DOMENICA I DOPO PASQUA (2019)

DOMENICA I dopo PASQUA (2019)

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

1 Pet II, 2. Quasi modo géniti infántes, allelúja: rationabiles, sine dolo lac concupíscite, allelúja, allelúja allelúja. [Come bambini appena nati, alleluia, siate bramosi di latte spirituale e puro, alleluia, alleluia,]

Ps LXXX: 2. Exsultáte Deo, adjutóri nostro: jubiláte Deo Jacob. [Inneggiate a Dio nostro aiuto; acclamate il Dio di Giacobbe.]

– Quasi modo géniti infántes, allelúja: rationabiles, sine dolo lac concupíscite, allelúja, allelúja allelúja. [Come bambini appena nati, alleluia, siate bramosi di latte spirituale e puro, alleluia, alleluia.]

Oratio

Orémus.

Præsta, quaesumus, omnípotens Deus: ut, qui paschália festa perégimus, hæc, te largiénte, móribus et vita teneámus. [Concedi, Dio onnipotente, che, terminate le feste pasquali, noi, con la tua grazia, ne conserviamo il frutto nella vita e nella condotta.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Joannis Apóstoli. – 1 Giov. V: 4-10.

“Caríssimi: Omne, quod natum est ex Deo, vincit mundum: et hæc est victoria, quæ vincit mundum, fides nostra. Quis est, qui vincit mundum, nisi qui credit, quóniam Jesus est Fílius Dei? Hic est, qui venit per aquam et sánguinem, Jesus Christus: non in aqua solum, sed in aqua et sánguine. Et Spíritus est, qui testificátur, quóniam Christus est véritas. Quóniam tres sunt, qui testimónium dant in coelo: Pater, Verbum, et Spíritus Sanctus: et hi tres unum sunt. Et tres sunt, qui testimónium dant in terra: Spíritus, et aqua, et sanguis: et hi tres unum sunt. Si testimónium hóminum accípimus, testimónium Dei majus est: quóniam hoc est testimónium Dei, quod majus est: quóniam testificátus est de Fílio suo. Qui credit in Fílium Dei, habet testimónium Dei in se”.  – Deo gratias.

Omelia I.

[A. Castellazzi: Alla Scuola degli Apostoli; Sc. Tip. Artigianelli, Pavia, 1929]

L A FEDE

“Carissimi: Tutto quello che è nato da Dio vince il mondo: e questa è la vittoria che vince il mondo, la nostra fede. Chi è che vince il mondo, se non colui che crede che, Gesù Cristo è figlio di Dio? Questi è Colui che èvenuto coll’acqua e col sangue, Gesù Cristo: non con l’acqua solamente, ma con l’acqua e col sangue. E lo Spirito è quello che attesta che Cristo è verità. Poiché sono tre che rendono testimonianza in cielo: il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo: e questi tre sono una cosa sola. E sono tre che rendono testimonianza in terra: lo spirito, l’acqua e il sangue: e questi tre sono una cosa sola. Se accettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio èmaggiore. Ora, la testimonianza di Dio che è maggiore è questa, che egli ha reso al Figlio suo. Chi crede al Figlio di Dio, ha in sé la testimonianza di Dio” (1 Giov. 5, 4-10).

S. Giovanni, oltre il Vangelo e l’Apocalisse, scrisse tre lettere. La prima di queste è indirizzata ai fedeli dell’Asia minore, di cui Efeso, ove l’Apostolo dimorava, erane la capitale. Si potrebbe chiamare lettera accompagnatoria o introduzione del quarto Vangelo. Vi si fa risaltare la divinità di Gesù Cristo, e vi si danno prescrizioni per la pratica della vita cristiana, specialmente in relazione all’amor di Dio e all’amor del prossimo. L’epistola odierna è tolta da questa lettera. Per vincere il mondo con le sue concupiscenze, con i suoi errori, con le sue lusinghe, con le sue persecuzioni bisogna essere appoggiati a una fede viva nella divinità di Gesù Cristo. Fede che ha una base incrollabile, perché fondata sulla testimonianza del Padre, che proclama Gesù Cristo suo Figlio, quando è battezzato nelle acque del Giordano; dalla testimonianza del Figlio, che dimostra la sua divinità quando versa il sangue sulla croce; dalla testimonianza dello Spirito Santo, che, discendendo sopra gli Apostoli il giorno di Pentecoste, conferma la predizione di Gesù Cristo e quanto egli aveva insegnato sulla propria divinità. Accogliendo la testimonianza di Dio relativamente a Gesù Cristo, abbiam ben di più che la testimonianza degli uomini. Questo celebre passo di S. Giovanni ci suggerisce di parlar della Fede. Essa:

1. Ci fa trionfare delle passioni,

2. C i preserva dall’errore,

3. Ci fa rendere il dovuto omaggio a Dio.

1.

