UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI-APOSTATI DI TORNO: S. S. Pio XII – MYSTICI CORPORIS (5)

Siamo giunti al termine di questa stupenda catechesi di S. S. Pio XII, contenuta nella Mystici corporis, a sigillo dell’insegnamento del Magistero pontificio infallibile ed irreformabile, giusto prima che nella Chiesa di Cristo si verificasse l’introduzione dei ladri e dei briganti a perdizione eterna delle anime. È vero che tutto era già profetizzato da millenni circa l’apostasia degli occupanti apparenti (… o meglio usurpanti) di cattedre ed uffici ecclesiastici vari, e delle abominevoli inversioni dottrinali dei modernisti novatori – basta rileggere i Vangeli, le Lettere di s. Paolo, S. Pietro (… Ci sono stati anche falsi profeti tra il popolo, come pure ci saranno in mezzo a voi falsi maestri che introdurranno eresie perniciose, rinnegando il Signore che li ha riscattati e attirandosi una pronta rovina. Molti seguiranno le loro dissolutezze e per colpa loro la via della verità sarà coperta di impropèri. Nella loro cupidigia vi sfrutteranno con parole false; ma la loro condanna è già da tempo all’opera e la loro rovina è in agguato .. 2 S. Pietro, cap. II) e san Giovanni, l’Apocalisse dell’Apostolo che Gesù amava, nonché alcuni profeti del vecchio testamento (Daniele, Zaccaria etc.) – ma starci dentro, magari in modo inconsapevole, da ciechi o ipovedenti non conoscitori o indifferenti alla dottrina, ai luoghi teologici cattolici di sempre, ed aprire gli occhi guidati da documenti infallibili, perché garantiti dal Vicario di Cristo, scritti a disposizione di chiunque abbia un minimo di interesse nel salvare la propria anima, fa un certo effetto sempre pensando al rischio che si corre nell’eterna salvezza. Ecco che a noi derelitti Cattolici, oggi perseguitati non con gli aculei, le grate roventi, le belve nei circhi, le mannaie, i roghi o le spade, ma ancor peggio con le eresie sottili e gli scismi, i falsi e sacrileghi sacramenti di lupi rapaci dal ghigno cortese che ci spingono “misericordiosi” con sorrisi bonari all’eterno supplizio, non resta altra difesa che la preghiera e l’approfondimento minuzioso della dottrina Cattolica, vera fonte di vita anche per riconoscere, oggi più che mai, il “fur et latro”, il ladro e brigante che ci inganna e ci porge sacramenti e riti sacrileghi a nostra perdizione. Allora inforchiamo gli occhiali, se necessario, e non perdiamo una sola parola di questo documento preziosissimo per la nostra eterna salvezza.   

(5)

ESORTAZIONE PER AMARE LA CHIESA

Ora che, Venerabili Fratelli, nell’accurata spiegazione di questo mistero che riassume l’arcana unione di tutti noi con Cristo, nella nostra qualità di Maestro della Chiesa universale, abbiamo irradiate le menti con la luce della verità, riteniamo conforme al Nostro pastorale ufficio aggiungere anche uno sprone agli animi, affinché un tale Corpo mistico venga amato con quell’ardore di carità che non si limita ai pensieri e alle parole, ma che prorompe in attività di opere. Poiché, se i seguaci dell’antica legge poterono così cantare della loro Città terrestre: “Se mi dovessi dimenticare di te, o Gerusalemme, cada in oblio la mia destra; resti attaccata al palato la mia lingua se non mi ricordo di te, se non colloco Gerusalemme al disopra di ogni mia gioia” (Psal. CXXXVI, 5-6), con quanta maggior gloria e più ampio gaudio, abbiamo noi il dovere di esultare appunto per questo che siamo cittadini di una Città costruita sul monte santo con vive e scelte pietre e della quale è “pietra angolare Gesù Cristo” (Eph. II, 20; I Petr. II, 4-5). Giacché niente si può immaginare di più glorioso, niente di più nobile, niente senza dubbio di più onorifico, che appartenere alla santa, cattolica, apostolica e romana Chiesa, per la quale diventiamo membra di un unico e così venerando Corpo, siamo guidati da un unico e così eccelso Capo, siamo ripieni di un unico e divino Spirito, siam nutriti in questo terrestre esilio da una sola dottrina e da uno stesso Pane angelico, finché ci ritroveremo a godere di un’unica sempiterna beatitudine nei cieli.

