SALMI BIBLICI: “BEATUS VIR QUI NON…” (I)

Salmo 1: “BEATUS VIR”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES 

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR

13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

TOME PREMIER.

SALMO I.

[1] Beatus vir qui non abiit in consilio impiorum, et in via peccatorum non stetit, et in cathedra pestilentiæ non sedit;

[2] sed in lege Domini voluntas ejus, et in lege ejus meditabitur die ac nocte.

[3] Et erit tamquam lignum quod plantatum est secus decursus aquarum, quod fructum suum dabit in tempore suo: et folium ejus non defluet; et omnia quæcumque faciet prosperabuntur.

[4] Non sic impii, non sic; sed tamquam pulvis quem projicit ventus a facie terrae.

[5] Ideo non resurgent impii in judicio, neque peccatores in concilio justorum,

[6] quoniam novit Dominus viam justorum; et iter impiorum peribit.

SALMO I.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da Mons. ANTONIO MARTINI, Arciv. di Firenze etc.

Vol. X

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

La beatitudine del giusto.

1. Beato l’uomo che non va dietro ai consigli degli empi e non si ferma nella via dei peccatori, né si pone a sedere sulla cattedra di pestilenza;

2. Ma suo diletto ell’è la legge del Signore e la legge di lui egli medita di giorno e di notte.

3. Ed ei sarà come arbore piantato lungo la corrente delle acque, il quale darà a suo tempo il suo frutto; E foglia di lui non cadrà: e tutto quello che egli farà, avrà prospero effetto.

4. Non cosi sarà degli empi, non cosi: ma e’ saran come loppa, cui sperge il vento dalla superficie della terra.

5. Per questo non risorgeranno gli empi in quel giudizio, né i peccatori colla congregazione dei giusti;

6. Perocché conosce il Signore la via dei giusti, e la strada degli empi finirà nella perdizione.

Sommario analitico

Il Profeta, per eccitare tutti gli uomini alla pratica della virtù, fa qui una descrizione della felicità del giusto e dell’infelicità del malvagio e del peccatore. Egli descrive:

I. — I due doveri dell’uomo giusto:

Fuggire il peccato. —

(a) Nei suoi pensieri, non prendendo parte alcuna ai consigli degli empi;

(b) nelle sue azioni, non imitando la condotta dei peccatori;

(c) nelle sue parole, non professando dottrine perverse.

Praticare la virtù con l’aiuto dei due principali mezzi:

(a) L’amore della legge di Dio;

(b) la meditazione continua di questa legge (2).

II. — La propria felicità che proviene:

1° Dall’essere fortemente radicato nella fede;

dalla molteplicità delle grazie che riceve;

dall’abbondanza dei suoi frutti; (3);

dal suo fogliame che rimane costantemente verde;

dai successi che coronano tutte le sue imprese (4).

III. — Il danno di colui che tiene una condotta contraria.

1° In questa vita: —

(a) È privato della felicità e delle grazie dell’uomo virtuoso;

(b) è disperso come la polvere lieve che il vento disperde (5).

Nell’altra vita: —

(a) Egli sarà preso dal terrore nel giorno del giudizio;

(b) sarà cacciato dall’assemblea dei santi (6).

IV. — Il soccorso potente di Dio che:

1° Ama le azioni dei giusti e le approva;

2° Distrugge ed annienta i consigli dell’empio (7).

Spiegazioni e Considerazioni

I — 1, 2.

Questo Salmo non ha un titolo, perché è come il titolo generale di tutti gli altri Salmi; ne è come il vestibolo ornato di corone e di fiori che sono destinati a quelli che perverranno alla conoscenza di questi divini cantici, poiché essa promette ed assicura la felicità a coloro che meditano la Legge di Dio e la mettono in pratica. Così San Girolamo definisce questo salmo: “la prefazione dello Spirito Santo”; San Gregorio di Nyssa: “l’introduzione alla filosofia spirituale” (Tract. II in Ps., cap. VIII); San Crisologo: “la prefazione, la lettera e la chiave dei Salmi” (Serm. XLIX). « Il Salmo che abbiamo cantato oggi – egli dice – è la prefazione a tutti gli altri Salmi, esso è il Salmo dei Salmi, il titolo per eccellenza, il soggetto che dà luogo a tutti gli altri, la causa di tutti i Salmi successivi. – Quando la chiave di un palazzo ne ha aperto le porte, se ne intravede il magnifico interno ed i ricchi e preziosi appartamenti. Così, questo Salmo ben compreso, ci spiega i misteriosi segreti rinchiusi negli altri Salmi. » San Basilio, dal suo canto, lo definisce “il fondamento e la base di tutti gli altri Salmi”. « … ciò che sono – egli dice – le fondazioni di una casa che si costruisce, ciò che è la carena per il corpo di un vascello, ciò che è il cuore nel corpo di un essere animato, questo salmo, così breve, lo è per tutti gli altri Salmi che seguono » (Homil. in Ps. I).

