DOMENICA IV DI QUARESIMA (2019)

DOMENICA IV DI QUARESIMA (2019)

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Is LXVI: 10 et 11.I

Lætáre, Jerúsalem: et convéntum fácite, omnes qui dilígitis eam: gaudéte cum lætítia, qui in tristítia fuístis: ut exsultétis, et satiémini ab ubéribus consolatiónis vestræ. [Allietati, Gerusalemme, e voi tutti che l’amate, esultate con essa: rallegràtevi voi che foste tristi: ed esultate e siate sazii delle sue consolazioni.]

Ps CXXI: 1.

Lætátus sum in his, quæ dicta sunt mihi: in domum Dómini íbimus. [Mi rallegrai di ciò che mi fu detto: andremo nella casa del Signore].

Lætáre, Jerúsalem: et convéntum fácite, omnes qui dilígitis eam: gaudéte cum lætítia, qui in tristítia fuístis: ut exsultétis, et satiémini ab ubéribus consolatiónis vestræ. [Alliétati, Gerusalemme, e voi tutti che l’amate, esultate con essa: rallegràtevi voi che foste tristi: ed esultate e siate sazii delle sue consolazioni].

Orémus.

Concéde, quæsumus, omnípotens Deus: ut, qui ex merito nostræ actiónis afflígimur, tuæ grátiæ consolatióne respirémus. [Concédici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che mentre siamo giustamente afflitti per le nostre colpe, respiriamo per il conforto della tua grazia].

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Gálatas.

Gal IV: 22-31. “Fratres: Scriptum est: Quóniam Abraham duos fílios habuit: unum de ancílla, et unum de líbera. Sed qui de ancílla, secúndum carnem natus est: qui autem de líbera, per repromissiónem: quæ sunt per allegóriam dicta. Hæc enim sunt duo testaménta. Unum quidem in monte Sina, in servitútem génerans: quæ est Agar: Sina enim mons est in Arábia, qui conjúnctus est ei, quæ nunc est Jerúsalem, et servit cum fíliis suis. Illa autem, quæ sursum est Jerúsalem, líbera est, quæ est mater nostra. Scriptum est enim: Lætáre, stérilis, quæ non paris: erúmpe, et clama, quæ non párturis: quia multi fílii desértæ, magis quam ejus, quæ habet virum. Nos autem, fratres, secúndum Isaac promissiónis fílii sumus. Sed quómodo tunc is, qui secúndum carnem natus fúerat, persequebátur eum, qui secúndum spíritum: ita et nunc. Sed quid dicit Scriptura? Ejice ancillam et fílium ejus: non enim heres erit fílius ancíllæ cum fílio líberæ. Itaque, fratres, non sumus ancíllæ fílii, sed líberæ: qua libertáte Christus nos liberávit”.

Omelia I

 [A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli, Sc. Tip. Arciv. Artigianelli – Pavia, 1929]

“Fratelli: Sta scritto che Àbramo ebbe due figli, uno dalla schiava, e uno dalla libera. Ma quello della schiava nacque secondo la carne, quello della libera, invece, in virtù della promessa. Le quali cose hanno un senso allegorico; poiché queste donne sono le due alleanze. L’una del monte Sina, che genera schiavi, e questa è Agar. Il Sina, infatti, è un monte dell’Ambia, che corrisponde alla Gerusalemme presente, la quale è schiava coi suoi figli. Ma l’altra, la Gerusalemme di lassù, è libera, ed è la nostra madre. In vero sta scritto: Rallegrati, o sterile, che non partorisci; prorompi in grida di gioia, tu che sei ignara di doglie, poiché i figli della derelitta son più numerosi che quelli di colei che ha marito. Quanto a noi, fratelli, siamo, come Isacco, figli della promessa. E come allora chi era nato secondo la carne perseguitava colui che era nato secondo lo spirito, così avviene anche adesso. Ma che dice la Scrittura? Scaccia la schiava e il suo figlio, perché il figlio della schiava non sarà erede col figlio della libera. Perciò, noi, o fratelli, non siamo figli della schiava, ma della libera, in virtù di quella libertà con cui Cristo ci ha affrancati”. (Gal. IV, 22-31) .

S. Paolo a dimostrare ai Galati come la legge di Mosè non possa continuare ad esistere daccanto al Cristianesimo, che l’ha sostituita, ricorre a un fatto del vecchio testamento, il quale oltre il valore storico, ha un significato allegorico. Abramo ha un figlio, Ismaele, da Agar, schiava, e ha un figlio, Isacco, da Sara, libera. Agar significa la legge che tiene schiavi i suoi figli; legge promulgata sul monte Sina in Arabia, terra abitata dagli schiavi, discendenti di Agar, e che ha per suo centro la Gerusalemme terrena. Sara significa la Gerusalemme celeste, la Chiesa, libera, sposa di Gesù Cristo. Ismaele nato secondo le leggi ordinarie significa la discendenza naturale di Abramo; Isacco, nato non secondo le leggi naturali ma in forza d’una promessa fatta da Dio ad Abramo, significa la discendenza spirituale, noi Cristiani, nati spiritualmente nel Battesimo, uniti con la grazia a Gesù Cristo, termine della promessa. E come allora Ismaele perseguitava Isacco così adesso i Giudei perseguitano i Cristiani, cercando di ridurli sotto il giogo della legge. Ma, come Agar fu cacciata dalla casa con suo figlio, senza diritto all’eredità; così, l’antica legge è stata bandita dalla Chiesa, che resta l’erede delle promesse divine. Parliamo un po’ della Chiesa, nostra madre. Essa:

1. È di origine divina;

2. È universale,

3. Trionfa dei suoi oppositori.

1.