Sia un amore solido

Ma, per non essere ingannati dall’angelo delle tenebre che suol trasfigurarsi in angelo di luce (cfr. II Cor. XI, 14), sia norma suprema del nostro amore l’amare la Sposa di Cristo quale Cristo stesso la volle, conquistandola con il sangue. Quindi non solo ci devono stare sommamente a cuore i Sacramenti con i quali la Madre nostra Chiesa amorosamente ci nutre; non solo devono esserci carissime le grandi feste che celebra a nostra consolazione e gioia, e i sacri cantici e i riti liturgici, con i quali innalza le nostre menti alle cose celesti; ma dobbiamo anche avere in gran conto quelli che si chiamano sacramentali, come pure tutte le pratiche di pietà con le quali la Chiesa stessa mira a pervadere soavemente dello Spirito di Cristo gli animi dei fedeli, per loro consolazione. Né soltanto è nostro dovere il ricambiare come conviene a figli la materna pietà della Chiesa verso di noi, ma dobbiamo anche professarle riverenza per l’autorità conferitale da Cristo, in modo tale da sottometterle pienamente il nostro giudizio, in ossequio a Cristo stesso (cfr. II Cor. X, 5). Onde siamo tenuti ad obbedire alle sue leggi e ai suoi precetti in fatto di costumi, anche se talvolta ciò riesca abbastanza duro alla nostra natura, decaduta qual è dallo stato dell’innocenza originale. Così pure dobbiamo reprimere con volontarie penitenze la nostra carne ribelle, ci viene anzi inculcato di saper talvolta rinunziare a cose piacevoli, anche se non siano nocive. Né dobbiamo limitarci ad amare questo Corpo mistico perché insigne per la divinità del suo Capo e per le sue doti celesti, ma dobbiamo amarlo con amore operoso anche quale si manifesta in questa nostra carne mortale, composta talvolta di membra che hanno tutte le debolezze dell’umana natura, anche se esse siano meno degne del posto che occupano in quel venerando Corpo.

Col quale vediamo Cristo nella Chiesa

Ad ottenere poi che un tal pienissimo amore regni negli animi nostri e di giorno in giorno aumenti, è necessario assuefarsi a riconoscere nella Chiesa lo stesso Cristo. È infatti Cristo che nella sua Chiesa vive, che per mezzo di lei insegna, governa, comunica la santità; è Cristo che in molteplici forme si manifesta nelle varie membra della Sua società. Se tutti i Cristiani si daranno con impegno a vivere di un così vigoroso spirito di Fede, allora non solo essi tributeranno il debito ossequio d’onore alle più eccelse membra di questo mistico Corpo e specialmente a quelle che per mandato del divin Capo un giorno dovranno render conto delle anime nostre (cfr. Hebr. XIII, 17); ma avranno a cuore anche quelle membra verso le quali il Salvator nostro dimostrò un amore di preferenza: i deboli, i feriti e i malati bisognosi o di medicina materiale o di medicina soprannaturale, i fanciulli la cui innocenza si trova oggi esposta a tanti pericoli e la cui tenera anima è plasmabile come cera, i poveri infine, nei quali, mentre li soccorriamo, dobbiamo ravvisare la persona stessa di Gesù Cristo. – Ben a ragione l’Apostolo ci avverte: “Le membra del corpo che paiono più deboli sono molto più necessarie, e quelle che stimiamo di minor pregio, noi le circondiamo di onore maggiore” (I Cor. XII, 22-23). Tale gravissima sentenza Noi, consapevoli della altissima responsabilità che Ci vincola, riteniamo doveroso ripetere al giorno d’oggi, mentre con profonda afflizione vediamo che ai deformi di corpo, ai deficienti ed agli affetti di malattie ereditarie vien talora tolta la vita, come se costituissero un molesto peso per la società. Peggio ancora, tale espediente da certuni si esalta come una trovata dell’umano progresso, quanto mai giovevole al comune benessere. Ma chi mai, se abbia senno, non vede che ciò ripugna non soltanto alla legge naturale e divina (cfr. Decr. S. Offic., 2 Dec. 1940: A. A. S. 1940, p. 553), impressa nell’animo di ciascuno, ma è violenta offesa contro i nobili sensi di umanità? Il sangue di tali sventurati, al nostro Redentore tanto più cari quanto più degni di commiserazione, “grida a Dio dalla terra” (cfr. Gen. IV, 10).