ff. 1. – Tutte le fibre dell’intelligenza e del cuore si sollevano a questa parola così semplice e completa nella sua espressione, che apre l’ammirevole collezione dei Cantici ispirati di Davide. « Beato, etc. ». Con questa parola, all’esiliato sembra che si parli della patria; al bambino di sentire pronunziare il nome di una famiglia teneramente amata che parrebbe aver perso. – Che cos’è allora la felicità? Nel suo significato più esteso, è il bene perfetto di tutto l’essere, è uno stato perfetto per la comunione di tutti i beni, è uno stato in cui non resta più nulla da desiderare, più niente da ottenere (S. Thom.) – Il consiglio è come la base ed il fondamento di tutte le azioni, è – dice S. Crisostomo – la luce della vita. – « Beato dunque è colui che non è entrato nel consiglio degli empi. » C’è una differenza considerevole tra l’empietà ed il peccato. Per grazia di Dio, non è empio ogni peccatore, poiché ogni peccato non è l’empietà. Al contrario, è impossibile che l’empio non sia un peccatore, atteso che l’empietà implichi di per se stessa i più grandi peccati. Un figlio può essere vizioso, sregolato, prodigo, ma può amare e rispettare suo padre: in questo egli non è esente da peccati, ma non offende la pietà filiale. Gli empi al contrario, sono coloro che pur essendo forse regolari in molti punti della loro condotta, sovrastano comunque i semplici peccatori poiché l’oltraggio è nei confronti del Padre celeste (S. Hil.) – La via dei peccatori è quella via larga della quale Gesù ha detto: « Quanto è larga la via che conduce alla perdizione ed alla morte, e quanto numerosi sono coloro che entrano per questa porta! » (Matteo VII, 13). La via di ciascuno è la propria vita: la via dei presuntuosi è l’orgoglio; la via del desiderio e del possesso, è l’avarizia; la via del voluttuoso, è la concupiscenza della carne (S. Greg.) – C’è una gradazione nel male: ci si lascia prima prendere dalla vanità, ci si sofferma poi nel piacere del peccato, infine ci si adagia per il consenso che gli si dà. Colui che fa il male costruisce la carne, colui che persevera nel male si adagia in questa carne (Hug. Di S. Victor.) – Questa carne di pestilenza sono le dottrine perniciose che San Paolo raccomandava ai suoi discepoli di fuggire; perché, diceva, « … tali insegnamenti conducono molti all’empietà, ed i discorsi che pronunciano certe persone, si propagano come la gangrena ». (I Tim., II, 10, 17). Le parole e gli esempi empi scivolano molto facilmente nella nostra anima, a causa della doppia inclinazione tanto violenta che essa prova per la sensualità e l’indipendenza. Come un cancro che divora le parti sane, e che propaga la sua corruzione a tutto il corpo, così le cattive dottrine non lasciano niente di sano nell’animo dei fedeli che esse seducono. – Il primo ed incomparabile titolo, la prima gloria del vero giusto, è l’eroismo della sua separazione. Egli si separa dalla folla, esce dai confini del male, resta puro in seno alla comune perversione. – Esistono tre gradi diversi di perversità nel mondo, tre regioni differenti dove si trovano riuniti i transfughi della verità e della virtù. La prima è quella in cui, senza essere empi in se stessi, « si va verso lo scisma degli empi ». È questa la regione delle anime molli, inconsistenti e lasse, è la patria delle leggerezze, delle ignoranze, delle false tradizioni. Questi uomini non hanno della religione, delle verità divine, dei doveri soprannaturali, se non qualche vaga ed imprecisa nozione; sono uomini il cui linguaggio lasso si presta, di volta in volta, con indifferenza sia al bene come al male, al vizio come alla virtù – La seconda regione comprende non più solamente gli uomini che si accontentano di avviarsi sui sentieri del male con un primo passo malfermo e ancora da novizio, bensì le intelligenze che hanno raggiunto il loro stato definitivo, il loro soggiorno fisso e permanente nell’incredulità dello spirito, nei vizi del cuore, nella grossolana e criminale indifferenza della vita. – La terza regione è quella in cui si trovano gli apostoli del male, quelli che lo predicano, l’impongono, si sforzano di introdurlo dappertutto e di farlo trionfare. È l’insegnamento dell’incredulità che, dall’alto delle cariche pubbliche, così come nelle riunioni delle società segrete, fa colare l’empietà ampiamente, il vizio con l’empietà, la blasfemia contro Dio, l’odio contro ogni ordine sociale, il sovvertimento di tutti i princîpi, la negazione di tutte le virtù. (Doublet, Salmi per la predicazione, III, 55).

ff. 2 – Che cos’è « avere la sua volontà nella legge »? È amare sinceramente la Verità! Ci sono molti che hanno la legge nel cuore, ma non hanno il cuore nella legge. Aver le legge nel cuore è conoscere la verità. Ma quelli che hanno la legge nel cuore senza avere il cuore nella legge, portano la legge e non sono portati dalla legge; essi sono caricati senza esserne aiutati, perché la scienza senza la carità è un fardello piuttosto che un aiuto (Hug. De S. Victor., cap. II in Psalm.). Avere la propria volontà nella legge, significa volere ed amare la legge. « La dov’è il vostro tesoro, lì è il vostro cuore ». (Matth. VI, 21) – Una cosa è « essere nella legge », altra cosa è essere “sotto” la legge. Colui che è nella legge si comporta secondo la legge; colui che è sotto la legge è condotto secondo la legge (S. Agost.) – « Ora noi non siamo sotto la legge, ma nella grazia » (Rom. VI, 15). È quanto prediceva il Profeta: « Io metterò la mia legge fin nelle loro viscere » (Gerem. XXXI, 33). È quanto pure esprimeva il Re-Profeta « … la vostra legge è nel mio cuore » (Ps. XXXIX, 9); essa non è in un angolo, ma al centro del proprio essere, come il sole, in mezzo al cielo, espande dappertutto la luce ed il calore. – « … Ed egli mediterà, etc. » Dall’amore della legge nasce la meditazione assidua e fervente di questa medesima legge. Colui che ama, medita attentamente su ciò che ama: « Io ho meditato i vostri precetti, che sono l’oggetto del mio amore ardente » (Ps. CXVIII, 47) e più avanti « … che la vostra legge sia cara al mio cuore; notte e giorno essa è l’oggetto della mia meditazione » (vv.97). Meditare la legge di Dio notte e giorno è – dice S. Ilario – conformare costantemente la propria condotta alle prescrizioni della legge. Noi preghiamo incessantemente quando, con la pratica di opere gradite a Dio e fatte per la sua gloria, ogni nostra vita diviene una vera preghiera; e vivendo così notte e giorno conformemente alla legge, noi meditiamo realmente notte e giorno su questa divina legge (S. Ilar.). « … Che il libro della legge sia sempre davanti ai tuoi occhi – diceva Dio a Giosuè (I, 7) – tu la mediterai giorno e notte, affinché la osservi e compi tutto ciò che vi è scritto, così renderai retta la tua via, e la comprenderai ». – Il giusto dunque cosa fa? Fissato l’occhio su di una stella divina, medita la legge di Dio giorno e notte, e senza mai compromettersi con l’errore, senza temerla, senza esserne vittima, prosegue tranquillamente la sua strada verso l’eternità radiosa. Se si salda in essa, non rischia di cadere nel consiglio degli empi, deboli davanti all’empietà, non lacera il suo simbolo, cede il passo al suo decalogo con deplorevoli lacerazioni. Se intorno a lui ci si rinsalda nel cammino dei peccatori, egli si salda ancora più strettamente nei sentieri di santità … se il mondo è infettato dai miasmi della carne di pestilenza, se il propagarsi del male è attivo, quello del bene non lo è da meno (Doublet, Psalmes, etc.).

