IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE (6)

IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE (6)

(P. Lorenzo SCUPOLI, presso G. A. Pezzana, Venezia – 1767)

Che per combattere bene contro i nemici,  deve il soldato di Cristo fuggire ad ogni suo potere le perturbazioni ed inquietudini del cuore.

CAP. XXV

Siccome avendo noi perduta la pace del cuore, dobbiamo far tutto quello che per noi si possa per recuperarla, così tu hai da sapere che non può occorrere accidente al mondo che ce la debba ragionevolmente togliere oppure turbare. Dei propri peccati abbiamo da rammaricarcene sì, ma con un dolore pacifico, nel modo in cui di sopra in più di un luogo ho dimostrato, così senza inquietudine di animo, si compassioni con pio affetto di carità ogni altro peccatore, e si piangano almeno interiormente le colpe sue. – Quanto agli altri avvenimenti gravi e travagliosi, come infermità, ferite, morti, e dei nostri più congiunti, pesti, guerre, incendi e simili mali, benché come molesti alla natura, siano per lo più rifiutati dagli uomini del mondo, pure tuttavia possiamo, con la divina grazia, non solo volerli, ma inoltre averli cari, come giuste pene degli scellerati e buone occasioni di virtù; che per questi rispetti se ne compiace anche il Nostro Signore Dio, la cui volontà assecondando noi, fra tutte le amarezze e contrarietà di questa vita, ne passeremo con l’animo quieto e tranquillo. E renditi per certa che ogni nostra inquietudine, dispiace ai suoi occhi divini, perché, sia di che forte si voglia, non è mai scompagnata da imperfezione, e procede sempre da qualche mala radice di proprio amore. – Però tieni sempre desta una guardia, che subito che scopre qualsivoglia cosa, che possa turbarti, e inquietarti, te ne dia segno, acciocché tu prenda le armi per la difesa, considerando che tutti quei mali, e molti altri simili, benché di fuori così appaiono, non sono però veri mali, né i veri beni togliere ci possono, e che tutti gli ordina, o permette Iddio per li detti retri fini, o per altri a noi non manifesti, ma senza dubbio giustissimi, e santissimi. – Così tenendoti in qualunque, benché sinistro accidente, l’animo tranquillo ed in pace, li può far molto bene, altrimenti ogni nostro esercizio riesce poco, o nullo fruttuoso. Oltreché, mentre il cuore sta inquieto, è sempre ai diversi colpi dei nemici esposto, e di più non possiamo noi in tale stato bene scorgere il diritto sentiero, e la via sicura della virtù. – Il nostro nemico che abborrisce sovrammodo questa pace, come luogo ove abita lo Spirito di Dio, per operarvi cose grandi, spesse fiate sotto amiche insegne tenta di levarcela con il mezzo di diversi desideri, che hanno apparenza di bene, l’inganno dei quali si può fra gli altri segni conoscere da questo: che ci tolgono la quiete del cuore. – Onde per riparare a tanto danno, quando la sentinella ti da segno di alcun nuovo desiderio, non gli aprire l’entrata del cuore, se prima libera di qualunque proprietà, e volere non lo presenti a Dio, e confessando la tua cecità ed ignoranza, non lo preghi istantemente, che con il lume suo ti faccia vedere se viene da Lui, oppure dall’ avversario, e ricorri ancora, quando puoi, al giudizio del tuo Padre spirituale. Ed ancora, che il desiderio fosse di Dio, fa che tu, avanti che lo eseguisca, mortifichi la tua troppa vivacità, perché l’opera a cui precede tale mortificazione, gli sarà molto più grata, che se fosse fatta con l’avidità della natura, anzi alcuna volta gli piacerà più la mortificazione, che l’operazione stessa. Così scacciando da te i desideri non buoni, ed effettuando i buoni, se prima non hai repressi i movimenti naturali, verrai a tenere in pace, ed in sicuro la rocca del tuo cuore. E per conservarlo in tutto pacifico, fa di bisogno ancora che tu difenda, e custodisca da certe riprensioni e rimorsi interiori contro te stessa, che sono alcuna volta dal demonio, sebbene (perché ti accusano talvolta di qualche mancamento) pare, che siano da Dio; dai frutti loro conoscerai d’onde procedono. Se ti abbassano, ti fanno diligente nel bene operare, né ti tolgono la confidenza in Dio, come da Dio li devi ricevere con rendimento di grazie. Ma se ti confondono, e fanno pusillanime, diffidente, pigra, e lenta nel bene, tieni pure per cosa certa, che vengono dall’avversario,- però non dando loro orecchie, seguita il tuo esercizio. E perché oltre il suddetto, più comunemente nasce nel cuore nostro l’inquietudine dell’avvenimento delle cose contrarie, per difenderti da questi colpi, due cose hai da fare.L’una è, che tu consideri e veda, a chi sono contrari quegli avvenimenti, se allo spirito oppure all’amore proprio, e proprie voglie. Che se sono contrari alle proprie voglie ed amore di te stessa, capitale e principale nemico tuo, non devi  chiamarli contrari, ma tenerli per favori e soccorsi dell’altissimo Dio, onde con allegro cuore e rendimento di grazie devono essere ricevuti. Ed essendo contrari allo spirito, non perciò si deve perdere la pace del cuore, come nel seguente titolo ti sarà insegnato. L’altra cosa è che tu levi la mente a Dio pigliando il tutto ad occhi chiusi, senz’altro voler sapere, dalla pietosa mano della provvidenza divina, come cosa piena di diversi beni, i quali tu per allora non conosci.