Questa è la vittoria che vince il mondo: la nostra fede. Chi erede che Gesù Cristo è Dio, e vive in conformità di questa credenza, trova la forza necessaria per trionfare del mondo. Le lusinghe, l’esempio del male che dilaga, la concupiscenza esercitano sull’uomo una forza a cui ben difficilmente si resiste con considerazioni umane. Ci vuole una forza superiore, e questa forza è la fede. I due discepoli che il giorno di Pasqua ritornano scoraggiati al castello di Emaus, sono accompagnati, nel cammino, da uno sconosciuto, che spiega loro parecchi luoghi della Sacra Scrittura. Rimasti soli, si dichiarano a vicenda: «Non ci ardeva forse il cuore in petto mentre per istrada ci parlava e ci interpretava le Scritture?» (Luc. XXIV, 32). Quella parola accendeva i loro cuori, perché chi parlava era Gesù. La parola di Dio avvince i cuori con le sublimi verità che rivela, e gli infiamma a compiere con entusiasmo i più grandi sacrifici, con l’assicurazione che non mancherà mai l’aiuto della grazia divina. La fede parla di Dio e dei suoi attributi. Credere che Dio è santo, e illudersi che non abbiano a dispiacergli i peccati, è cosa impossibile. Credere che è sapientissimo, e lusingarsi che gli sfuggano le azioni degli uomini, è inconciliabile. Credere che è giusto, e aspettarsi che non punisca le colpe e non premi la virtù è pretesa assurda. L’uomo che crede con fede viva nella parola di Dio, cerca di conformare a essa la propria vita, e con la grazia che viene da Dio, vi riesce. « I precetti di lui non sono gravosi, — dice l’Evangelista — perché tutto ciò che viene da Dio vince il mondo » (I Giov. V, 3-4). I beni che ci offre il mondo perdono ogni attrattiva quando consideriamo seriamente l’ammonimento di Gesù Cristo: « Che giova mai all’uomo guadagnar tutto il mondo se poi perde l’anima? » (Matt. XVI, 26). Nessuno potrà mai arrivare a contare il numero di coloro, che, meditando questa massima della nostra fede, si son guardati dal commettere ingiustizie a danno degli altri, hanno moderato il loro desiderio di possedere, hanno, magari, rinunciato alle ricchezze, ottenendo una vittoria completa sulla cupidigia dei beni di questa terra, « radice di tutti i mali » (I Tim. VI, 10). Contro chi possiede una fede viva perdono la loro forza anche le minacce del mondo. «Non temete — leggiamo nel Vangelo — coloro che uccidono il corpo e non possono uccider l’anima; temete piuttosto chi può mandare in perdizione all’inferno e l’anima e il corpo» (Matt. X, 28). Queste parole, ricordate nel tempo della prova, producono i forti, che disprezzano qualunque tormento, piuttosto che venir meno alla voce della coscienza. E fanno sorgere i martiri che accettano la morte più straziante, ma non si stancano di dare a Dio l’onore e l’omaggio che gli si deve. « L’operaio è degno della sua mercede » (I Tim. V, 18.). E la fede ci dice che chi lavora nel combattimento contro il mondo avrà la sua mercede. Una gloria, in confronto della quale « le sofferenze del tempo presente non hanno proporzione (Rom. VIII, 18). In vista di questa gloria, chi non è spinto a combattere costantemente il mondo fino alla vittoria, dicendo col Poverello d’Assisi: « Tanto è il bene che m’aspetto che ogni pena mi è diletto »?

2.