ff. – 3, 4. – « Sarà come un albero, etc. » Geremia sviluppa la stessa similitudine (XVII, 7). È facile applicarne tutti i tratti all’uomo pio e fedele: quali sono questi corsi d’acqua? Le Scritture divine, i Sacramenti che sono i “canali della grazia”! Queste sono le acque correnti e di conseguenza vive, unite alle loro sorgenti, che denotano la forza della carità, che dirige e spinge il loro corso. – « … Darà il suo frutto a suo tempo », segno infallibile del suo tipo d’albero: « ogni albero buono porta dei buoni frutti; … voi li riconoscerete dai frutti, dice ancora Nostro Signore ». Così sentiremo lo Spirito Santo dirci con la voce del saggio: « Ascoltatemi germi divini, fruttificate come i rosai piantati vicino alle correnti di acqua » (ECCLI. XXXIX, 17), ed il Salvatore che dice dal suo canto « Io vi ho stabilito perché portiate frutto, e perché il vostro frutto rimanga » (Joan. XV, 16). Egli porterà il suo frutto, cioè questo frutto sarà equo, proporzionato alla grazia ricevuta, ed egli non si attribuirà nulla della fecondità o del merito degli altri. « Gli alberi che portano un frutto che non sia il loro frutto – dice San Bernardo – sono degli ipocriti; essi portano, con Simone il Cireneo, una croce che non è la loro croce e sono forzati a fare una cosa che non amano » (S. Bernardo). – Una conseguenza importante di questa verità, è che noi cooperiamo realmente alla grazia di Dio. – Il frutto viene a suo tempo, quando: – 1) non è né troppo precoce, come questa vigna di cui parla Isaia: « prima della raccolta essa si è coperta di fiori, ma fiorirà senza maturare, la roncola impietosa taglierà i pampini ed i rami, e sarà abbandonata durante l’estate agli uccelli di montagna, e durante l’inverno agli animali selvatici » (Isaia XVIII, 5, 6); -2) né troppo tardivo, perché Dio vuole che gli si offra la primizia degli alberi (Lev. XIX, 23). – « Esso darà frutto a suo tempo ». Altro è il frutto dell’infanzia, altro quello della giovinezza e dell’età più avanzata; altro è il frutto di chi comincia, altro il frutto di chi si è consumato nella pietà; una cosa è il frutto di un novizio, altro quello di un religioso; altro il frutto del clero, altro quello del sacerdozio, altro quello dell’episcopato; pensate non solo al frutto, ma anche alla maturità che esso deve avere (Bossuet, meditation dern. sett. XXIX gior.). – Pensiamo a ciascuno dei tratti di questa graziosa immagine. Dapprima produrre i frutti, e produrli a suo tempo, quando conviene, come si deve, e come Dio lo richiede e l’attende. Qual è l’albero che si carica di frutti nella sua stagione? È l’albero piantato ai bordi delle acque! Le acque sono la grazia, principio soprannaturale, linfa sovrumana che trasfigura in divino ed in eterno tutto ciò che tocca, è Dio stesso comunicato all’essere creato; Dio che versa a fiotti le ricchezze della propria natura. – « Il suo fogliame non cade mai ». Quando tutto intorno a lui sfiorisce, si secca e cade, esso solo conserva il suo vigore primaverile, il suo fogliame non ingiallisce, i suoi anni non fanno che ingrandire le sue forze e moltiplicare i suoi frutti (l’abbate Doublet, passim). – « … Le sue foglie non cadranno ». I frutti sono per l’utilità, le foglie per la piacevolezza. « Tutto ciò che fa prospererà », verità confermata da Nostro Signore: « … colui che dimora in me ed Io in lui, porterà molto frutto » (Joan, XV, 5); e dall’apostolo Paolo: « Tutte le cose cooperano al bene per coloro che amano Dio », anche le tribolazioni e le sofferenze. – La ricchezza moltiplica le sue ricompense con le sue elemosine; la povertà lo copre con la reale porpora del Dio indigente; la santità conferisce alla sua azione delle energie generose; la malattia gli porta la benedizione del Calvario; la vita accumula i suoi meriti con le sue opere sante (l’abbate Duoblet, Psalmes, etc.).

