DOMENICA DI PASSIONE (2019)

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XLII: 1-2.

Júdica me, Deus, et discérne causam meam de gente non sancta: ab homine iníquo et dolóso éripe me: quia tu es Deus meus et fortitudo mea. [Fammi giustizia, o Dio, e difendi la mia causa da gente malvagia: líberami dall’uomo iniquo e fraudolento: poiché tu sei il mio Dio e la mia forza].

Ps XLII:3

Emítte lucem tuam et veritátem tuam: ipsa me de duxérunt et adduxérunt in montem sanctum tuum et in tabernácula tua. [Manda la tua luce e la tua verità: esse mi guídino al tuo santo monte e ai tuoi tabernàcoli.]

Júdica me, Deus, et discérne causam meam de gente non sancta: ab homine iníquo et dolóso éripe me: quia tu es Deus meus et fortitudo mea. [Fammi giustizia, o Dio, e difendi la mia causa da gente malvagia: líberami dall’uomo iniquo e fraudolento: poiché tu sei il mio Dio e la mia forza].

Oratio

Orémus.

Quæsumus, omnípotens Deus, familiam tuam propítius réspice: ut, te largiénte, regátur in córpore; et, te servánte, custodiátur in mente. [Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, guarda propízio alla tua famiglia, affinché per bontà tua sia ben guidata quanto al corpo, e per grazia tua sia ben custodita quanto all’ànima.]

 Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Hebræos.

Hebr IX: 11-15

Fatres: Christus assístens Pontifex futurórum bonórum, per ámplius et perféctius tabernáculum non manufáctum, id est, non hujus creatiónis: neque per sánguinem hircórum aut vitulórum, sed per próprium sánguinem introívit semel in Sancta, ætérna redemptióne invénta. Si enim sanguis hircórum et taurórum, et cinis vítulæ aspérsus, inquinátos sanctíficat ad emundatiónem carnis: quanto magis sanguis Christi, qui per Spíritum Sanctum semetípsum óbtulit immaculátum Deo, emundábit consciéntiam nostram ab opéribus mórtuis, ad serviéndum Deo vivénti? Et ideo novi Testaménti mediátor est: ut, morte intercedénte, in redemptiónem eárum prævaricatiónum, quæ erant sub prióri Testaménto, repromissiónem accípiant, qui vocáti sunt ætérnæ hereditátis, in Christo Jesu, Dómino nostro.

OMELIA I

[A. Castellazzi: Alla Scuola degli Apostoli; Sc. Tip. Artigianelli, Pavia, 1929]

GESÙ CRISTO SACERDOTE

“Fratelli: Cristo, essendo venuto come pontefice dei beni futuri, attraverso un tabernacolo più grande e più perfetto, non fatto da mano d’uomo, cioè non appartenente a questo mondo creato, e mediante non il sangue di capri e di vitelli, ma mediante il proprio sangue, entrò una volta per sempre nel santuario, avendo procurato una redenzione eterna. Poiché se il sangue dei capri e dei tori e l’aspersione con cenere di giovenca santifica gli immondi rispetto alla mondezza della carne, quanto più il sangue di Cristo, il quale, mediante lo Spirito Santo, ha offerto se stesso immacolato a Dio, monderà la nostra coscienza dalle opere morte, perché serviamo al Dio vivente? E per questo Egli è il mediatore del nuovo testamento, affinché, essendo intervenuta la sua morte a redimere dalle trasgressioni commesse sotto il primo testamento, quelli che sono stati chiamati conseguono l’eterna eredità loro promessa, in Gesù Cristo Signor nostro”. (Ebr. IX, 11-15).

L’Epistola di quest’oggi è tratta dalla lettera agli Ebrei, della quale si è già parlato nella solennità di Natale. Qui si parla della superiorità e della efficacia del Sacrificio di Gesù Cristo, in confronto del sacrificio della legge ebraica. Difatti Gesù Cristo:

1. È il Sacerdote della nuova legge,

2. Che offre a Dio il proprio sangue,

3. E si fa nostro mediatore.

1.

Cristo, essendo venuto come pontefice dei beni futuri; cioè dei beni del Nuovo Testamento, come: l’espiazione valevole per tutti i tempi, la santificazione interna, l’eterna felicità ecc.; venivano, necessariamente, a perdere tutta la loro importanza i riti del culto levitico. Ciò che è imperfetto dove cedere il posto a ciò che è perfetto. Gesù Cristo è il Sacerdote della nuova legge. Non si assume da sé la dignità sacerdotale: ma vi è destinato da Dio, come da Dio vi fu destinato Aronne. Il Padre, che dall’eternità gli dà l’essere di Figlio, con giuramento solenne, irrevocabile, lo dichiara: «Sacerdote in eterno,secondo l’ordine di Melchisedech» (Salm. CIX, 4). Sarà un sacerdote che durerà in eterno. Melchisedech, sacerdote e re, tipo di Gesù Cristo, è introdotto nella Sacra Scrittura, così minuziosa nelle genealogie dei  Patriarchi, senza che si faccia menzione né del padre né della madre, né del tempo della nascita né del tempo della  morte, né di chi l’abbia preceduto né di chi gli sia succeduto nel sacerdozio. Gesù Cristo, come non ebbe antecessori, non avrà successori nel suo sacerdozio. Vivendo Egli in eterno, il suo sacerdozio non avrà mai fine, a differenza del sacerdozio secondo l’ordine di Aronne, che aveva carattere transitorio. Mediante il sacerdozio di Gesù Cristo abbiamo un’espiazione valevole per tutti i tempi. Al pari degli antichi re e sacerdoti, anche il sacerdote della nuova legge, Gesù Cristo, riceve l’unzione, ma in modo più eccellente. Egli viene unto «non con olio visibile, ma col dono della grazia … E deve intendersi unto con questa mistica e invisibile unzione, quando il Verbo di Dio si è fatto carne» (S. Agostino, De Trinit. L . 15. c. 26). In virtù dell’unione ipostatica con la divinità, la natura umana di Gesù Cristo ricevette, fin dal primo momento dell’incarnazione, la pienezza di tutte le grazie e di tutti i doni dello Spirito Santo. Così, la natura umana assunta riceve l’unzione dalla divinità. Gesù è, quindi, sacerdote fin dal principio della sua esistenza. È sacerdote nella culla, è sacerdote nell’esilio, è sacerdote durante la vita nascosta di Nazaret.

2.

Gesù Cristo, mediante lo Spirito Santo, ha offerto se stesso immacolato a Dio. Negli antichi sacrifici la vittima che doveva essere immolata veniva trascinata all’altare. Gesù Cristo, che sostituirà se stesso alle vittime del sacrificio levitico, non ha bisogno d’essere condotto per forza al luogo dell’immolazione. Prima di sacrificare il suo corpo sacrifica la sua volontà. Al Padre non piacciono più i sacrifici dell’antica legge, e fa conoscere la sua volontà che il Figlio, assumendo un corpo, lo offra in sacrificio per la salvezza degli uomini. E il Figliuolo, incarnandosi, può ripetere le parole del salmista: «Ecco io vengo, per fare, o Dio, la tua volontà» (Ebr. X, 7). Ecco, io assumo un corpo, mi faccio uomo, affinché offra me stesso in luogo del sacrificio mosaico. E questa spontanea ubbidienza dimostra in tutte le circostanze della sua vita mortale. La volontà del Padre è volontà sua. È volontaria la povertà di Betlemme, l’amarezza della fuga in Egitto, il sudore della bottega, le fatiche dell’apostolato. Sono volontarie tutte le privazioni, le persecuzioni, i dolori della vita pubblica; è volontario il sacrificio supremo sulla croce. Venuta l’ora dell’immolazione « non ha aperto la sua bocca; come pecorella sarà condotto ad essere ucciso: e come un agnello si sta muto dinanzi a colui che lo tosa, così Egli non aprirà la sua bocca » (Is. LIII, 7). – Siamo al sacrificio cruento. Il sangue scorre; ma questa volta non scorre sangue di capretti e di vitelli; scorre il sangue del Figlio di Dio fatto uomo; sangue d’un valore infinito. Per mezzo di questo sangue offerto a Dio, l’uomo è liberato dalla schiavitù di satana. Gli antichi schiavi che ottenevano la libertà, l’ottenevano depositando essi stessi il prezzo della propria liberazione. Noi pure siamo stati liberati dalla schiavitù mediante un prezzo e « caro prezzo »; (I Cor. VI, 20) ma questo caro prezzo, non l’abbiamo sborsato noi. L’ha sborsato Gesù Cristo « il quale ha dato se stesso quale riscatto per tutti », (I Tim. II, 6) versando il suo prezioso sangue. La pena dovuta ai nostri peccati, e che noi non avremmo mai potuto scontare, con questo sangue è cancellata. La giustizia di Dio è soddisfatta: l’uomo è riconciliato col suo creatore.

3.

E per questo egli è il mediatore del nuovo testamento. – « Egli è il solo mediatore tra Dio e gli uomini » (1 Tim. II, 5). Il sacerdote è mediatore tra Dio e gli uomini specialmente per mezzo del sacrificio e della preghiera. « Il buon mediatore offre a Dio le preghiere e i voti dei popoli, e porta loro da parte di Dio benedizioni e grazie. Supplica la divina maestà per le mancanze dei peccatori; e redime negli offensori l’ingiuria fatta a Dio» (S. Bernardo, De mor. et off. Epist. c. 3, 10). La preghiera del Sacerdote ha sempre grande valore: è la preghiera dell’uomo di Dio. Qual valore non avrà la preghiera di Gesù Cristo? « Facilmente si ottiene quando prega un figlio ». (Tertulliano, De pœn. 10). E Gesù Cristo è Figlio di Dio: « Figlio diletto », (Luc. III, 22). « Figliuolo dell’amor suo ». (Col. 1. 13) Egli stesso ha assicurato agli Apostoli che otterrebbero dal Padre qualsiasi cosa, se chiesta in nome suo. A maggior ragione si otterrà dal Padre, quanto chiede Egli stesso. Gesù Cristo innalza al Padre la sua efficace preghiera, quando appare in questo mondo; l’innalza durante la sua vita. Egli prega in ogni tempo e in ogni luogo. Prega di giorno, prega di notte. Prega in pubblico, prega nella solitudine. Dopo aver parlato agli uomini di Dio, del suo regno, si ritira a parlare degli uomini a Dio. – Nel tempio, nel deserto, nell’orto s’innalza a Dio il profumo della sua preghiera. Ma sul Calvario specialmente, quando pende dalla Croce, la sua preghiera sacerdotale si innalza ad interporsi tra la giustizia e la misericordia di Dio. – E sui nostri altari continua ancora oggi a innalzare al Padre la sua preghiera in favore dell’umanità. Ogni qualvolta s’immola misticamente il suo Corpo e il suo Sangue offerti all’eterno Padre, hanno forza più efficace di qualsiasi voce sensibile, presso la maestà di Dio offesa, ad ottenere il perdono per gli offensori. Egli continua il suo ufficio sacerdotale di mediatore su in cielo, dove si fa nostro avvocato alla destra del Padre. Lassù Gesù Cristo continua ad essere il nostro sacerdote, che prega, manifestando al Padre il suo vivissimo desiderio della nostra salute, e presentandogli l’umanità assunta, coi segni gloriosi dei misteri in essa compiuti. E continuerà il suo ufficio di mediatore per noi sino alla fine dei secoli. I Sacerdoti, suoi rappresentanti su questa terra, passeranno. Agli uni succederanno gli altri: il loro ministero sarà limitato dal tempo. Ma Gesù, Sacerdote eterno, non passerà « vivendo egli sempre affine di supplicare per noi ». (Ebr. VII, 25). Gesù Cristo, Sacerdote della Nuova Alleanza, s’interessa di noi al punto da offrire al Padre il suo Sangue per i nostri debiti, e continua a far l’ufficio di nostro difensore lassù in cielo. E noi fino a qual punto ci interessiamo di Gesù? Forse l’abbiamo completamente dimenticato. La Serva di Dio suor Benedetta Cambiago, entrata un giorno nella sala da lavoro dell’educandato da lei diretto, ove si trovavano delle fanciulle esterne, domanda: — Mie care, vorrei sapere da voi una cosa. Là vi è il Crocifisso, amor nostro, morto per noi sulla croce. Quanti atti di offerta gli avete fatto oggi? E visto che nessuna di loro si era ricordata di Gesù ripiglia: — Ebbene, chi si scorda di Gesù è indegna di star con Lui. — E senz’altro piglia una sedia, stacca il Crocifisso dalla parete e lo porta via. A questa conclusione le fanciulle si mettono a piangere, e pregano Benedetta che riporti loro il crocifisso. (Vittorio Bondiano, Suor Benedetta Cambiagio, fondatrice delle Suore di N. S.  della Provvidenza ecc. Verona, 1925; p. 92). – Se noi dovessimo piangere sulle giornate trascorse senza fare un’offerta a Gesù, che per noi offrì se stesso, senza rivolgere un pensiero a Lui, che continuamente intercede per noi, forse dovremmo piangere ben frequentemente. Un degno cambio per tutto quello che Gesù Cristo ha fatto, e fa continuamente per noi, non lo potremo mai rendere: nessuno può dubitare. Possiamo però tener sempre presenti i suoi benefici. Sarebbe già qualche cosa: ama chi non oblia. Possiamo offrirgli giornalmente i nostri pensieri, i nostri affetti, le nostre fatiche, i nostri dolori. Possiamo offrirgli le nostre preghiere. « Gesù Cristo nostro Signore — osserva S. Agostino — prega per noi come nostro Sacerdote… è pregato da noi come nostro Dio ». (Enarr. in Ps. LXXXV, 1) Lo preghiamo davvero come nostro Dio? Lo preghiamo frequentemente?