Di quello che abbiamo a fare quando siamo feriti.

CAP. XXVI.

Quando tu ti trovi ferita per essere caduta in qualche difetto per debolezza tua, ovvero anco talora per volontà e malizia, non t’impusillanimire, ne t’inquietare per questo, ma rivolgiti subito a Dio, digli così: “Ecco, Signor mio, che io ho fatto, da quella che sono, né da me altro si poteva aspettare che cadute”. E qui con un poco di dimora avvilisciti negli occhi tuoi; dolgati dell’offesa del Signore, e senza confonderti, sdegnati contro le tue viziose passioni, e principalmente contro quella che ti ha cagionato la caduta. Seguita poi, “Né qui Signore mi sarei fermata, se Tu per tua bontà non mi avessi tenuta”. E qui rendile grazie ed amalo più che mai, stupendo di tanta clemenza, poiché offeso da te, ti porge la mano destra, perché tu non cada di nuovo. – Ultimamente dirai con gran confidenza della sua infinita misericordia: “Fa’ tu, Signore, da quello che sei, perdonami, né permettere che io viva da te separata, né lontana giammai, né che più ti offenda. E fatto questo, non ti dare a pensare se Iddio ti abbia perdonato o no, perché ciò non è altro che superbia, inquietudine di mente, perdimento di tempo, ed inganno del demonio, sotto colore di diversi buoni pretesti. Però lasciandoti liberamente nelle mani pietose di Dio, seguita il tuo esercizio, come se non fossi caduta. E se molte volte il giorno tornassi a cadere e restassi ferita, fa quello che io ti ho detto, con niente minore fiducia, la seconda, la terza, ed anco l’ultima volta, che la prima, e dispregiando sempre più te stessa, e più odiando il peccato, sforzati di vivere cauta. Questo esercizio spiace molto al demonio, sì perché vede ch’è gradito a Dio, sì perché ne viene a rimanere confuso, trovandosi superato da chi prima egli vinto aveva. E perciò con diversi fraudolenti modi si adopera, perché lasciamo di farlo, e l’ottiene molte volte per nostra trascuraggine, e poca vigilanza sopra di noi stessi. – Laonde se tu in ciò troverai difficoltà, tanto più ti hai da fare violenza, ripigliando questo esercizio più d’una volta, anche in un solo cadimento. E se dopo il difetto, ti sentissi inquieta, confusa, e sconfidata, la prima cosa che tu hai da fare è di recuperare la pace, e tranquillità del cuore e la confidenza insieme; e fornita di queste armi, ti rivolti poi al Signore, perché l’inquietudine, che si ha per lo peccato, non ha per oggetto l’offesa di Dio, ma il proprio danno. Il modo di ricuperare questa pace, si è che tu per allora ti scordi affatto la caduta, e ti ponga a considerare l’ineffabile bontà di Dio, e come sopra modo sta pronto, e desidera di perdonare qualunque peccato, per grave che sia, chiamando il peccatore in vari modi e per molte vie, perché ne venga a Lui, e si unisca a Lui in questa vita con la sua grazia per santificarlo, e nell’altra con la gloria per farlo eternamente beato. E poiché con queste, o somiglianti considerazioni avrai pacificata la mente, ti volterai al tuo cadimento, facendo come di sopra ho detto. Poi al tempo della Confessione sacramentale (la quale ti esorto a frequentar spesso), ripiglia tutte le tue cadute, e con nuovo dolore e dispiacere dell’offesa di Dio, e proponimento di non offenderlo più, scoprile sinceramente al tuo Padre Spirituale.

