QUARESIMALE XXXVII

XXXVII. NEL LUNEDI’ DOPO PASQUA.

Sperabamus quia ipse esset redempturus Israel; et nunc tertia dies est hodie, quod hæc facta sunt.

Luc. XXIV, 21

Chi ama, teme. Non è ciò forse verissimo, o ascoltatori? Anzi teme tanto chi ama, che teme troppo; e palpita ad ogni dubbio, benché improbabile; e spaventa ogni rischio, benché leggiero: res est solliciti plena timoris amor. Non vorrei pertanto che voi mi prendeste a sdegno, se con troppo ingenuo candore io vi discuopro questa mattina un timore che in cuor mi è sorto. Temo che voi non veniate, e forse di breve, ad abbandonare quel santo tenor di vita, il quale avete animosamente intrapreso in questi dì sacri. Non vi offendete, perciò, miei signori, non vi offendete; perché sì fatto timore non nasce in me dalla gravità del pericolo ch’io ne sorga; né anche nasce da vile stima ch’io m’abbia della vostra pietà, della vostra sodezza, del vostro senno: nasce, se così mi sia lecito di parlare, da grande amore. Benché, a dire il vero, non è né anche il pericolo sì leggiero, o si inverosimile, che non porti il pregio dell’opera prevenirlo. E non udiste ciò che pur ora nel Vangelo sì è letto di quei due tanto celebri pellegrini che se ne andavano in Emausse? Si erano essi, non può negarsi, da principio portati sì fedelmente, dando intera credenza ai detti di Cristo, e concependo indubitate speranze della resurrezione di Cristo: Sperabamus quia ipse esset redempturus Israel. Ma perché già comincia a spuntar la sera del terzo giorno, ed essi nol veggono, che fanno i poverini? Cominciano a vacillare: anzi a diffidare, anzi a discredere in modo che Cristo è costretto a rimproverarli di increduli, a tacciarli di mentecatti: O stulti et tardi corde ad credendum! (Luc. XXIV, 23). – Tanto ogni poco vale a stravolgere un cuore dal ben propostosi. Chi però mi promette, o signori miei, che innanzi a domani sera, ch’è dire, innanzi d’arrivare a sera del terzo dì, qualcun di voi non cominci ancor egli a mutar sentenza, a cambiarsi di volontà, ed a mancar di fedeltà verso Cristo? Chi mi promette, che non pensi a tornare alle usate pratiche? Chi mi promette che non pensi di ridursi ai pristini giuochi? Chi mi promette che non pensi a riamare, ahi pur troppo presto, i suoi detestati costumi? – Ho io però risoluto questa mattina fare una cosa, mostrare apparentemente di non fidarmi della vostra costanza, a fine di stabilirla. E però vi chiedo quella udienza che merita chi, solamente premendo in ciò che può esservi di profitto, non altro applauso, come ormai potete vedere, ha perpetuamente, curato nelle sue prediche, se non quel solo, il quale gli è per ventura potuto nascere dall’aver di cuore trattati i vostri interessi, e con serietà persuasovi il vostro bene.

II. E primieramente io non vi niego, uditori, che cotesta nuova forma di vivere più corretta vi sarà facilmente di qualche pena; che vi lusingheranno i piaceri antichi, che vi combatteranno le passioni avverse, e che però vi converrà di farvi un poco di forza a perseverare. Ma dite a me: per quanto spazio di tempo vi converrà di usare a voi questa forza? Per anni ed anni (non è così?), per un corso lungo di età che vi sopravanza, prima di arrivare alla morte. Oh Dio! eche sarebbe, uditori, se quella morte, la quale a voi par vedere così da lungi, in oscurità, in lontananza, fosse oggi mai vicinissima al vostro albergo; e voi frattanto, per impazienza di perseverare ancor pochi mesi in cotesto stato più regolato e più saggio, perdeste la corona promessa ai perseveranti? Non so se mai vi sia caduta in pensiero una osservazione, la quale, ognor ch’io la feci, mi spremè quasi dagli occhi a forza le lagrime per pietà. Avevano i miseri Israeliti aspettato Mosè dal monte con gran longanimità, senza mai dar per ancora veruno indizio o di cuor ribelle, o di spiriti irreligiosi; quando finalmente attediati della dimora, cominciarono a infastidirsi; e divisandosi che ormai Mosè si fosse affatto dimenticato di loro, e che però non dovesse ritornar più, o almeno dovesse indugiare infinitamente, deliberarono di eleggersi un nuovo capo; e per poterne più agevolmente disporre a lor volontà, non isdegnarono di soggettarsi ad un bue, quantunque dorato: mutaverunt gloriam suam in similitudinem vituli comedentis fœnum (Ps. CIII, 20). E già avevano allegramente cambiata la modestia in dissoluzione, la pietà in giuochi, la religione in idolatria: quando ecco sopraggiunge a un tratto Mosè, il quale a quello indegno spettacolo divampando di un implicabile zelo, spezza incontanente le tavole della legge, sgrida Aronne, stritola il simulacro; e, assoldata tutta la tribù di Levi, ne scorre a guisa di un folgore per i quartieri della moltitudine attonita e disarmata; e spargendo per tutto ferite, per tutto sangue, per tutto strage, uccide alla rinfusa in brev’ora presso a ventitré mila persone, con un macello tanto più orribile, quanto più impetuoso. Or io vi domando: quanto credete, o signori miei, che costoro avessero trascorso pazientemente in attendere il loro Mosè? Trentacinque dì per lo meno, come il dottissimo Abulense dimostra nei suoi commenti. Sicché quando avessero con egual pazienza aspettato cinque altri dì, che tanto appunto differì quegli a tornare, non avrebbero né commesso un eccesso sì detestabile, nè sofferto un macello sì sanguinoso. E non vi muove, uditori, a gran compassione la disgrazia di questa turba? Infelice! per incostanza di sì poche giornate patito tanto! Oh sventura indicibile! Oh caso strano! Ben ora intendo quanto sia vero ciò che leggesi ne’ Proverbi, che chi si lascia vincere finalmente dall’impazienza, non può far mai se non pazze risoluzioni impatiens operabitur stultitiam; impatiens exaltat stultitiam (Prov. XIV, 17 et 29). Non apparve forse chiarissimo in questo fatto? – Or che sarebbe, se avvenisse a voi pure una somigliante infelicità, che sarebbe? Voi riputate la morte lontana assai, e però tutte v’infastidite, dicendo fra voi medesimi, che fo io? Ho io dunque a durare ancora tanti anni in sì fatta vita? Io tanti anni senza un piacer di vendetta? Io tanti anni senza un diletto di senso? Io senza dire una parola licenziosetta in tanti anni? Chi può resistere? Eh non dite così, dilettissimi miei, non dite così; perché potrebbe avvenire che questi conti, i quali voi fate ad anni, non riuscissero forse neppure a mesi, neppure a settimane, ma a pochi giorni. La morte forse è già cominciata a calare dalla montagna, già forse arriva, già ruota il ferro, già vibra il colpo, già vi toglie di vita: e volete voi cader d’animo per sì poco? Vac iis, qui perdiderunt sustinentiam, et derelinquerunt vias rectas, et diverterunt in vias pravas! così protesta l’Ecclesiastico (II. 16) ad uomini sì incostanti. Væ iis, Væ iis! Che sarebbe dunque, o Cristiani, se voi cadeste nel numero di costoro sì miserabili, e vi traeste con essi addosso la loro maledizione? Oh quali singhiozzi, oh qual fremiti voi dareste per tutta l’eternità! Ed oh come ogn’ora accompagnando nell’Inferno le strida degli Israeliti impazienti, ancor voi direste: per cinque giorni, per cinque giorni mal tollerati siam qui; e l’incostanza di uno spazio sì breve ne convien pagar con le pene di tutti i secoli!

III. Ma su, passi per concesso che il viver vostro debba essere ancora ad anni, e tale appunto, quale ve lo promettono o la gioventù ancor fiorita, o la complessione ancor forte: sapete, posto ciò, perché parvi sì malagevole il mantenervi innocenti? Perché vi credete di dover sempre provare in ciò quei contrasti ch’or voi provate. Ma questo è falso. Scemeranno, scemeranno ciascun giorno più le presenti difficoltà; e siccome al sorger del sole cadono le nebbie, ed all’apparir della vampa sparisce il fumo; così anche al crescere che in voi sempre farà la grazia divina, si dilegueranno dal vostro animo quelle angustie, quelle ansietà, quegli affetti disordinati, i quali or lo tengono sì malamente ingombrato. – Chi di voi non rimembrasi di Sansone caduto già disgraziatamente in potere dei Filistei? Era spettacolo di pietà rimirare un uomo così forte divenuto ludibrio di plebe vile. Chiuso in carcere, carico di catene, fu necessitato a lasciarsi trar da’ nemici ambedue gli occhi di fronte. Indi, qual giumento, applicato a girar la mola, aveva d’intorno una foltissima turba di fanciulli indiscreti, di vecchi lividi, di feminelle sfacciate, che lo insultavano: a chi lo sferzava qual pigro, e chi lo sbeffava quel orbo; né mai da lui si partivano, pugni, coi calci, con le guanciate, avessero preso un crudel trastullo, e, Sansone, e dov’è ora quella rendevati sì temuto? quella virtù, con cui ti spezzavi d’attorno i lacci di nervo, quasi fossero stoppe mostrate al fuoco; e ti recavi in collo le porte della città, quasi fossero bronzi dipinti in tela? Non se’ tu quegli che già sfidavi a lottar teco i leoni, e che con le nude mani afferratili, gli strozzavi, li soffocavi, e ne lasciavi i cadaveri in preda all’api? Non sei tu che fugavi gl’interi popoli? Non sei tu che spiantavi gl’interi campi? E come i cagnolini si fanno or beffe di te coi loro latrati, e a te non dà neppur l’animo di acchetarli? Eh aspettate un poco, uditori, aspettate un poco, e vedrete poi chi sia Sansone. Voi considerate il meschino, or che i capelli, ne’ quali sta la sua forza, gli son tonduti; ma non sarà sempre così. Cresceranno questi in breve corso di tempo, rimetteranno; e allora oh come più robusto di prima voi lo vedrete scuotere con le braccia due gran colonne, atterrare edifici, eccitar rovine, e ancor morendo far dei Filistei sbigottiti più fiero macello ch’egli ne facesse mai vivo! E non fu ciò vero, uditori? – Ora così appunto fingete che sia di voi. Sono in voi di presente i capelli bassi, ch’è come dire, la grazia dello Spirito confortatore è assai limitata. Qual meraviglia è però se par che i sensi or vi trattino come schiavo, se i demoni, con sozze larve v’inquietano, se vi dan frequente molestia le tentazioni? Ma che? concedete un poco di agio alla grazia, sì ch’ella cresca, ed allor vedrete. Ritorneranno tutte in voi quelle forze, le quali già nel Battesimo riceveste; ravviverassi la fede, rinverdirà la speranza, riaccenderassi la carità, in una parola, insiliet in vos Spiritus Domini (1. Reg. X. 6): e allora voi vi sentirete sì intrepidi, sì animosi, che neppur avrete a terrore l’istessa morte. Senza che, chi non sa che tutti i princìpi sono alquanto più faticosi de’ lor progressi? Ai tori è più malagevole da principio obbligarsi al giogo, a’ cavalli è più noioso patire il morso, a’ cammelli e più strano inchinarsi al carico. Così le arti di sonare, di ballare, di scrivere, di scolpire, di ricamare, tutte da principio riescono più difficili a chi le apprende. Chi va alla guerra, più facilmente spaventasi ai primi assalti; chi scioglie in mare, più facilmente amareggiasi alle prime navigazioni; chi s’incammina per terra, più facilmente si stanca ai primi pellegrinaggi. Non vi sembri nuovo però, se nella vita cristiana l’istesso accada. Quindi osservò con singolare acutezza Filone ebreo, che le prime acque nel deserto incontratesi, furie amare; le altre poi furono sì deliziose, sì dolci, che, come tali a poco a poco rubarono il nome al mele. – Non mirate dunque a quelle difficoltà, le quali ora vi si parano innanzi al divin servizio; perciocché queste sono difficoltà da principio comuni a tutti. A tutti è duro da prima frenar la carne, custodire la lingua, reprimer l’ira, soggiogar l’alterezza; ma se avrete un poco pazienza, vi diverrà sì leggiero, sì dilettevole, che talor forse, di voi stupiti, direte con Agostino (Confess. 1. 9. c I): O quam suave mihi subito factum est carere suavitatibus nugarum! Oh che allegrezza è questa, oh che pace, oh che contentezza! Non avrei creduto che fosse mai così facile abbandonare ogni reo diletto per Dio, e che quæ modo amittere metus fierat, jam dimittere gaudium foret. – Siasi pertanto pur vero ch’or voi provate qualche notabil fatica a non ricadere nei vizii a voi famigliari, non però voi dovete disanimarvi, perché, o moriate, o campiate, ella sarà breve. Usque in tempus, usque in tempus (sono parole infallibili di quel Dio che non può mentire), usque in tempus sustinebit patiens; e poi? et postea redditio jucunditatis (Eccli. I. 29).

IV. – Benché non vedete voi che cotesta scusa da voi recata finora, o sia verità, o sia velame, se nulla vale, vale a conchiudere contro di voi la sentenza di eterna condannazione? Perciocché sentite, e tenetelo bene a mente. Se per confession vostra voi provate ora una difficoltà così grande a non ricadere, quanto dunque maggior voi la proverete, poiché sarete ricaduti, a risorgere? non sarete allora più infievoliti? più languidi? più abbattuti? Non si accresceranno i mali abiti? non si imperverseranno le perfide inclinazioni? Tanto a voi dunque è ritornare a peccare, quanto è dannarsi. Questo argomento, a mio parere, è si forte, che non ha replica. Con tutto ciò, perché ne restiate convinti ancor maggiormente, voi dovete considerare che, ricascando, non solo vi sarà malagevole di tornare allo stato d’ora, per ciò che appartiene a voi, cioè perché voi sarete prostrati più; ma parimente per ciò che riguarda il demonio, e per ciò che rimira Dio. E quanto al demonio, io ve lo farò chiaro con una similitudine assai vivace, ma non meno ancor conchiudente.

V. Avverrà talora che un nobile Cristiano venga fatto in Algeri prigion dal Turco, ed ivi servato con diligenze anzi discrete che rigide, e più cortesi che strane. Si prevale egli però della buona opportunità; e perché le guardie non sono un dì sì sollecite o sì sagaci, che fa il meschino? Rompe i ceppi, sforza i serragli, ne fugge al mare; ed ivi scorta una fusta pronta, rimettesi in libertà. Benissimo. Ma s’egli sia tanto stolto, che di nuovo lasci raggiungersi e ricondursi sotto l’unghie del Barbaro furibondo, da cui fuggì, tra quali carceri, sotto a quali custodie credete ch’ei verrà posto? La più spaventosa segreta, che renda celebri le latomie africane, sarà la sua. Ferri al pie’, ferri al collo, ferri alle mani. Se prima gli era permesso di respirare liberamente all’aperto, or non vedrà neppur lume. Se prima gli era concesso di passeggiare frequentemente alla larga, or neppur potrà coricarsi. E perché il misero divenga sempre più fiacco, e così men abile ai pristini tentativi, non andrà dì, ch’egli non sia macerato con lunghe inedie, con duri strazi, con furia di bastonate. – Or così appunto farà il demonio, uditori, con esso voi. Egli vi teneva già suoi schiavi; ed, o perché ei vi guardasse con minor cura, o perché voi vi portaste con maggior animo, gli siete usciti felicemente di mano: non è così? Che farà egli dunque, se voi mai più gli ritorniate in potere? Ve lo dirò con una formula tolta da un Geremia: ut non egrediamini, aggravabit compedes vestros (Thr. III, 7); vi raddoppierà le catene, vi rinforzerà le ritorte; ed attentamente mirando per quali vie voi siete ora scappati dalle sue mani, circumædificabit adversum vos (Ibid.); chiuderà tutti gli aditi, sbarrerà tutti i passi, non vi lascerà neppure un angusto spiraglio, onde mirar cielo. Se voi vi siete or convertiti per una lezione che faceste di libri pii, egli starà sempre attentissimo che non vi vengano altri libri alle mani, che di romanzi, di frascherie, di favolette, di amori: se per le prediche, ve ne distrarrà con affezionarvi al negozio; se per le congregazioni, ve ne distaccherà con allettarvi ai ridotti; se per le ispirazioni interiori, procurerà di tenervi involti fra strepiti, fra tumulti, fra brighe tali, tra cui la voce divina mai possa udirsi; ed in una parola, egli adoprerà tutta la malvagità, tutta l’arte, per più non perdervi: circumædificabit adversum vos, ut non egrediamini, aggravabit compedes vestros. Guardate dunque, o Cristiani; perché se voi gli ritornate in potere, voi ci restate: andate cauti, camminate avveduti, che non sono questi pericoli da scherzare.

VI. E ciò per quello che s’appartiene al demonio. – Quanto a Dio poi, chi non sa che voi, ricascando, meno potrete confidar innanzi di quegli ajuti, i quali Egli per l’addietro vi diede, affinché sorgeste? Perocché ditemi: come volete ch’Egli più si fidi di voi, se voi già più volte siete bruttamente mancati a lui di parola; e dopo avergli asseverato, protestato, promesso di non più offenderlo, ritornate sempre ad offenderlo più di prima? Questo dunque è trattar da uomo di onore? Giuda, per mantener la promessa fatta a Giacobbe di restituire a lui Beniamino dall’Egitto, si offerse a restar egli in dura prigione. Giosuè, per mantener la promessa fatta a’ Gabaoniti di serbar loro amistà, come collegato, s’indusse a trarsi addosso un’aspra battaglie. Regolo, quantunque gentile, per mantenere ancor egli ai Cartaginesi la sua famosa promessa di ritornare, se non si conchiudeva il riscatto, non dubitò di andare incontro ad un’atrocissima morte, chiuso ignudo dagli emoli in una botte, foderata tutta di pungoli spaventosi. – E a fine  di mantener la parola a Dio, non volete voi contentarvi  di patir nulla? non di frenare un appetito di senso? non di reprimere un impeto di furore? Che fede è questa, che lealtà, che schiettezza di cuor bennato? Irrisor est, non pœnitens (così dice il gran prelato Agostino), qui adhuc agit quod pœnituit, et peccala non minuit, sed multiplicat. Questo è un beffarsi di Dio, questo è un uccellarlo, questo è trattarlo da meno assai che non fate ad un ciabattino, a un paltoniere, a un pitocco, a cui, per vii ch’egli siasi  non volet’essergli apertamente infedeli. Aggiungete, che voi, tornando a peccare, prorompete in un atto d’ingratitudine più eccessivo, il più enorme, che possa usarsi da creatura mortale, qual è sprezzare la grazia restituitavi dopo il primo peccato; e che però voi siete allor quella terra chiamata già dall’Apostolo terra reproba, la quale avendo ricevute dal cielo larghe rugiade, sæpe venientem super se bibens imbrem (ad Hebr. VI, 7), in cambio di dar erbe opportune, produce spine, produce sierpi, proferì tribulos; nè perciò più altro si merita, se non fuoco: cujus consummatio in combustionem ( Ib. VI, 8). Aggiungete, che più grave scandalo; aggiungete, che date più grave lostrate più sordida sfacciatezza; aggiungete, che voi cadete nel numero di quei cani tornati al vomito, di cui si dice che sono sì abbominevoli innanzi a Dio. Canis reversus ad vomitum, così abbiamo in san Pietro (II, 22). Canis qui revertitur ad vomitum suum, così abbiam nei sacri proverbi (XXVI, 11). Ma chi è chiamato così? Già voi lo sapete: imprudens qui iterat stultitiam suam (Ibid.). Vi par però che, almen per quello che spetta a Dio, voi possiate peccar di nuovo, senza manifesto pericolo di perire? Ah, se ciò fosse, non avrebbe di costoro mai definito sì chiaramente il Principe della Chiesa: melius erat illis non cognoscere viam justitiæ, quam post agnitionem, retrorsum converti ab eo, quod illis traditum est, sancto mandato (2 Petr. II 21).

VII. Ma perché andarcene in traccia tante ragioni, mentre noi ne abbiamo una che, bene intesa, supplisce a tutte? Io vorrei però che la udiste con attenzione; perché, quantunque potrà ella forse atterrirvi non leggermente, ciò sarà per vostro profitto; ed io non ho tanto a cuore di riuscirvi giocondo nei miei discorsi, quanto giovevole. E manifesto che presso a Dio tutte le cose umane sono disposte ed in peso ed in numero ed in misura, come disse a lui lo scrittore della Sapienza (XI. 21): omnia in mensura et numero et pondere disposuisti. Sicché non solo il Signore ha già stabilito precisamente quante anime vuol al mondo di mano in mano, ma tiene ancora annoverati i loro atti, le loro parole, i loro passi, i loro pensieri, né ci è pericolo che in veruna cosuccia, quantunque minima, abbiasi punto a trasgredir questo numero già prefisso. Da ciò ne segue, ch’abbia Dio già parimente determinato qual numero di peccati voglia Egli tollerare pazientemente da ciascuno di noi; onde, quando già questo numero sia compito, forza è che al primo, il qual dì poi commettiamo, egli o ci tronchi improvvisamente la vita, oppur ci tolga impensatamente di senno, e così abbandonici in braccio alla dannazione. – Udite santo Agostino (De vita chr. c. 3), per la cui bocca io vi ho finor favellato. Illud sentire nos convenit, tamdiu unumquemque a Dei patientia sustineri, quamdiu nondum suorum peccatorum terminum finemque compleverit; quo consummato, eum illic percuti, nec ullam illi veniam jam reservari. Né di ciò mancano nelle divine Scritture segnalate testimonianze, tratte da ciò che Dio disse prima degli Amorrei; di poi de’ Pentapoliti, ed appresso dei Farisei. Ma, lasciate queste da parte, ne dirò una, la quale è la più cospicua. Peccarono gl’Israeliti più volte per lo deserto, or mormorando, or disperando, or gridando, ora idolatrando; e tuttavia col castigo dato ad alcuni sempre andò congiunto il perdono donato ad altri, finché i meschini non si trovarono a vista della famosissima terra di promissione. Quivi tornarono essi a peccar di nuovo, rammaricandosi come altre volte di Dio, perché gli avesse voluti trar dall’Egitto. Allora Iddio tutto irato disse a Mosè: e fino a quando ho Io più a offrire pazientemente le villanie di costoro? Io li voglio tutti distruggere, quanti sono, con una general pestilenza; li voglio spiantare, li voglio sterminare, li voglio ridurre al niente: usquequo detrahet mihi populus iste? Feriam igitur eos pestilentia atque consumam (Num. XIV, 11 et 12). Contuttociò, intercedendo caldamente Mosè per loro salvezza, finalmente Iddio condiscese a questo partito. A tutti coloro, i quali erano nati dopo l’uscir dell’Egitto, o non molto prima, a tutti fu contento di perdonare; ma quanto a tutti quegli altri, i quali di età già adulta n’erano usciti, non fu possibile ch’Egli più volesse usar loro pietà veruna. Ora mi sapreste voi dire qual fu la ragione, la quale addusse Iddio di sì fatta disagguaglianza? Ascoltate quale. Perché costoro lo avevano irritato già dieci volte: tentaverunt me jam per decem vices ( lb. XIV. 22). Dieci volte già, dieci volte m’hanno irritato; perciò si muoiano tutti. Sì? E così dunque Iddio teneva minutamente contate tutte le volte ch’Egli voleva tollerarli! Oh se gli sfortunati, giunti che furono a quel nono peccato, il qual era l’ultimo termine del perdono, trovato avessero per ventura un amico accorto e animoso, il quale avesse saputo a tempo gridar loro: fermatevi, basta, basta, non passate più oltre, che dopo questo vi sarà al tutto vano sperar pietà, quanto rilevante servigio avrebbe lor fatto! Ma chi lo voleva mai sapere? Troppo incerto è un tal numero, troppo vario: né si osserva con tutti una stessa legge, ma a chi più volte perdonasi, ed a chi meno. – Ond’è che Iddio, se fino al decimo eccesso aveva stabilito di sofferir quegli Ebrei, assai più stretto rigore egli volle usare con gli abitatori di Damasco e di Gaza, di Tiro e di Edom; e però udite ciò ch’egli fece dinunziar loro per bocca di Amos profeta: super tribus sceleribus Damasci, et super quatuor non convertam eum. Super tribus sceleribus Gazæ, et super quatuor non convertam eum. Super tribus sceleribus Gazæ, et super quatuor non convertam eum. Super tribus sceleribus Edom, et super quatuor non convertam eum (Amos I. 3, 6, 9 et 11). Il che non altro fu in buon linguaggio che un protestarsi che al quarto eccesso Egli avrebbegli abbandonati; e così letteralmente ciò spiegano, a favor mio, Teodoreto, Remigio, Aimone, Dionigi, il Lirano, ed altri seguaci in ciò dell’interprete massimo san Girolamo ( vide apud Sancium  in Amos 1). – Or, posta una dottrina sì soda, sì sussistente, venite qua, Cristiani mici, dite un poco: che sapete voi che quel peccato, da cui voi siete novellamente risorti, non sia quell’ultimo, il quale Iddio ne’ suoi profondi decreti ha prescritto di condonarvi? Avete forse voi del contrario certezza alcuna? Che diss’io certezza? Ne avete voi forse qualche indizio, qualche barlume? Anzi, avendovi Iddio tollerati già non solo, come gli Ebrei, fino a dieci volte, ma fino a venti, ma fine a trenta, ma forse fino alle cento, è molto più verisimile ch’oggimai voi dobbiat’esser puniti, ch’esser sofferti. E voi nondimeno trattate di ricadere? Ahimè, credetemi ch’io per voi tutto palpito, tutto tremo, solamente in riflettere al vostro rischio. Questo peccato, il qual voi trattate or di fare, questo sarà forse quello, a cui non rimane più grazia di sorte alcuna. Non perché al peccatore (ponete niente), non perché al peccatore, fìnch’egli ha vita, o finch’egli ha libertà, non sia sempre possibile ravvedersi di qualsisia gran peccato; questo non può dirsi in sincera teologia; ma perché, quand’egli n’ha compito quel cumulo a lui tassato per lo perdono, convien che al primo, il qual di poi ne commetta,  illico percutiatur; ch’è quanto dire, o egli muoia, o egli ammattisca; o, se non altro, restisi privo di quegli aiuti efficaci, senza cui non avviene che alcun si salvi. A che volere star dunque più irrisoluti? Signori no: bisogna fissare il chiodo: clavos tuos consolida, non lo dice forse Dio chiaro per Isaia? (LIV, 2). No, che non è materia questa di lunghe consultazioni, né si vuol mettere la nostra eterna salute a sì gran cimento per un piacer fuggitivo, qual egli siasi, o di vendetta, o d’interesse, o di amore, o di vanità. A tutti i patti convien che vi facciate un poco di forza; e dacché voi per misericordia divina vi siete già felicemente riscossi dalla schiavitù del peccato, convien che vi risolviate a non ricadervi, vadane ciò che si vuole: vadane roba, vadane riputazione, vadane amici, vadane ancor, se bisogni, la vita stessa. Prima morire che più peccare: prima morire, prima morire. Agonizare prò anima tua, sentite come lo dice ben l’Ecclesiastico ( IV, 33). agonizare prò anima tua; e se neppur questo è bastevole, ancor si muoja: et usque ad mortem certa prò justitia.

