DOMENICA TRA L’ASCENSIONE (2019)

DOMENICA TRA L’ASCENSIONE (2019)

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXVI: 7, 8, 9 Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te, allelúja: tibi dixit cor meum, quæsívi vultum tuum, vultum tuum, Dómine, requíram: ne avértas fáciem tuam a me, allelúja, allelúja. [Ascolta, o Signore, la mia voce, con la quale Ti invoco, allelúia: a te parlò il mio cuore: ho cercato la Tua presenza, o Signore, e la cercherò ancora: non nascondermi il Tuo volto, allelúia, allelúia.]

Ps XXVI: 1 Dóminus illuminátio mea et salus mea: quem timébo? [Il Signore è mia luce e la mia salvezza: di chi avrò timore?].

Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te, allelúja: tibi dixit cor meum, quæsívi vultum tuum, vultum tuum, Dómine, requíram: ne avértas fáciem tuam a me, allelúja, allelúja. [Ascolta, o Signore, la mia voce, con la quale Ti invoco, allelúia: a te parlò il mio cuore: ho cercato la Tua presenza, o Signore,e la cercherò ancora: non nascondermi il Tuo volto, allelúia, allelúia.]

Oratio.

Orémus. – Omnípotens sempitérne Deus: fac nos tibi semper et devótam gérere voluntátem; et majestáti tuæ sincéro corde servíre. [Dio onnipotente ed eterno: fa che la nostra volontà sia sempre devota: e che serviamo la tua Maestà con cuore sincero].

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Petri Apóstoli. 1 Pet IV: 7-11

“Caríssimi: Estóte prudéntes et vigiláte in oratiónibus. Ante ómnia autem mútuam in vobismetípsis caritátem contínuam habéntes: quia cáritas óperit multitúdinem peccatórum. Hospitáles ínvicem sine murmuratióne: unusquísque, sicut accépit grátiam, in altérutrum illam administrántes, sicut boni dispensatóres multifórmis grátiæ Dei. Si quis lóquitur, quasi sermónes Dei: si quis minístrat, tamquam ex virtúte, quam adminístrat Deus: ut in ómnibus honorificétur Deus per Jesum Christum, Dóminum nostrum.” [Carissimi: Siate prudenti e perseverate nelle preghiere. Innanzi tutto, poi, abbiate fra di voi una mutua e continua carità: poiché la carità copre una moltitudine di peccati. Praticate l’ospitalità gli uni verso gli altri senza mormorare: ognuno metta a servizio altrui il dono che ha ricevuto, come si conviene a buoni dispensatori della multiforme grazia di Dio. Chi parla, lo faccia come fossero parole di Dio: chi esercita un ministero, lo faccia come per virtù comunicata da Dio: affinché in tutto sia onorato Dio per Gesù Cristo nostro Signore.]

L’Apostolato

“Carissimi: Siate prudenti e vegliate nella preghiera. Ma soprattutto ci sia tra di voi una carità scambievole e continua; poiché la carità copre una moltitudine di peccati. Datevi ospitalità senza mormorare. Da buoni amministratori dalla svariata grazia di Dio, ciascuno metta a servizio degli altri il dono ricevuto. Se uno parla, parli secondo i dettami di Dio. Se uno esercita un ministero, lo eserciti come usando una forza che viene da Dio, affinché in ogni cosa sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo Signor nostro”. (1 Piet. IV, 7-11).

Il brano è tolto dalla I lettera di S. Pietro. Passerà il mondo, passerà la vita presente. Presto per noi verrà la fine di tutte le cose e il giorno del giudizio. È necessario che i Cristiani vi si preparino con la prudenza, la vigilanza, la preghiera e, soprattutto, con la carità scambievole. Questa si dimostrerà con l’ospitalità cordiale; — così necessaria in oriente ai tempi di S. Pietro — con il buon uso dei doni spirituali, sia in parole, sia in opere. I Cristiani devono considerare questi doni come ricevuti da Dio per usarne a vantaggio degli altri, e non devono proporsi altro fine che l’onore e la gloria del Signore. Le esortazione di S. Pietro ci suggeriscono di parlare dell’Apostolato.

L’Apostolato:

1. È vario,

2. È doveroso per tutti,

3. È facile per chi cerca la gloria di Dio.

1.

Da buoni amministratori della svariata grazia di Dio, ciascuno metta a servizio degli altri il dono ricevuto. – I doni e i favori che Dio concede ai Cristiani, e peri quali essi possono rendersi utili al prossimo sono vari. Se sono varie le attitudini e i talenti dati da Dio a ciascuno, è chiaro che vario è pure il campo dell’apostolato che ciascuno deve esplicare. Non è necessario che tutti si trovino nelle medesime condizioni e nelle medesime circostanze. Secondo le condizioni di ciascuno, e sempre usandoquella discrezione e quella prudenza che sono suggerite dalle varie circostanze, gli uni saranno apostoli nella famiglia, gli altri nella scuola, nei campi, nelle officine, nelle botteghe, nei salotti, negli uffici, nei ritrovi, nei viaggi, ecc.Non è neppure necessario che l’apostolato prenda delle forme appariscenti. Chi ha la dovuta attitudine e preparazione faccia dell’apostolato, osservando le dovute norme, con istruzioni, con conferenze, con manifestazioni grandiose. Chi ha danari faccia dell’apostolato aiutando istituzioni benefiche, istituzioni che curano la formazione cristiana della fanciullezza; sostenga le opere di culto; aiuti la buona stampa, che tanta diffidenza e noncuranza trova anche da parte dei Cattolici, e che pure è tanto necessaria per contrastare alle conseguenze della stampa atea e immorale.Ma si può portare il sassolino all’edificio dell’apostolato, anche con mezzi, all’apparenza, più modesti. Un’affermazione fatta a proposito, un ammonimento dato a tempo opportuno, una verità fatta sentire a chi ne ha bisogno; un rimprovero fatto con carità, un consiglio a uno che non sa decidersi, possono ben spesso ottenere l’effetto di un lungo e dotto discorso. Chi non può sostenere le opere buone con mezzi finanziari, può aiutare i promotori e gli apostoli di queste opere, con parole di approvazione e di incoraggiamento, che tante volte son più necessarie del danaro. C’è, poi, una forma d’apostolato che può dirsi la più necessaria, ed è possibile a tutti indistintamente, l’apostolato della preghiera. Senza la grazia di Dio tutte le nostre opere non approderanno a nulla, come non approdò a nulla, senza la presenza di Gesù, la pescagione fatta dagli Apostoli per un’intera notte. Senza l’aiuto di Dio, alla fine di tutte le nostre fatiche dovremmo confessare, come gli Apostoli: «Abbiam affaticato tutta la notte, e non abbiamo preso niente » (Luc. V, 5). E l’aiuto di Dio si ottiene con la preghiera. A essa tutto è stato promesso:« Tutte le cose che domanderete nella preghiera, abbiate fede di ottenerle, e le otterrete » (Marc. 11, 24), disse Gesù. E anche voi, o vecchi, che non avete più il vigore necessario per le opere materiali, potete essere apostoli con i lumi della vostra esperienza, con l’offerta a Dio delle noie della vita. Voi, infermi, che state inchiodati sul letto, potete essere apostoli, unendo i vostri dolori a quelli di Gesù Cristo in offerta per la salvezza delle anime.

2.