E lo Spirito è quello che attesta che Cristo è verità. La testimonianza dello Spirito Santo esclude ogni dubbio, perché è proprio di Lui il dire la verità. E quanto c’insegna la fede è appunto testimonianza dello Spirito Santo. Felice l’uomo che ha la fede, perché egli trova la luce vera fra le tenebre che coprono la faccia della terra. Ci sono delle verità che anche l’intelletto dell’uomo può scoprire: come, l’esistenza di Dio, la sua unità, la sua provvidenza, la spiritualità e immortalità dell’anima, la distinzione tra il bene e il male ecc. Abbandonato però l’uomo alla sola ragione, non può venire alla conoscenza di queste verità e alle conseguenze che ne derivano, senza molta riflessione e ragionamento. Ma la gran massa degli uomini non è portata al ragionamento. Basa le sue convinzioni non sul ragionamento, ma sulla fede. E anche coloro che, dotati di ingegno superiore agli altri, cercano di penetrare le verità naturali, non sempre arrivano a conoscerle come si deve; e, frequentemente, arrivano a conclusioni diverse. Che dire poi se c’entrano le passioni? Quanti errori intorno a Dio e ad altre verità fondamentali, anche tra i popoli più colti, come quelli della Grecia e di Roma! Se conobbero Dio, non ne conobbero bene né la natura né gli attribuiti. Si formarono molti dei, e si crearono degli idoli. Se conobbero Dio non gli prestarono il culto dovuto. Accecati dalla loro superbia, e seguendo le inclinazioni della corrotta natura, precipitarono in errori d’ogni sorta. « S’invanirono nei loro ragionamenti, e fu avvolto di tenebre il loro stolto cuore. Dicendo di essere sapienti divennero stolti, e scambiarono la gloria del Dio incorruttibile con un’immagine, rappresentante l’uomo corruttibile e uccelli e quadrupedi e rettili » (Rom. I, 21-23). Questa constatazione che l’Apostolo fa parlando del mondo greco-romano, ci dice di quanta importanza può essere la rivelazione, anche rispetto a quelle verità, che l’intelletto umano può conoscere da sé. Io mi avvio lungo una strada maestra, al valico d’una catena di monti. Ma le ore passano e il valico è ancor lontano. Quel continuo serpeggiar della strada comincia ad annoiarmi; il continuo salire, per quanto lento, mi fa sudare e mi stanca. Sarei ben felice se una veloce vettura si fermasse al mio fianco, e io fossi invitato a salirvi. In brevissimo tempo, senza sudore e logorio di forze, arriverei alla meta. La fede, anche nel campo delle verità naturali, mi porta con prontezza, senza fatica, là dove con le sole forze della ragione non si potrebbe arrivare che tardi, a stento, e non sempre felicemente. Se poi veniamo a parlare delle verità soprannaturali, come sono i misteri della nostra Religione, sarebbe da insensati pretendere di conoscerle con le forze della nostra ragione. «Non può esserci alcun dubbio che nella cognizione delle cose divine dobbiamo usare dell’insegnamento divino » (S. Ilario: De Trinitate L. 4, 14.). Noi che non conosciamo bene questa terra sulla quale siamo nati, abitiamo, ci nutriamo; che non siamo capaci di contare le arene del mare, né le gocce dell’oceano, né i giorni del mondo, non possiamo pretendere di arrivare con la nostra ragione a penetrare la profondità di Dio, a comprender cose che sono tanto al di sopra di noi, senza esservi guidati dal lume della fede.

3.

