FESTA DEL CORPUS DOMINI (2019)

FESTA DEL CORPUS DOMINI (2019)

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LXXX: 17.
Cibávit eos ex ádipe fruménti, allelúia: et de petra, melle saturávit eos, allelúia, allelúia, allelúia.
Ps 80:2 [Li ha nutriti col fiore del frumento, allelúia: e li ha saziati col miele scaturito dalla roccia, allelúia, allelúia, allelúia.]

Exsultáte Deo, adiutóri nostro: iubiláte Deo Iacob. [Esultate in Dio nostro aiuto: rallegratevi nel Dio di Giacobbe.]
Cibávit eos ex ádipe fruménti, allelúia: et de petra, melle saturávit eos, allelúia, allelúia, alleluja [Li ha nutriti col fiore del frumento, allelúia: e li ha saziati col miele scaturito dalla roccia, allelúia, allelúia, allelúia.

Oratio

Orémus.
Deus, qui nobis sub Sacraménto mirábili passiónis tuæ memóriam reliquísti: tríbue, quǽsumus, ita nos Córporis et Sánguinis tui sacra mystéria venerári; ut redemptiónis tuæ fructum in nobis iúgiter sentiámus:
[O Dio, che nell’ammirabile Sacramento ci lasciasti la memoria della tua Passione: concedici, Te ne preghiamo, di venerare i sacri misteri del tuo Corpo e del tuo Sangue cosí da sperimentare sempre in noi il frutto della tua redenzione:]

Lectio

Léctio Epistolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios
1 Cor XI: 23-29
Fratres: Ego enim accépi a Dómino quod et trádidi vobis, quóniam Dóminus Iesus, in qua nocte tradebátur, accépit panem, et grátias agens fregit, et dixit: Accípite, et manducáte: hoc est corpus meum, quod pro vobis tradétur: hoc fácite in meam commemoratiónem. Simíliter ei cálicem, postquam cenávit, dicens: Hic calix novum Testaméntum est in meo sánguine. Hoc fácite, quotiescúmque bibétis, in meam commemoratiónem. Quotiescúmque enim manducábitis panem hunc et cálicem bibétis, mortem Dómini annuntiábitis, donec véniat. Itaque quicúmque manducáverit panem hunc vel bíberit cálicem Dómini indígne, reus erit córporis et sánguinis Dómini. Probet autem seípsum homo: et sic de pane illo edat et de calice bibat. Qui enim mánducat et bibit indígne, iudícium sibi mánducat et bibit: non diiúdicans corpus Dómini.

OMELIA I

A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli, Sc. Tip. Vesc. Artigianelli, Pavia 1929)

IL SACRIFICIO DELLA NUOVA LEGGE

Fratelli: Io lo appreso appunto dal Signore, ciò che ho trasmesso anche a voi: che il Signore Gesù la notte che fu tradito, prese del pane, e dopo aver reso le grazie, lo spezzò, e disse: Prendete e mangiate, questo è il mio corpo che sarà offerto per voi: fate questo in memoria di me. Parimenti, dopo aver cenato, prese il Calice, e disse: Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue. Tutte le volte che Lo berrete, fate questo in memoria di me. Poiché ogni volta che mangerete questo pane, e berrete questo calice, annunzierete la morte di Signore fino a che egli venga. Perciò chiunque mangerà questo pane, o berrà il calice del Signore indegnamente, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, dunque, esamini se stesso, e poi mangi di questo pane e beva di questo calice. Poiché chi mangia e beve indegnamente, mangia e beve la propria condanna, non distinguendo il corpo del Signore. (2a Cor. XI, 23-29).

Nei primi tempi della Chiesa aveva luogo, in giorni determinati, un banchetto in comune, chiamato, agape, che doveva significare a stringere il vincolo della mutua carità tra i fedeli. Per seguire più da vicino l’esempio di Gesù Cristo che aveva istituito l’eucaristia dopo la cena pasquale, si faceva seguire/all’agape la celebrazione dell’Eucaristia. Non tardò l’introduzione degli abusi. A Corinto p. e. i ricchi, invece di mettere in comune il vitto sovrabbondante che portavano, affinché anche/i poveri potessero avere la loro parte, cominciavano, prima ancora che avesse principio il banchetto, a mangiare e bere più di quanto era richiesto da una cena simbolica. La conseguenza era duplice: accontentare la gola e privare della cena i più poveri, i quali ne provavano confusione. S. Paolo rimprovera severamente i Corinti, per questa loro sregolatezza e per la mancanza di carità verso il prossimo. E richiamata alla loro mente l’istituzione della S. Eucaristia, vuole che la si riceva degnamente, astenendovisi chi si riconosce reo di peccato grave. Quanto dice S. Paolo della istituzione della S. Eucaristia ci presenta l’opportunità di parlare di essa come:

1 Sacrificio della nuova Legge,

2 Superiore all’antico,

3 Che non ha limiti né di luogo, né di tempo.

1.

Fin dal principio gli uomini usavano rendere omaggio a Dio con l’offerta di cose sensibili, conforme al loro genere di vita. Così leggiamo che Caino, agricoltore, offre a Dio i frutti della terra, e Abele, pastore, gli offre le primizie del gregge. Sappiamo che Noè, uscito dall’arca, «eresse un altare al Signore, e, presi di tutti gli animali e di tutti gli uccelli mondi, li offri in sacrificio sopra l’altare» (Gen VIII, 20). E ai tempi di Abramo vediamo Melehisedech, re di Salem, offrire a Dio pane e vino in ringraziamento della vittoria riportata sopra i cinque re (Gen. XIV, 18-20). Più tardi Mosè, per ordine di Dio, prescrive delle norme che devono regolare i sacrifici. Ci sono i sacrifici cruenti, in cui si immolano animali, e se ne sparge il sangue; e ci sono i sacrifici incruenti, in cui si offrono alimenti, bevande, profumi. Nei sacrifici cruenti sono determinate varie qualità delle vittime, secondo la specie dei sacrifici, ed è determinato l’ufficio di chi presenta la vittima, l’ufficio del sacerdote e di coloro che lo coadiuvano. – Tutto questo doveva durare fino a che sarebbe stato offerto il sacrificio predetto dai profeti, del quale i sacrifici della legge erano una figura. Col sacrificio della croce Gesù Cristo compie la redenzione eterna, ma vuole che la Chiesa non manchi di un sacerdozio visibile e di un sacrificio visibile, che rappresenti il sacrificio della croce, ne rinnovi la memoria, e ne applichi i frutti. Ed ecco che  prima di incominciar la passione, trovandosi a cena con gli Apostoli, prese del pane, e dopo aver rese le grazie lo spezzò, e disse: Prendete e mangiate, questo è il mio corpo che sarà offerto per voi… Parimenti, dopo aver cenato prese il calice e disse: Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue. – In virtù di queste parole la sostanza del pane e del vino è totalmente cambiata nel corpo e nel sangue di Gesù Cristo. Del pane e del vino non rimangono che le apparenze. La consacrazione a parte, poi, del pane e del vino, ci dà la separazione mistica del corpo e del sangue di Gesù Cristo; per la quale Gesù Cristo ci si presenta come sulla croce, mentre compie il sacrificio versando il proprio sangue. Questo è il mio corpo che sarà offerto per voi. Ecco la nuova vittima: Gesù Cristo. Egli « offre se stesso per noi e immola la vittima, essendo nel medesimo tempo sacerdote e quell’agnello di Dio che toglie i peccati dal mondo » (S. Greg. Nisseno, In Christi Resurr. Orat. 1).

