IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE (8)

IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE (8)

[P. Lorenzo SCUPOLI, presso G. A. Pezzana, Venezia – 1767)

Che dovendosi sempre continuare nell’esercizio della virtù, non si debbono fuggire le occasioni che per acquistarle ci si presentano.

CAP. XXXVII

Abbiamo veduto assai chiaramente, che nel viaggio che tende alla perfezione, ci conviene camminare sempre avanti, senza fermarci. Per far questo, stiamo bene avvertiti e vigilanti a non lasciarci uscire dalle mani qualunque occasione, che per acquistar le virtù, ci si presenta. Onde male l’intendono  quelli, che si allontanano quanto possono dalle cose contrarie, che a questo effetto potrebbero servire. Che se desideri (per non partirmi dal solito esempio) acquistare l’abito della pazienza, è bene che ti ritiri da quelle persone, azioni, e pensieri che ti muovono all’impazienza. E perciò non hai da toglierti da alcune pratiche, perché ti siano moleste, ma conversando, e trattando con qual si sia, che ti apporti noia, tieni sempre disposta, e pronta la volontà per tollerare qualunque cosa rincrescevole e di disgusto, che te ne possa venire, perché altrimenti facendo, non ti avvezzerai mai alla pazienza. – Così parimente se una operazione ti reca fastidio, o per se stessa o per chi te l’ha imporra, o perché ti svia dal far altro che più ti aggradirebbe, non restare perciò d’imprenderla e continuarla, ancorché te ne sentissi inquieta, e lasciandola te ne potessi trovare quiete, perciocché così non impareresti mai a patire, e la tua sarebbe vera quiete non producendo da animo purgato da passione ed ornato di virtù. Il medesimo ti dico dei pensieri, che alcuna volta travagliano e disturbano la tua mente, perché non hai da scacciarli in tutto da te, poiché con la pena che ti danno, ti vengono insieme a servire per assuefarti alla tolleranza delle cose contrarie.- E chi altrimenti ti dice, piuttosto ti insegna a fuggire il travaglio che ne senti, che a conseguire la virtù che desideri. È ben vero che conviene, massimamente al novello soldato, traccheggiare e schermirti nelle dette occasioni con avvertenza e destrezza, ora affrontandole, ora scansandole, secondo che più o meno va acquistando virtù e forza di spirito. Ma non si deve però mai in tutto voltare le spalle e ritirarsi di maniera, che affatto che ne lasci addietro ogni occasione dì contrarietà, perché se per allora ci salvassimo dal pericolo di cadere, staremmo per l’avvenire con maggior rischio esposti ai colpi dell’impazienza non essendosi prima armati e fatti forti con l’uso della virtù contraria. Questi ricordi però non hanno luogo nel vizio della carne, di che abbiamo già trattato particolarmente.

Che si debbono avere care tutte leoccasioni di combattere per l’acquisto delle virtù, e più quelle che portano più difficoltà.

