DOMENICA II DI QUARESIMA (2019)

DOMENICA II DI QUARESIMA (2019)

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Incipit

In nómine Patris,  et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXIV:6; XXIV:3; XXIV:22

Reminíscere miseratiónum tuarum, Dómine, et misericórdiæ tuæ, quæ a sæculo sunt: ne umquam dominéntur nobis inimíci nostri: líbera nos, Deus Israël, ex ómnibus angústiis nostris.

[Ricòrdati, o Signore, della tua compassione e della tua misericordia, che è eterna: mai triònfino su di noi i nostri nemici: líberaci, o Dio di Israele, da tutte le nostre tribolazioni.]

Ps XXIV:1-2

Ad te, Dómine, levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam.

[A te, o Signore, ho levato l’ànima mia, in Te confido, o mio Dio, ch’io non resti confuso.]

Reminíscere miseratiónum tuarum, Dómine, et misericórdiæ tuæ, quæ a sæculo sunt: ne umquam dominéntur nobis inimíci nostri: líbera nos, Deus Israël, ex ómnibus angústiis nostris.

[Ricòrdati, o Signore, della tua compassione e della tua misericordia, che è eterna: mai triònfino su di noi i nostri nemici: líberaci, o Dio di Israele, da tutte le nostre tribolazioni.]

Orémus.

Deus, qui cónspicis omni nos virtúte destítui: intérius exteriúsque custódi; ut ab ómnibus adversitátibus muniámur In córpore, et a pravis cogitatiónibus mundémur in mente. [O Dio, che ci vedi privi di ogni forza, custodíscici all’interno e all’esterno, affinché siamo líberi da ogni avversità nel corpo e abbiamo mondata la mente da ogni cattivo pensiero.]

LECTIO

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Thessalonicénses.

1 Thess IV: 1-7.

“Fratres: Rogámus vos et obsecrámus in Dómino Jesu: ut, quemádmodum accepístis a nobis, quómodo opórteat vos ambuláre et placére Deo, sic et ambulétis, ut abundétis magis. Scitis enim, quæ præcépta déderim vobis Per Dominum Jesum. Hæc est enim volúntas Dei, sanctificátio vestra: ut abstineátis vos a fornicatióne, ut sciat unusquísque vestrum vas suum possidére in sanctificatióne et honóre; non in passióne desidérii, sicut et gentes, quæ ignórant Deum: et ne quis supergrediátur neque circumvéniat in negótio fratrem suum: quóniam vindex est Dóminus de his ómnibus, sicut prædíximus vobis et testificáti sumus. Non enim vocávit nos Deus in immundítiam, sed in sanctificatiónem: in Christo Jesu, Dómino nostro.”

Omelia I

 [A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli, Sc. Tip. Arciv. Artigianelli – Pavia, 1929]

– LA PURITÀ –

“Fratelli: Vi preghiamo e supplichiamo nel Signore, che, avendo da noi appreso la norma, secondo la quale dovete condurvi per piacere a Dio, continuiate a seguire questa norma, progredendo sempre più. Poiché la volontà di Dio è questa: la vostra santificazione: che vi asteniate dalla fornicazione, che ciascuno di voi sappia possedere il proprio corpo nella santità e nell’onestà, e non seguendo l’impeto delle passioni, come fanno i pagani che non conoscono Dio; che nessuno su questo punto soverchi o raggiri il proprio fratello: che Dio fa vendetta di tutte queste cose, come vi abbiamo già detto e dichiarato. Dio, infatti, non ci ha chiamati all’immondezza, ma alla santità: in Cristo Gesù Signor nostro” (I Tess. IV, 1-7).

San Paolo, nel chiudere il cap. terzo della sua prima lettera ai Tessalonicesi, assicura che egli prega Dio, perché, togliendo gli ostacoli che finora vi s’erano frapposti, voglia concedergli di poter recarsi ancora a Tessalonica a completare il suo apostolato. E fa voti che Dio faccia abbondare nella carità i Tessalonicesi, a quel modo che egli abbonda nella carità verso di loro; affinché siano trovati irreprensibili per il giorno in cui Gesù Cristo comparirà con tutta la corte celeste. Adesso passa ad esortarli a cooperare da parte loro alla grazia, crescendo sempre più nella perfezione cristiana, secondo i precetti da lui dati da parte di Gesù Cristo. Precetti che rievoca cominciando da ciò che riguarda la purità. Parliamo anche noi di questa virtù la quale

1. È voluta da Dio, che non chiede cose impossibili,

2. A lui ci avvicina,

3. E ‘ richiesta dalla nostra vocazione.

1.