Imitiamo l’amore di Cristo verso la Chiesa

Affinché poi quella sincera carità, per la quale nella Chiesa e nelle sue membra dobbiamo riguardare il nostro Salvatore, non vada a poco a poco illanguidendosi, è di somma opportunità che teniamo di mira lo stesso Gesù come insuperabile modello di amore verso la Chiesa.

a) Con larghezza di amore

Anzitutto, cerchiamo d’imitare l’estensione di tale amore. Unica è la Sposa di Cristo, e questa è la Chiesa: eppure l’amore dello Sposo divino ha tale ampiezza che, senza escludere alcuno, nella sua Sposa abbraccia tutto il genere umano. La causa infatti per cui il Salvator nostro sparse il Suo sangue, fu appunto per riconciliare con Dio nella Croce tutti gli uomini, per quanto diversi di nazione e di stirpe, e farli congiungere in un unico Capo. Il vero amore della Chiesa esige quindi non solo che siamo vicendevolmente solleciti l’uno dell’altro (cfr. Rom. XII, 5; I Cor. XII, 25), come membri dello stesso Corpo, che godono della gloria degli altri membri e soffrono dell’altrui dolore (cfr. I Cor. XII, 26), ma che altresì negli altri uomini, sebbene non ancora a noi congiunti nel Corpo della Chiesa, riconosciamo fratelli di Cristo secondo la carne, chiamati insieme con noi alla medesima eterna salvezza.

Purtroppo, specialmente oggigiorno, non mancano coloro che nella loro superbia esaltano l’avversione, l’odio, il livore come qualcosa che elevi e nobiliti la dignità e il valore umano. Noi però, mentre vediamo con dolore i funesti frutti di tale dottrina, seguiamo il nostro pacifico Re, che ci insegnò ad amare non solo quelli che non sono della nostra nazione e della nostra stirpe (cfr. Luc. X 33-37), ma persino i nemici (cfr. Luc. VI, 27-35; Matth. V, 44-48). Noi, con l’animo penetrato del soavissimo sentimento dell’Apostolo delle genti, con lui esaltiamo quale e quanta sia la lunghezza, la larghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo (cfr. Eph. III, 18); quell’amore, cioè, che nessuna diversità d’origine e di costumi può fiaccare, che neppure l’immensa distesa dell’oceano può attenuare; e che finalmente neppure le guerre, siano esse intraprese per causa giusta o ingiusta, potranno mai distruggere.  – In quest’ora così grave, Venerabili Fratelli, mentre tanti corpi sono dolorosamente straziati e tante anime oppresse di tristezza, è necessario richiamar tutti a questi sensi di suprema carità, affinché nello sforzo collettivo di tutti i buoni si sovvenga a così immani necessità spirituali e materiali, in una meravigliosa gara d’amore e di commiserazione: il Nostro pensiero va particolarmente agli appartenenti a qualsiasi di quelle organizzazioni che esplicano opere di soccorso. Per tal modo, la generosità piena di zelo del Corpo mistico di Gesù Cristo e la sua inesausta fecondità diffonderanno i loro splendori in tutto il mondo.