VIII. Oh quanto grande fu l’allegrezza che il Cielo pigliò di voi, quando voi già fermi per queste sacre feste di rendervi a quel Signore, a cui vi eravate malvagiamente ridotti, ne usciste tutti animosi di casa vostra, ne andaste alla chiesa, vi accostaste al confessionale, e quivi inginocchiativi a’ pie di quel sacerdote, il quale vi sostenea le veci di Cristo, mandaste prima dal cuore un breve sospiro, e poi, battendovi il petto, e bassando i lumi, con vero interno rammarico gli diceste: Padre,io peccai! Oh come allora tutti gli Angeli insieme ne fecero festa! oh che tripudj, oh che trionfi, oh che giubili se ne videro infra i beati! Che affettuose congratulazioni ne furono tosto fatte a Maria vostra protettrice, a Gesù vostro redentore, a Dio vostro padre! Vi basti di risapere che tutti i Giusti unitamente non erano allora al cielo di tanta gioia, di quanta gli era ciascun di voi per sè solo. –  E voi, dopo avere al Ciel dato un sì gran diletto, già cominciate a disegnar di ritorglielo, come farebbe chi oggi vi presentasse un ricco regalo, e poi domani ve lo mandasse ripentito a richiedere? Oh che inciviltà! Oh che insolenza! E che altro è ciò, ripiglia il Savio, che un rendersi al tutto odioso? Hodie fœneratur quis, et eros expetit: odibilis est (Eccli. XX, 16). Io fui per dire, era forse meglio che voi non lusingaste tutti i cittadini celesti con la speranza di avervi già riguadagnati per loro eterni compagni, se poi volevate ritornare ad affligerli così presto’, e a convertire le loro cetre in lutto, i lor canti in lagrime, e l’onor lor fatto in più gravo affronto. Væ, filii desertores, vorrei gridar tutto irato, se così fosse, con Isaia (XXX. 1): Væ, fìlli desertores! così dunque si viene a mancar di fede, ut addatis peccatum super peccatim? Mirate bene: voi avete già fatto prova di due padroni, del demonio e di Cristo. Servito avete variamente alcun tempo or l’uno e or l’altro, sicché oramai si può credere che sappiate quale sia ciascuno.. Se però voi, dopo aver lasciato il demonio, ed esservi di presente ridotti a Cristo, lasciate Cristo, e ritorniate al demonio, che sarà ciò? Non sarà un sentenza a note apertissime, che la servitù del demonio vi par migliore, che trovate in essa più gusto, che traete da essa più utilità? Comparationem videtur egisse qui utrumque cognoverit (fu ponderazione tremenda di Tertulliano – De pœnit. c. 2), et judicato pronunciaste eum meliorem, cujus se rursum esse maluerit. – E a un Dio sì buono volete dar questo smacco? Ah no, Cristiani, per quel sangue, il qual Egli ha sparso per voi, per quel sangue io vi supplico, per quel sangue, tanto a voi salutare, non gliene date. Prima morire, prima morire. Altrimenti miseri voi! Væ, f01ìlii desertores, tornerò ad esclamare, che ardire è il vostro? Lasciare un Dio pel demonio? Lasciare un Dio pel demonio? Oh che torto orrendo! E che mai potete cavare dalla servitù dell’inferno, fuorché rancori? Quid tibi vis in via Ægypti, ut bibas aquam turbidam? quid tibi cum via Assyriorum, ut bibas aquam fluminis? (Jer. II. 18). Adunque state pur forti, grida l’Apostolo: state, et nolite iterum jugo servitutis contineri (ad Gal. V. 1). Animatevi, avvaloratevi. Tutto il Cielo è pronto ad assistervi, purché voi gli vogliate esser fedeli. Non dubitate, che col suo patrocinio potrete più di quel che voi credereste. Quanti ivi sono, hanno sofferte assai più aspre battaglio di quante converrà per ventura incontrare a voi: chi fu segato, chi lapidato, chi arso, chi abitò su gli scogli, chi marcì dentro le caverne, chi macerò le carni sue con digiuni portentosissimi, chi con cilicj, chi con catene, chi con carneficine atrocissime d’ogni membro. Eppure agevolmente poterono tutto ciò col favor divino. E perché dunque con questo voi non potrete tanto di meno, quanto sol è non peccar più mortalmente? – Stabiliscasi dunque che così sia, ed a Dio si dica col fedelissimo Giobbe; vostro, o Signore ho deliberato di essere, vostro sono, vostro sarò: justificationem meam, quam cœpi tenere, non deseram (Job XXVII. 6). Toglietemi pur dal mondo, se voi vedete dover giungere un dì, ch’io non sia più vostro.

SECONDA PARTE

IX. Io non dubito punto che voi non siate arrivati bene ad intendere quanto sia grande la necessità ch’or abbiamo a non ricadere. E se i pesci sottrattisi una volta dall’amo, e se i cervi divincolatisi una volta dai lacci, sono da indi in poi più avveduti a non ritornarvi; perché non dovrem fare il simile ancora noi, che pur siamo dotati di tanto più salutevole accorgimento? Riman però chi solamente or ci dimostri una pratica da facilmente eseguire quanto abbiam detto. Ma non dubitate: san Giovanni Crisostomo ce la dà; né, a parer mio, può darsene altra più accertata, più acconcia; e tal è, tenersi lontano dalle occasioni. Non però sol dalle gravi (vedete bene, perché su ciò fu da noi tenuto altra volta, se vi ricorda, un discorso intero), ma dalle più leggiere, dalle più piccole, da quelle ancora, che assai da lungi potrebbero indurvi al malo; sicché se voi siete avvezzi a carnalità licenziose, vi asteniate anche da leggerezze non del tutto lascive; se siete avvezzi a ragionamenti sfacciati, vi asteniate anche dalle facezie non del tutto immodeste; se siete avvezzi a crapule intemperanti, vi asteniate anche dalle delizie non del tutto vietate; e così andate voi discorrendo per gli altri vizi in cui siete usi a cadere. Hoc maxime sccuritatis erit occasio (udite già le parole proprie del Santo – Hom. 15 ad pop.), non tantum peccata fugere verum etiam quæ videntur indifferentia quidem esse seu media, ad peccata vero nos supplantant. Vis pudicus esse? fuge etiam petulantem uspectum. Visa verbis lurpibus abesse? Fuge etiam risum solutum. Vis ebrietate separari? fuge delicias, et lautas mcnsas, et vinum radicitus extirpa.

X . Ma voi direte che dagli amici devon chiedersi cose oneste; laddove il voler tanto da voi, quanto qui si è detto, che altro sarebbe in verità che dannarvi ad una vita non solamente stentata, ma  insopportabile? Che non sia poco, quando voi vi guardiate da colpe espresse: nel rimanente voler che voi vi asteniate ancor dai trastulli non proibiti, non sozzi, ma indifferenti, ciò vi par troppo. Troppo? Ahimè che dite, uditori? fermate, un poco; che non mostrate, così dicendo, d’intendere quanto voi di presente dobbiate a Dio, ed a quanto vi obblighi lo stato, in cui vi trovate, di penitenti. E che direste se vi avess’io richiesti, come altri fanno, di asprissimi, flagellazioni sanguigne, cilicj irsuti, silenzj indispensabili, veglie lunghe? Osereste voi dire che fosser troppo? Pensate dunque s’è troppo non voler altro se non che vi priviate di alcuni piacerucci, per altro leciti, dappoiché tanti ne ammessi de’ licenziosi, de’ laidi, per non aggiungere ancor degli scandalosi! – Non così certo fu di parere il re Davide allora ch’egli, ardendo un giorno di sete, bramò quell’acqua freschissima di Betlemme. Oh con quanta avidità, recata che fu, la mirò, la tolse, ed accostossela, per trangugiarla in pochi sorsi alle labbra! Ma poi, tutto a un tratto restando, si mutò di animo: e, senza pur volerne gustare una sola gocciola, la sparse in aria, e sacrificolla al Signore: noluit bibere, sed libavit eam Domino (2 Reg. XXIII, 16). E per qual cagione fe’ ciò? Sapete perché? ne risponde il pontefice san Gregorio. Si venne Davide a ricordare in quel punto dei diletti pigliati pochi anni innanzi con Rersabea; e però, colmo di profondissimo orrore, riputò audacia che più pensasse a cavarsi capricci leciti chi si era un tempo sfogati anche i disonesti. Et quia se illicita perpetrasse meminerat. contra semetipsum jam rigidus, voluit etiam a licitis abstinere (Greg. hom. 34 in Evang.). Pare a voi dunque gran fatto che, ricordandovi ancora voi degli spassi da voi pigliati più volte ad onta di Dio, veniate un poco per amor d’esso a privarvene di qualcuno, permesso sì, ma non però sicurissimo, come sarebbe d’un festino, d’un ballo, d’una commedia, d’un libretto amoroso, di un detto vano? Ah no, signori miei cari, non convien credere che l’istesso fervore sia sufficiente ad un peccatore convertito, qual poteva esserci allor ch’egli era innocente. E però in figura di ciò noi troviamo nelle Scritture che gli Israeliti, dopo la lor lacrimosa cattività ritornati in Gerusalemme, furono nel culto divino molto più puntuali, come fu osservato da Beda; e che i Maccabei, dopo una fuga rincoratisi alla battaglia, furono nel dispregiare la vita molto più forti come fu considerato da Bachiario: per tacer d’altri, che qui sarebbe ora lungo di annoverare. Non mi dite dunque ch’è chiedere da voi troppo, chieder che voi vi teniate ora lontani da alcune occasioncelle di colpa, quantunque piccole; perché maggiore si richiede in voi di presente la perfezione.

XI. Ma senza ciò, guardate ch’altra risposta io vi voglio dare inaspettatissima. Voglio che voi, com’io diceva, vi astenete dalle occasioni leggiere, non però per vostra maggior mortificazione, signori no, ma per maggior comodo vostro; mercecché assai più difficile vi sarebbe donare il poco ad una vostra mal regolata passione, a negarle il molto, che non vi sarà di fatica a negarle tutto. Mi spiegherò. San Giovanni Crisostomo muove un dubbio, che a certi giovani, vagheggiatori di dame cosi insaziabili, sarà forse caro il saperlo: per qual cagione allora che Cristo corroborò nella nuova legge i precetti intimatici dall’antica, condannasse con termini significativi sì pesanti un guardo lascivo. Non sarebbe bastato dannar gli adulteri, dannar gli stupri, dannar le fornicazioni? Perché però mostrarsi tanto sollecito ancor de’ guardi, i quali nulla per sé stessi ridondano a danno altrui? Rende il Santo a ciò una risposta degnissima del suo ingegno, cioè divina, e dice: Cristo aver proceduto così, per facilitarci la strada del paradiso. Perché fingete che si stimi lecito un guardo, qual si diceva: quanto più duro ci sarà, dopo quel guardo, non ritenere nella mente l’amabile rimembranza della bellezza guardata, non invaghirsene, non infiammarsene, non cedere a quegli assalti che tosto il senso ribelle ci muoverà, per far che passiamo alle fornicazioni, agli stupri ed agli adulteri, che non ci sarebbe stato difficile l’astenersi perfettamente anche dal medesimo guardo! Il non guardare agevolmente si ottiene da chi che sia con un torcimento di volto, con un bassamente di ciglia, con un leggiero distrarsi a qualche altro affare; ma non così si ottiene ancora il resistere a quegli assalti che succedono dopo di aver guardato. Questi richiedono  un valor sovrumano, una virtù somma, quale non si posson promettere di se stessi neppure i Santi; e però, conchiude il Crisostomo: propterea et Christus eum supplicio mulctavit, qui muliere impudico aspectu fuerit contuitus, ut majore labore nos liberaret  (Hom. 2 in epist. ad Rom.). Essendo assai men difficile non lasciare appiccare il fuoco a un campo di stoppie, che non è spegnerlo quand’egli già si è appiccato, e impetuoso già solleva le vampe, già dilata le falde, già è fatto incendio. Or veniamo a nostro proposito. Se voi volete con facilità contenervi da quegli eccessi, a cui le vostre mal frenate passioni vi han già condotti, qual modo c’è? Non cominciare a condiscendere ad esse neppure in parte (intendete, Cristiani?), neppure in parte; perché se voi le appagherete nel poco, credete a me, sarete stretti ad appagarle di breve ancora nel molto.

XII. Ed a che tanto dolersi alcuni di voi della difficoltà che ritrovano, già risorti, a non ricadere? Lo credo anch’io. Se voi tenete in casa vostra i fomenti d’ogni libidine; se, ovunque girate il guardo, non altro voi rimirate intorno la camera se non che pitture lascive, vergognosi trofei della impurità; se ai vostri sensi mai non osate interdire un piccol trastullo; ma o voi dormiate, e volete a giacer le piume più molli; o voi mangiate, e volete a nutrirvi i cibi più eletti; o voi beviate, e volete a dissetarvi i falerni più vigorosi; se godete tanto del lusso, che arrivate a conciarvi come una femmina; se conversate del continuo con gente che ha sbandita dall’animo ogni pietà, dal volto ogni verecondia; se non ragionate mai, che i discorsi vostri non siano o licenziosi nei racconti che fanno, o svergognati nei proverbi che usurpano o sregolati nelle brame che esprimono, se ogni atto, ogni portamento, ogni moto, ogni parola, ogni gesto è come uno sprone, il qual v’incita a peccare, come volete poi nel resistere non sentire le più tormentose agonie? E quello ch’io, sol per cagion di esempio, vi ho divisato nell’unico peccato di senso, fate voi ragion che succeda con proporzione in quegli altri ancora, a cui già la natura sia malavvezza. Sei tu forse troppo sfrenato in correre al sangue? Prescriviti una legge di soffocare, appena nato, lo sdegno. Il dissimular sui principi una paroletta pungente li sarà nel vero molesto, ma tollerabile; laddove se tu per quella accendi una rissa, quanto ti sarà poi difficile uscir d’impegno! E tu sei forse troppo scorretto nell’accenderti in giuoco? lmponti un’obbligazione di non appressarti, benché invitato, alle bische. Il ripugnar da principio a quello scostumato compagno ti parrà per ventura strano, ma comportabile; laddove se tu per esso rientri in cricca, quanto ti sarà poi penoso restar dal vizio! – Ha la natura donate l’ale agli uccelli, signori sì; ma per qual effetto? Perché si sbrighino dalle panie, da’ lacci, poiché v’han dato? Non già; ma perché gli schivino. Lo schivarli sia loro legger fatica; ma lo sbrigarsene, oh che dibattimenti richiede, oh che strappate, oh che scosse! Né però basta. Or così appunto, se noi crediamo a san Giovanni Grisostomo, sia di noi. Le buone massime, i proponimenti onorati, i pii sentimenti ci serviranno come l’ale agli uccelli,  non ad uscire da quelle reti che il demonio tien tese per l’universo, ma a non entrarvi. Entrati che noi vi siamo, sarà difficile spiccare un volo sì vigoroso, che vaglia a scapparne liberi. Sed quantumeumque resilierimus, capti sumus (Chrys. hom. 15 ad pop.) Su dunque: questa sia quella pratica divinissima, la qual noi questa mattina apprendiamo a non ricadere: tenersi lungi dalle occasioni di peccato, quantunque piccole; dai lacciuoli. Qui cavet laqueos, securus erit (Prov. XI,15). E quando noi dal canto nostro adempiamo ciò che a noi tocca, fidiamoci poi di Dio; perché quantunque la perseveranza finale sia dono in tutto grazioso, in tutto gratuito, non però mancherà così il buon Signore di pietosamente concederla ancora a noi.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: LEONE XIII – OMNIBUS COMPERTUM

Omnibus compertum

In questa breve lettera il Santo Padre esorta all’unità disciplinare i religiosi della comunità orientali greco-melchite, di rito arabo-bizantino affinché risolvano i dissidi interni ricorrendo all’autorità del loro Patriarca antiocheno e, se necessario, presentandoli al giudizio dell’Autorità Apostolica del Santo Padre, unico detentore della Cattedra del Beato Pietro, nominato Vicario di Cristo dallo stesso Fondatore della Chiesa Cattolica, l’unica Chiesa istituita da Gesù a salvezza dell’umanità redenta. Anche in questo caso viene indicata, come Autorità suprema, capace di dirimere ogni questione religiosa, il Vescovo di Roma, assistito dallo Spirito Santo, e depositario della Fede immutabile, infallibile, e della eterna Dottrina rivelata da Gesù Cristo ed affidata alla sua unica vera Chiesa, Sposa incontaminata di Cristo, sulla quale nulla possono le porte degli inferi, sia che la attacchino frontalmente dall’esterno, sia che la infiltrino dall’interno attraverso l’opera dei marrani di ogni risma, degli operatori delle sette infernali o degli aderenti alla sinagoga di satana. È chiaro quindi anche da questo documento, come l’obbedienza, dottrinale e disciplinare, di ogni Cristiano, chierico della Gerarchia o semplice fedele, debba essere assoluta al Romano Pontefice, “condicio sine qua non”, onde appartenere alla Chiesa Cattolica, ed ottenere così la salvezza eterna … « … extra Ecclesiam nullus omnino salvatur! » Facciamo quindi ogni sforzo, alla luce della dottrina e dei Canoni ecclesiastici (C. J. C. Pio-benedettino del 1917), e non delle apparenze mediatico-massoniche, per comprendere la vera essenza del Papato e delle “vere” funzioni del Papa, e se non riusciamo a scorgerle tra gli improbabili figuri propinati dalla falsa chiesa dell’uomo, crediamo comunque alla parola di Gesù e del Concilio Vaticano “… il Beato Pietro avrà una serie ininterrotta di successori” … ripeto: ininterrotta! Perché sempre così è stato e sempre così sarà, fino alla “soluzione finale”, … se ne facciano tutti una ragione, il contrario sarebbe una orribile bestemmia: “… Gesù, l’Uomo-Dio ci ha mentito” o, ancora peggio:  “… non è riuscito a mantenere la sua parola”.  

Leone XIII

Lettera Enciclica

Omnibus compertum

I dissensi nati nella chiesa greco-melchita
21 luglio 1900

È a tutti noto e comprovato, venerabili fratelli, che Noi, fin dall’inizio del Nostro pontificato, abbiamo rivolto lo sguardo con grande amore alle nazioni cristiane dell’oriente, pubblicati inoltre non pochi atti. soprattutto la costituzione Orientalium, molte cose sono state da parte Nostra opportunamente dichiarate e decretate per mantenere stretta la loro unione con la cattedra di Pietro e per favorire la riconciliazione dei separati. – Abbiamo trovato in seguito con piacere altre occasioni per attestare la nostra operosa benevolenza verso i cattolici orientali, e, conservati uniti gli animi alla sede apostolica, non abbiamo certamente avuto nulla di più caro, nulla di più santo che stimolare in loro l’ardore e la fecondità della fede, al punto da tendere, con rinnovati esempi, all’eccellenza e alla fama degli antenati. – Fra tutte le chiese orientali, abbiamo seguito e seguiamo con una benevolenza del tutto particolare, l’illustre nazione e il patriarcato antiocheno greco-melchita. E infatti, per ricordare soltanto poche cose, voi sapete perfettamente, venerabili fratelli, che Noi fin dal 1882 abbiamo allestito nella città di Gerusalemme un seminario per i greco-melchiti, e vi abbiamo messo a capo i Missionari algerini. Inoltre, a Nostre spese, abbiamo cura che siano formati a Roma, nel Collegio atanasiano, parecchi alunni della stessa nazione greco-melchita, affinché attingano proprio alla fonte la verità cattolica, e si abituino a venerare apertamente e ad amare appassionatamente il centro dell’unità, che da Dio è stato istituito nella sede apostolica. Infine, nel 1894, come si ricava dalla stessa costituzione Orientalium, abbiamo attribuito al patriarca greco-melchita la giurisdizione anche su tutti i fedeli dello steso rito che vivono dentro i confini dell’impero turco. – Volentieri attestiamo che a questa benevolenza verso la nazione greco-melchita, ha risposto in modo adeguato la religiosa attività del vostro ordine, sia per lo zelo con cui, chiamati a prendere parte alla Nostra sollecitudine, cercate di compiere il vostro ministero, sia per l’operosità con la quale provvedete all’incolumità del gregge affidatovi. In verità, anche se ricordiamo tutte queste cose non senza la lode del vostro Ordine, non possiamo tuttavia dissimulare la tristezza dalla quale fummo colpiti, quando venimmo a sapore delle discordie che da non molto tempo erano sorte tra voi. Abbiamo potuto comporre tale dissidio con il favore e l’assistenza della grazia di Dio, quando molti di voi, che il mese scorso erano venuti a Roma, si sono sottomessi lodevolmente alle Nostre esortazioni, e subito si è ristabilita la pace e la concordia. Ora, per consolidare questo accordo degli animi, abbiamo deciso di dichiarare in modo particolare tre cose per mezzo di questa lettera.

I. Per quanto riguarda i diritti patriarcali, i privilegi, le funzioni, le prerogative, vogliamo che nulla sia sottratto o diminuito; tuttavia, nello stesso tempo, con tutte le nostre forze preghiamo il venerabile fratello Nostro, il patriarca antiocheno greco-melchita, affinché accolga con la dovuta riverenza e abbracci con fraterna carità i vescovi della stessa nazione, “che lo Spirito santo ha posto a reggere la chiesa di Dio”, secondo il precetto del beato Pietro il primo degli apostoli: “Non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge” (1 Pt V, 3); con cui si accordano le bellissime parole di Bernardo: “Operi la carità più che il potere”.

II. Raccomandiamo inoltre a tutti i vescovi della stessa nazione, di onorare e rispettare il sullodato patriarca come legittimo presule, e di prestare la dovuta obbedienza. Qualora sorga fra loro qualche controversia, la sottopongano umilmente in primo luogo al giudizio del patriarca; se poi succede che la cosa non venga risolta, la si porti in modo riverente alla sede apostolica.

III. Per evitare le future contestazioni sui diritti, sarà di ottimo aiuto la celebrazione del sinodo nazionale. A questo riguardo, come già altre volte vi abbiamo raccomandato, così ora, con la presente lettera, prescriviamo che tale sinodo venga convocato al più presto. In questo si tratti dei diritti dei patriarchi e dei vescovi, della giusta amministrazione dei fedeli, della disciplina del clero, delle istituzioni monastiche e delle altre pie istituzioni, delle necessità delle missioni, del decoro del culto divino, della sacra liturgia, e delle altre cose dello stesso genere, che con diligenza e con grande cautela debbono essere prese in considerazione per procurare la maggiore gloria di Dio e per accrescere lo splendore della chiesa greco-melchita. Come presso le altre chiese orientali la celebrazione del sinodo nazionale si è realizzata con vantaggio in ordine alla composizione dei problemi e al rinnovamento della disciplina ecclesiastica, così Noi a buon diritto ci ripromettiamo che dalla elaborazione e dalla promulgazione di leggi scritte si otterranno per la vostra Chiesa bellissimi frutti. Ora Invero, prima di porre fine alla presente lettera, con l’intimo affetto del nostro Cuore vi esortiamo e scongiuriamo affinché, avvinti strettamente ogni giorno di più da un fortissimo patto di carità, “cerchiate di conservare con ogni umiltà e mansuetudine l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace”. Nessuno di voi infatti ignora quale importanza abbia per il bene di tutta la chiesa e per favorire la riconciliazione dei separati, la concordia degli animi, delle volontà e dei pensieri. Per questo Noi abbiamo la certa speranza, venerabili fratelli, che voi, assecondando di tutto cuore queste paterne ammonizioni, desideri, richieste, vogliate eliminare radicalmente i germi dei dissensi, e così portare a compimento la Nostra gioia, e farvi carico di tutte le funzioni del vostro gravissimo ufficio per il perfezionamento dei santi e per l’edificazione del corpo di Cristo. Siate certi che Noi abbiamo deciso di compiere tutte quelle cose che verremo a conoscere come utili per il maggiore vantaggio della chiesa greco-melchita. Nel frattempo, nell’umiltà del Nostro cuore, preghiamo e supplichiamo Dio affinché vi elargisca propizio una grande abbondanza dei celesti carismi. Auspice della divina assistenza e testimone di quella ardentissima carità con cui vi abbracciamo nel Signore, impartiamo con grande amore a voi, venerabili fratelli, e a tutti i chierici e ai fedeli laici greco-melchiti, la benedizione apostolica.

Roma, presso San Pietro, 21 luglio 1900, anno XXIII del Nostro pontificato.

DOMENICA DI PASQUA (2019)

DOMENICA DI PASQUA (2019)

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps CXXXVIII: 18; CXXXVIII: 5-6.

Resurréxi, et adhuc tecum sum, allelúja: posuisti super me manum tuam, allelúja: mirábilis facta est sciéntia tua, allelúja, allelúja. [Son risorto e sono ancora con te, allelúia: ponesti la tua mano su di me, allelúia: miràbile si è dimostrata la tua scienza, allelúia, allelúia.]

Ps CXXXVIII: 1-2.

Dómine, probásti me et cognovísti me: tu cognovísti sessiónem meam et resurrectiónem meam. [O Signore, tu mi provi e mi conosci: conosci il mio riposo e il mio sòrgere.]

Resurréxi, et adhuc tecum sum, allelúja: posuísti super me manum tuam, allelúja: mirábilis facta est sciéntia tua, allelúja, allelúja. [Son risorto e sono ancora con te, allelúia: ponesti la tua mano su di me, allelúia: miràbile si è dimostrata la tua scienza, allelúia, allelúia.]

Oratio

Deus, qui hodiérna die per Unigénitum tuum æternitátis nobis áditum, devícta morte, reserásti: vota nostra, quæ præveniéndo aspíras, étiam adjuvándo proséquere. [O Dio, che in questo giorno, per mezzo del tuo Figlio Unigénito, vinta la morte, riapristi a noi le porte dell’eternità, accompagna i nostri voti aiutàndoci, Tu che li ispiri prevenendoli.] Per eundem Dominum nostrum Jesum Christum filium tuum, qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti, Deus, per omnia saecula saeculorum. R. Amen.

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios. 1 Cor V: 7-8

“Fratres: Expurgáte vetus ferméntum, ut sitis nova conspérsio, sicut estis ázymi. Etenim Pascha nostrum immolátus est Christus. Itaque epulémur: non in ferménto véteri, neque in ferménto malítiae et nequitiæ: sed in ázymis sinceritátis et veritátis.” 

Omelia I

[A. Castellazzi: Alla Scuola degli Apostoli; Sc. Tip. Artigianelli, Pavia, 1929]

LA RISURREZIONE SPIRITUALE

“Fratelli: Togliete via il vecchio fermento, affinché siate una pasta nuova, voi che siete già senza lievito. Poiché Cristo, che è la nostra pasqua, è stato immolato. Pertanto celebriamo la festa non col vecchio lievito, né col lievito della malizia e delle perversità, ma con gli azimi della purità e della verità”. (1 Cor. V, 7-8).

L’Epistola è un brano della prima lettera di S. Paolo ai Corinti. Siamo alle feste pasquali. Gli Ebrei celebravano la loro pasqua, mangiando l’agnello con pane azimo, dopo aver fatto scomparire tutto il pane fermentato. Anche i Corinti devono liberarsi da tutte le tendenze grossolane e carnali, e rinunciare al lievito del peccato. – Gesù Cristo, il nostro agnello pasquale, immolando se stesso, ha istituito una pasqua che dura sempre. Anche i Corinti, rinnovellati in Gesù Cristo, devono condurre continuamente una vita innocente e retta davanti a Dio. Cerchiamo di ricavare anche noi qualche frutto dall’insegnamento dell’Apostolo.