CAP. XXXVIII

Non mi contento figliuola, che tu non schivi l’occasioni che ti si fanno incontro per l’acquisto delle virtù, ma voglio che, come cosa di gran valore e stima, siano alcuna volta da te cercate ed abbracciate sempre lietamente subito che compariscono, e quelle che tu reputi più preziose e care, e che al tuo senso sono più dispiacevoli. Questo ti verrà fatto col divino aiuto, se ti imprimerai bene nella mente le seguenti considerazioni. L’una è che l’occasioni sono proporzionati, anzi necessari per acquistar le virtù. Onde quando tu domandi quelle al Signore, conseguentemente domandi quelli ancora: altrimenti la tua orazione sarebbe vana, e verresti a contraddire a te stessa, ed a tentare Dio, poiché Egli ordinariamente non dà la pazienza senza le tribolazioni, né senza dispregi di umiltà. E così di tutte le altre virtù dire si puote, le quali non vi è dubbio che si conseguano col mezzo degli avvenimenti contrari che ci portano tanto maggior aiuto per questo effetto, che ci hanno da essere perciò tanto più cari e graditi, quanto sono più travagliosi; perché gli atti che noi facciamo in casi tali, sono più generosi e forti, e più agevolmente e più presto ci aprono la strada alla virtù. Sono però da stimare e da non lasciare senza il suo esercizio, anco le minime occasioni, come di uno sguardo, o parola contro la nostra volontà, poiché gli atti che vi si fanno, sono più frequenti, benché manco intesi, che quelli che sono da noi prodotti nelle difficoltà importanti. – L’altra considerazione (che ho anco toccato di sopra) si è che tutte le cose, che ci occorrono, venga da Dio per nostro benefizio e perché noi ne caviamo frutto. E quantunque di queste, alcune, che sono nostri mancamenti, o d’altri (come pure dicemmo in altro luogo) non si può dire che siano da Dio, che non vuole il peccato, sono però da Dio in quanto Egli le permette, e potendo impedirle, non le impedisce; ma tutte le afflizioni e pene che ci avvengono, o per nostri difetti, o per malignità d’altri, sono e da Dio, e di Dio, poiché Egli in queste  concorre, e ciò che non vorrebbe, che si facesse, perché contiene deformità odiosa sopra modo ai suoi  purissimi occhi, vuole che si patisca per quel bene di virtù, che noi trarre ne possiamo, e per altre giuste cagioni a noi occulte. Laonde essendo noi più che certi che vuole il Signore, che sosteniamo volentieri qualunque molestia ci venga dalle altrui, o anco dalle ingiuste operazioni, il dire (per una cosi fatta scusa della loro impazienza dicono molti) che non vuole, anzi abborrisce le cose mal fatte, non è altro che con un vano preteso coprire la propria colpa, e rifiutare la Croce che non possiamo negare, che gli piace che noi portiamo. Anzi dico di più, che pareggiato il resto, il Signore ama più in noi la tolleranza di quelle pene, che derivano  dall’iniquità degli uomini (massimamente se sono stati prima serviti e beneficati) che le molestie che procedono da altri travagliosi accidenti, sì perché ordinariamente più in quelle che in questi la superba natura si reprime, sì ancora perché soffrendole noi volentieri, veniamo a contentare ed esaltare sopra modo il nostro Dio cooperando con Lui in cosa dove riluce sommamente la sua ineffabile bontà ed onnipotenza, che è dal veleno pestifero della malizia, e del peccato cavare prezioso, e saporito frutto di virtù e di bene. – Perciò sappi, figliuola, che non sì tosto scopre il Signore in noi vivo desiderio di farla da vero e di attendere, come si deve a sì glorioso acquisto, che Egli ci apparecchia il calice delle più forti tentazioni, ed occasioni più dure che siano, perché lo prendiamo a suo tempo, e noi come riconoscitori dell’amor suo, e del proprio nostro bene, dobbiamo a chiusi occhi riceverlo volentieri, e fino al fondo scoperto beverlo tutto sicuramente e prontamente, poiché è medicina composta da mano che non può errare, d’ingredienti, tanto più giovevoli all’anima, quanto in se stessi sono più amari.

Come di diverse occasioni dobbiamo valerci per esercizio di una stessa virtù.

CAP. XXXIX

Si è veduto di sopra, come per qualche tempo sia più fruttuoso l’esercizio d’una sola virtù, che di molte insieme, e che secondo quella, si hanno da regolare le occasioni che s’incontrano, benché fra loro diverse. Ora attendi, come ciò si possa eseguire assai facilmente. – Occorrerà in un istesso giorno ed anco in un’istessa ora, che siamo ripresi di un’azione, che però sia buona, o che per altro si mormori di noi; che ci sia duramente negata alcuna grazia da noi richiesta, o qualsivoglia ben piccola coserella che sia sospettato male di noi senza cagione che ci sopravvenga alcun corporale dolore, che ci sia imposto alcun affaretto noioso, che ci sia portata una vivanda mal condita , o altre cose più importanti e dure a tollerare ci avvengano, delle quali è piena la miserabile umana vita. Nella varietà di quelli, o simili accidenti, ancora che si possano produrre diversi atti di virtù, nondimeno volendo tenere la mostrata regola, ci andremo esercitando con atti conformi tutti alla virtù che allora avremo alle mani, come per esempio. Se nel tempo, che verranno le dette occasioni ci eserciteremo nella pazienza, produrremo atti di sopportarle tutte volentieri e con allegrezza di animo. Se il nostro esercizio sarà d’umiltà, ci conosceremo in tutte quelle contrarietà di ogni male degni. – Se d’ubbidienza, ci sottoporremo prontamente alla mano potentissima di Dio, e per suo contento (poiché Egli così vuole) alle creature ragionevoli, ed anche inanimate, dalle quali ci vengono questi disgusti. Se di povertà, ci contenteremo d’essere spogliati e privi d’ogni consolazione, grande o piccola di questo mondo. Se di carità, produrremo atti di amore, e verso il prossimo nostro, come strumento del bene che possiamo acquistare, e verso il Signore Dio, come principale ed amorosa cagione da cui procedono, o sono permessi quegli incomodi per nostro esercizio e spirituale profitto. E da questo, che diciamo intorno ai diversi accidenti, che possono avvenire per ciascun giorno, si comprende insieme, come in una sola occasione d’infermità o d’altro travaglio, che continuasse lungamente, possiamo andar facendo atti di quella virtù, in cui allora ci esercitiamo.