b) Con assidua operosità

Dato poi che all’ampiezza della carità onde Cristo amò la sua Chiesa corrisponde la Sua amorosa costanza di opere, di questa stessa carità noi tutti, con assidua e zelante volontà, dobbiamo amare il Corpo mistico di Cristo. Ed invero non è possibile trovare nella vita del nostro Redentore un’ora sola in cui non abbia lavorato fino a spossarsi di fatica, benché fosse Figlio di Dio, per fondare la sua Chiesa o per renderla stabile: dalla Sua Incarnazione, allorché gettò la prima base della Chiesa, fino al termine del Suo corso mortale, con gli esempi della più fulgida santità, con la predicazione, con la conversazione, col radunar le turbe, con l’insegnare. È Nostro desiderio adunque che tutti, quanti riconoscono la Chiesa per madre, ponderino con diligenza che non solo ai sacri Ministri od a coloro soltanto che han fatto oblazione di sé a Dio nella vita religiosa, ma anche agli altri membri del mistico Corpo di Cristo, per ciascuno in ragione della propria possibilità, incombe il dovere di affaticarsi con ogni impegno e diligenza alla costruzione ed all’incremento del medesimo Corpo. In modo speciale desideriamo che a ciò pongano mente (come del resto già lodevolmente fanno) coloro che, arruolati nelle schiere dell’Azione Cattolica, cooperano all’apostolato dei Vescovi e dei Sacerdoti nella loro attività apostolica; come pure coloro che, riuniti in pii sodalizi, collaborano allo stesso fine. Non c’è chi non veda come la solerte attività di tutti costoro sia di somma importanza e di massima gravità nelle attuali circostanze. – Né possiamo astenerci dal dire una parola ai padri e alle madri di famiglia, cui il Redentore nostro affidò le membra più delicate del suo mistico Corpo. Li scongiuriamo quindi ardentemente che, per amore di Cristo e della Chiesa, provvedano con tutta sollecitudine alla prole data loro in consegna, affinché si guardi da ogni sorta di insidie con le quali oggi viene con tanta facilità adescata.

c) Senza tralasciare le preghiere

In particolar modo il Redentore nostro manifestò il suo ardentissimo amore per la Chiesa con le supplici preghiere innalzate per essa al suo celeste Padre. Giacché (per citar solo qualche esempio) è noto a tutti, Venerabili Fratelli, come Egli mentr’era per salire sul patibolo della Croce, elevò accesissime preghiere per Pietro (cfr. Luc. XXII, 32), per gli altri Apostoli (cfr. Jo. XVII, 9-19), e finalmente per tutti coloro che, alla predicazione della divina parola, avrebbero creduto in Lui (cfr. Jo. XVII, 20-23).

Per i membri della Chiesa

Ad esempio di Cristo, anche noi dobbiamo chiedere ogni giorno che il Signore voglia inviare operai alla sua messe (cfr. Matth. IX, 38; Luc.X,2); ogni giorno la comune preghiera deve salire al cielo per raccomandare tutte le membra del mistico Corpo di Gesù Cristo. In primo luogo i sacri Presuli, alla cui particolare sollecitudine è affidata la propria Diocesi; poi i Sacerdoti e infine i Religiosi e le Religiose che, seguendo la chiamata di Dio, sia in patria che in paesi infedeli difendono, accrescono, promuovono il Regno del Redentore divino. Nessuno dei membri di questo venerando Corpo dev’essere dimenticato nella comune preghiera; ma specialmente si abbiano presenti quelli che o sono oppressi dalle sofferenze o dalle angosce di questa terra o, compiuto il corso mortale, vengono purificati nelle fiamme espiatrici. E neppure debbono essere trascurati coloro che si stanno istruendo nella dottrina cristiana, affinché si possano al più presto mondare nel lavacro delle acque battesimali. – Bramiamo altresì fortemente che le comuni preghiere abbraccino nella stessa ardente carità sia coloro che non ancora illuminati dalla verità evangelica, non sono al sicuro nell’ovile della Chiesa, sia coloro che, a causa di una miserevole scissione dell’unità della Fede, si sono separati da Noi che, pur immeritevoli, rappresentiamo in terra la Persona di Gesù Cristo. Per questo ripetiamo l’orazione divina del nostro Salvatore al Padre Celeste: “Che tutti siano una cosa sola, come tu, Padre, sei in me ed io in te, così anch’essi siano in noi una cosa sola; affinché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Jo. XVII, 21).