Dell’ordine, che tiene il demonio di combattere, e d’ingannare, e quelli che vogliono darsi alla virtù, e quelli che già si ritrovano nella servitù del peccato.

CAP. XXVII

Hai da sapere, figliuola, che il demonio non attende ad altro che alla rovina nostra, e che con tutti combatte ad un istesso modo. E per cominciare a descriverti alcuno dei suoi combattimenti, ordini ed inganni, ti metto innanzi più stati dell’uomo. Alcuni si ritrovano nella servitù del peccato, senza pensiero alcuno di liberarsi. Altri vogliono liberarsi, ma non cominciano l’impresa. Altri si credono camminare per la via della virtù, e se ne allontanano. – Altri finalmente dopo l’acquisto delle virtù, cadono con maggior rovina. E di tutti discorreremo distintamente.

Del combattimento, ed inganni che usa il demonio con quelli, che tiene nella servitù del peccato.

CAP. XXVIII

Non attende ad altro il demonio, tenendo alcuno nella servitù del peccato, che ad acciecarlo vieppiù, e rimuoverlo da qualunque pensiero, che lo potesse indurre alla cognizione della sua infelicissima vita. – Né lo rimuove solamente dai pensieri ed ispirazioni, che lo chiamano alla conversione con altri pensieri alieni ma, con apparecchiate e preste occasioni, lo fa cadere nell’istesso peccato, oppure in altri maggiori. Dal che diventando più folta e cieca la sua cecità, più viene a precipitarsi, e ad abituarsi nel peccato, così da questa maggiore cecità, e da questa a maggior colpa, quasi per giro ne corre la sua misera vita insino alla morte, se Iddio con la sua grazia non vi provvede. – Il rimedio di quello è, per quello che tocca a noi, che chi si ritrova in questo infelicissimo stato, sia presto a dare luogo al pensiero ed ispirazioni, che dalle tenebre lo chiamino alla luce gridando con tutto il cuore al suo Creatore: Deh, Signor mio, aiutami, aiutami presto, né mi lasciate più in questo stato di peccato. Né  lasci di replicare più fiate, e di gridare a quello e somigliante modo. E potendo, subito, subito, corra ad un Padre spirituale, domandando aiuto e consiglio, perché possa liberarsi dal nemico. E non potendovi andare subito, ricorra con ogni prestezza al Crocifisso, buttandosi innanzi ai suoi sacri piedi: con la faccia in terra; e quando a MARIA Vergine, domandando misericordia, ed aiuto. E sappi, che in questa prestezza sta la vittoria, come nel seguente Capitolo intenderai.

Dell’arte, ed inganni con che tiene legati quelli che, conoscendo il loro male, vorrebbero liberarsi, e perché i nostri proponimenti spesso non abbiano il loro effetto.