1. Dobbiamo liberarci dal peccato.

2. Specialmente nel tempo pasquale,

3. Sigillando la nostra conversione col banchetto eucaristico.

1.

Fratelli: Togliete via il vecchio fermento. Comunque si vogliano intendere queste parole, che l’Apostolo indirizza ai Corinti, è certo che li esorta a vivere santamente, lontani da ogni peccato, tanto più che si avvicinava la solennità di Pasqua. « Non c’è uomo che non pecchi », dice Salomone (3 Re, VIII, 46). E si pecca non solo venialmente: da molti si pecca mortalmente con la più grande indifferenza. Forse cesserà il peccato di essere un gran male, perché è tanto comune? Una malattia non cessa di essere un gran male, perché molto diffusa; e il peccato non cessa di essere il gran male che è, perché commesso da molti. Dio, autorità suprema, ci dice: «Osservate la mia legge e i miei comandamenti» (Lev. XVIII, 5). E noi non ci curiamo della sua legge e dei suoi comandamenti, che mettiamo sotto i piedi. Quale guadagno abbiamo fatto col peccato, e qual vantaggio riceviamo dal non liberarcene? Se non hai badato al peccato prima di commetterlo; consideralo almeno ora che l’hai commesso. Col peccato avrai acquistato beni, ma hai perduto Dio. Avrai avuto la soddisfazione della vendetta; ma ti sei meritato un condegno castigo; perché « quello che facesti per gli altri sarà fatto per te: sulla tua testa Dio farà cadere la tua mercede » (Abdia, 15). Se non aggraverà su te la sua mano in questa vita, l’aggraverà nella futura. Avrai provato godimenti terreni, ma hai perduto il diritto ai godimenti celesti. Ti sei attaccato a ciò che è momentaneo, ma hai perduto ciò che è eterno. Ti sarai acquistata la facile estimazione degli uomini, ma hai perduto l’amicizia di Dio. Hai abusato un momento della libertà; ma sei caduto nella schiavitù del peccato. « Che cosa hai perduto, che cosa hai acquistato?… Quello che hai perduto è più di quello che hai acquistato » (S. Agostino Enarr. in Ps. CXXIII, 9). – Il peccatore, però, da questo stato di perdita può uscire, rompendo le catene del peccato. Egli lo deve fare. Dio stesso ve lo incoraggia: « Togliti dai tuoi peccati e ritorna al Signore » (Eccli. XVII, 21), dice egli. « Io non voglio la morte dell’empio, ma che l’empio si converta dalla sua via, e viva… E l’empietà dell’empio non nuocerà a lui, ogni qual volta egli si converta dalla sua empietà » (Ezechiele XXXIII, 11…. 12). Non si è alieni dal ritornare a Dio; ma non si vuole far subito. Si vuole aspettare in punto di morte. Ma la morte ha teso le reti a tutti i varchi, e frequenti sono le sue sorprese. Può coglierci da sani, quando nessuno ci pensa; può coglierci da ammalati; quando non si crede tanto vicina, o si crede di averla già allontanata. Non sono pochi quelli che muoiono senza Sacramenti, perché si illudono che la malattia non sia mortale, o che il pericolo sia stato superato. E poi, non è da insensati trattare gli affari della più grande importanza, quando non si possono trattare che a metà, con la mente preoccupata in altre cose? E nessuno affare può essere importante quanto la salvezza dell’anima nostra; ed è imprudenza che supera ogni altra imprudenza volerlo trattare quando il tempo ci verrà a mancare, quando non avremo più la lucidità della mente. – Nessuno che è condannato a portare un peso, aspetterebbe a levarselo di dosso domani, se potesse levarselo quest’oggi. Nessuno che ha trovato una medicina, che può guarire una malattia recente, si decide a prenderla quando la malattia sarà inveterata. Nel nostro interno c’è la malattia del peccato; non lasciamola progredire. Un medico infallibile, Gesù Cristo, ci ha dato una medicina per la nostra guarigione spirituale, la confessione; non trascuriamola.

2.

Cristo, che è la nostra pasqua, è stato immolato. Per i Cristiani la festa pasquale è una festa che dura per tutta la vita, perché Gesù Cristo, nella festa pasquale, si è immolato una volta per sempre. Per tutta la vita, dunque, i Cristiani devono vivere in unione con Dio, mediante la santa grazia. E se il Cristiano avesse perduta la grazia? Non deve lasciar passare la Pasqua, senza riacquistarla Nei giorni della settimana santa la Chiesa ci ha rappresentato al vivo i patimenti di Gesù; e con questa rappresentazione voleva dire: Ecco, o peccatore, a qual punto i tuoi peccati hanno ridotto l’Uomo-Dio. Ecco in quale stato si è trovato per volerti liberare da essi. Ecco la croce su cui è morto per riparare i danni della colpa. Ecco il fiele da cui fu abbeverato, ecco le spine che gli forarono il capo, ecco i chiodi che gli trapassarono le mani e i piedi, ecco la lancia che gli aperse il costato, da cui uscirono acqua e sangue per lavacro delle anime. E tu rifiuterai di purificarti in questo lavacro? Davanti allo spettacolo di Dio che muore in croce per liberare gli uomini dal peccato, persino la natura si commuove: la terra trema, e le pietre si spezzano, e tu solo, o Cristiano resterai indifferente, mostrandoti più duro delle pietre? Imita piuttosto la moltitudine convenuta a quello spettacolo, che « tornava battendosi il petto » (Luc. XXIII, 48). Questa mattina la Chiesa ti invita a risorgere dal peccato col ricordo della risurrezione di Gesù Cristo. Essa ti rivolge le parole del salmista: « Questo giorno l’ha fatto il Signore, esultiamo e rallegrandoci in esso » (Salm. CXVII, 24. — Graduale —). Come prender parte all’esultanza della Chiesa in questo giorno, se l’anima nostra è morta alla grazia? Poiché l’esultanza che la Chiesa ci domanda non è l’esultanza delle piazze, delle osterie, dei caffè, degli spettacoli. È l’esultanza che viene dalla riconciliazione dell’uomo con Dio, dalla riacquistata libertà di suoi figli. Il peccatore non è insensibile all’invito della Chiesa. Ma la voce della Chiesa è soffocata da un’altra voce, per lui più forte, dalla voce del rispetto umano. Che diranno, se si verrà a sapere che sono andato a confessarmi? Se si tratta di curare una ferita non si ascoltano le voci dei profani, ma quella del chirurgo. Trattandosi di guarire le ferite prodotte dal peccato, saremmo ben stolti, se dessimo più peso alle chiacchiere dei negligenti, dei superbi, dei viziosi, che alla voce autorevole della Chiesa. Pensa quale consolazione procurò alla vedova di Naim la risurrezione del figlio. Le lagrime che avevano commosso Gesù, ora si sono cangiate in lagrime di consolazione. « Di quel giovane risuscitato gioì la vedova madre; degli uomini risuscitati spiritualmente goda ogni giorno la santa madre Chiesa» (S. Agostino Serm. 98, 2). Nel suono delle campane più festoso del solito essa vorrebbe farti sentire le parole dell’Apostolo: «E’ ora di scuoterci dal sonno» (Rom. XIII, 11). Svegliati, dunque, e non voler persistere nel pericolo di passare, senza svegliarti, dal sonno del peccato al sonno della morte.

3.

Gli Ebrei, purificata la casa da tutto ciò che era fermentato, mangiavano l’agnello pasquale. I Cristiani, devono anch’essi mangiare il vero Agnello pasquale, di cui l’antico agnello era tipo. Purificati, nella confessione, dal lievito dei peccati della vita trascorsa, con coscienza pura e retta intenzione, partecipino al banchetto pasquale. È quanto inculca l’Apostolo. Pertanto celebriamo la festa non col vecchio lievito, ne col lievito della malizia e della perversità; ma con gli azimi della purità e della verità.Quando si fanno feste solenni il banchetto ha sempreuna parte principale. Il banchetto eucaristico deve avereuna parte principalissima nella letizia della solennitàpasquale. Poco importa assidersi a un banchetto materiale,se l’anima si lascia digiuna.« Peccando non abbiamo conservato né la pietà, né lafelicità; ma, pur avendo perduto la felicità, non abbiamperduto la volontà di essere felici» (De Civitate Dei, L. 22, c. 30). L’uomo ha perduto il Paradiso terrestre, ma vi ritornerebbe ancor volentieri. Il Paradiso terrestre, perduto da Adamo, non possiamo più possederlo; ma possiamo possedere, ancor pellegrini su questa terra, un altro paradiso. Sta da noi,dopo aver preparato l’anima nostra ad accogliere l’Ospite divino, andargli incontro, riceverlo, metterlo nell’anima nostra, come su un piccolo trono. Il nostro cuore diventerebb el’abitazione di Dio, e, dove c’è Dio, c’è il Paradiso. La Chiesa vorrebbe che noi li gustassimo sovente questi momenti di Paradiso. E, visto che noi non siamo tanto docili alla sua voce, ci prega, ci scongiura, ci comanda di voler provare queste delizie interne almeno a Pasqua.Fare Pasqua! Due parole che spaventano tanti Cristiani, e che, invece, dovrebbero essere accolte con la brama con cui un assetato accoglie l’annuncio d’una vicina sorgente ristoratrice. Accostarsi alla Confessione e alla Mensa eucaristica, vuol dire mettere il cuore in pace, trovare la felicità perduta.Sulla fine d’Ottobre del 1886 si presenta al confessionaledell’abate Huvelin, nella chiesa di S. Agostinoa Parigi, un giovane ragguardevole, Carlo de Foucald. Era stato luogotenente dei Cacciatori d’Africa, coraggioso e fortunato esploratore del Marocco. Nel suo cuore c’era l’inquietudine e la tristezza.« Signor abate — dice dopo un leggero inchino —io non ho la fede, vengo a chiederle d’istruirmi ». L’abate Huvelin lo guardò: « Inginocchiatevi confessatevi a Dio; crederete ». — « Ma non sono venuto per questo». —« Confessatevi ».Quel giovane cedette. S’inginocchiò, e confessò tutta la sua vita. Quando il penitente fu assolto, l’abate gli domanda: « Siete digiuno? » — « Sì ». — « Andate e comunicatevi». Il giovane si accostò subito alla sacra Mensae fece « la sua seconda Prima Comunione ». Quella Confessione e quella Comunione furono il principio d’un’altravita. Egli esce dal tempio con la pace nel cuore; pace che gli trasparisce sempre dagli occhi, dal sorriso, nella voce e nelle parole. Egli, da oggi, si prepara alla vita di trappista, di sacerdote, di eremita, che finirà nel Sahara, dopo esser vissuto vittima di espiazione per sé e per gli altri (Renato Bazin, Carlo de Foucauld. Traduzione dal Francese di Clelia Montrezza. Milano 1928, p. 48-49). Forse, il pensiero di dover cominciare una vita nuova, dopo essersi accostati alla Confessione e alla Comunione, intrattiene parecchi dal compiere il loro dovere in questi giorni. Eppure è nostro interesse procurare al nostro cuore una pace vera e una santa letizia, oltre essere nostro dovere è nostro interesse, e massimo interesse, incominciare una vita nuova, intanto che ne abbiamo il tempo; senza contare che « una grave negligenza richiede anche una maggiore riparazione» (S. Leone M. Serm. 84, 2). Facciamo una buona Pasqua col proponimento di camminare in novità di vita, e di non volere imitare gli Ebrei, che dopo aver mangiato l’agnello pasquale nella notte della loro liberazione, rimpiangono l’Egitto, la terra della loro oppressione. « Noi pure mangiamo la Pasqua, cioè Cristo… Nessuno di coloro che mangiano questa pasqua si rivolga all’Egitto, ma al cielo, alla superna Gerusalemme » (S, Giov. Crisost.); da dove ci verrà la forza di compiere il nostro pellegrinaggio, senza ritornare sui passi della vita passata.

Alleluja 

Alleluia, alleluia Ps. CXVII:24; CXVII:1 Hæc dies, quam fecit Dóminus: exsultémus et lætémur in ea. [Questo è il giorno che fece il Signore: esultiamo e rallegriàmoci in esso.] V. Confitémini Dómino, quóniam bonus: quóniam in saeculum misericórdia ejus. Allelúja, allelúja. [Lodate il Signore, poiché è buono: eterna è la sua misericòrdia. Allelúia, allelúia.] 1 Cor V:7 V.Pascha nostrum immolátus est Christus. [Il Cristo, Pasqua nostra, è stato immolato.]

Sequentia

“Víctimæ pascháli laudes ímmolent Christiáni. Agnus rédemit oves: Christus ínnocens Patri reconciliávit peccatóres. Mors et vita duéllo conflixére mirándo: dux vitæ mórtuus regnat vivus. Dic nobis, María, quid vidísti in via? Sepúlcrum Christi vivéntis et glóriam vidi resurgéntis. Angélicos testes, sudárium et vestes. Surréxit Christus, spes mea: præcédet vos in Galilaeam. Scimus Christum surrexísse a mórtuis vere: tu nobis, victor Rex, miserére. Amen. Allelúja.” [Alla Vittima pasquale, lodi òffrano i Cristiani. – L’Agnello ha redento le pécore: Cristo innocente, al Padre ha riconciliato i peccatori. – La morte e la vita si scontràrono in miràbile duello: il Duce della vita, già morto, regna vivo. – Dicci, o Maria, che vedesti per via? – Vidi il sepolcro del Cristo vivente: e la glória del Risorgente. – I testimónii angélici, il sudàrio e i lini. – È risorto il Cristo, mia speranza: vi precede in Galilea. Noi sappiamo che il Cristo è veramente risorto da morte: o Tu, Re vittorioso, abbi pietà di noi. Amen. Allelúia.]

Evangelium 

Sequéntia  sancti Evangélii secúndum Marcum. 

 Marc. XVI:1-7.

“In illo témpore: María Magdaléne et María Jacóbi et Salóme emérunt arómata, ut veniéntes úngerent Jesum. Et valde mane una sabbatórum, veniunt ad monuméntum, orto jam sole. Et dicébant ad ínvicem: Quis revólvet nobis lápidem ab óstio monuménti? Et respiciéntes vidérunt revolútum lápidem. Erat quippe magnus valde. Et introëúntes in monuméntum vidérunt júvenem sedéntem in dextris, coopértum stola cándida, et obstupuérunt. Qui dicit illis: Nolíte expavéscere: Jesum quǽritis Nazarénum, crucifíxum: surréxit, non est hic, ecce locus, ubi posuérunt eum. Sed ite, dícite discípulis ejus et Petro, quia præcédit vos in Galilǽam: ibi eum vidébitis, sicut dixit vobis.” [In quel tempo: Maria Maddalena, Maria di Giacomo, e Salòme, comperàrono degli aromi per andare ad úngere Gesú. E di buon mattino, il primo giorno dopo il sàbato, arrivàrono al sepolcro, che il sole era già sorto. Ora, dicévano tra loro: Chi mai ci sposterà la pietra dall’ingresso del sepolcro? E guardando, vídero che la pietra era stata spostata: ed era molto grande. Entrate nel sepolcro, vídero un giòvane seduto sul lato destro, rivestito di càndida veste, e sbalordírono. Egli disse loro: Non vi spaventate, voi cercate Gesú Nazareno, il crocifisso: è risorto, non è qui: ecco il luogo dove lo avévano posto. Ma andate, e dite ai suoi discépoli, e a Pietro, che egli vi precede in Galilea: là lo vedrete, come vi disse.]

Omelia II

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

PEL SANTO GIORNO DI PASQUA

“In quel tempo, passato il sabato, Maria Maddalena, e Maria madre di Giacomo, e Salòme avevano comperato gli aromi per andare a imbalsamare Gesù. E (partite) di gran mattino, il primo dì della settimana, arrivano al sepolcro, essendo già nato il sole. E dicevano tra di loro: Chi ci leverà la pietra dalla bocca del monumento? Ma in osservando, videro ch’era stata rimossa la pietra, la quale era molto grossa. Ed entrate nel monumento videro un giovine a sedere dal lato destro, coperto di bianca veste, e rimasero stupefatte. Ma egli disse loro: Non abbiate timore: voi cercate Gesù Nazzareno crocifisso: egli è risuscitato, non è qui: ecco il luogo dove l’avevano deposto. Ma andate ai suoi discepoli e a Pietro: egli vi andrà innanzi nella Galilea; ivi lo vedrete, com’egli vi ha detto” (Marc. XVI, 1-1).

Surrexit! È risorto! Ecco, o miei cari, la gran parola, che oggi si ripete con gioia nei sacri riti della Chiesa: Gesù Cristo è risorto! Dopoché nel giorno di venerdì, alle tre pomeridiane, Egli era spirato sulla croce, Giuseppe d’Arimatea, nobile decurione e uomo buono e giusto, benché discepolo occulto del divino Maestro per timore dei Giudei, fattosi santamente audace si presentò a Pilato e gli chiese il corpo di Gesù. Pilato, inteso dal centurione che Gesù era veramente morto, annuì alla domanda di Giuseppe d’Arimatea. Il quale comperata una sindone monda si avviò al Calvario per deporre dalla croce il corpo di Gesù ed involgerlo entro a quella sindone. Ed essendosi a lui unito Nicodemo, altro discepolo occulto di Gesù, che portava con sé degli aromi preziosi, giunti al Calvario, calarono con santa riverenza il corpo di Gesù dalla croce, lo involsero nella sindone con quegli aromi, secondo il costume de’ Giudei; quindi andarono religiosamente a deporlo in un monumento nuovo scavato nel vivo sasso; ed appressata una gran pietra alla porta del monumento, lo lasciarono. Ivi il corpo di Gesù rimase parte di quel venerdì, tutto il susseguente sabbato e parte del giorno dopo, chiamato in seguito domenica. Ma in sull’alba del terzo giorno l’anima di Gesù che, dopo la sua morte, era discesa al limbo, venne a riunirsi al suo corpo, e Gesù per sua propria virtù risorse glorioso e trionfante dal suo sepolcro, deludendo tutte le precauzioni, che contro di Lui avevano preso i suoi nemici. Del quale grande avvenimento perché noi fossimo certi, non solo volle dopo la sua risurrezione ripetutamente apparire a’ suoi discepoli, ma volle ancora che gli Angeli del cielo venissero a manifestarlo e ad attestarlo agli uomini. Ed è appunto una tale manifestazione ed attestazione che la Chiesa in questo giorno solenne ci invita a considerare nel santo Vangelo.

1. In quel tempo, comincia a dirci il santo Vangelo, in quel tempo Maria Maddalena, e Maria di Giacomo, e Maria Salòme comprarono degli aromi, per recarsi ad ungere il corpo di Gesù. E qui, o miei cari, prima di andare innanzi fermiamoci un istante a prendere una bella lezione da queste pie e sante donne. Animate come esse erano da una gran fede, epperò persuase che il corpo racchiuso nel sepolcro di Giuseppe di Arimatea era veramente il corpo del Redentore del mondo; inoltre accese da una grande carità verso di quel caro Gesù, che avevano preso ad oggetto di tutto il loro amore, non potendo patire di starsene da Lui lontane e di lasciarlo negletto in quel sepolcro, comprarono degli aromi per recarsi a Lui vicino e con quelli fargli in qualche modo riparazione delle tante piaghe, da cui nella sua passione e morte era stato ricoperto. Or non è vero che è grandemente ammirabile la pietà di queste sante donne? Ma non meno della nostra ammirazione una tale pietà è sommamente meritevole della nostra imitazione. – Il nostro caro Gesù, non più morto come nel santo sepolcro, ma vivo come dopo la sua risurrezione, e come trovasi in cielo, risiede pure per la SS. Eucarestia nel piccolo monumento del santo tabernacolo, ivi trattenuto dal suo infinito amore per gli uomini. E chi sa dire i benefizi immensi, che di lì Egli sparge sopra gli uomini? Eppure vi sono tanti sciagurati, i quali in questo stesso Sacramento di amore lo oltraggiano, lo insultano e lo ricoprono per così dire di ferite e di piaghe. Ed in vero quante lingue malvagie bestemmiano questo SS. Sacramento! Quanti uomini superbi lo contraddicono ed osano negarne la verità! Quanti miserabili lo disprezzano col mancargli di rispetto e in Chiesa, dove se ne sta come in sua casa, e fuori di Chiesa, quando è portato in processione o per viatico agli infermi! Quanti altri lo affliggono col costringerlo nella Comunione sacrilega ad entrare nei loro cuori macchiati da grave peccato! E quanti disgraziati vi sono, che arrivano anche al punto di rapirlo nei santi tabernacoli e da gettarlo poscia tra le luridezze e in pasto ai cani! Or chi sa dire come tutti questi oltraggi ed insulti feriscono il cuore amoroso di Gesù? Conviene pertanto ai buoni Cristiani, animati da viva fede pel suo SS. Sacramento ed accesi per esso di santo amore, imitare la pietà delle sante donne, di cui parla il Vangelo di oggi, e farsi con visite devote al SS. Sacramento istesso a ripararlo degli oltraggi e degli insulti, che pur troppo riceve dai malvagi. E come quelle sante donne per riparare alle piaghe di Gesù portarono con sé degli aromi preziosi, così ancor noi nell’entrare nella casa di Dio a ripararlo degli oltraggi, che riceve nel S. S. Sacramento, dobbiamo portare con noi gli aromi preziosi di una viva fede e di una ardente carità, che ci eccitino a fare delle preghiere, le quali salgano al trono di Dio in odore di soavità e gli riescano di grata riparazione. Ecco adunque la prima e bella lezione, che dobbiamo prendere dal Vangelo di questa grande solennità.

2. Prosegue poi il Vangelo dicendo che, comperati quegli aromi, le pie donne assai per tempo nel primo dì dopo il sabbato vennero al monumento, essendo già balzato il sole. E dicevano tra di loro: Chi ci smuoverà la pietra dalla porta del monumento? E riguardando videro la pietra già rovesciata, benché fosse assai grande. Ed anche su questo tratto conviene che ci fermiamo qualche poco a fare un’importante osservazione. Quelle pie donne nel recarsi al monumento in cui era sepolto Gesù, si mostravano assai preoccupate dalla difficoltà in cui si sarebbero trovate per entrarvi, essendo che assai pesante era la pietra sovrapposta alla porta del monumento e per loro sarebbe stato assai difficile il poterla rimuovere. Ma ecco che riguardando attentamente videro scomparsa ogni difficoltà al loro intento, giacché quella gran pietra si presentò loro innanzi già bell’e rovesciata. Or ecco in queste circostanze rappresentato al vivo ciò che succede in certe anime, quando stanno per uscire da una vita di peccato per darsi invece ad una vita tutta intesa al servizio di Dio.Costoro, avendo pur volontà risoluta di lasciare il male e di appigliarsi al bene, immaginano tuttavia delle gravi difficoltà, prima nel compiere questo passo, e poi nel camminare costantemente per la retta via. Anzitutto si pensano che sia assai difficile compiere il primo passo, fare cioè una buona Confessione. Giacché, o essendo già da molti anni che non si confessano più, od essendo da vario tempo che si confessano male, temono che nella confessione, che pur vorrebbero fare, non possa riuscir loro di dire tutto, di spiegarsi bene e di riparare convenientemente alla trascuranza ed alla malvagità passata. E con questo timore talmente si angustiano, che alle volte per questa sola difficoltà rimandano e differiscono sempre di giorno in giorno la loro Confessione, esponendosi per tal guisa al pericolo di non poterla più fare, e ad ogni modo mantenendo il loro animo in uno stato di affanno e di ansietà indicibile. E poscia si crucciano altresì pensando, che, anche dopo d’aver con una buona Confessione riparato al passato, non riesca loro possibile mantenersi fermi nei loro buoni propositi e non ritornare alla vita peccaminosa di prima. Questa era appunto la difficoltà, che sentiva Santo Agostino, quando era pur risoluto di lasciare la vita mondana per darsi del tutto al divino servizio. Come mai, andava dicendo egli a se stesso, come mai riuscirò io a menare una vita veramente pura e casta? Come lascerò del tutto quei piaceri che sino ad ora ho gustati? Come vincerò le mie perverse inclinazioni? E così al pari di S. Agostino, vanno dicendo a se stessi molti giovani e molti Cristiani e quando dalla voce di Dio sono invitati a lasciare la vita del peccato, e quando sentono puro in cuore una grande volontà di lasciarla.Or bene costoro devono essere ben persuasi, che le difficoltà, che loro si presentano in questo caso, non sono che difficoltà apparenti, e che anzi tali difficoltà a chi è di buon volere non esistono più, come più non esisteva all’intento delle pie donne la difficoltà della gran pietra sovrapposta al monumento di Gesù Cristo. Ed in vero, chi è seriamente risoluto di lasciare il male per appigliarsi al bene, si accosti senz’altro al Sacramento della Penitenza e conoscerà a prova come tutt’altro che difficile, riesce invece assai facile coll’aiuto di Dio e del confessore a sgravarsi del peso delle proprie colpe, tanto da restare persino meravigliato della facilità, che vi ha in questo primo passo. E poscia continui tranquillamente nei suoi buoni propositi e vedrà che il Signore, facendosi con lui generoso della sua grazia, gli darà la forza per resistere alle tentazioni e vincerle, e per mantenersi costante nella pratica della virtù. Sicché in tanta agevolezza di operare il bene e di respingere il male dovrà dire in fondo al suo cuore: No, non mi sarei mai creduto, che fosse così soave il giogo di Gesù Cristo e così leggiero il peso della sua legge! Se pertanto, o miei cari, vi fosse ancora qualcuno che non si fosse del tutto deciso di lasciare una vita poco o nulla cristiana, si decida oggi a questo importante ammaestramento, che gli dà il Vangelo della solennità pasquale e, superate tutte le difficoltà, risorga ancor egli dal suo sonno di morte e partecipi alla giocondità della Risurrezione di Cristo, di quella Risurrezione, che come dissi, il Signore volle manifestata ed attestata anche dagli Angeli del Cielo.