Per coloro che ancora non sono membri

Anche questi che non appartengono al visibile organismo della Chiesa, come voi ben sapete, Venerabili Fratelli, fin dal principio del Nostro Pontificato, li affidammo alla celeste tutela ed alla celeste direzione, protestando solennemente che dietro l’esempio del buon Pastore, nulla Ci stava più a cuore che essi abbiano la vita e l’abbiano in sovrabbondanza (cfr. Lett. Enc. “Summi Pontificatus“). E quella solenne Nostra affermazione, dopo aver implorate le preghiere di tutta la Chiesa, intendiamo ripetere in questa Lettera Enciclica, con la quale abbiamo celebrato le lodi “del grande e glorioso Corpo di Cristo” (Iren. Adv. Hær., IV, 33, 7; Migne, P. G., VII, 1076): con animo straripante di amore, invitiamo tutti e singoli ad assecondare spontaneamente gli interni impulsi della divina grazia e a far di tutto per sottrarsi al loro stato in cui non possono sentirsi sicuri della propria salvezza (Pio IX “Jam nos omnes“, 13 Sett. 1868: Act. Conc. Vat. C. L., VII, 10), perché, sebbene da un certo inconsapevole desiderio e anelito siano ordinati al mistico Corpo del Redentore, tuttavia sono privi di quei tanti doni ed aiuti celesti che solo nella Chiesa Cattolica è dato di godere. Rientrino perciò nella cattolica unità e tutti uniti a Noi nell’unica compagine del Corpo di Gesù Cristo, vengano con Noi all’unico Capo nella società di un gloriosissimo amore (cfr. Gelas. I, Epist. XIV: Migne, P. L., LIX, 89). Senza mai interrompere di pregare lo Spirito dell’amore e della verità, Noi li aspettiamo con le braccia aperte, non come estranei, ma quali figli che entrino nella loro stessa casa paterna.  – Però, mentre desideriamo che una tale preghiera salga ininterrotta a Dio da parte di tutto il Corpo mistico affinché tutti gli sviati entrino al più presto nell’unico ovile di Gesù Cristo, dichiariamo che è assolutamente necessario che ciò sia fatto di libera e spontanea volontà, non potendo credere se non chi lo vuole (cfr. August., In Jo. Ev. tract., XXVI, 2: Migne, P. L., XXX, 1607). Se alcuni, non credenti, vengono di fatto spinti ad entrare nell’edificio della Chiesa, ad appressarsi all’altare, a ricevere i Sacramenti, costoro, senza alcun dubbio, non diventano veri cristiani, (cfr. August., ibidem), poiché la Fede, senza la quale è impossibile piacere a Dio (Hebr. XI, 6), deve esser libero “ossequio dell’intelletto e della volontà” (Conc. Vat., De Fide cath., cap. 3). Se dunque dovesse talvolta accadere che, in contrasto con la costante dottrina di questa Sede Apostolica (cfr. Leo XIII: “Immortale Dei“), taluno venga spinto suo malgrado ad abbracciare la Fede cattolica, Noi non possiamo esimerCi, per coscienza del Nostro dovere, dall’esprimere la Nostra riprovazione. E poiché gli uomini godono di libera volontà e possono anche, sotto l’impulso di perturbazioni d’animo e di perverse passioni, abusare della propria libertà, è perciò necessario che vengano attratti con efficacia alla verità dal Padre dei lumi per opera dello Spirito del Suo diletto Figlio. – Che ancora molti, purtroppo, errano lontani dalla cattolica verità e non piegano l’animo all’afflato della grazia divina, ciò avviene perché né essi (cfr. August., ibidem), né i fedeli Cristiani innalzano a Dio più ferventi preghiere a tal fine. Noi quindi vivamente e insistentemente esortiamo tutti coloro che sentono amore per la Chiesa, affinché, seguendo l’esempio del divin Redentore, non cessino mai di elevare tali suppliche.

