DOMENICA III DI QUARESIMA (2019)

TERZA DOMENICA di QUARESIMA (2019)

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXIV: 15-16.

Oculi mei semper ad Dóminum, quia ipse evéllet de láqueo pedes meos: réspice in me, et miserére mei, quóniam unicus et pauper sum ego.[I miei occhi sono rivolti sempre al Signore, poiché Egli libererà i miei piedi dal laccio: guàrdami e abbi pietà di me, poiché sono solo e povero.]

Ps XXIV: 1-2

Ad te, Dómine, levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam, [A Te, o Signore, ho levato l’ànima mia, in Te confido, o mio Dio, ch’io non resti confuso.]

Oculi mei semper ad Dóminum, quia ipse evéllet de láqueo pedes meos: réspice in me, et miserére mei, quóniam únicus et pauper sum ego. [I miei occhi sono rivolti sempre al Signore, poiché Egli libererà i miei piedi dal laccio: guàrdami e abbi pietà di me, poiché sono solo e povero.]

 Oratio

Orémus.

Quæsumus, omnípotens Deus, vota humílium réspice: atque, ad defensiónem nostram, déxteram tuæ majestátis exténde. [Guarda, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, ai voti degli úmili, e stendi la potente tua destra in nostra difesa.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios.

Ephes. V: 1-9

“Fratres: Estote imitatores Dei, sicut fílii caríssimi: et ambuláte in dilectióne, sicut et Christus dilexit nos, et tradidit semetipsum pro nobis oblatiónem, et hostiam Deo in odorem suavitátis. Fornicatio autem et omnis immunditia aut avaritia nec nominetur in vobis, sicut decet sanctos: aut turpitudo aut stultiloquium aut scurrilitas, quæ ad rem non pertinet: sed magis gratiárum actio. Hoc enim scitóte intelligentes, quod omnis fornicator aut immundus aut avarus, quod est idolorum servitus, non habet hereditátem in regno Christi et Dei. Nemo vos sedúcat inanibus verbis: propter hæc enim venit ira Dei in filios diffidéntiæ. Nolíte ergo effici participes eórum. Erátis enim aliquando tenebrae: nunc autem lux in Dómino. Ut fílii lucis ambuláte: fructus enim lucis est in omni bonitate et justítia et veritáte.”

OMELIA I

 [A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli, Sc. Tip. Arciv. Artigianelli – Pavia, 1929]

L’IMPURITÀ’

 “Fratelli: Siate imitatori di Dio, come figli carissimi, e camminate nell’amore, come anche Cristo ha amato noi, e si è dato per noi a Dio, quale oblazione e sacrificio di soave odore. Della fornicazione, di ogni impurità, dell’avarizia non si faccia neppur menzione tra voi, come si conviene a santi: nessun turpiloquio, nessun discorso sciocco, nessuna scurrilità, tutte cose che disdicono; ma piuttosto il rendimento di grazie. Poiché, sappiatelo bene: nessun fornicatore, nessun impudico, nessun avaro, cioè idolatra, ha eredità nel regno di Cristo e di Dio. Nessuno vi seduca con dei discorsi vani; poiché per tali cose viene l’ira di Dio sopra i figli della disubbidienza. Non vogliate dunque avere comunanza con costoro. Un tempo, invero, eravate tenebre, ma ora siete luce nel Signore. Camminate da figli della luce. E frutto della luce, poi, consiste in ogni sorta di bontà, di giustizia, di verità”. (Ef. V, 1-9).

Efeso, sul mare Egeo, era la capitale dell’Asia proconsolare. Era celebre pel commercio e più ancora per il tempio di Diana, ritenuto una delle meraviglie del mondo, e meta di frequenti pellegrinaggi. S. Paolo ne fece come il centro della sua attività apostolica nell’Asia minore. Lontano da Efeso, in prigionia. l’Apostolo non dimentica la Chiesa da lui fondata. Nella Chiesa di Efeso, come nelle altre dell’Asia minore, andavano infiltrandosi degli errori, che corrompevano la dottrina da lui predicata. L’Apostolo scrive una lettera, indirizzata agli Efesini, nella quale, a premonire i fedeli contro le sottigliezze dell’errore, espone il piano della Redenzione, trattando dei grandi benefìci comunicatici per mezzo di Gesù Cristo. Esorta inoltre gli Efesini a vivere secondo il Vangelo, e viene a parlare dei doveri generali e particolari dei cristiani. Dal capo V di questa lettera è tolta l’epistola odierna. Dio ha usato verso gli uomini una carità immensa, perdonando i loro debiti per i meriti di Gesù Cristo. Davanti a tanta dimostrazione di amore il Cristiano non può rimanere indifferente. Perciò San Paolo inculca agli Efesini che siano imitatori di Dio e di Gesù Cristo nella carità verso il prossimo e nel perdono delle offese ricevute. Fuggano, poi, l’avarizia e la disonestà, tanto nelle opere, quanto nelle parole, se non vogliono rimaner esclusi dal regno dei cieli. Non si lascino ingannare da chi insegna che questi peccati sono cosa da nulla. A ogni modo, essi sono figli della luce; pratichino, adunque, le opere della luce e non quelle delle tenebre. Tra le opere delle tenebre è certamente l’impurità, la quale:

1. È di una bruttezza tutta particolare.

2. Attira gravi castighi da parte di Dio.

3. È oltremodo sconveniente per un Cristiano.

1.