2.

 Sacrifici antichi hanno ormai perduta la loro ragione di essere. Ora abbiam il gran Sacrificio: il solo che possa piacere a Dio a salvare il mondo. «La luce scaccia le tenebre. In questa mensa del nuovo Re la nuova Pasqua della nuova Legge pon fine alla Pasqua antica » (Seq. Luada Sion), come dice S. Tommaso. Gesù dichiara: Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue. La nuova Alleanza è, senza confronto, superiore all’antica. Anche il sacrificio che suggella questa alleanza deve, necessariamente, essere superiore all’antico. Quando il popolo ebraico, strinse alleanza con Dio obbligando a osservare i suoi comandamenti e le sue leggi; e Dio, da parte sua, promise di dar loro la terra di Cana e di proteggerli, Mosè prese il sangue dei giovenchi e lo sparse sopra il popolo dicendo: «Ecco il sangue del patto che il Signore ha stretto con voi» (Es. XXIV, 8.). Nel nuovo patto non si tratta di immolare giovenchi, e di versare il loro sangue.Si tratta di immolare il Verbo fatto carne; si tratta di versare il sangue dell’Unigenito di Dio. Vittima più preziosa, più gradita a Dio, più degna di Lui, la nostra mente non arriverà mai a immaginare.Gesù Cristo si sacrifica e si annienta mistica mente nella Messa per il ministero del sacerdote: il primo e principale offerente, però, è Gesù Cristo stesso. Egli, dunque,è vittima e sacerdote. E qui abbiamo, oltre una vittima di valore infinito, un offerente senza macchia, segregato dai peccatori, che non ha bisogno di offrire il sacrificio per ipropri peccati prima di offrirlo per i peccati degli altri.Se consideriamo poi i fini pei quali si soffre un sacrificio nessuno può dubitare dell’eccellenza del Sacrificio della Messa sopra gli antichi sacrifici. Se vogliamo rendere onore a Dio come padrone supremo dell’universo, non potremo mai farlo in modo migliore che offrendogli ciò che gli è più caro. E nella Messa gli offriamo appunto ciò che gli è più caro: gli offriamo il Figlio suo diletto.Tutte le adorazioni degli uomini e degli Angeli non onorano Dio come questa offerta. — Se vogliamo ringraziare Dio dei suoi benefici, che cosa potremo rendergli? Nessuno può dare quel che non ha. E noi non possediamo nulla,che sia degno dei benefici che Dio ci ha fatto. Quando i due Tobia, padre e figlio deliberano di ricompensare l’Arcangelo Raffaele, il figlio osserva: «Qual cosa vi sarà che possa essere degna dei suoi benefici?» (Tob. XII, 2) Nella Messa noi abbiamo ciò che è degno non solo dei benefici degli Angeli, ma di tutti gli innumerevoli benefici che dispensa il loro Creatore. Abbiamo una vittima divina. Tutti abbiam bisogno della grazia del pentimento e della remissione dei peccati. Per questo c’era nell’antica legge il sacrificio propiziatorio. Nessun sacrificio, però, può essere propiziatorio come il sacrificio della Messa. In essa Gesù Cristo stesso offre all’eterno Padre offeso il proprio sangue per la remissione dei peccati degli uomini. — Come sacrificio impetratorio, poi, per ottenere grazie e aiuto in tutte le necessità dell’anima e del corpo, la superiorità del S Sacrificio della Messa sul sacrificio ebraico, risalta subito se si considera che in essa viene immolato «il mediatore tra Dio e gli uomini. Cristo Gesù» (1 Tim. II, 5) « nelle cui mani il Padre ha posto ogni cosa » (Giov. III, 35). – Per dir tutto in breve, basti considerare che il s Sacrificio della Messa sostanzialmente è lo stesso che il s Sacrificio della croce. Tanto nel Sacrificio della croce, quanto nel Sacrificio della Messa Gesù Cristo è la vittima. Gesù Cristo è l’offerente. L’unica differenza è che sulla croce il sacrificio fu cruento; nella Messa, invece, è incruento. Nel Sacrificio della croce si ebbe la pienezza dei frutti della redenzione: nel s Sacrificio della Messa questi frutti vengono applicati. –  

3.

Il Salvatore, dopo aver consacrato il pane, disse agli Apostoli: fate questo in memoria di me. Con queste parole dava agli Apostoli e ai loro successori il potere di fare ciò che Egli ha fatto; cioè, di convertire il pane nel suo corpo e il vino nel suo sangue; in una parola, istituiva il sacerdozio, per mezzo del quale il sacrificio si sarebbe celebrato ovunque e sempre, come Malachia aveva predetto: « Da levante a ponente è grande il mio nome tra le genti; e in ogni luogo si sacrifica e si offre al mio nome un oblazione monda » (Mal. I, 11). Il sacrificio ebraico era ristretto ad un solo Paese. Il Sacrificio della nuova legge si offrirà in tutti i luoghi del mondo, e non sarà, come il sacrificio ebraico, privilegio d’una sola nazione. In ogni ora del giorno, tra popoli civili e tra popoli ancora barbari si offre questo Sacrificio vero e pieno. E dove non si offre ancora questo Sacrificio adesso, si offrirà un giorno. « Vi chiedo un altare per dirvi una Messa e un’isola selvaggia per morirvi ». Così pregava Dio il giorno della sua professione religiosa Mons. Verjus, l’Apostolo della Nuova Guinea (Cesare Gallina, Mons. Enrica Verjus, Roma 1925, p. 157). Ed ebbe l’isola selvaggia, in cui poté erigere l’altare, e celebrare il Sacrificio cruento, ove non era mai stato celebrato. Questo voto è quello di tutti i missionari. Poter innalzar un altare e offrirvi a Dio un’oblazione monda. E il voto si compie, mano mano che essi, succedendosi, allargano il campo delle conquiste della fede. A poco a poco scompaiono i sacrifici dell’idolatria per lasciar posto al Sacrificio della Messa. – Ogni volta che mangerete questo pane e berrete questo calice annunzierete la morte del Signore fino a che Egli venga. Queste parole pronunciate da Gesù Cristo dopo la consacrazione, oltre che dichiarare che l’eucaristia è un vero sacrificio commemorativo della passione di Gesù Cristo compiuta sul Calvario, dichiarano anche che il Sacrificio dell’eucaristia si offrirà per tutti i tempi sino alla fine del mondo, quando il Redentore verrà per il giudizio universale. Come dice S. Agostino, l’eucaristia è « il sacrificio quotidiano della Chiesa » (De Civ. Dei L. 10, 20). E siccome la Chiesa durerà sino alla fine dei secoli secondo la promessa di Gesù Cristo, sino alla fine dei secoli si offrirà il sacrificio eucaristico. – Qual fortuna per i Cristiani poter assistere tutti i giorni a un Sacrificio di tanto valore, e così partecipare in modo particolare dei suoi frutti. Il Sacrificio della croce la sorgente delle grazie: il Sacrificio della Messa è il canale che fa discendere queste grazie sui fedeli: ma è naturale che discendano più abbondantemente sui fedeli che vi assistono. Il sacerdote, che prega durante la Messa non prega solamente in nome suo; ma prega in nome di tutti gli astanti. Con la parola: «preghiamo» incominciano sempre le orazioni. Quando offre al Padre l’offerta ricorda in modo particolare «i circostanti»; cioè, coloro che assistono alla Messa. E quando si avvicina il momento più solenne invita i presenti a unirsi a lui nella preghiera: «Pregate, o fratelli, affinché il sacrificio mio e vostro torni accetto a Dio Padre onnipotente». È impossibile assiste alla Messa con le dovute disposizioni senza riportar abbondanza di grazie. E maggiori grazie si avrebbero ancora se coloro che assistono al sacrificio della Messa — assecondando il desiderio della Chiesa — si comunicassero non solo spiritualmente, ma anche col ricevere sacramentalmente l’Eucaristia. Ciascuno dovrebbe darsi premura di assistere, appena lo possa, al santo Sacrificio della Messa, anche quando non vi è obbligato, e di compire l’opera, accostandosi a ricevere la vittima immolata su l’altare, Gesù. Le miserie spirituali d’ogni giorno non devono trattenerci, quando non manchi la grazia e la retta intenzione; anzi, devono essere uno stimolo a non privarci «della medicina quotidiana del corpo del Signore».