Ma l’altra, la Gerusalemme di lassù, è libera. La Gerusalemme di lassù, cioè la Gerusalemme celeste, è la Chiesa a cui noi apparteniamo, la Chiesa di Gesù Cristo. La sua condizione è ben differente dalla condizione della Sinagoga, centro del culto giudaici. La Sinagoga era schiava della legge: la Chiesa, invece, è libera. È chiamata giustamente Gerusalemme di lassù, Gerusalemme celeste, perché celeste è !a sua origine. Dio stesso l’ha istituita, per mezzo del suo Figlio, Gesù Cristo. Gesù espresse in termini chiarissimi la volontà di fondare la Chiesa. A Pietro, che lo confessa « Figlio del Dio vivente», egli dice: « Tu sei Pietro, e sopra questa pietra fonderò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di lei ». (Matth. XVI, 18). Non un uomo, non un Angelo, ma Egli stesso ne sarà il fondatore. E quanto aveva promesso si avvererà dopo la sua risurrezione gloriosa. Vicino al lago di Tiberiade Gesù dice a S. Pietro: « Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecore ». (Giov. XXI, 16)). Il Redentore salirà al cielo, ma a pascere visibilmente il suo gregge è posto un altro, al quale è dato il potere e l’autorità necessaria. – Agli Apostoli, da Lui scelti, affida un ben determinato corpo di dottrina, che essi apprendono, o direttamente dalla sua bocca, o dall’ispirazione dello Spirito Santo, da Lui mandato. A loro dà la missione ben specificata di insegnare, di battezzare, di rimettere i peccati, di sciogliere e di legare: e questi poteri li dà come continuazione dei poteri suoi. La loro azione non avrà limiti né di luogo né di tempo; Egli, poi, sarà sempre tra loro con la sua assistenza. «E’ stato dato a me ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque a istruire tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto quanto v’ho comandato. Ed ecco Io sono con voi tutti i giorni sino alla consumazione dei secoli». (Matth. XXVIII, 18-20) «Ricevete lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati, saranno loro rimessi; e saranno ritenuti, a chi li riterrete». (Giov. XX, 22-23). « In verità vi dico: quanto legherete sulla terra, sarà legato nel cielo: e quanto scioglierete sulla terra, sarà sciolto nel cielo». (Matth. XVIII, 18)). Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me» (Luc. X, 16). La Chiesa è veramente la Gerusalemme di lassù. Di lassù venne il suo fondatore; lassù guidano la sua dottrina e i suoi Sacramenti: lassù sta il suo Capo invisibile, la pietra angolare che la sostiene, Gesù Cristo, Nostro Signore.

2.

