all’uomo di non provocare la divina giustizia. Anche perché la sua legge è l’espressione delle esigenze della  nostra natura, del bisogno insopprimibile di elevatezza, della volontà di pace. È vero, che ci sono i negatori ostinati e affatto irragionevoli, caparbi e chiusi ad ogni prospettiva di luce. Si tengono estranei alle sollecitudini dello spirito con un’attenzione, che ha del diabolico, tradiscono quasi la paura della verità. Ma sovente, sotto l’animo amareggiato, che non sia scettico di proposito, anche se persiste a lungo nelle negazioni, si scopre come queste siano piuttosto « amantium iræ », capaci di diventare salde affermazioni di fede e di attaccamento alla verità. – Il peccatore, ha scritto Giovanni Papini, è « sovente crisalide miracolosa di possibile santità ». L a giustizia infatti è quaggiù lenta e paziente. Dio è Padre e amoroso e generoso; nondimeno si deve rimanere prudenti, davanti al pericolo. « Si nolueris servire charitati, necesse est ut servias iniquitati (S. Agost., in Ps. XVIII, 15).

PROCESSO Al POPOLI

Occorre altresì pensare alla giustizia nei confronti delle colpe dei popoli. Il Signore li processa quaggiù; poiché nell’altra vita entrano i singoli, non le collettività. È una cosa ben dolorosa vedere gli innocenti puniti insieme e per colpa degli iniqui. Ma Dio ha modo e sa compensare lautamente quelli e farli risplendere come oggetti della sua benevolenza. Sono essi infatti gli assertori della sua volontà; li glorifica e premia per impegno e riconoscimento di giustizia. Oggi lo vediamo sotto gli occhi nostri il processo da Dio intentato contro i popoli. L’apostasia da lui ha raggiunto le estreme conseguenze. Delle lacerazioni fatte alla Chiesa nel secolo X e poi nel XVI, che fu la più gravida di deleterie conseguenze, oggi assistiamo ai risultati visibili in una tragica affermazione delle passioni a Dio ribelli. L’avarizia e la lussuria esaltate dalla superbia. Ecco l’umanità che cammina verso l’autodistruzione.

« E disse: Va’ e dirai a questo popolo: Gli orecchi per udire li avete, ma non volete capire; avete gli occhi per vedere, ma non volete intendere. Acceca il cuore a questo popolo e indura le sue orecchie e chiudigli gli occhi affinché non vegga co’ suoi occhi, né oda coi suoi orecchi e non comprenda col suo cuore e si converta e lo risani ». (Is., VI, 9-10). E non soltanto il popolo ebreo ebbe ad essere vittima dell’ira giusta di Dio. Ira la quale si esprime e si effettua secondo l’ordine delle volontà umane; poiché il male reca in sé il seme del suo proporzionato castigo. Talvolta questo si avvera con lentezza, ma non falla, se non intervenga una disposizione contraria di Dio medesimo. La giustizia deve essere in ogni caso soddisfatta. A noi non è dato di conoscere le proporzioni in cui egli sa inserirvi la sua misericordia; ma certo è che la sua giustizia deve essere placata per intero. Ed è piuttosto ragione di conforto che di timore; giacché la giustizia è un bene, è una virtù, che onora Dio, è una garanzia per tutti. E oltre a ciò è il segno della serietà e del rispetto che Dio ha per noi. Egli mantiene la parola data e dimostra in noi fiducia. Si interessa alla nostra condotta, promettendo e minacciando, ci guarda con occhio di padre e non ci abbandona alla nostra sorte, come estranei. Nella « fedeltà » di Dio troviamo la ragione della nostra dignità di uomini.

II

IMITARE LA DIVINA MISERICORDIA

Non ci spaventa la divina giustizia, ma ci tiene svegli e attenti all’orientamento della nostra volontà. Il timor santo di Dio ha questo fine appunto. Sappiamo d’altronde quanto grande sia la sua misericordia, la quale in Lui è la stessa virtù. Un’armonia inesprimibile per noi, ma effettiva e reale. L’armonia della vita divina, dell’amore sovrano, della pietà sconfinata. È deplorevole, che noi non sappiamo sempre con vivezza e ardore sentire tutto questo, che è Iddio, poiché la nostra esistenza sarebbe ancorata così saldamente, da affrontare qualunque contrasto per il bene con animo vittorioso. Sentite come il poeta salmista parla delle attenzioni di Dio nei riguardi dell’uomo. « Circumduxit eum et erudivit eum; et custodivit eum sicut pupillam oculi; gli fece la guida, lo ammaestrò, lo custodì come la pupilla dell’occhio suo; Sicut aquila tegit nidum suum et super pullos suos circumblanditur — come l’aquila che addestra al volo i suoi piccoli e vola sovressi: expandit pennas suas et accepit eos; et elevavit eos super scapulas suas — stese le sue al Signore! sollevò Israele, e lo portò sulle sue spalle » Duter., XXXII, 10-12). È la parola dello Spirito Santo attraverso la mente di un popolo ancora agli inizi delle espressioni dell’amore di Dio verso di lui. Ma noi allora, che cosa dovremmo dire? Non ci bastano i simboli dell’amore umano più appassionato e più alto. La nostra anima è fasciata dalla sua misericordiosa bontà. La nostra giornata è segnata da sempre nuove prove della sua attenta tenerezza per noi. Le vicende della vita nostra recano sempre più palesi impronte del suo amore per i criteri nostri impossibile. Le parole della Scrittura, che lo cantano ed esaltano, sono appena un tenue attestato della riconoscenza dell’uomo. Non dicono a noi più grandi cose; perché assuete e senza profonde risonanze nel nostro spirito. Le riputiamo con sentimento, come il meglio che ci sia suggerito, come il canto dei secoli, come il grido delle anime fedeli d’ogni tempo, come l’eco di milioni di cuori commossi e grati. Ma vorremmo ben altre voci levare verso i cieli e con commozioni mille volte più profonde.