Del tempo, che si ha da porre nell’esercizio di ciascuna virtù, e dei segni del nostro profitto.

CAP. XL

Quanto al tempo, nel quale si abbia da continuare nell’esercizio di ciascuna virtù, a me non sta a determinarlo: poiché ciò si ha da regolare dallo stato e bisogno dei particolari, dal progresso che si va facendo nella via dello spirito, e dal giudizio di chi per quella ci guida. Ma se con quei modi e sollecitudini, che detto abbiamo, vi si attendesse davvero, non è dubbio che in non molte settimane si profitterebbe più che molto. Segno d’aver fatto profitto nella virtù è, quando nell’aridità, e fra le tenebre ed angustie dell’anima, e la sottrazione dei gusti spirituali, saldamente si va continuando nei virtuosi esercizi. Di ciò ne darà anco assai chiaro indizio il contrasto, che nel produrre gli atti della virtù, farà la sensualità; ché quanto questa andrà perdendo di forze, tanto in quella sarà da stimare l’avere avanzato. Onde non sentendosi contraddizione e ribellione nella parte sensuale ed inferiore, massimamente fra gli assalti subiti ed improvvisi, sarà quello segno d’avere già conseguita la virtù. – E quanto più gli atti nostri saranno accompagnati da maggiore prontezza ed allegrezza di spirito, tanto più potremo pensare d’avere profittato in questo esercizio. Si avverta però, che non dobbiamo mai darci ad intendere come per cosa certa di essere possessori delle virtù, e vittoriosi affatto di alcuna nostra passione, ancora che dopo molto tempo, e molte battaglie non avessimo sentito i moti suoi, che qui può ancora avere luogo l’astuzia ed operazione del demonio, ed ingannevole nostra natura, onde alle volte quello è vizio, che per occulta superbia pare virtù. Oltre che, se miriamo alla perfezione alla quale ci chiama Iddio, per molto cammino che avessimo fatto nella via delle virtù, non avremmo da persuaderci d’essere pure entrati nei suoi primi confini. – Perciò tu, come novella guerriera, e quasi bambina pure allora nata per combattere, ripiglia sempre, come da principio, i tuoi esercizi quasi che nulla addietro avessi operato. – E ti ricordo figliuola, che tu attenda piuttosto a camminare avanti nelle virtù, che a fare scrutinio del proprio profitto, perché il Signore Iddio, vero e solo scrutatore dei nostri cuori, ad alcuni ciò fa conoscere, ad alcuni no, secondo che vede che a tale cognizione sia per seguirne o umiliazione, o superbia, e come Padre amorevole agli uni leva il pericolo, e agli altri porge occasione d’accrescimento di virtù. E perciò, ancorché l’anima non si avveda del suo progresso, seguiti pure negli esercizi suoi, che lo vedrà, quando piacerà al Signore, che per maggior suo bene lo veda.

Che non dobbiamo lasciarci prendere la voglia d’esser liberi dai travagli, che sostentiamo pazientemente, e del modo dì regolare  tutti i nostri desideri,acciò siano virtuosi.

CAP. XLI

Quando tu ti ritrovi in qualunque cosa penosa, che sia, e la sostieni con animo paziente, sta avvertita di non lasciarti mai persuadere dal demonio, e dal tuo proprio amore di desiderarne la liberazione, perché da ciò ti verrebbero due principali danni. L’uno è, che se questo desiderio non ti togliesse per allora la virtù della pazienza, almeno a poco a poco ci anderebbe disponendo all’impazienza. – L’altro è che la tua pazienza si renderebbe difettosa, e sarebbe ricompensata da Dio solamente per quello spazio di tempo che tu patissi, laddove se non averli desiderato la liberazione, ma del tutto ti fossi rimessa alla sua divina bontà, benché in effetto il tuo patire fosse stato di un’ora sola, ed anche meno, il Signore l’avrebbe riconosciuto per servigio di lunghissimo tempo. Perlochè in quella e in tutte le cose, abbi per regola universale, di tenere i tuoi desideri così lontani da ogni altro oggetto, che mirino puramente e semplicemente nel suo vero ed unico scopo, ch’è il volere di Dio, che di questo modo saranno giusti e retti, e tu in qualunque contrario avvenimento, starai non pure quieta, ma contenta, poiché non potendo occorrere alcuna cosa senza la superna volontà, volendo tu quella, verrai a volere  insieme e avere tutto ciò che desideri e succede in ogni tempo. – Questo, che non s’intende nei peccati d’altri, o tuoi, poiché Dio non li vuole, ha luogo in ogni male di pena, che da quelli, o d’altronde ne venisse, quantanque ella fosse tanto violenta e penetrasse così dentro che, toccando il fondo del cuore, andasse seccando le radici della vita naturale, che questa è pure croce con cui piace a Dio di favorire talora i suoi amici più intimi e cari. – E ciò ch’io dico della sofferenza che hai d’avere in ogni caso, intendilo, quanto a quella parte di ciascun travaglio, che ne rimane, ed è di contento al Signore, che sosteniamo, dopo che faranno stati da noi usati i leciti mezzi per liberarcene. E questi pur anche si debbono regolare dalla disposizione e volontà di Dio che li ha ordinati, alfine che ce ne serviamo, perché Egli così vuole e non con l’attacco di noi stessi, né perchè amiamo e desideriamo la liberazione delle cose moleste, più di quello appunto, che è di suo servizio e piacimento.