S. Pietro vuole che ciascuno metta a profitto degli altri il dono ricevuto. Se i doni della grazia sono vari, e c’è chi ha ricevuto uno, e chi ha ricevuto cinque, nessuno ne è senza. Perciò sbagliano quei timidi, e quegli amanti del dolce far nulla, che vorrebbero l’apostolato come opera esclusiva dei Sacerdoti e dei religiosi. In guerra ci sono i capi che guidano, e che hanno maggior responsabilità degli altri. Ma tutti, dal comandante in capo all’ultimo soldato, combattono per lo scopo comune, che è la vittoria. Tutti i Cristiani sono soldati che devono combattere per il trionfo del regno di Gesù Cristo. Chi ha una parte principale, chi una parte secondaria, ma l’azione dev’essere comune a tutti. Clero e laicato, uomini e donne, adulti e giovani, padroni e dipendenti, professionisti e operai devono formare una esercito unico, che riconduca Gesù Cristo nella mente e nel cuore della nostra società. Qui la parola, là la penna. Ora il prestigio del proprio nome e della propria condizione; ora il contributo materiale. Quando l’opera privata, e quando l’opera collegata delle associazioni. Che l’Apostolato debba interessare tutti i Cristiani di qualsiasi condizione è cosa chiarissima per se stessa. È possibile che un Cristiano soffra indifferentemente che l’onore di Dio venga offeso, che il nome del Signore sia disconosciuto, magari bestemmiato, che la sua legge sia calpestata?« I miei occhi — dice il salmista, rivolto al Signore — spargono rivi di lagrime, perché non si osserva la tua legge » (Salm. CXVIII, 136).Non piange sulle sventure toccategli, sulle umiliazioni subite, piange perché i nemici non osservano la legge del Signore. Non si può rimanere indifferenti a vedere la rovina delle anime per le quali Gesù Cristo ha versato il suo sangue. Ci commoviamo alla notizia di un terremoto, di un’alluvione, di un incendio, che hanno seppellito e distrutto ricchezze e preziose opere d’arte; tanto più dobbiam commuoverci alla rovina delle anime create da Dio a sua immagine, e rese preziosissime, perché riscattate col prezzo del suo sangue. Le anime fredde provocano il disgusto di Dio. Ma « nulla è più freddo — dice il Crisostomo — d’un Cristiano che non si cura della salvezza delle anime» (In Act. Ap. Hom. 20,  4). Gesù Cristo ci ha detto di chiedere al Padre l’adempimento della sua volontà. È un’invocazione e, nello stesso tempo, un impegno che ci assumiamo di cooperare al trionfo di questa volontà. Ci impegniamo presso Dio a operare per le anime dei nostri fratelli poiché: « Volontà di Lui sopra ogni altra è la salvezza di coloro che ha Adottato » (Tertulliano – De orat. 4).

3.

Anche quelli che sono persuasi di dover essere apostoli, secondo la propria condizione, non trovano mai il momento di cominciare sul serio il loro apostolato. Ora la preoccupazione di non urtare i sentimenti degli altri, ora lo spirito d’inerzia impediscono di mettersi a lavorare davvero e alacremente per la gloria di Dio. Costoro pensano poco alla santità del fine dell’apostolato, quale ci viene descritto da S. Pietro: Se uno esercita un ministero, lo eserciti come usando una forza che vieti da Dio, affinché in ogni cosa sia glorificato Dio per mezzo dì Gesù Cristo Signor nostro. Il Cristiano non deve servire il prossimo per far risaltare il proprio io, per far pompa dei doni che Dio gli ha dato. Egli deve essere apostolo per un fine ben diverso: perché sia glorificato Dio. È un fine che, per chi ama Dio, ha una forza che tutto vince. Quanto più è grande l’amore che si porta a Dio, tanto più ci si sente spinti a operare per il suo onore e per la sua gloria. Dove manca l’amor di Dio si spiegano troppo bene le incertezze, i « se », i « ma », i « poi », e tutte le tergiversazioni, suggerite dalla paura della fatica e del sacrificio. Amiamo il Signore e la sua gloria e ci sembrerà facile ogni cosa difficile; stimeremo breve tutto ciò che è lungo» (S. Gerolamo. Epist. 22, 40 ad Eust.). Amore non sente peso né fatica. Chi fa le cose per amore non dice mai: adesso basta; ho fatto anche troppo. Facciano gli altri la loro parte, che io ho fatto la mia. – Tra coloro che negli ultimi anni si dedicarono con zelo instancabile alle opere dell’apostolato per trarre anime a Dio, non è ultimo il Servo di Dio, Don Luigi Guanella, Trattato da pazzo, da visionario, sul suo cammino non incontrò che amarezze e avversità. Ma le avversità degli uomini e dei tempi non fiaccarono la tempra di questo apostolo invitto. Un giorno gli si rivolse una domanda, che le circostanze giustificavano: « E se tutto crollasse? E se contro di voi si scatenassero le persecuzioni più violente, e se i vostri preti e le vostre suore vi abbandonassero, che cosa fareste? ». A questa domanda inquietante Don Luigi Guanella rispose con calmo sorriso: Tornerei da capo» (Mons. C. Salotti: Prefaz. Al libro – Pietro Alfieri Tognini, Don Luigi Guanella. – Roma 1927). Così son disposti a fare gli uomini, che nel compiere opere di apostolato cercano la gloria di Dio. Cacciati da una porta ritornano per un altra. Fermati da un ostacolo, trovano presto il modo di riprendere il cammino con la stesso alacrità di prima; come la corrente che, urtata e divisa dallo scoglio, tosto lo supera, e continua la sua rapida corsa. Distrutto il frutto delle loro fatiche non posano sfiduciati; ma ritornano al lavoro con la stessa fermezza e con la stessa speranza che sostenevano i primi tentativi. E se dopo anni e anni di lavoro non vedono alcun frutto, se non c’è speranza d’una adeguata corrispondenza? Non sostano ancora, perché sanno di far piacere a Dio. « Negli amici infatti non si richiede l’effetto, ma la volontà » (S. Girol. Epist. 68 ad Castrut.).

Alleluja

Allelúja, allelúja Ps XLVI: 9

V. Regnávit Dóminus super omnes gentes: Deus sedet super sedem sanctam suam. Allelúja. [Il Signore regna sopra tutte le nazioni: Iddio siede sul suo trono santo. Alleluja.]

Joannes XIV: 18 V. Non vos relínquam órphanos: vado, et vénio ad vos, et gaudébit cor vestrum. Allelúja. [Non vi lascerò orfani: vado, e ritorno a voi, e il vostro cuore si rallegrerà. Allelúia].

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Joannes XV: 26-27; XVI: 1-4

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Cum vénerit Paráclitus, quem ego mittam vobis a Patre, Spíritum veritátis, qui a Patre procédit, ille testimónium perhibébit de me: et vos testimónium perhibébitis, quia ab inítio mecum estis. Hæc locútus sum vobis, ut non scandalizémini. Absque synagógis fácient vos: sed venit hora, ut omnis, qui intérficit vos, arbitrétur obséquium se præstáre Deo. Et hæc fácient vobis, quia non novérunt Patrem neque me. Sed hæc locútus sum vobis: ut, cum vénerit hora eórum, reminiscámini, quia ego dixi vobis”.

[In quel tempo: Disse Gesù ai suoi discepoli:

Alleluja

Allelúja, allelúja Ps XLVI: 9

V. Regnávit Dóminus super omnes gentes: Deus sedet super sedem sanctam suam. Allelúja. [Il Signore regna sopra tutte le nazioni: Iddio siede sul suo trono santo. Alleluja.]

Joannes XIV: 18 V. Non vos relínquam órphanos: vado, et vénio ad vos, et gaudébit cor vestrum. Allelúja. [Non vi lascerò orfani: vado, e ritorno a voi, e il vostro cuore si rallegrerà. Allelúia].

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Joannes XV: 26-27; XVI: 1-4

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Cum vénerit Paráclitus, quem ego mittam vobis a Patre, Spíritum veritátis, qui a Patre procédit, ille testimónium perhibébit de me: et vos testimónium perhibébitis, quia ab inítio mecum estis. Hæc locútus sum vobis, ut non scandalizémini. Absque synagógis fácient vos: sed venit hora, ut omnis, qui intérficit vos, arbitrétur obséquium se præstáre Deo. Et hæc fácient vobis, quia non novérunt Patrem neque me. Sed hæc locútus sum vobis: ut, cum vénerit hora eórum, reminiscámini, quia ego dixi vobis”.