CAP. XXIX

Quelli che già conoscono la mala vita nella quale si ritrovano e vorrebbero mutarla, sogliono essere ingannati e vinti dal demonio  con le seguenti armi: Poi, Poi, “cras, cras” come dice il corvo! – Voglio prima risolvere e spedirmi di questo negozio, e poi darmi con maggior quiete allo spirito. – Laccio che ha preso molti, e prende tuttavia. Del che n’è cagione la nostra negligenza, e dappocaggine, che in negozio ove va la salute dell’anima e l’onore di Dio, non si prende con prestezza quell’arma tanto ponente: Ora, Ora, e perché poi? Oggi, Oggi, e perché Cras? dicendo a sé  stesso. Ma quando mi si concedesse il Poi, ed il Cras, dunque sarà via questa di salute e di vincere, il voler prima ricever delle ferite, ed il far nuovi disordini? – Sicché tu vedi, figliuola, che per fuggire, e da questo inganno e da quello del precedente Capitolo, e per superare il nemico, il rimedio è la presta ubbidienza ai pensieri, ed alle ispirazioni divine. La prestezza (dico) e non li proponimenti, perché questi spesso fallano, e molti in essi sono rimasti ingannati per diverse cagioni. – La prima toccata anco di sopra, si è che i nostri proponimenti non hanno per  fondamento la diffidenza di noi stessi e confidenza in Dio: nel ciò ci lascia vedere la gran superbia, donde progetto questo inganno e cecità, la luce da conoscerlo e l’aiuto per rimediarci viene dalla bontà di: Dio, il quale permette che cadiamo, chiamandoci coi cadimenti dalla nostra confidenza alla sua sola, e dalla nostra superbia ai conoscimento di noi stessi. – Onde, volendo tu che i tuoi proponimenti siano efficaci e di bisogno, che siano gagliardi, ed allora saranno gagliardi, quando niente avranno di confidenza in noi stessi, e tutti con umiltà saranno fondati nella confidenza in Dio. L’altra cagione è, che quando noi ci muoviamo a proporre, miriamo alla bellezza e valore della virtù la quale tira a sé la volontà nostra per fiacca e debole che sia; onde parandosele poi innanzi la difficoltà che vi bisogna per acquistarla, essendo fiacca e novella, manca e si ritira addietro. Però, tu avvezzati ad innamorarti delle difficoltà, che l’acquisto delle virtù porta innanzi, che delle virtù stesse e di questa difficoltà va sempre nutrendo, tua volontà, quando col poco a poco, e quando col molto, se vuoi davvero farti posseditrice delle virtù. E sappi, che tanto più presto ed altamente vincerai te stessa, ed i nemici tuoi, e quanto più generosamente abbraccerai la difficoltà e più ti saranno care. – La terza cagione è, perché i nostri proponimenti alle volte non mirano la virtù, e la volontà Divina, ma l’interesse proprio; il che suole succedere nei proponimenti che si sogliono fare nel tempo delle delizie dello spirito, e delle tribolazioni, che molto ci stringono, né troviamo in queste altro sollevamento, che proporre di volerci date tutti a Dio, ed agli esercizi delle virtù. Per non cadere tu in questo, sii nel tempo delle delizie molto cauta, ed umile nei proponimenti e particolarmente nelle promesse e voti, e quando trovi tribolata, i tuoi proponimenti siano occupati a tollerare pazientemente la Croce, secondo vuole Iddio, e ad esaltarla ricusando qualunque sollevamento terreno e talora anco quello del Cielo. Una sia la domanda, ed uno il desiderio tuo, che sii da Dio aiutata perché possa tollerare ogni cosa avversa, senza macchia della virtù della pazienza, e senza disgusto del tuo Signore.

Dell’inganno di quelli che si credono di camminare alla perfezione.