Questa Gerusalemme di lassù è la nostra madre. « Questa è la madre di tutti, la quale ci raduna da ogni stirpe e da ogni nazione, e ne forma poi un corpo solo » (S. Zenone Tract. 33). Gesù Cristo ha costituito la Chiesa come una famiglia. Chi entrerà a farvi parte? Tutti quelli che parlano una data lingua? che abitano una determinata regione? Chi è fornito di un certo grado di coltura o di un certo censo? chi vi trova un adattamento ai propri gusti? Gesù Cristo non fa distinzione di luoghi e di persone. Se la legge mosaica si estendeva al solo popolo eletto,la legge cristiana si estenderà a tutti i popoli della terra. «Andate per tutto il mondo e predicate il Vangelo. a ogni creatura, dice agli Apostoli (Marc. XVI, 15). È dunque la Chiesa di tutti gli uomini e di tutte le nazioni. Nei primissimi anni l’attività della Chiesa si svolge in Gerusalemme e in Palestina. Poi, in adempimento alla missione ricevuta, gli Apostoli allargano il campo della loro azione. Ancor viventi essi, la buona novella è già conosciuta in buon numero delle province dell’impero romano. Roma, che si assoggetta il popolo ebreo, ne distrugge la capitale e ne conduce prigionieri gli abitanti, non ha la forza di soggiogare i dodici ebrei che Gesù Cristo ha mandato a dilatare la sua Chiesa, la quale stabilisce subito il suo centro in Roma stessa. Ben presto si estende a tutto l’impero romano, e a tutto il mondo conosciuto. Man mano che si scoprono nuove regioni, la Chiesa vi pone le sue tende. È una società unica in condizioni e in luoghi disparatissimi. Ovunque si ubbidisce allo stesso capo, si amministrano gli stessi sacramenti,si insegna la stessa dottrina, «che si conserva unica e identica a traverso il succedersi delle età » (S. Vincenzo Lirin. Comm., 24). Non può essere altrimenti, poiché «la Chiesa è la bocca di Cristo » (S. Ilario, Tract. Ps. XXXVIII, 29). A questa universalità della Chiesa non possono nuocere le defezioni, provocate nel corso dei secoli dalle eresie e dalle persecuzioni. Quando un albero è in pieno vigore non fa che una perdita temporanea, se la tempesta o il ciclone gli stroncano qualche ramo. Al posto di un ramo troncato, sorgono, pieni di rigoglio, parecchi altri rami. Se qualche popolo, o parte di qualche popolo, fa talora apostasia dalla Chiesa Cattolica, ben presto altri popoli ne prendono il posto. L’assistenza di Gesù Cristo le infonde un vigore continuo, che la porta a nuove e sempre più ampie conquiste. E come allora, chi era nato secondo la carne perseguitava colui che era nato secondo lo spirito, così avviene anche adesso. E così avverrà sempre.. Ismaele, figlio della schiava perseguita Isacco; i Giudei, schiavi della legge. perseguitavano la Chiesa nascente; gli schiavi della passione e dell’errore perseguiteranno la Chiesa nel corso dei secoli, pur soccombendo sempre.Il giorno della Pentecoste è il giorno natalizio della Chiesa. In quel giorno parecchie migliaia formano la prima comunità, che il giorno seguente aumenta di altre. migliaia, I membri della Chiesa crescono sempre più di numero, e il fatto non può sfuggire ai suoi nemici. Il Sinedrio che aveva visto sigillata la pietra che chiudeva il sepolcro di Gesù, credeva di aver seppellito per sempre anche il suo nome. Si accorge di essersi ingannato. Il nome di Gesù risuona più di prima, e in questo nome si compiono grandi miracoli. Ed ecco che fa in carcerare e battere gli Apostoli. Presto seguirà il martirio di chi professa la divinità di Gesù Cristo. Verrà S. Stefano, verrà S. Giacomo, verranno altri martiri, in Palestina e fuori; ma non per questo la Chiesa s’arresta nel suo cammino.Il Redentore, dopo l’omaggio e l’adorazione dei Magi, è portato in Egitto per essere sottratto alla persecuzione di Erode. Un bel giorno, l’Angelo del Signore appare in sogno a Giuseppe, e gli dice: «Levati, prendi il fanciullo e la Madre di Lui, e va nella terra d’Israele; perché son già morti coloro che volevano la vita del bambino » (Matth. II, 20).Ecco la storia di tutti i persecutori della Chiesa. La Chiesa è ancor salda sul fondamento posto da Gesù Cristo e i suoi persecutori dove sono? Essi sono scomparsi, uno dopo l’altro, non lasciando di sé alcun nomea, o lasciando un nome esecrato. Quello che Dio guarda, è ben guardato. Eliodoro era stato mandato a Gerusalemme dal re Seleuco con l’ordine di spogliare il Tempio dei suoi tesori. Atterrato all’entrata del luogo santo dal cavallo d’un misterioso cavaliere, e flagellato con violenza da due giovani fulgenti di gloria, è salvato per l’intervento del Sommo Sacerdote Orda. Egli ritorna a Seleuco, a man vuote, ad annunciargli la potenza del Dio d’Israele. E quando il re gli chiede chi altro potrebbe essere mandato un’altra volta a Gerusalemme, risponde francamente: «Se tu hai qualche nemico o traditore del regno da punire, mandalo là, e ti ritornerà flagellato, se riuscirà a scampare la morte… Poiché colui che ha stanza nei cieli visita e protegge quel luogo, e percuote e stermina chi va a farvi del male» (2 Macc. III, 38-39).Brama di perdere, chi contro Dio combatte. Brama di fare una fine triste, dopo opera inutile, chi contrasta e combatte la Chiesa. Lo dimostra l’esperienza di 19 secoli. Abbiamo, dunque, la più grande fiducia nel continuo trionfo della Chiesa. Tutte le forze che si possono mobilitare contro di essa, non varranno a scuoterla. È sopra un fondamento troppo saldo. Lo scoglio avanzato o l’isolotto su cui s’innalza il faro ha ben poco da temere dall’insidia o dal furore delle acque. Il lavorio nascosto delle correnti non riesce a intaccare la salda roccia, e le onde impetuose non la possono abbattere. A ogni assalto c’è un po’ di rumore per l’urto: spruzzi d’acqua s’innalzano per un momento, poi tutto è quiete. Le onde si riversano infrante, lo scoglio sta, e il faro continua a brillare. La Chiesa continuerà la sua missione di illuminare il mondo, e intorno ad essa s’infrangerà qualunque forza.« Poiché è proprio della Chiesa il vincere quando è colpita, esser compresa quando è biasimata, riuscire quando è abbandonata » (S. Ilario, De Trin. L. 7, 4).Gesù Cristo rimprovera gli Apostoli di poca fede, quando temono di andar sommersi nelle onde del lago, nonostante la presenza del divin Maestro nella barca: non li rimprovera però, perché da parte loro fanno il possibile, lavorando di remi, per condurre la barca a riva. Saremmo certamente Cristiani di poca fede, se dubitassimo un momento del progresso continuo e del continuo trionfo della Chiesa; non saremmo certamente Cristiani modello, se non procurassimo, da parte nostra, aggiungere i fatti alla domanda che rivolgiamo tutti i giorni a Dio: «Venga il tuo regno ».