Graduale

Ps CXLII: 9, 10

Eripe me, Dómine, de inimícis meis: doce me fácere voluntátem tuam

Ps XVII: 48-49

Liberátor meus, Dómine, de géntibus iracúndis: ab insurgéntibus in me exaltábis me: a viro iníquo erípies me.

Tractus

Ps CXXVIII:1-4

Sæpe expugnavérunt me a juventúte mea.[Mi hanno più volte osteggiato fin dalla mia giovinezza.]

Dicat nunc Israël: sæpe expugnavérunt me a juventúte mea. [Lo dica Israele: mi hanno più volte osteggiato fin dalla mia giovinezza.]

Etenim non potuérunt mihi: supra dorsum meum fabricavérunt peccatóres. [Ma non mi hanno vinto: i peccatori hanno fabbricato sopra le mie spalle.]

V. Prolongavérunt iniquitátes suas: Dóminus justus cóncidit cervíces peccatórum. [Per lungo tempo mi hanno angariato: ma il Signore giusto schiaccerà i peccatori.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Joann VIII: 46-59

“In illo témpore: Dicébat Jesus turbis Judæórum: Quis ex vobis árguet me de peccáto? Si veritátem dico vobis, quare non créditis mihi? Qui ex Deo est, verba Dei audit. Proptérea vos non audítis, quia ex Deo non estis. Respondérunt ergo Judæi et dixérunt ei: Nonne bene dícimus nos, quia Samaritánus es tu, et dæmónium habes? Respóndit Jesus: Ego dæmónium non hábeo, sed honorífico Patrem meum, et vos inhonorástis me. Ego autem non quæro glóriam meam: est, qui quærat et júdicet. Amen, amen, dico vobis: si quis sermónem meum serváverit, mortem non vidébit in ætérnum. Dixérunt ergo Judaei: Nunc cognóvimus, quia dæmónium habes. Abraham mórtuus est et Prophétæ; et tu dicis: Si quis sermónem meum serváverit, non gustábit mortem in ætérnum. Numquid tu major es patre nostro Abraham, qui mórtuus est? et Prophétæ mórtui sunt. Quem teípsum facis? Respóndit Jesus: Si ego glorífico meípsum, glória mea nihil est: est Pater meus, qui gloríficat me, quem vos dícitis, quia Deus vester est, et non cognovístis eum: ego autem novi eum: et si díxero, quia non scio eum, ero símilis vobis, mendax. Sed scio eum et sermónem ejus servo. Abraham pater vester exsultávit, ut vidéret diem meum: vidit, et gavísus est. Dixérunt ergo Judaei ad eum: Quinquagínta annos nondum habes, et Abraham vidísti? Dixit eis Jesus: Amen, amen, dico vobis, antequam Abraham fíeret, ego sum. Tulérunt ergo lápides, ut jácerent in eum: Jesus autem abscóndit se, et exívit de templo.” Laus tibi, Christe!

Omelia II

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE XIX.

“In quel tempo disse Gesù alla turbe dei Giudei ed ai principi dei Sacerdoti: Chi di voi mi convincerà di peccato. Se vi dico la verità, per qual cagione non mi credete? Chi è da Dio, le parole di Dio ascolta. Voi per questo non le ascoltate, perché non siete da Dio. Gli risposero però i Giudei, e dissero: Non diciamo noi con ragione, che sei un Samaritano e un indemoniato? Rispose Gesù: Io non sono un indemoniato, ma onoro il Padre mio, e voi mi avete vituperato. Ma io non mi prendo pensiero della mia gloria; vi ha chi cura ne prende, e faranno vendetta. In verità, in verità vi dico: Chi custodirà i miei insegnamenti, non vedrà morte in eterno. Gli dissero pertanto i Giudei: Adesso riconosciamo che tu sei un indemoniato. Abramo morì, e i profeti; e tu dici: Chi custodirà i miei insegnamenti, non gusterà morte in eterno. Sei tu forse da più del padre nostro Abramo, il quale morì? e i profeti morirono. Chi pretendi tu di essere? Rispose Gesù: Se io glorifico me stesso, la mia gloria è un niente; è il Padre mio quello che mi glorifica, il quale voi dite che è vostro Dio. Ma non l’avete conosciuto: io sì, che lo conosco; e se dicessi che non lo conosco, sarei bugiardo come voi! Ma io conosco, o osservo le sue parole. Abramo, il padre vostro, sospirò di vedere questo mio giorno: lo vide, e ne tripudiò. Gli dissero però i Giudei: Tu non hai ancora cinquant’anni, e hai veduto Abramo? Disse loro Gesù: In verità, in verità vi dico: prima che fosse fatto Abramo, io sono. Diedero perciò di piglio a de’ sassi per tirarglieli: ma Gesù si nascose, e uscì dal tempio” (Jo. VIII, 46 59).

Il nostro divin Redentore era senza dubbio la santità in persona. E la santità perfetta, di cui Egli era adorno, traspirava da tutte le sue parole, da tutti i suoi atti, da tutto il suo portamento. – Eppure vi erano dei maligni, massime tra i principi dei sacerdoti che, odiandolo a morte, lo riguardavano come il peggiore di tutti gli uomini. Costoro lo accusavano di assidersi alla mensa dei pubblicani, di conversare coi peccatori, di accogliere le donne peccatrici, le quali venivano ai suoi piedi per confessare le loro miserie ed implorarne il perdono; giunsero perfino a chiamarlo un miserabile indemoniato. Ma le ingiurie, comunque siano sanguinose, comunque villane, non sono ragioni, non sono prove, e sovente ricadono sopra coloro che le prodigano. Difatti il Salvatore alle calunnie de’ suoi persecutori, rispose mai sempre con argomenti così trionfali da confondere nel modo più umiliante e vergognoso i suoi nemici. Ne abbiamo una prova nel Vangelo di questa domenica, dal quale sebbene potremmo prendere molte lezioni, ci accontenteremo di prendere le tre più ovvie e per noi più importanti.