CAP. XXX

Vinto già il nemico nel primo e nel secondo assalto ed inganno di sopra, ricorre il maligno al terzo, il quale consiste in far che noi, scordati dei nemici che in atto ci combattono e danneggiano, ci occupiamo in desideri, e proponimenti d’alti gradi di perfezione. – Dal che nasce, che noi siamo del continuo piagati, né curiamo le piaghe, e stimando tali proponimenti come se fossero effetti, vanamente c”insuperbiamo. Onde non volendo comportare una cosarella, o parolina in contrario, consumiamo poi il tempo in lunghe meditazioni di proponimento di soffrire pene grandi, e talora del Purgatorio per amor di Dio. E perché in questo la parte inferiore non sente ripugnanza, come di cosa lontana, perciò noi miseri ci diamo ad intendere d’essere nel grado di quelli che pazientemente in fatti sostengono cose grandi. – Tu dunque per fuggire questo inganno, proponi, e combatti con nemici, che da vicino e realmente ti fanno guerra, che cosi ti chiarirai se i tuoi proponimenti sono veri o falsi, forti o deboli, e camminerai alla virtù, e perfezione della via battuta e regia. – Ma contro i nemici dai quali non sei solita d’essere travagliata, non consiglio che tu prenda la pugna se non quando prevedi verosimilmente, che da indi a qualche tempo siano per assalirti: che per trovarti allora preparata e forte, ti è lecito di fare avanti dei proponimenti. Non giudicare però mai i tuoi proponimenti per effetti, sebbene per qualche tempo con li tuoi debiti modi ti fossi nelle virtù esercitata; ma in essi sii umile, temi te stessa e la tua debolezza e, confidando in Dio, con spessi preghi, ricorri a Lui, ché ti fortifichi e guardi dai pericoli e particolarmente di ogni minima presunzione e confidenza in te stessa. – Che in questo caso, sebbene non si possono superare alcuni piccoli difetti, che talvolta il Signore per nostro umile conoscimento e guardia di alcun bene ci lascia, ci è lecito nondimeno fare proponimenti di più alto grado di perfezione.

Dell’inganno, e battaglia, che usa il demonio, perché si lasci  la  via che conduce alla virtù.