III. — 5, 6.

ff. 5 – Alla felicità e all’ammirevole fecondità del giusto che il Profeta compara ad un albero « coperto di foglie, di fiori e frutti », egli oppone come contrasto ed in tutte le sue parti, l’infelicità e la desolante sterilità dei peccatori e degli empi. « .. Gli empi sono come la polvere » -1) la polvere è la parte più vile della terra -2) mentre l’albero si stabilisce sulla sue radici che si estendono su tutti i lati, la polvere non aderisce alla terra di cui fa parte. -3) Essa è arida e sterile e rende infecondo tutto ciò che copre. Ed è così per i peccatori e gli empi: « Scrivete che quest’uomo è sterile e non prospererà nei suoi giorni » (Gerem. XXII, 39). -4) Tutti la calpestano con i piedi. « E voi calpesterete gli empi, dice il Profeta, quando essi saranno come la cenere sotto i vostri piedi » (Malach. V, 3). -5) tutte le sue parti sono disunite e disgregate, immagine degli empi che non sono uniti tra loro se non per distruggere. – – 6) Essa è trasportata dal vento, figura della leggerezza, dell’incostanza delle anime separate da Dio, morte alla fede ed alla grazia e che sono trasportate da ogni vento di dottrina. – – 7) Essa irrita e offusca gli occhi, riempie le narici e la bocca. La polvere, dice Sant’Ambrogio, è l’empietà; la potenza degli empi è simile alla polvere. Essa produce l’oscurità e non può dare la salvezza. Quando il vento comincia a soffiare, la solleva, la espande e la disperde. Essa intorbida l’aria, denuda il sole; essa è respinta come la polvere, si dissipa come il fumo, si fonde come la cera (S.Ambr. in Psalm.) – Triplo è il carattere della vita senza Religione, disunione, mobilità, sterilità. – 1° nulla è legato, unito, in questa polvere del cammino, tutto vi turbina disordinatamente, non regnerà mai alcun insieme. Tale è l’incredulo, l’uomo senza Religione. Tutto in questa triste esistenza avanza per caso, tutto è destinato all’imprevisto più spaventoso; è la polvere cacciata dal vento, senza direzione, senza una meta, un termine, senza un uso, un impiego. Lo stesso vale per le nazioni: ciò che perde le nazioni moderne, è la rovina della fede, la perdita, il sovvertimento dei princìpi, la degradazione degli spiriti e dei cuori. – 2° Mobilità, inconsistenza. Il vero Cattolico non è mai mobile né inconsistente; egli resta, in mezzo alle vicissitudini del tempo, il figlio dell’eternità; egli si ride della mobilità delle cose, la sua vita del tempo si eternizza nella speranza. L’uomo senza religione e senza Dio, privo di queste speranze eterne, senza avere l’indomani assicurato, senza rifugio, senza avvenire, è abbandonato a tutti i capricci delle cose umane e a tutte le caducità del tempo. – 3° Sterilità. Come la polvere, sua perfetta immagine, l’uomo senza Religione non è assolutamente utile a nulla di quanto sia veramente grande e serio. (DUOBLET, Psaumes, etc.).

ff. 6 – Gli empi non resusciteranno per il giudizio, – né per giudicare, perché essi non sono nel numero dei giusti che giudicheranno con Gesù-Cristo ed ai quali è detto: « Voi sarete seduti sui dodici troni per giudicare le dodici tribù di Israele » (Matteo XIX, 28); – né per essere giudicati, perché il loro giudizio è stato già pronunciato in questa vita: « Colui che non crederà è già giudicato, perché egli non crede al nome del Figlio unico di Dio » (Joan. III, 18). Quando il figlio di Dio verrà a giudicare il mondo, i riprovati, è vero, risusciteranno nello stesso tempo con i giusti, ma non con i giusti, perché al momento della resurrezione i giusti saranno separati dai riprovati (Bourd. Société des justes, etc.). – Tre sono le ragioni per le quali i peccatori e gli empi non resusciteranno nel giudizio dei giusti: – 1° perché essi sono come la polvere che il vento trasporta; – 2° perché essi vedranno l’elevazione dei santi che essi hanno disprezzato « … Dio conosce la via dei giusti »; – 3° perché in questo giorno sarà pronunciata la loro sentenza definitiva: « … e la via degli empi perirà ». – « Né i peccatori nell’assemblea dei giusti », verità che conferma il profeta Ezechiele quando dice: Essi non saranno nell’assemblea del mio popolo; « … essi non saranno scritti nel libro della casa di Israele » (Ezech, XIII,9).

IV. — 7

ff. 7. – Dio conosce la via dei giusti. Questa conoscenza non è una conoscenza sterile. « È lo stesso – dice S. Agostino – che la medicina conosca la salute e non conosca le malattie, e tuttavia le malattie sono riconosciute dall’arte della medicina, e così si può dire che Dio conosca la via dei giusti e non conosca la via degli empi, non che Dio ignori qualcosa, ma nel senso che essere ignorato da Dio, è perire, e che essere conosciuto da Dio è vivere ». (S.Agost.) – Non sapere, per Dio, è riprovare. Ecco perché Dio dirà alla fine del mondo ai peccatori: « … Io non vi conosco » (S. Greg., Moral., II, 3). – « … E la via dei peccatori perirà ». Si dice di un cammino che perisce, che è distrutto, che cessa di esistere, quando un viaggiatore, recandosi in un determinato luogo, trova la fine di questo cammino senza però arrivare al termine del suo viaggio, oppure quando davanti a lui c’è un precipizio, una palude profonda ed insuperabile. – « … Il cammino degli empi perirà ». Cosa vuol dire? Ci si è incamminati in un cammino che sembrava battuto e solido al punto di partenza, poi sempre più friabile, ed infine completamente sprofondante, lasciando così nel buio della notte in una piana sconosciuta, in una foresta oscura, senza offrire direzioni né vie d’uscita. Tale è il sentiero degli empi: è una strada che si perde, che non giunge a nulla se non al deserto, all’abisso, alla morte. « Depertita eorum via » (S. Ilar., Mgr. Pie, Discours etc. VII, 542).