La volontà di Dio è questa: la vostra santificazione; che vi asteniate dalla, fornicazione, che ciascuno di voi sappia possedere il proprio corpo nella santità e nell’onestà. – Queste parole dell’Apostolo sono una risposta a coloroche vanno dicendo essere impossibile condurre una vitapura. Se fosse impossibile, Dio non ce ne farebbe comando.L’esercizio di qualsiasi virtù incontra certamente delledifficoltà. Ogni comandamento della legge di Dio richiedei suoi sacrifici; e il sesto comandamento ne richiede nonpochi. Si tratta, però, sempre non di impossibilità, ma didifficoltà da superare. Difficoltà, che chi ama Dio supera con l’aiuto della sua grazia. «Io posso tutto in colui che mi fortifica» (Filipp. IV, 13), dichiara l’Apostolo. La prima difficoltà da superare è la cattiva inclinazione dei sensi. Per viver casti non bisogna aver aperti gli occhi a tutte le curiosità, le orecchie intente a ogni sorta di discorsi, la gola sempre disposta alle crapule, non esser dediti al vino, «sorgente di dissolutezza» (Ef. V, 18). Bisogna vincere la tendenza all’ozio. Diciamo che l’ozio è padre di tutti i vizi. È padre di tutti i vizi in generale, e dell’impurità in modo particolarissimo. L’uomo nemico della parabola evangelica va a sparger la zizzania nel campo seminato di buon grano, mentre gli agricoltori dormono. Quando il corpo e lo spirito sono occupati, l’uomo nemico ha poco da fare. Le cattive inclinazioni non si fanno sentire, la fantasia non può far la sbrigliata; i desideri trovano chiusa la porta; non si commettono certe laidezze. Bisogna evitare le cattive compagnie. Chi va col lupo, impara ad urlare. Chi va con gente sboccata, a poco a poco diventerà sboccato; chi va coi libertini, diventerà presto libertino. E van considerati come pessimi compagni certi giornali e certi libri. La loro lettura comincia con attirare la curiosità, poi eccita la fantasia, turba l’animo, e finisce con guastare la mente, il cuore e anche il corpo di tanti incauti lettori. Chi non vede che cattive azioni, e non legge che di cattive azioni, misura tutto dalla propria debolezza e dalla debolezza degli altri e conclude: «E’ impossibile viver puri». Qui vengono a proposito le parole di S. Gerolamo: « Molti, giudicando i precetti di Dio non dalle azioni virtuose dei Santi, ma dalla propria debolezza, dicono essere impossibile ciò che vien comandato » (L. I Comm. in Matth. c. 5, v. 4). Mancano forse nella Storia Sacra e nella storia della Chiesa esempi luminosi di purezza? Nei primi tempi della Chiesa si poteva affermare dei Cristiani in faccia ai loro nemici: «Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne» (Lettera a Diogneto 5, 8). E la dottrina cattolica, che formava anime pure allora, le forma anche nei nostri tempi. Il Card. Massaia, nel suo ritorno in Europa, quando fu esiliato dall’Abissinia. ebbe parecchie conversazioni in Suakim con un ricco mercante arabo, Sciek Abdallàh. In una di queste conversazioni, l’arabo, ammirato della vita intemerata e delle virtù angeliche del Messia e dei suoi compagni missionari : « Allah Kerim! — esclamò — noi mussulmani camminiamo strisciando per terra, laddove voi Cattolici, stendendo le ali, volate sì alto che noi non possiamo raggiungervi neppure con lo sguardo » (Can. L. Gentile, L’Apostolo dei Galla, 2. ed. Torino 1910, p. 380). Anche nei secoli di maggior corruzione non mancano mai Cristiani, uomini e donne, di vita illibatissima, i quali si attirano l’ammirazione di coloro stessi, che ne scrutano le minime azioni per aver pretesto di combatterli. E ciò che hanno potuto far essi, perché non posso farlo io, con l’aiuto della grazia de1 Signore?

2.