Graduale

Ps CXLIV: 15-16
Oculi ómnium in te sperant, Dómine: et tu das illis escam in témpore opportúno,

[Gli occhi di tutti sperano in Te, o Signore: e Tu concedi loro il cibo a tempo opportuno,]

V. Aperis tu manum tuam: et imples omne animal benedictióne. Allelúia, allelúia,[Apri la tua mano: e colma ogni essere vivente della tua benedizione,]
Ioannes VI: 56-57
Caro mea vere est cibus, et sanguis meus vere est potus: qui mandúcat meam carnem et bibit meum sánguinem, in me manet et ego in eo. Alleluia. [La mia carne è veramente cibo, e il mio sangue è veramente bevanda: chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui. Alleluia.]

Sequentia
Thomæ de Aquino.

Lauda, Sion, Salvatórem,
lauda ducem et pastórem
in hymnis et cánticis.

Quantum potes, tantum aude:
quia maior omni laude,
nec laudáre súfficis.

Laudis thema speciális,
panis vivus et vitális
hódie propónitur.

Quem in sacræ mensa cenæ
turbæ fratrum duodénæ
datum non ambígitur.

Sit laus plena, sit sonóra,
sit iucúnda, sit decóra
mentis iubilátio.

Dies enim sollémnis agitur,
in qua mensæ prima recólitur
huius institútio.

In hac mensa novi Regis,
novum Pascha novæ legis
Phase vetus términat.

Vetustátem nóvitas,
umbram fugat véritas,
noctem lux elíminat.

Quod in coena Christus gessit,
faciéndum hoc expréssit
in sui memóriam.

Docti sacris institútis,
panem, vinum in salútis
consecrámus hóstiam.

Dogma datur Christiánis,
quod in carnem transit panis
et vinum in sánguinem.

Quod non capis, quod non vides,
animosa fírmat fides,
præter rerum órdinem.

Sub divérsis speciébus,
signis tantum, et non rebus,
latent res exímiæ.

Caro cibus, sanguis potus:
manet tamen Christus totus
sub utráque spécie.

A suménte non concísus,
non confráctus, non divísus:
ínteger accípitur.

Sumit unus, sumunt mille:
quantum isti, tantum ille:
nec sumptus consúmitur.

Sumunt boni, sumunt mali
sorte tamen inæquáli,
vitæ vel intéritus.

Mors est malis, vita bonis:
vide, paris sumptiónis
quam sit dispar éxitus.

Fracto demum sacraménto,
ne vacílles, sed meménto,
tantum esse sub fragménto,
quantum toto tégitur.

Nulla rei fit scissúra:
signi tantum fit fractúra:
qua nec status nec statúra
signáti minúitur.

Ecce panis Angelórum,
factus cibus viatórum:
vere panis filiórum,
non mitténdus cánibus.

In figúris præsignátur,
cum Isaac immolátur:
agnus paschæ deputátur:
datur manna pátribus.

Bone pastor, panis vere,
Iesu, nostri miserére:
tu nos pasce, nos tuére:
tu nos bona fac vidére
in terra vivéntium.

Tu, qui cuncta scis et vales:
qui nos pascis hic mortáles:
tuos ibi commensáles,
coherédes et sodáles
fac sanctórum cívium.
Amen. Allelúia.

[Loda, o Sion, il Salvatore,  loda il capo e il pastore,  con inni e càntici.
Quanto puoi, tanto inneggia:  ché è superiore a ogni lode,  né basta il lodarlo.
Il pane vivo e vitale  è il tema di lode speciale,  che oggi si propone.
Che nella mensa della sacra cena,  fu distribuito ai dodici fratelli,  è indubbio.
Sia lode piena, sia sonora,  sia giocondo e degno  il giúbilo della mente.
Poiché si celebra il giorno solenne,  in cui in primis fu istituito  questo banchetto.
In questa mensa del nuovo Re,  la nuova Pasqua della nuova legge  estingue l’antica.
Il nuovo rito allontana l’antico,  la verità l’ombra,  la luce elimina la notte.
Ciò che Cristo fece nella cena,  ordinò che venisse fatto  in memoria di sé.
Istruiti dalle sacre leggi,  consacriamo nell’ostia di salvezza  il pane e il vino.
Ai Cristiani è dato il dogma:  che il pane si muta in carne,  e il vino in sangue.
Ciò che non capisci, ciò che non vedi,  lo afferma pronta la fede,  oltre l’ordine naturale.
Sotto specie diverse,  che son solo segni e non sostanze,  si celano realtà sublimi.
La carne è cibo, il sangue bevanda,  ma Cristo è intero  sotto l’una e l’altra specie.
Da chi lo assume, non viene tagliato,  spezzato, diviso:  ma preso integralmente.
Lo assuma uno, lo assumino in mille:  quanto riceve l’uno tanto gli altri:  né una volta ricevuto viene consumato.
Lo assumono i buoni e i cattivi:  ma con diversa sorte  di vita e di morte.
Pei cattivi è morte, pei buoni vita:  oh che diverso esito  ha una stessa assunzione.
Spezzato poi il Sacramento,  non temere, ma ricorda  che tanto è nel frammento  quanto nel tutto.
Non v’è alcuna separazione:  solo un’apparente frattura,  né vengono diminuiti stato  e grandezza del simboleggiato.
Ecco il pane degli Angeli,  fatto cibo dei viandanti:  in vero il pane dei figli  non è da gettare ai cani.
Prefigurato  con l’immolazione di Isacco, col sacrificio dell’Agnello Pasquale,  e con la manna donata ai padri.
Buon pastore, pane vero,  o Gesú, abbi pietà di noi:  Tu ci pasci, ci difendi:  fai a noi vedere il bene  nella terra dei viventi.
Tu che tutto sai e tutto puoi:  che ci pasci, qui, mortali:  fa che siamo tuoi commensali,  coeredi e compagni dei santi del cielo.  Amen. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangéli secúndum S. Ioánnem.
Ioann VI: 56-59
In illo témpore: Dixit Iesus turbis Iudæórum: Caro mea vere est cibus et sanguis meus vere est potus. Qui mandúcat meam carnem et bibit meum sánguinem, in me manet et ego in illo. Sicut misit me vivens Pater, et ego vivo propter Patrem: et qui mandúcat me, et ipse vivet propter me. Hic est panis, qui de coelo descéndit. Non sicut manducavérunt patres vestri manna, et mórtui sunt. Qui manducat hunc panem, vivet in ætérnum.