3.  Ed in vero ecco ciò che ci racconta infine il Vangelo: Ed entrando quelle pie donne nel monumento videro un giovane che sedeva alla destra, ricoperto di una veste candida, e stupirono. Ma questi disse loro: Non vogliate spaventarvi: voi cercate Gesù Nazareno crocifisso: è risorto, non è più qui, ecco il luogo, ove lo posarono. Epperò andate, dite ai suoi discepoli ed a Pietro, che Egli vi precede in Galilea, che ivi lo vedrete, siccome Egli vi disse. Questo giovane pertanto, così chiamato nel Vangelo di S. Marco, e nel Vangelo di S. Matteo chiamato senz’altro col suo nome di Angelo del Signore, disceso dal Cielo e rimossa la pietra del monumento, col volto sfolgoreggiante di luce e col vestito candido come la neve rimase là per manifestare ed attestare a quelle pie donne, e per mezzo loro a tutti, che Gesù Cristo, conforme a quel che aveva predetto, era veramente risorto.Dal che è assai facile il riconoscere con qual lusso di testimonianze il Signore abbia voluto dimostrare la verità di quel miracolo, che è il massimo operato da nostro Signor Gesù Cristo, e che al dire di S. Paolo, basta da sé solo a costituire la base della nostra fede, poiché, come egli stesso si esprime, sarebbe vana la nostra fede, se Gesù Cristo non fosse risorto. Epperò mentre l’abbondanza di testimonianze di questo grande mistero ci deve raffermare nella fede del medesimo, accresce altresì la colpa di coloro, che superbamente negano alle verità della fede l’omaggio della loro credenza, e li rende affatto inescusabili. Tuttavia, o miei cari, prima di terminare io desidero ancora dall’attestazione dell’Angelo prendere argomento a fare un voto per ciascuno di noi. Gesù Cristo, disse l’Angelo alle pie donne,Gesù Cristo è risorto. Or ecco il voto che io intendo esprimere: che gli Angeli del cielo, riguardando di questi giorni a ciascuno di noi, possano dire di ciascuno di noi la stessa cosa: Questi giovani, questi Cristiani sono risorti! Sono risorti dai loro peccati e dai loro vizi; sono risorti dalle loro cattive abitudini; sono risorti dalla loro freddezza; sono risorti dalla loro indifferenza e dalla loro tiepidezza; son veramente risorti per non ricadere mai più, come Gesù Cristo risorse per non mai più morire. Ecco il voto che io esprimo, e che non è altro se non l’adempimento di quella raccomandazione, che con le parole di S. Paolo ci fa oggi la Chiesa dicendo: « Fratelli, togliete da voi il vecchio fermento della malizia e della nequizia e rendetevi come pani azimi per la sincerità e per la verità (1 Cor. V) ». Che si adempia pertanto questo voto, che si pratichi da tutti noi questa raccomandazione; ed allora con maggior animo si potrà da ciascuno di noi prender parte alle grandi feste della Pasqua, cioè della Risurrezione di Cristo.

  Credo…

Offertorium 

Orémus 

Ps. LXXV: 9-10.

Terra trémuit, et quiévit, dum resúrgeret in judício Deus, allelúja. [La terra tremò e ristette, quando sorse Dio a fare giustizia, allelúia.]

Secreta

Súscipe, quaesumus, Dómine, preces pópuli tui cum oblatiónibus hostiárum: ut, Paschálibus initiáta mystériis, ad æternitátis nobis medélam, te operánte, profíciant. [O Signore, Ti supplichiamo, accogli le preghiere del pòpolo tuo, in uno con l’offerta di questi doni, affinché i medésimi, consacrati dai misteri pasquali, ci sérvano, per òpera tua, di rimédio per l’eternità.] –

Communio 

1 Cor V: 7-8

Pascha nostrum immolátus est Christus, allelúja: itaque epulémur in ázymis sinceritátis et veritátis, allelúja, allelúja, allelúja.[Il Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato, allelúia: banchettiamo dunque con gli àzzimi della purezza e della verità, allelúia, allelúia, allelúia.]

Postcommunio 

 Orémus.

Spíritum nobis, Dómine, tuæ caritátis infúnde: ut, quos sacraméntis paschálibus satiásti, tua fácias pietáte concordes. [Infondi in noi, o Signore, lo Spírito della tua carità: affinché coloro che saziasti coi sacramenti pasquali, li renda unànimi con la tua pietà.]

LO SCUDO DELLA FEDE (57)

LO SCUDO DELLA FEDE (57 )

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]

CONVINCE FALSO IL PROTESTANTISMO PERCHÈ NON È CATTOLICO, OSSIA UNIVERSALE.

La vera Chiesa fondata da Gesù dovette sempre esser nel mondo e dovette sempre esser così visibile, che tutti i popoli la potessero ravvisare e distinguere dalle altre. Non che tutte le nazioni abbiano dovuto all’istante ricevere il lume dell’Evangelio, ma che successivamente sia stato recato loro, di modo che si vegga sempre grandeggiare in qualche luogo e si conosce che questo è il medesimo che fu sparso per tutto il mondo ed abbracciato da tutte le nazioni. Così si conveniva alle promesse che la S. Chiesa aveva ricevuto dal suo Sposo divino Gesù Cristo. Sentitene alcuna per vostra consolazione. Gesù Cristo per mezzo della sua Chiesa, dice il Salmista, doveva dominare dal mare fino al mare, dal fiume fino al termine dell’orbe terraqueo (Ps. LXXI). Negli ultimi tempi, cioè in quelli della Chiesa, sarà preparato il monte della casa del Signore, sulla vetta di tutti gii altri monti, ed a Lui si recheranno tutte le genti ed egli c’insegnerà le sue vie (Is. II, 2). Io stringerò, dice altrove, un’alleanza sempiterna, e nelle nazioni si conoscerà il loro germe, ed il loro germe sarà in mezzo a tutti i popoli; tutti quelli che li vedranno, conosceranno che questi sono il seme a cui ha benedetto il Signore (Is LXI, 8-9). Chiedi a me, (dice Dio per bocca del Salmista al suo divino Figliuolo) ed io ti darò le genti per tua eredità e per tua possessione i confini ultimi della terra (Ps. II, 8). – Vedete se deve essere sparsa universalmente la vera Chiesa di Gesù? Inoltre conferma tutte queste Profezie lo stesso Gesù dicendo che l’Evangelio sarà predicato in tutto l’universo (Marc. XIII, 18), che in suo Nome si ha da predicare la penitenza e la remissione dei peccati a tutte le genti, incominciando da Gerusalemme (Luc. XXIV, 47). Mi renderete testimonianza, dice Gesù agli Apostoli ed ai suoi successori, in Gerusalemme, in tutta la Giudea, nella Samaria e fino all’estremità della terra (Act. IV, 8). Ora ditemi sinceramente: quale fu la Religione che adempì tutte queste Profezie dell’antico Testamento e del nuovo ? Non è evidentissimo che è la sola Chiesa Cattolica Apostolica Romana? Se voi considerate questo bel fiume della Chiesa Cattolica. voi vedrete appunto che essa di età in età. di secolo in secolo, andò introducendosi in tutti i paesi che sono sulla terra. Fino dai suoi primordi invase l’Oriente tutto, l’Egitto, l’Asia, le Indie, la Grecia e gran parte d’Italia, ed a mano a mano i Romani Pontefici successori di S. Pietro conquistarono le altre parti del mondo, inviando degli Apostoli da per tutto. Nel secolo primo per opera di S. Crescente furono convertiti i Moguntini, per opera di S. Materno e di S. Eucario i Coloniesi e i Treviresi, per opera di S. Lazzaro, i popoli di Marsilia, e di S. Ireneo quei di Lione, di Vienna ed altri. Nel secondo secolo S. Lucio fu spedito ai popoli della Rezia. S, Ghiliano a quei della Franconia, S. Ruperto a quei della Baviera. Nel secolo terzo, quarto e quinto si dilatò la Chiesa nell’Africa, nella Grecia e nelle Gallie. Sul fine del secolo sesto nell’Inghilterra per opera di S. Agostino speditovi da S. Gregorio. S. Bonifazio nel secolo settimo la propagò in molte parti della Germania: S. Firmino convertì i popoli dell’Alsalzia e della Svezia: S. Ludgero la Sassonia inferiore. Nei tempi susseguenti altri ed altri popoli entrarono nella Chiesa, fino al momento in cui spuntarono i Protestanti, nel qual tempo appunto per loro confusione Iddio fece vedere qual fosse la potenza della Chiesa Cattolica; la quale dilatò la Fede nelle Indie per mezzo di S. Francesco Saverio, aprì le porte del Giappone e della Cina fino allora chiuse, e vi fece fiorire nobilissime cristianità, e non lascia fino ai dì nostri di spargere nei vasti Regni di Siam e del Tonchino e della Cocincina, nella nuova Olanda ed in tante isole perdute in mezzo al mare, la sementa dell’Evangelio per farla fruttificare in anime senza numero. Ora come non è visibile da tutto ciò, che la Chiesa Romana è veramente Cattolica, cioè universale e sparsa a tutte le genti , e che così compie tutte le Profezie che erano state fatte intorno alla vera Chiesa? – Dall’altra parte può forse dirsi che si adattino e convengano queste Profezie ai protestanti? Nulla meno: imperocché dove sono stati essi in tutti i secoli anteriori alla riforma? Per mille e cinquecento anni non vi è chi abbia tenuta la loro dottrina né sentito parlare di loro. Lo stesso Lutero affermava che ai suoi tempi nessuno conosceva più le gran cose che egli aveva da insegnare. Non è dunque Cattolica la loro setta, perché non si estende a tutti i tempi. Ma neppure dopo che è nata questa setta può dirsi Cattolica, perché non si estende a tutti i popoli: perocché sebbene siano in vari paesi molti che si danno il nome di Protestanti, qual è però delle tante sette in che sono divisi quella che possa vantarsi di essere Cattolica, cioè universale? Forse 1’Anglicana? Ma questa non è universale neppure in Inghilterra, che è sì piccola rispetto al mondo intero, perché la avversano i Disuniti, i Presbiteriani, i Quaccheri, i Metodisti, i Vaslesiani, gli Scozzesi e cento altre sette che tutte la condannano. Forse la Luterana? Ma se questa ha ancora alcuni seguaci nella Svezia e nella Danimarca, la maggior parte della Germania l’ha abbandonata ed ha formate cento mila sette diverse. Forse il Calvinismo? Ma questo che aveva sua sedeprincipale in Ginevra, ha lasciato ivi stesso il luogo a tutti gli errori immaginabili, tantoché fra tante Religioni in Ginevra ve ne ha perfino una in onore del Diavolo. Non vi parlo degli Stati Uniti di America, dove pure sono Protestanti, perché ivi è impossibile numerare tutte le varie credenze che dominano e ciò per confessione degli stessi Protestanti. O quale adunque di tante sette può aspirare al vanto di esser Cattolica, cioè universale? Non vi sono dieci teste che si intendano insieme, ed hanno la superbia di chiamarsi Cattolici! ed essere essi la fiaccola che illumina l’universo! – Avete mai letta la favola della rana e del bue? Una rana una volta si lasciò prendere da tanta invidia al vedere un bel bue grosso che pasceva l’erba in un prato, che volle emularlo nella grandezza. Che fece? Cominciò a gonfiarsi sformatamente; ma alla fine crepò e questo fu tutto l’utile che ne trasse. Fate voi l’applicazione a quei Protestanti che vanno attorno chiamando la loro setta la Chiesa Cattolica. Del resto poi essi stessi sono così convinti nel cuore, che non sono i veri Cattolici, che secondo l’osservazione fatta da S. Agostino, se voi trovandovi in un paese di eretici domandaste dove sia la Chiesa Cattolica, essi sarebbero i primi a mostrarvi la Chiesa nostra e non la loro. Che segno è questo? Che la verità si fa largo da sé  stessa, anche a dispetto di quelli che non la vogliono.

I SERMONI DEL CURATO D’ARS (Venerdì Santo)

VENERDI SANTO

Il peccato rinnova la passione di Gesù-Cristo.

[Discorsi di San G. B.M. VIANNEY curato d’Ars – Vol. II.; IV. Ediz. Totino-Roma, Ed. Marietti 1933]

Prolapsi sunt: rursum crucifigentes sibimetipsis Filium Dei.

Coloro che peccano crocifiggono in se stessi nuovamente il Figlio di Dio.

(S. Paolo: agli Ebrei, VI, 6.)

Possiamo, F . M., concepire un delitto più orribile di quello che commisero i Giudei, quando fecero morire il Figlio di Dio, che essi aspettavano da quattro mila anni, Lui che era stato l’ammirazione dei profeti, la speranza dei patriarchi, la consolazione dei giusti, la gioia del cielo, il tesoro della terra, la felicità dell’universo? Alcuni giorni prima, l’avevano ricevuto in trionfo nella sua entrata in Gerusalemme, manifestando così chiaramente che lo riconoscevano pel Salvatore del mondo. Ditemi, F. M., è possibile, che ciò nonostante lo vogliano far morire dopo averlo satollato d’ogni sorta d’oltraggi? Qual male aveva dunque loro fatto il divin Salvatore? O piuttosto qual bene non faceva loro, liberandoli dalla tirannia del demonio, riconciliandoli col Padre suo, aprendo la porta del cielo, che il peccato di Adamo aveva loro chiusa? Ahimè! di che non è capace l’uomo che si lascia accecare dalle sue passioni! Pilato lascia loro la scelta di aver libero Gesù o Barabba, un famoso assassino. Essi liberano il ladro carico di delitti: e Gesù, la stessa innocenza, anzi il loro Redentore, vogliono che sia fatto morire! Mio Dio qual preferenza indegna! Ciò vi sorprende, F. M., ed avete ragione: eppure vi dirò che noi facciamo questa preferenza ogni volta che pecchiamo. E per meglio farvelo sentire, vi mostrerò quanto è grande l’oltraggio che facciamo a Gesù Cristo, preferendo la via delle nostre passioni alla via di Dio. – Sì, F. M., la malizia degli uomini ha fatto trovar loro dei mezzi per rinnovare i patimenti e la morte di Gesù Cristo, non solo allo stesso modo crudele adoperato dai Giudei, ma altresì in un modo sacrilego e orrendo. Gesù Cristo sulla terra non aveva che una vita, ed un Calvario, sul quale venir crocifisso: ma dopo la sua morte, l’uomo coi suoi peccati gli fa trovar tante croci quanti sono i cuori sulla terra. Per meglio convincercene, esaminiamo la cosa più davvicino. Che cosa scopriamo nella passione di Gesù Cristo? Non è un Dio tradito, abbandonato persino dai suoi discepoli: un Dio messo a confronto con un infame assassino: un Dio esposto al furore dell’empietà, e trattato come un re da burla? Infine, non è un Dio posto su di una croce? Tutto ciò, ne converrete, era ben umiliante e crudele nella morte di Gesù Cristo. Eppure, F. M., non esito a dire che quanto avviene ogni giorno fra i Cristiani è assai più doloroso per Gesù Cristo di quanto gli fecero soffrire i Giudei.

1° So bene che Gesù Cristo fu tradito ed abbandonato dai suoi Apostoli: forse fu questa la ferita più dolorosa pel suo Cuore così buono. Ma affermo altresì che per la malizia dell’uomo e del demonio viene rinnovata ogni giorno questa ferita così dolorosa da un numero in finito di cattivi Cristiani. Se Gesù Cristo, F. M., ci ha lasciato nella santa Messa il ricordo ed i meriti della sua Passione, ha pur permesso che vi fossero ancora uomini e Cristiani che portano il carattere di suoi discepoli, e tuttavia lo tradiscono e l’abbandonano quando se ne presenta l’occasione. Non si fanno scrupolo alcuno di rinunciare al Battesimo e di rinnegare la loro fede: e ciò pel timore di essere derisi o sprezzati da qualche libertino o da qualche miserabile ignorante. Di questo numero sono tre quarti degli uomini d’oggigiorno, che non osano mostrare coi loro atti d’essere Cristiani. Ora noi l’abbandoniamo il nostro Dio ogni volta che tralasciamo di pregare al mattino od alla sera, e manchiamo alla santa Messa, ai Vespri, e alle altre funzioni della Chiesa. Abbiam abbandonato il buon Dio da quando non frequentiamo più i Sacramenti. Ah! Signore, dove sono coloro che vi sono fedeli, e vi seguono sino al Calvario? … Gesù Cristo, durante la sua passione, prevedeva già che ben pochi Cristiani lo seguirebbero dappertutto, non lasciandosi separare da lui né dai tormenti, né dalla morte. Fra tutti i suoi discepoli, allora vi fu solo la sua santa Madre e S. Giovanni che ebbero abbastanza coraggio d’accompagnarlo sino al Calvario. Finché nostro Signore colmò di benefizi i suoi discepoli, essi furono sempre pronti a soffrire. Così erano S. Pietro, S. Tommaso: ma giunto il momento della prova, tutti l’abbandonarono. Immagine evidente di tanti Cristiani che fanno a Dio le più belle promesse, ma alla minima prova lo lasciano e l’abbandonano: non vogliono riconoscere né Dio né la sua provvidenza: una piccola calunnia, un piccolo torto ricevuto, una malattia un po’ lunga, il timore di perdere l’amicizia di alcuno dal quale ricevettero o sperano di ricevere qualche favore, fa loro considerare la Religione come un nulla: la mettono da parte, e giungono persino a scagliarsi contro chi la pratica. Pigliano tutto in mala parte, maledicono coloro che stimano causa dei loro malanni. Ahimè! mio Dio, quanti disertori! quanto pochi Cristiani vi seguono, come la santa Vergine, sino al Calvario! … Ma, mi direte, come possiamo noi conoscere se seguiamo Gesù Cristo? — F. M., niente di più facile a sapersi: quando osservate fedelmente i suoi comandamenti. Ci è ordinato di pregar Dio mattino e sera con grande rispetto: ebbene lo fate voi in ginocchio prima di mettervi al lavoro, coll’intenzione di piacere a Dio e salvar l’anima vostra? ovvero, al contrario, lo fate per abitudine, per usanza, senza pensar a Dio, senza curarvi che siete in pericolo di perdervi, e quindi avete bisogno delle grazie del Signore per non dannarvi? I comandamenti di Dio vi proibiscono di lavorare in giorno di domenica. Ebbene! vedete se vi siete fedeli, se avete passato santamente questo giorno nella preghiera, oppure confessando i vostri peccati, per timore che la morte vi sorprenda in tale stato da farvi cadere nell’inferno. Esaminate il modo col quale assistete alla santa Messa, per vedere se siete ben penetrati della grandezza di questa azione, se avete veramente pensato che era Gesù Cristo stesso, come uomo e come Dio, presente sull’altare. Vi siete venuti colle disposizioni che aveva la Ss. Vergine sul Calvario, giacché è lo stesso Dio, ed il medesimo sacrificio? Avete detto a Dio quanto eravate pentiti di averlo offeso, e che avreste preferito, coll’aiuto della sua grazia, di morire, anziché di peccare ancora? Avete fatto tutto il possibile per rendervi degni dei favori che Dio voleva accordarvi? Gli avete domandato che vi facesse la grazia di ben approfittare delle istruzioni che avete avuto la buona fortuna di udire, e che hanno solo il fine di istruirvi sui doveri verso di Lui e verso il prossimo? I comandamenti di Dio vi proibiscono di bestemmiare: vedete quali parole escono dalla vostra bocca, consacrata a Dio pel santo Battesimo: esaminate se pronunciate invano il santo nome di Dio, se avete l’abitudine di dire parole cattive? Dio vi ordina con un comandamento di amare il padre o la madre… Dite di essere figli della Chiesa …; vedete se osservate quanto vi comanda (citarne i precetti). Sì, F. M., se siamo fedeli a Dio come la santa Vergine, non temeremo né il mondo né il demonio: saremo pronti a sacrificare tutto anche la vita. Ecco un esempio. – La storia racconta che dopo la morte di S. Sisto tutte le ricchezze della Chiesa furono affidate a san Lorenzo. L’imperatore Valeriano fece venire il santo alla sua presenza, egli ordinò di consegnargli tutti quei tesori. S. Lorenzo, senza scomporsi, domandò una dilazione di tre giorni. Frattanto, raccolse quanti poté ciechi, storpi, ed altri poveri ed ammalati, colpiti da infermità o coperti di ulceri. Passati i tre giorni, S. Lorenzo li mostrò all’imperatore dicendogli che quello era il tesoro della Chiesa. Valeriano, sorpreso e irritato dalla presenza di quella folla, che sembrava riunire tutte le miserie della terra, s’infuriò, e voltandosi ai soldati ordinò di caricar intanto S. Lorenzo di catene di ferro, riservandosi poi il piacere di farlo morire di morte lenta e crudele. Infatti lo fece battere con verghe, gli fece lacerar la pelle e subire tormenti d’ogni sorta: il santo si burlava di queste torture, sicché Valeriano, fuori di sé, fece stendere Lorenzo su d’un letto di ferro sotto il quale fu acceso un piccolo fuoco di carboni, per farlo arrostire adagio adagio, e render la sua morte più crudele e più lenta. Quando il fuoco ebbe consumato una parte del suo corpo, S. Lorenzo, sempre ridendosi dei supplizi, si volse all’imperatore, col viso ilare e tutto splendente: “Non vedi, dissegli, che la mia carne è abbastanza arrostita da un lato? voltala adunque dall’altro, onde sia ugualmente gloriosa in cielo. „ D’ordine del tiranno, i carnefici voltarono il martire. Dopo un po’, S. Lorenzo s’indirizzò all’imperatore. “La mia carne è ora ben arrostita; puoi mangiarne. „ Non riconoscete, F. M., a questi segni un Cristiano che, imitando la Ss. Vergine e S. Giovanni, seppe seguire il suo Dio sino al Calvario? Ahimè! che sarà di noi, quando Dio ci metterà in faccia a questi Santi, che preferirono di tutto soffrire anziché rinnegare la loro religione e la loro coscienza?

2° Noi non ci contentammo di abbandonare Gesù Cristo, come gli Apostoli che, dopo essere stati ricolmati di benefizi, fuggirono quando Egli aveva maggior bisogno di consolazione; ahimè, quanto grande è il numero di coloro che preferiscono Barabba, cioè preferiscono seguire il mondo e le passioni, anziché Gesù Cristo carico della sua croce! Quante volte lo ricevemmo come in trionfo nella santa Comunione, e poco dopo, sedotti dalle passioni, abbiamo preferito a questo Re di gloria, ora il piacere di un momento, ora un vile interesse, cui andiamo dietro nonostante i rimorsi della coscienza! Quante volte, F. M., non ci siamo divisi tra la coscienza e le passioni, ed in questa lotta abbiamo soffocato la voce di Dio per non ascoltar che quella delle nostre cattive inclinazioni! Se ne dubitate, ascoltatemi un istante, e lo capirete assai chiaramente. La coscienza, che è il nostro giudice, quando facciamo qualche cosa contro la legge di Dio, ci dice internamente: “Cosa fai? … ecco il tuo piacere da una parte, ed il tuo Dio dall’altra: non puoi piacere a tutt’e due insieme: per chi vuoi dichiararti?… Rinuncia o al tuo Dio o al tuo piacere.„ Ahimè! quante volte facciamo come i Giudei: diamo la preferenza a Barabba, cioè alle passioni! Quante volte abbiam detto: “Voglio il mio piacere ! „ La coscienza ci ha risposto: “Ma del tuo Dio, che cosa sarà? „ — “Ne sia pur quel che gli garberà, rispondono le passioni; io voglio soddisfarmi. „ — “ Sai bene, ci dice la coscienza coi rimorsi che ci fa sentire, che gustando quel piacere proibito, fai morire una seconda volta il tuo Dio! „ — Che m’importa, risponde la passione, se il mio Dio vien crocifisso, purché io mi accontenti?„ — 8 Ma che male t’ha fatto il tuo Dio, e qual ragione hai d’abbandonarlo? Sai bene che ogni volta lo hai disprezzato, te ne sei pentito: e elle seguendo le cattive inclinazioni perdi l’anima tua, il cielo ed il tuo Dio!„ — Ma la passione, che arde dal desiderio di soddisfarsi: “ Il mio piacere, ecco la mia ragione: Dio è nemico del mio piacere; sia crocifisso! „ — “Preferirai tu il piacere d’un istante al tuo mDio? „ — “ Sì, esclama la passione, avvenga che può dell’anima mia e del mio Dio, purché io goda. „ Ecco intanto, F. M., ciò che facciamo ogni qual volta pecchiamo. E vero che non ce ne rendiam sempre conto così chiaramente: ma sappiam benissimo che ci è impossibile desiderare e commettere il peccato, senza perder Dio, il cielo e l’anima. Non è vero che ogni volta che siamo sul punto di peccare, udiamo una voce interna la quale ci grida di fermarci; altrimenti ci perdiamo, e facciam morire il nostro Dio? Ah! possiam ben dirlo, F. M., la Passione che i Giudei fecero soffrire a Gesù Cristo era quasi un nulla in confronto di quella che i Cristiani gli fan patire cogli oltraggi del peccato mortale. I Giudei preferirono a Gesù Cristo un assassino che aveva commesso parecchi omicidi: e cosa fa il Cristiano peccatore? Non preferisce un uomo al suo Dio, anzi, diciamolo gemendo, un miserabile pensiero d’orgoglio, di odio, di vendetta o d’impurità; un atto di golosità, un bicchier di vino, un miserabile guadagno di appena cinque lire; uno sguardo osceno, od una azione infame: ecco che cosa preferisce al Dio tutto santità! Ah! disgraziati, che facciamo noi? Quale sarà il nostro orrore quando Gesù Cristo ci mostrerà ciò che gli abbiam preferito!… Ah! F. M., possiamo spinger tant’oltre il nostro furore contro un Dio che ci ha tanto amati?… Non meravigliamoci se i Santi che conoscevano la grandezza del peccato, anziché commetterlo, preferirono soffrire quanto può inventare il furore dei tiranni. Ne vediamo un mirabile esempio in santa Margherita. Il padre suo, sacerdote idolatra e di gran reputazione, sapendola cristiana e non potendo farle rinunciare la sua religione, la maltrattò nel modo più indegno, poi la scacciò di casa. Margherita non si scosse e nonostante la nobiltà sua, andò a condurre vita umile e oscura presso la sua nutrice, che sin dai suoi primi anni le aveva ispirato le virtù cristiane. Un prefetto del pretorio, di nome Olibrio, colpito dalla sua bellezza, se la fece condurre innanzi per farle rinnegare la fede e sposarla. Alle prime domande del prefetto, gli rispose che era cristiana, e che intendeva restare per sempre sposa di Gesù Cristo. Olibrio, irritato dalla risposta della santa, comandò ai carnefici di spogliarla delle vesti e stenderla sul cavalletto. Ivi la fece battere a colpi di verga con tanta crudeltà che il sangue scorreva da tutte le membra. In mezzo a questi tormenti, le si diceva di sacrificare agli dèi dell’impero, affine di non perder la bellezza e la vita con la sua ostinazione. Ma tra i supplizi ella gridava: “No, no, giammai lascerò il mio Dio per un bene perituro ed un piacere vergognoso! Gesù Cristo, mio sposo ha cura di me e non mi abbandonerà. „ Il giudice vedendone il coraggio, che chiamava ostinazione, la fece percuotere sì crudelmente che, barbaro com’era, fu obbligato a distogliere da essa gli sguardi. Temendo soccombesse, la fece condurre in prigione. Il demonio apparve alla vergine sotto forma di orribile dragone, pronto ad ingoiarla. Ma avendo ella fatto il segno della croce, il dragone morì ai suoi piedi. Dopo questo terribile combattimento, vide una croce splendente come un globo di luce, ed intorno ad essa una colomba d’una bianchezza meravigliosa si aggirava. Si sentì tutta confortata. Poco dopo, il giudice iniquo, vedendo che nulla poteva su di essa, malgrado le torture che atterrivano gli stessi carnefici, le fece alfine tagliar il capo. Ebbene, F. M., facciamo anche noi come S. Margherita, noi che preferiamo un vile interesse a Gesù Cristo? noi che anziché dispiacere al mondo preferiamo trasgredire i comandamenti di Dio e della Chiesa? noi che per piacere ad un amico empio, mangiamo carne nei giorni proibiti? che per render un servigio al vicino, non ci facciamo scrupolo di lavorare o di favorire le nostre bestie nel santo giorno di domenica? che infine, passiamo una parte di questo giorno ed anche il tempo delle funzioni sacre al giuoco ed all’osteria, anziché disgustare qualche miserabile amico? Ahimè! F. M., i Cristiani disposti a fare come S. Margherita, a tutto sacrificare, i loro beni e la vita, piuttosto che dispiacere a Gesù Cristo, sono così rari come gli eletti, cioè così rari come coloro che andranno in cielo. Mio Dio, quanto il mondo è cambiato!

