CONOSCERE SAN PAOLO (54)

CONOSCERE SAN PAOLO (54)

CAPO II

I Novissimi.

[F. Pratt: La teologia di San Paolo – Parte SECONDA,  S.E.I. Ed. – Torino, 1927 – impr.]

III. IL GIORNO DEL SIGNORE.

1 . LA PARUSIA. — 2. IL GIUDIZIO FINALE. — 3. LA SEPARAZIONE DEI BUONI E DEI CATTIVI.

1. Parusia, letteralmente « presenza » e per estensione « venuta », è un termine tecnico usato nel Nuovo Testamento per indicare la seconda venuta di Gesù Cristo, la quale è anche chiamata « la rivelazione » oppure « l’apparizione » o « il giorno del Signore ». Quando san Paolo scriveva le sue lettere, si chiamava « parusia » la visita solenne di un sovrano o di qualche gran personaggio, particolarmente dello stesso imperatore. Polibio ricorda in questo senso la parusia del re Antioco, ed un’iscrizione del terzo secolo prima di Gesù Cristo, ci dice che la parusia di Saitapharnes a Olbia costò agli abitanti novecento pezze d’oro (Polibio, Hist. XVIII, 31). Questa circostanza straordinaria celebrata con feste, giochi, sacrifici, perpetuata da statue, da fondazioni, da medaglie commemorative e talora dall’inaugurazione di un’era nuova, era tale da colpire la fantasia della gente e lasciava un ricordo duraturo nella memoria degli uomini. Nessuna espressione conveniva dunque meglio di questa per indicare il ritorno trionfale del Cristo che viene a inaugurare il suo regno. – La parusia attinge largamente dalle descrizioni profetiche del giorno di Jehovah, del quale essa è la realizzazione tipica. Da entrambe le parti, il Giorno del Signore chiude la storia dell’umanità e segna la fine dei tempi; da entrambe le parti appare vicino, senza che si possa dire se tale sia effettivamente oppure se l’illusione dipenda dallo stile profetico che, sopprimendo la prospettiva, proietta sul medesimo piano avvenimenti lontani tra loro; da entrambe le parti arriva circondato da un apparato terribile, si annunzia con convulsioni cosmiche e lascia l’intera natura purificata e rinnovata; da entrambe le parti finalmente il Signore si presenta come Giudice, Salvatore e Vindice: Giudice universale, Salvatore dei suoi e Vindice degli oppressi. Ma, diversamente dal Giorno di Jehovah, la parusia è sempre intimamente collegata con la risurrezione dei morti; il suo carattere è più spirituale; è il Cristo, piuttosto che Dio, che pronunzia il giudizio. – In ogni profezia ed in ogni apocalisse, la parte del tipo, del simbolo e dell’allusione a profezie anteriori è sempre difficile da definire nettamente. Né  la profezia si dovrebbe spiegare come un racconto storico, né l’apocalisse come una profezia ordinaria: questo genere letterario comporta simboli tradizionali che sarebbe pericoloso prendere alla lettera, e il cui senso, condizionato da una serie di predizioni più antiche, rimane sempre misterioso e indeciso. Come tutte le composizioni della stessa specie, l’apocalisse di Paolo si fa eco di altre apocalissi; vi si trovano in copia reminiscenze di Daniele, d’Isaia, di Ezechiele, dei Salmi, con diversi tratti presi dal discorso escatologico di Gesù. Una difficoltà poi tutta speciale è questa: essa si riferisce ad un insegnamento orale del quale noi ignoriamo il tenore. L’apparato esteriore della parusia è presso a poco il medesimo dei Sinottici. Lo squillo della tromba chiama i morti ed i vivi alle grandi assise dell’umanità; il Figlio dell’uomo si avanza con la scorta degli Angeli, avendo per cocchio le nubi; in un batter d’occhio si muta la faccia del mondo, e gli spettatori sono colpiti da sorpresa, da costernazione, da spavento. Lo sconvolgimento fisico dell’universo, sul quale insiste l’escatologia dei profeti, da Paolo è accennato appena, e non troviamo in lui nessuna traccia sicura del fuoco della conflagrazione, del quale ci è data una drammatica descrizione nella prima Epistola di san Pietro. Dei tre segni precursori della parusia — oltre ai fenomeni fisici — la conversione finale degli Ebrei è speciale di Paolo, l’apostasia generale è comune a tutti, e così pure, probabilmente, l’apparizione dell’Anticristo, benché i Sinottici parlino di una molteplicità di falsi Cristi, e san Giovanni sembri dividere tra più personaggi la parte assegnata da san Paolo all’Uomo dell’iniquità, al Figlio della perdizione. Siccome san Giovanni ci fa sapere che la venuta di un Anticristo unico faceva parte dell’insegnamento degli Apostoli, si può ammettere che gli anticristi molteplici fossero considerati come i ministri o i precursori del grande avversario.