OMELIA II

[A. Monti: La Parola Evangelica, vol. IV – Ed. Queriniana, Brescia, 1922]

Gesù disse un giorno alle turbe della Giudea: « La mia carne è veramente cibo, e il mio sangue è veramente bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, resta .in me, e Io in lui. Come il Padre vivente ha mandato me, e io vivo per il Padre; così chi mangerà da me, vivrà per me. Questo è il pane che discese dal cielo. Non come i vostri padri, che mangiarono la manna e morirono: chi mangia di questo pane, vivrà in eterno » (Giov. VI, 56-59).

Queste parole affermano la presenza reale di Gesù nell’Eucaristia e gli effetti salutari di essa in chi se ne ciba con le debite disposizioni; effetti che si assommano nell’unione dell’anima con Cristo e nella partecipazione dell’uomo alla vita intima di lui. La Chiesa le fa leggere molto opportunamente nella Messa di questo giorno del Corpus Domini, che è appunto la festa dell’Eucaristia. Nell’Epistola abbiamo un tratto della prima lettera di S. Paolo a quei di Corinto, che descrive l’istituzione dell’Eucaristia e i tristi effetti che ne derivano a chi vi s’accosta indegnamente. Dice l’Apostolo: (I Cor. XI, 23-30) — Chiunque mangerà questo pane, o berrà il calce del Signore indegnamente, sarà reo del corpo e del sangue del Signore… Chi mangia e beve indegnamente, si mangia e beve la sua propria condanna, non distinguendo il Corpo del Signore. — I due passi, l’evangelico e il paolino, s’integrano mirabilmente, e potrebbero dar luogo a una ben grave meditazione. Ma io mi contento d’averli accennati, e riserbandomi di studiarli in altra occasione, mi volgo oggi a trattare del dogma stesso dell’Eucaristia per dimostrare quello che dobbiamo creder e circa l’alto Mistero, e per quali ragioni dobbiamo credere. Il tema può sembrare strano. Tenendo io discorso a un uditorio cristiano, dovrei supporre in chi m’ascolta la chiara notizia del Mistero e la fede viva in esso; dovrei supporla, si; e frugarvi per entro con la parola per destarvi fiamme e faville. Ma purtroppo la cognizione dei misteri cristiani suol essere oggi molto scarsa e incompleta, e suol essere poca la fede. Perciò il tema non è fuori di proposito. Abbiate adunque la bontà di prestare benevola e pia attenzione alla parola di Dio, che viene a cercare la vostra anima. »

1. Che cos’è, o fratelli, l’Eucaristia secondo gli insegnamenti della nostra Fede? Eccovi un’ostia non ancora consacrata. Che cosa è mai questa piccola cosa bianca sottile, lievissima, se non appunto una piccola cosa, meno pregevole d’un frusto di pane, un soffio, un nulla? Ed eccovi un po’ di vino accolto dentro la coppa di un calice, su cui non è ancora discesa la parola dello Spirito. Che cos’è questo po’ di vino se non il volgare umor della vite, di cui si fa uso sì comune, e sì deplorevole abuso? È esso forse più nobile della stilla d’acqua che geme dalla roccia muscosa, o d’una lagrima di rugiada che il cielo depone nel calice odorato di un giglio, nel grembo di una rosa, o sulla tremula punta verde dell’erbe? Il sacerdote prende l’ostia e il calice nelle sue mani, leva gli occhi al cielo, benedice, e mormora parole misteriose; poche e semplici parole pronunciate la prima volta venti secoli fa da un falegname di Galilea; poi genuflette e solleva sul suo capo, solleva incontro al cielo il calice e l’ostia: e il popolo si prostra, adora, prega; adorano e pregano i Vescovi, i Pontefici,i re; squillano le campane, suonano gli organi, e si curvano in riverente atto le bandiere delle nazioni. Niuna festa, niuna gloria, niun trionfo si stimerebbe mai troppo per quella piccola cosa; niun oltraggio si reputerebbe sì profano e tristo, come quello che venisse fatto a quella piccola cosa. O che è avvenuto, fratelli miei, che è avvenuto? Udite di canto che rompe lieto dall’anima della Chiesa: — Tantum ergo sacramentum veneremur cernui. — Udite il canto che esala dall’anima del poeta cristiano:

Ostia umil, sangue innocente,

Dio presente, Dio nascoso.

Figlio d’Eva, eterno re.

China il guardo, o Dio pietoso.

A una polve che ti sente.

Che si perde innanzi a te

(A. Manzoni, strofe per prima Comunione)

Le parole della consacrazione hanno posto nell’ostia e nel vino l’augusta divina Persona di Gesù. Ecco la nostra Fede. Nell’Eucaristia noi adoriamo Dio presente.

2. Presente! Si, fratelli miei. Ma noi dobbiamo chiarir bene questa parola, se vogliamo determinare nettamente i limiti della nostra fede. Che cos’è questa presenza di Cristo nell’Eucaristia? Una setta ereticale insegnava e insegna che il pane e il vino in forza delle parole della consacrazione diventano simbolo e figura del corpo e del sangue di Cristo. Notate bene: simbolo e figura, e nulla più. Cristo è presente, si; ma come è presente una cosa o una persona in un’immagine, o in un ricordo, che si connetta in qualche modo con essa. Eccovi la nostra bandiera, la gloriosa bandiera, che sventolava or non è molto oltre i mal segnati confini d’Italia, vendicatrice di diritti offesi e di civiltà conculcata; la bandiera intorno a cui s’agitava e rugghiava la formidabile possa dei nostri eserciti, e tutto il fremito del nostro orgoglio e delle nostre aspirazioni. Cos’è, fratelli miei, la bandiera? Si dice: è la patria. È vero, è vero. E dov’è presente la bandiera, è presente la patria; dov’è offesa la bandiera, è offesa la patria; dov’è onorata la bandiera, è onorata la patria. La bandiera è la patria, si; ed è per questo che noi l’amiamo; è per questo che la baciamo con l’anima ogni volta ch’essa ci appare; è per questo che noi la vogliamo alta e trionfatrice al sole, sulle terre del nostro diritto, sulle terre consacrate dal sangue dei nostri eroi. La bandiera è la patria. Ma sarebbe più esatto il dire: la bandiera è simbolo e immagine della patria. Non è se non in forza di una metafora che noi diciamo: l’Italia è presente nella sua bandiera. Di fatto non è presente, ma è soltanto rappresentata. O ma, quando noi diciamo che Gesù è presente nell’Eucaristia, diciamo forse una metafora? Sarebbe Egli presente nel pane e nel vino, com’era, poniamo, nel serpente di bronzo innalzato da Mosè nel deserto; o nell’agnello pasquale degli Ebrei; o come potrebbe essere in un rito, o in una immagine qualsiasi designata da lui o dalla Chiesa a fare le sue veci? È forse questo l’insegnamento della fede? Certamente noi possiamo e dobbiamo credere che l’Eucaristia è simbolo e figura del corpo e del sangue di Cristo in quanto adombra la sua passione e morte, e rende immagine del nutrimento sublime che ne deriva alle anime; ma se la nostra fede s’arrestasse a questo, sarebbe troppo manchevole. E a che si ridurrebbe allora il tanto sublime e incomprensibile Mistero? No, no, fratelli miei; Cristo è veramente e realmente presente nell’Eucaristia. Le parole sono del Concilio di Trento, e furono adoperate precisamente ad escludere questo errore che l’Eucaristia sia un puro simbolo, un’immagine vuota, una semplice figura o immagine di Gesù.