Della fornicazione, di ogni impurità, dell’avarizia non si faccia neppur menzione tra voi. Impurità e avarizia erano le due grandi piaghe della società pagana, dalla quale i novelli Cristiani provenivano. Era troppo forte, nelle circostanze in cui vivevano, la voce allettatrice al ritorno a questi vizi. E S. Paolo li mette in guardia.Se tra i pagani questi peccati sono detestevoli, tra i Cristiani, chiamati a una vita di santità, non si devono neppur nominare. Sull’impurità specialmente insiste l’Apostolo. Non solo si devono fuggire le azioni; ma se ne devono mantenere assolutamente puri la mente e il cuore. Perciò soggiunge: nessun turpiloquio, nessun discorso sciocco, nessuna scurrilità, tutte cose che disdicono.L’orrore che deve suscitare questo vizio si comprende benissimo se si considera la sua bruttezza. Dei peccati belli non ce n’è neppur uno, siam tutti d’accordo. Ma nell’uso generale, quando si dice peccato brutto, s’intende senz’altro il peccato impuro. È l’uso che si trova sulla bocca del popolo e dei letterati, nei libri sacri e nei profani. Voi nominate tutti gli altri vizi con il loro nome, senza sentir ripugnanza; ma il senso morale v’impedisce di parlar con disinvoltura di questo vizio. Voi sentite ilbisogno, se costretti a parlarne, di essere riservati più che sia possibile.L’impuro teme che le sue azioni siano rivelate, anche se non c’è nulla da temere da parte delle leggi umane. « Odia la purità, e nondimeno vuol comparir puro ». (S. Zenone, L . 1, Tract. 4, 2). E così accade e non di rado che uomini, i quali ti sembrano santi e retti, anzi angioli che conversano sulla terra, sono imbrattati dal vizio dell’impurità. È troppo chiaro. Quando di uno si dice: «è un dissoluto», si pronuncia una di quelle condanne che scalzano la riputazione di un uomo. Anche il solo sospetto, che altri possano sapere qualche cosa della sua condotta, mette l’impuro in agitazione; poiché anche il semplice sospetto lo rende spregevole agli occhi stessi del mondo. – La ragione fa l’uomo re dell’universo. E l’uomo che è nato a dominare, se si lascia prendere dalla passione impura, è il più abbietto degli schiavi. In luogo della ragione comanda la passione: comanda sempre, e la volontà si piega e ubbidisce, ubbidisce sempre. E queste continue sconfitte non gli mettono in mente alcun sentimento di riscossa: col tempo finisce a non veder più lo stato in cui si trova. La sua anima offuscata dalle tenebre delle passioni non riconosce più se stessa, non sa più che sia dignità. Dal mal uso è vinta, la ragione; e si avvera l’osservazione del Profeta: « L’impudicizia, il vino e l’ubriachezza tolgono il bene dell’intelletto». (Os. IV, 11). Se alcuno cerca di illuminare l’impudico, di scuoterlo, quasi sempre farà opera vana, e alla fine si adatterà all’esortazione di Michea: «Non state a far tante parole: esse non cadranno sopra costoro, né vergogna li prenderà ». (II, 6). Chi ha buttato via una volta la vergogna, non la riprende più, dice il proverbio. E questo si avvera specialmente dell’impuro.

2.

I pretesti non mancano a coloro che vogliono scusare questo peccato. Si va dicendo che non è poi un gran male; che Dio non vorrà castigarlo. Ma l’Apostolo ci mette sull’avviso: Nessuno vi seduca con dei discorsi vani; poiché per tali cose viene l’ira di Dio sopra i figli della disubbidienza. L’ira di Dio si manifesterà specialmente nel giorno del giudizio. Ma coloro che non vogliono accettare la luce del Vangelo, che si ribellano alla dottrina della Chiesa e alle esortazioni dei suoi ministri, per esser liberi nella loro vita disordinata, proveranno l’ira di Dio anche su questa terra. Limitandoci, ora al peccato impuro, apriamo la Sacra Scrittura, e vediamo con quali tremendi castighi Dio l’ha punito. Ai tempi di Noè il mondo era immerso in opere e in pensieri di carne. «Non durerà per sempre il mio spirito nell’uomo, — dice Dio — perché egli è carne; ma i suoi giorni sono contati: 120 anni». (Gen VI, 3). E mantiene la parola. Passati i 120 anni, senza che gli uomini cessassero dalla loro depravata condotta, viene il diluvio. La fine degli uomini è decisa. Tutta la terra da essi abitata è coperta dalle onde. Le acque crescono continuamente; raggiungono e sorpassano la vetta dei monti più alti. Le risa, i motteggi, gli scherni che si rivolgevano aNoè, uomo giusto, retto, il quale, in mezzo a quella generazione perversa, viveva nel timor di Dio, ora si cangiano in lamenti, in pianti, in spasimi di morte. Noè con la famiglia e con gli animali introdotti nell’arca, è salvo, e tutti gli altri trovano la tomba nelle acque. La terra si era di nuovo popolata, e di nuovo dilagava il mal costume. Corrottissimi erano i costumi degli abitanti della Pentapoli, cinque città situate in luogo amenissimo. Dio manda i suoi Angioli a punirla. «Noi siamo per distruggere questo luogo, — dicono a Lot — perché grande è il loro grido al cospetto del Signore» (Gen. XIX, 13). Gli abitanti prendono per scherzo i castighi minacciati; ma, appena partito Lot con la famiglia, fuoco e zolfo, per voler di Dio, distruggono tutto quel distretto. Periscono gli uomini, la vegetazione scompare, le città sprofondano; e nel suolo abbassato entrano le acque, che formano il triste «Mar morto». Dio vuole che non resti più traccia né dei peccatori, né dei luoghi testimoni dei loro peccati.Quel Dio, che con questi ed altri tremendi castighi punì il peccato impuro allora, è ancora quello stesso che può punirlo e lo punisce anche adesso. Non siamo tanto folli da dire: «L’Altissimo non starà lì a ricordare i miei peccati». (Eccli. XXIII, 26). Anche nel tempo di Noè i viziosi dicevano così, e non facevano alcun conto dei castighi da parte del Signore. Ma i primi non poterono sfuggire alle onde; e i secondi dovettero subire la sorte delle loro città. Non sono già, del resto, un castigo l’affanno, l’agitazione, l’amarezza che riempiono l’animo di chi si dà a questi peccati?

3.