[In quel tempo: Disse Gesù ai suoi discepoli:

OMELIA II

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE: XXVII

“In quel tempo disse Gesù ai suoi discepoli: Venuto che sia il Paracleto, che io vi manderò dal Padre, Spirito di verità, che procede dal Padre, Egli renderà testimonianza per me, e voi ancora renderete testimonianza, perché siete meco fin da principio. Ho detto a voi queste cose, affinché non siate scandalizzati. Vi cacceranno dalle sinagoghe: anzi verrà tempo che chi vi ucciderà, si creda di rendere onore a Dio. E vi tratteranno così perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma vi ho dette queste cose, affinché, venuto quel tempo, vi ricordiate che io ve le ho dette” (Jo. XV, 26-27; XVI, 1-4).

Come una madre veramente affettuosa e saggia pone ogni attenzione per dare agli amati suoi figli i più utili ammonimenti secondo la diversa opportunità delle circostanze, così la Chiesa, nostra madre affettuosissima e sommamente saggia, non trascura mai secondo la diversa opportunità dei tempi di richiamare la nostra attenzione su quegli ammaestramenti di Gesù Cristo, che ci possano tornare più utili. Così fa, ad esempio, in prossimità delle feste del S. Natale; così soprattutto fa durante la Quaresima per degnamente prepararci alla santa Pasqua, e così fa pure in questa domenica fra l’ottava dell’Ascensione, che precede immediatamente la grande solennità di Pentecoste, in cui celebriamo la venuta fra di noi dello Spirito Santo. Di fatti il tratto di Vangelo che ci fa leggere oggi nella S. Messa, e che è ancora un tratto del discorso di Gesù Cristo nell’ultima cena, è, come vedrete, uno dei più acconci alla circostanza, in cui ci troviamo. Facciamoci pertanto a considerarlo brevemente.

1.  Disse adunque Gesù ai suoi discepoli: Venuto che sia il Paracleto, che io vi manderò dal Padre, Spirito di verità, Egli renderà testimonianza per me. Con queste parole il divino Maestro ci apprende anzi tutto alcune proprietà dello Spirito Santo. Ci apprende che lo Spirito Santo è il nostro Consolatore, giacché Paracleto (parola greca) significa ciò per l’appunto. Epperò in mezzo alle nostre pene, ai nostri dolori, ai nostri affanni ecco a chi noi dobbiamo fare ricorso per essere consolati, allo Spirito Santo, ed Egli che è Consolatore ottimo, Dio di ogni consolazione, non mancherà di consolarci in ogni tribolazione nostra. Ci apprende la fonte ed il principio donde ci viene questo Spirito di consolazione. Questa fonte e questo principio sono il divin Padre e lo stesso divin Figliuolo Gesù Cristo, i quali ce lo comunicano per farci consorti della divina natura e per farci entrare nella loro più intima ed ineffabile unione. Il divin Redentore nel cenacolo volse al divin Padre a pro dei suoi seguaci questa commovente preghiera: «Padre mio, che i miei discepoli siano una cosa sola, come voi ed Io siamo uno. » Or bene, o carissimi, il vincolo di unione designato da Gesù Cristo e da Lui chiesto al suo divin Padre in questa preghiera è appunto lo Spirito Santo. Epperò se tutti i popoli della terra conoscessero e possedessero lo Spirito Santo, è certo che sarebbero tra di loro uniti con la più ammirabile carità. Gesù Cristo ci apprende altresì, che lo Spirito Santo è Spirito di verità. La verità, o miei cari è il primo bisogno della nostr’anima; senza di essa nulla vediamo di quel mondo spirituale, nel quale è forza respirare e vivere, se vogliamo giungere alla patria celeste, in quella guisa che senza gli occhi, organi della vista, niente conosceremmo di questo mondo della natura, nel quale siamo posti. Oh! quanto è da compiangere il cieco, privo della luce, e che non può veder nulla di quelle meraviglie senza numero, che tutto giorno noi ammiriamo! Ma molto più sono da deplorare i ciechi spirituali, estranei alla viva luce della verità! coloro cioè che non sono illuminati dallo Spirito Santo. Camminano essi con una benda sugli occhi; ignorano e il loro punto di partenza e la via che devono tenere, e il termine del loro corso; si riguardano come un prodotto dal caso gettato su questa terra, e s’immaginano che in questo corto spazio di tempo che separa la culla dalla tomba, non abbiano a pigliarsi altra cura, che di evitare ciò che può contristarli e di cercare all’opposto tutto ciò, che può loro procurare qualche godimento e qualche piacere; e con tali errori per la mente corrono, senza avvedersene, all’eterna perdizione. E Dio volesse che fosse scarso il numero di questi ciechi! Ma pur troppo con tante menzogne, con tante infamie, con tanti errori sparsi a piene mani nelle scuole, nelle officine, sui libri, sui giornali, il numero di questi disgraziati ingrossa ognor più. Epperò qual bisogno vi ha mai anche ai dì nostri dello Spirito di verità. Che Egli discenda abbondante a distruggere questi inganni, che travolgono tante povere menti, massime quelle del popolo e della gioventù! Che egli discenda abbondante sopra di noi, perché non abbiamo a restar vittima anche noi delle menzogne e degli errori moderni! Gesù Cristo ci apprende ancora che lo Spirito Santo avrebbe resa testimonianza per lui. Questa testimonianza l’aveva già resa pubblica e solenne nel battesimo di nostro Signore. Gesù, essendo giunto all’età di trent’anni, da Nazaret si recò alle rive del Giordano, ove si trovava San Giovanni Battista, per essere da lui battezzato. Sebbene questi non lo conoscesse ancora di vista, tuttavia illuminato dallo Spirito Santo, gli andò incontro e gli disse: Come? tu vuoi essere battezzato da me, mentre io dovrei essere battezzato da te? Gesù rispose: lascia fare per ora, imperciocché conviene che si compia da noi ogni giustizia. Giovanni allora accondiscese, e, come l’ebbe battezzato, d’improvviso si aprirono i cieli, e lo Spirito Santo discese in forma di colomba sopra Gesù. Nel tempo stesso si udì una voce, che disse: Questi è il mio Figlio diletto, nel quale io mi sono compiaciuto. Di questa guisa Gesù Cristo dal divin Padre e dallo Spiritò Santo fu con solenne testimonianza dichiarato vero Figlio di Dio, mandato per salvare gli uomini. Ma nel giorno della Pentecoste lo Spirito Santo gli avrebbe resa una nuova testimonianza, confermando la verità dei suoi insegnamenti e dando agli Apostoli, secondo la promessa di Gesù, tutto ciò che loro mancava per compiere la loro missione. Ecco, o miei cari, gli importanti insegnamenti che Gesù Cristo ci diede riguardo allo Spirito Santo in questo primo tratto del Vangelo di questa Domenica. E tutto ciò non è forse per farci almeno indirettamente comprendere l’importanza della prossima venuta dello Spirito Santo nel dì della Pentecoste e della necessità che abbiamo di ben disporci alla medesima? Sì, senza dubbio, epperò, secondo il desiderio di Gesù Cristo e ad imitazione degli Apostoli, raccolti insieme nel cenacolo, prepariamoci convenientemente ad una sì grande solennità. Prepariamoci come essi con una preghiera fatta in questa settimana con maggior fervore e raccoglimento: prepariamoci come essi con un attaccamento più vivo a Maria SS. nostra Madre: prepariamoci come essi con la mondezza dell’anima nostra. Ed allora possiamo sperare che Gesù benedetto manderà anche sopra di noi il suo Santo Spirito, che anzi lo porterà a noi nella santa Comunione di quel giorno, riempiendo l’anima nostra dei suoi preziosissimi doni, e facendoci ricchi di ogni sorta di bene per il tempo e per l’eternità.