San Paolo continua, dicendo che Dio non vuole che noi serviamo alla concupiscenza « come fanno i pagani che non conoscono Dio ». L’ignoranza della volontà di Dio e delle relative sanzioni, come era appunto il caso dei pagani, allontana sempre più l’uomo dal suo Creatore e lo lascia cadere nella depravazione. Al contrailo, l’uomo che conosce la volontà di Dio, e vuol metterla in pratica, cerca di purificarsi sempre più. Quanto più un’anima è pura, tanto più è disposta alle ascensioni verso Dio. L’anima è spirito, e solamente i piaceri dello spirito la possono soddisfare, «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio», dice Gesù (Matt. V, 8). La purezza del cuore, qui encomiata da Gesù, esclude ogni peccato o vizio che possa imbrattare l’interno dell’uomo, e che avrà completamente il premio promesso nella seconda vita, Ma coloro che vivono casti sono più atti ad occuparsi delle perfezioni di Dio, anche durante il terreno pellegrinaggio. L’occhio sano tanto più vede quanto più è limpido. Così il cuore quanto più è puro tanto più percepisce le cose di Dio. L’uomo quanto meno è attratto dal fango e dalle brutture di quaggiù, tanto più è inclinato a sollevarsi in alto fino alla bellezza increata. « La castità — dice S. Bernardo — unisce l’uomo al cielo » (Liber ad sor., De Modo bene vivendi, 64). E S. Atanasio insegna che « la mondezza dell’anima la rende atta a veder Dio per se stessa » (Or. contra Gentes, 2). L’anima pura sente di essere legata in modo particolare a Dio, purezza infinita. Chi è puro s’intrattiene volentieri con Dio per mezzo della preghiera e dei sacri cantici. Trova le sue delizie nello star vicino al tabernacolo del Dio vivente; passa momenti di paradiso quando si unisco a Lui nella santa Comunione. Il pensiero della presenza, di Dio, che tanti sgomenta e che da tanti è trascurato, è per essa un forte incitamento all’esercizio di tutte le virtù; e le dà la costanza di superare qualunque ostacolo. E il Signore, che si compiace delle anime caste, dopo averle sostenute nella lotta. Fa loro sentire tutto il conforto della sua vicinanza.

3.

Lontani da Dio si vive in ogni sregolatezza. Questa era la vita dei Tessalonicesi, prima che si convertissero al Cristianesimo. Adesso che sono seguaci di Gesù Cristo devono tenere una condotta affatto opposta, mettendosi a praticare ogni virtù. Dio, infatti, non ci ha chiamati all’immondezza, ma alla santità. Chi continuasse a vivere nell’immondezza, non sarebbe degno di appartenere ai seguaci di Gesù Cristo; verrebbe meno ai doveri della sua vocazione. Lo stesso mondo corrotto e corruttore, è giudice severo verso coloro che conducono una vita poco casta. Chiuderà gli occhi su tante mancanze; ma aguzzerà in modo straordinario la vista per scoprire, se coloro che si mettono a condurre una vita cristiana, mancano sotto questo rispetto. E se gli è dato di scoprire qualche mancanza, fa del rumore, crea dei pretesti per additare al disprezzo i Cristiani praticanti. Un Cristiano abbia pure le più belle doti di mente e di cuore, compia pure molte opere buone, si acquisti dei meriti svariati, se è schiavo dell’immondezza disonora la sua vita: e non sarà mai un apostolo che convince. Poca macchia guasta una bellezza: soprattutto quando si tratta della macchia dell’impurità. Al contrario, la purità compenetra, per così dire, tutte le altre virtù e ne rivela le bellezze. Ci sono certi fiori che, in un mazzo, attirano lo sguardo più degli altri, nello stesso tempo che accrescono grazia al mazzo intero. Nel mazzo delle virtù che adornano la vita cristiana, la purità è quella che maggiormente influisce su l’animo di chi osserva; e gli presenta tutte le altre virtù sotto un luce tutta particolare. Essa è « il fiore dei costumi » (Tertull., De Pudicitia,1). E la storia della Chiesa, antica e moderna, la storia dei nostri giorni, quella che si svolge sotto i nostri occhi, e quella che si svolge nei paesi delle Missioni, c’insegna che tanti e tanti, rimasti irremovibili davanti ai ragionamenti e alle esortazioni, a poco a poco si lasciano soggiogare e trascinare dal fascino che esercitano le anime pure. Questa bella virtù, che tanto ci innalza agli occhi di Dio, che tanta efficacia esercita sull’anima degli uomini, che è invidiata, se non osservata, anche da coloro che vivono immersi nelle passioni, deve essere dai Cristiani costantemente praticata e gelosamente custodita. I tesori, quanto più sono preziosi, tanto più esigono cure, perché non vadano perduti. Si devono sostenere lotte e privazioni per conservare il tesoro della purità; ma quanto più lotteremo e ci mortificheremo, tanto più diventeremo belli e preziosi all’occhio di Dio. Le vette nevose delle Alpi tanto più spiccano e affascinano con il loro candore, quanto più sono flagellate dalle bufere e dalle tempeste. Le lotte e le privazioni che si devono sostenere per conservare la purità avranno, del resto, il più felice coronamento; poiché di essa, soprattutto, è scritto nei Libri Santi, che « incoronata trionfa nell’eternità, avendo riportato il premio dei casti combattimenti » (Sap. IV, 2).