A dimostrare quanto sia disdicevole in un Cristiano l’impurità, l’Apostolo ricorda agli Efesini la diversità della loro condizione presente da quella d’una volta: Un tempo, invero, eravate tenebre, ma ora siete luce nel SignorePrima di ricevere il Battesimo gli Efesini era schiavi del demonio, principe delle tenebre: adesso, essendo uniti a Gesù Cristo, camminano nella pienezza della luce. Quale stoltezza allontanarsi da Gesù Cristo, luce del mondo, per assoggettarsi di nuovo al principe delle tenebre! È sempre disdicevole dimenticarsi della propria condizione per poter commettere azioni, che meritano biasimo. Ma la cosa è tanto più sconveniente, quanto più chi vien meno al proprio dovere è persona costituita in dignità. La medesima mancanza, commessa da una persona del volgo e commessa da un principe, assume unaspetto diverso. La condizione del Cristiano è una condizione veramente principesca, reale. Figlio adottivo di Dio, fratello di Gesù Cristo, erede del regno celeste, quando egli compie qualche cosa che non è conveniente è molto più riprovevole di un pagano, che non è illuminato dalla luce del Vangelo, che non vive la libertà dei figli di Dio; che rimane sotto la schiavitù di satana. Che conducano una vita impura i pagani, — dice il Crisostomo — è cosa detestabile, che in certo modo, però, si spiega; «ma che conducano ancora una vita impura i Cristiani fatti partecipi di tanti misteri, e in possesso di tanta gloria è cosa che sorpassa ogni sfacciataggine, e che non si può in nessun modo tollerare». (In Ep. ad Philipp. Hom. 7, 5). « Non sapete che siete tempio di Dio, e che lo Spirito di Dio dimora in voi?» ricorda S. Paolo ai Corinti (I Cor. III, 16). Poter essere il tempio di Dio e l’abitazione dello Spirito Santo, e preferire d’essere l’abitazione dello spirito immondo, è tale demenza, che non si riesce a comprendere. Si racconta di reclusi, che, usciti dopo trenta o più anni di detenzione, si sentono come fuori di posto. L’aria libera, la vita libera, l’abito che li accomuna coi cittadini onorati, non contano più nulla per loro, e vogliono ritornare alla vita di catene e di disonore del carcere. Alcuni, interrogati se vogliono usufruire della grazia sovrana, dopo trenta o quarant’anni di ergastolo, vi rinunciano. Poveri infelici, veramente degni di compassione! Ancor più degni di compassione sono gli impudichi. Possono vivere della libertà che porta la grazia di Gesù Cristo, ma essi «convertono in lussuria la grazia del nostro Dio, e negano il solo Dominatore e Signor nostro Gesù Cristo». (Giud. IV). Salomone, considerando il misero stato a cui è ridotto il campo dell’uomo pigro, esclama: «Vedendo ciò vi feci riflessione, e tale spettacolo fu per me una lezione! » (Orov. XXIV, 32). Il Beato Salomone, dei Fratelli delle Scuole Cristiane, si trova giovanetto a Boulogne a compiere gli studi commerciali. Considerando i gran pericoli per il corpo, e più per l’anima, ai quali si esponeva gran parte dei giovani della città col darsi alla vita marinaresca, pensa tra se: «Io non sarò marinaro… Esporsi a perdere il cielo per guadagnare in modo temerario le ricchezze è follia». E, nauseato della vita poco costumata di tanta gioventù, si decide a lasciare il mondo. (Comp. Della vita del Beato Salomone Martire. Valle di Pompei, 1927, p. 10-11). Se anche noi volessimo far riflessione sul misero stato a cui si riduce il Cristiano impudico, ne ricaveremmo una salutare lezione. Se riflettiamo che « la potenza del diavolo sul genere umano è cresciuta specialmente per la lussuria », (S. Greg. M.: Hom. 22, 9) dobbiam conchiudere, che è una vera follia esporsi a perdere il cielo per dei piaceri indegni. Se riflettiamo quanto sia abbietto lo stato di un Cristiano impudico, dobbiam sentir nausea del peccato d’impurità, e deciderci, con la grazia di Dio, di starcene sempre lontani, e di risorgere tosto, se ne siamo schiavi. Preghiera continua e fuga delle occasioni ci otterranno di riuscire nei nostri propositi.

 Graduale

Ps IX: 20; IX: 4

Exsúrge, Dómine, non præváleat homo: judicéntur gentes in conspéctu tuo. [Sorgi, o Signore, non trionfi l’uomo: siano giudicate le genti al tuo cospetto.

In converténdo inimícum meum retrórsum, infirmabúntur, et períbunt a facie tua. [Voltano le spalle i miei nemici: stramazzano e periscono di fronte a Te.]

Tractus

Ps. CXXII:1-3

Ad te levávi óculos meos, qui hábitas in cœlis.[Sollevai i miei occhi a Te, che hai sede in cielo.]

Ecce, sicut óculi servórum in mánibus dominórum suórum.[Ecco, come gli occhi dei servi sono rivolti verso le mani dei padroni.]

Et sicut óculi ancíllæ in mánibus dóminæ suæ: ita óculi nostri ad Dóminum, Deum nostrum, donec misereátur nostri, [E gli occhi dell’ancella verso le mani della padrona: così i nostri occhi sono rivolti a Te, Signore Dio nostro, fino a che Tu abbia pietà di noi].

Miserére nobis, Dómine, miserére nobis. [Abbi pietà di noi, o Signore, abbi pietà di noi.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum S. Lucam. [Luc XI: 14-28]

“In illo témpore: Erat Jesus ejíciens dæmónium, et illud erat mutum. Et cum ejecísset dæmónium, locútus est mutus, et admirátæ sunt turbæ. Quidam autem ex eis dixérunt: In Beélzebub, príncipe dæmoniórum, éjicit dæmónia. Et alii tentántes, signum de coelo quærébant ab eo. Ipse autem ut vidit cogitatiónes eórum, dixit eis: Omne regnum in seípsum divísum desolábitur, et domus supra domum cadet. Si autem et sátanas in seípsum divísus est, quómodo stabit regnum ejus? quia dícitis, in Beélzebub me ejícere dæmónia. Si autem ego in Beélzebub ejício dæmónia: fílii vestri in quo ejíciunt? Ideo ipsi júdices vestri erunt. Porro si in dígito Dei ejício dæmónia: profécto pervénit in vos regnum Dei. Cum fortis armátus custódit átrium suum, in pace sunt ea, quæ póssidet. Si autem fórtior eo supervéniens vícerit eum, univérsa arma ejus áuferet, in quibus confidébat, et spólia ejus distríbuet. Qui non est mecum, contra me est: et qui non cólligit mecum, dispérgit. Cum immúndus spíritus exíerit de hómine, ámbulat per loca inaquósa, quærens réquiem: et non invéniens, dicit: Revértar in domum meam, unde exivi. Et cum vénerit, invénit eam scopis mundátam, et ornátam. Tunc vadit, et assúmit septem alios spíritus secum nequióres se, et ingréssi hábitant ibi. Et fiunt novíssima hóminis illíus pejóra prióribus. Factum est autem, cum hæc díceret: extóllens vocem quædam múlier de turba, dixit illi: Beátus venter, qui te portávit, et úbera, quæ suxísti. At ille dixit: Quinímmo beáti, qui áudiunt verbum Dei, et custódiunt illud.”