Se ammettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio è maggiore. S. Giovanni intende parlare della testimonianza, che le tre Persone della SS. Trinità hanno fatto della divinità di Gesù Cristo; e si può applicare, in generale, a qualsiasi verità da Dio rivelata. Si dice: Chi crede facilmente, è facilmente ingannato. D’accordo; ma quando si crede con la testa nel sacco. Se io credo facilmente a un uomo che è degno di fede, non mi passa neppur per la mente il dubbio di essere ingannato. E questa mia sicurezza non è affatto irragionevole. « L’autorità — osserva S. Agostino — non è destituita di ragione quando si osserva a chi si presta fede » (De Vera Relig. c. 24, 45). È quello che possiamo constatare continuamente. In fatto di scienza, di arte, di cognizioni in genere, noi ci affidiamo alla autorità degli altri, e nessuno per questo ci accusa di essere irragionevoli. Gli ammalati credono alla parola del medico, perché sono persuasi che egli, che ha studio e pratica in proposito, conosce la malattia e i rimedi, e non vuole ingannarli. Gli scolari credono al maestro che ha l’ufficio e l’obbligo di insegnar loro la verità. Lo studioso di geografia conosce il nome dei continenti e dei vari Stati, in cui si dividono, e molto probabilmente in questi luoghi egli non è mai stato. Conosce l’altezza e l’estensione delle più importanti catene di monti, e forse non le ha mai valicate, né viste da lontano. Sa quali sono i fiumi principali, vi dice dove hanno la sorgente e dove la foce, vi annuncia esattamente la lunghezza del loro percorso; eppure non li ha mai visti né misurati. Egli crede a coloro che si occupano di questa materia. Si conoscono tanti fatti della storia antica e moderna; si precisa il tempo e il luogo dove avvennero, il nome delle persone che vi presero parte; eppure questa conoscenza non è diretta. Si crede alla parola di chi ne fu testimonio o agli scrittori che narrarono gli avvenimenti. Se è ragionevole che si creda alla testimonianza dei maestri e degli scrittori, perché li stimiamo seri e degni di fede, è molto più ragionevole che si creda alla testimonianza di Dio il quale, dopo aver parlato ai nostri padri per mezzo dei Profeti, « parlò a noi per mezzo del suo Figliuolo » (Ebr. 1, 2). Sarebbe inesplicabile credere agli uomini, che possono andar soggetti a errori, e non credere a Dio, che non può né errare, né ingannare. « Egli sa tutto lo scibile… annunzia le cose passate e quelle che accadranno, e segue la traccia di quelle occulte » (Eccl. XLII: 19). Se si considera l’indiscussa autorità di Dio, bisogna conchiudere con S. Gregorio Nazianzeno: « Per noi la fede è la perfezione del ragionare » (Or. theol. 3, 21). In fondo, noi rendiamo omaggio all’uomo, quando, sulla sua autorità, crediamo quanto egli dice. E credendo alla parola di Dio, gli rendiamo l’omaggio che ogni uomo è tenuto a rendergli. Per richiamare il popolo d’Israele, ritornato dalla schiavitù, a una vita più fervorosa, il Sacerdote Esdra legge il volume che contiene la parola di Dio. Egli legge in una piazza di Gerusalemme dall’alto di una tribuna. Appena apre il libro tutto il popolo si alza in piedi in segno di rispetto alla parola del Signore, e in piedi e in silenzio ascolta la lunga lettura (2 Esdrea VIII, 2-7). Piace certamente al Signore questo omaggio esterno reso alla sua parola, ma indubbiamente gli piace di più l’omaggio interno, l’omaggio della intelligenza, che gli si rende quando si crede fermamente alle verità da Lui rivelate.