Del modo di opporsi al demonio mentre cerca d’ingannarci conla indiscrezione.

CAP. XLII

Quando il sagace demonio si avvede che, con vivi e ben ordinati desideri, camminiamo dirittamente per la via delle virtù, onde con aperti inganni non può tirarci dalla sua si trasfigura in Angelo di luce, e con amichevoli pensieri e sentenze della Scrittura, ed esempi dei Santi, importunamente ci sollecita a camminare indiscretamente nel colmo della perfezione, per farne poi cadere in precipizio. Onde ci conforta a castigare aspramente il corpo con discipline, astinenze, cilici, ed altre somiglianti afflizioni, acciocché, o insuperbiamo, parendoci (come alle donne particolarmente occorre) di fare cose grandi, o perché sopravvenendoci qualche infermità, diventiamo inabili all’opere buone, oppure alfine, che per troppa fatica e pena ci vengano a noia ed abborrimento gli esercizi spirituali, e così a poco a poco, intiepiditi nel bene, con maggior avidità che prima, ci diamo poi in preda ai terreni diletti e passatempi, il che è avvenuto a molti che, seguendo con presunzione di spirito l’impeto di un indiscreto zelo, trapassata con immoderati patimenti esteriori la misura della propria virtù, sono periti nelle loro invenzioni, e fatti in derisione ai maligni demoni. Il che non sarebbe loro succeduto se avessero bene considerate le cose dette, e che a quella forte di atti penosi, ancorché siano lodevoli ed apportino frutto, dove siano forze corporali ed umiltà di spirito corrispondenti, sia però bisogno di temperamento conforme alla qualità e natura di ciascuno. Ed a chi non può in quest’asprezza di vita travagliare con i Santi, non mancano altre occasioni, per imitare la vita loro con grandi ed efficaci desideri ed orazioni ferventi, aspirando alle più gloriose corone dei veri combattenti per Gesù Cristo, col dispregiare il mondo tutto, e se stesso ancora: col darsi al silenzio ed alla solitudine, coll’essere umile, e mansueti con tutti, col patire male, e far bene a chiunque gli è più contrario, e col guardarsi da ogni colpa, anche leggiera, che è cosa più grata a Dio, che non sono gli esercizi afflittivi del corpo, nei quali io do a te per consiglio d’esser piuttosto discretamente parca, per poterli accrescere bisognando, che con  certi eccessi porti a rischio di ridurti a termine di lasciarli: perché già io mi persuado, che tu non sia per inciampare nell’errore di alcuni, per altro tenuti Spirituali, che allettati ed ingannati dalla lusinghevole natura, sono troppo diligenti nel conservarle la loro salute corporale. E se ne mostrano tanto gelosi e ansiosi, che per un minimo che, stanno tempre in dubbio, ed in timore di perderla. E non è cosa, di che pensino più, e trattino più volentieri, che del governo in questa parte della vita loro: onde attendono di continuo a procurare cibi conformi più al gusto, che allo stomaco loro, il quale molte volte per soverchia delicatezza si viene ad infiacchire, il che mentre si fa sotto pretesto di poter meglio servire a Dio, non è altro che volere accordare insieme, senza prò niuno, anzi con danno dell’uno e dell’altro, due capitali nemici  che sono spirito e corpo, poiché con sì fatta sollecitudine a questo della sanità, e da quello si toglie della devozione. E perciò è più sicuro e giovevole per ogni rispetto, un certo modo di viver libero, non scompagnato però da quella discrezione che ho detto, avendo riguardo a diverse condizioni e complessioni, che tutte non soggiacciono ad una stessa regola. – Ed aggiunge che non pure nelle cose esteriori, ma anco nell’acquistare le virtù interiori, dobbiamo proceder con gualche moderazione, come si è dimostrato di sopra nell’acquisto delle virtù a grado a grado.