2. Il divin Salvatore dopo aver detto agli Apostoli che lo Spirito Santo avrebbe reso testimonianza di Lui, soggiunse che ciò l’avrebbero fatto ancor essi: E voi ancora renderete testimonianza, perché siete meco fin da principio. E come Gesù predisse, così avvenne. Anche gli Apostoli resero a Gesù la loro testimonianza: anzi tutto quella della parola col predicare il Vangelo in tutte le parti del mondo, e poi quella ancor più eloquente e dimostrativa, la testimonianza del sangue, poiché tutti immolarono la loro vita per l’amore di Colui, che li aveva scelti ed innalzati all’onore dell’Apostolato. E voi ancora renderete testimonianza: queste parole il divin Redentore rivolge pure a noi, o carissimi, a noi che fummo trascelti per essere i membri di quel corpo, di cui Egli è capo, a noi, che portiamo il titolo di figliuoli di Dio a noi che siamo stati fatti soldati di Gesù Cristo, a noi che dobbiamo un giorno essere i fortunati abitanti del cielo. Quando un Generale mostra ai suoi soldati la bandiera, che debbono amare e difendere, e lor dice: Soldati, ecco la bandiera della patria! chi tra di voi non sarà disposto a renderle la testimonianza del valore, del sangue, della morte? tutti si levano e con la mano sull’arme giurano di piuttosto morire, anzi che tradire ed abbandonare ai nemici la loro bandiera. Or ecco quel che dobbiam fare ancor noi. Noi tutti apparteniamo a Gesù Cristo, che ci ha dato mille testimonianze dell’ineffabile suo amore per noi; epperò è dover nostro di rendere a Lui testimonianza del nostro amore, anche in mezzo alle più dure prove. Molte volte ci accadrà di trovar di coloro che vogliono farci un’onta della nostra sommissione a Dio, della pratica della nostra fede, dell’adempimento dei nostri doveri. Essi ci sono larghi di beffe e di sarcasmi; ci mostrano a dito come insensati, ci trattano con disprezzo e con disdegno. E noi, veri e coraggiosi soldati di Gesù Cristo, non dobbiamo sbigottirci, ma a somiglianza del valoroso soldato, che si avanza tra le palle e la mitraglia, dobbiamo andar innanzi a fare il bene anche attraverso alle ingiurie ed agli oltraggi. Se fosse d’uopo, dovremmo, come gli Apostoli, essere pronti a dare il sangue per testimoniare la nostra fede e il nostro amore per Dio. Or bene, o carissimi, siamo davvero questi soldati forti e coraggiosi, che rendono sempre la testimonianza di fedeltà al loro capitano? Ahimè! Taluni di noi dovranno forse confessare di essere soldati di carta, che cadono al più leggiero soffio di rispetto umano, e che per il minimo rispetto umano lasciano di piacere a Dio per piacere invece agli uomini. Che cosa è infatti quel rispetto umano, da cui tanti giovani e tanti Cristiani sono dominati, se non un vano timore che ci impedisce di far il bene o che ci spinge a fare il male per non dispiacere agli uomini? E non si può dire quanto sia grande il numero di coloro, che si fanno vittima del rispetto umano e che non rendendo a Dio la testimonianza dovuta se ne vanno perciò all’eterna perdizione. Molti certamente camminerebbero per la via della virtù, se questo vano timore non li ingannasse e non facesse loro abbandonare il bene che debbono fare, spingendoli ad operare quel male, che in cuor loro abborriscono. Quel Cristiano vuol darsi a Dio, frequentare i Sacramenti, regolarsi bene nell’adempimento de’ suoi doveri, ma egli teme che i suoi conoscenti lo burlino. Quel giovane vorrebbe recarsi alla chiesa per ascoltare la Messa, per confessarsi e fare la santa Comunione, vorrebbe astenersi dal prender parte a certi discorsi alquanto liberi, vorrebbe lasciare una cattiva compagnia, vorrebbe farsi ascrivere a qualche pia congregazione od a qualche società cattolica; ma non lo fa, sempre per timore delle chiacchere altrui. E per questi vani timori si continua nel male e si ommettono le pratiche più belle di nostra santa Religione. E quante volte ancora vi sono di coloro, che per umano rispetto, per evitare le burle dei compagni si danno a bella posta a commettere il peccato ed arrivano persino alla stoltezza di vantarsi talora dei peccati, che non hanno commesso mai, e di una malvagità superiore a quella che realmente hanno in cuore! Oh quanto adunque sono infelici costoro, che giacciono nella misera schiavitù del rispetto umano e lasciano di rendere a Dio la dovuta testimonianza della loro fede e del loro amore! E tanto più perché ordinariamente le chiacchere altrui, che si temono, non ci sono affatto, ma è solo un timor vano che le fa pensare. Poiché, credete, o miei cari, che chiunque vi vedrà seriamente costanti nell’adempimento dei vostri doveri cristiani non può far a meno di sentire per voi una grande venerazione. D’altronde quando anche dicessero le cose che voi temete, ne avverrebbe forse qualche danno alla vostra roba ed alla vostra riputazione? E supposto pure che vi avvenisse qualche danno, dovreste forse perciò lasciare di fare quel che dice Iddio per fare quel che dice il mondo? Ecco: parla il mondo e parla Gesù Cristo; chi è più degno di essere ascoltato? È meglio ascoltare Gesù Cristo e andare alla vita eterna, oppure ascoltare il mondo e andare all’inferno? Oh pazzi! diceva un buon Cristiano a taluni che volevano lusingarlo al male, pazzi che siete; se per ascoltare voi io vado all’inferno, chi di voi verrà poi a cavarmi fuori? Oh ci risolva adunque l’invito che Gesù Cristo ci rivolge oggi con quelle parole: E voi ancora renderete testimonianza. Che se questo invito non bastasse a farci disprezzare i rispetti umani ci risolva almeno quello che Gesù Cristo stesso ha minacciato: Chiunque confesserà me dinnanzi agli uomini, anch’Io confesserò lui dinnanzi al mio Padre celeste; chi poi si vergognerà di confessar me avanti agli uomini, Io pure avrò vergogna di confessare lui in presenza del mio celeste Padre. Animo adunque, o carissimi, siate forti nel vincere il rispetto umano, e per dare testimonianza del vostro amore a Gesù Cristo operate il bene ed evitate il male con una santa baldanza. Se così facendo vi è chi ride di voi, lasciate che ei rida; verrà un giorno nel quale si morderà le labbra per il dispetto e per la vergogna, e sarà il giorno dell’universale giudizio, nel quale i malvagi alla sinistra mirando i giusti alla destra diranno con angoscia suprema: Noi insensati, stimavamo stoltezza la loro vita e la loro fine senza alcun onore; ecco invece che ora sono annoverati fra i figliuoli di Dio e toccano la stessa sorte dei Santi.