Alleluja

Alleluia, alleluia – Matt XXVIII: 7. In die resurrectiónis meæ, dicit Dóminus, præcédam vos in Galilæam. [Il giorno della mia risurrezione, dice il Signore, mi seguirete in Galilea.]

Joannes XX:26. Post dies octo, jánuis clausis, stetit Jesus in médio discipulórum suórum, et dixit: Pax vobis. Allelúja. [Otto giorni dopo, a porte chiuse, Gesù si fece vedere in mezzo ai suoi discepoli, e disse: pace a voi.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Joannes XX: 19-31.

“In illo témpore: Cum sero esset die illo, una sabbatórum, et fores essent clausæ, ubi erant discípuli congregáti propter metum Judæórum: venit Jesus, et stetit in médio, et dixit eis: Pax vobis. Et cum hoc dixísset, osténdit eis manus et latus. Gavísi sunt ergo discípuli, viso Dómino. Dixit ergo eis íterum: Pax vobis. Sicut misit me Pater, et ego mitto vos. Hæc cum dixísset, insufflávit, et dixit eis: Accípite Spíritum Sanctum: quorum remiseritis peccáta, remittúntur eis; et quorum retinuéritis, reténta sunt. Thomas autem unus ex duódecim, qui dícitur Dídymus, non erat cum eis, quando venit Jesus. Dixérunt ergo ei alii discípuli: Vídimus Dóminum. Ille autem dixit eis: Nisi vídero in mánibus ejus fixúram clavórum, et mittam dígitum meum in locum clavórum, et mittam manum meam in latus ejus, non credam. Et post dies octo, íterum erant discípuli ejus intus, et Thomas cum eis. Venit Jesus, jánuis clausis, et stetit in médio, et dixit: Pax vobis. Deinde dicit Thomæ: Infer dígitum tuum huc et vide manus meas, et affer manum tuam et mitte in latus meum: et noli esse incrédulus, sed fidélis. Respóndit Thomas et dixit ei: Dóminus meus et Deus meus. Dixit ei Jesus: Quia vidísti me, Thoma, credidísti: beáti, qui non vidérunt, et credidérunt. Multa quidem et alia signa fecit Jesus in conspéctu discipulórum suórum, quæ non sunt scripta in libro hoc. Hæc autem scripta sunt, ut credátis, quia Jesus est Christus, Fílius Dei: et ut credéntes vitam habeátis in nómine ejus.” – 

OMELIA II

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE XXII

“In quel tempo giunta la sera di quel giorno, il primo della settimana, ed essendo chiuso le porte, dove erano congregati i discepoli per paura de’ Giudei, venne Gesù, e si stette in mezzo, e disse loro: Pace a voi. E detto questo, mostrò loro le sue mani e il costato. Si rallegrarono pertanto i discepoli al vedere il Signore. Disse loro di nuovo Gesù: Pace a voi: come mandò me il Padre, anch’io mando voi. E detto questo, soffiò sopra di essi, e disse: Ricevete lo Spirito Santo: saran rimessi i peccati a chi li rimetterete, e saran ritenuti a chi li riterrete. Ma Tommaso, uno dei dodici, soprannominato Didimo, non si trovò con essi al venire di Gesù. Gli dissero però gli altri discepoli: Abbiam veduto il Signore. Ma egli disse loro: se non veggo nello mani di lui la fessura de’ chiodi, e non metto il mio dito nel luogo de’ chiodi, e non metto la mia mano nel suo costato, non credo. Otto giorni dopo, di nuovo erano i discepoli in casa, e Tommaso con essi. Viene Gesù, essendo chiuse le porte, e si pose in mezzo, o disse loro: Pace a voi. Quindi dice a Tommaso: Metti qua il dito, e osserva le mani mie, e accosta la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere incredulo, ma fedele. Rispose Tommaso, e dissegli: Signor mio, o Dio mio. Gli disse Gesù: Perché  hai veduto, o Tommaso, hai creduto: beati coloro che non hanno veduto, e hanno creduto. Vi sono anche molti altri segni fatti da Gesù in presenza de’ suoi discepoli, che non sono registrati in questo libro. Questi poi sono stati registrati, affinché crediate che Gesù ò il Cristo Figliuolo di Dio, ed affinché credendo otteniate la vita nel nome di Lui” (Jov. XX, 19-31).