1. Dice adunque il Santo Vangelo che Gesù trovandosi nel tempio ad insegnare, volto alle turbe dei Giudei ed ai principi de’ Sacerdoti disse: Chi di voi mi convincerà di peccato? E voleva dire:Per quanto voi, pieni di malignità, e non ostante le grandi prove che già vi ho date della mia santità, vi ostiniate a riguardarmi come un peccatore, e persino come un uomo posseduto dal demonio, tuttavia nessuno di voi potrà addurre delle prove che in me vi sia stato mai alcun peccato, perciocché io sono santo, il Santo dei santi, la santità per eccellenza. Ed in vero, sebbene nostro Signor Gesù Cristo nella sua immensa bontà per noi, abbia voluto farsi in tutto e per tutto simile agli uomini, in questo solo tuttavia ha fatto eccezione, e non ebbe mai sopra di sé neppur l’ombra della più piccola colpa. In tutta la sua vita di trentatré anni, pur facendo libero esercizio della libertà, fin dal primo istante della sua concezione, né mai la contrasse, né mai conobbe che cosa fosse. Epperò ben sicuramente Egli poté volgersi ai suoi nemici e lanciar loro questa nobile sfida: Chi di voi mi accuserà di peccato? Quis ex vobis arguet me de peccato? Or bene, o miei cari, certamente nessuno degli uomini potrà mai fare agli altri la sfida che fece Gesù: poiché dice S. Giovanni che « colui il quale si crede senza peccato è vittima della più volgare illusione ». Tuttavia è certo che se noi per nostra sventura ci siamo macchiati di peccato ed anche di molti e gravissimi peccati, possiamo, purché lo vogliamo, liberarcene subito e ridonare a noi con la grazia di Dio, la santità; e ciò per mezzo di una santa Confessione. Ora sono veramente molti tra i Cristiani, coloro che si affrettino a riacquistare la santità perduta per il peccato? O non sono molti piuttosto coloro che vi dormono sopra i giorni, le settimane, i mesi e persino gli anni? E come spiegare questa mostruosità di un Cristiano che rimanga anche solo un istante in peccato mortale? Udite. È verità di fede che un sol peccato mortale  è sufficiente per rendere il Cristiano meritevole dell’eterna dannazione. Ed è questa una verità pienamente conforme alla retta ragione: imperciocché se nel peccato mortale vi è una malizia infinita, perché offende Iddio infinitamente perfetto, egli è troppo giusto che il peccato mortale abbia un castigo infinito, sia nella sua intensità come nella sua durata. È pur verità registrata nelle sacre carte e tutto giorno dimostrata dall’esperienza, che la morte coglie la maggior parte degli uomini all’impensata. Nel Santo Vangelo Gesù Cristo dice: qua hora non putatis Filius hominis veniet tanquam fur; e l’esperienza sempre ci dimostra che si muore quando meno ci si pensa: imperciocché, come disse Cicerone, non vi ha alcun uomo per quanto vecchio, il quale non pensi di vivere almeno ancora un anno. Ciò premesso, non è egli veramente mostruoso, che un Cristiano stia anche solo per un istante in peccato mortale? — Se in tale stato è all’improvviso colpito dalla morte, andrà certamente in eterno perduto. … Forse la morte non mi colpirà; Iddio forse mi aspetterà ancora, ma ne sono io certo? E sopra di un forse vorrò riporre la mia tranquillità! — Andreste voi a riposare in un letto ove stesse accovacciata una serpe col lusingarvi che forse non vi morderà? Vi adagereste voi a pigliar sonno sull’orlo di un precipizio col persuadervi che forse non vi cadrete entro? Ah tutt’altro! E se voi fuggireste dal letto ove si accovaccia una serpe, se voi vi terreste lontano dall’orlo di un precipizio, come mai riposate tranquilli in istato di peccato mortale? Chi trovasi in tale stato non è egli forse tra le spire dell’infernale serpente, non sta egli forse sull’orlo dell’inferno? Manca solo che Iddio lasci cadere un colpo di spada della sua terribile giustizia. E non è egli veramente mostruoso che il peccatore se ne stia in pace e tranquillo mentre la spada della divina giustizia ad ogni momento gli sta sospesa sul capo e minaccia colpirlo? Ma che dico minaccia? Spesse volte lo colpisce, e lo colpisce per l’appunto perché peccatore. È questa una verità, che la Scrittura e la storia ci rendono manifesta con somma chiarezza. Nell’Ecclesiaste sta scritto: Noli esse stultus, ne moriaris in tempore non tuo. Davide ne’ suoi salmi dice: Viri sanguinum et dolosi non dimidiabunt dies suos. E nel libro dei Proverbi: Anni impiorum breviabuntur. E Gesù Cristo nel santo Vangelo a quel ricco, che dopo d’avere ingiustamente ammassati molti beni dice all’anima sua: Godi, sta allegramente, intuona severo: Stulte, hoc nocte animam tuam repetunta te. E l’Apostolo San Paolo con energica espressione: Stimulus autem mortis peccatum est. Mirate Baldassare: commette l’orribile sacrilegio di profanare i vasi sacri, e tosto una mano misteriosa apparisce sulla parete, che gli sta di fronte, a segnare la condanna di morte, che subirà nella notte seguente. Mirate Oloferne,Onan, Sichem, Zambri, Cozbi, Gezabele, Giuliano l’apostata, sono colpiti da Dio nelle loro stesse voluttà, nelle loro bestemmie. Stimulus autem mortis peccatum est. Or dunque se è così, che il peccato accelera lo scoppio dell’ira divina, non è egli mostruoso, io torno a dire, che il Cristiano rimanga in tale stato anche per un solo istante?Ma vi ha ancora una ragione che rende vieppiù mostruoso un tale stato, ed è la facilità di uscirne. Ed invero se caduti una volta in peccato fosse cosa gravosissima e difficile il risorgerne, quasi quasi potrebbesi in qualche modo scusare il peccatore. Ma è egli così? Tutt’altro. Poteva, è vero, il Signore far sentire in ciò il peso della sua giustizia ed imporre al perdono della colpa a durissime condizioni: poteva ad esempio stabilire, che non altrimenti fossimo perdonati dei nostri peccati, che col recarci umilmente ai piedi del suo Vicario, il Romano Pontefice: poteva stabilire, che non fossimo perdonati che col manifestare il nostro peccato al cospetto di una gran moltitudine raccolta in chiesa in un giorno di grande solennità: poteva stabilire tutto questo ed altro ancora di più duro; ma no, non è nulla di ciò, che Egli c’impose per darci il suo perdono. Non ci impose altro che una buona confessione. Ed è cosa troppo grave una confessione, che si può compiere anche in pochi minuti? Come mai adunque non vi risolvereste di farla, se vi trovaste al caso di averne bisogno? Miei cari, siamo vicini alla Pasqua. Iddio vuole che tutti per quella festa ci disponiamo ad essere senza peccato. Ascoltiamo adunque l’ordine del Signore. Esaminiamo bene la nostra coscienza e se in essa vi troviamo delle colpe gravi, risolviamo senz’altro di non voler più oltre rimanere in questo stato. Andiamo a gettarci ai piedi di un confessore, e con una confessione sincera e dolorosa rendiamoci di nuovo santi al cospetto del Signore, ed allora se non potremo dire giammai, come disse Gesù Cristo: Chi mi convincerà di peccato? potremo dire tuttavia: Fui già peccatore, ma ora per la grazia di Dio non vi ha più in me il peccato.

2. Continuando il Divin Redentore il suo ragionamento disse: Se vi dico la verità, per qual ragione non mi credete? Chi è da Dio, ascolta le parole di Dio. Voi per questo non le ascoltate, perché non siete da Dio. A queste parole, tanto schiette, e nel tempo stesso così nobili, i Giudei non sapendo che cosa rispondere si appigliarono al mezzo, cui si appigliano tutti i malvagi, quando non hanno ragione e pur vogliono averla, vale a dire alle ingiurie. Gli risposero perciò i Giudei e dissero: Non diciamo noi con ragione, che sei un Samaritano (vale a dire un trasgressore della legge) e un indemoniato? Ma a queste ingiurie così gravi si risentì forse nostro Signor Gesù Cristo e rispose forse a sua volta con ingiurie? Tutt’altro. Si contentò di negare la calunnia fattagli, e con parole così semplici e decorose da far conoscere che non c’era in Lui il minimo risentimento per l’oltraggio ricevuto. Rispose adunque: Io non sono un indemoniato, ma onoro il Padre mio, e voi mi avete vituperato. Ma Io non mi prendo pensiero della mia gloria; vi ha chi ne prende cura e ne farà vendetta. Che parole al tutto ammirabili! Che condotta eroica! Che mansuetudine! Si esalti pure fin che si voglia la mansuetudine di uomini illustri sotto le diverse forme in cui essa si mostra, di clemenza, di compassione e di dolcezza, si ammiri pure la mitezza di Socrate di fronte alle stranezze della sua moglie bisbetica: si lodi la bontà di Filippo il Macedone, che ad un soldato mormorante dietro la sua tenda non disse altro che di allontanarsi; si celebri la condotta di Alessandro verso il suo medico Filippo, verso la moglie di Dario e verso i mutilati prigionieri di Persepoli; si canti la clemenza di Scipione e di Augusto; si celebri la dolcezza di Cesare e di Tito; tutto ciò è meno che nulla rispetto alla mansuetudine incomparabile di cui Gesù Cristo ci ha dato esempio nel trattare con i suoi nemici e calunniatori, nel non risentirsi delle loro atroci ingiurie. – Or bene, o miei cari, possiamo dire di fare lo stesso anche noi, che siamo Cristiani e dobbiamo seguire gli esempi che Gesù Cristo ci ha dati? Ahimè! La nostra condotta è tutt’altra. Non appena abbiamo ricevuto una qualche offesa, l’amor proprio, che è il nostro maggior nemico, subito e in un attimo fa sentire la sua voce, e … vorrai, dice a ciascuno di noi, vorrai soffrire in pace tale ingiuria? vorrai ristarti dal renderle la pariglia? Ma se tu non ricambi quell’insulto, se tu non ripaghi quell’affronto, se tu non fai la vendetta, o i tuoi avversari o gli stessi tuoi amici diranno che sei un folle, che non sai fare le tue ragioni, che hai paura, diranno in una parola che sei un vile. Così parla l’amor proprio, quando si è stati offesi. Ed è appunto a questa parola dell’amor proprio, che non pochi Cristiani danno ascolto di preferenza che agli esempi di Gesù Cristo. Ora, o miei cari, è egli proprio vero che sia un vile colui che per mansuetudine non si risente delle offese ricevute? Ma era dunque un vile il nostro divinissimo Redentore? Furono vili tutti i Santi che seguirono con tanta esattezza questo suo esempio? Benché non è vero che il mondo reputi vile colui che è mansueto e perdona. Così faceva il mondo degli uomini stravolti di cervello, il mondo dei malvagi e dei viziosi, ma non già il mondo dei savi, dei buoni, dei ben pensanti, perciocché questo mondo ha sempre invece riguardato come vile colui che infuria e si vendica. Ed in vero non è proprio da vile il risentirsi e il vendicarsi, facendo così quello che fanno le bestie, quello che fa la vespa, che punge chi la stuzzica, quello che fa il mulo, che spranga calci contro chi lo percuote? Si, lo diceva già Aristotile, filosofo pagano: l’ira e la vendetta sono appetiti bestiali. Del resto, mettiamo pure che tutto il mondo, e buono e malvagio, ritenga per vile chi è mansueto e perdona. Che perciò? Anche facendo la figura dello sciocco, dell’uomo capace a nulla, del pauroso, del vigliacco, non si dovrà lo stesso essere mansueti e combattere i nostri sentimenti? Senza dubbio, perché alla fin fine si tratta di seguire l’esempio di Gesù Cristo, e per seguire l’esempio di Gesù Cristo bisogna far volentieri qualche sacrificio, qualora ci è richiesto. Ecché? si pretenderebbe di andar in Paradiso in carrozza? senza superare difficoltà, senza far opposizioni alle proprie inclinazioni? Il regno dei cieli, ha detto Gesù Cristo, patisce forza, e lo guadagnano coloro che si fanno violenza; Regnum Dei vim patitur et violentis rapiunt illud. Che anzi in Paradiso non si va assolutamente senza la mansuetudine, avendo pur detto lo stesso Gesù Cristo nel Vangelo di oggi: In verità, in verità vi dico: chi custodirà i miei insegnamenti, non vedrà morte in eterno; volendo pur dire per converso che chi non custodirà gl’insegnamenti suoi, tra i quali tiene un posto principalissimo questo di non risentirsi dello offese, vedrà la morte in eterno. Benché ciò non è ancor tutto, perché oltre all’eterna morte chi si risente e ascoltando i suoi risentimenti anela alla vendetta, si condanna altresì a menare quaggiù una vita di rabbia e di agitazione. E come può vivere tranquillo chi ha in cuore l’amarezza, l’odio, il livore, la brama di vendicarsi? È ancora per lui la pace, la gioia, la felicità? No, affatto! Più non dorme quieto la notte; di giorno, anche in mezzo agli affari, lo tormenta un pensiero funesto, tra gli stessi divertimenti una larva, che conturba, gli si para dinnanzi, la larva della sua inimicizia. E poi ha da sacrificare le compagnie, le adunanze, le ricreazioni dove pratica l’avversario; deve evitare quelle strade per dove egli passa, deve star pronto a voltare la faccia quando lo incontra; e quando pure è riuscito a umiliarlo, a vendicarsi di lui, più che mai deve temere, che o egli o i suoi parenti, o i suoi amici preparino di ripicco un’altra vendetta. E questa condizione di vita non è un inferno anticipato? E non è dunque meglio le mille volte essere mansueti, non risentirsi e lasciar a Dio la cura di vendicarci? Su, adunque, decidiamoci una buona volta d’imitare anche in questo la condotta di Gesù Cristo.