3° Gesù Cristo fu esposto agli insulti dell’empietà, e trattato come un re da burla da una turba di falsi adoratori. Vedete quel Dio, che il cielo e la terra non possono contenere, e che volendolo, con un solo muover di ciglia potrebbe annientare il mondo: gli si getta sulle spalle un vil manto di porpora, gli si mette una canna in mano, ed una corona di spine sul capo; lo si abbandona ad una coorte di insolenti soldati. Ahimè! in quale stato è ridotto Colui che gli Angeli adorano tremando! Piegano il ginocchio davanti a lui per rendere la derisione più amara: prendono la canna che tiene in mano, e gli percuotono il capo sanguinolento. Oh! quale spettacolo! quale empietà!… Ma la carità di Gesù Cristo è così grande, che malgrado tanti oltraggi e senza alcun lamento, muore volontariamente per salvarci tutti. Eppure, F. M., questo spettacolo, che non possiamo considerare senza fremere, si riproduce ogni giorno nella condotta di gran numero di Cristiani. Consideriamo il contegno che questi sventurati tengono durante le sacre funzioni, alla presenza d’un Dio che si è annientato per noi, che sta sui nostri altari e nei nostri tabernacoli solo per colmarci d’ogni sorta di beni: quali adorazioni gli rendono! Ditemi, Gesù Cristo non è forse trattato più crudelmente dai Cristiani che dai Giudei, i quali non avevano come noi la fortuna di conoscerlo? Vedete quei sensuali: appena piegano un ginocchio negli istanti più solenni del mistero: fate osservazione a quei sorrisi, a quelle parole, a quegli sguardi gettati in ogni parte della chiesa, a quei segni che si fanno quei piccoli empi ed ignoranti: e questo è solo l’esterno: se potessimo penetrare sino al fondo del cuore, ahimè, quanti pensieri di odio, di vendetta, d’orgoglio! Oserei dire, quanti pensieri impuri divorano e corrompono quei cuori! Quei poveri Cristiani non hanno spesso né libri né rosario durante la santa Messa, e non sanno in che occuparsi durante le sacre funzioni. Quindi ascoltateli mormorare e lamentarsi di esser tenuti troppo a lungo alla santa presenza di Dio. O Signore! quale oltraggio e quale insulto vi si fa nel momento stesso in cui aprite con tanta bontà ed amore le viscere della vostra misericordia!… Non mi meraviglio, F. M., che i Giudei abbiano colmato Gesù Cristo di obbrobrio, l’abbian considerato come un delinquente, anzi abbian creduto di fare un’opera buona; perché “se l’avessero conosciuto, ci dice S. Paolo, non avrebbero mai fatto morire il Re della gloria. „ (I Cor. II, 8). – Ma i Cristiani i quali sanno benissimo che Gesù Cristo in persona è presente sugli altari; e quanto il loro poco rispetto l’offenda, e la loro empietà lo oltraggi! … O mio Dio! i Cristiani, se non avessero perduto la fede, potrebbero entrare nei nostri templi senza tremare e senza piangere amaramente i loro peccati? Quanti vi sputano in faccia colla loro troppa cura d’abbellire il lor volto; vi incoronano di spine col loro orgoglio; vi fanno sentire i crudi colpi della flagellazione colle loro azioni impure che ne profanano il corpo e l’anima; vi danno, ahimè, la morte coi loro sacrilegi; vi tengon confitto in croce, restando nel peccato!… O mio Dio! Quanti giudei trovate tra i Cristiani! . ..

4° Non possiamo pensare senza fremere a quanto avvenne ai piedi della croce: là il Padre eterno aspettava il suo Figlio adorabile per scaricare su di lui tutti i colpi della sua giustizia. Possiamo dire del pari che ai piedi degli altari Gesù Cristo riceve gli oltraggi più sanguinosi. Ahimè! quanto disprezzo per la sua santa presenza! quante confessioni mal fatte! quante messe ascoltate male! quante comunioni sacrileghe! Ah! F. M., non potrei dire con S. Bernardo: “Che pensate del vostro Dio, quale idea ne avete? Disgraziato: se aveste l’idea che dovete averne, verreste voi sino a’ suoi piedi ad insultarlo? „ È un insultar Gesù Cristo il venir nelle chiese davanti agli altari con lo spirito distratto e tutto occupato degli affari del mondo: è insultar la maestà di Dio lo stare alla sua presenza con meno modestia che in una casa dei grandi del mondo. Lo oltraggiano, quelle donne e quelle giovani mondane, che sembrano non venir ai piedi degli altari se non per sfoggiare la loro vanità, attirare gli sguardi, e rubare la gloria e l’adorazione dovute a Dio solo. Dio è paziente, F. M., m a verrà l’ora sua… Lasciate che venga l’eternità! … Se altre volte Dio si lamentava che il suo popolo gli era infedele e profanava il suo santo nome, quali rimproveri non dovrebbe farci ora, che non contenti di oltraggiare il suo santo nome con bestemmie da far fremere l’inferno, si profana il Corpo adorabile del suo Figlio, ed il Sangue suo prezioso! O mio Dio, a che siete ridotto! … Prima non avevate che un solo calvario: ora ne avete tanti, quanti sono i cattivi Cristiani!. .. Da tutto ciò, F. M., che cosa concluderemo, se non che siamo ben disgraziati a far tanto soffrire il nostro Salvatore che tanto ci ha amato? No, non facciamo più morire Gesù Cristo coi nostri peccati, lasciamolo vivere in noi, e viviamo noi stessi della sua grazia. Così avremo la sorte di tutti coloro che hanno evitato il peccato e fatto il bene, col solo fine di piacergli.

E quanto vi auguro…

 

 

 

 

 

 

LE OMELIE DEL CURATO D’ARS (Giovedì Santo)

 

LE OMELIE DEL CURATO D’ARS

GIOVEDI SANTO

Caro mea vere est cibus. (*)

La mia carne è veramente cibo. (S. Giov. VI, 56.)

(*) Il testo originale è nel I volume di: SERMONS du Vénérable Serviteur de Dieu J.-B.-M. VIANNEY CURÉ D’ARS – PARIS
LIBRAIRIE 
VICTOR LECOFFRE, 90 RUE BONAPARTE. ——- LYON LIBRAIRIE
CHRÉTIENNE
(Ancienne Maison BAUCHU) ED. RUBAN, PLACE BELLECOUR, 6

APPROBATION.

Archevêche De LYON  –  Lyon, 20 août
1882.

† L. M. Card. CAVEROT, Archevêque de Lyon.

L’opera è pubblicata in rete da: Bibliothèque Sain Libère – htpp: www. liberius.net –

© Bibliothèque Saint Libèr 2011 (Toute reproduction à but non lucrative est autorisée- si autorizza ogni riproduzione senza fini di
lucro).

La traduzione italiana è redazionale, ma confrontata con la versione italiana di Giuseppe D’Isengard F. d. M. in “I SERMONI DEL B° GIOVANNI B. M. VIANNEY, Curato d’Ars”. Libreria del Sacro Cuore – Rimpetto ai Ss. Martiri -, Torino, 1907 (Tip. Salesiana, via Cottolengo, 32).

Nihil obstat,

Torino, 5 aprile 1908 Teol. Coll.
Giacomo Sacchieri, prete della Missione, Revisore delegato.

Imprimatur

Torino, 8 Aprile 1908, Can. Ezio
Gastaldi-Santi Provic. Gen.

[N.B.: Si diffidano i fedeli “veri” Cattolici dal consultare altre versioni di a-cattolici modernisti, in particolare gli scismatici eretici
aderenti alla setta del Novus ordo, in comunione con gli antipapi usurpanti
attuali, non dotate né di Nihil obstat né dell’Imprimatur canonico
imposto dalla Costituzione Apostolica “Officiorum ac Munerum
di S. S. Leone XIII, e dall’Enciclica “Pascendi” di
S. S. San Pio X, passibili quindi di SCOMUNICA “ipso facto”
latæ sententiæ riservata in modo speciale alla Sede Apostolica. … intelligenti
pauca!]

Possiamo noi, fratelli miei, indubbiamente in tutta la nostra Religione, trovare un momento, una circostanza più felice, di quella dell’istante in cui Gesù-Cristo istituì il Sacramento adorabile degli altari? No, fratelli miei, no! Perché questa circostanza ci richiama l’amore immenso di un DIO per le sue creature. È vero che in tutto ciò che DIO  ha fatto, le sue perfezioni si manifestano all’infinito. Creando il mondo Egli fa brillare la grandezza della sua potenza. Governando questo vasto universo, ci dà prova di una saggezza incomprensibile, ed anche noi possiamo dire con il salmo tredicesimo: « Si, DIO  mio Voi siete infinitamente grande nelle piccole cose, e nella creazione dell’insetto più vile. » Ma nell’istituzione di questo grande Sacramento d’amore, non v’è solo la sua potenza e la sapienza, ma l’amore immenso del suo cuore per noi. Sapendo molto bene che era prossimo il
suo tempo per tornare al Padre, non potette risolversi di lasciarci soli sulla terra, di fronte a tanti nemici, che cercavano tutti la nostra perdita. Sì, prima che Gesù-Cristo istituisse questo Sacramento d’amore, Egli sapeva bene a quanti disprezzi e profanazioni andasse ad esporsi; ma tutto questo non fu capace di fermarlo; Egli vuole che noi abbiamo la felicità di trovarlo tutte le volte che vorremmo ricercarlo, e con questo grande Sacramento si impegna a restare in mezzo a noi, giorno e notte; ed in Lui troviamo un DIO Salvatore che ogni giorno si offrirà per noi alla giustizia del Padre suo. O nazione felice! Chi lo ha mai compreso? Per ispirarci un rispetto ed un grande amore verso Gesù-Cristo, nel Sacramento adorabile dell’Eucaristia, vi mostrerò quanto Gesù-Cristo ci abbia amato nell’istituzione dell’Eucaristia. Qual felicità, fratelli miei, per una creatura ricevere il suo DIO!, nutrirsene, impinguarsene! O amore infinito, immenso ed incomprensibile! …, Può un Cristiano pensarvi e non morire d’amore e tremore alla vista della sua indegnità! …

I. È vero che in tutti Sacramenti che Gesù-Cristo ha istituito, Egli ci mostra una infinita misericordia. Nel Sacramento del Battesimo ci strappa dalle mani di lucifero e ci rende figli di DIO sua Padre; ci apre il Cielo che ci era chiuso; ci rende partecipi di tutti i tesori della Chiesa e, se restiamo fedeli ai nostri impegni, ci viene assicurata un eterna felicità; nel Sacramento della Penitenza, ci mostra e ci fa partecipe della sua misericordia fino all’estremo; poiché ci strappa dall’inferno, ove i nostri peccati di malizia  ci avevano trascinato, e di nuovo ci applica i meriti infiniti della sua morte e della sua Passione; nel Sacramento della Confermazione, ci dà uno spirito di luce per condurci nel cammino della virtù, che ci fa conoscere il bene ciò che dobbiamo fare, ed il male che dobbiamo evitare; per di più, ci dà uno spirito di forza per superare tutto ciò che possa
impedirci di giungere alla nostra salvezza. Nel Sacramento dell’estrema Unzione vediamo con gli occhi della fede che Gesù ci copre con i meriti della sua morte e passione. In quello dell’Ordine, Gesù-Cristo dà tutti i suoi poteri ai suoi Sacerdoti; essi li fanno poi scendere in quello del Matrimonio, e vediamo che Gesù-Cristo santifica tutte le nostre azioni, anche quelle in cui sembra che seguiamo le inclinazioni corrotte della natura. Ecco, voi mi direte, delle misericordie degne di un DIO che è infinito in tutto. Ma nel Sacramento adorabile dell’Eucaristia, Egli va oltre: tutto questo non sembra essere che un primo assaggio del suo amore per gli uomini; Egli vuole, per la felicità delle sue creature, che il suo Corpo e la sua Anima e la sua Divinità si trovino in tutti gli angoli del mondo, affinché, tutte le volte che si vorrà, lo si possa trovare, e con Lui noi troviamo ogni sorta di felicità. Se siamo nelle pene e nel dolore, Egli ci consolerà e ci allevierà. Siamo malati? Egli ci guarirà, ci darà forze onde soffrire in maniera da meritare il cielo. Se il demonio, il mondo e le nostre inclinazioni ci fanno guerra, Egli ci darà armi per combattere, per resistere e riportare vittoria. Se noi siamo poveri, Egli ci arricchirà con ogni tipo di ricchezze per il tempo e per l’eternità. Queste sono tante grazie, voi pensate. Oh, no! Fratelli miei, il suo amore ancor non è soddisfatto, Egli ne ha da farci delle altre, che il suo immenso amore, ha trovato nel suo cuore infiammato per il mondo, questo mondo ingrato che sembra essere colmo di tanti beni per oltraggiare il suo Benefattore. Ma no, fratelli miei, lasciamo l’ingratitudine degli uomini per un momento, apriamo la porta del suo Cuore sacro ed adorabile, rinchiudiamoci per un istante nelle sua fiammo d’amore, e vedremo quel che possa un DIO che ci ama. O DIO mio! chi potrà comprenderlo e non morire d’amore e di dolore vedendo da una parte tanta carità e dall’altra tanto disprezzo ed ingratitudine! Leggiamo nel Vangelo che Gesù-Cristo, conoscendo molto bene che il momento in cui i Giudei dovevano farlo morire era giunto, dice ai suoi Apostoli che Egli desiderava fortemente celebrare la Pasqua con essi. Essendo giunto questo momento tanto felice per noi, Egli si mette a tavola, volendo lasciarci un pegno del suo amore. Si alza dalla tavola, lascia i suoi abiti, si cinge di un lino; dopo aver messo acqua in un vaso, comincia a lavare i piedi dei suoi Apostoli ed anche di Giuda, ben sapendo che egli stava per tradirlo. Egli voleva con questo dimostrarci la purezza che dobbiamo imparare da Lui [per mostrarci due cose: la purezza e l’umiltà (Nota del venerabile)]. Messosi di nuovo a tavola, prende del pane tra le sue mani sante e venerabili, alzando gli occhi al cielo per rendere grazie a suo Padre, al fine di farci comprendere che questo grande dono ci veniva dal cielo; lo benedice e lo distribuisce ai suoi Apostoli dicendo loro: « Mangiatene tutti, questo è veramente il mio Corpo che sarà offerto per voi. » Avendo poi preso il calice, ove aveva mescolato vino on acqua, lo benedice ugualmente, lo presentò loro dicendo: « Bevetene tutti, questo è il mio sangue che sarà sparso per la remissione dei peccati, e tutte le volte che voi pronuncerete le stesse parole, farete le stesso miracolo; cioè voi cambierete il pane nel mio Corpo ed il vino nel mio Sangue. » Quale amore!? – … per noi, fratelli miei, quello di un DIO nell’istituzione del Sacramento adorabile dell’Eucaristia! Ora ditemi, fratelli miei, da quale sentimento di rispetto non saremmo noi stati penetrati se fossimo stati sulla terra e avessimo visto con i nostri occhi Gesù-Cristo quando istituì questo grande Sacramento d’amore. Tuttavia, fratelli miei, questo grande miracolo si ripete ogni volta che il Sacerdote celebri la santa Messa, in cui il divin Salvatore si rende presente sugli altari. Ah! se avessimo questa fede vive, da qual rispetto noi non dovremmo essere penetrati? Con qual rispetto e tremore non compariremmo davanti a questo grande Sacrificio, nel quale Dio ci mostra la grandezza del suo amore e della sua potenza! È vero che voi lo credete; ma vi comportate come se non lo credeste! Se bisogna farvi ben comprendere la grandezza di questo mistero, ascoltatemi, e vedrete quanto grande dovrebbe essere il rispetto che dobbiamo portarne. Leggiamo nella storia di un Prete che, nel dire la santa Messa in una chiesa della città di Bolsena, e dubitando, dopo aver pronunciate le parole della consacrazione, della realtà del Corpo e del Sangue di Gesù-Cristo nell’Ostia santa: cioè se le parole della Consacrazione avessero veramente mutato il pane in Corpo di Cristo, ed il vino nel suo Sangue, nel medesimo istante, la santa Ostia fu interamente coperta di sangue. Gesù-Cristo sembra che abbia voluto rimproverare al suo ministro la sua infedeltà, riportalo al ravvedimento, fargli ricevere la fede che stava perdendo con il suo dubbio; e nello stesso tempo, mostrarci con questo grande miracolo, quanto dobbiamo essere convinti della sua santa presenza nella santa Eucaristia. Questa Ostia santa versò sangue con tale abbondanza, che il corporale, il telo e lo stesso
altare, ne furono interamente coperti. Il Papa, al quale si fece partecipe di tale miracolo, ordinò che gli si portasse questo corporale tutto sanguinante; esso fu portato nella città di Orvieto, ove fu ricevuto in pompa straordinaria
e depositato nella chiesa. Avendo in seguito fatto costruire una magnifica chiesa onde ricevere questo prezioso deposito … tutti gli anni si porta in processione questa preziosa reliquia, il giorno della Festa-Dio. Vedete, fratelli miei, quanto questo debba raffermare la fede di coloro che hanno un qualsiasi dubbio. Ma, DIO mio, come poter dubitare, dopo le parole di Gesù-Cristo stesso che ha detto ai suoi Apostoli, e nella loro persona a tutti i Sacerdoti: « Tutte le volte che pronuncerete queste stesse parole, farete lo stesso miracolo, cioè voi farete come me: voi cambierete il pane nel mio Corpo, ed il vino nel mio Sangue. » Quale amore! Fratelli miei, quale carità, quella di Gesù-Cristo di scegliere la veglia del giorno in cui lo si doveva far morire, per istituire un Sacramento per mezzo del quale restava in mezzo a noi per essere nostro Padre, nostro Consolatore e tutta la nostra felicità! Più felici ancora di coloro che vivevano la loro vita mortale in cui bisognava fare tante leghe per avere la felicità di vederlo; oggi, noi invece lo troviamo in tutti i luoghi del mondo, e questo beneficio ci è promesso fino alla fine del mondo. O amore immenso di un Dio per le sua creature! No, fratelli miei, niente può
arrestarlo, quando si tratta di mostrare la grandezza del suo amore. In questo momento per noi felice, tutta Gerusalemme è a fuoco, tutta la popolazione in rivolta, tutti cospirano per la sua perdita; tutti vogliono spargere questo sangue adorabile; ed è precisamente in questo momento che si prepara loro il pegno più ineffabile del suo amore. Gli uomini tramano i più neri complotti contro di Lui, mentre Egli non è occupato che a dar loro ciò che ha di più prezioso, che è Egli stesso. Non si pensa che ad erigergli una croce infame per farlo morire, ed Egli non pensa che ad erigere un altare per immolarsi Egli stesso ogni giorno per noi. Ci si prepara a versare il suo Sangue, Gesù-Cristo vuole che questo stesso Sangue sia per noi una bevanda di immortalità per la consolazione e la felicità delle nostre anime. Sì, fratelli miei noi possiamo dire che Gesù-Cristo ci ami fino ad esaurire le ricchezze del suo amore, sacrificando in tutto, ciò che la sua sapienza e la sua potenza abbiano potuto ispirargli. – O amore tenero e generoso di un DIO per delle vili creature come noi, che ne siamo indegni! Ah! Fratelli miei, quale rispetto non dovremo noi avere per questo gran Sacramento in cui un DIO si fa uomo rendendosi presente ogni giorno sui nostri altari! Benché noi vediamo che Gesù-Cristo sia la bontà stessa, Egli non lascia talvolta il punire rigorosamente il disprezzo che si fa per la sua santa presenza, come vediamo a più riprese nella storia. (Ahimè! Quanti che non hanno la fede dei demoni che tremano alla sua presenza. Ahimè, noi non abbiamo che una fede languida e quasi morta – nota del Venerabile). Si racconta che un Sacerdote di Friburgo, nel portare il buon DIO ad un malato, si trovò a passare in una piazza dove c’era tanta gente che danzava. Il suonatore, benché senza Religione, si fermò dicendo: « Io sento la campanella, si porta il buon DIO ad un malato, mettiamoci in ginocchio. » Ma in questa compagnia, si trovava una donna empia ispirata dal furore dell’inferno: « Continuiamo, sono delle campanelle appese al collo delle bestie di mio padre; quando esse passano, non ci si ferma, né ci si mette in ginocchio. » Tutta la compagnia applaudì a questa empietà e tutti continuarono a danzare. Nello stesso momento arrivò un temporale così violento, che tutte le persone che danzavano furono scaraventate via e non si è mai potuto sapere ciò che siano diventate. Ahimè! Fratelli miei, tutti questi miserabili pagarono caramente il disprezzo che ebbero per la presenza di Gesù-Cristo: questo ci fa comprendere quanto dobbiamo noi rispettare la presenza santa di Gesù-Cristo, sia nel suo tempio, sia quando vediamo che lo si porta ai poveri malati.