Graduale

Ps CXXI: 1, 7

Lætátus sum in his, quæ dicta sunt mihi: in domum Dómini íbimus. [Mi rallegrai di ciò che mi fu detto: andremo nella casa del Signore].

Fiat pax in virtúte tua: et abundántia in túrribus tuis. [V. Regni la pace nelle tue fortezze e la sicurezza nelle tue torri.]

Tractus

Ps. CXXIV:1-2

Qui confídunt in Dómino, sicut mons Sion: non commovébitur in ætérnum, qui hábitat in Jerúsalem. [Quelli che confídano nel Signore sono come il monte Sion: non vacillerà in eterno chi àbita in Gerusalemme.]

Montes in circúitu ejus: et Dóminus in circúitu pópuli sui, ex hoc nunc et usque in sæculum. [V. Attorno ad essa stanno i monti: il Signore sta attorno al suo popolo: ora e nei secoli.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Joann VI:1-15

“In illo témpore: Abiit Jesus trans mare Galilaeæ, quod est Tiberíadis: et sequebátur eum multitúdo magna, quia vidébant signa, quæ faciébat super his, qui infirmabántur. Súbiit ergo in montem Jesus: et ibi sedébat cum discípulis suis. Erat autem próximum Pascha, dies festus Judæórum. Cum sublevásset ergo óculos Jesus et vidísset, quia multitúdo máxima venit ad eum, dixit ad Philíppum: Unde emémus panes, ut mandúcent hi? Hoc autem dicebat tentans eum: ipse enim sciébat, quid esset factúrus. Respóndit ei Philíppus: Ducentórum denariórum panes non suffíciunt eis, ut unusquísque módicum quid accípiat. Dicit ei unus ex discípulis ejus, Andréas, frater Simónis Petri: Est puer unus hic, qui habet quinque panes hordeáceos et duos pisces: sed hæc quid sunt inter tantos? Dixit ergo Jesus: Fácite hómines discúmbere. Erat autem fænum multum in loco. Discubuérunt ergo viri, número quasi quinque mília. Accépit ergo Jesus panes, et cum grátias egísset, distríbuit discumbéntibus: simíliter et ex píscibus, quantum volébant. Ut autem impléti sunt, dixit discípulis suis: Collígite quæ superavérunt fragménta, ne péreant. Collegérunt ergo, et implevérunt duódecim cóphinos fragmentórum ex quinque pánibus hordeáceis, quæ superfuérunt his, qui manducáverant. Illi ergo hómines cum vidíssent, quod Jesus fécerat signum, dicébant: Quia hic est vere Prophéta, qui ventúrus est in mundum. Jesus ergo cum cognovísset, quia ventúri essent, ut ráperent eum et fácerent eum regem, fugit íterum in montem ipse solus.”

OMELIA II

[A. Carmagnola: Spiegazione dei Vangeli domenicali – S. E. I. Torino 1921: Spieg. XVIII]

 “In quel tempo Gesù se ne andò di là dal mare di Galilea, cioè di Tiberiade; e seguivalo una gran turba, perché vedeva i miracoli fatti da lui a pro dei malati. Salì pertanto Gesù sopra un monte, e ivi si pose a sedere co’ suoi discepoli. Ed era vicina la Pasqua, solennità de’ Giudei. Avendo adunque Gesù alzati gli occhi e veduto come una gran turba veniva da lui, disse a Filippo: dove compreremo pane per cibar questa gente? Lo che Egli diceva per far prova di lui; imperocché egli sapeva quello che era per fare. Risposegli Filippo: Duecento denari di pane non bastano per costoro, a darne un piccolo pezzo per uno. Dissegli uno de’ suoi discepoli, Andrea, fratello di Simone Pietro: Evvi un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che è questo per tanta gente? Ma Gesù disse: Fate che costoro si mettano a sedere. Era quivi molta l’erba. Si misero pertanto a sedere in numero di circa cinquemila. Prese adunque Gesù i pani, e rese lo grazie, li distribuì a coloro che sedevano; e il simile dei pesci, nuche ne vollero. E saziati che furono, disse ai suoi discepoli: Raccogliete gli avanzi, che non vadano a male. Ed essi li raccolsero, ed empirono dodici canestri di frammenti dei cinque pani di orzo, che erano avanzati a coloro che avevano mangiato. Coloro pertanto, veduto il miracolo fatto da Gesù, dissero: Questo è veramente quel profeta che doveva venire al mondo. Ma Gesù, conoscendo che erano per venire a prenderlo per forza per farlo loro re, si fuggì di bel nuovo da sé solo sul monte” (Io. VI, 1-15).