3. Ma torniamo ancora una volta al Vangelo. Dopo aver riferite quelle ultime parole da Gesù indirizzate ai Giudei: Chi custodirà i miei insegnamenti non vedrà morte in eterno; prosegue narrando che a tale sentenza i Giudei dissero a Gesù: Adesso riconosciamo che tu sei un indemoniato. Abramo morì, e morirono i profeti; e tu dici: Chi custodirà i miei insegnamenti, non gusterà morte in eterno. Sei tu forse da più, del padre nostro Abramo, il quale morì? e dei profeti che morirono? Chi pretendi tu di essere? Rispose Gesù: Se Io glorifico me stesso, la mia gloria è un niente; è il Padre mio quello che mi glorifica, il quale voi dite che è vostro Dio. Ma non l’avete conosciuto; Io sì, che lo conosco: e se dicessi che non lo conosco, sarei bugiardo, come voi! Ma lo conosco, e osservo le sue parole. Abramo, il padre vostro sospirò di vedere questo giorno: lo vide (da lontano per particolar rivelazione) e ne tripudiò. Gli disser però i Giudei: tu non hai ancora cinquantanni, e hai veduto Abramo? Gesù disse loro: In verità vi dico: prima che fosse fatto Abramo, io sono. Diedero perciò di piglio a de’ sassi per tirarglieli: ma Gesù si nascose e uscì dal tempio. – Gesù Cristo adunque dicendo: Io sono prima che fosse Abramo, fa intendere l’eternità della sua essenza, che cioè in Lui, come Dio, non c’è tempo passato e futuro, ma tutto presente. Così pure con la stessa asserzione fa capire, che Egli non riceve l’esistenza, come l’ha ricevuta il patriarca Abramo; che perciò non è una semplice creatura, ma Colui che è, vale a dire Iddio sommo ed infinito; insomma Egli dichiara apertamente la sua divinità. Ed è appunto perciò, perché si dice chiaramente Dio, che i Giudei, ostinandosi a non volerlo riconoscere come tale e riguardandolo come bestemmiatore, danno di mano ai sassi per lapidarlo. Ma a questo atto dei Giudei che cosa fa Gesù Cristo! Afferma ancora una volta la sua divinità con un miracolo, col nascondersi cioè miracolosamente ai loro sguardi e con l’uscire così tranquillamente dal recinto del tempio, senza che quei malvagi possano fargli alcun male. Ora con quest’ultima prova, che in questa circostanza Gesù Cristo diede della divinità sua, non sembra aver voluto rendere inescusabìli quei Giudei della loro malvagia ostinazione nel non volerlo riconoscere per Dio? Sì senza dubbio. Ma qui riflettiamo, che Gesù Cristo continua a far la stessa cosa anche ai dì nostri con tanti peccatori, i quali si ostinano nei loro peccati. In quante maniere prova loro che Egli è Dio, sommamente degno di essere conosciuto, amato e servito come tale! Con quanti mezzi li sprona a compiere questi doveri! Quante illustrazioni manda loro, perché riconoscano di essere nell’inganno servendo il demonio e accontentando le loro passioni! Con quante ispirazioni li anima a risorgere dall’abisso in cui si trovano! Insomma sono grazie sopra grazie, che Egli va facendo loro incessantemente, di modo, che se essi non lo assecondano e continuando ad ostinarsi nelle loro colpe, finiranno per andare un giorno dannati nel fondo dell’inferno, là certamente non potranno muovere lamento contro la bontà di Dio, ma in quella vece dovranno riconoscere di essere affatto inescusabili della loro perdizione e sentirsi perciò ciascuno risuonare di continuo all’orecchio quella tremenda sentenza: Perditio tua ex te: La perdizione tua è interamente opera tua. Or bene, miei cari, se non vogliamo un giorno trovarci nel numero di questi sventurati, facciamo ora gran conto delle grazie di Dio e delle tante maniere con cui Egli ci mostra il dovere che abbiamo di riconoscerlo per quello che è, e di amarlo come si merita. Se per sventura pel passato ci siamo induriti anche noi nella colpa, spezziamo ora i nostri cuori col dolore dell’offesa che abbiamo recato a Dio, e promettendogli di non più offenderlo in avvenire cominciamo subito adesso una vita tale, che riesca una confessione solenne, di parole e di fatto, della sovranità che Iddio ha sopra di noi sue creature.

Credo …

 Offertorium

Orémus Ps CXVIII:17, 107

Confitébor tibi, Dómine, in toto corde meo: retríbue servo tuo: vivam, et custódiam sermónes tuos: vivífica me secúndum verbum tuum, Dómine. [Ti glorífico, o Signore, con tutto il mio cuore: concedi al tuo servo: che io viva e metta in pràtica la tua parola: dònami la vita secondo la tua parola.]

Secreta

Hæc múnera, quaesumus Dómine, ei víncula nostræ pravitátis absólvant, et tuæ nobis misericórdiæ dona concílient. [Ti preghiamo, o Signore, perché questi doni ci líberino dalle catene della nostra perversità e ci otténgano i frutti della tua misericórdia.]

 Communio

1 Cor XI: 24, 25

Hoc corpus, quod pro vobis tradétur: hic calix novi Testaménti est in meo sánguine, dicit Dóminus: hoc fácite, quotiescúmque súmitis, in meam commemoratiónem. [Questo è il mio corpo, che sarà immolato per voi: questo càlice è il nuovo patto nel mio sangue, dice il Signore: tutte le volte che ne berrete, fàtelo in mia memoria.]

Postcommunio

Orémus.

Adésto nobis, Dómine, Deus noster: et, quos tuis mystériis recreásti, perpétuis defénde subsidiis. [Assístici, o Signore Dio nostro: e difendi incessantemente col tuo aiuto coloro che hai ravvivato per mezzo dei tuoi misteri.]

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: sulla CONTRIZIONE

SERMONE PER LA DOMENICA DI PASSIONE (*)

(*) Il testo originale è nel I volume di:

SERMONS du Vénérable Serviteur de Dieu

J.-B.-M. VIANNEY CURÉ D’ARS

PARIS LIBRAIRIE VICTOR LECOFFRE, 90 RUE BONAPARTE. ——- LYON LIBRAIRIE CHRÉTIENNE(Ancienne Maison BAUCHU) ED. RUBAN, PLACE BELLECOUR, 6 –

APPROBATION.

Archevêche De LYON  –  Lyon, 20 août 1882.

f L. M. Card. CAVEROT, Archevêque de Lyon.

L’opera è pubblicata in rete da: Bibliothèque Sain Libère – htpp: www. liberius.net –

© Bibliothèque Saint Libèr 2011 (Toute reproduction à but non lucrative est autorisée- si autorizza ogni riproduzione senza fini di lucro).

La traduzione italiana è redazionale, ma confrontata con la versione italiana di Giuseppe D’Isengard F. d. M. in “I SERMONI DEL B° GIOVANNI B. M. VIANNEY, Curato d’Ars”. Libreria del Sacro Cuore – Rimpetto ai Ss. Martiri -, Torino, 1907 (Tip. Salesiana, via Cottolengo, 32)

Nihil obstat,

Torino, 5 aprile 1908 Teol. Coll. Giacomo Sacchieri, prete della Missione, Revisore delegato.

Imprimatur

Torino, 8 Aprile 1908, Can. Ezio Gastaldi-Santi Provic. Gen.

[N.B.: Si diffidano i fedeli “veri” Cattolici dal consultare altre versioni di a-cattolici modernisti, in particolare gli scismatici eretici aderenti alla setta del Novus ordo, in comunione con gli antipapi usurpanti attuali, non dotate né di Nihil obstat né dell’Imprimatur canonico imposto dalla Costituzione Apostolica “Officiorum ac Munerum” di S. S. Leone XIII, e dall’Enciclica “Pascendi” di S. S. San Pio X, passibili quindi di SCOMUNICA “ipso facto” latæ sententiæ riservata in modo speciale alla Sede Apostolica. … intelligenti pauca!

Sulla Contrizione.

Vaæ mihi, quia peccavi nimis in vita mea.

[Guai a me, perché ho peccato molto nella vita mia]

 (Da Le Confes. di S. Agostino, lib. II, c. 10.)

Questo era, fratelli miei, il linguaggio di San Agostino quando ricordava gli anni della sua vita, durante i quali era sprofondato con tanto furore nelle vita infame dell’impurità. « Ah! Guai a me perché ho peccato molto nei giorni della vita mia! » Ed ogni volta che gli veniva questo pensiero, si sentiva il cuore lacerato e distrutto dal rimpianto. « O DIO mio! – esclamava – una vita passata senza amarvi! O DIO mio, quanti anni perduti! Ah! Signore, degnatevi, vi scongiuro, di non ricordarvi più delle mie colpe passate! » Ah! lacrime preziose, ah! rimorsi salutari che d’un gran peccatore, han fatto un grande Santo. Oh! Un cuore distrutto dal dolore ha riguadagnato ben presto l’amicizia del suo DIO! Ah! piacque a Dio che ogni qualvolta poniamo i nostri peccati davanti agli occhi, noi possiamo dire, come con lo stesso rimorso di San Agostino: Ah! Guai a me perché ho molto peccato durante gli anni della mia vita! DIO mio, usatemi misericordia! Oh! Le nostre lacrime subito coleranno e la nostra vita non sembrerà più la stessa! Sì, fratelli miei, conveniamo tutti, quanti siamo, con dolore e sincerità, che siamo dei criminali degni di portare tutta la collera di un DIO giustamente irritato dai nostri peccati, che forse sono più numerosi dei capelli della nostra testa. Ma benediciamo sempre la misericordia di DIO che ci apre nei suoi tesori una risorsa ai nostri malanni! Sì, fratelli miei, benché grandi siano i nostri peccati, occorre che il nostro rimorso racchiuda quattro qualità: 1° bisogna che il peccatore odi e detesti sinceramente i suoi peccati con la contrizione; 2° che abbia concepito un fermo proposito di non ricadervi mai più; 3° che ne faccia un’umile dichiarazione al ministro del Signore; e 4° che ripari, per quanto può, l’ingiuria fatta a DIO ed il torto fatto al prossimo.