3. Ebbene, fratelli miei, pensiamo a una presenza più vera e più reale. Eccovi il sole. Esso passa sotto l’ardua volta di zaffiro e d’oro come un trionfatore; passa, e gettando il suo sguardo possente nelle profondità degli spazi, desta un brivido di gioia e di vita, una festa di colori e di luce nella nostra piccola terra. Noi diciamo: ecco il sole; esso è presente. — Si, fratelli miei; ma è tanto tanto lontano. A noi non perviene che una sua benefica virtù, una misteriosa irradiazione del suo essere, una come vibrazione possente della sua anima di fuoco. È forse così che Gesù è presente nell’Eucaristia? Forse emana dal suo corpo glorioso e remoto una qualche mirabile energia che mescolandosi alla sostanza del pane e del vino, come la luce e il calore del sole all’essere delle cose, conferisce a quella volgare materia una dignità e una forza che prima non possedeva? Anche questo fu detto. Ma la Chiesa definì: Cristo è presente sostanzialmente, il che è quanto dire con la sua stessa Persona nella duplice natura umana e divina; Cristo Dio con l’Infinito essere suo; Cristo uomo con la sua anima e il suo corpo, con la sua mente, con la sua volontà, con tutte le sue energie; Lui, Lui, com’era un dì vivo e operante fra gli uomini. Questa è ben altro che una presenza per via di operazione o virtù.

4. Eppure non basta ancora. Si potrebbe pensare: forse Gesù è presente proprio di persona nell’Eucaristia, ma senza che del pane e del vino sia alterata la sostanza. Dio non è forse sostanzialmente presente all’intimo essere delle cose, senza che per questo esse cessino di essere quello che sono? Il pane rimane pane, il vino rimane vino anche dopo la consacrazione; ma v’è dentro, io non so come la Persona gloriosa di Gesù. Così il Mistero verrebbe di molto semplificato, di molto accostato alla nostra intelligenza. — Ebbene, fratelli miei, ancora una volta io vi rispondo: la Fede non insegna così. — La Chiesa si spiega su questo punto con terribile chiarezza. Dice la Chiesa: Per le parole della consacrazione il pane e il vino si sono transustanziati, cioè trasmutati nella sostanza del Corpo e del Sangue di Cristo. Il pane e il vino non esistono più, se non quanto alle apparenze sensibili. Il sottil velo delle specie nasconde non più la sostanza di prima ma l’essere vero, reale e sostanziale dell’Uomo — Dio. – Ecco, o fratelli, l’insegnamento puro e semplice del catechismo. In forza di questa dottrina l’Eucaristia è il maggiore dei Sacramenti; che negli altri Sacramenti è contenuta la grazia, nell’Eucaristia è presente l’Autore della grazia; là il raggio, qui l’astro, là i rivi, qui la sorgente; là i doni, qui il donatore. Come Egli nascose un giorno la maestà di Dio sotto il mistero dell’infanzia, della povertà, del dolore e della croce, così ora nasconde e divinità e umanità sotto i veli sacramentali; ma è ancora Lui, sempre Lui, veramente e personalmente Lui, rimossa ogni altra sostanza. Se la nostra fede non giunge ad accettare tutto questo senza cavilli, senza restrizione, senza esitazione, noi non siamo Cristiani; lo ripeto, fratelli miei, non siamo Cristiani.

5. Ma ciò è terribile. L’Eucaristìa non è solamente il maggiore dei Sacramenti, ma anche il maggiore dei misteri; anzi non un mistero solo, ma una selva inestricabile di misteri, dentro la quale la nostra ragione si smarrisce. Gli occhi, il gusto, il tatto sono trascinati su una falsa via. Essi mi dicono: — Ecco del pane e del vino. Le parole misteriose non hanno cangiato nulla: noi vediamo, tocchiamo, gustiamo ancora lo stesso pane e lo stesso vino. — Ma no, io debbo credere che quelle parole pronunciate da un povero prete, hanno operato uno stupendo prodigio, la transustanziazione, in forza della quale la sostanza del pane e del vino non esiste più. Ma che è avvenuto di essa? E come s’è potuta cangiare in un essere che già esisteva, e che non ne riceve nulla nulla? E le specie, cioè le apparenze sensibili, la forma, il colore, l’odore, il sapore, il peso, la estensione, come possono stare senza il fulcro di una sostanza? Come dura li fenomeno, rimossa la causa? Come restano le qualità senza il soggetto al quale aderivano? E se qui dov’era la sostanza del pane e del vino, abbiamo la Persona di Gesù col suo Corpo vero e vivo, come mai non se ne vede nulla, non se ne sente nulla? E come s’è Egli così rimpicciolito? Come si spiega quel non avere Egli più né forma, né peso, né alcuna delle qualità che sono proprie dei corpi? E come avviene che spezzando il pane e dividendo il vino, non si spezza, né si divide Gesù, ma si moltiplica tutta intera la sua presenza? E non è forse un mistero inesplicabile la moltiplicazione stessa della sua presenza? Pensate. Si consacra di dì e di notte, nei continenti e nelle isole più lontane, nelle grandi cattedrali, nei templi dalle cento guglie e nelle capanne del missionario coperte di paglia, e in ogni chiesa del mondo; da per tutto ove sorga un altare, e si celebri il santo rito. Sono milioni e milioni di particole che si consacrano e si conservano simultaneamente in mille luoghi diversi. Come è possibile che Gesù sia egualmente presente in ciascuna di esse? Ma qui sono sconvolte tutte le leggi. È questo un buio profondo, o una luce impenetrabile? Non so, non so. La mia mente ne rimane schiacciata. Avessimo almeno qualche segno di ciò che si compie sotto i veli sacramentali; di quel mutarsi di sostanza, di quel fervore di vita nova e divina, che palpita dentro l’ostia consacrata! Ma no; nessun indizio, ancor che minimo: nulla, nulla. La nostr’anima è invisibile: ma si rivela attraverso il corpo; e quand’essa si ritrae, tutto accusa la sua assenza. Dio è invisibile ma brilla nell’universo la sua luce, come letizia per pupilla viva. Ma nell’Eucaristia non v’è nulla, proprio nulla, che aiuti in qualche modo la fede. Dio dimentica se stesso fino al punto di scendere al livello della materia insensibile, di un frusto di pane, di un po’ di vino, velando ai nostri occhi perfino le forme della sua umanità; e tutto questo senza lasciare il minimo spiraglio per cui l’anima possa, non dico intendere il mistero, ma almeno sentire che qualche cosa di nuovo e di grande è stato operato dalla parola del Sacerdote. Quasi ciò fosse poco, questo nostro Iddio, sceso così basso, sembra subire tutte le vicende della materia; cadere, essere sollevato, essere trasportato qua e là, essere inghiottito, corrompersi, potersi frangere, sminuzzare, bruciare. V’è anche di peggio: Egli giace abbandonato come cosa morta alla balia e ai capricci dell’uomo, perfino dell’uomo corrotto e malvagio; offeso non si risente; maltrattato e calpestato non si dilegua, non si difende non insorge, non punisce. O Gesù, o Gesù; ma è proprio vero che Tu sai lì sotto i veli del Sacramento? Ah! nella spoglia umana, benché umile e dispetta, e perfino negli strapazzi orribili della passione, con la tua corona di spine, col tuo viso contuso e sanguinante, col tuo corpo lacero e disfatto, con la porpora dell’ignominia e la canna dello scherzo, tra i lazzi e le beffe dei nemici, tra lo scroscio delle imprecazioni di un popolo cieco e ingrato, io ti riconosco ancora per Iddio. Ti riconobbe il ladrone; ti riconobbe Longino: un raggio misterioso usciva ancora dalla tua carne contrita, dal tuo sguardo languido e morente. Ma qui, qui nell’Eucaristia, come riconoscerti, o Gesù? Non è l’ostia più chiusa, più muta del tuo stesso sepolcro? Vedete, fratelli miei che io non dissimulo le difficoltà. Sì è vero: l’Eucaristia è un groviglio inestricabile di misteri; ma io non posso dir altro: il dogma è questo. Bisogna chinare la fronte, o separarsi da Cristo e dalla Chiesa; poiché questo appunto è quello che ci insegnano l’uno e l’altra; ed è sull’autorità della loro parola che si appoggia la nostra fede.