3. Da ultimo il divin Redentore per animare gli Apostoli a non temere per nulla degli ostacoli, che avrebbero incontrato nel rendergli testimonianza, e dello stesso sacrifizio della vita, che avrebbero dovuto fare, soggiungeva: Ho detto a voi queste cose, affinché non siate scandalizzati. Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi verrà tempo che chi vi ucciderà, si crede rendere onore a Dio. E vi tratteranno così, perché non hanno conosciuto né il Padre, né me. Ma vi ho dette queste cose, affinché venuto quel tempo, vi ricordiate che io ve le ho detto. Ecco che cosa dice Gesù Cristo agli Apostoli per animarli alla loro missione: « Vi accadrà ben anche di essere uccisi da coloro che si ostineranno a non volermi conoscere, ma allora ricordatevi che questo ve l’ho detto Io; Io, che sono il vostro Creatore, il vostro Redentore, il vostro Dio; Io, che non lascerò perciò di aiutarvi in tutti i pericoli, che correrete, Io che saprò e potrò anche ricompensarvi di tutto ciò che farete per la mia fede e pel mio amore ». Or bene, o carissimi, con le stesse parole Gesù Cristo, volgendosi a noi, anima ancor noi a riporre in tutto e per tutto la nostra confidenza in Dio, persuasi che Iddio in mezzo a tutte le necessità, a tutti i pericoli, a tutte le tentazioni, in cui ci troveremo non lascerà di darci, come amorosissimo Padre, tutti gli aiuti che ci abbisognano. Oh quanto bella, quanto giovevole è per ogni Cristiano la virtù della confidenza in Dio! Benedetto, esclama Geremia, l’uomo che confida nel Signore! Questi sarà suo sostegno. Egli crescerà come arboscello piantato sulle sponde d’un fiume, che bagna le sue radici nell’acqua, non temerà le arsure dell’estate; sempre verdeggianti mostrerà i suoi rami, non appassirà nei giorni della siccità e non cesserà mai dal produrre frutti. Iddio pertanto per mezzo di questo Profeta dice che benedirà l’uomo che a lui s’affida; imperocché la confidenza onora infinitamente Dio. Quegli infatti che confida in Dio, che si getta nel suo seno, come bambolo nelle braccia di buona e tenera madre, pubblica altamente che Dio è buono, fedele nelle sue promesse, pieno di misericordia e di generosità. Ecco dunque perché Iddio soccorre e prospera con prontezza e larghezza grande chi in lui si arrìda. Ponete ben mente. Abramo ebbe confidenza contro ogni speranza, perciò Dio gli diede per miracolo una prosperità numerosa, lo colmò di benedizioni, l’illustrò con l’incomparabile ed ineffabile onore di veder uscire dalla sua progenie Gesù Cristo e la Santa Vergine. Daniele è gettato nella fossa dei leoni; i leoni non lo toccano, egli esce di là senza riportarne scalfittura; donde tal miracolo? da ciò che Daniele ha posto ogni sua fiducia in Dio. Armato di questa forza che viene dalla confidenza in Dio, S. Giovanni Elemosiniere diceva: Quando tutti gli uomini, che abitano la terra, si versassero a un tempo in Alessandria per domandar l’elemosina, io la farei a tutti, perché il mondo intero non può esaurire i tesori di Dio. Ed in vero quanto più egli dava, tanto più riceveva da Dio. E Santa Clara vedendo la città ed il convento, che abitava, in sul punto di cader preda dei nemici, s’avanza tutta sola, ma piena di confidenza, sulle mura; e là sotto gli occhi degli assediati manda al Signore questa preghiera del Profeta: Non abbandonar alle branche delle bestie i tuoi servi: e in sull’istante colpiti da timore panico i Saraceni si danno a precipitosa fuga. Ecco le meraviglie della confidenza in Dio. – Al contrario deve grandemente temere che non riescano a bene le opere sue colui, che con la sua condotta mostra di diffidare di Dio; giacché chi manca di confidenza in Dio gli arreca grave ingiuria. Difatti la diffidenza può provenire da due cose. Anzi tutto da mancanza di fede, perché chi diffida non crede vivamente che Dio è onnipotente, previdentissimo e buono: e poi anche dalla speranza che si mette negli uomini e nelle creature, quasi che essi avessero più potenza e più volontà d’aiutarci essi che non Iddio. Or chi non vede essere questa una condotta da pagani e ingiuriosissima a Dio? Quindi Egli assai di spesso la punisce, permettendo che le creature, in cui taluno si è confidato, abbandonino, ingannino, nuocciano, ed impediscano la buona riuscita delle cose; mentre al contrario fa sempre che prosperino e trionfino, soprattutto spiritualmente, quelli che a Lui affidano i loro interessi. Qual innocente, grida Giobbe, è giammai perito! chi vide il giusto soccombere? Riponiamo adunque, o cari giovani e cari Cristiani, tutta la nostra confidenza in Dio per la riuscita di qualsiasi opera buona che abbiamo alle mani. Non tralasciamo, no, di fare la parte nostra, perché anche questa Dio la esige: ma facendo noi tutto quello che possiamo, sia per provvederci quel che abbisogna alla nostra vita, sia per vincere le difficoltà degli studi o degli uffizi, sia per guarire da qualche infermità, sia molto più per superare le tentazioni del demonio, le lusinghe del mondo, gli assalti delle nostre passioni, per evitare il male ed operar il bene, confidiamo interamente nell’aiuto di Dio, e Dio, secondo la sua promessa, non mancherà di venire in nostro soccorso e dare a noi quell’aiuto, che maggiormente servirà a procacciarci l’eterna salute.

Credo …

Offertorium

Orémus

Ps XLVI:6. Ascéndit Deus in jubilatióne, et Dóminus in voce tubæ, allelúja.

 Secreta

Sacrifícia nos, Dómine, immaculáta puríficent: et méntibus nostris supérnæ grátiæ dent vigórem. [Queste offerte immacolate, o Signore, ci purífichino, e conferiscano alle nostre ànime il vigore della grazia celeste.].

Communio

Joannes. XVII:12-13; 15 Pater, cum essem cum eis, ego servábam eos, quos dedísti mihi, allelúja: nunc autem ad te vénio: non rogo, ut tollas eos de mundo, sed ut serves eos a malo, allelúja, allelúja. [Padre, quand’ero con loro ho custodito quelli che mi hai affidati, allelúia: ma ora vengo a Te: non Ti chiedo di toglierli dal mondo, ma di preservarli dal male, allelúia, allelúia.]

Postcommunio.

Orémus.

Repléti, Dómine, munéribus sacris: da, quæsumus; ut in gratiárum semper actióne maneámus. [Nutriti dei tuoi sacri doni, concedici, o Signore, Te ne preghiamo: di ringraziartene sempre.]

DEVOZIONE AL CUORE SS. DI GESÙ

Divozione al Cuore SS. di Gesù.

[p. Secondo Franco: “il Mese di Giugno”, Tip. Orat. di s. Franc. Di Sales, 1872]