Quanto possa in noi la mala nostra inclinazione, e l’istigazione del demonio per indurci a giudicare temerariamente il prossimo, e del modo di far loro resistenza.

CAP. XLIII

Dal sopraddetto vizio della propria stima e riputazione, un altro ne nasce, che ci porta gravissimo danno, ed è il temerario giudizio, che facciamo deu prossimi nostri, onde veniamo a tenerli a vile, dispregiarli, ed abbassarli. Il qual difetto, siccome ha il suo nascimento dalla mala inclinazione e superbia: cosi è da lei fomentato, e nutrito volentieri, perché con essi insieme essa ancora si va aumentando, compiacendo, ed ingannando insensibilmente, poiché senza avvedercene, tanto più ci presumiamo d’innalzare noi stessi quanto più nell’opinione nostra, deprimiamo gli altri, parendoci di essere lontani da quelle imperfezioni che in essi ci diamo a credere, che siano. – Ed il sagace demonio, che scorge in noi cosi fatta pessima disposizione d’animo, di continuo stavigilante per aprirci gli occhi e tenerci svegliati, per vedere, esaminare ed ingrandire gli altrui mancamenti. Non si crede, non si conosce dalli trascurati, quanto egli si adopera, e studia per imprimere nelle nostre menti i piccioli difetti, non potendo i grandi, di questo e di quello. Però s’egli vigila ai tuoi danni, sia desta tu ancora, per non cadere nei lacci suoi, e subito, ch’egli ti appresenta davanti alcun fallo del prossimo tuo, prestamente ritira da quello il pensiero, e se pure ti senti muovere a farne giudizio, non ti lasciar condurre, e considera che a te non è stata data questa facoltà, il che, quando anco fosse, non ne potresti pur fare giudizio retto, trovandoti attorniata da mille passioni e purtroppo inchinata a pensar male, senza giusta cagione. – Ma per efficace rimedio di ciò, ti ricordo, che stia occupata con il pensiero nei bisogni del tuo cuore, che ogni ora più ti andrai avvedendo d’avere tanto da fare, e travagliare in te e per te, che non ti avanzerà tempo, né voglia di badare ai fatti altrui. Oltre, che attendendo a tal esercizio nel modo, che si conviene, verrai sempre più a purgare il tuo occhio interiore da quei mali amori onde procede questo pestifero vizio. – E sappi, che quando sinistramente pensi alcun male del fratello, qualche radice dell’istesso male è nel tuo cuore, il quale, secondo che si trova mal disposto, così riceva in sé ogni simile affetto che gli si fa incontro. Però quando ti cade in animo di giudicare altri di qualche difetto, sdegnata contro di te, come di quell’istesso colpevole, dirai nell’animo tuo, come stando in misera sepolta in questi e più gravi difetti, prenderò ardire di levare il capo per vedere e giudicare, quelli degli altri. E così l’armi che indirizzate contro d’altri, venivano a ferir te, adoprate contro di te, porteranno salute alle piaghe tue. Che se l’errore commesso è chiaro e manifesto, scusalo con affetto di pietà, e credi che in quel fratello vi siano delle virtù occulte, per guardia delle quali il Signore permette ch’egli cada, o abbia per qualche tempo quel difetto, perché si tenga più vile negli occhi suoi, e con l’esserne dispregiato dagli altri, ne cavi frutto d’umiliazione, e si faccia più grato a Dio e cosi il guadagno suo ne venga ad essere maggiore della perdita. – E se il peccato è non pure manifesto, ma grave, d’ostinato cuore, ricorri col pensiero ai tremendi giudizi di Dio, dove vedrai uomini ch’erano prima scelleratissimi, esser poi arrivati a segno di santità grande, ed altri dal più sublime stato di perfezione, al quale pareva che fossero pervenuti, esser caduti in miserabile precipizio. E perciò sta sempre in timore e tremore più che d’alcun altro di te medesima. E renditi certa, che tutto quel bene e contento che senti del prossimo tuo, è effetto dello Spirito Santo, ed ogni dispregio, temerario giudizio, ed amarezza contro di lui, viene dalla propria nostra malizia e da diabolica suggestione. Però se alcuna imperfezione d’altri avesse in te fatta impressione non ti acquietare mai, né dar sonno agli occhi tuoi, finché a tuo potere non te la levi dal cuore.