La volontà di Dio a nostro riguardo è che ci facciamo santi. Hæc est voluntas Dei, dice l’Apostolo Paolo, sanctificatio vestra. E lo stesso nostro Signore in più luoghi delle Sacre Scritture così insiste: Siate santi, perché Io sono Sauto: Sancti estote, quia ego Sanctus sum (Lev. Pass.). Ma forseché  Iddio, che vuole la nostra santificazione, tralascia di darci i mezzi per operarla? Tutt’altro! Egli ce li dona in tanta quantità e di tale efficacia da superare infinitamente qualsiasi aspettazione ed immaginazione. E tra questi tanti e così efficaci mezzi tengono principalissimo posto i Sacramenti, quei Sacramenti, che nostro Signor Gesù Cristo, venuto in su la terra a compiere l’opera di redenzione, nell’amor suo infinito per noi, affine di perpetuarla ha istituito, onde comunicarci in modo specialissimo la sua grazia, renderci capaci della santità e meritevoli della vita eterna. Che se ciò è proprio di ciascuno dei sette Sacramenti, lo è senza dubbio massimamente del Sacramento dell’Eucaristia, in cui per la S. Comunione, si riceve dall’uomo non solamente la grazia, ma lo stesso Autore della grazia, Gesù Cristo. Or bene, il Vangelo di questa domenica ci presenta propriamente la bella occasione di parlare di questo gran mezzo di santificazione.

1. Gesù, ci dice questo Vangelo, era andato di là dal mare di Galilea, cioè di Tiberiade; e seguivalo una gran turba, perché vedeva i miracoli fatti da lui a pro dei malati. Et reliqua … Ecco il Vangelo di oggi. Or bene, la più parte dei Sacri Dottori sono d’accordo nel riconoscere come questa moltiplicazione dei pani, operata da Gesù Cristo a pro di quelle turbe fameliche, sia una chiara e stupenda figura della moltiplicazione che il Salvatore avrebbe fatto del suo corpo e del suo sangue in cibo ed a pro delle anime nostre. E di fatti, che cosa accade nel mistero della Eucaristia? Anzi tutto il pane ed il vino sono tramutati nel corpo e nel sangue di Nostro Signor Gesù Cristo. Il Sacerdote, che nella sacra ordinazione ne ha ricevuto la possanza, a nome di Gesù Cristo pronunzia sopra del pane queste singolari parole: Hoc est corpus meum; questo è il mio corpo, e sopra del vino queste altre: Hic est calix sanguinis mei, questo è il calice del mio sangue, ed a queste semplici parole per la potenza che Gesù Cristo ha loro comunicato, il pane cessa di essere pane: il vino lascia di essere vino: e diventano il Corpo ed il Sangue di Gesù Cristo: quel vero Corpo nato da Maria Vergine, quel vero Sangue sparso sulla croce per la nostra salute. Rimangono, è vero, le specie ossia le apparenze di pane e di vino, la loro figura, il loro colore, odore, sapore, ma il pane ed il vino più non vi sono, perciocché, notatelo bene, dopo le parole consacratorie non è già che il Corpo ed il Sangue di Cristo si trovino nel pane e nel vino che allora non avverrebbe più quella conversione meravigliosa che la Chiesa chiama transustanziazione, ma bensì, come volle credere quel grande eresiarca che fu Martin Lutero, una semplice impanazione; non è dunque che il corpo e il sangue di Gesù Cristo si trovino nel pane e nel vino, ma il pane e il vino sono diventati realmente il Corpo ed il Sangue di Lui. Ma ciò non è tutto. Per l’onnipotenza di Dio, al quale niente è impossibile, la presenza reale di Gesù Cristo resta come moltiplicata su tutta la faccia della terra, perciocché per le parole della consacrazione proferite da ogni Sacerdote, che celebra la Messa, Gesù Cristo viene a trovarsi realmente presente in tutte le ostie consacrate del mondo. Percorrete pure tutta la terra, entrate pure in tutte le Chiese, aprite pure tutti i tabernacoli: scoprite pure tutte le pissidi, Gesù Cristo è sempre tutto intero in quelle sacre ostie, sia che rimangano unite, sia che voi le separiate. Anzi se si spezza pure un’ostia consacrata in minutissime parti, in ciascuna di esse vi sarà sempre ancora tutto intero Gesù Cristo col suo Corpo, col suo Sangue, con la sua Anima e con la sua divinità. Più ancora; fino a che non siano corrotte o consumate le specie del pane e del vino Gesù, rimane sempre in tutte tali ostie ancorché non siano distribuite ai fedeli, ma si conservino solo nei tabernacoli, e cioè indipendentemente dall’uso del Sacramento. Il Battesimo, ad esempio, acquista la natura di Sacramento nell’atto stesso che si compie l’abluzione sull’uomo: la Cresima quando si fa la sacra unzione: ma l’Eucaristia è invece Sacramento prima ancora di essere distribuito nella Santa Comunione; è Sacramento anche dopo d’essere stato distribuito, e vuol essere conservato sui nostri altari, perché il popolo cristiano venga ad adorarvi la reale presenza di Dio e poi essere portato in viatico a quegli infermi, che per la gravezza del male più non possono recarsi nelle Chiese a riceverlo.Ora, non apparisce chiaro da tutto ciò come il miracolo della moltiplicazione dei pani raffigura magnificamente il mistero eucaristico? Ed ecco perché Gesù Cristo nella moltiplicazione dei pani osserva le stesse cerimonie della istituzione dell’Eucaristia, vale a dire prende il pane, rende le grazie, lo distribuisce finché ne vogliono e poi ordina di raccogliere i frammenti, affinché non vadano a male; ecco perché l’Evangelista S. Giovanni dopo un tal miracolo fa subito seguire il racconto della promessa, che Gesù fece dell’Eucarestia. Ed ecco ancora il perché nei primordi della Chiesa in più di trenta luoghi nelle catacombe il mistero dell’Eucaristia fu rappresentato sotto la figura della moltiplicazione dei pani. Tuttavia questo miracolo non raffigura soltanto il gran dono di Gesù Cristo nella sua essenza, ma lo raffigura altresì nei suoi effetti.