I. Per farvi comprendere ciò che è la contrizione, cioè il dolore che dobbiamo avere dei nostri peccati, bisognerebbe poter farvi conoscere, da un lato l’orrore che ne ha DIO in se stesso, i tormenti che Egli ha sofferto per noi per ottenerne il perdono presso il Padre; e dall’altra i beni che perdiamo peccando ed i mali che ci attiriamo per l’altra vita, e questo non sarà mai dato all’uomo comprenderlo. Dove devo condurvi, fratelli miei, per farvelo comprendere? Forse in fondo al deserto, dove grandi Santi vi hanno passato venti, trenta, quaranta, cinquanta ed anche ottanta anni a piangere delle colpe che secondo il mondo non sono colpe? Ah! No, no, il vostro cuore non sarebbe ancora toccato! Forse alla porta dell’inferno per ascoltare le grida, le urla ed i digrignamenti dei denti causati dal solo rimorso del loro peccato? Ah! dolore amaro, ma dolore e rimorso infruttuoso ed inutile! Ah! No, fratelli miei, non è ancor là ove imparerete a piangere i vostri peccati con il dolore ed il rimorso che dovete averne! Ah! Ma è ai piedi di questa Croce ancora tinta del sangue prezioso di un DIO che non lo ha sparso se non per cancellare i nostri peccati. Ah! se mi fosse permesso di condurvi in questo giardino di dolori dove un DIO uguale a suo Padre piange i nostri peccati, non con lacrime ordinarie, ma con tutto il suo sangue che imporpora tutti i pori del suo corpo, ed ove il suo dolore fu sì violento da gettarlo in una agonia che sembrava togliergli la vita e distruggergli il cuore. Ah! se potessi condurvi alla sua sequela, mostrarvelo caricato della sua Croce nelle vie di Gerusalemme: tanti passi, altrettante cadute, … e tante volte rialzato a pedate! Ah! se potessi farvi avvicinare a questo Calvario dove un DIO muore piangendo i nostri peccati! Ah! diremmo ancora: bisognerebbe che DIO ci donasse questo amore ardente del quale aveva infiammato il cuore del grande Bernardo, al quale la sola vista della Croce faceva versare lacrime con tanta abbondanza! Ah! bella e preziosa contrizione! Felice è colui che la possiede! Ma a chi sto per parlarne, chi è colui che la racchiude nel suo cuore? Ahimè! Io non lo so! Sarebbe a questo peccatore indurito che forse da venticinque, trenta anni, ha abbandonato il suo DIO e la sua anima. Ah! no, no, sarebbe fare come chi vorrebbe ammorbidire una roccia gettandovi sopra dell’acqua, mentre non farebbe che indurirla ancor più. Sarebbe a questo Cristiano che ha disprezzato missioni, ritiri e giubilei e tutte le istruzioni dei suoi pastori? Ah! no, no, sarebbe come voler riscaldare dell’acqua mettendola nel ghiaccio. Sarebbe a queste persone che si contentano di fare le loro pasque continuando il loro genere di vita, che tutti gli anni hanno sempre gli stessi peccati da raccontare? Ah! no, no, queste sono delle vittime che la collera di DIO impingua per servire da alimento alle fiamme eterne. Ah! diciamo meglio, essi sono simili a criminali che hanno gli occhi bendati e che, aspettando di essere giustiziati, si danno a tutto ciò che il loro cuore corrotto può desiderare. Sarebbe ancora a questi Cristiani che si confessano ogni tre settimane od ogni mese, e che ogni giorno ricadono? Ah! no, questi sono dei ciechi che non sanno né quel che fanno, né ciò che devono fare. A chi dunque potrei indirizzare la parola? Ahimè, io non saprei … o DIO  mio! dove bisogna andare per trovarla, a chi farla domandare? Ah! Signore, io so essa da dove viene e chi la dà; essa viene dal cielo e siete Voi che la date. O mio DIO! Dateci, se vi piace, questa contrizione che distrugge e divora i nostri cuori. Ah! questa bella contrizione che disarma la giustizia di DIO, che cambia la nostra eternità dannata in una eternità felice! Ah! Signore, non rifiutateci questa contrizione che ci rende prontamente l’amicizia di DIO! Ah! bella virtù, quanto sei necessaria, ma come sei rara! Tuttavia, senza di essa, non c’è perdono, senza di essa, non c’è il cielo; diciamo di più, senza di essa, per noi tutto è perduto, penitenze, carità, elemosine e tutto ciò che possiamo fare. Ma pensate in voi stessi, cosa vuol dire tutto questo, cos’è questa parola “contrizione”, e se forse necessita il conoscere se la si abbia? – Amico mio, desiderate saperlo? Eccolo. Ascoltatemi un momento: andate a vedere se l’avete oppure no, ed in seguito il mezzo per averla. Entriamo in un semplice dettaglio: se voi mi chiedeste: che cos’è la contrizione? Io vi direi che è un dolore dell’anima ed un detestare i peccati commessi con una risoluzione ferma di non ricadervi più. Sì, fratelli miei, questa disposizione è la più necessaria di tutte quelle che DIO domanda onde perdonare il peccato; non solo essa è necessaria ma, aggiungo ancora, che  nulla può dispensarcene. Una malattia che ci tolga l’uso della parola può dispensarci dalla Confessione, una morte rapida può dispensarci dalla soddisfazione, almeno in questa vita; ma non è lo stesso per la contrizione; senza di essa è impossibile, assolutamente impossibile, ottenere il perdono dei propri peccati. Sì, fratelli miei, noi possiamo dire gemendo che è questo difetto di contrizione che è la causa di un numero infinito di Confessioni e di Comunioni sacrileghe; ma ciò che ancora è più deplorevole è che non ce ne si accorge quasi mai, e che si vive e si muore in questo miserevole stato. Sì, fratelli miei, nulla di più facile da comprendere. Se abbiamo avuto la sventura di cadere in peccato nelle nostre Confessioni, questo crimine ci è continuamente davanti agli occhi come un mostro che sembra divorarci, cosa che fa che sia ben raro che non ce ne scarichiamo una volta o l’altra. Ma per la contrizione, non è lo stesso; noi ci confessiamo, il nostro cuore non è per niente coinvolto nell’accusa che facciamo dei nostri peccati, riceviamo l’assoluzione, ci avviciniamo alla santa mensa con un cuore freddo, ben insensibile, indifferente, come se venissimo a fare la recita di una storiella; andiamo di giorno in giorno, di anno in anno, infine arriviamo alla morte e crediamo di aver fatto un qualche bene; noi non troviamo e non vediamo che crimini ed i sacrilegi che le nostre Confessioni hanno partorito. O DIO mio! Quante cattive Confessioni per difetto di contrizione! O DIO mio, quanti Cristiani che nell’ora della morte non trovano che Confessioni indegne! Ma non andiamo oltre, temo di turbarvi; io dico turbarvi. Ah! È ben al presente che bisognerebbe portarvi a due dita di disperazione affinché, colpiti dal vostro stato, possiate ripararlo senza aspettare il momento in cui lo conoscerete senza poter più riparare. Ma veniamo, fratelli miei, alla spiegazione e vedrete se, ogni qual volta vi siate confessati, avete avuto il dolore necessario, assolutamente necessario per avere la speranza che i vostri peccati siano perdonati. Io dico: 1° la contrizione è un dolore dell’anima. Bisogna necessariamente che il peccatore pianga i suoi peccati, o in questo mondo o nell’altro. In questo mondo voi potete cancellarli con il rimorso che ne sentite, ma non nell’altro. O quanti di noi, dovremo essere riconoscenti alla bontà di DIO di questo! In luogo dei rimorsi eterni e dei dolori i più laceranti che meritiamo di soffrire nell’altra vita, cioè nell’inferno, DIO si contenta solamente che i nostri cuori siano toccati da un vero dolore, seguito poi da una gioia eterna! O DIO mio! Voi vi contentate di ben poca cosa!

1° io dico che questo dolore deve avere quattro qualità, se ne manca una sola, noi non possiamo ottenere il perdono dei nostri peccati. La sua prima qualità: deve essere interiore, cioè venire da profondo del cuore. Essa non consiste dunque nelle lacrime, anhe se esse sono buone ed utili, è vero; ma non sono necessarie. In effetti, quando San Paolo ed il Buon ladrone si sono convertiti, non è detto che essi abbiano pianto, ma il loro dolore è stato sincero. No! fratelli miei, non è sulle lacrime che bisogna contare: esse sono spesso ingannevoli, molte persone piangono nel tribunale della Penitenza e poi ricadono alla prima occasione. Ma il dolore che DIO richiede da noi … eccolo! Ascoltate ciò che dice il Profeta Gioele: « Avete il dolore del peccato? Ah! figli miei, distruggete e lacerate il vostro cuore con i rimorsi! » – « Se avete perso il Signore con i vostri peccati, ci dice Mosè, cercatelo con tutto il vostro cuore nell’afflizione e nell’amarezza del vostro cuore. » Perché, fratelli miei, DIO vuole che il nostro cuore si penta? Non è il cuore nostro che ha peccato: ma è dal nostro cuore, dice il Signore, che sono nati tutti questi cattivi pensieri, questi desideri cattivi; bisogna dunque assolutamente che, se il nostro cuore ha fatto il male, si penta, altrimenti DIO non ci perdonerà mai.

2° Io dico poi che bisogna che il dolore che dobbiamo sentire per i nostri peccati, sia soprannaturale, cioè che sia lo Spirito Santo che lo ecciti in noi, e non delle cause naturali. Distinguo: essere afflitti per aver commesso un tal peccato, perché ci esclude dal Paradiso e merita l’inferno: questi motivi sono sovrannaturali, è lo Spirito Santo che ne è l’autore; questo può condurci ad una vera contrizione. Ma affliggersi a causa della vergogna che il peccato necessariamente genera in sé, come i mali che esso ci attira, come la vergogna di una fanciulla che ha perso la sua reputazione, o di un’altra persona che è stata sorpresa a derubare il suo vicino; tutto questo non è che un dolore puramente naturale che non ci merita il perdono. Da qui è facile concepire che il dolore dei nostri peccati, il pentimento dei nostri peccati, può venire o dall’amore che abbiamo per Dio, o dal timore dei castighi. Colui che nel suo pentimento non considera che DIO, questi ha una contrizione perfetta, condizione così eminente da purificare il peccatore da se stessa ancor prima di aver ricevuto la grazia dell’assoluzione, qualora sia nella disposizione di riceverla appena può. Ma per colui che non ha il pentimento dei propri peccati, se non per i castighi che i suoi peccati gli attirano, ha solo una contrizione imperfetta che non lo giustifica, ma solo lo dispone a ricevere la sua giustificazione nel Sacramento della Penitenza.

Terza condizione della contrizione: essa deve essere sovrana, vale a dire più grande di tutti i dolori, più grande, direi, di quello che noi proviamo alla perdita dei nostri genitori e della nostra salute, e generalmente di tutto ciò che abbiamo di più caro al mondo. Se dopo aver peccato, non avete questo intenso rimorso, tremate per le vostre Confessioni. Ahimè! Quante volte per la perdita un oggetto di nove o dieci soldi, si piange, ci si tormenta tanti giorni, fino a non voler mangiare … Ahimè, e per i peccati, e spesso per peccati mortali, non si verserà né una lacrima né si emetterà un sospiro. O DIO mio, l’uomo conosce così poco quel che fa peccando! – Ma perché, direte, il nostro dolore deve essere così grande? – Amico mio, eccone il motivo: esso deve essere proporzionata alla grandezza della perdita che noi attuiamo ed alla rovina alla quale ci conduce il peccato. Pertanto, giudicate quale debba essere il dolore, dal momento che il peccato ci fa perdere il cielo con tutte le sue dolcezze. Ah! Cosa dico? Ci fa perdere il nostro DIO con tutte le sue amicizie e ci precipita nell’inferno, che è la più grande di tutte le sventure! – Ma voi pensate: come si può dunque riconoscere se questa contrizione vera sia in noi? È cosa molto facile! Se veramente l’avete, voi non agirete, non penserete come in precedenza, essa avrà cambiato totalmente la vostra maniera di vivere: odierete ciò che avete amato, ed amerete ciò che avete fuggito e disprezzato; vale a dire voi avete confessato di avere avuto dell’orgoglio nelle vostre azioni e nelle vostre parole? Bisogna ora che facciate comparire in voi una bontà, una carità per tutti. Non occorre che siate voi a giudicare se avete fatto una buona Confessione, perché potreste facilmente ingannarvi; ma occorre che le persone che vi hanno visto o inteso prima della vostra confessione, possano dire: non è più lo stesso; è avvenuto in lui un grande cambiamento! Ahimè! DIO mio! Dove sono queste confessioni che operano questo bene così grande? Oh! Quanto sono rare; ma lo sono pure quelle che sono fatte con tutte le disposizioni che DIO richiede! Confessiamolo, fratelli miei, a nostra confusione, che se sembriamo così poco toccati, questo non può che venire che dalla nostra poca fede e dal nostro poco amore che abbiamo per DIO. Ah! se avessimo la fortuna di comprendere quanto DIO sia buono e quanto il peccato sia enorme, e quanto nera è la nostra ingratitudine nell’oltraggiare un Padre così buono, ah! Senza dubbio sembreremmo afflitti ben altrimenti di come non lo siamo. Ma – voi direte – io vedrò di averla, questa contrizione, quando mi confesso e non posso averla. Ma cosa ho detto all’inizio? Non vi ho già detto che essa viene dal cielo, e che è a DIO che bisogna chiederla? Cosa hanno fatto i Santi, amico mio, per meritare questa felicità di piangere i loro peccati? Essi l’hanno chiesta a Dio con il digiuno, la preghiera, con ogni tipo di penitenza e di opere buone, poiché non dovete contare affatto sulle vostre lacrime. Io vado a provarvelo: aprite i libri santi e ne sarete convinti. Vedete Antioco, quanto piange, quanto chiede misericordia, e tuttavia lo Spirito Santo ci dice che piangendo, egli discese all’inferno. Vedete Giuda, egli ha concepito un sì grande dolore del suo peccato, lo piange con tale abbondanza che finisce per perdersi. Vedete Saul, egli lancia le sue gride dolenti per aver avuto la disgrazia di disprezzare il Signore, tuttavia egli è nell’inferno. Vedete Caino, le lacrime che versa dopo aver peccato, tuttavia egli brucia. Chi di noi, fratelli miei, che avrebbe visto scendere tutte le sue lacrime e pentirsi, non avrebbe creduto che il buon Dio non gli avesse perdonato; tuttavia nessuno di essi ne è stato perdonato; ecco che Davide invece, appena ebbe detto: « Io ho peccato; » subito il suo peccato gli viene rimesso. – E perché questo, voi direte? Perché questa differenza, i primi non furono perdonati, mentre Davide lo è? – Amico mio eccolo: è per il fatto che i primi non si pentono e non detestano i loro peccati se non a causa dei castighi e dell’infamia che il peccato produce necessariamente con sé, e non in rapporto a Dio; invece Davide pianse i suoi peccati non a causa dei castighi che il Signore stava per fargli subire, ma alla vista degli oltraggi che i suoi peccati avevano fatto a Dio. Il suo dolore fu così vivo e sincero che Dio non gli poté rifiutare il suo perdono. Avete voi chiesto a Dio la contrizione prima di confessarvi? Ahimè, forse non lo avete fatto mai! Ah! tremate per le vostre Confessioni; ah! quanti sacrilegi, DIO mio! Quanti Cristiani dannati! 