Qualunque persona che sia d’indole buona, di belle virtù e di eccellente santità, non può esser a meno che non abbia un bel cuore, e che non cerchi diffondere anche negli altri la sua bontà: Bonus homo de bono thesauro cordis sui proferì bonum (Luc. VI, 44). Ma quanto più l’Uomo-Dio, Gesù Signor nostro, il quale è la bontà e la santità medesima, quegli ch’ è venuto a bella posta nel mondo e che ha conversato con gli uomini per beneficarli! Che cosa dunque non devono sperare da Lui i devoti d’un Cuore sì buono e sì benefico? Il primo motivo di questa speranza è la natura stessa del Cuore amoroso di Gesù Cristo. Imperocché avete mai considerato, che cosa è il Cuore di Gesù? È il Cuore dell’Uomo-Dio, un Cuore ipostaticamente unito alla persona del Verbo e alla divinità. Dunque è un Cuore infiammato e compreso con tutta la pienezza e senza misura dagli influssi di quell’amore infinito, di cui il Verbo medesimo arde per noi sino dall’eternità; amore che lo ha condotto in terra a conversare coi figliuoli degli uomini e a farsi uno di loro. Egli è un Cuore che è stato ed è l’organo materiale e sensibile degli affetti più santi e più eccellenti dell’anima santissima di Gesù Cristo, e che ha corrisposto con i suoi naturali movimenti a quel perfetto amore, onde ella avvampa per noi. Dunque è un Cuore sensibile alle nostre afflizioni, alle nostre disgrazie e a tutti i nostri mali; è un Cuore compassionevole, un Cuore pieno di tenerezza per noi e sommamente desideroso del nostro bene. Il Cuore di Gesù Cristo è il Cuore del nostro Padre il più tenero, il più amoroso e il più sollecito; è il Cuore del fratello, e dell’amico, e dello Sposo il più fedele; è il Cuore del re il più magnifico, il più potente e più liberale che siavi stato e che possa esservi mai perché è il Cuore del re del cielo e della terra. Dunque è un Cuore più interessato al nostro bene, e più costante nel suo amore per noi del cuore di qualunque padre, amico e sposo di questa terra, che ami svisceratamente la sposa, l’amico, il figlio; è un Cuore che vuol farci ogni bene, e può farlo senza ostacolo e senza misura. Il Cuore di Gesù Cristo è un Cuore fabbricato e organizzato dallo Spirito Santo, il quale è l’amore del Padre e del Figliuolo, un Cuore conformato e preparato da Lui alle impressioni più sensibili e più efficaci dell’amore; un Cuore che non potendo più trattenere imprigionate le sue fiamme si è lasciato ferire ed aprire da una lancia, quasi per trovare uno sfogo a quel fuoco che lo consuma per diffondere le sue vampe in tutto il mondo, e per aprire un asilo di rifugio, un luogo di delizie, un porto di pace alle anime tentate, tribolate e penitenti: Ad hoc perforatum est Latus tuum, ut nobis patescat introitus. Ad hoc vulneratum est Cor tuum, ut in illo, et in te, ab exterioribus perturbationibus absoluti habitare possimus (Auctor. Serm. de Passione. Domini, cap. III). – Dunque che cosa non deve sperare un Cristiano dal Cuore d’un Dio, in cui concorrono tante cagioni e tante sorgenti d’incomprensibile, instancabile e potentissimo amore? Noi speriamo nei meriti di Gesù. Ma che meriti non ci ha acquistati Gesù con le sofferenze, con la pazienza, con la rassegnazione, con le umiliazioni e con la carità del suo Cuore? Noi speriamo nella Passione di Gesù. Ma che cosa non ha patito per noi specialmente quel Cuore divino? Tutti i tormenti da Gesù sofferti nel corpo si possono quasi chiamare una piccola cosa a confronto delle angustie e delle agonie da Lui sofferte nel Cuore. Noi speriamo nel Sangue di Gesù. Ma appunto il suo Cuore è la viva e perenne sorgente di quel sangue prezioso che si è diffuso nel corpo, che si spremé per tristezza a ruscelli dalle sue membra e si versò a torrenti dalle sue vene. – Noi speriamo nelle piaghe di Gesù. Ma qual piaga più salutare e più potente ad ottenerci dal suo divin Padre il perdono e la grazia, quanto la piaga del costato e del Cuore, il quale si può dire che parla, e prega, e geme continuamente per noi? Oh felice adunque chi ha ritrovato questo Cuore, e lo ama, e ne pratica fedelmente la devozione! Egli ha ritrovato il Cuore di un re il più magnifico e liberale che v’abbia e possa ritrovarsi sulla terra: ha ritrovato il Cuore di un fratello, d’un amico, e di uno sposo il più sviscerato, benefico e fedele. Quel Cuore è cuor nostro, perché è Cuor di Gesù Cristo capo di quella Chiesa, di cui ancora noi siamo le membra; e se il cuor nostro è troppo freddo nell’amare Iddio, abbiamo il Cuor di Gesù nostro ancor esso, con cui amarlo e pregarlo degnamente per essere esauditi: Inveni cor meum, ut orem Deum meum (II. Reg. VII, 27). Et ego inveni cor regis, fratris et amici benigni Jesu, Cor illius meum est, quia caput meum Christus est (Idem Auct. ibidem). Un secondo motivo di speranza ci deve portare la qualità stessa di questa devozione, la quale di sua natura è sommamente idonea ad impegnar Gesù Cristo a compartirci tutte le grazie. Imperocché qual è il fine di questa devozione? Primieramente di dare un attestato e contrassegno della nostra gratitudine al Cuor di Gesù per il beneficio incomparabile della istituzione del Sacramento dell’Eucaristia. Ora non vi è cosa che impegni tanto un amico a farci dei nuovi benefizi; quanto il mostrar gratitudine per quelli che si sono ricevuti. Questa gratitudine è la mercede che l’amico aspetta de’ suoi benefizi; è quella che gli fa conoscere che i suoi benefizi sono ricevuti ed accettati con piacere; è quella infine che gli fa scoprire le buone disposizioni e il buon cuore dell’amico, e in conseguenza ch’è degno e meritevole dei suoi favori. Ma questa verità quanto più risalta in faccia a Dio ed al sacro Cuor di Gesù il quale è stato il primo ad amarci, ci ha dato tutto il suo, ci ha donato per fin se stesso, e il quale non può aspettare altra mercede e ricompensa dalle sue creature che amore e gratitudine? Se dunque noi ci mostreremo grati al suo divin Cuore, Egli vedrà per prova che conosciamo e accettiamo di buon grado le sue grazie, che non sono in noi mal collocati i suoi benefizi, e che può sperare sempre maggior corrispondenza, se vorrà compartirne degli altri; ed in conseguenza cercherà di provocare con maggior calore il nostro amore e la nostra gratitudine per avere la soddisfazione d’esser da noi corrisposto. L’altro fine di questa divozione è il consolare il Cuor di Gesù nelle sue afflizioni e agonie. Ora riflettete che un padre addolorato e abbandonato da tutti ne’ suoi dolori, se vede un figlio amoroso che prende parte nelle sue pene, che gli tiene assidua compagnia nelle sue tristezze, che si ingegna di trovar motivi e parole per consolarlo, e studia tutti i modi per procurargli sussidio e conforto, egli allora diviene così sensibile a questa continua assistenza, si compiace a tal segno della sua compassione e amorevolezza, sì lo distingue a preferenza degli altri figliuoli nei beni dell’eredità, come questi si è distinto verso di lui nell’amore e nella gratitudine. Ah! che il Cuor di Gesù ferito, desolato, abbandonato in un mar di angosce e di pene dagl’ingrati suoi figliuoli, se ritrova qualcuno di loro che sappia trattenersi con lui, compatirlo e consolarlo, è impossibile che non gli faccia parte e non l’arricchisca a preferenza degli altri dei suoi inestimabili tesori e delle sue segrete delizie. – L’imitazione delle virtù sovrumane nel Cuor di Gesù Cristo è anch’ essa uno dei fini principali di questa divozione. Ma può forse Gesù Cristo non riguardare con particolar dilezione quelli che si studiano di ricopiare nel proprio cuore la mansuetudine, l’umiltà, la rassegnazione e l’amore di suo Cuor divino? Allora egli trova in quel Cuore un giardino dove deliziarsi per la fragranza dei fiori che vi nascono, ed egli stesso gli innaffia coll’acqua prodigiosa che usci dal suo costato, li fa crescere, li difende dagli insulti e li conserva sempre verdeggianti e odorosi. Finalmente il devoto del Cuore di Gesù è impegnato a risarcirlo dei torti e degli affronti, ch’Egli soffre ogni giorno specialmente nel Sacramento dell’Altare. Ora questa premura d’un devoto quanto deve provocare quel Cuore divino a favore di Lui! Se noi abbiamo ricevuta una qualche ingiuria e un qualche discapito nelle sostanze o nella fama, e se troviamo un amico che prenda a suo carico di riparare tutti quei danni e compensarci di tutte le perdite, quello diventa il vero e solo nostro amico. Non possiamo stancarci di raccontare a tutti questo prodigio di vera amicizia, e se egli si troverà in simili circostanze, noi ci crederemo obbligati a rendergli il contraccambio col difendere ad ogni costo la sua fama, la sua roba, la sua persona. Se non ci adoprassimo in questa maniera il nostro cuore medesimo ci farebbe sentire gagliardi rimproveri di una sì nera ingratitudine, e se non altro per vergogna di esser tacciati come anime vili, faremmo ogni sforzo per corrispondergli in qualche maniera. Ah! sarà egli possibile che il Cuor di Gesù sia men grato del cuor d’un uomo, se con le visite frequenti, con le comunioni fervorose, con la quotidiana assistenza al divin Sacrificio, con procurare ancora il suo onore estrinseco nelle suppellettili delle di Lui chiese, e il suo maggior culto nel cuore de’ fedeli, noi studieremo di risarcirlo degli affronti che sol in tanti modi, e specialmente in questi tempi? Egli non vorrà certamente comparire meno liberale e generoso con noi, né ci lascerà in abbandono nelle nostre miserie e disgrazie senza compensarci almeno con le delizie del suo Cuore dolcissimo, le quali sorpassano tutti i beni caduchi e menzogneri di questa terra.