Il Vangelo di questa domenica ci trasporta col pensiero nel Santo cenacolo e ci fa assistere a due importanti apparizioni, fatte da Gesù Cristo ai suoi Apostoli dopo la sua Risurrezione. E in una di esse ci mostra il divin Redentore confermare la missione di coloro che aveva scelti per la predicazione del suo santo Vangelo, e soprattutto affidare loro la podestà ammirabile della remissione dei peccati coll’istituzione solenne del Sacramento della Penitenza. Nella seconda apparizione ci pone innanzi l’amabilissimo Gesù, che rimproverando l’Apostolo S. Tommaso, la prima volta assente, della sua incredulità, fa a lui toccare col dito le sue piaghe e il suo costato aperto, e a tutti fa intendere come siano beati coloro, che credono alle verità della fede, benché non le veggano coi loro occhi materiali e non le comprendano con la loro ragione. Procuriamo pertanto a nostro ammaestramento di penetrare un po’ più a fondo queste verità così importanti.

1. È verità di fede che nella Chiesa vi è la facoltà di rimettere i peccati, e tutti i Cristiani del mondo, non esclusi gli eretici e gli scismatici, recitando il Simbolo degli Apostoli dicono: Credo la remissione dei peccati. Questa remissione o perdono dei peccati si fa per mezzo dei Sacramenti stabiliti da Gesù Cristo, dei quali uno de’ più necessari è appunto il Sacramento della Penitenza. Per mezzo di questo Sacramento ogni volta che una persona, avendo commesso peccati dopo il Battesimo, li confessa, ossia li dichiara ad un Sacerdote legittimo, con pentimento di averli commessi, concepito per motivi di fede, e con proposito di non più commetterli in avvenire, Iddio, per le parole dell’assoluzione dette dal Sacerdote, glieli perdona dal Cielo, le rimette la pena eterna, restituisce i beni perduti, la grazia e l’amicizia sua, le riconsegna il diritto al Regno celeste, se il peccato era mortale, le rende l’anima vieppiù bella e cara agli occhi suoi, e la fa meritevole di un aumento di gloria in Paradiso. Ora, che vi sia nei Sacerdoti cattolici questa facoltà di rimettere i peccati a chi li confessa con le dovute disposizioni, o non potendo, ha tuttavia il desiderio di confessarli, è verità che risulta evidente dal primo tratto del Vangelo di questa mattina. In quel tempo, esso ci dice, giunta la sera di quel giorno, il primo della settimana, (e lo stesso, che quello della sua Risurrezione) essendo chiuse le porte, dove erano congregati i discepoli per paura dei Giudei, venne Gesù, e si stette in mezzo, e disse loro: Pace a voi. E detto questo, mostrò loro le sue mani e il costato. Si rallegrarono pertanto i discepoli al vedere il Signore. Disse loro di nuovo Gesù: Pace a voi: come il Padre mandò me, anch’io mando voi. E detto questo, soffiò sopra di essi, e disse: Ricevete lo Spirito Santo: saran rimessi i peccati a chi li rimetterete, e saran ritenuti a chi li riterrete. Poteva pertanto nostro Signore istituire in un modo più solenne e con termini più chiari il Sacramento delle sue misericordie? Ma qui è d’uopo osservare che con le citate parole Nostro Signor Gesù Cristo dà agli Apostoli un doppio potere, il potere cioè di rimettere e di ritenere, di perdonare e di non perdonare, di assolvere e di non assolvere. Quindi ne viene per legittima conseguenza l’obbligo imposto ai peccatori di confessare, ossia di manifestare le loro colpe, affinché il Sacerdote o confessore possa sapere quale delle due facoltà debba usare, se debba cioè pronunziare una sentenza di assoluzione, oppure di condanna. Al Sacerdote non è permesso di rimettere o non rimettere i peccati a capriccio, ma deve ciò fare con tutta ragionevolezza, come ministro di Dio e fedele dispensatore de’ suoi doni. Il confessore deve fare come un giudice, che condanna od assolve, ingiunge una pena grave o leggiera o non ne ingiunge alcuna, secondo che il reo dal processo risulta più o meno colpevole, oppure innocente. Né ciò egli può fare, se il reo o penitente medesimo non gli svela le proprie colpe. Le parole adunque, con le quali Gesù Cristo ha istituito il Sacramento della penitenza, sono pur quelle, con cui implicitamente ha istituita ed ordinata la Confessione propriamente detta, ossia manifestazione delle colpe al confessore. Ora chi non sa quanti Cristiani e quanti giovani sciagurati, i quali amando vivere in peccato, epperò rifuggendo del continuo dal Sacramento della Penitenza, per scusarsi della loro perversità vanno dicendo e ridicendo, insieme coi protestanti, che la Confessione è una invenzione degli uomini, dei Sacerdoti, e non è opera di Dio? Insensati ed infelici che essi sono! Insensati anzitutto, perché come mai dinnanzi a questa pagina di Vangelo, osano essi negare la Divina istituzione di questo Sacramento della Penitenza e della conseguente confessione delle proprie colpe ai Sacerdoti, successori agli Apostoli? Inoltre infelici, perché rigettando questo Sacramento non si privano forse di uno dei più grandi benefici di nostra santa fede? Noi pertanto guardiamoci bene dal dubitare di questa gran verità. E se alle volte ci assalisse intorno ad essa qualche dubbio, ricerchiamo tosto le sue origini; ed allora riconoscendo che un tal dubbio non nascerebbe d’altronde che dalla malvagità della vita, e dall’orribile brama di peccare senza freno, nel discoprire origini per lo meno così sospette, raffermiamoci mai sempre nel credere che la Confessione non è, non può essere opera degli uomini, ma che è veramente opera di Dio.