2 LUGLIO: FESTA DELLA VISITAZIONE (2019)

2 LUGLIO: FESTA DELLA VISITAZIONE (2019)

VISITAZIONE DELLA SANTISSIMA VERGINE

Storia della festa.

Nei giorni che precedettero la nascita del Salvatore, la visita di Maria alla cugina Elisabetta ha già costituito l’oggetto delle nostre meditazioni. Ma era giusto tornare su una circostanza così importante della vita della Vergine, per mettere maggiormente in luce quale profondo insegnamento e quale santa letizia contenga questo mistero. Completandosi nel corso dei secoli, la sacra Liturgia doveva sfruttare questa preziosa miniera in onore della Vergine-Madre. L’Ordine di san Francesco e alcune chiese particolari come quelle di Reims e di Parigi, avevano già – a quanto sembra – preso l’iniziativa quando Urbano VI, nel 1389, istituì la solennità odierna. Il Papa consigliava il digiuno alla vigilia della festa, e ordinava che fosse seguita da un’Ottava; concedeva alla sua celebrazione le stesse indulgenze che Urbano IV aveva, nel secolo precedente, attribuite alla festa del Corpus Domini. La bolla di promulgazione, sospesa per la morte del Pontefice, fu ripresa e pubblicata da Bonifacio IX che gli successe sulla Sede di san Pietro. – Sappiamo dalle Lezioni del primitivo Ufficio composto per questa festa, che lo scopo della sua istituzione era stato, nel pensiero di Urbano, di ottenere la cessazione dello scisma che desolava allora la Chiesa. Mai situazione più dolorosa si era prodotta per la Sposa del Figlio di Dio. Ma la Vergine, a cui si era rivolto il vero Pontefice allo scatenarsi della bufera, non deluse la fiducia della Chiesa. Nel corso degli anni che l’imperscrutabile giustizia dell’Altissimo aveva stabilito di lasciare alle potenze dell’abisso, essa stette in difesa, mantenendo così bene il capo dell’antico serpente sotto il suo piede vittorioso, che nonostante la terribile confusione da esso sollevata, la sua bava immonda non poté contaminare la fede dei popoli; immutabile restava il loro attaccamento all’unità della Cattedra di Roma, chiunque ne fosse il vero detentore in quella incertezza; cosicché l’Occidente, separato di fatto, ma sempre uno quanto al principio, si ricongiunse quasi automaticamente al tempo stabilito da Dio per riportare la luce.

Maria, arca di Alleanza.

Se ci si domanda perché Dio abbia voluto che appunto il mistero della Visitazione, e non un altro, diventasse, mediante la solennità ad esso consacrata, il monumento della pace riacquistata, è facile trovarne la ragione nella natura stessa del mistero e nelle circostanze in cui si compì. È qui soprattutto che Maria appare, infatti, come la vera Arca di alleanza, che porta in sé l’Emmanuele, viva testimonianza d’una riconciliazione definitiva e completa fra la terra e il cielo. Mediante Ella, meglio che in Adamo, tutti gli uomini saranno fratelli; poiché Colui che essa cela nel suo seno sarà il primogenito della grande famiglia dei figli di Dio. Appena concepito, ecco che comincia per Lui l’opera di universale propiziazione. Beata fu la dimora del sacerdote Zaccaria che per tre mesi celò l’eterna Sapienza nuovamente discesa nel seno purissimo in cui si è compiuta l’unione bramata dal suo amore! Per il peccato d’origine, il nemico di Dio e degli uomini teneva prigioniero, in quella casa benedetta, Colui che doveva costituirne l’ornamento nei secoli eterni; l’ambasciata dell’Angelo che annunciava la nascita di Giovanni, e il suo miracoloso concepimento, non avevano esentato il figlio della sterile dal vergognoso tributo che tutti i figli di Adamo debbono pagare al principe della morte all’atto del loro ingresso nella vita. Ma ecco apparire Maria, e satana rovesciato subisce nell’anima di Giovanni la sua maggiore sconfitta, che tuttavia non sarà l’ultima, poiché l’Arca dell’alleanza non cesserà i suoi trionfi se non dopo la riconciliazione dell’ultimo degli eletti.

La letizia della Chiesa.