6. Cristo ha parlato, fratelli miei: perché non dovremmo noi accettare la sua parola? Poteva Egli dirci una sciocchezza, o un assurdo? Un anno avanti la sua morte Egli, essendo in Cafarnao, disse al popolo una strana cosa. Disse: I vostri padri mangiarono la manna nel deserto e morirono. Io sono il pane vivo che discende dal cielo. Chi ne mangerà, non morirà. E il pane che Io darò a voi, è la mia carne per la vita del mondo. — Gli uditori scuotevano il capo, e guardandosi in faccia l’un l’altro, mormoravano: — Come può egli darci a mangiare la sua carne? — Nel racconto evangelico s’indovina il sorriso dell’incredulità. Ma Gesù ripiglia e conferma con forza: In verità in verità vi dico: se non avrete mangiato la mia carne e bevuto il mio sangue non avrete la vita in voi. La mia carne è veramente cibo, e il mio sangue è veramente bevanda. Chi mangia la mia carne, e beve il mio sangue, resta in me, e Io in lui. — Le parole sono ben chiare. E non parliamo di metafore, no: Gesù non ha parlato in metafora questa volta, ma in senso vero e proprio. Le sue parole bisogna pigliarle alla lettera. Ponete mente. Gli uditori di Gesù non le intesero affatto metaforicamente, ma così come suonano. La metafora non avrebbe generato scandalo e scissura. Invece ecco quello che accadde: udita la parola di Gesù corse un fremito di disgusto fra la gente; e scuotevano il capo, sogghignavano, mormoravano: O come! Vuol Egli darci a mangiare se stesso? Come è possibile? — E disputavano qua e là in diversi gruppi molto vivacemente. I discepoli stessi inarcavano le ciglia e dicevano: — È duro questo linguaggio. Chi lo può tollerare. — E molti s’allontanarono sdegnosamente. Che fece, o fratelli, Gesù a questo scoppio generale e violento d’incredulità? Ha egli chiarita la metafora? Ha egli tentato di trattenere la gente con qualche facile spiegazione? No. Egli permise che gli increduli se ne andassero. Anzi si voltò agli Apostoli, e disse: — Volete andarvene anche voi? — Il che è quanto dire: — La cosa è proprio così, com’Io v’ho detto. È dura? Vi ripugna? Non la potete accettare? Ebbene andatevene. Io non ho nulla a correggere, nulla a disdire. — Gesù adunque aveva promesso davvero la sua carne il suo sangue. Gli uditori di Cafarnao, grossolani com’erano, immaginavano un mangiare e un bere materiale e carnale, un osceno spettacolo di antropofagia, e in ciò avevano torto; ma la sostanza della promessa era quella, o fratelli: e la narrazione evangelica è troppo chiara per potersi torcere ad altro significato. Dopo questo le parole dell’ultima Cena (questo è il mio corpo, questo è il mio sangue) non hanno più bisogno di spiegazione. Esse contengono l’adempimento della promessa fatta a Cafarnao. Voi comprendete che se l’Eucaristia si riducesse a un po’ di pane e di vino benedetti, l’alta promessa, la promessa che ha gettato lo stupore e lo scisma dell’uditorio di Cafarnao, e messa in forse la fedeltà stessa degli Apostoli, avrebbe condotto a ben piccolo risultato; a una cerimonia volgare, che proprio non valeva la pena di essere annunciata un anno prima con tanta solennità e con sì crudo realismo, e che non era affatto degna di costituire il punto culminante dell’ultima Cena, in cui la parola e gli atti di Gesù sono tutti improntati di una grandiosità veramente divina. La parola di Gesù afferma adunque la sua presenza e reale e sostanziale nell’Eucaristia. E, notatelo bene, rafferma proprio nel senso del dogma. Quando Gesù nell’ultima Cena presentò il pane consacrato, non disse: — Questo rappresenta, questo contiene il mio corpo; — ma disse: Prendete e mangiate; questo è il mio Corpo, che per voi sarà dato in remissione dei peccati. — E quando presentò il vino, non disse: Questo rappresenta, questo contiene il mio sangue; — ma disse: Prendete e bevete; questo è il calice del mio Sangue, del nuovo ed eterno testamento, che per voi sarà sparso in remissione dei peccati. — Il pane adunque non è più pane, ma ne ha soltanto le apparenze; e similmente il vino. Ecco il dogma. La nostra fede s’appoggia alla parola di Gesù.