 Graduale

Ps XXIV: 17-18

Tribulatiónes cordis mei dilatátæ sunt: de necessitátibus meis éripe me, Dómine,

[Le tribolazioni del mio cuore sono aumentate: líberami, o Signore, dalle mie angustie.]

Vide humilitátem meam et labórem meum: et dimítte ómnia peccáta mea.

[Guarda alla mia umiliazione e alla mia pena, e perdònami tutti i peccati.]

Tractus Ps CV:1-4

Confitémini Dómino, quóniam bonus: quóniam in saeculum misericórdia ejus. [Lodate il Signore perché è buono: perché eterna è la sua misericordia.]

Quis loquétur poténtias Dómini: audítas fáciet omnes laudes ejus?

[Chi potrà narrare la potenza del Signore: o far sentire tutte le sue lodi?]

Beáti, qui custódiunt judícium et fáciunt justítiam in omni témpore.

[Beati quelli che ossérvano la rettitudine e práticano sempre la giustizia.]

Meménto nostri, Dómine, in beneplácito pópuli tui: vísita nos in salutári tuo. [Ricórdati di noi, o Signore, nella tua benevolenza verso il tuo popolo, vieni a visitarci con la tua salvezza.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum S. Matthæum.

Matt XVII: 1-9

“In illo témpore: Assúmpsit Jesus Petrum, et Jacóbum, et Joánnem fratrem eius, et duxit illos in montem excélsum seórsum: et transfigurátus est ante eos. Et resplénduit fácies ejus sicut sol: vestiménta autem ejus facta sunt alba sicut nix. Et ecce, apparuérunt illis Móyses et Elías cum eo loquéntes. Respóndens autem Petrus, dixit ad Jesum: Dómine, bonum est nos hic esse: si vis, faciámus hic tria tabernácula, tibi unum, Móysi unum et Elíæ unum. Adhuc eo loquénte, ecce, nubes lúcida obumbrávit eos. Et ecce vox de nube, dicens: Hic est Fílius meus diléctus, in quo mihi bene complácui: ipsum audíte. Et audiéntes discípuli, cecidérunt in fáciem suam, et timuérunt valde. Et accéssit Jesus, et tétigit eos, dixítque eis: Súrgite, et nolíte timére. Levántes autem óculos suos, néminem vidérunt nisi solum Jesum. Et descendéntibus illis de monte, præcépit eis Jesus, dicens: Némini dixéritis visiónem, donec Fílius hóminis a mórtuis resúrgat.”

Omelia II

[A. Carmagnola: Spiegazione dei Vangeli domenicali – S. E. I. Torino 1921]

SPIEGAZIONE XVI.

“In quel tempo Gesù prese con sé Pietro, e Giacomo, e Giovanni, suo fratello, e li menò separatamente sopra un alto monte; e fu dinanzi ad essi trasfigurato. E il suo volto era luminoso come il sole, e le sue vesti bianche come la neve. E ad un tratto apparvero ad essi Mosè ed Elia, i quali discorrevano con lui. E Pietro prendendo la parola, disse a Gesù: Signore, buona cosa è per noi lo star qui: se a te piace, facciam qui tre padiglioni, uno per te, uno per Mosè, e uno per Elia. Prima che egli finisse di dire, ecco che una nuvola risplendente, li adombrò. Ed ecco dalla nuvola una voce che disse: Questi è il mio Figliuolo diletto, nel quale io mi sono compiaciuto: lui ascoltate. Udito ciò, i discepoli caddero bocconi per terra, ed ebbero gran timore. Ma Gesù si accostò ad essi, e toccolli, e disse loro: Alzatevi, e non temete. E alzando gli occhi, non videro nessuno, fuori del solo Gesù. E nel calare dal monte, Gesù ordinò loro, dicendo: Non dite a chicchessia quel che avete veduto, prima che il Figliuol dell’uomo sia risuscitato da morte” (Matth. XVII, 1-9).