Omelia II

[A. Carmagnola: Spiegazione dei Vangeli domenicali – S. E. I. Torino 1921, Spieg. XVII]

“In quel tempo Gesù stava cacciando un demonio, il quale era mutolo. E cacciato che ebbe il demonio, il mutolo parlò, e le turbe ne restarono meravigliato. Ma certuni di loro dissero: Egli caccia i demoni per virtù di Beelzebub, principe dei demoni. E altri per tentarlo gli chiedevano un segno dal cielo. Ma egli, avendo scorti i loro pensieri, disse loro: Qualunque regno, in contrari partiti diviso, va in perdizione, e una casa divisa in fazioni va in rovina. Che se anche Satana è in discordia seco stesso, come sussisterà il suo regno? conciossiachè voi dite, che in virtù di Beelzebub io caccio i demoni. Che se io caccio i demoni per virtù di Beelzebub, per virtù di chi li cacciano i vostri figliuoli? Per questo saranno essi vostri giudici. Che se io col dito di Dio caccio i demoni, certamente è venuto a voi il regno di Dio. Quando il campione armato custodisce la sua casa, è in sicuro tutto quel che egli possiede. Ma se un altro più forte di lui gli va sopra e lo vince, si porta via tutte le sue armi, nelle quali egli poneva sua fidanza, e ne spartisce le spoglie. Chi non è meco, è contro di me; e chi meco non raccoglie, dissipa. Quando lo spirito immondo è uscito da un uomo, cammina per luoghi deserti cercando requie; e non trovandola, dice: Ritornerò alla casa mia, donde sono uscito. E andatovi, la trova spazzata e adorna. Allora va, e seco prende sette altri spiriti peggiori di lui, ed entrano ad abitarvi. E la fine di un tal uomo è peggiore del principio” (Luc. XI, 14-26).

È certo che i malvagi vorrebbero operare il male, senza che alcuno li contrastasse menomamente e rinfacciasse la loro malvagità; ma poiché i buoni, anche senza volerlo direttamente, sono con la loro santa vita un contrasto continuo ed una continua riprensione alla vita malvagia dei tristi, perciò questi inveleniscono contro dei buoni e si fanno a perseguitarli in tutti i modi possibili. Difatti la storia sacra e profana ci mostra che la maggior parte delle ingiustizie, delle persecuzioni, delle scelleratezze, di tutti quanti i delitti che furono commessi lungo il corso dei secoli, furono l’effetto dell’odio dei malvagi contro dei buoni. Tuttavia al di sopra di tutte le prove somministrateci dalla storia di tutta quanta l’umanità vi è quella dataci dalla vita di Gesù Cristo, il quale essendo la bontà in persona fu tuttavia da tanti malvoluto ed odiato a morte. Il che lo potremo anche vedere dal tratto di Vangelo, che la Chiesa ci pone oggi dinnanzi.

1. Racconta adunque il Vangelo di oggi come Gesù stava cacciando un demonio, che aveva reso muto colui, nel quale era entrato. Il che, prima di passare innanzi ad altre considerazioni, ci deve tosto far venire in mente quello che tuttora va facendo il demonio con molti Cristiani. Non potendo più ora esercitare così largamente il suo impero sui corpi, come prima che fosse distrutto il regno dell’idolatria, esercita tuttavia una dispotica tirannia sopra delle anime, e la esercita specialmente coll’adoperarsi a rendere muti i Cristiani, quando stanno per confessarsi, ispirando loro una gran vergogna ed impedendo che eglino dichiarino sinceramente le loro colpe gravi al confessore.Narra S. Antonino, che un certo prelato vide una volta il demonio accanto a una persona, che si confessava, e gli domandò che cosa stesse lì a fare. Rispose il demonio: Pratico la legge della restituzione. Quando tirai questa persona a peccare, le tolsi il rossore; ora glielo restituisco, affinché non confessi il peccato. Ecco il gran tradimento del diavolo, come dice S. Giovanni Crisostomo: Iddio ha congiunta la vergogna col peccato e la confidenza con la confessione. Il demonio ha invertito l’ordine, e ha congiunta la baldanza col peccare, e la vergogna col confessarsi. E come il lupo afferra la pecorella per la gola acciocché, non potendo gridare, gli riesca di portarla via con sicurezza e divorarla, così fa il demonio con certe povere anime. Le afferra per la gola, affinché non confessino il peccato, e così poi le trascina miseramente all’inferno. E quante, pur troppo, quante anime infelici restano vittime di questo laccio fatale della vergogna! Per quanto adunque ci è cara l’anima nostra, stiamo ben in guardia per non cadere in questo laccio terribile dell’infernale serpente. Non ci lasciamo mai vincere dalla vergogna. Noi scopriremmo pure le piaghe del corpo, anche le più schifose, al medico, piuttosto che perder la vita; e perché poi non vorremo palesar al sacerdote le piaghe della coscienza al fin di salvare l’anima nostra? Quei peccati che più ci pesano, e pei quali sentiamo maggior pena e ripugnanza nell’accusarli, siano i primi che confessiamo. Per aver coraggio a farlo, pensiamo ai gravissimi danni che arreca la vergogna. Se vinti dal rossore tralasciamo di confessare i peccati o li confessiamo per metà smozzicando, diminuendo, scusando e mancando gravemente alla debita sincerità, commettiamo allora il maggior degli spropositi, ci facciamo rei di enormissimo sacrilegio, ci tiriamo sulle spalle la maledizione più tremenda di Dio, poiché ci abusiamo indegnamente della divina misericordia, ed in orribile maniera profaniamo il Sangue di Gesù Cristo. Così per nostra malizia troviamo la condanna e la rovina in quel Sacramento, che doveva recarci la vita e la salvezza. Di più, una confessione siffatta, in luogo di recarci la pace e la consolazione, ci lascerà malcontenti ed inquieti. Quei peccati, o nascosti, o confessati male, saranno come tanto spine, che pungono il cuore e lo fan sanguinare; e a guisa di vipere velenose, ci strazieranno di continuo l’anima coi più tormentosi rimorsi. Quella povera anima avrà così due inferni, uno di qua, e l’altro di là. Il demonio per tradirla e chiuderle la bocca, le va dicendo, che si confesserà poi in seguito, che rimedierà a tutto un’altra volta, che almeno in punto di morte farà una buona confessione. Tutte imposture ed inganni del diavolo!… E in tanto se in tale stato le capitasse una morte improvvisa?… E poi, se già si sa che il peccato bisogna confessarlo o una volta o l’altra, perché aspettare, perché differire? Col tirar in lungo non si fa che moltiplicare sempre più i sacrilegi, non solo con le confessioni ma, quello che è ancor peggio, con le comunioni. Quindi si moltiplica sempre più la maledizione di Dio, cresce ognor più il rossore e si fa sempre maggiore la difficoltà a rimediare. Quante povere anime abituate a tacere il peccato col dire: Quando sarò al punto di morte mi confesserò, non ebbero poi la grazia di farlo! Invano si lusinga di confessarsi bene in morte chi è avvezzo a confessarsi male in vita.Esaminato adunque lo stato dell’anima vostra, e se la coscienza vi rimorde di aver