II. Noi diciamo che Gesù-Cristo, per operare questo grande miracolo, scelse del pane che è il nutrimento di tutti, dei ricchi e dei poveri, di colui che è forte e di colui che è languente, per mostrarci come questo celeste nutrimento sia per tutti i Cristiani che vogliono conservare la vita della grazia e la forza per combattere il demonio. Noi vediamo che quando Gesù-Cristo operò questo gran miracolo, levò gli occhi al cielo per rendere grazie a suo Padre, per farci vedere quanto questo momento felice per noi sia desiderato da Lui, ed infine per provarci la grandezza del suo amore. Sì, figli miei, dice loro questo divin Salvatore, il mio Sangue è impaziente di essere versato per voi; il mio Corpo brucia dal desiderio di essere distrutto per guarire le vostre piaghe; ben lungi dall’essere affranto dall’idea della tristezza amara che mi ha causato dapprima il pensiero delle mie sofferenze e della mia morte, al contrario, per me è il colmo del mio piacere. Ciò che causa questo, è che voi troverete nelle mie sofferenze e nella mia morte un rimedio a tutti i vostri mali. Oh! Quale amore, fratelli miei,
quello di un DIO per le sue creature! San Paolo ci dice che il mistero dell’incarnazione, ha nascosto la sua divinità; ma che in quello del Sacramento dell’eucaristia, è andate persino a nascondere la sua umanità. Ahimè! Fratelli miei, non c’è che la fede che possa agire in un mistero così incomprensibile. Sì, fratelli miei, in qualunque luogo noi ci troviamo, volgiamo con piacere i nostri pensieri, i nostri desideri, dal lato ove riposa questo Corpo Adorabile, per unirci agli Angeli che lo adorano con tanto rispetto. Guardiamoci dal fare come gli empi che non hanno rispetto in questi templi che sono così santi, così rispettabili e sacri per la presenza di un DIO fatto uomo, che giorno e notte, abita in mezzo a noi! … Spesso noi vediamo che il Padre eterno punisce rigorosamente coloro che disprezzano il suo divin Figlio. Leggiamo nella storia che un tale si era trovato in una casa ove si portava il buon DIO ad un malato, e coloro che erano vicino al malato, gli dissero di mettersi in ginocchio, ma egli non volle; con un’orribile blasfemia: « Io – dice – mettermi in ginocchio… , io rispetto di più un ragno che è il più vile tra gli animali, che il vostro Gesù-Cristo che volete che io adori. »
Ahimè!  Fratelli miei, di cosa è capace colui che ha perso la fede! Ma il buon DIO non lascia impunito questo orribile peccato, e nel momento stesso un grosso ragno tutto nero si staccò da un rivestimento in legno e venne a cadere sulla bocca del blasfemo pungendogli le labbra. Subito si gonfiò, e morì all’istante. Vedete, fratelli miei, quanto siamo colpevoli quando non abbiamo questo grande rispetto per la presenza di Gesù-Cristo! No, fratelli miei, non stanchiamoci di contemplare questo mistero d’amore in cui un DIO, uguale a suo Padre, nutre i suoi figli non con un nutrimento ordinario, né con quella manna con cui il popolo giudeo era nutrito nel deserto; ma del suo Corpo adorabile e del suo Sangue prezioso. Chi potrebbe mai immaginarlo se non era Egli stesso a dircelo e farlo nello stesso tempo.  Oh! Fratelli miei, tutte queste meraviglie, sono degne della nostra ammirazione e del nostro amore! Un DIO, dopo essersi caricato delle nostre debolezze, ci fa parte di questi beni! O nazioni dei Cristiani, quanto siete felici nell’avere un DIO così buono e così ricco! Noi leggiamo in San Giovanni che egli vide un Angelo al quale il Padre eterno affidava il calice del suo furore per versarlo su tutte le nazioni; ma qui vediamo il contrario. Il Padre eterno rimette nelle mani di suo Figlio il calice della misericordia per essere sparso su tutte le nazioni della terra. – Parlandoci del suo Sangue adorabile, ci dice, come ai suoi Apostoli: « Bevetene tutti e vi troverete la remissione dei vostri peccati e la vita eterna. » O sublime felicità! … O felice sorgente! Chi proverà fino alla fine dei secoli come questa credenza debba fare tutta la nostra felicità. Gesù-Cristo non ha cessato di far dei miracoli per portarci ad una fede viva nella sua Presenza reale. – Noi vediamo nella storia, che c’era una donna cristiana, ma molto povera. Avendo avuto in prestito da un giudeo una piccola somma di denaro, ella gli diede in pegno i suoi migliori abiti. La festa di Pasqua era vicina, ella
pregò il giudeo di restituirle per un giorno la sua veste che gli aveva dato. Il giudeo le disse che non solo egli voleva restituirle i suoi effetti, ma pure il suo denaro, a condizione solamente … che ella gli portasse la santa Ostia quando l’avesse ricevuta dal Sacerdote. Il desiderio di questa miserabile di riavere i suoi effetti, e di non essere obbligata a restituire il denaro prestato, la portò ad un’azione orribile. All’indomani ella si recò nella chiesa della sua parrocchia. Dopo aver ricevuto l’Ostia santa sulla lingua, osò prenderla e metterla in un fazzoletto. Ella la portò a questo miserabile giudeo che ne aveva fatto richiesta per esercitare il suo furore contro Gesù-Cristo. Questo uomo abominevole trattò Gesù-Cristo con un furore spaventoso; e noi vediamo che Gesù-Cristo medesimo mostrò quanto questi oltraggi che gli si facevano, gli erano sensibili: il giudeo cominciò col mettere l’Ostia santa su un tavolo, gli diede dei colpi di temperino finché non fu contento; ma questo malvagio vide subito uscire dall’Ostia santa abbondante sangue, cosa che faceva rabbrividire suo figlio. Di poi, avendola con disprezzo tolta dal tavolo, la sospese con un chiodo contro il muro e le diede dei colpi di frusta finché volle. La trapassò con una lancia, e ne uscì nuovamente sangue. Dopo tutte queste atrocità, la gettò in una caldaia di acqua bollente: subito l’acqua sembrò mutarsi in sangue. L’Ostia apparve allora sotto la forma di Gesù-Cristo in croce: questo lo spaventò talmente che corse a nascondersi in un angolo della sua casa. Durante questo tempo il figli di questo giudeo che vedevano andare i Cristiani in chiesa, dicevano loro: « Ma dove andate, perché mio padre ha ucciso il vostro DIO; Egli è morto, non lo troverete più. » Una donna che ascoltava ciò che dicevano questi bambini, entrò nella loro casa. E, in effetti ella vide ancora l’Ostia santa sotto forma di Gesù-Cristo crocifisso; ma ben presto riprese la sua forma ordinaria. Questa donna, avendo preso un vaso che presentò, l’Ostia santa vi si andò a posare dentro. Questa donna così felice, molto contenta, la portò successivamente nella chiesa di San Giovanni in Grève, dove fu posta in luogo conveniente per essere adorata. A questo malvagio, gli si offrì il perdono se volesse convertirsi facendosi Cristiano; ma egli era così ostinato, che preferì bruciare vivo, piuttosto che farsi Cristiano. Tuttavia sua moglie, i suoi figli, ed una quantità di Giudei, si fecero battezzare. In seguito a questo miracolo che Gesù-Cristo aveva operato, e per non perdere mai il ricordo di queste meraviglie, si trasformò la casa in una chiesa ove si stabilì una comunità, affinché vi fossero persone che
continuamente facessero ammenda onorevole a Gesù-Cristo per gli oltraggi che questo maledetto giudeo aveva fatto. Noi non possiamo ascoltare questo, fratelli mie, senza fremere! Ebbene! Fratelli miei, ecco a cosa si espone
Gesù-Cristo per nostro amore, ed a cosa sarà esposto fino alla fine del mondo. Che amore! fratelli miei, di un DIO  per noi! A quali eccessi non lo porta verso le sue creature! – Noi diciamo che Gesù-Cristo tenendo il calice stretto tra le sue mani, dice loro: “ancora un
po’ di tempo e questo Sangue prezioso sta per essere sparso in maniera cruenta e visibile, ed è per voi che sta per essere sparso, l’ardore che Io ho di versarlo nei vostri cuori, mi ha fatto utilizzare questo mezzo. È vero che la gelosia dei miei nemici è certo una causa della mia morte, ma essa non è una delle principali; le accuse che essi hanno inventato contro di me per perdermi, la perfidia del discepolo che sta per tradirmi, la lassezza del giudice che sta
per condannarmi, e la crudeltà dei carnefici che stanno per uccidermi, sono altrettanti strumenti di cui il mio amore infinito si serve per provarvi quanto vi ami. Sì, fratelli miei, è per la remissione dei nostri peccati! Vedete, fratelli miei, quanto Gesù Cristo ci ami, poiché Egli si sacrifica per noi alla giustizia del Padre con tanta alacrità; in più Egli vuole che questo Sacrificio si rinnovi tutti i giorni in tutti i luoghi del mondo. Qual felicità per noi, fratelli miei, sapere che i nostri peccati, anche prima di averli commessi, sono stati espiati nel momento del grande Sacrificio della Croce! Veniamo spesso, fratelli miei ai piedi dei nostri tabernacoli, per consolarci nelle nostre pene, per fortificarci nelle nostre debolezze. Abbiamo la grande
sventura di aver peccato? Il Sangue adorabile chiederà grazia per noi. Ah! fratelli miei, quanto più viva della nostra era la fede dei primi Cristiani! Nei primi tempi, una quantità di Cristiani attraversavano i mari per andare a visitare i luoghi santi ove si era operato il mistero della nostra Redenzione. Quando si mostrava loro il cenacolo in cui Gesù-Cristo aveva istituito questo divin Sacramento che è stato consacrato a nutrire le nostre anime, quando si faceva loro vedere dove aveva irrorato la terra con le sue lacrime ed il suo Sangue durante la sua preghiera e la sua agonia, essi non potevano lasciar questi luoghi santi senza versare lacrime in abbondanza. Ma quando li si conduceva al Calvario, ove aveva Egli sopportato tanti tormenti per noi, essi sembravano non poter vivere più; essi erano inconsolabili, perché questi luoghi richiamavano il tempo, le azioni ed i misteri che si sono operati per noi; essi
sentivano in essi la fede riaccendersi, il loro cuore bruciare di un fuoco nuovo. O luoghi beati! Esclamavano, in cui si sono operati tanti prodigi per salvarci. Ma, fratelli miei, senza andare tanto lontano, e senza darci la pena di attraversare i mari, di esporci a pericoli; non abbiamo noi qui, Gesù-Cristo in mezzo a noi non solamente come DIO, ma in Corpo ed Anima? Le nostre chiese non sono degne per noi di rispetto così come i luoghi sacri ove questi pellegrini andavano? Oh! Fratelli miei, la nostra felicità è troppo grande; no, no noi non lo comprenderemo mai. O Nazione beata quella dei Cristiani! Veder rinnovarsi ogni giorno tutti i prodigi che l’onnipotenza di DIO operò un tempo sul Calvario per salvare gli uomini. Perché dunque, fratelli miei, non vediamo questo amore, questa medesima riconoscenza, questo stesso rispetto, dal momento che ogni giorno si fanno sotto i nostri occhi gli stessi miracoli? Ahimè! Tanto noi abbiamo abusato delle grazie che il buon DIO, per punizione delle nostre ingratitudini, ci ha tolto in parte la nostra fede; appena noi la sentiamo, e comprendiamo di essere alla presenza di DIO. Mio DIO, quale disgrazia per colui che ha perso la fede! Ahimè! Fratelli miei, da quando abbiamo perso la fede,
noi non abbiamo più che disprezzo per questo augusto Sacramento, e quanti si lasciano trascinare fino all’empietà, rimproverando coloro che sono così beati di attingervi le grazie e le forze necessarie per salvarsi. Temiamo, fratelli miei, ché il buon DIO non ci punisca del poco rispetto che abbiamo per la sua adorabile presenza; eccone un esempio dei più terribili. Il Cardinal Baronio riporta nei suoi Annali che vi era nella città di Lusignan, vicino a Poitiers, una persona che nutriva un gran disprezzo per la Persona di Gesù-Cristo; egli rampognava e disprezzava coloro che frequentavano i
Sacramenti; metteva in ridicolo la loro devozione. Tuttavia il buon DIO, che ama meglio la conversione del peccatore che sua perdita, gli diede diverse volte dei rimorsi di coscienza, per cui vedeva bene di far male, visto che coloro a cui faceva rimproveri erano più felice di ella; ma quando si ripresentava l’occasione ella ricominciava, e con tal mezzo, poco a poco, finì
per soffocare questi rimorsi che il buon DIO gli dava. Ma per meglio nascondersi, provò a entrare in amicizia con un santo religioso, superiore del monastero di Bonneval che si trovava poco vicino. Ella vi andava spesso, facendosene anche gloria, benché empio, e voleva credersi buono quando era con questi buoni religiosi. Il superiore che percepiva quasi ciò che aveva nell’anima, gli dice più volte: « Mio amico caro, voi non avete rispetto per la presenza di Gesù-Cristo nel Sacramento adorabile dei nostri altari; ma io credo che se volete convertirvi, vi converrà lasciare il mondo e ritirarvi in un monastero a farvi penitenza. Voi stesso sapete quante volte avete profanato i Sacramenti, siete coperto di sacrilegi; se doveste morire, sarete gettato nell’inferno per tutta l’eternità. Credetemi, pensate a riparare le vostre profanazioni; come potete vivere in tale miserevole stato? » Questo povero uomo
sembrava ascoltarlo ed anche profittare dei suoi consigli, perché sentiva bene egli stesso che la sua coscienza era carica di sacrilegi; ma egli non voleva fare qualche piccolo sacrificio che doveva, di modo che con tutti i suoi pensieri, restava sempre lo stesso; egli cadde malato. L’abate si premurò di andare a visitarlo, sapendo quanto la sua anima fosse in cattivo stato. Questo povero uomo vedendo questo buon padre, che era un santo e che veniva a visitarlo, si mise a piangere di gioia e, forse nella speranza che andasse a pregare per lui, per aiutarlo a far uscire la sua anima dalla palude dei suoi sacrilegi, pregò l’abate di restare un po’ di tempo con lui. Essendo giunta la notte, tutti si ritirarono tranne l’abate che restò con il malato. Questo povero sventurato si mise a gridare orribilmente: « Ah! padre mio, soccorretemi! Ah! padre mio, venite, venite in mio soccorso! » Ma ahimè! Non c’era più tempo, il buon DIO  lo aveva abbandonato per punizione dei suoi sacrilegi e delle sue empietà. « Ah! padre mio!, ecco due spaventosi leoni che vogliono portarmi via. Ah! padre mio, soccorretemi! » L’abate,  tutto spaventato, si gettò in ginocchio per domandare grazia per lui;
ma era troppo tardi, la giustizia di DIO lo aveva consegnato alla potenza dei demoni. Il malato cambiò voce tutto ad un tratto ed assunse un tono  pacato; si mise a parlare come una persona affatto malata e che possiede tutto il suo spirito: « Padre mio – dice – questi leoni che erano poco fa intorno a me si sono ritirati; » ma nel mentre parlavano tra essi familiarmente, il malato perse la parola e sembrò essere morto. Tuttavia benché il religioso credesse che fosse morto, volle vedere la fine dolorosa di tutto questo; così egli passa il resto della notte accanto al malato. Questo povero sventurato, dopo alcuni momenti rientraòin se stesso, riprese la parola come prima, e disse al superiore: « Padre mio, io sto per comparire davanti al tribunale di Gesù-Cristo, e le mie empietà ed i miei sacrilegi sono la causa per la quale sono condannato a bruciare nell’inferno. » Il superiore, tutto spaventato, si mise a pregare, al fine di chiedere se vi
fessero ancora possibilità per la salvezza di questo disgraziato; il morente, vedendolo pregare  dice: « Padre mio, lasciate la vostra preghiera, il buon DIO non vi esaudirà mai a mio riguardo, i demoni sono al mio fianco; essi non aspettano che il momento della mia morte, che non tarderà. per sprofondarmi negli inferi e bruciare in eterno. » Tutto ad un tratto preso da spavento: « Ah! Padre, il demonio mi trascina; addio padre mio, io ho disprezzato i vostri consigli e sono dannato. » E dicendo questo, egli vomitò la sua anima maledetta all’inferno. Il superiore si ritirò versando delle lacrime sulla sorte di questo disgraziato che dal suo letto era caduto nell’inferno. Ahimè! Fratelli miei, quanto grande è il numero dei profanatori dei Cristiani che hanno perso la fede con i sacrilegi! Ahimè! Fratelli miei, se vediamo tanti Cristiani che non frequentano più i Sacramenti o che non li frequentano raramente, non cerchiamo altra ragione che i sacrilegi. Ahimè! Quanti altri sono lacerati dai rimorsi di coscienza, che si sentono colpevoli di sacrilegi e che, in uno stato che fa inorridire il cielo e la terra, attendono la morte. Ah! Fratelli miei, non andate oltre, non arrivate allo stesso misero stato di questo riprovato del quale abbiamo parlato. Come potete sapere se prima della morte non sarete abbandonati da DIO come costui, e gettati nel fuoco? O DIO mio, come poter vivere in uno stato così spaventoso? Ah! Fratelli miei, c’è ancora tempo, torniamo allora a gettarci ai piedi di Gesù-Cristo che riposa nel Sacramento adorabile dell’Eucaristia. Egli nuovamente offrirà il merito della sua morte e passione per noi a suo Padre, e noi saremo sicuri di ottenere misericordia. – Sì, fratelli miei, noi siamo sicuri che, se abbiamo grande rispetto per la presenza di Gesù-Cristo nel Sacramento adorabile dei nostri altari, otterremo tutto ciò che vorremo. Poiché, fratelli miei, queste processioni son tutte consacrate per adorare Gesù-Cristo nel Sacramento adorabile dell’Eucaristia, per ricompensarlo degli oltraggi che ha ricevuto, seguiamolo nelle nostre processioni, camminiamo al suo seguito con il rispetto e la devozione con cui lo seguivano i primi Cristiani nelle sue predicazioni, in cui Egli non passava mai in un luogo senza spandere ogni tipo di benedizioni (vedete il profeta nel deserto, Zaccheo, la beata madre di San Pietro, la Maddalena, la donna malata emorroissa, Lazzaro resuscitato – Nota
del Venrabile). Sì, fratelli miei, noi vediamo nella storia con tanti esempi come il buon DIO punisca i profanatori della presenza adorabile del suo Corpo e del suo Sangue. Si narra che, essendo entrato un ladro di notte in una chiesa, prese tutti i vasi sacri ove erano rinchiuse le sante Ostie; egli le portò fino ad un luogo, cioè, una piazza che era nei pressi di Saint-Denis. Qui giunto, volle vedere i vasi per sapere se ancora vi erano delle ostie. Egli ne trovò ancora una che, una volta aperto il vaso, saltò in aria e volteggiava sopra di lui; fu questo prodigio che fece scoprire il ladro dalle persone che lo arrestarono. L’Abate di Sain-Denis ne fu avvertito, e ne diede avviso al Vescovo di Parigi; l’Ostia santa rimase miracolosamente sospesa in aria. Essendo venuto il Vescovo con tutti i suoi Sacerdoti ed una quantità di altre persone in processione, l’Osia santa si andò a posare nel ciborio del Sacerdote che l’aveva consacrata. La si portò indi in una chiesa ove si celebrò una gran Messa, un giorno di ciascuna settimana, in memoria di questo miracolo. Ora ditemi, fratelli miei, non ci deve questo ispirare un grande rispetto per la presenza di Gesù-Cristo, sia che siamo nelle nostre chiese, sia che lo seguiamo nelle nostre processioni? Veniamo a Lui con grande fiducia; Egli è buono, è misericordioso, Egli ci ama, e pertanto siamo certi di ricevere tutto quel che gli chiediamo; ma abbiamo l’umiltà, la purezza, l’amore di DIO, il disprezzo della vita; … guardiamoci bene dal non lasciarci andare nelle distrazioni. Amiamo il buon DIO, fratelli miei, con tutto il nostro cuore e così avremo il nostro Paradiso già in questo mondo …   

 

L’UFIZIO DELLE TENEBRE (2019)

L’UFIZIO DELLE TENEBRE.

[Goffiné: Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste. Traduz. : Antonio Ettori e Mauro Ricci delle Scuole Pie Tip. Galas. Dir. da A. Ferroni;  Firenze – 1869]

In questa sera comincia l’ufizio delle tenebri. La Chiesa celebra, per così dire, in questi tre ultimi giorni, l’esequie del Salvatore. L’ufizio delle tenebre si compone del mattutino e delle laudi di domani, che per anticipazione si cantano la vigilia. Si è dato a questa parte d’ufizio il nome di Tenebre, perché verso la fine di esso rimangono spenti tutti i lumi, così per esprimere il duolo profondo della Chiesa, come per rappresentare le tenebre, onde tutta la terra fu avvolta alla morte di Gesù Cristo. L’estinzione dei lumi richiama ancora alla memoria un fatto storico della nostra bella antichità cristiana. L’ufizio che noi facciamo la sera si faceva di notte, e durava fino alla mattina; via via che il giorno si avvicinava, si spengevano successivamente le faci che non erano più necessarie. Queste faci sono candele poste sopra un candelabro triangolare, a sinistra dell’altare; ordinariamente in numero di quindici, sette per parte e una in mezzo. Si spengono le candele di ciascun lato, successivamente, alla fine d’ogni salmo, cominciando dalla più bassa, dalla parte del Vangelo, e quindi dall’altra, e così alternativamente, sinché resti sola quella di mezzo che si lascia accesa. Le dette candele sono di cera gialla, come prescrive un antico rituale romano, perché la Chiesa non ne impiega d’altra qualità nei funerali e nel gran lutto. Quella che è posta nel mezzo del candelabro triangolare, è ordinariamente di cera bianca perché raffigura Gesù Cristo. All’ultimo versetto del Benedictus, si toglie e si nasconde dietro l’altare, per tutta la recita del salmo Misereree le preci: quindi si riporta. Questa cerimonia ci raffigura la morte e la resurrezione del Salvatore. Le altre quattordici candele rappresentano gli undici Apostoli e le tre Marie: si spengono per rammentarci la fuga degli uni e il silenzio delle altre, nel tempo della passione. – Un tal numero di candele e il modo di disporle e di spegnerle gradatamente, ha origine da oltre al VII secolo. Quale deve essere la nostra venerazione per una cerimonia che è stata contemplata da tanti pii Cristiani? Possa ella eccitare in noi i medesimi sentimenti di pietà che essa eccitò nei nostri padri! In generale i riti usati dalla Chiesa, specialmente per le principali feste, sono di una antichità molto lontana. – Tutto l’Ufizio delle Tenebre è impresso del più profondo dolore: l’invitatorio, gli inni, il Gloria Patri, la benedizione, tutto è soppresso. Non vi si odono che quattro voci: quella di Davide, che piange sulla lira gli oltraggi fatti a Gesù Cristo e la morte del suo Signore e Figlio di Dio: quella di Geremia, che agguagliando i lamenti ai dolori, canta le ruine di Gerusalemme e i tormenti dell’augusta Vittima; quella della Chiesa, i cui teneri accenti chiamano i suoi figli alla penitenza: Gerusalemme, Gerusalemme, convertiti al Signore Dio tuo; e finalmente quella delle sante donne, che aveano seguito Gesù dalla Galilea, e che piangevano dietro a Lui mentre saliva il Calvario. Il loro viaggio, le loro lacrime, e le loro grida ci vengono rappresentate dai due chierici che cantano e inginocchioni, e andando, quei kyrie eleison, intramezzati dai responsi e da lamentevoli sospiri. – Non vi è né capo, né pastore per presedere all’ufizio di questi tre giorni; poiché sta scritto: Percoterò il pastore e le pecorelle della mandra saranno disperse. L’ufizio è seguito da un rumore confuso, che ci richiama alla mente la venuta e lo scompiglio tumultuoso della coorte che armata di bastoni, e condotta da Giuda s’inoltre nottetempo ad arrestare il divin Salvatore nell’Oliveto.

IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE (9)

IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE (9)

[P. Lorenzo SCUPOLI, presso G. A. Pezzana, Venezia – 1767)

Dell’Orazione.

CAP. XLIV

Se la diffidenza di noi stessi, la confidenza in Dio, e l’esercizio sono in questo combattimento tanto necessari, quanto si è dimostrato sin qui, sopra tutto è necessaria l’orazione (ch’è la quarta cosa, ed arma proposta di sopra) con la quale non pure le dette cose, ma ogni altro bene possiamo da Dio Signor nostro conseguire. – Perché l’orazione è strumento per ottenere tutte le grazie, che da quel divino fonte di bontà e d’amore piovono sopra di noi. Con l’orazione (se te ne servirai bene) porrai la spada in mano a Dio perché combatta e vinca per te. E per servirtene bene, fa bisogno che tu sia abituata, o che ti affatichi per esservi nelle seguenti cose. Prima, che in te viva sempre un deriderlo vero di servire in tutto a Sua Divina Maestà, e nel modo che a Lui più aggradisce. Per accenderti di quello desiderio, considera bene: Che Iddio per le sue soprammirabili eccellenze, bontà, maestà, sapienza, bellezza, ed altre sue infinite perfezioni, è sopradegnissimo d’essere servito, ed onorato. Ch’egli per Servire a te, ha penato e faticato trentatré anni, e le tue fetide piaghe, avvelenate dalla malignità del peccato, ha medicate e sanate, non con olio, vino, e stracci di panno, ma con il prezioso liquore, che uscì dalle sue sacratissime vene, e con le sue carni purissime lacerato da flagelli, spine e chiodi. E pensa, oltre ciò,  quanto importa questo servigio, poiché ne veniamo a farci padroni di noi stessi, superiori al demonio, e figliuoli dell’istesso Dio. – Secondo ha da esser in te una viva fede e confidenza, che il Signore ti voglia dare tutto ciò che ti bisogna per suo servigio e tuo bene. Questa Santa confidenza è il vaso che la misericordia divina riempie dei tesori delle sue grazie, il quale sarà più grande e più capace, tanto più ricca tornerà l’orazione del nostro seno. E come potrà mancare l’immutabile onnipotente Signore di farci partecipi dei doni suoi, avendoci Egli stesso comandato, che li domandiamo, e promettendoci anche lo Spirito suo, se con fede e perseveranza lo richiederemo? – Terzo, che tu ti accosti ad orare con l’intenzione di volere la volontà divina sola e non la tua, così nel domandare, come nell’ottenere quello che domandi, cioè, che tu ti muova ad orare, perché Iddio lo vuole, e che desideri essere esaudita, in quanto Egli pure così voglia. Insomma l’intenzione tua dev’essere di congiungere la volontà tua con la divina, e non di tirare alla tua quella di Dio. E questo, perché essendo la tua volontà infetta e guasta dall’amor proprio, bene spesso erra, né fa quello quello che domanda, ma la divina è sempre congiunta con la bontà ineffabile, nè può errare giammai. Ond’ella è regola e regina di tutte le altre volontà, e merita e vuole da tutte essere seguita ed ubbidita. – E perciò si hanno da domandare sempre cose conformi al divino piacimento, e dubitando che alcuna tale non sia, la domanderai con condizione di volerla, se vuole il Signore che tu l’abbia. E quelle che sai certo che gli piacciono, come sono le virtù, le richiederai più per soddisfare e servire a Lui, che per altro qualunque fine o rispetto, ancorché spirituale. – Quarto, che tu all’orazione vada ornata d’opere corrispondenti alle domande, e che dopo l’orazione vieppiù ti affatichi per farti capace della grazia e virtù, che desideri. Perché l’esercizio dell’orare ha da essere talmente accompagnato con l’esercizio di superare noi stessi, che tutto in giro vada seguitando l’altro, perché altrimenti il domandare alcuna virtù, e non adoprarsi per averla, sarebbe piuttosto un tentare Dio, che altro. – Quinto, che alle domande precedano lo più i ringraziamenti per i benefici ricevuti a questo o somigliante modo: Signor mio, che per la tua Bontà mi hai creata, e redenta, e tante innumerabili volte che io stessa non sono, liberata dalle mani dei miei nemici, soccorrimi al presente, né  mi negare quello che io ti chiedo, benché io a te sia stata sempre ribelle, ed ingrata. E se sei per domandare alcuna particolare virtù, ed hai alle mani qualche cosa contraria per esercitarmi in quella, non ti scordare di rendergli grazie dell’occasione che n’ha dato, che questo è pure non piccolo suo benefizio. Sesto, perché l’orazione prenda la sua forza e possanza di piegare Dio ai nostri desideri dalla naturale bontà, e misericordia di Lui, dalli meriti della vita, e passione del suo unigenito Figliuolo, e dalla promessa, ch’Egli ci ha fatto di esaudirci, conchiuderai le tue domande con una, o più delle seguenti particelle: Concedimi Signore, questa grazia, per la tua somma pietà; possano presso di te i  meriti del tuo Figliuolo impetrarmi quello ch’io ti chiedo, ricordati Iddio mio delle tue promesse, ed inchinati ai prieghi miei. – Ed altre volte domanderai ancora grazie per i meriti di Maria Vergine e di altri Santi, i quali possono molto appresso Dio e molto sono da Lui onorati, perché in questa vita onorano la sua Divina Maestà. – Settimo, fa bisogno, che tu  continui perseverantemente nell’orazione, perchè l’umile perseveranza vince l’invincibile, che se assiduità, ed importunità della vedova evangelica inchinò alle sue richieste il giudice colmo d’ogni malvagita [Luc. XVIII], come non avrà forza di trarre ai pieghi nostri, la stessa pienezza di tutt’i beni? Onde ancorché dopo l’orazione il Signore tardasse a venire ed esaudirti, anzi ne mostrasse contrari segni, seguita pure orando e tenendo ferma e viva la confidenza del suo aiuto, poiché in Lui non mancano mai, anzi sovrabbondano con infinita misura tutte quelle cose che, per fare altrui grazie sono necessarie. – Onde, se il difetto non è dal tuo canto, sta pur sicura di dover ottenere sempre tutto ciò che domanderai  o altro che ti sia più utile, oppure quello e questo insieme. E quanto più ti paresse d’esser ributtata, tanto più avvilisciti negli occhi tuoi, e considerando i tuoi demeriti, col pensiero fermo nella divina pietà, aumenta sempre in lei la tua confidenza, la quale mantenendosi viva e salda, quanto sarà più combattuta, tanto più piacerà al Signor nostro. – Rendigli poi sempre grazie, riconoscendolo per buono, sapiente ed amoroso, niente meno, quando alcune cose ti sono negate, che se concesse ti fossero, restando in qualunque avvenimento stabile, ed allegra nell’umile sottomissione alla divina provvidenza.

Che cosa sia l’orazione mentale.

CAP. XLV

L’orazione mentale è una elevazione di mente a Dio, con attuale o virtuale domanda di quello che desidera. L’attuale si fa, quando con parole mentali si domanda la grazia con questo, o somigliante modo: Signore Dio mio, concedimi questa grazia ad onore tuo; ovvero così: Signor mio, io credo che ti piaccia, e che sia tua gloria, che ti domandi, ed abbi questa grazia: compisci dunque ormai in me il divino compiacimento. E quando sei in fatti dai nemici combattuta, orerai in questo modo: Sii presto, Dio mio, ad aiutarmi, perché non ceda ai nemici. Oppure, Dio mio, rifugio mio, fortezza dell’anima mia, soccorrimi presto, perché non cada. E continuando la battaglia, continua tu ancora questo modo di orare, sempre virilmente resistendo, a chi contro di te combatte. – Finita, che sarà poi l’asprezza della guerra, rivolta al tuo Signore, presentagli innanzi il nemico che ti ha combattuta, e la tua fiacchezza a resistergli, dicendo: Ecco, o Signore la creatura delle mani dalla tua bontà, col tuo Sangue ricomperata. Ecco l’inimico, che tenta di levarla da te e divorarla. A te, Signor mio, ricorro, in te solo confido che sei onnipotente e buono,  e vedi la mia impotenza e la prontezza a farmeli senza il tuo aiuto volontariamente soggetta, Aiutami dunque, speranza mia, e fortezza dell’anima mia. Virtuale domanda s’intende quando si alza la mente a Dio per ottenere alcuna grazia, mostrandogli il bisogno senz’altro dire o discorrere. – Come, quando io levo la mente a Dio, e quivi alla presenza sua mi conosco impotente a difendermi dal male, e fare il bene, ed acceso di desiderio di servirlo umilmente, e con fede aspettando il soccorso suo, miro, e rimiro esso Signore. Questo così fatto conoscimento, acceso di desiderio, o fede innanzi a Dio è una orazione, che in virtù domanda quello che mi bisogna, e quanto più il detto conoscimento sarà chiaro, e sincero, il detto desiderio acceso, e viva la fede, tanto più efficacemente domanderà. – Vi è anco un’altra sorte di orazione virtuale più ristretta, che si fa con un semplice sguardo della mente a Dio, affine che ci soccorra, il quale sguardo non è altro che un tacito ricordo, e domanda di quella grazia che per l’innanzi avevamo domandata. E fa, che apprendi bene questa sorte di orazione, e te la faccia famigliare, perché (come l’esperienza ti mostrerà) è un’arma che facilmente in ogni occasione e luogo puoi avere alle mani, ed è di più valore, e giovamento ch’io ne sappia dire.

Dell’Orazione per via di Meditazione.