Celebriamo questo giorno con canti di letizia, poiché qualsiasi vittoria, per la Chiesa e per i suoi figli, si trova in germe in questo mistero; d’ora in poi l’arca santa presiede alle battaglie del nuovo Israele. Non più divisione tra l’uomo e Dio, tra il Cristiano e i suoi fratelli; se l’antica arca fu impotente ad impedire la scissione delle tribù, lo scisma e l’eresia non potranno più tener testa a Maria per un numero più o meno grande di anni o di secoli, se non per far meglio risplendere infine la sua gloria. Da essa si effonderanno senza posa, come in questo giorno benedetto, sotto gli occhi del nemico confuso, la gioia degli umili, la benedizione di tutti e la perfezione dei pontefici (Sal. CXXXI, 8-9, 14-18). All’esultanza di Giovanni, all’improvvisa esclamazione di Elisabetta, al cantico di Zaccaria uniamo il tributo delle nostre voci, e che tutta la terra ne risuoni. Così un giorno veniva salutata la venuta dell’arca nel campo degli Ebrei; Filistei, a quella voce, si accorgevano che era disceso l’aiuto del Signore e, invasi dallo spavento, gemevano esclamando: « Guai a noi; non vi era tanta gioia ieri; guai a noi! » (1 Re, IV, 5-8). Oh, sì: oggi insieme con Giovanni il genere umano esulta e canta; oh, sì: oggi giustamente il nemico si lamenta: il primo colpo del calcagno della donna (Gen. III, 15) schiaccia oggi il suo capo orgoglioso, e Giovanni liberato è in questo il precursore di tutti noi. Più fortunato dell’antico, il nuovo Israele è reso sicuro che non gli sarà mai tolta la sua gloria, non sarà mai presa l’arca santa che gli fa attraversare le onde (Gios. III, 4) e abbatte dinanzi a Lui le fortezze (ibid. 6).

Il cantico di Maria.

Come è dunque giusto che questo giorno, in cui ha termine la serie delle sconfitte iniziatasi nell’Eden, sia anche il giorno dei cantici nuovi del nuovo popolo! Ma a chi spetta intonare l’inno del trionfo, se non a chi riporta la vittoria? Cosicché, Maria canta in questo giorno di trionfo, richiamando tutti i canti di vittoria che furono di preludio, nei secoli dell’attesa, al suo divin Cantico. Ma le vittorie trascorse del popolo eletto erano soltanto la figura di quelle che essa riporta, in questa festa della sua manifestazione, gloriosa Regina che, meglio di Debora, di Giuditta o di Ester, ha cominciato a liberare il suo popolo; sulle sue labbra, gli accenti dei suoi illustri predecessori sono passati dall’aspirazione ardente dei tempi della profezia all’estasi serena che denota il possesso del Dio lungamente atteso. Un’era nuova incomincia per i canti sacri: la lode divina riceve da Maria il carattere che non perderà più quaggiù, e che conserverà fin nell’eternità; ed è ancora in questo giorno che Maria stessa, avendo inaugurato il suo ministero di Corredentrice e di Mediatrice, ha ricevuto per la prima volta sulla terra, dalla bocca di sant’Elisabetta, la lode dovuta in eterno alla Madre di Dio e degli uomini. – Le considerazioni che precedono ci sono state ispirate dal motivo speciale che portò la Chiesa nel XVI secolo ad istituire l’odierna festa. Restituendo Roma a Pio IX esiliato il 2 luglio del 1849, Maria ha mostrato nuovamente che tale data era giustamente per essa un giorno di vittoria.

MESSA

Introitus

(Sedulius).
Salve, sancta Parens, eníxa puérpera Regem: qui cælum terrámque regit in sǽcula sæculórum.

[Salve, o Madre santa, tu hai partorito il Re gloriosamente; egli governa il cielo e la terra per i secoli in eterno.]
Ps XLIV: 2
Eructávit cor meum verbum bonum: dico ego ópera mea Regi.

[Vibra nel mio cuore un ispirato pensiero, mentre al Sovrano canto il mio poema].

Oratio

Orémus.
Fámulis tuis, quǽsumus, Dómine, coeléstis grátiæ munus impertíre: ut, quibus beátæ Vírginis partus éxstitit salútis exórdium; Visitatiónis ejus votiva sollémnitas, pacis tríbuat increméntum. [Concedi, Signore, ai tuoi servi il dono della grazia celeste: e poiché il parto della beata Vergine fu per noi l’inizio della salvezza, la devota festa della sua visitazione accresca la nostra pace]

Lectio

Léctio libri Sapiéntiæ.
Cant II: 8-14
Ecce, iste venit sáliens in móntibus, transíliens colles; símilis est diléctus meus cápreæ hinnulóque cervórum. En, ipse stat post paríetem nostrum, respíciens per fenéstras, prospíciens per cancéllos. En, diléctus meus lóquitur mihi: Surge, própera, amíca mea, colúmba mea, formósa mea, et veni. Jam enim hiems tránsiit, imber ábiit et recéssit. Flores apparuérunt in terra nostra, tempus putatiónis advénit: vox túrturis audíta est in terra nostra: ficus prótulit grossos suos: víneæ floréntes dedérunt odórem suum. Surge, amíca mea, speciósa mea, et veni: colúmba mea in foramínibus petra, in cavérna macériæ, osténde mihi fáciem tuam, sonet vox tua in áuribus meis: vox enim tua dulcis et fácies tua decóra. [Eccolo venire, saltellando pei monti, balzando pei colli, simile il mio diletto ad un capriolo, ad un cerbiatto. Eccolo, sta dietro alla nostra parete, fa capolino dalla finestra, adocchia dalle grate. Ecco il mio diletto mi parla: «Alzati, affrettati, diletta mia, colomba mia, bella mia, e vieni. Poiché, vedi, l’inverno è già passato, la pioggia è cessata, è andata; i fiori si mostrano per la campagna, il tempo della potatura è venuto; si ode per la nostra contrada il tubar della tortorella; il fico ha messo fuori i suoi frutti primaticci; le vigne in fiore mandano il loro profumo. Sorgi, diletta mia, bella mia, e vieni. Colomba mia, che stai nelle fessure delle rocce, nei nascondigli della balza, mostrami il tuo viso, fammi sentir la tua voce, poiché la tua voce è soave, il tuo viso è leggiadro!]

La visita del Diletto.