Una catena di montagne, che comincia dal Libano, traversa la Palestina da settentrione a mezzodì. Una di esse è notabilissima, quella del Tabor. Essa si innalza ad 800 metri circa sul livello del mare, solitaria e graziosa, come un mazzo di verzura, dalla vasta pianura di Esdrelon. Dalla sua vetta si apre allo sguardo il più magnifico orizzonte, giacché di là si può discoprire quasi tutta la Palestina. Dalla parte di settentrione si presenta il bel lago di Genezaret con le città che gli stanno dappresso, Cafarnao, Betsaida, Tiberiade; ad oriente il fiume dei profeti e del Vangelo, il Giordano, che sembra una bella striscia d’argento serpeggiante tra il verde della magnifica valle; a mezzodì l’antica città di Naiin e più lontano la vasta pianura di Samaria; e ad occidente il monte Carmelo, che sorge sulla riva del Mediterraneo. Certamente Gesù Cristo non poteva scegliere un teatro più acconcio per la stupenda e divina scena della trasfigurazione. Ed è questa scena, che ci propone a contemplare il Vangelo di oggi.

1. Dice adunque il Santo Vangelo che Gesù prese con sé Pietro, e Giacomo, e Giovanni, suo fratello, e li menò separatamente sopra un alto monte; e fu dinanzi ad essi trasfigurato. E il suo volto era luminoso come il sole; e le sue vesti bianche come la neve. E a un tratto apparvero ad essi Mosè ed Elia, i quali discorrevano con lui. E qui, prima di andare innanzi, conviene riflettere sull’immensa bontà di Gesù Cristo. Poco tempo innanzi Gesù benedetto erasi varie volte intrattenuto con i suoi Apostoli prima intorno alla sua Passione, e poscia sulla necessità che ancor essi avevano di rinnegare se stessi, prendere e portare la propria croce, impiegare tutte le forze della loro anima per salvarla. Epperò la predizione de’ suoi patimenti e queste massime tanto austere potevano in allora spaventar troppo gli Apostoli, ancor tanto deboli, e indurli a far quello che già avevano fatto le stesse moltitudini, cioè ad allontanarli dalla sequela di Gesù. Conveniva adunque premunirli contro la tentazione dello scoraggiamento e rianimare la fiducia nel loro cuore. E fu appunto per questo fine, come osserva S. Giovanni Crisostomo, per premunirli cioè contro lo scandalo della sua passione e per animarli a soffrire per Iddio, che il divin Redentore, presi con sé gli Apostoli prediletti, salito sul monte Tabor, fece loro contemplare un raggio della sua bellezza e grandezza divina, diede loro un saggio di quel paradiso, che è riservato a chi volentieri lo segue, anche a costo di gravi sacrifici. Anzi, a questo stesso scopo fece apparire a sé dappresso Mosè ed Elia a discorrere della sua passione e della sua dipartita da questo mondo; perciocché Mosè, rappresentando la legge, ed Elia i profeti, attestavano ambedue che Gesù era veramente il grande oggetto dell’osservanza della legge e degli insegnamenti dei Profeti, non ostante la passione alla quale sarebbesi sacrificato; ed insegnavano con la loro condotta quanto importi di star vicino a Lui, benché si abbia a partecipare della sua passione. Or ecco quello che abbiamo da far noi per animarci in mezzo alle difficoltà, che dobbiamo superare per fare il bene, ed allo scoraggiamento, da cui potremmo essere assaliti: salire col pensiero sul vero Tabor, sul monte di Dio, che è il cielo, e raffigurarci la scena stupenda che ci si farà dinnanzi nell’entrare e nel rimanere in quel beatissimo regno. Ed invero qual considerazione può tornare per noi di più salutare effetto! – Supponiamo adunque, o