4° Essa deve essere universale. Nella vita dei Santi è riportato, sul soggetto del dolore universale che noi dobbiamo avere dei nostri peccati, che se non li detestiamo tutti, non saranno perdonati né gli uni, né gli altri. Si riporta che San Sebastiano, stante a Roma e facendo dei miracoli i più strepitosi che riempivano di ammirazione, il governatore Cromo che, in questo tempo era affetto da grave infermità, desiderò ardentemente di vederlo, per chiedergli la guarigione dai suoi mali. Quando il Santo fu davanti a lui: è da molto tempo che gemo, coperto di piaghe, senza aver trovato un uomo al mondo capace di liberarmi; corre voce che voi otteniate tutto ciò che volete dal vostro DIO, … se volete domandargli la mia guarigione, io vi prometto che mi farò Cristiano. Ebbene! gli dice il Santo, se voi siete in questa determinazione, io vi prometto, da parte del DIO che io adoro, che è il Creatore del cielo e della terra, che dal momento che avrete distrutto tutti i vostri idoli, sarete perfettamente guarito. Il governatore gli dice: Oh! non solo io sono pronto a fare questo sacrificio, ma ancor di più se esso è necessario. Essendosi separati l’uno dall’altro, il governatore cominciò a distruggere i suoi idoli; l’ultimo che prese per eliminarlo, gli sembrò però così rispettabile, che non ebbe il coraggio di distruggerlo, e si persuase che questa riserva non impedisse la sua guarigione. Ma permanendo i suoi dolori più violenti che mai, andò a trovare il Santo facendogli i rimproveri più obbrobriosi perché, dopo aver distrutto i suoi idoli, come gli aveva comandato, ben lungi dal guarire, soffriva ancor di più. Ma – gli dice il Santo – li avete distrutti tutti senza riservarne alcuno? Allora egli lo prende e lo distrugge, e nello stesso istante è guarito. Ecco, fratelli cari, un esempio che ci ilumina sulla condotta di un numero pressoché infinito di perdone che si pentono di certi peccati, ma non di tutti e che, similmente a questo governatore, ben lungi dal guarire le piaghe che il peccato ha prodotto alla loro povera anima, ne fanno di più profonde; e fintanto che non avranno fatto come lui, distrutto cioè anche questo ultimo idolo, vale a dire infranto quella abitudine a certi peccati, finché non avranno lasciato quella cattiva compagnia, questo orgoglio, questo desiderio di piacere, questo attaccamento ai beni della terra, tutte le loro Confessioni non faranno che aggiungere crimini su crimini, sacrilegi a sacrilegi. Ah! DIO mio, che orrore e che abominio! Ed in questo stato essi vivono tranquilli, mentre il demonio prepara loro un posto nell’inferno! – Noi leggiamo nella storia un esempio che ci mostra quanto i Santi riguardassero questo dolore dei nostri peccati, come necessario per ottenere il loro perdono. Essendosi un ufficiale del Papa ammalato, il Santo Padre, che molto lo stimava per la sua virtù e santità, gli inviò uno dei suoi Cardinali per testimoniargli il dolore che gli causava la sua malattia, e nello stesso tempo applicargli le indulgenze plenarie. Ahimè, dice il morente al Cardinale, riferite al Santo Padre che io gli sono infinitamente riconoscente per la tenerezza del suo cuore verso di me, ma ditegli pure che io sarei infinitamente più felice se egli volesse domandare a DIO per me la contrizione dei miei peccati. Ahimè! esclamò, a cosa mi servirà tutto questo se il mio cuore non si lacera e si distrugge dal dolore per avere offeso un DIO così buono! O mio DIO! … Gridò questo povero morente, fate, se possibile, che il dolore dei miei peccati eguagli gli oltraggi che vi ho fatto! … Oh! Fratelli miei, quanto questi dolori sono rari, ed ahimè quanto rare sono le buone confessioni! Sì, fratelli miei, un Cristiano che ha peccato e che vuol ottenerne il perdono deve essere nella disposizione di soffrire le crudeltà più atroci, piuttosto che ricadere nei peccati che sta per confessare. 1° Io cerco di provarvelo con un esempio, e se, dopo esserci confessati, noi non siamo in queste disposizioni, nessun perdono … Leggiamo nella storia del quarto secolo che Sapore, imperatore dei Persiani, divenuto il più crudele nemico dei Cristiani, ordinò che tutti i sacerdoti che non adorassero il sole e non lo riconoscessero come Dio, sarebbero stati messi a morte. Il primo che fece prendere fu l’Arcivescovo di Seleucia, che era San Simone. Iniziò col provare a sedurlo con ogni tipo di promesse. Non potendo cavarne nulla, nella speranza di convincerlo, gli mostrò tutti i tormenti che la sua crudeltà aveva potuto inventare per far soffrire i Cristiani, dicendogli che, se la sua ostinazione gli faceva rifiutare quel che egli comandava, l’avrebbe fatto passare per sì atroci e rigorosi tormenti onde farlo obbedire, e per di più avrebbe eliminato tutti i Sacerdoti ed i Cristiani del suo regno. Ma vedendolo così fermo come roccia in mezzo ai mari battuti dalle tempeste, lo fece condurre in prigione nella speranza che il pensiero dei tormenti che gli venivano preparati, gli avrebbero fatto cambiare sentimento. Lungo il cammino egli incontrò un vecchio eunuco che era sovrintendente dal palazzo imperiale. Costui, preso da compassione nel vedere un santo Vescovo trattato tanto indegnamente, si prosternò davanti a lui per testimoniargli il rispetto per lui, di cui era pieno. Ma il Vescovo, ben lungi dal sembrare sensibile alla testimonianza rispettosa di questo eunuco, si voltò dall’altra parte per rimproverargli il crimine della sua apostasia, perché un tempo egli era Cristiano e Cattolico. A questo rimprovero che non si aspettava, egli fu così sensibile, gli penetrò sì vivamente il cuore, che nello stesso istante non fu più padrone delle sue lacrime, né dei suoi singhiozzi. Il crimine della sua apostasia gli sembrò così odioso, che dismise gli abiti bianchi di cui era rivestito e ne indossò dei neri, corse come un disperato a gettarsi fuori dalla porta del palazzo e là, darsi a tutti i rimorsi e ad dolore più lacerante. Ah! disgraziato, cosa stai per fare? Ahimè! Quali castighi devi aspettarti da Gesù-Cristo al quale hai rinunciato, se costui è stato così sensibile al rimprovero di un Vescovo che non è che il ministro di Colui che hai così ignominiosamente tradito … Ma l’imperatore avendo appreso tutto quel che succedeva, stupefatto da questo spettacolo, gli domandò: « Qual è la causa dunque del tuo dolore e di tante lacrime? » – Ah! piuttosto a Dio, egli esclamò, che tutte le disgrazie ed i malanni del mondo mi fossero tutti addosso, piuttosto ciò che è la causa del mio dolore. Ah! io piango per il fatto che non sia morto. Ah! potrò ancora guardare il sole che ho la sventura di adorare, temendo di dispiacervi? – L’imperatore che lo amava a causa della sua fedeltà, tentò se potesse convincerlo promettendogli ogni sorta di beni e di favori. – Ah! no, no, gridò: ah! sarò molto felice se posso, con la mia morte, riparare agli oltraggi che ho fatto a Dio, e ritrovare il cielo che ho perduto. O DIO mio e mio Salvatore, abbiate ancora pietà di me! Ah! se almeno avessi mille vite da darvi per testimoniarvi il mio rimorso ed il mio ritorno! – L’imperatore che sentì il linguaggio che teneva, moriva di rabbia e, disperando di poterlo convincere, lo condannò a morire tra i supplizi. Ascoltatelo … andando al supplizio: « Ah! Signore, quale felicità morire per voi; sì, DIO mio, se ho avuto la sventura di rinunciare a Voi, almeno avrò la felicità di dare la mia vita per Voi! » Ah! dolore sincero, dolore possente, che gli aveva tanto prontamente riguadagnato l’amicizia del mio DIO! … Leggiamo nella vita di Santa Margherita, che ebbe un sì grande dolore di un peccato che aveva commesso in gioventù, che ne pianse per tutta la vita: essendo ormai vicino alla morte, le si domandò quale fosse il peccato che aveva commesso e che le aveva fatto versare tante lacrime. « Ahimè! Esclamò ella piangendo, come potrei io non piangere! All’età di cinque o sei anni, ebbi la sventura di dire una bugia a mio padre. » Ma, le si disse, non c’era tanto di che piangere. « Ah! tenermi un simile linguaggio! Voi dunque non avete mai concepito ciò che è il peccato, l’oltraggio che si fa a DIO e i malanni che ci attira? » Ahimè, fratelli miei, cosa sarà per noi, se tanti Santi hanno fatto sentire i loro gemiti alle rocce ed ai deserti, hanno formato per così dire dei fiumi con le loro lacrime per peccati di cui noi ci facciamo gioco, mentre noi abbiamo commesso dei peccati mortali forse più numerosi dei capelli della nostra testa? E non una lacrima di dolore e pentimento! Ah! triste accecamento a cui ci hanno condotto i nostri peccati. – Noi leggiamo nella vita dei Padri del deserto, che un ladro chiamato Gionata, perseguito dalla giustizia, corse a nascondersi nei pressi della colonna di San Simeone Stilita, sperando che il rispetto che si teneva per il Santo, gli garantisse lo sfuggire alla morte. In effetti nessuno osò toccarlo; essendosi il Santo posto in preghiera per chiedere a Dio la sua conversione, nel momento stesso, egli risentì un dolore sì vivo dei suoi peccati, che per giorni e notti non fece che piangere. Il Santo gli disse: « Amico mio, tornate nel mondo a ricominciare con i vostri disordini. » – Ah! DIO mi preservi da questo malanno; io vi domando che fare per andarmene in cielo; io ho visto Gesù Cristo che mi ha detto che tutti i miei peccati mi erano perdonati dal gran dolore che ne ho sentito. – « Andate, figlio mio, gli disse il Santo; andate a cantare nel cielo le grandi misericordie di Dio per voi. » In questo momento egli cade morto, ed il Santo riporta egli stesso di aver visto Gesù-Cristo che conduceva la sua anima al cielo. O morte bella e preziosa, il morire con il dolore di avere offeso DIO! Ah! se almeno noi non moriamo di dolore come questi grandi penitenti, vogliamo fratelli miei, eccitarci ad una vera contrizione, imitiamo questa santo Vescovo morto ultimamente, che ogni volta che si presentava al tribunale delle penitenza per avere un vivo dolore dei propri peccati, faceva tre stazioni: la prima in inferno, la seconda in cielo, la terza sul Calvario. Dapprima portava il suo pensiero in questi luoghi di orrore e di tormento, e figurava di vedere i dannati che vomitavano torrenti di fiamme dalla bocca, che urlavano divorandosi gli uni con gli altri; questo pensiero gli ghiacciava il sangue nelle vene, e credeva di non poter più vivere alla vista di un tale spettacolo, soprattutto considerando che i suoi peccati avevano varie volte meritato questi supplizi. Da qui il suo spirito si portava nel cielo e faceva la rivista di tutti quei troni di gloria sui quali erano seduti i Beati, e si rappresentava le lacrime che essi avevano sparso e le penitenze che avevano fatto durante la loro vita per peccati così leggeri e che egli stesso aveva commesso tante volte senza far nulla per espiarli, cosa che lo faceva piombare in una tristezza così profonda che sembrava che le sue lacrime non potessero più asciugarsi. Non contento di tutto ciò dirigeva i suoi passi sul luogo del Calvario e là, man mano che i suoi sguardi si avvicinavano alla Croce, ove un DIO era morto per lui, le forze gli mancavano, restava immobile alla vista delle sofferenze che i suoi peccati avevano causato al suo DIO. In ogni istante lo si sentiva ripetere queste parole con dei singhiozzi: « DIO mio, DIO mio, posso mai vivere ancora considerando gli orrori che i miei peccati vi hanno causato? » Ecco, fratelli miei, ciò che possiamo chiamare una vera contrizione, perché vediamo che egli non considera i suoi peccati che in rapporto a DIO.