gravemente mancato nelle confessioni passate, rimediate al più presto con una confessione straordinaria, che ripari a tutto. Quanto vi troverete contenti! La pace, la consolazione ineffabile che gusterete, vi compenserà ben largamente di quel po’ di violenza e di stento incontrato nel vincere la maledetta vergogna ispirata dal demonio traditore a vostra rovina, ed a vostra irreparabile perdizione. Ed allora, mercé la grazia di Dio, avverrà anche in voi quel gran miracolo operato da Gesù Cristo a pro di quel povero muto, di cui parla oggi il Vangelo, il quale, cacciato che fu il demonio, si mise a parlare.

2. Alla vista di questo stupendo miracolo “le turbe ne restarono meravigliate. Ma certuni di loro dissero: Egli caccia i demoni per virtù di Beelzebub, principe dei demoni. E altri per tentarlo gli chiedevano un segno dal cielo. Ma egli avendo scorti i loro pensieri, disse loro: Qualunque regno in contrari partiti diviso va in perdizione, e una casa divisa in fazioni va in rovina. Che se anche Satana è in discordia seco stesso, come sussisterà il suo regno? poiché voi dite che in virtù di Beelzebub io caccio i demoni. Che se io caccio i demoni per virtù di Beelzebub: per virtù di chi li cacciano i vostri figliuoli (vale a dire, come spiega S.Girolamo, gli esorcisti di quella nazione, di cui si parla negli atti degli Apostoli, e che discacciavano i demoni coll’invocazione di Dio). Per questo saranno essi vostri giudici. Che se io col dito di Dio caccio i demoni, certamente è venuto a voi il regno di Dio. Quando il campione armato custodisce la sua casa, è in sicuro tutto quello, che egli possiede. (E voleva dire: Il demonio sin’ora come un forte armato ha tenuto tranquillamente il suo dominio su tutta la casa del mondo). Ma se un altro più forte di lui gli va sopra e lo vince, si porta via tutte le sue armi, nelle quali egli poneva sua fidanza, e ne spartisce le spoglie (cioè: essendo ora venuto io, più forte del demonio, lo atterro, gli tolgo dalle mani gli uomini, gli strappo le armi, con cui esso li vinceva e ne divido le spoglie, facendo servire allo stabilimento della mia Chiesa quelli che un tempo gemevano sotto il giogo di satana): Chi non è meco, è contro di me: e chi meco non raccoglie, dissipa.Voi vedete, o miei cari, quanto i Farisei fossero acciecati dall’invidia. Essi lo erano per tal modo da non avvedersi neppure della contraddizione delle loro parole. E può immaginarsi cosa più insensata? dice il Crisostomo. Il Salvatore non ha soltanto scacciato i demoni, ma ha sanato i lebbrosi, risuscitato i morti, ha placato i flutti di un mar furibondo, ha di sua propria autorità rimesso i peccati degli uomini, ha loro predicato la felicità eterna; insomma ha ricondotto al suo Padre coloro che ha convertiti; tutte queste cose sono forse di competenza del demonio? O qualora il demonio le potesse fare, vorrebbe egli farle? Di fatti, o miei cari, il demonio, in tutto quel che fa, altro non vuole che allontanare le anime da Dio e perderle; mentre Gesù Cristo in tutti i suoi passi cerca di ricondurle al suo divin Padre e salvarle. Epperò, voi lo vedete, Gesù confuse trionfalmente la malignità di quei Farisei, ai quali l’invidia ispirava sì strane parole. Ma noi intanto serviamoci di questa occasione per farci anche meglio l’idea del gran male che è questo vizio, il quale vien annoverato fra i sette vizi capitali.L’invidia è un colpevole dispiacere del bene del nostro prossimo. L’invidioso si offende dell’altrui merito; è dolente di vedere in altri qualità e virtù ch’egli non ha, o che egli solo vorrebbe avere. Se il bene, che vede in altri, gli ispirasse solo il desiderio di imitarli, non sarebbe invidia, ma nobile emulazione. Ma non è tale il sentimento che ha l’invidioso, il quale non desidera di acquistare siffatte stimabili qualità, ma di vederne gli altri privi: considera il bene altrui come un male a se stesso, gli altrui vantaggi come una sua perdita, l’altrui riputazione come una macchia che lo disonora. Questa misera disposizione del suo cuore è un verme che lo rode, un veleno che lo consuma; è il suo carnefice.Quanto è vile e detestabile questo vizio! e quali funesti effetti non produce! Primo effetto dell’invidia è il piacere, che cagiona l’altrui sventura. Se coloro che si invidiano, cadono in disgrazia, l’invidioso ne gode, e trionfa di loro caduta, sente un maligno piacere nel vederli umiliati, quantunque non abbia da questi ricevuto male alcuno. Un vendicativo attacca soltanto i suoi nemici, quelli da cui ha ricevuto cattivi trattamenti; ma l’invidioso odia coloro, a cui ha nulla da rinfacciare, se non le loro virtù. Tutto il delitto loro si è quello di aver meriti più di lui. Che mostruosità! Non sembra vero che il cuor dell’uomo sia capace di tanto!Il secondo effetto dell’invidia è la maldicenza e la calunnia. L’invidioso fa di tutto per oscurare la riputazione di coloro che lo vincono in merito; impicciolisce quanto può il bene, che se ne dice; dà maligne interpretazioni ad ogni loro azione, traveste in vizio ogni più pura virtù; la loro pietà agli occhi suoi è finzione ed ipocrisia, i loro fortunati eventi opera del caso, non frutto dell’ingegno.Terzo effetto dell’invidia è un’incessante brama di nuocere al prossimo. Dalle parole si passa ai fatti, si eseguiscono i malvagi disegni, si adoprano tutti i mezzi per far del male, per impedire il conseguimento di ciò, che altri desidera, o per togliergli ciò che ha conseguito. Talvolta si giunge a gravi eccessi e alle maggiori violenze. Caino per invidia uccise Abele; l’invidia ispirò ai fratelli di Giuseppe l’idea di farlo morire e poi divenderlo come schiavo. E l’invidia fece sì che i Farisei dapprima calunniassero, poscia perseguitassero ed uccidessero lo stesso Nostro Signor Gesù Cristo. Pertanto chiudiamo il cuore a questo detestabile vizio, facciamo ogni sforzo per acquistare l’opposta virtù, cioè una cristiana affezione, che ci faccia sensibili alle prosperità e alle sventure del prossimo, per amor di Dio e della salute dei nostri fratelli. Quest’affezione non è altro che la carità, e chi è dalla carità animato, prende parte a tutto ciò che accade ai suoi fratelli; gode con chi è nella gioia; piange con chi soffre; divide con loro il bene ed il male che provano, come se li provasse egli stesso.