Per i Governanti

E del pari, soprattutto nel momento attuale, Ci sembra non solo opportuno ma necessario che vengano innalzate ardenti suppliche per i re, per i principi e per tutti coloro che, attendendo al governo dei popoli, possono con la loro tutela esterna recar aiuto alla Chiesa, affinché, riordinata rettamente la società, “la pace, opera di giustizia” (Is. XXXII, 17), al soffio della divina carità arrida al genere umano tormentato dai terrificanti flutti di questa tempesta, e la Santa Madre Chiesa possa condurre vita quieta e tranquilla nella pietà e nella castità (cfr. I Tim. II, 2). Dobbiamo chiedere con insistenza a Dio che tutti coloro che sono al governo dei popoli amino la sapienza (cfr. Sap. VI, 23) in modo che questa gravissima sentenza dello Spirito Santo non ricada mai su di essi: “L’Altissimo esaminerà le vostre opere e scruterà i pensieri; perché, ministri del suo regno, non avete governato rettamente, né avete osservato la legge di giustizia, né secondo il volere di Dio aver te camminato. Terribile e veloce piomberà su voi, ché rigorosissimo giudizio sarà fatto di quei che stanno in alto. Al misero invero si usa misericordia, ma i potenti saranno potentemente puniti! Non indietreggerà dinanzi a persona il Signore di tutti, né avrà soggezione della grandezza di nessuno; ché il grande e il piccolo Egli ha creato, ed ha cura ugualmente di tutti. Ma ai potenti sovrasta più rigoroso giudizio; a voi pertanto o re, son rivolte le mie parole perché impariate la sapienza e non cadiate” (Ibidem, VI, 4-10).