2. Prosegue il Santo Vangelo notando come a questa prima apparizione di Gesù a tutti gli Apostoli Tommaso, uno dei dodici, soprannominato Didimo, non si trovò con essi. Però gli altri discepoli gli dissero: Abbiam veduto il Signore. Ma egli rispose loro: Se non veggo nelle mani di lui la fessura dei chiodi, e non metto il mio dito nel luogo di essi, e non metto la mia mano nel suo costato, non credo. Così questo Apostolo si rifiutò di credere alla testimonianza di tutti gli altri Apostoli. E non pare inesplicabile questa sua incredulità? Tuttavia è assai più inesplicabile la incredulità di certi Cristiani e di certi giovani, i quali, col non voler credere alle verità della fede od anche solo col dubitarne, si rifiutano in realtà di credere non agli uomini, ma a Dio stesso. Ed in vero, poiché la nostra Religione è soprannaturale e divina, contiene perciò certe verità così sublimi e così misteriose, che nella vita presente non è dato all’uomo di comprenderne altro che una piccolissima parte. Il che tuttavia non ci dovrebbe meravigliare, poiché negli stessi oggetti materiali, che cadono sotto i nostri occhi, come le erbe, le piante, il fuoco, la struttura del corpo umano, scorgiamo molte cose di cui conosciamo bensì l’esistenza, ma delle quali non sappiamo darci ragione che in modo assai imperfetto. Onde se siamo costretti di ammettere segreti nelle cose materiali, che cadono sotto ai sensi, assai più dobbiamo ammetterli nelle cose spirituali. Con tutto ciò l’atto con cui l’uomo piega la sua volontà a credere, atto che chiamasi fede, è basato forse sopra un’autorità fallibile ed ingannatrice? Tutt’altro. Questa fede non è appoggiata sopra l’autorità degli uomini, che possono cadere in errore, ma sopra la parola di Dio, che è eterna, immutabile e che non può mai variare in cosa alcuna. Perciò a chiunque ci interrogasse del perché crediamo ai misteri di nostra santa Religione potremmo dare la risposta, che un bambino Cristiano diede ad un tiranno persecutore. S. Romano quando era condotto al martirio, vedendo la durezza del tiranno Asclepiade, volle provare di ammonirlo con un miracolo. Voltosi ad Asclepiade, gli disse: Se non credi a me, interroga quel bambino che tu vedi tra le braccia di sua madre, e dalla sua innocente bocca udrai confermato quanto ti ho predicato e ti predico intorno alla mia Religione. Il prefetto rimirò il bambino e persuaso che per l’età sua fosse incapace di articolare parola, dissegli per ischerzo: Sai tu dirmi chi sia il Cristo che i Cristiani adorano! Allora il bimbo snodò la lingua e alzando francamente la voce, forte gridò: Gesù Cristo, adorato dai Cristiani, è il vero Dio. – Chi ti disse questo? ripigliò Asclepiade. – L’altro replicò: Lo disse mia madre, la Chiesa. E chi lo disse a tua madre? ripigliò il prefetto meravigliato. – A mia madre lo disse Iddio. Ecco, alla nostra madre, la Chiesa, è Iddio stesso che ha rivelate le verità che la Chiesa ci propone a credere, sicché credendo alla Chiesa, noi crediamo a Dio stesso. Or bene, quale atto più grande, più nobile, e più doveroso ad un tempo noi possiamo fare, che credere a Dio? Eppure vi hanno tra gli uomini, di coloro i quali nel credere, che essi fanno, a tante cose, stanno a quel che ne dicono gli uomini e si fidano interamente della loro testimonianza, e poi non vogliono credere alle verità che Iddio medesimo ci ha insegnato e non si fidano della più splendida testimonianza che Egli stesso ha reso alle verità di ciò che si è degnato di insegnarci, e gridano: I dogmi della fede Cattolica, che vanno predicando il Papa, i Vescovi e i preti sono tutte storie, tutte favole. E perché? Perché appunto nelle verità, che loro vengono proposte a credere dalla fede cattolica, vi hanno cose che non possono vedere coi loro occhi materiali e neppure con quelli della loro ragione. E non è questo il massimo dell’orgoglio? Dal momento che le verità a cui bisogna credere sono state da Dio stesso rivelate, perché rifiutarsi di credere ed insultare ancora a coloro che credono? Ah! essi dicono che non vogliono per tal modo fare il sacrificio della loro dignità e della loro libertà! Graziosi davvero! Costoro, i quali per non avvilirsi e per non perdere la libertà non vogliono credere a Dio, si abbassano poi e si rendono miserabili schiavi di un uomo, di un romanzo e di un giornale. Perché, domandate pure a tutti cotesti liberi pensatori come la pensano, ed essi, se vogliono rispondervi il vero, vi dovranno confessare che la pensano come il loro maestro, come il romanzo, come il giornale che leggono: a questi essi credono ciecamente senza esibizione di prova e ci credono solo perché il maestro, il romanzo ed il giornale non sono di spirito Cristiano Cattolico. E si vantano liberi pensatori? Né liberi, né pensatori. Essi, come bambini contraddetti, battono i piedi per terra gridando: siamo liberi, siamo liberi: Ah! Ah! è il colmo della schiavitù. Del resto sapete che cosa vuol propriamente dire quel: « Non vogliamo credere se non quello che vediamo?» Vuol dire precisamente: «Non vogliamo fare quello che le verità, alle quali dovremmo credere, ci impongono di fare ». Le verità cattoliche non sono soltanto verità speculative, ma sono essenzialmente pratiche; non si impongono solamente all’intelligenza, ma eziandio alla volontà, affinché si applichi al bene e detesti il male. Ed è ciò appunto che non vogliono fare quei che si professano liberi pensatori. Il famoso calvinista Teodoro Beza dal dolcissimo S. Francesco di Sales convinto della verità ed invitato ad abbracciarla, rispondeva: Non posso. Ma il suo non posso non era altro che un non voglio abbandonare la donna, con la quale era malamente unito. Credetemi: Se questa innocentissima verità « due più due fanno quattro » domani avesse il potere di colpire le passioni dell’uomo, l’orgoglio, l’impudicizia, l’amor del danaro ed obbligare l’uomo a vivere dabbene, io vi assicuro che tutti costoro, che si rifiutano di credere alle verità cattoliche, salterebbero su a gridare: Come? due più due fanno quattro? È impossibile! È un assurdo! Sono i preti, che l’hanno inventato. È una nuova tirannide. Ma ritorniamo al Santo Vangelo.