CAP. XLVI

Volendo orare per qualche spazio di tempo, come di mezz’ora, oppure di un’ora intera, e più, all’orazione aggiungerai la meditazione della vita e passione di Gesù Cristo, applicando sempre le azioni sue a quella virtù che desideri. Come se desideri d’ottenere grazia della virtù della pazienza, prenderai per avventura a meditare alcuni punti di mistero della flagellazione. – Primo. Come dopo l’ordine dato da Pilato, il Signore fu con gridi e scherni trascinato dai ministri della malvagità al luogo deputato per flagellarlo. – Secondo. Come fu da essi con frettolosa rabbia svestito, e ne restarono tutte scoperte, e nude le sue carni purissime. – Terzo. Come le sue innocenti mani con dura fune furono legate alla colonna. – Quarto. Come fu il suo corpo tutto lacerato e stracciato dai flagelli, onde corsero fino a terra i rivi del suo sangue divino. Quinto. Come aggiungendosi percosse a percosse in uno stesso luogo, si esacerbarono sempre più le piaghe già fatte. Così avendoti proposti, per acquistare la pazienza, questi o simili punti da meditare, applicherai prima i sensi a sentire più vivamente che potrai le amarissime angosce e pene acerbe, che in ciascuna parte del suo Sacratissimo Corpo, ed in tutte insieme, il tuo caro Signore sosteneva. Quindi passerai all’Anima sua santissima, penetrando, quanto si può, la pazienza e mansuetudine, con la quale tollerava tante afflizioni, non saziando però mai la fame di patire per onore del Padre e nostro beneficio, maggiori e più atroci tormenti. Miralo poi acceso d’un vivo desiderio, che tu voglia comportare il tuo travaglio, e vedi come ancora rivolto al Padre prega per te, che si degni farti la grazia di portar pazientemente la Croce, che allora ti crucia, e qualunque altra. Onde tu piegando più volte la volontà a voler tollerate il tutto con animo paziente, voglia poi la mente al Padre, e ringraziandolo prima, che per sua pura carità ha mandato al mondo il suo Unigenito Figliuolo a sopportare tanti aspri tormenti ed a pregare per te, domandagli poi la virtù della pazienza in virtù delle opere, e preghi del suo Figliuolo.

Di un altro modo d’orare per via di meditazione.

CAP. XLVII

Potrai anco in un altro modo orare e meditare, poiché avrai attentamente considerate le afflizioni del Signore, e col pensiero veduta la prontezza dell’animo con che le sosteneva; dalla grandezza dei suoi travagli, e dalla sua pazienza passerai a due altre considerazioni. L’una del merito suo. L’altra del contento e della gloria del Padre etemo, per la perfetta ubbidienza del suo appassionato Figliuolo. Le quali due cose rapprefentando a sua Divina Maestà, domanderai, in virtù loro, la grazia che desideri. E ciò potrai fare non pure in ciascun mistero della passione del Signore, ma in ogni atto particolare, interiore, ed esteriore, che Egli faceva in ciascun Mistero.

Di un modo d’orare col mezzo di Maria Vergine.

CAP. XLVIII

Oltre i sopraddetti vi è un altro modo di meditare, ed è col mezzo di Maria Vergine, rivoltando la mente prima all’eterno Iddio, poi al dolce Gesù, ed ultimamente ad Ella gloriosissima Madre. A Dio rivolta, considera due cose: l’una sono i diletti, ch’Egli ab æterno di te stesso considerato in Maria prendeva, avanti ch’Ella avesse l’esser fuori del niente. L’altra le virtù ed azioni di Lei, poiché fu prodotta al mondo. – I diletti cosi li mediterai. Sollevati in alto col pensiero sopra ogni tempo, e sopra ogni creatura, ed entrata nell’istessa eternità e mente di Dio, confiderà le delizie, che di se stesso prendeva in Maria Vergine, e tra questi diletti trovato esso Dio, in virtù loro domanda sicuramente grazia e forza per la distruzione dei tuoi nemici, e particolarmente di quello che ti combatte allora. – Passando poi alla considerazione delle tante e così singolari virtù ed azioni in Ella Madre santissima, ed appresentandole quando tutte insieme, quando alcuna d’esse a Dio, in virtù di quelle chiedi alla sua infinita bontà ogni tuo bisogno. – Al Figliuolo poi rivolgendo la mente, gli ridurrai a memoria il vergineo Ventre che nove mesi lo portò; la riverenza con cui, dopo che fu nato, la Verginella l’adorò, e riconobbe per vero uomo e vero Dio, Figliuolo, e Creatore suo. Gli occhi pietosi che lo mirarono tanto povero, le braccia che lo raccolsero, le care labbra che lo baciarono; il latte che lo nutrì e le fatiche ed angosce, che in vita ed in morte sostenne per Lui. Per virtù delle quali cose, farai al Divino Figliuolo dolce violenza, perché ci esaudisca. – Rivolta unitamente alla Ss. Vergine, ricordale, che dall’eterna provvidenza e bontà è stata eletta per Madre di grazia e di pietà, ed Avvocata nostra. Onde non abbiamo, dopo il suo benedetto Figliuolo, più sicuro e potente ricorso, che a Lei. Di più ricordale quella verità, che di Lei si scrive, e si ha per tanti e tanti effetti miracolosi, che mai nessuno con fede la invocò, che non gli abbia pietosamente risposto. – Finalmente le porrai davanti i travagli del suo unico Figliuolo, che per la nostra salute tollerò, pregandola, che t’impetri grazia da Lui, perché a gloria e contento suo, in te abbiano quell’effetto per lo quale Egli li sostenne.

Di alcune considerazioni, perché con fede e confidenzasi ricorra a Maria Vergine.

CAP. XLIX

Volendo tu ricorrere a Maria Vergine con fede e confidenza in ogni tuo bisogno, potrai conseguirla dalle seguenti considerazioni. – Primo. Già si sa per esperienza, che tutti quelli vasi, ove è stato del muschio, o qualche liquore prezioso, ritengono seco, benché più non vi sia, del suo odore, e tanto più, quanto più spazio di tempo vi farà stato e molto più, se ancora in qualche modo ve ne fosse rimasto; eppure il muschio è di virtù limitata e finita, e così ogni prezioso liquore. Come anco quel che sta vicino ad un gran fuoco, ritiene per molto tempo il calore, ancorché dal fuoco si allontani. Essendo questo vero di che fuoco di carità, di che sensi di misericordia, e di pietà, diremo noi, che le Viscere di Maria Vergine siano abbruciate e piene? che nove mesi ha Ella tenuto nel suo vergineo ventre, e sempre tiene nel petto e nell’amore il Figliuolo di Dio, che la stessa carità, misericordia e pietà, non già di virtù finita e limitata, ma d’infinita, e senza termine alcuno. Talché, siccome si accosta ad un gran fuoco, non può non ricevere del focolare, così molto più, ogni bisognoso che con umiltà e fede si avvicinerà al fuoco di carità, di misericordia e di pietà, che sempre arde nel petto di Maria Vergine, ne riceverà aiuti, favori, e grazie, e tanto più, quanto più spesso e con maggior fede e confidenza vi si accetterà. – Secondo. Niuna creatura amò giammai tanto Gesù Cristo, né tanto fu conforme alla volontà di Esso, quanto la Madre sua santissima. Se dunque l’istesso Figliuolo di Dio, che tutta la vita sua, e tutto se stesso ha speso per li bisogni di noi peccatori, ci ha dato la Madre sua per nostra Madre ed Avvocata, affine che ci aiuti e sia, dopo di Lui, mezzo della salute nostra; in qual modo potrà mai essa Madre, ed Avvocata nostra mancarci, e diventare ribelle alla volontà del Figlio? Ricorri pure figliuola con confidenza in ogni tuo bisogno alla Ss. Madre Maria Vergine, perché ricca e beata è questa confidenza, e sicuro è rifugio a Lei, poiché partorisce tuttavia grazie, e misericordie.

Di un modo di meditare, ed orare per mezzo degli Angioli, e di tutti i Beati.

CAP. L

Per servirti in ciò dell’ aiuto, e favore degli Angioli, e dei Santi del Cielo, potrai tenere due modi. – L’uno è, che ti rivolti al Padre eterno, e gli presenti l’amore e le lodi, con cui è esaltato da tutta la Corte celestiale, e le fatiche e pene, che i Santi hanno sofferto in terra per suo amore, ed in virtù di quelle cose, tu domandi alla Sua Divina Maestà tutto ciò, che ti fa bisogno. – L’altro è, che tu ricorra ad essi gloriosi Spiriti, come a quelli, che non pure bramano la nostra perfezione, ma che in più alto luogo di essi siamo collocati, chiedendo il soccorso loro contro tutti i vizi e nemici tuoi, ed anco per la tua difesa nel punto della morte. Ed alcuna volta ti metterai a considerare le molte grazie e singolari che hanno ricevute dal sommo Creatore, eccitando in te verso loro un vivo affetto d’amore, ed allegrezze perché sono ricchi di tanti doni come se tuoi propri fossero. Anzi ti rallegrerai, se possibile sia, più ch’essi, che loro e non tu, li abbiano, poiché tale fu la volontà di Dio, il quale perciò ne sia lodato, e ringraziato. – E per fare questo esercizio con ordine e facilità, potrai dividere le schiere dei Beati per li giorni della settimana in questa maniera. – La Domenica prenderai li nove Cori Angelici.

Il Lunedi S. Giambattista.

Il Martedì i Patriarchi e i Profeti.

Il Mercoledì gli Apostoli.

Il Giovedì i Martiri.

Il Venerdì i Pontefici cogli altri Santi.

Il Sabato le Vergini con le altre Sante.

Ma non lasciar mai per ciascun giorno di ricorrere spesso a Maria Vergine, Regina di tutti i Santi, all’Angiolo tuo Custode, a S. Michele Arcangelo, ed a tutti i tuoi Santi  Avvocati. Ed ogni giorno prega Maria Vergine, il Figliuolo suo ed il celeste Padre, che ti concedano tanta grazia di darti per principale Avvocato e Protettore, S. Giuseppe, sposo di Ella Vergine, ricorrendo poi ad esso Santo con prieghi e confidenza, che ti riceva sotto la sua protezione. Si narrano molte cose di questo glorioso Santo, e molti favori che da esso hanno ricevuti tutti quelli che l’hanno avuto in riverenza, e sono ricorri a lui, non solamente ne’ bisogni spirituali, ma temporali ancora, e particolarmente nell’indirizzare i devoti nel modo di ben meditare ed orare. Che se degli altri Santi tiene tanto conto Iddio, perché fra noi vivendo gli resero ubbidienza ed onore, quanto dobbiamo credere che da Lui sia stimato, ed appresso di Lui vagliano i preghi di questo umilissimo e felicissimo Santo, il quale dall’istesso Dio in terra fu onorato talmente, che volle a lui soggettarsi e come Padre ubbidirlo, e servirlo?

IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE (8)

IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE (8)

[P. Lorenzo SCUPOLI, presso G. A. Pezzana, Venezia – 1767)

Che dovendosi sempre continuare nell’esercizio della virtù, non si debbono fuggire le occasioni che per acquistarle ci si presentano.

CAP. XXXVII

Abbiamo veduto assai chiaramente, che nel viaggio che tende alla perfezione, ci conviene camminare sempre avanti, senza fermarci. Per far questo, stiamo bene avvertiti e vigilanti a non lasciarci uscire dalle mani qualunque occasione, che per acquistar le virtù, ci si presenta. Onde male l’intendono  quelli, che si allontanano quanto possono dalle cose contrarie, che a questo effetto potrebbero servire. Che se desideri (per non partirmi dal solito esempio) acquistare l’abito della pazienza, è bene che ti ritiri da quelle persone, azioni, e pensieri che ti muovono all’impazienza. E perciò non hai da toglierti da alcune pratiche, perché ti siano moleste, ma conversando, e trattando con qual si sia, che ti apporti noia, tieni sempre disposta, e pronta la volontà per tollerare qualunque cosa rincrescevole e di disgusto, che te ne possa venire, perché altrimenti facendo, non ti avvezzerai mai alla pazienza. – Così parimente se una operazione ti reca fastidio, o per se stessa o per chi te l’ha imporra, o perché ti svia dal far altro che più ti aggradirebbe, non restare perciò d’imprenderla e continuarla, ancorché te ne sentissi inquieta, e lasciandola te ne potessi trovare quiete, perciocché così non impareresti mai a patire, e la tua sarebbe vera quiete non producendo da animo purgato da passione ed ornato di virtù. Il medesimo ti dico dei pensieri, che alcuna volta travagliano e disturbano la tua mente, perché non hai da scacciarli in tutto da te, poiché con la pena che ti danno, ti vengono insieme a servire per assuefarti alla tolleranza delle cose contrarie.- E chi altrimenti ti dice, piuttosto ti insegna a fuggire il travaglio che ne senti, che a conseguire la virtù che desideri. È ben vero che conviene, massimamente al novello soldato, traccheggiare e schermirti nelle dette occasioni con avvertenza e destrezza, ora affrontandole, ora scansandole, secondo che più o meno va acquistando virtù e forza di spirito. Ma non si deve però mai in tutto voltare le spalle e ritirarsi di maniera, che affatto che ne lasci addietro ogni occasione dì contrarietà, perché se per allora ci salvassimo dal pericolo di cadere, staremmo per l’avvenire con maggior rischio esposti ai colpi dell’impazienza non essendosi prima armati e fatti forti con l’uso della virtù contraria. Questi ricordi però non hanno luogo nel vizio della carne, di che abbiamo già trattato particolarmente.

Che si debbono avere care tutte leoccasioni di combattere per l’acquisto delle virtù, e più quelle che portano più difficoltà.

CAP. XXXVIII

Non mi contento figliuola, che tu non schivi l’occasioni che ti si fanno incontro per l’acquisto delle virtù, ma voglio che, come cosa di gran valore e stima, siano alcuna volta da te cercate ed abbracciate sempre lietamente subito che compariscono, e quelle che tu reputi più preziose e care, e che al tuo senso sono più dispiacevoli. Questo ti verrà fatto col divino aiuto, se ti imprimerai bene nella mente le seguenti considerazioni. L’una è che l’occasioni sono proporzionati, anzi necessari per acquistar le virtù. Onde quando tu domandi quelle al Signore, conseguentemente domandi quelli ancora: altrimenti la tua orazione sarebbe vana, e verresti a contraddire a te stessa, ed a tentare Dio, poiché Egli ordinariamente non dà la pazienza senza le tribolazioni, né senza dispregi di umiltà. E così di tutte le altre virtù dire si puote, le quali non vi è dubbio che si conseguano col mezzo degli avvenimenti contrari che ci portano tanto maggior aiuto per questo effetto, che ci hanno da essere perciò tanto più cari e graditi, quanto sono più travagliosi; perché gli atti che noi facciamo in casi tali, sono più generosi e forti, e più agevolmente e più presto ci aprono la strada alla virtù. Sono però da stimare e da non lasciare senza il suo esercizio, anco le minime occasioni, come di uno sguardo, o parola contro la nostra volontà, poiché gli atti che vi si fanno, sono più frequenti, benché manco intesi, che quelli che sono da noi prodotti nelle difficoltà importanti. – L’altra considerazione (che ho anco toccato di sopra) si è che tutte le cose, che ci occorrono, venga da Dio per nostro benefizio e perché noi ne caviamo frutto. E quantunque di queste, alcune, che sono nostri mancamenti, o d’altri (come pure dicemmo in altro luogo) non si può dire che siano da Dio, che non vuole il peccato, sono però da Dio in quanto Egli le permette, e potendo impedirle, non le impedisce; ma tutte le afflizioni e pene che ci avvengono, o per nostri difetti, o per malignità d’altri, sono e da Dio, e di Dio, poiché Egli in queste  concorre, e ciò che non vorrebbe, che si facesse, perché contiene deformità odiosa sopra modo ai suoi  purissimi occhi, vuole che si patisca per quel bene di virtù, che noi trarre ne possiamo, e per altre giuste cagioni a noi occulte. Laonde essendo noi più che certi che vuole il Signore, che sosteniamo volentieri qualunque molestia ci venga dalle altrui, o anco dalle ingiuste operazioni, il dire (per una cosi fatta scusa della loro impazienza dicono molti) che non vuole, anzi abborrisce le cose mal fatte, non è altro che con un vano preteso coprire la propria colpa, e rifiutare la Croce che non possiamo negare, che gli piace che noi portiamo. Anzi dico di più, che pareggiato il resto, il Signore ama più in noi la tolleranza di quelle pene, che derivano  dall’iniquità degli uomini (massimamente se sono stati prima serviti e beneficati) che le molestie che procedono da altri travagliosi accidenti, sì perché ordinariamente più in quelle che in questi la superba natura si reprime, sì ancora perché soffrendole noi volentieri, veniamo a contentare ed esaltare sopra modo il nostro Dio cooperando con Lui in cosa dove riluce sommamente la sua ineffabile bontà ed onnipotenza, che è dal veleno pestifero della malizia, e del peccato cavare prezioso, e saporito frutto di virtù e di bene. – Perciò sappi, figliuola, che non sì tosto scopre il Signore in noi vivo desiderio di farla da vero e di attendere, come si deve a sì glorioso acquisto, che Egli ci apparecchia il calice delle più forti tentazioni, ed occasioni più dure che siano, perché lo prendiamo a suo tempo, e noi come riconoscitori dell’amor suo, e del proprio nostro bene, dobbiamo a chiusi occhi riceverlo volentieri, e fino al fondo scoperto beverlo tutto sicuramente e prontamente, poiché è medicina composta da mano che non può errare, d’ingredienti, tanto più giovevoli all’anima, quanto in se stessi sono più amari.

Come di diverse occasioni dobbiamo valerci per esercizio di una stessa virtù.

CAP. XXXIX

Si è veduto di sopra, come per qualche tempo sia più fruttuoso l’esercizio d’una sola virtù, che di molte insieme, e che secondo quella, si hanno da regolare le occasioni che s’incontrano, benché fra loro diverse. Ora attendi, come ciò si possa eseguire assai facilmente. – Occorrerà in un istesso giorno ed anco in un’istessa ora, che siamo ripresi di un’azione, che però sia buona, o che per altro si mormori di noi; che ci sia duramente negata alcuna grazia da noi richiesta, o qualsivoglia ben piccola coserella che sia sospettato male di noi senza cagione che ci sopravvenga alcun corporale dolore, che ci sia imposto alcun affaretto noioso, che ci sia portata una vivanda mal condita , o altre cose più importanti e dure a tollerare ci avvengano, delle quali è piena la miserabile umana vita. Nella varietà di quelli, o simili accidenti, ancora che si possano produrre diversi atti di virtù, nondimeno volendo tenere la mostrata regola, ci andremo esercitando con atti conformi tutti alla virtù che allora avremo alle mani, come per esempio. Se nel tempo, che verranno le dette occasioni ci eserciteremo nella pazienza, produrremo atti di sopportarle tutte volentieri e con allegrezza di animo. Se il nostro esercizio sarà d’umiltà, ci conosceremo in tutte quelle contrarietà di ogni male degni. – Se d’ubbidienza, ci sottoporremo prontamente alla mano potentissima di Dio, e per suo contento (poiché Egli così vuole) alle creature ragionevoli, ed anche inanimate, dalle quali ci vengono questi disgusti. Se di povertà, ci contenteremo d’essere spogliati e privi d’ogni consolazione, grande o piccola di questo mondo. Se di carità, produrremo atti di amore, e verso il prossimo nostro, come strumento del bene che possiamo acquistare, e verso il Signore Dio, come principale ed amorosa cagione da cui procedono, o sono permessi quegli incomodi per nostro esercizio e spirituale profitto. E da questo, che diciamo intorno ai diversi accidenti, che possono avvenire per ciascun giorno, si comprende insieme, come in una sola occasione d’infermità o d’altro travaglio, che continuasse lungamente, possiamo andar facendo atti di quella virtù, in cui allora ci esercitiamo.

Del tempo, che si ha da porre nell’esercizio di ciascuna virtù, e dei segni del nostro profitto.

CAP. XL

Quanto al tempo, nel quale si abbia da continuare nell’esercizio di ciascuna virtù, a me non sta a determinarlo: poiché ciò si ha da regolare dallo stato e bisogno dei particolari, dal progresso che si va facendo nella via dello spirito, e dal giudizio di chi per quella ci guida. Ma se con quei modi e sollecitudini, che detto abbiamo, vi si attendesse davvero, non è dubbio che in non molte settimane si profitterebbe più che molto. Segno d’aver fatto profitto nella virtù è, quando nell’aridità, e fra le tenebre ed angustie dell’anima, e la sottrazione dei gusti spirituali, saldamente si va continuando nei virtuosi esercizi. Di ciò ne darà anco assai chiaro indizio il contrasto, che nel produrre gli atti della virtù, farà la sensualità; ché quanto questa andrà perdendo di forze, tanto in quella sarà da stimare l’avere avanzato. Onde non sentendosi contraddizione e ribellione nella parte sensuale ed inferiore, massimamente fra gli assalti subiti ed improvvisi, sarà quello segno d’avere già conseguita la virtù. – E quanto più gli atti nostri saranno accompagnati da maggiore prontezza ed allegrezza di spirito, tanto più potremo pensare d’avere profittato in questo esercizio. Si avverta però, che non dobbiamo mai darci ad intendere come per cosa certa di essere possessori delle virtù, e vittoriosi affatto di alcuna nostra passione, ancora che dopo molto tempo, e molte battaglie non avessimo sentito i moti suoi, che qui può ancora avere luogo l’astuzia ed operazione del demonio, ed ingannevole nostra natura, onde alle volte quello è vizio, che per occulta superbia pare virtù. Oltre che, se miriamo alla perfezione alla quale ci chiama Iddio, per molto cammino che avessimo fatto nella via delle virtù, non avremmo da persuaderci d’essere pure entrati nei suoi primi confini. – Perciò tu, come novella guerriera, e quasi bambina pure allora nata per combattere, ripiglia sempre, come da principio, i tuoi esercizi quasi che nulla addietro avessi operato. – E ti ricordo figliuola, che tu attenda piuttosto a camminare avanti nelle virtù, che a fare scrutinio del proprio profitto, perché il Signore Iddio, vero e solo scrutatore dei nostri cuori, ad alcuni ciò fa conoscere, ad alcuni no, secondo che vede che a tale cognizione sia per seguirne o umiliazione, o superbia, e come Padre amorevole agli uni leva il pericolo, e agli altri porge occasione d’accrescimento di virtù. E perciò, ancorché l’anima non si avveda del suo progresso, seguiti pure negli esercizi suoi, che lo vedrà, quando piacerà al Signore, che per maggior suo bene lo veda.

Che non dobbiamo lasciarci prendere la voglia d’esser liberi dai travagli, che sostentiamo pazientemente, e del modo dì regolare  tutti i nostri desideri,acciò siano virtuosi.

CAP. XLI

Quando tu ti ritrovi in qualunque cosa penosa, che sia, e la sostieni con animo paziente, sta avvertita di non lasciarti mai persuadere dal demonio, e dal tuo proprio amore di desiderarne la liberazione, perché da ciò ti verrebbero due principali danni. L’uno è, che se questo desiderio non ti togliesse per allora la virtù della pazienza, almeno a poco a poco ci anderebbe disponendo all’impazienza. – L’altro è che la tua pazienza si renderebbe difettosa, e sarebbe ricompensata da Dio solamente per quello spazio di tempo che tu patissi, laddove se non averli desiderato la liberazione, ma del tutto ti fossi rimessa alla sua divina bontà, benché in effetto il tuo patire fosse stato di un’ora sola, ed anche meno, il Signore l’avrebbe riconosciuto per servigio di lunghissimo tempo. Perlochè in quella e in tutte le cose, abbi per regola universale, di tenere i tuoi desideri così lontani da ogni altro oggetto, che mirino puramente e semplicemente nel suo vero ed unico scopo, ch’è il volere di Dio, che di questo modo saranno giusti e retti, e tu in qualunque contrario avvenimento, starai non pure quieta, ma contenta, poiché non potendo occorrere alcuna cosa senza la superna volontà, volendo tu quella, verrai a volere  insieme e avere tutto ciò che desideri e succede in ogni tempo. – Questo, che non s’intende nei peccati d’altri, o tuoi, poiché Dio non li vuole, ha luogo in ogni male di pena, che da quelli, o d’altronde ne venisse, quantanque ella fosse tanto violenta e penetrasse così dentro che, toccando il fondo del cuore, andasse seccando le radici della vita naturale, che questa è pure croce con cui piace a Dio di favorire talora i suoi amici più intimi e cari. – E ciò ch’io dico della sofferenza che hai d’avere in ogni caso, intendilo, quanto a quella parte di ciascun travaglio, che ne rimane, ed è di contento al Signore, che sosteniamo, dopo che faranno stati da noi usati i leciti mezzi per liberarcene. E questi pur anche si debbono regolare dalla disposizione e volontà di Dio che li ha ordinati, alfine che ce ne serviamo, perché Egli così vuole e non con l’attacco di noi stessi, né perchè amiamo e desideriamo la liberazione delle cose moleste, più di quello appunto, che è di suo servizio e piacimento.

Del modo di opporsi al demonio mentre cerca d’ingannarci conla indiscrezione.

CAP. XLII

Quando il sagace demonio si avvede che, con vivi e ben ordinati desideri, camminiamo dirittamente per la via delle virtù, onde con aperti inganni non può tirarci dalla sua si trasfigura in Angelo di luce, e con amichevoli pensieri e sentenze della Scrittura, ed esempi dei Santi, importunamente ci sollecita a camminare indiscretamente nel colmo della perfezione, per farne poi cadere in precipizio. Onde ci conforta a castigare aspramente il corpo con discipline, astinenze, cilici, ed altre somiglianti afflizioni, acciocché, o insuperbiamo, parendoci (come alle donne particolarmente occorre) di fare cose grandi, o perché sopravvenendoci qualche infermità, diventiamo inabili all’opere buone, oppure alfine, che per troppa fatica e pena ci vengano a noia ed abborrimento gli esercizi spirituali, e così a poco a poco, intiepiditi nel bene, con maggior avidità che prima, ci diamo poi in preda ai terreni diletti e passatempi, il che è avvenuto a molti che, seguendo con presunzione di spirito l’impeto di un indiscreto zelo, trapassata con immoderati patimenti esteriori la misura della propria virtù, sono periti nelle loro invenzioni, e fatti in derisione ai maligni demoni. Il che non sarebbe loro succeduto se avessero bene considerate le cose dette, e che a quella forte di atti penosi, ancorché siano lodevoli ed apportino frutto, dove siano forze corporali ed umiltà di spirito corrispondenti, sia però bisogno di temperamento conforme alla qualità e natura di ciascuno. Ed a chi non può in quest’asprezza di vita travagliare con i Santi, non mancano altre occasioni, per imitare la vita loro con grandi ed efficaci desideri ed orazioni ferventi, aspirando alle più gloriose corone dei veri combattenti per Gesù Cristo, col dispregiare il mondo tutto, e se stesso ancora: col darsi al silenzio ed alla solitudine, coll’essere umile, e mansueti con tutti, col patire male, e far bene a chiunque gli è più contrario, e col guardarsi da ogni colpa, anche leggiera, che è cosa più grata a Dio, che non sono gli esercizi afflittivi del corpo, nei quali io do a te per consiglio d’esser piuttosto discretamente parca, per poterli accrescere bisognando, che con  certi eccessi porti a rischio di ridurti a termine di lasciarli: perché già io mi persuado, che tu non sia per inciampare nell’errore di alcuni, per altro tenuti Spirituali, che allettati ed ingannati dalla lusinghevole natura, sono troppo diligenti nel conservarle la loro salute corporale. E se ne mostrano tanto gelosi e ansiosi, che per un minimo che, stanno tempre in dubbio, ed in timore di perderla. E non è cosa, di che pensino più, e trattino più volentieri, che del governo in questa parte della vita loro: onde attendono di continuo a procurare cibi conformi più al gusto, che allo stomaco loro, il quale molte volte per soverchia delicatezza si viene ad infiacchire, il che mentre si fa sotto pretesto di poter meglio servire a Dio, non è altro che volere accordare insieme, senza prò niuno, anzi con danno dell’uno e dell’altro, due capitali nemici  che sono spirito e corpo, poiché con sì fatta sollecitudine a questo della sanità, e da quello si toglie della devozione. E perciò è più sicuro e giovevole per ogni rispetto, un certo modo di viver libero, non scompagnato però da quella discrezione che ho detto, avendo riguardo a diverse condizioni e complessioni, che tutte non soggiacciono ad una stessa regola. – Ed aggiunge che non pure nelle cose esteriori, ma anco nell’acquistare le virtù interiori, dobbiamo proceder con gualche moderazione, come si è dimostrato di sopra nell’acquisto delle virtù a grado a grado.