7. Facciamo una domanda, fratelli miei: capirono gli Apostoli fin dal principio la grandezza di questo dono? Capirono essi l’importanza e il significato di ciò che Gesù, aveva detto e fatto nell’ultima Cena, in quella triste vigilia di tradimento e di morte? Non so. Se non capirono subito, certo capirono ben presto, quando lo Spirito Santo scese a illuminare le loro anime; e certo fin dal principio circondarono il Mistero di riverenza e d’amore, e ne fecero il punto culminante dell’adunanze dei fedeli. Poco più di vent’anni dopo l’istituzione dell’Eucaristia S. Paolo scriveva nella prima lettera a quelli di Corinto: — Chiunque mangerà questo pane, o berrà il calice del Signore indegnamente, sarà reo del corpo e del sangue dei Signore. Perciò provi l’uomo se stesso, e così mangi di quel pane e beva di quel calice. Imperocché chi mangia e beve indegnamente, si mangia e beve la sua propria condanna, non distinguendo il corpo del Signore. — S. Paolo era certamente l’eco della fede degli Apostoli e dei primi fedeli. – Più tardi venne la scienza teologica; e sorsero dibattiti e questioni circa lo sostanza e le specie, circa il modo di essere di Cristo nell’Eucaristia, e il come e il quando della transustanziazione, e altre e altre, che si affacciavano man mano alle menti col crescere degli studi e con l’incalzare dell’eresie; questioni e dibattiti che gli Apostoli e i credenti dei primi secoli nella semplicità della loro fede, non sospettavano nemmeno; ma la presenza vera, reale e sostanziale di Gesù nell’Eucaristia non fu mai recata in dubbio nella Chiesa nemmeno un istante. La parola di Cristo — questo è il mio corpo; questo è il mio sangue — pigliata nel senso letterale e, umanamente parlando, meno credibile, anzi affatto incredibile, è passata indiscussa traverso i secoli. Mi sarebbe agevole il dimostrarlo; ma lascio volentieri la facile erudizione. La storia è là con nomi e le opere poderose dei Padri e dei Concili ecumenici, in cui si concreta visibilmente la Chiesa insegnante, è là con le liturgie antiche e nuove, e con le eresie condannate. Essa ci dimostra la fede unanime della Chiesa, tutti i cuori fusi in uno, da cui esala, come incenso, l’adorazione a Cristo vivente sui nostri altari sotto le specie del pane e del vino. Perfino le chiese eretiche e scismatiche, che si separarono dalla Chiesa Cattolica prima del protestantesimo, la chiesa nestoriana, l’eutichiana, l’armena, la greca foziana, la rutena, tennero e tengono ancora come indubitata la presenza reale e sostanziale di Gesù nell’Eucaristia. Quale stupendo consenso! A questa fede risponde lo splendore del culto. L’ostia santa è il centro dei misteri cristiani già nell’aura morta delle catacombe, tra il canto delle vergini alla vigilia del martirio. Là si consacra, si prega, si comunica, s’adora; là un tepore di vita divina si spande nell’anime dall’Eucaristia mentre di fuori imperversa la rabbia delle persecuzioni e il verno mortale del paganesimo. Ma dopo tre secoli la Chiesa esce trionfante dal suo sepolcro, e il mondo si rinnovella. La fede, mirabile aura di primavera divina, suscita a migliaia i templi, che lanciano al cielo, le bianche moli maestose, e sotto il fiorire delle marmoree colonne, che s’intrecciano in alto come rami d’alberi giganteschi, sotto i lacunari dorati e le auree cupole che s’incurvano come la volta del cielo, accorrono le arti a portare il loro tributo. La pittura inonda le pareri e le tele; la scultura avviva i marmi; l’arte del cesello prepara i candelieri, i calici, gli ostensori, le lampade superbe; la musica esprime l’impeto del sentimento religioso; e l’organo, lo strumento cristiano per eccellenza, rugge e piange e sospira e prega con la grande anima sua come agitato da una profonda passione. Il sacerdote esce ai sacri misteri: la liturgia si fa grande e magnifica; le feste si moltiplicano; i popoli si prostrano riverenti. Ma dov’è Gesù, fratelli miei? Dov’è il centro di questi omaggi, l’oggetto dii questo culto? Ah! ecco Gesù, fratelli miei: Egli è là nell’ostia santa, in quella piccola cosa, che è un po’ di pane e un po’ di vino. E notate che non si tratta dell’omaggio di popoli schiavi e brutali, di popoli barbari e selvaggi, presso i quali l’immaginazione abbia soffocato il buon senso e sommersa la ragione, no, no; si tratta dell’omaggio di popoli coscienti, di popoli civili, di popoli liberi e illuminati; si tratta del fior fiore dell’umanità. A questo culto dell’Eucaristia si lega il Sacrificio e il sacerdozio defila nuova Legge. Sopprimete l’Eucaristia e cade ogni cosa. Il Cristianesimo non ha più né Sacrificio, né Sacerdozio, né culto. Pertanto chi respinge o reca in dubbio il dogma eucaristico è subito costretto ad accettare questo gravissimo assurdo, che la Chiesa insegnante, cioè la famiglia di Gesù, la naturale e non mai interrotta espansione del collegio apostolico, e quindi la conservatrice e l’interprete più autorevole della sua parola; la famiglia di Gesù, che ha raccolto la verità dalle sue labbra stesse, e l’ha di poi tramandata di mano in mano come prezioso tesoro fino ai secoli più lontani, fino a noi, sia caduta in un grossolano errore. Essa non avrebbe affatto compreso la parola del Maestro; avrebbe pigliato in senso proprio e letterale un modo di dire, un’audace metafora; avrebbe costretto per secoli, e costringerebbe ancora i fedeli, ad accettare questo errore, respingendo dal suo seno i renitenti; essa adorerebbe per Dio un pezzo di pane e un po’ di vino, abbandonandosi e trascinando i credenti a un culto idolatrico, che sarebbe ridicolo, se non fosse detestabile; essa sarebbe una religione senza sacrificio, e perciò assurda. Solo dopo quindici secoli, e per opera d’uomini ribelli e spergiuri si sarebbe venuto a scoprire il vero significato delle parole di Gesù: questo è il mio corpo; questo è il mio sangue. — Ciò è ben strano, fratelli miei. Ciò è addirittura incredibile.

8. Più strano e più incredibile se si rifletta a chi dovrebbe risalire la responsabilità di questi errori. Io vi domando, fratelli miei: sapeva o non sapeva Gesù il grave abbaglio che la Chiesa avrebbe preso circa il significato delle sue parole? Sapeva o non sapeva l’enorme errore, che essa avrebbe insegnato ai popoli in suo nome? Se non lo sapeva, non era Dio. Se lo sapeva, come l’ha potuto permettere? Perché non ha Egli chiarito subito l’equivoco fin da quel giorno che poté avvertire la falsa interpretazione data alle sue parole dall’uditorio di Cafarnao? Perché non l’ha Egli fatto almeno nell’ultima Cena, tra i suoi cari, tra quelli che dovevano predicare e interpretare la sua parola? Non ha Egli posta la sua Chiesa tra gli uomini come maestra infallibile di verità? Non ha Egli detto a Pietro: — Pasci i miei agnelli e le mie pecorelle? — Non ha Egli detto agli Apostoli: Andate, predicate, insegnate quello che Io ho insegnato a voi: chi crederà, sarà salvo; chi non crederà, sarà condannato? — Non ha Egli detto: Chi ascolta voi, ascolta me? — Non ha egli promesso: Io sarò con voi fino alla consumazione dei secoli? — E dopo tutto questo, come mai, ripeto, la Chiesa avrebbe potuto cadere nell’incredibile errore? E quando mai o in che cosa dovremmo noi prestarle l’assenso dalla nostra fede dopo sì colossale fallimento del suo Magistero? Ma di ciò, ripeto, risalirebbe la colpa allo stesso Gesù. Egli avrebbe fatto alla sua Chiesa una ben deplorevole burla. Ah! perdonate, perdonate, o Signore, l’indegna parola, che m’è  sfuggita dalle labbra: il mio cuore la cancella; e la mia mente si prostra, e riconosce che Voi siete verace e fedele. Voi avete detto: Questo è il mio corpo; questo è il mio sangue. — La Chiesa ha raccolto il vostro Sacramento e l’ha tramandato a noi nel significato naturale della vostra parola; e Voi l’avete permesso; anzi avete consolidato la nostra fede col peso dei secoli, della santità e del genio. Ebbene io credo, o Signore. Si, voi siete veramente, realmente, sostanzialmente presente sotto i veli sacramentali. La mia anima vi vede, vi benedice, vi ama, vi adora.