2. Avendo già parlato dei due punti che sono particolari dell’apocalisse di Paolo — l’ostacolo misterioso che si oppone alla manifestazione immediata dell’Anticristo ed il privilegio dei giusti testimoni della parusia — non aggiungeremo che poche parole sul giudizio finale, dove del resto la teologia paolina non offre nulla di veramente originale. Il giudizio è così intimamente collegato con la parusia, che è impossibile separare queste due scene di un medesimo dramma, riunite dalla Chiesa in un medesimo articolo del simbolo. Gesù Cristo  viene, e viene per giudicare i vivi ed i morti. Gli apostoli non mancavano mai di far entrare questo dogma nei loro primi discorsi ai pagani, e san Paolo con maggiore insistenza che gli altri, perché, almeno da principio, dava alla parusia un grandissimo rilievo. Il giudizio sarà universale e fondato sopra le opere: « Noi tutti dobbiamo comparire dinanzi al tribunale del Cristo, affinché ciascuno vi riceva la retribuzione di ciò che ha fatto mentre era nel corpo, sia in bene, sia in male (II Cor. V, 10) ». Qui si tratta soltanto degli adulti, i soli capaci di azioni morali; e nonostante l’autorità di sant’Agostino che dietro di sé trascinò, come al solito, tanti altri interpreti, non vi si possono includere, senza fare violenza, i bambini; ma l’universalità assoluta del giudizio è espressa con una formula che non ammette equivoco: « Verrà a giudicare i vivi ed i morti (II Tim. IV, 1) », i morti risuscitati ed i vivi testimoni della parusia. In qualunque maniera s’intendano i vivi ed i morti, non vi è nulla di mezzo tra questi due termini che comprendono necessariamente tutti gli uomini senza eccezione. Ne segue che i santi, assessori del sommo Giudice, saranno giudicati anch’essi; anzi, « noi giudicheremo gli Angeli (I Cor. VI, 3) »; e non soltanto gli angeli decaduti, ma gli Angeli rimasti fedeli: gli angeli cattivi non ricevono mai il solo nome di angeli senza il qualificativo. Insomma, il giudizio avrà la stessa estensione del merito e del demerito: Angeli o uomini, tutti quelli che sono stati sottoposti alla prova, ne siano o no riusciti vincitori, tutti dovranno comparire al tribunale di Dio. – Ai catecumeni s’insegnava che il giudizio sarà « eterno (Ebr. VI, 2) », nei suoi effetti e nelle sue conseguenze, cioè definitivo e irrevocabile. Per i giusti, san Paolo non potrebbe essere più esplicito: essi saranno « sempre col Signore (I Tess. IV, 17) »; la vita eterna che essi si sono guadagnata li mette al sicuro da una seconda morte. La sentenza pronunziata contro i cattivi non è meno immutabile; essi sono votati « alla perdizione eterna (II Tess. I, 9) ». Coloro i quali pretendono che san Paolo, dopo le Lettere ai Tessalonicesi, avrebbe mutato parere, non hanno dato la prova di tale ritrattazione immaginaria. In tutti gli scritti apostolici la morte è presentata come il termine dei timori e delle speranze: la sorte degli eletti e dei riprovati non è dunque più soggetta a incertezze ed a vicende.