Quanto possa in noi la mala nostra inclinazione, e l’istigazione del demonio per indurci a giudicare temerariamente il prossimo, e del modo di far loro resistenza.

CAP. XLIII

Dal sopraddetto vizio della propria stima e riputazione, un altro ne nasce, che ci porta gravissimo danno, ed è il temerario giudizio, che facciamo deu prossimi nostri, onde veniamo a tenerli a vile, dispregiarli, ed abbassarli. Il qual difetto, siccome ha il suo nascimento dalla mala inclinazione e superbia: cosi è da lei fomentato, e nutrito volentieri, perché con essi insieme essa ancora si va aumentando, compiacendo, ed ingannando insensibilmente, poiché senza avvedercene, tanto più ci presumiamo d’innalzare noi stessi quanto più nell’opinione nostra, deprimiamo gli altri, parendoci di essere lontani da quelle imperfezioni che in essi ci diamo a credere, che siano. – Ed il sagace demonio, che scorge in noi cosi fatta pessima disposizione d’animo, di continuo stavigilante per aprirci gli occhi e tenerci svegliati, per vedere, esaminare ed ingrandire gli altrui mancamenti. Non si crede, non si conosce dalli trascurati, quanto egli si adopera, e studia per imprimere nelle nostre menti i piccioli difetti, non potendo i grandi, di questo e di quello. Però s’egli vigila ai tuoi danni, sia desta tu ancora, per non cadere nei lacci suoi, e subito, ch’egli ti appresenta davanti alcun fallo del prossimo tuo, prestamente ritira da quello il pensiero, e se pure ti senti muovere a farne giudizio, non ti lasciar condurre, e considera che a te non è stata data questa facoltà, il che, quando anco fosse, non ne potresti pur fare giudizio retto, trovandoti attorniata da mille passioni e purtroppo inchinata a pensar male, senza giusta cagione. – Ma per efficace rimedio di ciò, ti ricordo, che stia occupata con il pensiero nei bisogni del tuo cuore, che ogni ora più ti andrai avvedendo d’avere tanto da fare, e travagliare in te e per te, che non ti avanzerà tempo, né voglia di badare ai fatti altrui. Oltre, che attendendo a tal esercizio nel modo, che si conviene, verrai sempre più a purgare il tuo occhio interiore da quei mali amori onde procede questo pestifero vizio. – E sappi, che quando sinistramente pensi alcun male del fratello, qualche radice dell’istesso male è nel tuo cuore, il quale, secondo che si trova mal disposto, così riceva in sé ogni simile affetto che gli si fa incontro. Però quando ti cade in animo di giudicare altri di qualche difetto, sdegnata contro di te, come di quell’istesso colpevole, dirai nell’animo tuo, come stando in misera sepolta in questi e più gravi difetti, prenderò ardire di levare il capo per vedere e giudicare, quelli degli altri. E così l’armi che indirizzate contro d’altri, venivano a ferir te, adoprate contro di te, porteranno salute alle piaghe tue. Che se l’errore commesso è chiaro e manifesto, scusalo con affetto di pietà, e credi che in quel fratello vi siano delle virtù occulte, per guardia delle quali il Signore permette ch’egli cada, o abbia per qualche tempo quel difetto, perché si tenga più vile negli occhi suoi, e con l’esserne dispregiato dagli altri, ne cavi frutto d’umiliazione, e si faccia più grato a Dio e cosi il guadagno suo ne venga ad essere maggiore della perdita. – E se il peccato è non pure manifesto, ma grave, d’ostinato cuore, ricorri col pensiero ai tremendi giudizi di Dio, dove vedrai uomini ch’erano prima scelleratissimi, esser poi arrivati a segno di santità grande, ed altri dal più sublime stato di perfezione, al quale pareva che fossero pervenuti, esser caduti in miserabile precipizio. E perciò sta sempre in timore e tremore più che d’alcun altro di te medesima. E renditi certa, che tutto quel bene e contento che senti del prossimo tuo, è effetto dello Spirito Santo, ed ogni dispregio, temerario giudizio, ed amarezza contro di lui, viene dalla propria nostra malizia e da diabolica suggestione. Però se alcuna imperfezione d’altri avesse in te fatta impressione non ti acquietare mai, né dar sonno agli occhi tuoi, finché a tuo potere non te la levi dal cuore.

IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE (7)

IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE (7)

[P. Lorenzo SCUPOLI, presso G. A. Pezzana, Venezia – 1767)

Dell’ultimo assalto, ed inganno proposto di sopra con cui tenta il demonio perché le virtù acquistate ci siano occasione di rovina.

CAP. XXXII

L’Astuto e maligno serpente, non manca di tentarci con i suoi inganni, anco nelle virtù che abbiamo acquistate, perché ci siano occasione di rovina, mentre compiacendosi di quelle e di noi medesimi, veniamo a levarci in alto per cadere poi nel vizio della superbia e vanagloria. Per guardarti tu dunque da questo pericolo, combatti sempre, sedendo nel campo piano e sicuro, di un vero e profondo conoscimento che niente sei, niente sai, niente puoi, e niente altro hai che miserie e difetti, né altro meriti che l’eterna dannazione. E fermata e stabilita dentro i termini di questa verità, non ti lasciar mai trar fuori pure un puntino di qualsivoglia pensiero o cosa che ti avvenga, tenendo per certo che tutti siano tanti remici tuoi dai quali (se tu dessi nelle mani loro) ne rimarresti o morta o ferita. Per  esercitarti bene a correre nel suddetto campo della conoscenza vera della tua nullità, serviti di questa regola: “quante fiate volte ti rivolti alla considerazione di te stessa e dell’opere tue, considerati sempre con il tuo e non con quello che è di Dio e della sua grazia. E poi tale si stima quale col tuo ti ritrovi ad essere. Se consideri il tempo avanti che tu fossi, vedrai che in tutto questo abisso d’eternità, sei stata un puro niente, e che niente hai operato, né potuto operare, perché  avessi l’essere. In questo tempo poi, che tu hai l’essere per sola bontà di Dio, lasciando a Lui il suo (ch’è il continuo reggimento col quale ogni momento ti conserva) che altro sei col tuo, che parimente un niente? Peiché non v’è dubbio alcuno, che al tuo primo niente, da cui ti cavò la sua onnipotente mano, ne ritorneresti in un istante, s’Egli per un  solo minimo momento ti lasciasse. È cosa chiara dunque, che in questo essere naturale, stando col tuo, non hai ragione di stimarti, o  di volere da altri essere stimata. Quanto poi tocca al ben essere della grazia, ed all’operare il bene, la tua natura spogliata del divino aiuto, qual cosa buona e meritoria potrebbe ella mai fare da sé medesima? Che considerando dall’altra parte i tuoi molti falli passati, ed oltre a ciò il molto d’altro male, che da te sarebbe proceduto se Iddio con la sua pietosa mano non ti avesse tenuta, troverai che le tue iniquità per la moltiplicazione non pure dei giorni, e degli anni, ma anche negli atti ed abiti mali (poiché un vizio chiama, e tira seco l’altro), sarebbero giunte a numero infinito e tu ne saresti diventata un altro Lucifero infernale. – Onde non volendo tu essere ladra della bontà di Dio, ma starti sempre col tuo Signore, di giorno in giorno peggiore ti devi riputare. Ed avverti bene che questo giudizio che fai di te stessa, sia accompagnato dalla giustizia, perché  altrimenti ti sarebbe di non piccolo danno. Che se quanto alla cognizione della tua malvagità avanzi alcuno che per sua cecità si tenga da qualche cosa, perdi però tu d’assai, e ti rendi peggiore di lui nelle opere della volontà, se vuoi essere dagli uomini riputata e trattata da tale quale sai di non essere. – Se vuoi dunque, che il conoscimento della tua malizia e viltà tenga lontani i tuoi nemici, e ti faccia cara a Dio, fa’ di mestiere, che non pure spregi te stessa, come indegna di ogni bene, e meritevole di tutti i mali, ma, che dagli altri abbia caro d’essere spregiata, abborrendo gli onori, godendo dei vituperi, ed inchinandoti con le occasioni a fare tutto quella che altri spregiano. Il giudizio dei quali, per non lasciare quella santa pratica non hai da stimare punto, purché ciò sia fatto da te per quello fine solo del tuo abbassamento ed esercizio, e non per una certa presunzione di animo, e non bene conosciuta superbia, per la quale talora, sotto altri buoni pretesti si tiene poco o niun conto dell’altrui opinione. E se alle volte ti occorre per alcun bene, che Iddio ti ha dato d’essere come buona, amata e lodata da altri, sta bene raccolta dentro di te , né ti muovere punto dalla suddetta verità e giustizia, ma rivoltati prima a Dio, dicendo con il cuore: Non sia mai Signore, che io sia ladra dell’onore e delle grazie tue …Tibi laus, honor et gloria, mihi confusio!  E poi verso il tuo lodatore, così favellando interiormente: Ond’è, che questi mi tengano per buona, se veramente è buono il mio solo Dio, e le sue opere? Che facendo in questo modo e rendendo al Signore tuo, terrai da lungi i nemici, e ti disporrai a ricevere maggiori doni e favori da Dio. E quando la memoria delle opere buone ti mette in pericolo di vanità,  mirandole, non cosa tua, ma di Dio, quali loro parlando, potrai dire nell’animo tuo Io non so, in qual modo voi ed incominciaste ad aver nella mente mia, perché io non sono l’origine vostra, ma il buon Iddio e la sua grazia vi ha creato, nutrito, Lui solo dunque vo riconoscere per vero, e principale Padre, Lui ringraziare, ed a Lui vo darne ogni lode. – Considera poi, che tutte le opere che hai fatte, giammai sono state non solamente poco corrispondenti al lume ed alla grazia, che per conoscerle ed eseguirle ti è stata concessa, ma per altro ancora molto imperfette, e pur troppo lontane da quella pura intenzione e debito fervore e diligenza, con che dovevano essere accompagnate ed operate. – Onde sebbene vi pensi, piuttosto tu ne hai da vergognare, che da piacerne vanamente, perché è pur troppo vero, che le grazie che da Dio riceviamo pure, e perfette sono, nell’eseguirle dalle nostre imperfezioni macchiate. Di più paragona le opere tue con quelle dei Santi, ed altri servi di Dio, che a comparazione di esse con chiarezza conoscerai, che le migliori, e maggiori delle tue sono di molto bassa lega e valore! Paragonandole poi con quelle dì Cristo, che nei misteri della vita sua e continua Croce per te operò, e considerandole senza la persona Divina in se stesse solamente, e per l’affetto, e per la purità dell’amore con cui furono fatte, vedrai che tutte le opere tue sono, come appunto un niente. Che se per ultimo leverai la mente alla Divinità, ed all’immensa Maestà del tuo Dio, ed al servigio che merita, vedrai chiaro, che non vanità, ma tremore grande ti resta da qualunque tua opera. Onde per tutte le vie in ogni opera tua, per santa ch’ella sia, devi con tutto il cuore dire al tuo Signore: Deus, propitius esto mihi peccatori. – Ti avviso di più, che non vogliesser facile a scoprire i doni, che Iddio ti abbia fatto, che quello quasi sempre spiace al tuo Signore, come ci dichiara Egli medesimo con la seguente dottrina.Apparse Egli una fiata informa di fanciullo ad una sua devota, quasi pura creatura; fu da lei così semplicemente ricercato, che recitando la Salutazione Angelica, cominciò Egli prontamente: Ave, gratia plena, Dominus tecum, Benedicta tu in mulieribus, e poi si fermò, perché non volle con le altre parole lodare se stesso. E mentre ella pure lo pregava, che più oltre dicesse, Egli nascondendosi, lasciò consolata la sua serva, palesandole col suo esempio quella celeste dottrina. – Impara ancora tu figliuola ad abbassarti, conoscendoti con tutte le opere tue per quel niente che sei. Questo è il fondamento di tutte le altre virtù. Iddio, prima che fossimo, ti creò di niente, ed ora, che siamo per Lui, vuole sopra questa nostra cognizione, che da noi niente siamo, fondare tutta la fabbrica spirituale. E quanto più in quello ci profondiamo, tanto più in alto crescerà questa. Ed a proporzione della terra delle miserie nostre, che andremo cavando, vi porrà il divino Architetto tante fermissime pietre, per mandare avanti l’edificio. Né ti persuadere figliuola di poter mai profondarti tanto, che basti: anzi fa’ di te questa stima, che se cosa infinita si potesse dare in creatura, tale sarebbe la tua viltà.Con questa cognizione bene praticata, possediamo ogni bene, senza quella siamo poco più, che niente, ancorché facessimo le opere di tutti i Santi, e stessimo sempre occupati in Dio. O beata cognizione, che ci fa in terra felici e gloriosi in Cielo! O lume, che uscendo dalle tenebre, rende l’arme lucide e chiare! O gioia non conosciuta che risplende fra le immondizie nostre! O niente, che conosciuto, ci fa padroni del tutto! Non mi sazierei mai di ragionarti di ciò; se vuoi lodare Iddio, accusa te stessa, e brama di essere accusata dagli altri. Umiliati con tutti, e sotto a tutti, se vuoi in te esaltare Lui, e te in Lui. Se desideri ritrovarlo, non t’innalzare, ch’Egli fuggirà. Abbassati, ed abbassati quanto puoi, ch’Egli verrà a trovarti ed abbracciarti. E tanto ti accoglierà, e stringerà seco in amore più caramente, quanto più ti avvilirai negli occhi tuoi; e compiacerai d’essere avvilita da tutti, e come cosa abbominevole ributtata. E di tanto dono, che ti fa il tuo, per te vituperato Dio per unirti seco, fa’ che ti stimi indegna, e non mancare di renderli spesso grazie, e tenerti obbligata, a chi te ne data occasione, e più a quelli che ti hanno conculcato, o più credono che tu mal volentieri e di non buona voglia lo sopporti. Il che, quando anche fosse, non devi mostrar segni di fuori. Se non ostante tante considerazioni che sono pur troppo vere, di astuzia del demonio, e l’ignoranza, e la mala inclinazione nostra prevalessero in noi di modo che i pensieri della propria esaltazione non cessassero d’inquietarci, e fare nel cuor nostro impressione, pure allora è tempo d’umiliarci, tanto più negli occhi nostri, quanto che dalla prova vediamo avere poco profittato nella via dello spirito, e conoscimento leale di noi stessi, poiché non possiamo liberarci da sì fatte molestie che hanno radice dalla nostra vana superbia. Così dal veleno caveremo miele e sanità dalle ferite.

Di alcuni avvertimenti per vincere le passioni viziose, ed acquistare le nuove virtù.

CAP. XXXIII

Per molto, ch’io ti abbia detto del modo che hai da tenere per superare te stessa, ed  ornarti delle virtù, pure mi rimane d’avvertirti di altre cose. Primo. Non ti lasciar mai persuadere, volendo far acquisto delle virtù, da quegli esercizi spirituali, che a stampa (come si dice) hanno determinati i giorni della settimana, uno per una virtù, e gli altri per le altre. Ma l’ordine del combattere ed esercizio, sia di far guerra a quelle passioni che ti hanno sempre danneggiato, e tuttavia spesso ti assaltano, e danneggiano, e di ornarti delle virtù loro contrarie, e quanto più perfettamente sia possibile. Perché acquistando tu quelle virtù, tutte le altre con facilità e con pochi atti le acquisterai prestamente nelle occasioni loro, che mai non mancano, essendo che le virtù vanno sempre incatenate insieme e chi ne possiede una perfettamente, tutte le altre le ha pronte nelle porte del cuore. – Secondo: Non determinare mai tempo all’acquisto delle virtù, né settimane, né anni, ma sempre, quali allora nata, e come novello soldato combatti, e cammina all’altezza della perfezione loro. Ne ti fermare pure per un puntino perché il fermarti nel cammino delle virtù, e della perfezione, e non è pigliar fiato e forza, ma ritornare addietro, o diventare più fiacca di prima. – Fermarsi intendo io, il darsi a credere d’aver acquistato la virtù compiutamente, ed il fare alle volte poco conto e delle occasioni, che a nuovi atti di virtù ci chiamano, e de’ piccoli mancamenti. Onde sii sollecita e fervente, e destra, perché non perda pure una minima occasione di virtù. Ama dunque tutte le occasioni che inducono alle virtù, e quelle più che sono difficili a superarsi, essendo che gli atti, i quali si fanno per superare le difficoltà più presto, e con più alta radice fanno gli abiti, ed abbi cari quelli che te le porgono. Quelle solamente a larghi passi con ogni industria e prestezza hai da fuggire, che alla tentazione della carne ti potrebbero introdurre. – Terzo. Sii prudente, e discreta in quelle virtù, che possono cagionare danno al corpo, come sono affliggerlo con discipline, cilici, digiuni, vigilie, meditazioni, ed altre cose somiglianti, perché quelle virtù si devono acquistare a poco a poco, e per li gradi loro come appresso diremo. Dell’altre virtù poi totalmente interne, come amar Dio, spregiare il Mondo, avvilirsi negli occhi propri, odiare le viziose passioni ed il peccato, essere paziente, e mansueta, amare tutti, e chi ti offende, ed altre simili, non vi è bisogno per acquetarle del poco a poco, né di salire alla loro perfezione per gradi, ma sforzati pure di fare ogni atto, quanto più perfetto sia possibile. – Quarto. Tutto il pensiero tuo, il desiderio, ed il cuore altro non pensi, e desideri, o brami, che vincere quella passione che combatti, ed acquistare la virtù sua contraria. Questo sia tutto il Mondo e il Cielo e la terra, questo ogni tesoro tuo e tutto affine di piacere a Dio. – Se mangi, se digiuni, se ti affatichi, se riposi, se vegli, se dormi, se sei in casa, se fuori di casa, se attendi alle devozioni, se alle opere manuali, tutto sia indirizzato a superare e vincere la detta passione ed acquistare la sua contraria virtù. – Quinto. Sii nemica universalmente dei diletti terreni e comodità, che a questo modo con poca forza sarai assalita dai vizi che tutti hanno per radice il diletto. Onde tagliata questa con l’odio di noi stessi, vengono quelli a perdere le forze ed il valore. Che se vorrai far guerra da una parte ad alcun vizio e diletto particolare, e dall’altra attendere ad altri diletti terreni, benché non siano mortali, ma di leggera colpa, dura sarà la guerra, sanguinosa e molto incerta, e rara la vittoria. Perciò terrai sempre a mente queste sentenze divine. Qui amat animam suam, perdet eam, et qui odit animam suam in hoc mondo, in vitam æternam custodit eam. [Jo. XII. 25.] – Fratres, debitores sumus non carni, ut secundum carnem vivamus. Si enim secundum carnem vixeritis, moriemini. Si autem spiritu facta carnìs mortìficaverìtis, vivetis. [Rom. VIII, 12]. – Sesto. E per ultimo ti avviso che sarebbe bene, e forse necessario, che tu facessi prima una confessione generale, con tutti quei debiti modi che si deve, perché  più ti assicuri di stare in grazia del tuo Signore, da cui si anno da aspettare tutte le grazie, e le vittorie.

Che le virtù si hanno da acquistare a poco a poco, esercitandosi per li gradi loro, ed attendendo prima all’una, e poi all’altra.

CAP. XXXIV

Avvegnaché il vero soldato di Cristo, che aspira al colmo della perfezione, non abbia da porre mai al suo profitto termine veruno, tuttavia sono da essere raffrenati con certa discrezione alcuni fervori di spirito che, abbracciati massimamente sul principio con troppo ardenza, mancano poi e si lasciano a mezzo il corso. Onde oltre quello che si è detto intorno al moderarsi negli esterni esercizi, si sappia di più che le virtù interne ancora si hanno da acquistare a poco a poco, e per li gradi loro, che così il poco diventa presto molto e di durata. Onde (per esempio) nelle cose avverse, non dobbiamo ordinariamente esercitarci a rallegrarsene e desiderarle, se prima non siamo passati per li gradi più bassi della virtù della pazienza. E non a tutte, né a molte virtù insieme, consiglio che tu attenda principalmente, ma ad una sola e poi alle altre, perché così si pianta più facilmente e fermamente nell’anima l’abito virtuoso, essendo che, con l’esercizio continuato di una sola virtù, la memoria in ogni occasione a quella corre più prontamente; l’intelletto si va sempre più assottigliando nel trovare nuovi modi e ragioni per acquistarla, e la volontà vi si inchina più facilmente e con maggiore affetto che non sarebbero se molte virtù si occupassero. – E gli atti intorno ad una sola virtù per la conformità che hanno fra loro, si vengono a fare con questo uniforme esercizio meno faticosi, poiché l’uno chiama ad aiuto l’altro suo simile, e per questa somiglianza ancora fanno in noi maggior impressione, trovando la fede del cuore già apparecchiata e disposta per ricevere quelli che di nuovo si producono, come agli altri ad essi conformi diede prima luogo. Le quali ragioni hanno tanto più di forza, quanto che si fa certo che chiunque si esercita bene in una virtù, apprende anco il modo di esercitarsi nell’altra, e così con l’aumento di una crescono tutte insieme per la inseparabile congiunzione che hanno fra loro, essendo raggi procedenti da una stessa divina luce.

De’ mezzi co’ quali si acquistare le virtù, e come ce ne dobbiamo servire per attendere ad una sola per qualche spazio di tempo.

CAP. XXXV

Per acquistare le virtù, oltre quello che ne dicemmo di sopra, si ricerca un animo generoso e grande, ed una non fiacca, né rimessa ma risoluta e forte volontà, e certo presupposto di dover passare per molte cose contrarie ed aspre. Oltre ciò vi si tenga particolare inclinazione ed affezione, la quale si potrà conseguire considerando spesso quanto piacciano a Dio e siano nobili ed eccellenti in se stesse ed a noi utili e necessarie, poiché da esse ha principio e fine ogni perfezione. – Si facciano ogni mattina efficaci proponimenti di esercitarvisi, secondo le cose che occorreranno umilmente in quel giorno, nel quale più volte ci abbiamo da esaminare, e se li abbiamo eseguiti o no, rinnovandoli poi più vivamente. E tutto ciò particolarmente intorno alla virtù che allora avremo alle mani. Parimente gli esempi de’ Santi, le operazioni nostre, e meditazioni della vita e passione di Cristo, tanto necessarie in ogni spiritual esercizio, tutte si applichino principalmente per quell’istessa virtù nella quale allora ci eserciteremo. Il medesimo si faccia di tutte le occasioni (come particolarmente mostreremo più avanti) ancora che siano fra loro diverse. Procuriamo d’avvezzarci talmente gli atti virtuosi interni ed esterni, che veniamo a farli con quella prontezza e facilità con che prima facevamo gli altri conformi alle voglie naturali. E quanto saranno a queste più contrari (come dicemmo in altro luogo), tanto più presto introdurranno l’abito buono nell’anima nostra. I sacri detti della Divina Scrittura espressi con la voce, o almeno con la mente, nel modo che li conviene, hanno meravigliosa forza per aiutarci in quello esercizio. Però, se ne abbiano in pronto molti intorno alla virtù che praticheremo, si vadano dicendo fra il giorno, e  massimamente, quando insorge la contraria passione: come per esempio, se attenderemo all’acquisto della pazienza, potremo dire i seguenti, o altri somiglianti detti: Filii, patientur sustinete iram qua supervenit vobis. [Bar. IV, 25] – Patientia pauperum non peribit in finem. [Ps. IX, 19] – Melior est patiens viro forti, et qui dominatur animo suo, expugnatore urbium. [Prov. XVI, 32] –  In patientia vestra possidebitis animas vestras. [Luc. XXI.19]. – Per patientiam curramus ad propositum nobis certamen. [Heb. XII. 1]. Parimenti per lo stesso effetto potremo dire le seguenti, o simili orazioncelle: Quando, Iddio mio, farà questo mio cuore armato nello scudo della pazienza?Quando per dar contento al mio Signore, passerò con animo tranquillo ogni travaglio? Oh troppo care pene, che mi fanno simile al mio Signor e Gesù appassionato per me! – Sarà mai, unica vita dell’anima mia, che per sua gloria io viva fra mille angosce contenta? Felice me, se in mezzo al fuoco delle tribolazioni arderò di voglia di sostenere cose maggiori! – Di quelle orazioncelle ci serviremo e d’altre, che siano conformi al progresso nostro nelle virtù, e che insegnerà lo spirito della devozione. – Queste orazioncelle si chiamano jaculatorie, perché sono come jacoli e dardi, che si lanciano verso il Cielo, ed hanno forza grande, per eccitarci alla virtù e penetrare fino al cuore di Dio, se da due cose, quasi da due ali, siano accompagnate. L’una è la vera cognizione del contento del nostro Dio per lo nostro esercizio delle virtù. L’altra è un vero ed infocato desiderio d’acquistarle, per questo fine solamente di compiacerne Sua Divina Maestà.

Che nell’esercizio della virtù, si ha da camminare con sollecitudine continua.

CAP. XXXVI

Fra tutte le cose più importanti e necessarie per l’acquisto delle virtù, oltre l’insegnate di sopra, l’una è, che per arrivare al fine, che noi qui ci proponiamo, fa di mestieri continuare, andare sempre avanti, altrimenti col fermarsi solo, si torna addietro, Perché quando noi cessiamo gli atti virtuosi, ne segue di necessità, che per violenta inclinazione dell’appetito sensitivo e dell’altre cose che esteriormente ci muovono, si generino in noi molte passioni disordinate, le quali distruggono, o almeno diminuiscono le virtù, oltre che restiamo privi di molte grazie e doni che, col fare progresso, avremmo dal Signore potuto conseguire. Perciò il cammino spirituale è differente dal cammino che fa il viandante per terra, imperocché in quello col fermarsi non si perde niente del già fatto viaggio, come si perde in quello. Ed oltre a ciò la stanchezza del pellegrino del mondo si aumenta con la continuazione del moto corporale, dove che nella via dello spirito, quanto più si cammina tanto più si acquista maggior forza, e vigore. Perché con l’esercizio virtuoso, la parte inferiore che con la sua resistenza rendeva aspro e faticoso il sentiero, sempre si debilita più, e la parte superiore, dove sta la virtù, più si stabilisce, e fortifica. Onde col progresso nel bene, si va scemando di qualche pena, che vi si sente, e certa segreta giocondità, che per operazione divina si mescola con la stessa pena, ogni ora si va facendo maggiore. A questo modo continuando d’andar sempre con più agevolezza, e diletto di virtù in virtù, si arriva finalmente alla sommità del monte, dove l’anima fatta perfetta, opera poi senza fastidio, anzi con gusto e giubilo, perché avendo già vinte ed amate le sregolate passioni, e soprastando a tutto il creato, ed a se stessa, vive felicemente nel cuore dell’Altissimo, e quivi soavemente travagliando,prende riposo.