9. A meglio confermare la nostra fede, facciamo un’altra osservazione, che non parrà fuor di luogo. Noi crediamo nella divinità di Gesù: ebbene, io vi dico che il dogma dell’Eucaristia, universalmente accettato dalla Chiesa, è una splendida riprova di Essa divinità. Ragioniamo, fratelli miei. L’Eucaristia, noi l’abbiam visto, è il più inesplicabile dei misteri, la sfida più audace che si potesse fare alla ragione, al senso, al buon senso. Con tutto ciò il terribile dogma ha trovato fede nel mondo cristiano, fra le nazioni più civili, fra le menti più elevate, e il Sacramento è diventato il centro, la vita, il cuore della Religione, del culto, degli affetti, delle adorazioni, il fonte vivo e perenne della santità. Si, anche della santità; poiché, per testimonianza stessa dei santi, è dall’Ostia adorabile che essi attingono la forza di resistere a tutte le umane passioni, e quell’ardore di carità, che colpisce di stupore e di riverenza anche i profani. Ecco il fatto, fratelli miei. Si creda, o non si creda nell’Eucaristia, il fatto è questo; e i fatti non si negano: bisogna spiegarli. O che importa, se vi sono uomini che non credono? Innanzitutto essi (dico fra i Cristiani) sono pochi al paragone del numero sterminato di credenti, che riempiono venti secoli di storia. Poi il difficile, nel caso nostro, non è già nello spiegare come vi possa essere chi non crede, ma come vi possa essere chi crede. Qui sta il difficile! Voi non meravigliereste, o fratelli, se, dicendo io che questa cattedrale è sorta da sé, come un fiore, in una bella primavera di arte, nessuno mi prestasse fede. Ma ben fareste le meraviglie, se io in questo uditorio trovassi, non dirò mille, né cento, ma solamente dieci persone, che credessero seriamente alla mia parola. Pertanto eccovi il problema: come spiegate voi la fede, una fede viva, tenace, persistente, operosa, di tanti milioni di uomini nell’Eucaristia? Come la spiegate? – Io ragiono così: se Gesù è Dio, tutto si spiega. Egli non può aver detto né una menzogna, né una sciocchezza, né un assurdo quando disse: Questo è il mio corpo; questo è il mio sangue. — Anzi in così grave argomento Egli non può avere permesso nemmeno un’ambiguità, una falsa Interpretazione, che avrebbe gettato la sua Chiesa nell’idolatria più grossolana. Che importa, se io non comprendo nulla del mistero? È ben naturale che Dio abbia delle azioni incomprensibili al mio corto intelletto. Ma se Gesù non è Dio, allora la fede nella Eucaristia è un Mistero anche più grande dell’Eucaristia stessa. Ed è un fatto anche umiliante per la ragione umana. Si, umiliante, molto umiliante; poiché cosa si ha mai a pensare della ragione umana, quando si vedono accettate senza prove, e con tanto ardore di fede le più inaudite e incredibili affermazioni? Si direbbe che Gesù si sia divertito a far credere le più strane cose. Egli dice al mondo: Io sono Dio; e il mondo crede e adora. Egli innalza sul mondo un patibolo infame; e il mondo si prostra e canta: Vexilla regis prodeunt. Egli dice: Beati i poveri; beati i perseguitati; beati quelli che piangono e insegnano le più dure verità, e mette l’uomo in contrasto e in guerra con le sue più care inclinazioni; e il mondo lo proclama maestro. Non basta ancora. Egli presenta un po’ di pane e un po’ di vino e dice: Prendete: questo è il mio corpo; questo è il mio sangue — e il mondo accetta e crede; crede anche questo e canta: O salutaris Hostia. — Ma viva Dio! se Gesù non è il figlio dell’Altissimo; se Egli, prima di imporre sì incredibili cose non ha dimostrato di esserlo; se Egli non ha prima imposto la sua divinità; se non s’è rivelato Dio prima che maestro, bisogna riconoscere che il mondo è impazzito, e perdere ogni fiducia nel valore della ragione umana. Io lascio agli increduli il divertimento di sciogliere l’arduo problema. Per noi credenti esso è già sciolto. Cristo è Dio; e il dogma dell’Eucaristia fondato sulla sua parola e su quella della sua Chiesa non può essere che la verità. Crediamo, fratelli miei, crediamo fermamente, e portiamo alta la nostra fede in faccia al mondo. Lasciamo pure che si scuota il capo e si sorrida intorno a noi: lasciamo che si ripeta il durus est hic sermo dei cafarnaiti, e che i mondani s’allontanino dal Mistero che non possono comprendere. Cristo ci guarda dal suo tabernacolo, e ci dice: Volete andarvene anche voi? — Ma noi gettiamoci ai suoi piedi, e gridiamogli con la fede di Pietro: — No no, Signore. A chi andremo noi? Tu hai parole di vita eterna.

CREDO …

Offertorium

Orémus
Levit. XXI: 6
Sacerdótes Dómini incénsum et panes ófferunt Deo: et ideo sancti erunt Deo suo, et non pólluent nomen eius, allelúia. [I sacerdoti del Signore offrono incenso e pane a Dio: perciò saranno santi per il loro Dio e non profaneranno il suo nome, allelúia.]

Secreta

Ecclésiæ tuæ, quǽsumus, Dómine, unitátis et pacis propítius dona concéde: quæ sub oblátis munéribus mýstice designántur. [O Signore, Te ne preghiamo, concedi propizio alla tua Chiesa i doni dell’unità e della pace, che misticamente son figurati dalle oblazioni presentate.]

Communio

1 Cor XI: 26-27
Quotiescúmque manducábitis panem hunc et cálicem bibétis, mortem Dómini annuntiábitis, donec véniat: itaque quicúmque manducáverit panem vel bíberit calicem Dómini indígne, reus erit córporis et sánguinis Dómini, allelúia. [Tutte le volte che mangerete questo pane e berrete questo calice, annunzierete la morte del Signore, finché verrà: ma chiunque avrà mangiato il pane e bevuto il sangue indegnamente sarà reo del Corpo e del Sangue del Signore, allelúia.]

Postcommunio

Orémus.
Fac nos, quǽsumus, Dómine, divinitátis tuæ sempitérna fruitióne repléri: quam pretiósi Corporis et Sanguinis tui temporalis percéptio præfigúrat: [O Signore, Te ne preghiamo, fa che possiamo godere del possesso eterno della tua divinità: prefigurato dal tuo prezioso Corpo e Sangue che ora riceviamo].

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.