carissimi, di accompagnare un’anima che entra nel Paradiso. Non appena essa si è dipartita da questa terra, se già tutta monda e, se non ancor tutta monda, non appena si sarà del tutto purificata nelle fiamme del Purgatorio, ecco gli Angeli del Paradiso venirle festosi incontro. È questo appunto l’invito che agli Angeli fa la Chiesa ogni qualvolta canta le esequie ad un Cristiano defunto: Subvenite, Sancti Dei, occurrite, Angeli Domini, suscipientes animavi eius, offerentes eam in conspectu Altissimi. E gli Angeli prendono quest’anima e sulle loro candide ali la portano come in trionfo al cielo. Ed oh quale spettacolo si para dinnanzi a quest’anima non appena ella entra in Paradiso! Qual luce! Quale bellezza! Quale giocondità! Quali armonie! Si faranno tosto incontro a quest’anima i suoi parenti, i suoi amici, i suoi conoscenti. Ed oh che saluti, che abbracci, che baci saranno mai quelli! Ed è dunque vero, esclamerà quest’anima, è dunque vero che io vi rivedo, o mio carissimo padre, o mia amata madre, è dunque vero che io vi rivedo, o miei cari fratelli e miei dolci amici? Sì, sì, siete proprio voi! Oh qual gioia, qual piacere! « ora staremo sempre insieme, non ci divideremo mai più: sic semper cum Domino erimus » (1 Tess. IV, 16). Quindi quest’anima quasi dolcemente sospinta dagli Angeli e attratta da una forza arcana lascerà per allora i parenti e gli amici per salire più in alto. E intantoche ella salirà, vedrà di qua, di là, i Patriarchi, i Profeti, i Santi tutti dell’antico testamento, dei quali tante volte aveva udito a parlare; vedrà gli Apostoli, i Martiri, i Confessori, i Dottori, i Pontefici, gli Anacoreti, le Vergini e tutti ammantati di luce, incoronati di onore e di gloria; vedrà gli Angeli, gli Arcangeli, i Cherubini, i Serafini e poi al disopra di tutti questi beatissimi spiriti vedrà Maria, la Madre di Dio! La sua veste è il sole, il suo sgabello è la luna, la sua corona sono dodici brillantissime stelle. O Maria, esclamerà quell’anima, o Maria quanto siete bella! Ma voi siete il paradiso medesimo! Eppure no, vi è altro ancora da vedere, vi è Dio. E già l’anima gloriosa sente la voce del Signore, che la chiama al suo trono, perché riceva la corona immarcescibile di gloria, che porterà per sempre sulla sua testa: Veni, veni, coronàberis. Ah! vedere la sacrosanta umanità di Gesù Cristo, vedere il Divin Padre, il Divin Figlio, il Divino Spirito, ecco, ecco il Paradiso. « Videbitis eum sicuti est» (1, Giov. III, 2). E dopo che quest’anima sarà stata solennemente incoronata in mezzo alle musiche più gioconde e ai cantici della più viva allegrezza, condotta onoratamente dagli Angeli a prendere il posto sopra del trono per lei apparecchiato, incomincerà nella contemplazione e per conseguenza nell’amore e nel possesso di Dio medesimo a godere il Paradiso. E ciò per tutta l’eternità: et quod erit in fine sine fine (S. Agostino). Ah! dite, il pensiero di quella gran festa e di quella gioia immensa, che si godrà nell’entrare e nel rimanere eternamente in quella patria celeste, non deve per noi tornare efficacemente salutare? Coraggio, adunque, in mezzo alle difficoltà per fare il bene, alle tribolazioni che incontriamo, ai sacrifici che dobbiamo sostenere, non dimentichiamo che al termine di questa misera vita, se avremo con Gesù Cristo salito il Calvario, saremo pure da Lui condotti sulla cima di quel santo Tabor, che è il Paradiso, e dal quale, saliti che vi saremo una volta a contemplare Iddio, non discenderemo più mai.