Fate dunque animo, abbracciate coraggiosamente la pratica di questa divozione, cominciate una volta a gustare quanto è dolce e amoroso quel Cuore, e sperate, sperate, che gli fareste un gran torto a mostrare la minima diffidenza delle sue promesse. Ed ecco l’ultimo motivo che vi propongo di santa fiducia di godere gli effetti di questa divozione. Gesù Cristo medesimo ha promesso ogni sorta e ogni abbondanza di grazie ai devoti del suo sacratissimo Cuore. E che volete dunque di più? Ma quali grazie ha promesso? Grazie di conversione ai peccatori, i quali ricorrono al fonte delle misericordie. Il mio Cuore, disse Gesù alla beata Margherita Alacoque, vuol manifestarsi agli uomini per arricchirli con quei preziosi tesori che racchiudono grazie santificanti valevoli a ritrarli dalla loro perdizione (Vita, 1, iv, §51). Grazie di celeste amore di salute e di santificazione. Così dichiarò lo stesso Gesù alla sua serva dicendo, che nel suo cuore apriva tutti i tesori d’amore, di grazie, di misericordia, di santificazione e di salvezza 1, VII, §39). Grazie di convertire e di santificare anche gli altri. Il mio divin Salvatore mi ha fatto intendere, dice la suddetta, che chi si affatica per la salvezza delle anime, avrà l’arte di muovere i cuori i più indurati, e faticherà con meraviglioso profitto, se nutrirà egli stesso una tenera divozione al suo Cuore (1, VI, §90). Grazie anche temporali. Per ciò che riguarda le persone secolari, troveranno con questo mezzo tutti i soccorsi necessari al loro stato, la pace nella famiglia, il sollievo nelle fatiche, e le benedizioni del Cielo nelle loro intraprese (Ivi). Grazie per tutto il tempo della vita, e specialmente in punto di morte. In quel Cuore adorabile troveranno un luogo di rifugio nel tempo della loro vita, e molto più nell’ora della loro morte. Ah che dolce morire dopo avere avuta una costante divozione al Sacrosanto Cuore di chi dovrà giudicarci!(Ivi). – Ma che dico grazie? Ogni grazia si trova in questa divozione, lo ti prometto, son voci di Gesù alla sua serva, Io ti prometto che à chiunque professerà divozione al mio santissimo Cuore, verserò in seno ogni grazia, ma soprattutto a quelli che procureranno l’avanzamento della divozione al divin Cuore.Accostiamoci dunque con fiducia aquel divin Cuore, e troveremo la pace,la consolazione, il gaudio, ricordandociche questo è un Cuore che ardentementedesidera ed efficacementeprocura la nostra santificazione e salute.

Accedamus ergo ad te, et exultabimus, et lætabimur in te memores Cordis tui (Auct., de Passion. Domin., cap. III).

LO SCUDO DELLA FEDE (62)

LO SCUDO DELLA FEDE (62)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]

CAPITOLO XIV.

IL FROTESTASTISMO È FALSO PERCHÉ NON HA SACRIFIZIO.