CAP. XXXI

Il quarto inganno proposto di sopra, con che ci assale il maligno demonio, quando vede che camminiamo direttamente alla virtù, sono diversi buoni desideri che ci va eccitando, perché dall’esercizio delle virtù cadiamo nel vizio. Una persona trovandosi inferma, con paziente volontà va tuttavia sopportando l’infermità, l’avversario sagace che conosce che questa possa acquistare l’abito della pazienza, le pone davanti molte buone opere, che potrebbe fare in altro stato, e si sforza di persuadere che se fosse sana, maglio servirebbe a Dio, giovando a sé, ed agli altri ancora. – E poiché a lei ha mosso quelle voglie, le va a poco a poco aumentando talmente, che la rende inquieta, per non poterle mandare ad effetto come vorrebbe. E quanto a lei si vanno facendo maggiori, e più gagliarde, tanto cresce l’inquietudine. E da quello poi pian piano destramente l’inimico la va conducendo ad impazientarci dell’infermità, non come infermità, ma come impedimento di quell’opere che ansiosamente bramava d’eseguire per maggior bene. Quando poi l’ha tirata a quello segno, con la stessa destrezza le toglie dalla mente il fine del divino servigio e delle buone opere, lanciandole il nudo desiderio di liberarsi dall’infermità. Il che non succedendo secondo il suo volere, si turba in modo che ne diventa impaziente affatto. E così viene dalla virtù che esercitava, a cadere nel vizio suo contrario, senza avvedersene. Il modo di guardarsi ed opporsi a quello inganno si è che, quando ti trovi in qualche stato travaglioso, tu sii bene avvertita a non dare luogo a desideri di qualunque bene  che allora non potendo effettuare, verosimilmente ti inquieterebbero. – E devi in ciò con ogni umiltà, pazienza e rassegnazione darti a credere, che i desideri tuoi non avrebbero quell’effetto che ti persuadevi, essendo tu più da poco ed instabile di quello, che ti stimi. – Oppure pensa, che Iddio nei suoi occulti giudizi, o per tuoi demeriti non vuole quel bene da te, ma che piuttosto ti abbassi, ed umili pazientemente sotto la dolce e potente mano della sua volontà. Così parimenti essendo impedita dal Padre spirituale, o da altra cagione, in modo, che tu non possa a tua voglia frequentare le tue devozioni, e particolarmente la Santa Comunione, non ti lasciar turbare ed inquietare dal desiderio di esse, ma spogliati d’ogni tua proprietà,  vestiti del piacimento del tuo Signore, teco stessa dicendo: Se l’occhio della divina provvidenza non vedesse in me ingratitudini, e difetti, io non verrei ora ad essere priva di ricevere il SS. Sacramento, però vedendo io, che il mio Signore con questa mi scopre la mia indegnità, né gli sia Egli sempre lodato, e benedetto. Confido bene, nella tua somma bontà, che tu voglia che col sostenerti e compiacerti in tutto, ti apra il cuore disposto ad ogni tuo volere, acciocché tu in esso entrato spiritualmente, lo consoli e fortifichi contro i nemici, che cercano levarlo da te. Così sia fatto tutto quello, che negli occhi tuoi è bene, Creatore e Redentore mio, la tua Volontà sia ora, e sempre il mio cibo e sostegno. Quella sola grazia, amor caro, ti domando, che l’anima mia purgata, e libera da qualunque cosa, che a te spiaccia, stia sempre con l’ornamento delle virtù sante apparecchiata alla tua venuta, ed a quanto ti piacerà disporre di me.– Se osserverai questi ricordi, sappi certo che in qualsivoglia desiderio di bene, che tu non possa eseguire, o sia egli cagionato dalla natura, o dal demonio per inquietarti e toglierti dal cammino della virtù, oppure anco allora da Dio, per far prova della tua rassegnazione alla sua volontà, avrai sempre occasione di soddisfare al tuo Signore, nel modo che più piace a Lui. Ed in questo consiste la vera divozione e servigio, che da noi ricerca Iddio. Ti avverto ancora, perché tu non t’impazienti nei travagli, siano pur cagionati, da che parte si voglia, che tu usando i mezzi leciti che si sogliono usare dai servi di Dio, non li usi con desiderio ed attacco di esserne liberata, ma perché vuole Iddio che si usino: né sappiamo noi se piace a S. D. M. di liberarci per questo mezzo. Che se altrimenti facessi, verresti a cadere in più mali, perché facilmente cadresti nell’impazienza non succedendo la cosa secondo il tuo desiderio ed attacco, o la tua pazienza sarebbe difettosa, né tutta cara a Dio, e di poco merito.Finalmente ti avviso qui d’un occulto inganno del nostro proprio amore, che suole in certe occorrenze coprire e difendere i nostri difetti. Onde per esempio, essendo alcun infermo poco paziente per l’infermità, nasconde la sua impazienza sotto il velo di qualche zelo di bene apparente, dicendo che il suo affanno non sia veramente impazienza per lo travaglio che sostiene dalla malattia, ma ragionevole dispiacere, perché egli ne ha dato l’occasione: oppure, perché altri per la servitù che gli fanno per altre cagioni, ne sentono fastidio e danno. – Parimente l’ambizioso, che si turba per la dignità non ottenuta, non attribuire ciò alla sua propria superbia e vanità, ma ad altri rispetti, dei quali si sa molto bene che in altre occasioni, che a lui non portano gravezza, non tiene conto veruno,- come ne anco l’infermo si cura, se quegl’istessi, per i quali diceva dolersi molto, che travagliassero per lui, sostengono lo stesso travaglio, e danno per l’infermità di alcun altro.Segno assai chiaro, che la radice della doglianza di questi tali non è per altri o altro rispetto, che l’abborrimento, che hanno delle cose contrarie alle voglie loro.Tu però per non cadere in questo  errore, ed altri, comporta sempre pazientemente qualunque travaglio e pena, venga pure (come ti ho detto) da che cagione si voglia.