3.  Il divin Redentore concludeva il suo discorso dicendo: Quando lo spirito immondo è uscito da un’anima, cammina per luoghi deserti, cercando requie; e non trovandola dice: Ritornerò alla casa mia, donde sono uscito. E andatovi la trova spazzata e adorna. Allora va, e seco prende sette altri spiriti peggiori di lui, ed entrano ad abitarvi. E la fine di un tal uomo è peggiore del principio. Con questo racconto il divin Redentore ci fa apprendere chiaramente quanto sia grave il pericolo di dannarsi che proviene dalle ricadute nel peccato. Colui che non ostante l’uso che fa della confessione ricade negli stessi peccati ad ogni tratto con la stessa frequenza e facilità, a sangue freddo, con poca o nessuna resistenza, senza impiegare le debite cautele, le preservazioni, i mezzi necessari per premunirsi contro le ricadute, ha certo gran motivo di tremare sullo stato dell’anima propria. Queste sue deplorabili ricadute non solo fanno molto temere della sincerità della sua penitenza, ma lo mettono in evidentissimo pericolo di eterna dannazione; e ciò primieramente da parte del demonio, come appunto ci insegna oggi il divino Maestro. Il peccatore recidivo, dice il Crisostomo, è più stolto delle stesse bestie. Un uccelletto o un cervo caduto nel laccio, se giunge a liberarsene, non vi si lascia più prendere. Il peccatore invece, che ebbe la grazia di uscire dai lacci del demonio, se torna al peccato, di nuovo vi si lascia pigliare, e quindi il suo stato diventa peggiore di prima. Se al demonio riesce di ripigliarlo, non entra solo in quell’anima infelice, ma mena seco altri compagni per ben custodirla; le raddoppia le catene, le rinforza le ritorte, le chiude tutti gli aditi, le sbarra tutti i passi, perché di nuovo non abbia a sfuggirgli di mano; e così la misera va di male in peggio, perché questa seconda rovina sarà per lei più grande della prima. Dice S. Anselmo, che il demonio acquista una tal padronanza sopra i recidivi, che li fa cadere come vuole. Quest’infelici diventano simili a quegli uccelli che servono di giuoco ai fanciulli. Essi li lasciano di quando in quando alzarsi a volo, ma intanto li tengono ben legati ad un filo, e quindi tornano, quando lor piace, a farli ricadere a terra. – Ma ciò non è tutto, perciocché il pericolo della dannazione per un peccatore recidivo, proviene ancora da lui stesso. Qualsiasi malattia è cattiva, ma il ricadere di nuovo nella stessa malattia, dice S. Cirillo, è cosa assai più pericolosa e funesta, e che produce quasi certo la morte. L’aggiungere un nuovo peccato al peccato commesso è lo stesso che aggiungere ferita a ferita. Se alcuno riceve la ferita in un membro, certamente quel membro non ha più il primiero vigore. Ma se poi riceve la seconda, quello perderà ogni forza, ogni moto, con poca o nessuna speranza di ricuperarlo. Ecco il gran danno, che apporta il peccato. Rende l’anima così debole, che poco potrà più resistere alle tentazioni, perché, come nota S. Tommaso, ogni peccato, sebben perdonato, lascia sempre la ferita fatta. Ma se poi all’antica vi si aggiunge una ferita nuova, questa rende l’anima così debilitata, che senza una grazia speciale e straordinaria del Signore le è impossibile il superare le tentazioni; ed allora succede un’altalena continua di penitenza e di ricadute finché nasce un accecamento straordinario, ed insieme una durezza spaventosa del cuore. Giunto a tale stato, il peccatore non vede più il male che fa, e la rovina che gli cagiona. Egli vive come se non vi fosse né Dio, né Paradiso, né inferno, né eternità. S. Pietro paragona quest’infelice ad un animale, che si ravvoltola nel brago, poiché invece di rattristarsi e vergognarsi delle sue sozzure, giunge persino a rallegrarsene e menarne vanto. Perduto così il lume della fede, non pensa ad altro che a sfogar le sue infami passioni, e a somiglianza di una bestia priva di ragione non cerca, non desidera che quello che piace ai sensi. Diventa insaziabile di peccare, e ad ogni costo vuole sfogare le sue brutali passioni. – Un peccato chiama un altro peccato; egli pecca di continuo, e di giorno e di notte, e solo e in compagnia, e in casa e in campagna, senza freno, senza ritegno. Chiuso in quella fossa di tenebre, non vede più nulla; né la perdita dell’onore, né quella della sanità, delle sostanze e persino della vita. Disprezza tutto, come dice la Scrittura. Disprezza prediche, disprezza rimorsi, chiamate di Dio, correzioni, lagrime, castighi, preghiere, censure, inferno, eternità. – Ma qui bisogna aggiungere che il più grave pericolo, per un peccatore recidivo, gli vien da parte di Dio stesso. Ed in vero se un suddito, dopo aver congiurato contro il proprio principe, ottenutone poscia un generoso perdono, tornasse ancor di nuovo alle ribellioni e ai tradimenti, non meriterebbe un castigo cento volte più rigoroso di prima? Or questo appunto fa con Dio il peccatore, che, dopo aver ottenuto il perdono, ritorna ancora ai peccati. Egli è un perfido, un ingrato, che si abusa indegnamente della divina misericordia. Egli provoca allora sul suo capo la giusta collera di Dio col voltargli di nuovo le spalle, coll’offenderlo dopo il perdono ottenuto, e resterà colpito dalla divina giustizia. Iddio si ritira da quest’anima ingrata, la priva delle sue grazie efficaci, e il misero resta accecato e abbandonato nelle sue colpe, che lo tirano in perdizione. Quanto importa adunque di ben guardarsi dal cominciare nel male, dal dare i primi passi sul lubrico sentiero dell’iniquità! E questo vale in modo particolarissimo per voi, o cari giovani, perché si conferma pur troppo dall’esperienza l’oracolo dello Spirito Santo, che il giovane, anche invecchiato, calcherà la strada medesima, che avrà battuta nei suoi verdi anni. Tuttavia, o miei cari, se mai foste caduti in grave peccato, rimediate al più presto. Non gli date tempo di gettar profonde radici nell’anima, ma strappatelo prontamente con una santa confessione.