2. Quel pane miracoloso fu da Gesù moltiplicato per saziare la fame della turba, che lo seguiva; e così l’Eucarestia viene miracolosamente moltiplicata per saziare la fame delle anime nostre. Ed in vero il Signore, il quale ha creato tutte le cose dal nulla, volle che le medesime avessero incremento e vita mediante la nutrizione. Però « tutte le creature, come dice Davide, aspettano dal Signore il cibo nel tempo opportuno ed Egli apre la mano e tutte le sazia con la sua benedizione: Omnia a te expectant ut des illis escam in tempore; aperis tu manum tuain et imples omne animal benedizione». E la creazione può paragonarsi ad un immenso banchetto, dove seggono incessantemente milioni di convitati pascendosi dal mattino alla sera dei doni della Divina Provvidenza. La pianta va cercando nella terra, e fin sull’arida roccia i succhi, che essa aspira; nell’atmosfera va cercando la luce, i gas, la rugiada ch’essa avidamente beve. L’animale più esigente ancora, a mano a mano che la sua vita si svolge, va cercando il suo cibo nei prodotti delle piante e non di rado nelle carni stesse di un altro animale. L’uomo poi alla sua volta avendo anch’egli bisogno dì mangiare per vivere si serve anch’egli del cibo, che gli somministrano le piante e gli animali. Se non che all’uomo non basta questo cibo terreno, perché egli sia pienamente sazio in tutto il suo essere. Egli ha un’anima creata nel soffio di Dio, da Dio costituita in un ordine soprannaturale, destinata ad avere per suo fine Dio medesimo, a contemplarlo, a possederlo eternamente. Quest’anima nel Cristiano è santificata da Gesù Cristo nel Santo Battesimo, arricchita dei doni dello Spirito Santo nella Cresima e per vari titoli è fatta partecipe della divina natura. Ora quest’anima anch’essa ha fame e per quell’impulso che Iddio le ha dato, per quell’ordine, in cui Iddio l’ha costituita, per quella santificazione, che in lei ha operato, ha fame e sete di un cibo soprannaturale, di un cibo celeste, di un cibo divino, in una parola, ha fame e sete di Dio. E poteva essere che Iddio, sempre infinitamente buono con gli uomini, lasciasse insoddisfatto questo bisogno della loro anima? No, senza dubbio. Onnipotente, sapiente, buono come Egli è, lo ha soddisfatto in un modo che, come osserva S. Agostino, esaurisce la sua potenza, la sua sapienza, la sua bontà. Egli lo ha soddisfatto appunto nel Sacramento della Eucarestia, Sacramento in cui sotto le specie del pane e del vino Egli, Iddio, realmente Iddio, si fa cibo alle anime nostre. Gesù Cristo lo ha detto: « Io sono il pane della vita: chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me ed Io in lui: chi mangia di me, vivrà di me. » E siccome il pane, ed ogni altro cibo materiale che noi prendiamo per saziare la nostra fame, si va trasformando nella nostra carne e nel nostro sangue, così questo pane e questo cibo delle nostre anime, che è la SS. Eucarestia, opera pure su noi una trasformazione anche più, anzi infinitamente più meravigliosa. Perciocché nella Comunione valendo la legge che nel concorso di duranze, la più attiva trasforma in se stessa quella che lo è meno, non siamo noi che trasformiamo il pane vivo di Gesù Cristo nel nostro essere, ma è lo stesso Gesù che ci trasforma in Lui. Cibus sum grandium, diceva Gesù dal tabernacolo a San Agostino, cresce et manducabis me: Io sono il cibo delle anime grandi, cresci e potrai mangiarmi: Nec tu mutabis me in te, sicut cibus carnis meæ, sed tu mutaberis in me: ma tu non cambierai me in te, come il nutrimento della tua carne, tu bensì sarai cangiato in me. Intendetelo bene, o miei cari, Gesù Cristo ci fa passare in Lui! Nel momento della comunione, Egli ci piglia, ci penetra, si impadronisce della nostra vita, ne volge il corso verso la vita sua, conforma le nostre tendenze, i nostri costumi alle tendenze ed ai costumi divini, dimodoché dopo la Comunione ciascuno di noi può esclamare con l’Apostolo: Sembra che io viva, ma no, non son più io che vivo, è Cristo che vive in me: Vivo ego, iam non ego, vivit vero in me Christus. È vero, l’atto della Comunione è passeggiero: la presenza reale non dura che pochi istanti: le specie sacramentali, dalla cui sorte essa dipende, scompariscono ben presto nel cieco lavoro dei nostri organi, ma l’effetto della divina assimilazione è durevole: perché Gesù Cristo lo ha detto: Qui manducat me, vivet propter me; e la sua parola non può fallire. E come quando il fiore è passato per le vostre stanze e l’incenso è stato arso presso l’altare, han lasciato il loro profumo, e come quando il sole è scomparso dall’orizzonte, la terra rimane ancor penetrata dal suo vivifico calore, cosi Gesù Cristo, allora che noi ci siamo nutriti della sua carne, lascia nell’anima nostra la sua fragranza ed il suo calore, sicché noi possiamo sempre ripetere: Mihi vivere Christus est: Gesù Cristo è la mia vita. – Come bene adunque il miracolo della moltiplicazione dei pani, operato da Gesù Cristo per saziare la fame di quella turba che lo seguiva, come bene raffigura il mistero dell’Eucarestia, che Gesù Cristo ha istituito per saziare la fame dell’anima nostra! Ma come quel pane miracoloso saziando la fame di quella turba riparò in essa la perdita delle sue forze, e la sostentò, le accrebbe anzi vigoria e le procacciò pure un grande diletto, così ancora è da dirsi del pane Eucaristico. E così appunto dice S. Tommaso.