II. — Abbiamo detto che una vera contrizione deve racchiudere un buon proposito, cioè una ferma risoluzione di non peccare più per l’avvenire; occorre che la nostra volontà sia determinata e che non ci sia il benché minimo desiderio di allontanarsene; non si otterrà mai il perdono dei propri peccati se non vi si rinunzia con tutto il cuore. Noi dobbiamo essere nello stesso sentimento del santo Re-Profeta: « Sì, DIO mio, io vi ho promesso di essere fedele nell’osservare i vostri comandamenti: e vi sarò fedele con il soccorso della vostra grazia. » Il Signore stesso ci dice: « Che l’empio lasci la via delle sue iniquità ed il suo peccato gli sarà rimesso. » Non c’è da sperare misericordia se non per colui solo che rinunci ai suoi peccati di tutto cuore e per sempre, perché DIO non ci perdona fintanto ché il nostro pentimento non sia sincero e non facciamo tutti gli sforzi per non ricadervi. Sarebbe infatti beffarsi di DIO il domandargli perdono per un peccato che ancora si vorrebbe commettere.  – Ma, voi mi direte, come si può distinguere un fermo proposito da un desiderio debole ed insufficiente? Se desiderate saperlo, fratelli miei, ascoltatemi un istante e vado a dimostrarvelo: questo si può conoscere in tre maniere: 1° il cambiamento di vita; 2° la fuga dalle occasioni prossime del peccato, e 3° il lavorare con tutto ciò che si può per correggere e distruggere le proprie cattive abitudini. Dico innanzitutto che il primo risultato di un buon proposito, è il cambiamento della vita; è questo che ce lo mostra con maggior sicurezza ed è meno soggetto ad ingannarci. Veniamo ad una spiegazione: una madre di famiglia si accuserà di essersi spesso rivoltata contro i suoi figli o suo marito; dopo la sua Confessione, andate a visitarla all’interno del suo focolare domestico: non c’è più traccia di ribellione, né di maledizioni; al contrario vedete in ella quanta dolcezza, quanta bontà, il darsi pensiero anche per i propri inferiori; le croci, i dispiaceri e le perdite non le fanno perdere la pace dell’anima. E sapete perché ciò, fratelli miei? Eccolo: perché il suo ritorno a Dio è stato sincero, la sua contrizione perfetta, e di conseguenza ella ha ricevuto veramente il perdono dei suoi peccati; infine, la grazia ha messo delle radici profonde nel suo cuore ed ella ne trae frutti in abbondanza. – Una giovane donna verrà ad accusarsi di aver seguito i piaceri del mondo, le danze, le veglie serali ed altre cattive compagnie. Dopo la sua confessione, se questa è ben fatta, andate a cercarla in questa serata, a richiederla in queste occasioni di piacere e che cosa vi si dirà? « … da un po’ di tempo non la vediamo più; io credo che se volete trovarla, bisogna che andiate in chiesa, o a casa dei genitori. » In effetti, se andate dai suoi genitori, la troverete e … di cosa si occupa? Parlare di vanità come un tempo o a rimirarsi davanti ad uno specchio, o a folleggiare con altri giovani? Ah! No! Fratelli miei, non è più questo il suo operato, ella ha calpestato tutto ciò; voi la vedrete fare una lettura di pietà, aiutare sua madre nella conduzione delle faccende di casa, istruire i suoi fratelli e sorelle nell’obbedienza e nella premura verso i genitori; ella amerà la loro compagnia. Se non la trovate a casa, allora è in chiesa, la vedrete testimoniare a DIO la sua riconoscenza per aver operato in ella un sì gran cambiamento: vedrete in ella quella modestia, quel ritiro, quella premura per tutti, sia per i poveri che per i ricchi; la modestia si dipinge sulla sua fronte, la sola sua presenza vi porta a DIO. E perché questo, fratelli miei – mi direte – perché tanti beni in ella? Perché, fratelli miei, il suo dolore è stato sincero ed ella ha ricevuto veramente il perdono dei suoi peccati. – Altra volta sarà un giovanotto che sta per accusarsi di essere stato nei cabaret e nei giochi; ora che egli ha promesso a Dio di lasciare quel che a Lui potrebbe dispiacergli, mentre prima amava i cabaret ed i giochi, ora invece li rifugge. Prima della sua Confessione il suo cuore non era occupato che da cose terrene, cattive; al presente i suoi pensieri non sono che per DIO, ed hanno disprezzo per le cose del mondo. Tutto il suo piacere è intrattenersi con il suo DIO e pensare ai mezzi per salvare la propria anima. Ecco, fratelli cari, i segni di una vera e sincera contrizione; se dopo la vostra Confessione, sarete così, potrete sperare che la vostra Confessione sia stata buona ed i vostri peccati perdonati. Ma se fate tutto il contrario di ciò che vi ho appena detto, se qualche giorno dopo le Confessioni, si vede questa giovane che aveva promesso a DIO di lasciare il mondo ed i suoi piaceri per non dedicarsi che a piacergli, se la vedo, come prima, in questi ritrovi mondani; se vedo questa madre maldisposta e negligente verso i suoi figli ed i domestici, litigiosa con i vicini come prima della Confessione; se io ritrovo questo giovanotto di nuovo ai giochi ed ai cabaret, o orrore! O abominio! O mostro di ingratitudine che sei! O DIO grande! In quale stato è questa povera anima! O orrore! O sacrilegio! I tormenti dell’inferno saranno lunghi e rigorosi per punire un tale attentato.

2° Diciamo ora che il secondo risultato di una vera contrizione è la fuga dalle occasioni prossime del peccato. Ve ne sono di due tipi: gli uni vi portano per se stessi, come sono i libri cattivi, le commedie, i balli, le danze, le pitture, i quadri o le canzoni disoneste, e la frequentazione di persone di sesso differente; le altre sono occasione di peccato per le cattive disposizioni di coloro che vi sono: come i cabarettisti, i mercanti che ingannano o vendono nelle domeniche; una persona in un impiego per cui non compie i suoi doveri sia per rispetto umano sia per ignoranza. Che deve fare una persona che si trova in una di queste situazioni? Eccolo: ella deve lasciare tutto, a qualunque costo, senza salutare nemmeno! Gesù-Cristo ci ha detto che se il nostro occhio o la nostra mano ci scandalizzano, dobbiamo strapparli e gettare lontano da noi, perché – ci dice – è molto meglio andare in cielo con un braccio ed un occhio solo, che essere gettati nell’inferno con tutto il corpo; vale a dire, a qualsiasi costo, qualunque sia la perdita che ne abbiamo, non dobbiamo omettere il lasciarle; senza di questo, nessun perdono.       