d) Compiendo ciò che manca nella passione di Cristo

Inoltre, non solo faticando senza posa e pregando ininterrottamente Cristo Signore palesò il Suo amore verso la Sua Sposa incontaminata, ma anche per mezzo dei dolori e delle angosce sopportate volentieri e con amore per essa: “Avendo egli amato i suoi… li amò sino alla fine” (Jo. XIII, 1). Anzi non acquistò la Chiesa che per mezzo del proprio sangue (cfr. Act. XX, 28). Adunque, su queste orme cruente del nostro Re, come esige la nostra salvezza da mettere al sicuro, intraprendiamo volonterosi il nostro cammino: “Poiché se siamo stati innestati alla somiglianza della Sua morte, lo saremo anche a quella della Resurrezione” (Rom. VI, 5), e “se siamo insieme morti, con lui anche vivremo” (II Tim. II, 11). Ciò è richiesto anche dalla vera ed operosa carità sia verso la Chiesa, sia verso quelle anime che la medesima Chiesa genera allo stesso Cristo. Sebbene infatti il Salvator nostro con le sue durissime pene e la sua acerba morte abbia meritato alla sua Chiesa un tesoro addirittura infinito di grazie, per disposizione però della provvidenza di Dio esse solo partitamente ci vengono distribuite, e la loro minore o maggior dovizia non poco dipende anche dalle nostre buone opere, dalle quali una tale pioggia di celesti doni volontariamente largita da Dio, viene attirata sulle anime umane. Tale pioggia di grazie celesti sarà certamente sovrabbondante, se non solo faremo uso di fervorose preghiere a Dio, specialmente col prendere parte anche ogni giorno, se si può e con pietà, al Sacrificio eucaristico; se non solo faremo del nostro meglio per alleggerire la sofferenza di tanti bisognosi con servizi di cristiana carità, ma se ameremo i beni imperituri a preferenza di quelli caduchi di questa vita; se con volontarie mortificazioni terremo a freno questo corpo mortale, negandogli ciò che è illecito e imponendogli invece ciò che gli è sgradito e arduo; e se finalmente accetteremo con sottomissione come dalla mano di Dio le fatiche e i travagli della presente vita. In tal modo, secondo l’Apostolo “diamo compimento nella nostra carne, a quello che rimane dei patimenti di Cristo, a pro del Corpo di Lui che è la Chiesa” (cfr. Col. I, 24). – Mentre così scriviamo Ci si svolge, purtroppo, dinanzi allo sguardo una moltitudine sterminata di miseri, che con dolore compiangiamo: infermi, poveri, mutilati, vedove e orfani, e moltissimi che per le proprie sventure o per quelle dei loro cari giacciono talvolta in un vero languore mortale. Tutti coloro dunque che per qualsiasi motivo giacciono nella tristezza e nell’angoscia con cuore paterno vivamente esortiamo affinché, pieni di fiducia, levino gli occhi al cielo, offrano le loro pene a quel Dio che un giorno renderà loro una copiosa mercede. Ed abbian tutti presente che il loro dolore non è vano, ma è oltremodo fecondo di bene per essi e per la Chiesa, se mirando a tal fine sapranno sopportarlo con pazienza. A meglio conseguire tal proposito, giova moltissimo la quotidiana e devota oblazione di se stesso a Dio, quale usano fare i membri di quella associazione che prende il nome dell’Apostolato della preghiera: associazione che in questa occasione, come a Dio gratissima, Ci sta a cuore di raccomandare nel modo più vivo. – Se ci fu mai un tempo in cui, per conseguire la salvezza delle anime, dobbiamo unire i nostri dolori agli strazi del divin Redentore, oggi specialmente, Venerabili Fratelli, tale è il dovere di tutti, mentre una guerra immane avvolge nelle sue fiamme quasi tutto l’orbe terrestre, generando tante morti, tante miserie, tante sventure. E particolarmente oggi è doveroso per tutti l’astenersi dai vizi, dagli allettamenti del mondo, dagli sregolati piaceri del senso, come pure da quelle cose terrene, futili e vane che non hanno alcuna relazione né con la cristiana formazione dell’animo, né con il conseguimento del cielo. Dobbiamo, piuttosto, ribadire nelle nostre menti la gravissima sentenza del Nostro Predecessore Leone Magno, il quale afferma che noi, col Battesimo, siam fatti carne del Crocifisso (cfr. Serm. LXIII, 6; LXVI, 3; Migne, P. L., LIV, 357 et 366) e quella bellissima preghiera di S. Ambrogio: “Portami, o Cristo, sulla Croce, che è salvezza agli erranti, nella quale soltanto è riposo agli affaticati, nella quale soltanto avranno la vita coloro che muoiono” (In Psal. 118, XXII, 30: Migne, P. L., XV, 15, 1). – Prima di por fine a questo scritto, non possiamo trattenerCi dal tornare ad insistere nell’esortare vivamente tutti ad amare la santa Madre Chiesa con un amore zelante e operoso. Per la sua incolumità, per il suo più fecondo ed ubertoso incremento, dobbiamo ogni giorno offrire all’eterno Padre le nostre preghiere, le fatiche, le angosce nostre, se davvero ci sta a cuore la salvezza della universale famiglia umana, redenta col suo sangue divino. E mentre nubi minacciose offuscano il cielo, e pericoli e minacce incombono in questo consorzio umano e sulla stessa Chiesa, affidiamo le nostre persone e tutto ciò che ci appartiene al Padre delle misericordie, supplicandolo: “Volgi, ti preghiamo, o Signore, uno sguardo su questa Tua famiglia, per la quale il Signore nostro Gesù Cristo non esitò a consegnarsi ai suoi carnefici ed a subire il tormento della Croce” (Off. Major. Hebd.).