Credo

Offertorium

Orémus Ps XVIII: 9, 10, 11, 12

Justítiæ Dómini rectæ, lætificántes corda, et judícia ejus dulci ora super mel et favum: nam et servus tuus custódit ea. [I comandamenti del Signore sono retti, rallégrano i cuori: i suoi giudizii sono più dolci del miele: perciò il tuo servo li adémpie.]

Secreta

Hæc hóstia, Dómine, quaesumus, emúndet nostra delícta: et, ad sacrifícium celebrándum, subditórum tibi córpora mentésque sanctíficet. [Ti preghiamo, o Signore, affinché questa offerta ci mondi dai peccati, e santífichi i corpi e le ànime dei tuoi servi, onde pòssano degnamente celebrare il sacrifício.]

Communio

Ps LXXXIII: 4-5 – Passer invénit sibi domum, et turtur nidum, ubi repónat pullos suos: altária tua, Dómine virtútum, Rex meus, et Deus meus: beáti, qui hábitant in domo tua, in sæculum sæculi laudábunt te. [Il pàssero si è trovata una casa, e la tòrtora un nido, ove riporre i suoi nati: i tuoi altari, o Signore degli esérciti, o mio Re e mio Dio: beati coloro che àbitano nella tua casa, essi Ti loderanno nei sécoli dei sécoli.]

Postcommunio

Orémus.

A cunctis nos, quaesumus, Dómine, reátibus et perículis propitiátus absólve: quos tanti mystérii tríbuis esse partícipes. [Líberaci, o Signore, Te ne preghiamo, da tutti i peccati e i perícoli: Tu che ci rendesti partécipi di un così grande mistero.]

LO SCUDO DELLA FEDE (54)

L[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murte, FIRENZE, 1858]

FALSITA’ DEL PROTESTANTESIMO

CAPITOLO IV.

IL PROTESTANTISMO SI CONVINCE FALSO DA CIÒ CHE I PROTESTANTI NON HANNO ALCUNA MISSIONE.