3° Diciamo ancora che il terzo segno di un buon proposito, è il lavorare con tutto ciò che si può, per distruggere le cattive abitudini. Si chiama abitudine la facilità che si ha nel ricadere nei vecchi peccati. Bisogna allora: vegliare accuratamente su se stesso, fare spesso delle azioni che siano contrarie: così se siamo soggetti all’orgoglio, bisogna applicarsi a praticare l’umiltà, esser contenti di venire disprezzati, non cercare la stima del mondo, sia nelle parole, sia nelle azioni; credere sempre che ciò che facciamo sia fatto male; se facciamo bene, rappresentarci che siamo indegni che Dio si serva di noi, non guardandoci nel mondo che come una persona che non faccia che disprezzare DIO durante la sua vita, e che meritiamo ben più di quanto si possa dire di male di noi. Siamo soggetti alla collera? Bisogna praticare la dolcezza, sia nelle parole, sia nella maniera di comportarci verso il prossimo. Se siamo soggetti alla sensualità bisogna mortificarci nel bere, nel mangiare, nelle nostre parole, nei nostri sguardi, imporci delle penitenze ogni volta che ricadiamo. E se non prendete queste precauzioni, tutte le volte che commetterete nuovamente i vostri peccati, potrete concludere che tutte le vostre Confessioni non valgono a nulla e non avete fato che sacrilegio, crimine sì orribile, per il quale sarebbe impossibile poter vivere se ne conosceste tutta l’orribile natura, la tenebrosità, le atrocità … Ecco la condotta che dobbiamo tenere, facciamo come il figliuol prodigo che, colpito dallo stato in cui i suoi disordini lo avevano sprofondato, si assoggettò a tutto ciò che suo padre esigeva da lui per avere la felicità di riconciliarsi con lui. Innanzitutto lasciò su due piedi il paese in cui aveva provato tanti mali, e le persone che per lui erano state occasione di peccato; non si degnò nemmeno di guardarle, ben convinto che non avrebbe avuto la felicità di riconciliarsi con suo padre se non quando si fosse allontanato da esse: di modo tale che dopo il suo peccato, per mostrare a suo padre che il suo ritorno era sincero, non cercò se non di fargli piacere facendo tutto il contrario di ciò che aveva fatto fino al presente.  – Ecco il modello sul quale noi dobbiamo conformare la nostra contrizione: la conoscenza che dobbiamo avere dei nostri peccati, il dolore che dobbiamo averne, devono metterci nella disposizione di sacrificare tutto per non ricadere nei nostri peccati. Oh! Quanto rare sono queste contrizioni: Ahimè! Dove stanno coloro che sono pronti ad intraprendere la medesima via, piuttosto che commettere di nuovo i peccati che hanno già confessato? Ah! non saprei! Ahimè! Quanti al contrario, dice San Giovanni Crisostomo, non fanno al contrario che delle confessioni da teatro, che cessano di peccare per qualche istante senza lasciare interamente il peccato; questi sono, ci dice, simili a quei commedianti che rappresentano combattimenti sanguinosi ed accaniti, e sembrano accusare colpi mortali. Vi si vede uno che è abbattuto, steso, sanguinante: sembrerebbe veramente che abbia perso la vita, ma … aspettate che la tela si abbassi, e lo vedrete rialzarsi pieno di forza e di salute, sarà come era prima della rappresentazione teatrale. Ecco precisamente – ci dice – lo stato in cui si trova la maggior parte delle persone che si presentano al tribunale della penitenza. A vederli sospirare e gemere sui peccati che accusano, voi direste che veramente essi non sono più gli stessi, che si comportano in maniera tutta diversa di quanto abbiano fatto fino al presente. Ma ahimè, aspettate, io non dico cinque giorni, ma uno o due giorni, li ritroverete simili a prima della Confessione: stesso comportamento, stessa vendetta, stessa avidità, medesima negligenza nei doveri verso la Religione. Ahimè! Quante Confessioni e cattive Confessioni! Ah! Figli miei, ci dice San Bernardo, volete avere una vera contrizione dei vostri peccati? Voltatevi dal lato di questa Croce ove il vostro DIO è stato inchiodato per l’amore verso di voi; ah! piuttosto vedrete scorrere le vostre lacrime, ed il vostro cuore si lacererà. In effetti, fratelli miei, quel che fece versare tante lacrime a Santa Maddalena, la quale fu nel suo deserto, ci dice il grande Salviano … , non fu altra cosa che la vista della Croce. Noi leggiamo nella sua vita che, dopo l’Ascensione di Gesù-Cristo, essendosi ritirata in solitudine, domandò a DIO la gioia di piangere per tutta le vita le colpe della sua giovinezza. Dopo la sua preghiera, San Michele Arcangelo le apparve presso la  sua solitudine, piantò una croce davanti alla sua porta, ella si gettò ai piedi come aveva fatto sul Calvario, pianse per tutta la sua vita con tale abbondanza che i suoi occhi erano simili a due fontane. Il grande Ludolfo riporta che un solitario chiedeva un giorno a DIO cosa potesse essere più capace di scuotere il suo cuore per piangere i suoi peccati. In questo momento, DIO gli apparve così com’era sull’albero della Croce, tutto coperto di piaghe, tremante, caricato di una pesante Croce, dicendogli: « guardami, il tuo cuore fu più duro delle rocce del deserto, esso si struggerà e non potrà più vivere alla vista dei dolori che i peccati del genere umano mi hanno causato. » Questa apparizione lo toccò talmente che fino alla sua morte, la sua vita non fu che una vita di lacrime e di singhiozzi. Molto spesso si rivolgeva agli Angeli ed ai Santi, pregandoli di venire a piangere con lui sui tormenti che i suoi peccati avevano causato ad un DIO così buono. – Leggiamo nella storia di San Domenico, che un religioso, chiedendo a DIO la grazia di piangere i propri peccati, Gesù-Cristo gli apparve con le cinque piaghe aperte, e il sangue scorreva in abbondanza. – Nostro Signore, dopo averlo abbracciato, gli disse di avvicinare la sua bocca all’apertura delle sue piaghe; egli ne sentì tale felicità che non poteva comprendere come i suoi occhi potessero versare tante lacrime. Oh! Come erano felici, questi penitenti, fratelli miei, di trovare tante lacrime per piangere i propri peccati, temendo poi di piangerli nell’altra vita! oh! Qual differenza tra essi ed i Cristiani dei giorni nostri che hanno commesso tanti peccati! E nessun rimorso o lacrime! … Ahimè, cosa diverremo? Quale sarà la nostra dimora? Oh! Quanti Cristiani perduti perché bisogna piangere i propri peccati o in questo mondo o andarli a piangere negli abissi! Cosa dobbiamo concludere da quanto detto, fratelli miei? Eccolo: è il domandare incessantemente a DIO questo orrore del peccato, il fuggire le occasioni del peccato e non perdere mai di vista che i dannati non bruciano e non piangono nell’inferno se non perché non si sono pentiti dei loro peccati in questo mondo, che essi non hanno voluto lasciare. No, quanto grandi possano essere i sacrifici che abbiamo da fare, essi non devono esser capaci di trattenerci; bisogna assolutamente combattere, soffrire e gemere in questo mondo, se vogliamo avere l’onore di andare a cantare le lodi di DIO per tutta l’eternità: è la felicità che vi auguro.

LO SCUDO DELLA FEDE (56)

LO SCUDO DELLA FEDE (56)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]

FALSITA’ DEL PROTESTANTESIMO

CAPITOLO VI.

 È FALSO IL PROTESTANTISMO PERCHÈ NON HA UNITÀ.

Non solamente è nuovo il Protestantismo, il che è un gran segno di falsità, ma è ancora una Religione che varia in infinito: prova innegabile che è un’invenzione umana. Imperocché come stabilì Gesù Cristo la sua Religione? Egli insegnò un gran numero di verità preziosissime, che riguardano la grandezza e maestà di Dio uno e trino, la grande opera della Redenzione fatta da Gesù Cristo, la natura della S. Chiesa, i Santi Sacramenti che sono la fonte della grazia, il divin Sacrifizio per onorare perfettamente Iddio, e così andate voi discorrendo, tutto quello che dobbiamo credere, praticare, sperare, temere ed amare. Tutte queste cose Gesù le determinò, le fece certe con la sua rivelazione. Volle poi che nella credenza di tutte queste verità, noi fossimo pienamente d’accordo fra noi. San Paolo scriveva che tutti parlassimo e sentissimo ad un modo [2 Cor. XIII, 11]: che Dio non è autore della discordia ma della pace (1. Cor. XIV, 33); che uno è il Signore, uno è il Battesimo, una la Fede, uno Iddio e Padre di tutti (Ephes. IV, 8). Gesù Cristo sempre pregò, perché noi fossimo d’accordo, che mantenessimo l’unità (Ephes, IV, 4). Ci avvertì che ogni regno fra sé diviso sarebbe stato desolato (Luc. XI, 17), che finalmentetutti dovevamo costituire un solo ovile sotto un solo pastore (Ioan. X, 16). Tutto ciò è indubitato dalla Sacra Scrittura. E però è anche indubitato che quella sola Religione è la vera, che tenne sempre e che tiene tutte queste verità e le tiene in una perfettissima concordia ed unità. Chi è convinto d’aver cambiato dottrina anche una volta sola, costui è convinto che forse nell’uno e nell’altro cambiamento ma certo in uno dei due non ha la verità. Non può esser vero nell’istesso tempo il sì ed il no: non può una cosa esser tutto insieme e bianca e nera: e così Gesù Cristo o ha rivelata o non ha rivelata una verità, e questa verità l’ha rivelata di un modo oppure di un altro. Non è egli chiaro? Ma dunque il Protestantesimo che ammette e nega la stessa cosa, che oggi difende quel che domani impugna, che dice e disdice ogni proposizione, che varia Catechismi, riti, pratiche con un moto e variazione perpetua, non è e non può essere la verità. – Ora di qua scendono due belle conseguenze. Avvertitele bene. Una è che dunque tutta la presunzione di possedere la verità è tutta in favore di noi Cattolici i quali abbiamo una stessa professione di fede che è comune a tutto l’Universo e che dura da tutti i secoli, come abbiam veduto sopra. Oh se sapeste che bello spettacolo è mai questo! In tutta la terra i Cattolici parlano allo stesso modo e credono le stesse verità, e sottopongono il capo all’ìstesso supremo Pastore. Nel fondo dell’America quei poveri selvaggi fatti Cattolici, credono quel che credono in Roma, quello che credono in Francia i Cattolici, lo credono i Cattolici dell’Italia, del Belgio, dell’Austria, della Germania, dell’Inghilterra. In tutti i porti, in tutte le isole, nei paesi anche i più barbari, basta che vi sia un Cattolico, perché creda tutto quello che crediamo noi. Con noi sono il Sommo Pontefice, con noi tanti Sacerdoti, con noi tutto il gran corpo dei Cattolici che salgono a più di dugento milioni. Questa è la vera fratellanza, la vera unione. Qui si vede verificato quello che Gesù Cristo aveva tanto raccomandato che fossimo tutti una sola cosa in Lui; quello che il S. Apostolo Paolo inculcava dicendo che sentissimo tutti allo stesso modo e che non fossimo fra noi divisi; quello che Gesù Cristo presso alla morte aveva chiesto al suo divin Padre, che fossimo con lui una cosa sola; quello che per grand’elogio fu detto di noi Cristiani dall’Apostolo S. Paolo, che siamo un corpo solo ed un solo spirito, che vi ha un solo Dio, una sola Fede, un solo Battesimo, perché vi ha un solo Padre e Signore di tutti. Alla vista di questo spettacolo cosi bello, se voi aggiungete quel che abbiamo detto di sopra, che quelle verità, che noi teniamo al presente, furono tenute da tutte le generazioni cattoliche che ci precedettero da Gesù Cristo in qua, voi non potrete non ammirare e ringraziare la bontà di Dio, che ha fatto nascere nella S. Chiesa Cattolica la quale ha tanto sicure prove di verità. – L’altra conseguenza che dovrete pur trarre si è che dunque i Protestanti sono in errore, perché sono sempre tra loro divisi. Voi non vi accorgete di questa loro divisione, perchè non conoscete altro che quei maestrucoli disgraziati che vi parlano: ma se conosceste le loro discordie e guerre intestine, vi sentireste muovere a dispetto e ad indignazione. Attendete. Martin Lutero fu il primo a piantare il Protestantesimo, ma subito ebbe una gran guerra coi suoi primi seguaci che lo condannarono. Zuinglio, Carlostadio etc. lo contraddissero acerbamente. Sorse quasi nello stesso tempo un altro capo per nome Calvino e fece la guerra al primo, ed ebbe ancor egli tutti i suoi seguaci che lo oppugnarono. Dietro a questi primi venne Arrigo VIII ed anch’egli seminò discordie e divisioni. Sulla scorta di questi maestri d’errore ne sorsero altri e poi altri, e ciascuno di loro fabbricava una nuova credenza a suo modo. Di che i Protestanti cominciarono a separarsi in tante sette tutte ostili fra di sé: l’una condannava quel che diceva l’altra: si scomunicavano a vicenda, chiamandosi Eretici gli uni gli altri, si perseguitavano, s’investivano e perfino si bruciavano e scannavano quando il potevano. Sopra ogni punto vi era una dottrina speciale, la quale cambiavano ogni anno. E quello che hanno fatto negli anni passati lo fanno anche adesso. Se voi viaggiaste pei paesi protestanti, voi trovereste che le Religioni presso di loro nascono come i funghi. Ogni capo leggero e superbo presume di essere maestro e di tenere tutti per scolari. Dei sarti anche ivi, dei calzolai e perfino delle donnicciole inventano nuove religioni. Di che si trova talvolta che in una famiglia di sei o sette persone vi sono sei o sette religioni diverse. Questo caso tra i Protestanti degli Stati Uniti è tutt’altro che raro. Ed ora ci vogliono vendere questa Babele, questo disordine, questa confusione, questo ammasso di errori, per la vera Religione di Gesù Cristo! Ci vuole pure una fronte di bronzo per fare questi inviti! Sapete quel che rispose un uomo savio, una volta che fu richiesto di farsi Protestante da uno scellerato? Io mi farò Protestante, egli rispose, quando voi mi saprete dire il numero delle sette in che siete divisi voi, e la ragione per cui io debba credere piuttosto a voi che ai vostri avversari.