La Chiesa ci introduce nelle profondità del mistero. La lettura che precede non è altro se non la spiegazione di quelle parole di Elisabetta in cui si riassume tutta la festa: Al suono della tua voce, il bambino ha trasalito nel mio seno. Voce di Maria, voce della tortora che mette in fuga l’inverno e annuncia la primavera, i profumi e i fiori! A quel segnale così dolce, prigioniera nella notte del peccato, l’anima di Giovanni si è spogliata delle vesti dello schiavo e, sviluppando d’un tratto i germi delle più sublimi virtù, è apparsa bella come la sposa in tutto lo splendore del giorno delle nozze. Quale premura mostra Gesù verso quell’anima prediletta! Fra Giovanni e lo Sposo, quali ineffabili effusioni! Che sublime dialogo dal seno di Elisabetta a quello di Maria! O meravigliose madri, e più meravigliosi figli! Nel felice incontro, l’udito, gli occhi, la voce delle madri appartengono meno ad esse che ai benedetti frutti dei loro seni; e i loro sensi sono come le grate attraverso le quali lo Sposo e l’Amico dello Sposo si vedono, si comprendono e si parlano. Prevenuta dall’amico divino che l’ha cercata, l’anima di Giovanni si desta in piena estasi. Per Gesù, d’altra parte, è la prima conquista; è nei riguardi di Giovanni che, per la prima volta, dopo che per Maria, gli accenti del sacro epitalamio si formulavano nell’anima del Verbo fatto carne e fanno palpitare il suo cuore. Oggi – ed è l’insegnamento dell’Epistola – accanto al Magnificat si inaugura anche il divin cantico nella piena accezione che lo Spirito Santo volle dargli. I rapimenti dello Sposo non saranno mai più giustificati come in questo giorno benedetto né troveranno mai eco più fedele. Uniamo il nostro entusiasmo a quello dell’eterna Sapienza, di cui questo giorno segna il primo passo verso l’umanità intera.

Graduale

Benedícta et venerábilis es, Virgo María: quæ sine tactu pudóris invénta es Mater Salvatóris.
V. Virgo, Dei Génetrix, quem totus non capit orbis, in tua se clausit víscera factus homo. Allelúja, allelúja.
V. Felix es, sacra Virgo María, et omni laude digníssima: quia ex te ortus est sol justítiæ, Christus, Deus noster. Allelúja

[Tu sei benedetta e venerabile, o Vergine Maria, che senza offesa del pudore sei diventata la Madre del Salvatore.
V. O Vergine Madre di Dio, nel tuo seno, fattosi uomo, si rinchiuse Colui che l’universo non può contenere. Alleluia. alleluia.
V. Te beata, o santa vergine Maria, e degnissima di ogni lode, perché da te nacque il sole di giustizia, il Cristo Dio nostro..]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc 1:39-47
In illo témpore: Exsúrgens María ábiit in montána cum festinatióne in civitátem Juda: et intrávit in domum Zacharíæ et salutávit Elísabeth. Et factum est, ut audivit salutatiónem Maríæ Elísabeth, exsultávit infans in útero ejus: et repléta est Spíritu Sancto Elísabeth, et exclamávit voce magna et dixit: Benedícta tu inter mulíeres, et benedíctus fructus ventris tui. Et unde hoc mihi, ut véniat Mater Dómini mei ad me? Ecce enim, ut facta est vox salutatiónis tuæ in áuribus meis, exsultávit in gáudio infans in útero meo. Et beáta, quæ credidísti, quóniam perficiéntur ea, quæ dicta sunt tibi a Dómino. Et ait María: Magníficat ánima mea Dóminum: et exsultávit spíritus meus in Deo, salutári meo.

[Or in quei giorni Maria si mise in viaggio per recarsi frettolosamente alla montagna, in una città di Giudea, ed entrò in casa di Zaccaria e salutò Elisabetta. Ed avvenne che, appena Elisabetta udì il saluto di Maria, il bambino le balzò nel seno; ed Elisabetta fu ripiena di Spirito Santo; ed esclamò ad alta voce: «Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo seno. E donde a me la grazia che venga a visitarmi la madre del mio Signore? Ecco, infatti, appena il suono del tuo saluto mi è giunto all’orecchio, il bambino mi è balzato pel giubilo nel seno. E te beata che hai creduto, perché s’adempiranno le cose a te predette dal Signore». E Maria disse: «L’anima mia glorifica il Signore; ed il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore]

Carità fraterna.

Maria aveva saputo dall’arcangelo che Elisabetta sarebbe presto diventata madre. Il pensiero dei servigi richiesti dalla sua venerabile cugina e dal bambino che stava per nascere, le fa prendere subito la strada dei monti sui quali è situata l’abitazione di Zaccaria. Così agisce, così sospinge, quando è vera, la carità di Cristo (II Cor. V, 14). Non vi è posizione in cui, con il pretesto di una perfezione più elevata, il Cristiano possa dimenticare i propri fratelli. Maria aveva appena contratto con Dio l’unione più sublime; e facilmente la nostra immaginazione se la raffigurerebbe incapace di qualunque cosa, perduta nell’estasi in quei giorni in cui il Verbo, prendendo carne dalla sua carne, la inonda in cambio di tutti i flutti della sua divinità. Il Vangelo è tuttavia molto esplicito: è proprio in quegli stessi giorni (Lc. 1, 39) che l’umile vergine, assisa fino allora nel segreto del volto del Signore (Sal. XXX, 21), si leva per dedicarsi a tutte le necessità del prossimo nel corpo e nell’anima … e contemplazione. Vuol forse dire che le opere superano la preghiera, e che la contemplazione non è più la parte migliore? No, senza dubbio; e la Vergine non aveva mai così direttamente né così pienamente come in quegli stessi giorni aderito a Dio con tutto il suo essere. Ma la creatura pervenuta alle vette della vita unitiva è tanto più atta alle opere esterne in quanto nessun dispendio di se medesima la può distrarre dal centro immutabile in cui è fissata.