3. Un passo di san Paolo ricorda la drammatica separazione dei buoni e dei cattivi, descritta da san Matteo e dall’Apocalisse di san Giovanni. È un brano ritmico e lirico, una specie di inno o di salmo, che raccoglie come in un mazzo tutti i principali tratti dell’escatologia cristiana. L’Apostolo dice ai neofiti, per consolarli delle persecuzioni che subiscono: È una prova del giusto giudizio di Dio che vuol rendervi degni del suoregno per il quale voi soffrite; poiché è giusto agli occhi di Dio il rimandare l’afflizione a coloro che vi affliggono ed il dare a voi, afflitti, il riposo con noi; quando si rivelerà dall’alto dei cieli il Signore Gesù, con gli Angeli della sua potenza, in un fuoco fiammeggiante; per punire quelli che non conoscono Dio e quelli che non obbediscono al Vangelo di Nostro Signor Gesù Cristo: essi subiranno per castigo la rovina eterna, lontano dalla faccia del Signore e dalla gloria della sua potenza; quando verrà per essere glorificato nei suoi santi e ammirato in tutti i credenti ( II Tess. I, 5-10). Paolo dimostra la necessità del giudizio con lo spettacolo del mondo attuale, dove così spesso gli innocenti sono vittime: questo momentaneo sconvolgimento dell’ordine deve cessare. Il mondo futuro sarà il contrappeso del mondo presente: ai persecutori, il dolore e la vergogna; ai perseguitati, il riposo e la gloria. Dio ci manda la prova per renderci degni della corona; nel darci la corona Egli fa un atto di giustizia; Egli fa un giudizio altrettanto giusto, quanto nel rifiutarla agli empi; da entrambe le parti vi è retribuzione (II Tess. I, 6-7). Non si potrebbe dire più chiaramente di così, che il regno di Dio si conquista, si guadagna, si merita. Certamente si traviserebbe il pensiero di Paolo se si supponesse che il merito, per quanto sia reale e personale, possa essere frutto dei soli nostri sforzi. È Dio che, dopo di averci messo in mano il potere di meritare, ci eccita e ci aiuta a farne uso, fa trionfare in noi la sua grazia e ci rende degni del regno. Non è però meno vero che il merito è nostro e ci dà un vero diritto presso Dio. « Nonmi resta altro, scrive l’Apostolo a Timoteo, che ricevere la corona di giustizia che mi assegnerà in quel giorno il Signore, il giusto Giudice; e non soltanto a me ma a tutti quelli che hanno amato il suo ritorno glorioso (II Tim. IV, 8) ». La corona di « giustizia » è un premio legittimamente guadagnato; e il « giudice », se è « giusto », è tenuto ad assegnarlo senza nessun arbitrio o sopruso. « Dio non fa accettazione di persone; perciò chi ha peccato senza la Legge, perirà senza la Legge; chi ha peccato nella Legge sarà giudicato dalla Legge; poiché non sono gli uditori della Legge che sono giusti presso Dio; ma sono gli osservatori della Legge che saranno giustificati (Rom. II, 11-13) ». Il giudizio si farà secondo i lumi degli uomini e secondo le loro opere; perciò il giorno della retribuzione, si chiama, relativamente ai cattivi, « il giorno dell’ira » e, in relazione a tutti, « la manifestazione del giusto giudizio di Dio ». Non occorre aggiungere che le « opere » che saranno la misura del giudizio, non sono le sole azioni esteriori, poiché l’occhio del sommo Giudice penetra fino nelle più intime pieghe della coscienza umana (I Cor. IV, 5). – Il supplizio dei cattivi consiste in due cose: essi sono banditi lontano dal Signore e privi della sua gloria — e questa si chiama oggi la pena del danno — e provano nei loro sensi l’afflizione e l’angoscia; la loro sorte è la rovina, la morte eterna (II Tess. I, 9). La ricompensa degli eletti è tutto l’opposto: è la quiete, il riposo e la calma derivanti dalla soddisfazione di tutti i desideri legittimi, ed è soprattutto il regno di Dio, l’unione con Gesù loro capo, nella pace e nella felicità senza fine (II Tess. I, 7). Del resto la parola umana è impotente a tradurre quelle meraviglie, perché « l’occhio dell’uomo mai non vide e il suo orecchio mai non udì e il suo cuore mai non provò le cose che Dio ha preparate a coloro che lo amano (I Cor. II. 9) ». Tutto quello che si può dire, è che la visione di Dio senza velo e senza intermediario di sorta, succederà per noi ai misteriosi bagliori della fede; noi vedremo Dio a faccia a faccia e lo conosceremo come noi stessi ne siamo conosciuti (I Cor. XIII, 12).

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.