2. Prosegue il Vangelo dicendo, che a quello spettacolo di Paradiso Pietro, prendendo la parola, disse a Gesù: Signore, buona cosa è per noi lo star qui: se a te piace, facciamo qui tre padiglioni, uno per te, l’altro per Mosè ed uno per Elia. Siccome avviene, al dire di un Santo Padre, che chi prova le dolcezze della vita celeste, sempre più disgustasi dei piaceri che lo attaccavano alla terra, non è a stupire se Pietro, inebriato dalla gloria del suo maestro, e quasi fuori di sé, dimentica talmente tutte le cose del mondo, che gli propone di dimorare dov’erano, ed anche di erigere tre tende. Ora non è forse del tutto contraria a quella di Pietro la nostra condotta? La maggior parte degli uomini non si preoccupa forse di erigere quaggiù la propria tenda, come se quaggiù dovesse rimanere per sempre? Ah! miei cari! non dimentichiamo che « dum sumus in corpore, peregrinamur a Domino: mentre ci troviamo in vita, siamo come pellegrini lontani dal Signore » (2, Cor. V, 6); « Non habemus hic manentem civitatem, sed futuram inquirimus: non abbiamo qui una ferma città, ma andiamo cercando la futura » (Ebr. XIII, 13). No, qui non dobbiamo fermarci: qui siamo solo di passaggio; la nostra vera patria è il Paradiso. Or dunque, se è così, non dobbiamo noi avere il cuore distaccato da questa terra per averlo sempre unito al Cielo? Oh sì! come S. Pietro sul Tabor, così anche noi dobbiamo dimenticare le bellezze, i beni ed i piaceri fallaci del mondo, e sollevarci del continuo per mezzo della fede al pensiero delle bellezze, dei beni, dei piaceri imperituri del Cielo, per i quali siamo stati creati. Che cosa direste di un uomo, il quale, destinato ad entrare al possesso di un regno, ove da per tutto è abbondanza di finissimo oro, nel suo viaggio si fermasse con piacere lungo la riva di un fiume a caricarsi di pietre e a quelle pietre attaccasse il cuore? Voi direste, e con ragione. che egli è pazzo. Ma ben più pazzo è colui che destinato da Dio ad entrare un giorno nel regno del Cielo, ove si possederà Iddio stesso, si dà invece perdutamente a ricercare i godimenti della vita presente, che gli saranno causa di perdere quelli della vita futura. Di fatti che si troverà egli ad avere nelle sue mani al termine della vita un povero mondano, che non abbia cercato altro in vita sua che onori, piaceri, ricchezze? Nulla. Tale precisamente, come insegna la sacra scrittura è la sorte che tocca a coloro, i quali dimenticando il Cielo si attaccano ai beni miserabili della terra: « Dormierunt somnum suum; et nihil invenerunt omnes viri divitiarum in manibus suis. Dormirono il loro sonno, vale a dire perirono questi uomini tesoreggianti le cose di quaggiù e si trovarono nell’altra vita a mani vuote » (Salm. LXXV, 3). Dunque il cuor nostro al Cielo.