3. Otto giorni dopo (la sovraddetta apparizione), di nuovo erano i discepoli in casa, e Tommaso con essi. Viene Gesù, essendo chiuse le porte, e si pone in mezzo, e disse loro: Pace a voi. Quindi dice a Tommaso : Metti qua il dito, e osserva le mani mie, e accosta la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere incredulo, ma fedele. Tommaso rispose, e dissegli: Signor mio, e Dio mio. E Gesù soggiunse: Perché hai veduto, o Tommaso, hai creduto: beati coloro, che non hanno veduto, e hanno creduto. Così racconta il santo Vangelo avere operato Gesù con Tommaso incredulo. Conchiude poi dicendo: Vi sono anche molti altri segni fatti da Gesù in presenza de1 suoi discepoli, che non sono registrati in questo libro. Questi poi sono stati registrati, affinché crediate che Gesù è il Cristo Figliuolo di Dio, e affinché credendo otteniate la vita nel nome di Lui. Dal che oh! quanto chiaramente si rileva l’importanza della fede! La si rileva anzi tutto dalla condotta di Gesù Cristo con S.Tommaso. Imperciocché, come nota S. Gregorio, non fu a caso l’incredulità di questo Apostolo. Iddio nella sua provvidenza e bontà la permise, affinché dubitando egli, mentre nel suo Maestro toccava le ferite della carne, sanasse in noi le ferite della incredulità nostra. Sicché a noi riuscì di maggior vantaggio l’incredulità di Tommaso, che la fede degli altri Apostoli credenti; perché mentre quegli fu indotto a credere col toccare, la mente nostra, lasciato ogni dubbio, vien rassodata nella fede. La si rileva in secondo luogo dalle parole dette da Gesù Cristo allo stesso S. Tommaso: Perché hai veduto, hai creduto; ma beati coloro, che non hanno veduto ed hanno creduto. E finalmente dalla conclusione, che qui fa l’Evangelista S. Giovanni: Questi miracoli sono qui registrati, perché crediate. Riconoscendo adunque l’importanza di questa virtù, raffermiamoci mai sempre in essa. Sì, crediamo, e crediamo fermamente. Non ammettiamo mai nella nostra mente esitazioni, incertezze, dubbi di sorta. E se talvolta ne siamo all’improvviso sorpresi, cacciamoli tosto, disprezziamoli, non diamo loro importanza, dicendo tosto a noi medesimi: Come vorresti dubitare di ciò che hanno creduto tanti dotti, tanti scienziati, tanti Santi? di ciò che tutti i Dottori e tanti Padri della Chiesa hanno minutamente studiato, esaminato, discusso e trovato vero? di ciò che diciotto milioni di martiri hanno confessato col loro sangue, versato fra i più atroci tormenti? Che tutti costoro si siano ingannati? Che tu, tu la pensi giusta? Ah! Ah! Follia! Signore, credo, fermamente credo, a tutte le verità che vi siete degnato di rivelarci e che per mezzo della Santa Chiesa ci insegnate: Credo, Domine; adiuva incredulitatem meam (Marc. IX, 23). Inoltre crediamo interamente, vale a dire senza escludere alcuna delle verità che la Chiesa ci propone a credere. Tutte le verità della fede sono da Dio rivelate; quindi chi nega di credere un solo articolo di fede nega pur sempre di credere a Dio medesimo. Inoltre gli articoli di fede sono tutti legati insieme e formano una catena che lega la ragione con la rivelazione, e vengono a costituire una scala, per cui l’uomo monta fino a Dio. Ma rotto un anello della catena o spezzato un gradino di questa scala è rotta ogni relazione con Dio. Che varrebbe adunque dire di credere alla Chiesa, al Papa che è il Vicario di Gesù Cristo, se poi se ne disprezzassero gli insegnamenti? Parliamo chiaro: o tutti gli articoli di nostra fede o nessuno; perché il negarne un solo è negarli tutti. Pertanto, o miei cari, abborrite dalla compagnia di coloro, i quali, sebbene si professino Cristiani, tuttavia vanno dicendo di non poter credere o al Purgatorio, o alla grandezza e santità di Maria Vergine, od all’infallibilità del Sommo Pontefice. Tutti costoro non sono veri Cristiani, ma purtroppo eretici e scismatici, perché professano non già la fede di Gesù Cristo, ma l’errore, e sono perciò membri staccati dalla vera Chiesa. Finalmente la nostra fede sia congiunta con le opere. Gesù Cristo lo ha detto chiaro: Non tutti quelli che dicono: « Signore, Signore, entreranno nel regno dei cieli, ma tutti quelli che faranno la volontà del mio divin Padre », vale a dire tutti coloro che accompagneranno la loro fede in Dio con le buone opere nell’osservanza della sua santa legge. E S. Giacomo ha soggiunto che la fede senza delle opere è morta. Quindi S. Gregorio conchiudendo il suo commento al fatto dell’odierno Vangelo, ben giustamente dice: Oh quanto ci rallegra la sentenza di Gesù Cristo: Beati qui non viderunt et crediderunt: beati quelli che non videro e pur credettero; perciocché in questa sentenza veniamo indicati noi, che, pur non vedendo con gli occhi della nostra carne, crediamo con quelli della nostra mente. Ma veniamo indicati noi, se alla fede nostra facciamo tener dietro le opere. Perciocché colui veramente crede, che esercita con le opere quel che crede. Facciamo adunque, o carissimi, di meritarci con esattezza l’elogio che Gesù Cristo, risorto, ha fatto oggi dei veri credenti, col credere fermamente, interamente ed operosamente, ed allora un giorno, oltre all’elogio della fede nostra, avremo anche il premio.

Credo

Offertorium

V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo. Orémus Matt XXVIII:2; XXVIII:5-6. Angelus Dómini descéndit de coelo, et dixit muliéribus: Quem quaeritis, surréxit, sicut dixit, allelúja. [Un Angelo del Signore discese dal cielo e disse alle donne: Quegli che voi cercate è risuscitato come aveva detto, alleluia.]

Secreta

Suscipe múnera, Dómine, quaesumus, exsultántis Ecclésiæ: et, cui causam tanti gáudii præstitísti, perpétuæ fructum concéde lætítiæ.

[Signore, ricevi i doni della Chiesa esultante; e, a chi hai dato causa di tanta gioia, concedi il frutto di eterna letizia.]

Communio

[Joannes XX: 27] Mitte manum tuam, et cognósce loca clavórum, allelúja: et noli esse incrédulus, sed fidélis, allelúja, allelúja.

[Metti la tua mano, e riconosci il posto dei chiodi, alleluia; e non essere incredulo, ma fedele, alleluia, alleluia.]

Postcommunio

Orémus.

 Quæsumus, Dómine, Deus noster: ut sacrosáncta mystéria, quæ pro reparatiónis nostræ munímine contulísti; et præsens nobis remédium esse fácias et futúrum. Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.