Coll’errore di che abbiamo discorso nel Capitolo precedente, congiungono i Protestanti un altro gravissimo errore, per cui si dimostra di nuovo che è falsa la loro credenza: ciò è  che essi non riconoscono, e rigettano il Santo Sacrifizio della Messa. Perché intendiate bene questo errore, dovete prima sapere, che il più gran dovere che gli uomini abbiano sulla terra verso Dio, è riconoscere la sua grandezza e la sua Maestà. Dio è nostro Creatore e noi siamo sua opera: Dio è nostro Padrone e noi siamo suoi servi: Dio è nostro Padre e noi siamo suoi figliuoli: epperciò come figliuoli, come servi, come creature, dobbiamo rendergli ossequio di adorazione, di servitù, di timore e d’amore. Questo è indubitabile, ma vi è ancora di più: perché l’uomo avendo peccato in Adamo, ed a quel primo peccato avendone poi noi aggiunti tanti altri, siamo debitori a Lui di una soddisfazione che mai non potremmo dargli, attesa la nostra meschinità. Come fare adunque a pagare a Dio questi gran debiti ? Con le preghiere, col chieder perdono, ma specialmente con le oblazioni e coi sacrifizi. Offrendogli le nostre cose benché meschine, noi veniamo come a riconoscere che Egli è il padrone di tutto: sacrificandogli qualche cosa, noi veniamo, come ad esprimere, che se potessimo gli sacrificheremmo la nostra stessa persona in segno di quella riverenza che gli dobbiamo, ed in isconto delle colpe che abbiamo commesse. Epperò è che fino dai primi tempi del mondo subito furono in uso le offerte ed i sacrifizii. Caino offriva i frutti delle sue campagne a Dio, Abele offriva gli agnelli e le pecore della sua greggia. Più tardi furono istituite da Dio stesso le offerte del pane e del vino e delle primizie delle campagne e dei bestiami, come ancora i sacrifizii nei quali s’immolavano agnelli e tori. Sebbene tutto ciò era troppo poco per la Maestà infinita del Signore. – Quando ecco che l’Unigenito Figliuolo di Dio, compatendo alla nostra piccolezza che non aveva offerte e sacrifizii degni di quell’infinita maestà, venne sulla terra, e preso un corpo come il nostro si offerse e si sacrificò sull’Altare della Croce per pagare tutti i nostri debiti e per onorare degnamente la Divinità. Con quell’offerta fu finalmente placato Iddio, e Dio ebbe un culto quale gli si conveniva di valore infinito. Che però? fatta già quella grande offerta, la S. Chiesa fondata da Gesù Cristo rimarrà poi priva di Sacrifizio? E noi che siamo i figliuoli di Dio nella legge dell’amore e della grazia, saremo privi di quello che non mancava neppure agli antichi Padri ed ai Giudei? No no: anche noi abbiamo il Sacrifizio, degno affatto della Maestà di Dio; noi offriamo sempre alla SS. Trinità quello stesso Gesù che si è immolato sopra la Croce, e rinnoviamo, sebbene senza spargimento di sangue, quel medesimo Sacrifizio che allora tu fatto; Sacrifizio ammirando, che come un incenso prezioso sale al Trono della Divinità; Sacrifizio che placa dolcemente il Signore, che mitiga la sua collera, che lo ringrazia debitamente di tutti i favori che ci ha fatti, che impetra una pioggia feconda di ogni bene sopra la terra, che soprattutto riconosce degnamente a nome di tutti gli uomini la suprema ed eccelsissima Divina Maestà. Oh che bei misteri sono questi! Oh che mirabile invenzione dell’amor Divino a nostro riguardo! Ma come sappiamo poi noi che Gesù abbia veramente istituito questo gran Sacrifizio? Miei cari, lo sappiamo dallo stesso Gesù, il quale nell’ultima cena, prima offerse Egli questo gran Sacrifizio, poi ordinò agli Apostoli ed ai loro successori che facessero altrettanto. Come questo gran Sacrifizio è riposto nella Consacrazione che rappresenta la separazione del Corpo dal Sangue di Gesù e per conseguente la sua morte: così Gesù consacrando separatamente prima il pane, poi il calice, venne a consumare Egli stesso questo gran Sacrifizio e comandando poi agli Apostoli che facessero lo stesso, venne ad istituirlo per tutta la Chiesa. Così si verifica quello che disse David di Gesù Cristo, che sarebbe stato sacerdote secondo l’ordine di Melchisedek (Ps. CIX, 4), il quale sacrificò nel pane e nel vino. Così si verifica un’altra bella Profezia di Malachia, che rigettati i sacrifizi antichi, si sarebbe dall’ Oriente all’ Occideute in mezzo anche ai popoli una volta gentili offerta un’oblazione monda e fatto un Sacrifizio puro (Malach. I, 11).Così si verifica quello di S. Paolo che noi abbiamo un Altare di cui non possono partecipare i Giudei (Hebr. XIII, 10). Fondati sopra l’esempio di Gesù Cristo e sulla S. Scrittura, cominciarono subito i Santi Apostoli a celebrare questo gran Sacrifizio in tutta la terra. L’Apostolo S. Andrea, come si ha dagli Atti del suo martirio, « io sacrifico – diceva – ogni giorno non le carni dei tori, ma l’Agnello immacolato sopra l’Altare, le cui carni dopo che tutto il popolo dei credenti ha mangiato, ed il cui sangue dopo che ha bevuto, l’agnello sacrificato resta vivo ed intatto. Gli altri Apostoli stabilirono pur essi in tutte le Chiese che fondarono, questo gran Sacrifizio, e noi ne abbiamo la prova nelle Liturgie, cioè nell’ordine della Messa, che vanno sotto il nome di S. Pietro, di S. Giovanni, di S. Matteo, di S. Marco. Gli stessi antichissimi Eretici, che tanto inimicarono la S. Chiesa e che da Essa si separarono, pure portarono con sé e sempre mantennero la celebrazione della S. Messa: gli antichissimi Padri, come S. Clemente discepolo di S. Pietro, S. Giustino Martire, S. Ignazio, S. Cipriano, S. Giovanni Grisostomo e S. Agostino non solo lodavano grandemente la S. Messa, ma la celebravano con gran riverenza e divozione: i Santi più dotti e più illuminati fino ai dì nostri formarono sempre la loro delizia di questo grande Mistero. S. Tommaso si struggeva tutto di amore nel celebrare, S. Filippo Neri e S. Ignazio non si sapevano distaccare dall’Altare, poiché provavano delizie di Paradiso nel celebrare, e servivano anche alla S. Messa con fervore, stimandolo, com’è veramente, un uffizio angelico. Ma dopo tanti secoli che questa verità è così bene stabilita, così autentica, ecco che vengono i Protestanti a negare tutto ciò, a distruggere tutto e ad insegnare dalla loro Cattedra di pestilenza che non vi è la Messa, che non è necessario un tal Sacrifizio e giungono alcuni fino a chiamarla una idolatria. Ah perfidi nemici di Gesù Cristo, e perturbatori del popolo Cristiano! Diteci dunque almeno perché non è necessaria la Messa? Ecco il perché: perché Gesù Cristo, dicono, ha già compita la Redenzione, e celebrare altri Sacrifizi è fargli un torto, quasi il suo non bastasse. Ma in questa ragione quanta ignoranza si contiene e quanta malizia! E che? Forse i Cattolici vogliono fare altri Sacrifizi, perché non sia bastante la Redenzione? No, offrono il Sacrifizio della S. Messa, per impetrare l’applicazione ed i frutti del S. Sacrifizio della Croce.Avete da sapere adunque in proposito che Gesù Cristo con la sua Passione e Morte ha bensì meritato a tutti gli uomini il perdono dei peccati, la riconciliazione con Dio, gli aiuti necessari per la salvezza, ma tutte queste grazie non ci giovano se non ci sono applicate. Egli ha accumulato, dirò così, un gran tesoro, ma questo tesoro, che Gesù potrebbe dispensare senza che noi ci dessimo nessuna briga, non vuol dispensarlo se anche noi non ci mettiamo l’opera nostra. Vuole rigenerarci ad una nuova vita quando veniamo al mondo, ma vuole che v’impieghiamo il Battesimo; vuol perdonarci le nostre colpe, ma vuole che noi ci sforziamo col suo santo aiuto a detestarle con tutto il cuore; vuole unirci a sé e stringerci di santo amore, ma vuole che ancor noi facciamo i nostri sforzi per arrivarvi, sia con atti di carità, sia con la S. Comunione; ci vuol dare il Paradiso che Egli ci ha meritato, ma vuole che anche noi con le nostre buone opere ci studiamo di conseguirlo: e così nel caso nostro se vuole farci partecipi di tutti i frutti del S. Sacrifizio della Croce, vuole che noi rinnovando quel gran Sacrifizio all’Altare, facciamo commemorazione con affetto, con riverenza, con fede, con amore, di tutto quello che Egli fece patendo e morendo per noi. E così s’intende quel che diceva S. Paolo « di adempire nel suo corpo quello che manca alla Passione di Cristo per la sua Chiesa (Col. I, 24). Che è quanto dire, che sebbene Gesù Cristo abbia soddisfatto per tutti con prezzo sovrabbondante, nullameno vuole che ognuno con orazioni, con patimenti, con sacrifizi sel faccia proprio, applicando tal prezzo a sé medesimo: e così le nostre opere non sono prezzo, ma sono condizione e mezzo per applicare la Redenzione a noi stessi. E questa dottrina invece di far torto a Gesù, come sognano i Protestanti, gli rende il massimo onore; prima perché noi riconosciamo che senza Gesù mai non avremmo avuto quel tesoro di meriti e di grazie che sono necessarie alla nostra salute: poi perché riconosciamo che senza Gesù non ci sarebbe conferita questa grazia, né questi meriti applicati. In secondo luogo confonde la malizia dei Protestanti, i quali sul pretesto che i nostri sforzi, le nostre buone opere, il Sacrifizio dei nostri Altari facciano torto al Sacrifizio della Croce, si danno a credere di non avere più obbligo di far nulla e se ne vivono spensierati di loro salute, con una confidenza presuntuosa nei meriti di Gesù. Il che quanto sia alieno dallo Spirito Cristiano, lo può intendere chiunque non abbia perduto il senso comune, e che abbia inteso un poco il Santo Vangelo il quale inculca in ogni pagina all’uomo di astenersi, combattendo contro di sé, da ogni male, e di praticare, costi che vuol costare, ogni sorta di opere buone e di virtù. Il perché quando vi dicono che il S. Sacrifizio della Messa fa torto a Gesù, dite loro, che quello che fa torto a Gesù è la loro perfidia nel disconoscerlo, è la loro malizia nel disseminare sì grandi errori, ed il ridurre i Cristiani, come essi vorrebbero, ad essere senza Sacrifizio, come i selvaggi dei paesi più barbari e come le bestie. – Non vi contentate poi neppure di avere in altissimo orrore quelli che discreditano sì gran Sacrifizio, ma procacciate di essere di quelli che immensamente lo pregiano, poiché di tutte le preghiere che voi potete fare, niuna è comparabile a quella della S. Messa. Allora è Gesù che viene sull’Altare, Egli che si sacrifica, Egli che si offre al Padre celeste, Egli che con la sua divina mediazione impetra per noi: epperò allora le grazie piovono sulla terra in gran copia, e niente ci si nega di quello che è necessario alla nostra salute. Guai alla terra se non vi fosse sì gran Sacrifizio! Cheforse Iddio l’avrebbe mille volte distrutta come fece ai tempi del diluvio! Ma guai a noi se cessasse sì gran Sacrifizio nel nostro paese!