EPILOGO

LA BEATA VERGINE MARIA

Compia, Venerabili Fratelli, questi Nostri paterni voti, che sono certamente anche i vostri, e ottenga a tutti noi un verace amore per la Chiesa, la Vergine Madre di Dio, la cui anima santissima fu ripiena del divino Spirito di Gesù Cristo più che tutte le altre anime insieme: Ella che, “in rappresentanza di tutta l’umana natura”, diede il consenso affinché avesse luogo “una specie di sposalizio spirituale tra il Figlio di Dio e l’umana natura” (S. Thom., III, q. 80, a. 1). Fu Lei che con parto ammirabile dette alla luce il fonte di ogni vita celeste, Cristo Signore, fin dal suo seno verginale ornato della dignità di Capo della Chiesa; fu Lei che poté porgerlo, appena nato, come Profeta, Re e Sacerdote a coloro fra i giudei e fra i gentili che per primi accorsero ad adorarlo. Inoltre il suo Unigenito, accondiscendendo alla sua materna preghiera, in Cana di Galilea, operò quel mirabile prodigio per il quale i suoi discepoli credettero in Lui (Jo. II, 11). Ella fu che, immune da ogni macchia, sia personale sia ereditata, e sempre strettissimamente unita col Figlio suo, Lo offerse all’eterno Padre sul Golgota, facendo olocausto di ogni diritto materno e del suo materno amore, come novella Eva, per tutti i figli di Adamo contaminati dalla sua miseranda prevaricazione. Per tal modo, Colei che quanto al corpo era la madre del nostro Capo, poté divenire, quanto allo spirito, madre di tutte le sue membra, con nuovo titolo di dolore e di gloria. Ella fu che, con le sue efficacissime preghiere, impetrò che lo Spirito del divin Redentore, già dato sulla Croce, venisse infuso nel giorno di Pentecoste con doni prodigiosi alla Chiesa, da poco nata. Ella finalmente, sopportando con animo forte e fiducioso i suoi immensi dolori, più che tutti i fedeli cristiani, da vera Regina dei martiri, “compì ciò che manca dei patimenti di Cristo… a pro del Corpo di lui, che è la Chiesa” (Col. I, 24). Ella, per il mistico Corpo di Cristo nato dal Cuore squarciato del nostro Salvatore (cfr. Off. SS. mi Cordis in hymno ad Vesp.),, ebbe quella stessa materna sollecitudine e premurosa carità con la quale nella culla ristorò e nutrì del suo latte il Bambino Gesù. La stessa santissima Genitrice di tutte le membra di Cristo (cfr. Pio X: Ad diem illum), al cui Cuore Immacolato abbiamo con fiducia consacrato tutti gli uomini e che ora in cielo, regnando insieme col suo Figlio, risplende nella gloria del corpo e dell’anima, si adoperi con insistenza ad ottenere da Lui che, dall’eccelso Capo, scendano senza interruzione su tutte le membra del mistico Corpo rivoli di abbondantissime grazie. Ella stessa, col suo sempre presente patrocinio, come per il passato, così oggi, protegga la Chiesa, e ad essa e a tutta la umana famiglia impetri finalmente da Dio un’era di maggiore tranquillità. – Noi, fidenti in questa superna speranza, auspice delle celesti grazie e quale attestato della Nostra particolare benevolenza, a voi tutti e singoli, Venerabili Fratelli, ed al gregge a ciascuno di voi affidato, impartiamo con effusione di cuore l’Apostolica Benedizione.

Dato in Roma, presso San Pietro, il giorno 29 del mese di Giugno, nella festa dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, nell’anno 1943, V del Nostro Pontificato.

PIO PP. XII