Avete da sapere che nella vera Chiesa niuno può predicare che non abbia avuta la missione legittima di predicare. Questa missione è di due sorta: è ordinaria quando uno è mandato da colui che ne ha il potere da Dio, secondo l’ordine consueto posto nella Chiesa. Così per esempio fu mandato S. Dionisio in Francia da S. Clemente e Timoteo da S. Paolo. Si dice missione straordinaria, quando Iddio stesso riveste uno del suo potere da sé e con segni straordinarii, come di miracoli o di profezie, fa conoscere che Egli è che lo manda. Così Gesù Cristo mandò gli Apostoli, dicendo loro: andate e predicate il Vangelo a tutte le Creature ((Marc. XVI. 45). – Dovete sapere in secondo luogo che non si può ricevere verun predicatore che non abbia questa missione, perché quelli che si presentano nella Chiesa ad insegnare, si presentano come ambasciatori, e non si possono ricevere ambasciatori senza che presentino le loro patenti, le loro credenziali. Come predicheranno se non sono mandati? Domanda S. Paolo (Rom. X, 15). Noi non crediamo neppure negli affari terreni ad ogni persona ignota che ci si presenta, e crederemmo poi ad una persona sconosciuta, in affare tanto rilevante, quanto è quello della Religione? Bisogna che siano accreditati da qualcuno che abbia autorità. – Perché dunque noi crediamo ai Vescovi ed ai Sacerdoti nella Chiesa Cattolica quando c’insegnano? Ecco il perché. Noi sappiamo che Gesù Cristo è stato mandato dal suo Padre come ce lo assicura Egli stesso dicendo: il Padre mandò me (Joan. XX, 21). In prova di questa sua missione egli ne allegò le opere che faceva, gli storpi che raddirizzava, i ciechi che illuminava, i sordi cui dava l’udito, i muti ai quali scioglieva la lingua, i morti che risuscitava, i miracoli di ogni maniera e strepitosissimi che faceva. Se non credete a me, diceva Egli stesso, credete alle mie opere (Joan. X, 38). Le mie opere sono quelle che mi rendono testimonianza. Credere adunque che Gesù era mandato da Dio, non era davvero imprudente. Egli poi dopo consumata la sua divina missione, autenticò quella dei suoi Apostoli e questi, con la missione di Gesù, si sparsero per tutta la terra. Ecco che Io mando voi, disse Gesù, ecco che Io mando voi (Joan. XX, 21). – Gli Apostoli poi a mano a mano mandarono altri, e così per una successione continua gli inviati pervennero infino a noi: giacché siccome sopra Pietro e suoi successori fu fondata la Chiesa, nessun Vescovo, nessun Sacerdote nella Chiesa Cattolica si ritrova che non provenga da successori di Pietro e che quindi non abbia missione legittima. Sarà lo stesso dei Protestanti? No certo. Essi non hanno missione da veruno né ordinaria, né straordinaria. Niuno vi è che ci assicuri che essi sono Pastori legittimi i quali abbiano tali uffìzi da esercitare con noi. Non hanno la missione ordinaria, poiché questa si deve ripetere dai Vescovi che hanno legame con la Cattedra di S. Pietro. Ora Lutero, Calvino e tutti i primi Riformatori, non furono davvero inviati dai loro superiori a predicare una dottrina nuova. Tutt’all’opposto: appena si fecero lecito di proporla, furono ripresi, contraddetti, condannati, scomunicati, e tutti i fedeli furono avvertiti, che se ne sguardassero come da una vera peste. E però con quale diritto vengono nella Chiesa di Dio ad insegnare, a cambiar la dottrina? Chi è che li manda, chi è che ha loro conferita l’autorità? E se perfino Gesù Cristo che era l’eterna verità, diceva: se Io glorifico me stesso, la mia gloria è nulla (Joan. VIII, 54); è il Padre quello che mi rende testimonianza (Joan. IV, 32): ed altrove allegava che il Padre era quello che l’aveva mandato (Joan. XX, 21), chi sono costoro che senza alcuna testimonianza presumono di essere creduti? Costoro che n’hanno per altro tanto bisogno, posta la loro corruzione, vanità, superbia ed immondezza? – Non hanno neppure la missione straordinaria, cioè Iddio non li ha resi cospicui per miracoli che abbiano operati, per Profezie che abbiano fatte, per altri segni di Santità. Tutto all’opposto. Quanto ai miracoli essi stessi hanno detto che non erano necessari, perché non li avevano, come la celebre volpe della favola la quale non potendo prendere l’uva, perché era in alto, disse che non la voleva perché era acerba. Profezie non ne hanno, mentre piuttosto tutte le sciocche predizioni loro che il Papato sarebbe finito con Lutero, che la Chiesa Cattolica sarebbe stata distrutta, si sono riconosciute apertamente false. Altri segni straordinari di Santità niuno li ha mai veduti in loro ed essi medesimi non li hanno saputi mai trarre fuori. Dunque che cosa ne conchiuderemo? Che invece di essere ambasciatori veri di Gesù Cristo, sono impostori che si fingono mandati e non lo sono. – Alcuni Protestanti stretti da questa ragione hanno immaginata una risposta: ma sarebbe stato loro più utile, almeno per cessarsi la vergogna, di stare zitti; tanto essa è ridicola ed assurda. Dicono che la vera Chiesa di Gesù Cristo, da cui essi hanno ricevuta la missione, vi era, ma che era invisibile: e che sono stati mandati da questa Chiesa invisibile. Potevano essi dirla più grossa? Sarebbe come se uno dicesse che ha ricevuto cento scudi, ma che sono invisibili: ed a che cosa servono, ripiglieremmo noi, se non si possono né toccare, né spendere. Ma poi se questa Chiesa era invisibile, come hanno fatto a vederla essi per unirsi a Lei? Oh che privilegio hanno essi di vedere l’invisibile, e che occhiali o canocchiali v’hanno adoperato intorno? Se questa ragia si mena buona, tutti gli eretici che vengono fuori, avranno bell’e pronta la propria difesa; ch’essi appartengono ad una Chiesa invisibile, e questo basterà ad autenticare tutti gli errori di Ario, di Nestorio, di Eutiche, di Pelagio ed altri eresiarchi: cosa che neppure i Protestanti ammetterebbero. E tuttavia se basta a loro il dire che appartengono ad una Chiesa invisibile, perché non basterà a tutti gli Eretici? Finalmente se questa Chiesa da cui essi hanno ricevuta la missione era invisibile, dunque non era la vera Chiesa di Gesù Cristo, perché Gesù disse espressamente per i suoi Profeti che la sua Chiesa sarebbe stata visibile a tutte le genti, che tutti l’avrebbero potuta riconoscere, che sarebbe stata come una montagna elevata sopra tutte le montagne (Isai. II, 2), e perciò bisogna conchiudere che il ricorrere a questa spiegazione è lo stesso che confessare che essi non hanno missione per insegnare. Che se non hanno missione, si contentino che noi non abbandoniamo la Chiesa Cattolica, la quale ha la missione chiara, innegabile, evidente di Gesù Cristo; e che rigettiamo tutti gl’insegnamenti di questi arroganti che senza essere chiamati si mettono ad insegnare da sé errori e falsità. – Se si presentasse da voi uno sconosciuto e vi dicesse che il vostro padrone lo manda ad esigere cento scudi che voi gli dovete, sareste voi tanto stolido da consegnarglieli così buonamente? Ei potrebbe giurare e spergiurare che è davvero mandato dal vostro creditore, che non avrebbe un quattrino finché non lo conosceste. Ma e voi prestereste poi fede a questi sconosciuti che vi domandano, non cento scudi, ma le anime, la Fede e la eternità, senza che vi diano niuna sicurezza e guarentigia di quello che sono e di chi li abbia mandati?