LA NOSTRA MIOPIA

Sappiamo tuttavia, che la migliore riconoscenza non è questa delle lodi, sebbene quella delle opere in sincerità di spirito. Queste sono la prova dell’amore, soprattutto se importano sacrificio, rinunce, sforzi della pigra volontà. E poiché siamo sotto l’impressione della divina misericordia, dimostrare a Dio la decisione di usar questa virtù nei nostri rapporti con i fratelli, con gli altri suoi figli. Sicché dover nostro è di farci realizzatori di misericordia. Quando viene la Domenica in cui leggiamo nel Vangelo la storia del servo iniquo, il quale dopo d’aver ottenuto con lagrime bugiarde la remissione del suo grosso debito, si mostrò crudele verso un collega, che gli doveva poche lire, ci pare di non poter trovare dei riferimenti pratici nella nostra vita comune, ci sembra, che per incontrare tanta malvagità occorra cercare assai lontano. Non ci sfiora lo spirito Il dubbio d’essere tante volte duri e cattivi con chi ci vive accanto. Manchiamo di coerenza e di sincerità. Siamo facili e pronti a trovare perdonanza per noi; stentati e sofistici a scoprire in noi colpe e deficienze. Usiamo le lenti d’ingrandimento sulle magagne dei prossimi e abbiamo gli occhi miopi per noi. Siamo nel fondo dell’animo soddisfatti di non vedere in noi gravità da condannare, ma non egualmente generosi se le si rilevano nei vicini. Ci pare insomma, che il bene altrui ci faccia piccoli e l’altrui colpa invece ci esalti. L’angustia del nostro spirito si accentua in presenza della generosità del Signore. Eppure, se siamo sinceri verso di noi, dobbiamo pur riconoscere, che il dominio delle cattive tendenze è cosa non facile. L’uomo è fragile davanti alla tentazione. Sta in questo appunto l’argomento psicologico che prova la verità del dogma del peccato originale. Manca in noi l’equilibrio delle tendenze: da un lato un gran desiderio di bene, di virtù, di elevatezza, da un altro invece il peso di tante forze di seduzione verso il piacere disordinato, e perciò, illecito e peccaminoso. È vero, che la grazia di Dio è per noi di vigoroso soccorso. Si vince con essa e la volontà di bene ottiene il sopravvento. Grande conforto per tutti e prova della sovrana esistenza del Signore su noi e sulla nostra vita morale. Ma la constatazione ci deve far sempre più persuasi della nostra debolezza. Orbene, se siamo deboli noi, lo sono pure i nostri prossimi; e se noi riteniamo d’aver diritto a compatimento e ad indulgenza, altresì i vicini, che soffrono di quello scompenso intimo e umiliante. È chiaro, che la bontà dei santi verso chi si presenta loro come colpevole, sia abbondante e spesso sorprendente. Essi, i migliori indagatori di spiriti, le guide e i consiglieri di tante anime, gli sperimentatori della vita sotto le sue facce più disparate, sono sempre anche sconfinatamente indulgenti e compassionevoli. Essi mirano in tutto a incoraggiare, a seminare confidenza, a stimolare l’abbandono totale nel Signore.

LA COMPRENSIONE DEI SANTI

Leggiamo una pagina dei Catechismi del santo Curato d’Ars. « Se ci elogiano un amico senza rammentarci, ne siamo contrariati; c’indispettiamo anche nel vedere che altri sono più virtuosi di noi, perché, pensiamo, saranno maggiormente amati e onorati. Se vediamo qualcuno, convertito da poco tempo, fare progressi rapidi nella virtù e raggiungere alla svelta un alto grado di perfezione, ne soffriamo e sentendo lodarlo, diciamo con afflizione: — Oh! non è stato sempre così; era come gli altri, ha fatto questo e quell’altro. Differentemente è il Cristiano, figlioli miei; lo paragonano a una colomba, perché è privo di livore; ama tutti i buoni, perché son tali, i cattivi per compassione e perché vede in essi delle anime riscattate dal sangue di Gesù Cristo. Prega per i peccatori e dice a Nostro Signore: Mio Dio non permettete, che periscano queste povere anime. Così si giunge al Cielo, mentre coloro che hanno stima di se medesimi, perché fanno qualche pratica di pietà, ma che vivono sempre nell’odio, nella gelosia, si ritroveranno spogli nell’ultimo giorno. Dobbiamo odiare soltanto i demoni, il peccato e noi stessi. È necessario acquistare la carità di S. Agostino, che gioiva vedendo un’anima buona: « Almeno, diceva, eccone una che risarcisce Dio del mio poco amore ». – Il rancore verso gli altri è lontano le mille miglia dalla vita cristiana. La dottrina di Gesù è troppo diversa e anzi opposta. Se pensiamo, per giustificarci, al male ricevuto dal prossimo, dobbiamo piuttosto chiederci, se non abbiamo noi stessi meritato l’umiliazione, la critica, l’avversione, per altri peccati. Ora il Signore permette, che noi li scontiamo; ma non è lecito giustificare in nessun modo il rancore. Del resto, neppure alcuna forma di vendetta. Senza la carità si è in contrasto con Dio. In punto di morte avremo davanti tutti i nostri difetti e le mancanze di ogni natura e non sarà una impressione lusinghiera; ma se potremo sentire che ciò nonostante abbiamo coltivato la carità e siamo stati pronti a reprimere ogni risentimento, dimenticate le ingiurie, perdonate le offese, potremo essere tranquilli. Il Signore della carità ci userà misericordia.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.