La perfezione.

Sublime privilegio, risultato di quella separazione della mente e dell’anima (Ebr. iv, 12) alla quale non tutti pervengono, e che segna uno dei passi più decisivi nelle vie spirituali, poiché suppone la purificazione talmente perfetta dell’essere umano da formare soltanto più uno stesso spirito con il Signore (I Cor. VI, 17) e porta con sé una sottomissione così assoluta delle potenze che, senza urtarsi, esse obbediscono simultaneamente, nelle loro diverse sfere, all’ispirazione divina. – Finché il cristiano non ha acquistato questa santa libertà dei figli di Dio (Rom. VIII, 21; II Cor. III, 17) non può infatti rivolgersi all’uomo senza lasciare in qualche modo Dio. Non già che debba trascurare per questo i suoi doveri verso il prossimo, nel quale Dio ha voluto che vediamo Lui stesso; beato tuttavia chi, come Maria, non perde nulla della parte migliore attendendo agli obblighi di questo mondo! Ma come è limitato il numero di questi privilegiati, e quale illusione sarebbe credere il contrario!

Maria, nostro modello.

La Madonna é vergine e madre. In essa si realizza l’ideale della vita contemplativa e della vita attiva: la Liturgia ce lo ricorda spesso. In questa festa della Visitazione, la Chiesa la invoca in modo particolare come il modello di tutti coloro che si dedicano alle opere di misericordia; se non a tutti è concesso di tenere nello stesso tempo, al pari di Lei la propria mente assorta più che mai in Dio, nondimeno tutti debbono cercare di accostarsi continuamente, mediante la pratica del raccoglimento e della lode divina, alle vette luminose in cui la loro Regina si mostra oggi nella pienezza delle sue ineffabili perfezioni. Lode. – Chi è costei che s’avanza come aurora che sorge, terribile come un esercito schierato a battaglia? (Cant. VI, 9). O Maria, è oggi che per la prima volta il tuo soave chiarore allieta la terra. Tu porti in te il Sole di giustizia; e la sua luce nascente che colpisce le cime dei monti mentre la pianura è  ancora immersa nella notte, raggiunge innanzitutto il Precursore di cui è detto che tra i figli di donna non v’è uno maggiore. Presto l’astro divino, continuando la sua ascesa, inonderà con raggi di fuoco le più umili valli. Ma quanta grazia in quei primi raggi che si effondono dalla nube sotto la quale egli ancora si nasconde! Poiché tu sei, o Maria, la nube leggera, speranza del mondo e terrore dell’inferno (3 Re, XVIII, 44; Is. XIX, 1).

…per la Visitazione.

Benedici, o Maria, quelli che scelgono la parte migliore. Proteggi il santo Ordine che si gloria di onorare in modo speciale il mistero della tua Visitazione; fedele allo spirito dei suoi illustri fondatori, esso continua a dar ragione del suo nome, effondendo nella Chiesa della terra quegli stessi profumi di umiltà, di dolcezza e di preghiera nascosta che costituirono per gli Angeli la principale attrattiva di questo grande giorno diciannove secoli or sono.

…per coloro che aiutano gli infelici.

Infine, o Vergine, non dimenticare le folte schiere di coloro che la grazia suscita, più numerosi che mai ai tempi nostri, perché camminino sulle tue orme alla ricerca misericordiosa di tutte le miserie; insegna ad essi come si può, senza lasciare Dio, consacrarsi al prossimo: per la maggior gloria di quel Dio altissimo e per la felicità dell’uomo, moltiplica quaggiù i tuoi fedeli imitatori. E fa’ infine che tutti noi, avendoti seguita nella misura e nel modo richiesto da Colui che elargisce a ciascuno i suoi doni come vuole (I Cor. XII, 11), ci ritroviamo nella patria.

[Dom P. Guéranger: L’Anno Liturgico; Ed. Paoline; Alba, 1956]

Credo

Offertorium

Orémus
Beáta es, Virgo María, quæ ómnium portásti Creatórem: genuísti, qui te fecit, et in ætérnum pérmanes Virgo. [Beata te, o Vergine Maria, che hai portato il Creatore di tutti; generasti chi ti ha fatto e rimani vergine in eterno.]

Secreta

Unigéniti tui, Dómine, nobis succúrrat humánitas: ut, qui, natus de Vírgine, Matris integritátem non mínuit, sed sacrávit; in Visitatiónis ejus sollémniis, nostris nos piáculis éxuens, oblatiónem nostram tibi fáciat accéptam Jesus Christus, Dóminus noster:

[Ci soccorra, Signore, l’umanità del tuo unico Figlio, che nascendo dalla Vergine, non diminuì, ma consacrò l’integrità della Madre: nella festa della visitazione renda a te gradita la nostra offerta, liberandoci dalle nostre colpe, lo stesso Gesù Cristo, nostro Signore:]

Communio

Beáta víscera Maríæ Vírginis, quæ portavérunt ætérni Patris Fílium. [Beato il seno della Vergine Maria, che portò il Figlio dell’eterno Padre.]

Postcommunio

Orémus.
Súmpsimus, Dómine, celebritátis ánnuæ votíva sacraménta: præsta, quǽsumus; ut et temporális vitæ nobis remédia prǽbeant et ætérnæ [Abbiamo ricevuto, Signore, in questa festa annuale il tuo sacramento: concedi che sia a noi rimedio per la vita presente e per la futura.]