3. Ogni effetto che l’alimento materiale produce nella nostra vita corporale, dice egli, lo produce l’Eucaristia nella vita spirituale, vale a dire ripara, sostiene, aumenta e diletta. Ed anzi tutto ripara. Come il nostro corpo va soggetto a perdite per le forze deleterie, che agiscono in lui, così l’anima nostra. Il peccato opera in essa delle alterazioni analoghe a quelle, che le malattie producono nel nostro corpo; e sebbene se ne sia guariti per mezzo di una santa Confessione, rimangono tuttavia le sue conseguenze, una debolezza, una prostrazione di forze, una facilità a ricadervi, come chi si trova nello stato di convalescenza. Or bene per mezzo della Comunione la grazia si rinvigorisce, le forze ritornano, il pericolo di ricadere si fa più lontano e si è più facilmente preservati dal peccato mortale. E siccome non è la colpa grave soltanto, che cagioni in noi delle perdite, ma anche le quotidiane imperfezioni, a cui andiamo soggetti, senza distruggere, scemano tuttavia in noi il fervore della carità, così l’Eucarestia anche qui compie la sua opera di riparazione, perciocché come afferma S. Ambrogio, questo pane divino è il rimedio alle quotidiane infermità: Iste panis quotidianus sumitur in remedium quotidianæ infirmitatis. In secondo luogo la SS. Eucaristia ci sostiene nella lotta, che dobbiamo avere continuamente coi nostri nemici. Il demonio nostro implacabile avversario sempre si aggira dintorno a noi, cercando di divorarci. Il mondo con le sue vanità, con le sue massime e persino con le sue minacce porge, ahi! troppo valido aiuto all’opera di satana. E sventura vuole che a questi nemici esterni si aggiungano dei nemici interni, vale a dire le nostre passioni, che a guisa di furie si scagliano continuamente contro di noi per cooperare con satana e col mondo a far la nostra rovina. Ora, contro di queste tre sorta di nemici, sempre congiurati ai nostri danni, dove troveremo noi la forza per resistere e vincere? Nella SS. Eucaristia. La carne ed il sangue di Gesù Cristo, dice S. Giov. Crisostomo, mette in fuga ed allontana da noi il demonio, poiché al solo vedere nelle anime nostre Colui che atterrò il suo impero, si sente ripieno di sgomento. La Comunione ci tramuta in leoni spiranti fiamme d’un coraggio divino, sicché non è più il demonio che sia terribile a noi, ma noi siamo terribili al demonio. E così venga pure il mondo contro di noi con le sue vanità, con le fragili bellezze delle creature, con le lusinghe de’ suoi amori caduchi! Se l’Eucaristia ciba sì spesso le anime nostre, il nostro cuore non pena e non tarda a dissipare le illusioni, e a togliere anzi argomento da questi assalti mondani a stringersi sempre più fortemente al suo unico vero bene. Venga pure il mondo contro di noi con le sue massime e con le sue derisioni, ma l’Eucaristia metterà nell’anima nostra tale una forza, che ci farà respingere sdegnosamente quelle sue perverse massime e ci indurrà ben anche a sfidare il mondo tutto, se con le sue dicerie verrà a distoglierci dall’operare il bene. Venga in fine contro di noi con le stesse minacce e con le persecuzioni e con le violenze. Non temeremo certamente di ciò, e a somiglianza dei primi Cristiani, fortificati da questo pane celeste, saremo pronti a morire, ma non a cedere. Infine siccome oltreché da questi nemici esterni siamo ancora travagliati dalle nostre prepotenti passioni, dal nostro orgoglio, dalla nostra cupidigia, dalla nostra carne, così Gesù Cristo venendo dentro di noi per la Santa Comunione, come dice S. Cirillo Alessandrino, raffrenerà il loro ardore corroborando contro di esse la nostra pietà. Difatti come non fiaccare la nostra superbia davanti ai prodigiosi abbassamenti di Gesù nella SS. Eucaristia? Come non distaccare il cuore dai beni terreni nel possesso vero ed unico bene? Come non castigare e mondare la nostra carne nel mangiare il frumento degli eletti e nel bere il vino che germina i vergini? In terzo luogo questo cibo delle anime nostre accresce ancora in noi la vita spirituale, spronandoci efficacemente a far passi da gigante nella via della giustizia e della santità; imperciocché coloro, che si cibano sovente e bene della SS. Eucaristia, sono essi, a ciascun dei quali si possono applicare le parole del Salmista: Beatus vir, cuius est auxilium abs te; ascensiones in corde suo disposuit; beato l’uomo che da te, o Signore, riceve l’aiuto, anzi il generatore dell’aiuto, perciocché è desso che ha stabilito di salir sempre più in alto. Sì, sono essi, che se ne vanno di virtù in virtù: Ibunt de virtute in virtúte (Ps. LXXXIII, 6), che si fanno sempre più umili, sempre più pazienti, sempre più mortificati, sempre più casti, sempre più caritatevoli, sempre più ardenti nell’amor di Dio, sempre più santi. È la forza arcana dell’Eucaristia che li spinge, che dice a ciascun di loro con tutta l’efficacia: Ascende superius: pia in alto, più in alto sempre. E finalmente il cibo della SS. Comunione arreca alle anime nostre un ineffabile spirituale diletto. Ah! io so bene che l’uomo animalesco, che non vive che in mezzo alle cose del mondo e ai piaceri del senso, del tutto ignaro e dimentico delle cose di Dio, no, non capisce che vi possa essere uno spirituale diletto nel ricevere la Santa Comunione. Ma se noi ne domandassimo qualche cosa ai Santi, che con tanta frequenza e con tanto fervore vi si accostavano, ben ci risponderebbero che non vi ha sulla terra maggior diletto di questo, e che qui nella Santa Comunione si prova davvero il paradiso anticipato. Ma anche senza rivolgerci ai Santi, è certo che so nel corso della nostra passata vita abbiamo fatto delle buone Comunioni, noi medesimi potremo rendere testimonianza di questa certissima verità, che il cibarci delle carni di Gesù Cristo, arreca veramente il massimo fra gli spirituali diletti. Ecco adunque gli effetti ammirabili, che opera il pane della SS. Eucaristia in chi bene e frequentemente lo riceve. Se ancor noi desideriamo di goderne, imitiamo le turbe del deserto. Aneliamo di star vicini a Gesù, stiamogli vicini davvero col tenerci sempre lontani dal peccato, ed allora con la bella e necessaria disposizione della grazia potremo ancor noi cibarci bene e spesso del pane Eucaristico, e questo pane sazierà la fame dell’anima nostra e ne opererà la santificazione.

CREDO …

 Offertorium

Orémus Ps CXXXIV: 3, 6

Laudáte Dóminum, quia benígnus est: psállite nómini ejus, quóniam suávis est: ómnia, quæcúmque vóluit, fecit in coelo et in terra. [Lodate il Signore perché è buono: inneggiate al suo nome perché è soave: Egli ha fatto tutto ciò che ha voluto, in cielo e in terra.]

 Secreta

Sacrifíciis præséntibus, Dómine, quaesumus, inténde placátus: ut et devotióni nostræ profíciant et salúti. [Ti preghiamo, o Signore, volgi placato il tuo sguardo alle presenti offerte, affinché giòvino alla nostra pietà e alla nostra salvezza.]

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum. – R. Amen.

Communio

Ps CXXI:3-4

Jerúsalem, quæ ædificátur ut cívitas, cujus participátio ejus in idípsum: illuc enim ascendérunt tribus, tribus Dómini, ad confiténdum nómini tuo. Dómine. [Gerusalemme è edificata come città interamente compatta: qui sàlgono le tribú, le tribú del Signore, a lodare il tuo nome, o Signore.]

Postcommunio

Orémus. Da nobis, quaesumus, miséricors Deus: ut sancta tua, quibus incessánter explémur, sincéris tractémus obséquiis, et fidéli semper mente sumámus. [Concédici, Te ne preghiamo, o Dio misericordioso, che i tuoi santi misteri, di cui siamo incessantemente nutriti, li trattiamo con profondo rispetto e li riceviamo sempre con cuore fedele.]

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.