3. Racconta in seguito il Vangelo, che prima ancora che S. Pietro finisse di parlare, ecco che una nuvola risplendente li adombrò (cioè ricoperse i tre discepoli). Ed ecco dalla nuvola una voce che disse: questi è il mio Figliuolo diletto, nel quale io mi sono compiaciuto: lui ascoltate. Udito ciò i discepoli caddero bocconi per terra, ed ebbero timore. Ma Gesù si accostò ad essi, e toccolli, e disse loro: Alzatevi e non temete. E alzando gli occhi non videro nessuno, fuori del solo Gesù. E nel calar dal monte, Gesù ordinò loro dicendo: Non dite a chicchessia quel che avete veduto, prima che il figliuol dell’uomo sia risuscitato da morte. Ora su questo secondotratto del Vangelo si potrebbero ancor fare molte utili considerazioni; tuttavia noi ci contenteremo di farne una sola importantissima. Perché Gesù Cristo impose agli Apostoli il silenzio sopra di questo fatto sin dopo la sua risurrezione? S. Girolamo ne dà due ragioni: la prima, per tema che non si credesse a questo mistero, come quello ch’era troppo elevato e troppo sublime. La seconda per timore che dopo tanta gloria, la croce a cui poco dopo doveva essere confitto, non fosse alle rozze menti un argomento di scandalo. Donde dobbiamo imparare che vi sono dei casi in cui il silenzio è una importantissima virtù doverosa a praticarsi, virtù che consiste nel mortificare la nostra lingua e nel non lasciarla parlare, quando parlando offende la carità sia verso Dio, che verso il prossimo. Ad esempio: voi sapete che Iddio è il Creatore del Cielo e della terra, il padrone assoluto di tutte le cose, e che però tutto quanto Egli regola e governa secondo la sua divina Provvidenza, e che se talvolta Egli vi permette qualche malattia, qualche infortunio, qualche sventura ha le sue mire. Ora se voi in tali circostanze, anziché tacere rassegnati al volere di Dio, parlate e parlando vi lamentate di Lui e forse imprecate alle sue disposizioni, non è egli vero che col violare il silenzio voi offendete gravemente il Signore? Voi sapete che Egli vuole assolutamente essere rispettato persino nel suo santissimo Nome, essendo ciò alla fin fine troppo conforme alla natura, la quale, se ci dice di onorar il nostro sovrano, ci dice altresì di rispettarne il nome. Ora se voi con tanta facilità lo profanate, lo bestemmiate se così leggermente fate dei falsi giuramenti prendendo Iddio in testimonio di ciò che falsamente affermate, non è egli vero che col violare il silenzio voi offendete Iddio? Voi sapete che tutto ciò che la Chiesa ci insegna è insegnamento divino, perché è Iddio medesimo, che alla Chiesa ha rivelato e rivela tutto ciò che deve insegnarci; voi sapete che Gesù Cristo ha costituito nella Chiesa il Papa, i Vescovi, i Sacerdoti a fare le sue veci sino alla fine dei secoli, e che per conseguenza devesi anche con la bocca rispettare la fede, la morale e la gerarchia della Chiesa. Ora se voi tenete discorsi che siano contro la Religione, che offendano le nostre verità cattoliche, che le mettano in dubbio od in ridicolo, che gettino il disprezzo sopra il Papa, i Vescovi, ed i Sacerdoti, non è egli vero che col violare il silenzio si offende il Siguore? Voi sapete che tutto ciò che avete di buono e che siete capaci a fare, tutto vi viene da Dio e che perciò è a Lui solo che di tutto il bene devesi rendere l’onore e la gloria. Ora se voi a somiglianza dei Farisei vi andate di per voi stessi lodando e millantando, inventando anche meriti che non avete, non è egli vero che per tal modo rubando la gloria a Dio col violare il silenzio, gli fate offesa? Sì perché in tutti questi modi si viene a parlare contro la carità, che nel cuor nostro dobbiamo avere per Iddio, carità la quale ci impone di non lamentarci di Lui, e di rispettare il suo nome e la sua santissima fede, e di riconoscere Lui solo come il datore di ogni bene. Ma in quante altre maniere si viene poi col parlare ad offendere la carità verso il prossimo. La si offende col dire false testimonianze controdi lui o col calunniarlo, la si offende con la menzogna, con la detrazione, con la mormorazione, con le ingiurie, con le invettive, con le imprecazioni, con le maledizioni, con la violazione di un secreto, la si offende col tenere discorsi irreligiosi od immorali, col dar cattivi consigli, col fare cattivi eccitamenti. E alle volte chi sa misurare a fondo la gravezza di questa offesa alla carità verso il prossimo? Una calunnia, una falsa testimonianza non è talvolta sufficiente per rovinare una persona, per farle perdere onore, impiego, roba, tutto, e cacciarla ancora in fondo ad una prigione? Una ingiuria lanciata imprudentemente non basta alle volte per risvegliare ed accendere tutta quanta l’irascibilità di un uomo ed eccitarlo ad un grave delitto? Una mormorazione, non può far perdere la stima di un padre, di una madre, di una famiglia dabbene e renderla spregevole dinanzi agli occhi altrui? Un discorso irreligioso ed immorale non basta alle volte per rovinare del tutto l’anima di un figliuolo, di una giovinetta innocente? Oh quanti e quanti entrarono angeli in una conversazione e ne uscirono demoni! quanti e quanti non sapevano che fosse malizia e col trattare con gente che parlava loro con bocche da inferno, se ne circondarono insino agli occhi! Quanti che frequentavano la Chiesa, i sacramenti, erano morigerati, ei ora dopo certi discorsi di scherno, di disprezzo, di immoralità, sono divenuti essi medesimi spregiatori della fede e calpestatori della virtù. E non sono le parole melate, le scellerate lusinghe, le false promesse, che hanno tolto il candore a tante colombe e le hanno gettate nel disonore? Sì, sì, terribili sono le conseguenze, che nascono dal violare il silenzio, dal parlare quando si offende la carità contro Dio e contro il prossimo. Basta dire che i due più grandi delitti, che si commisero in sulla terra, furono effetto di pestifere lingue. Eva si indusse a mangiare il frutto vietato dopoché il serpente le parlò e le disse: Mangiatene, che diventerete simili a Dio. E Pilato condannò a morte il divin Redentore, quando intese la ciurmaglia dei Giudei, che gridavano: Se non lo condanni non sei amico di Cesare, Crucifige, crucifige eum. È S. Agostino che lo nota, dicendo che Gesù Cristo fu sacrificato gladio linguæ, per la spada della lingua. Ben a ragione adunque l’Apostolo S. Giacomo chiama la lingua un mondo di iniquità, universitas iniquitatis. (III, 6).Eppure chi non lo sa che i peccati di lingua sono propriamente quelli, che si commettono con maggior facilità? Molti non sanno tenere un discorso senza che ad ogni espressione vi caccino entro il santo nome di Dio, e di Gesù Cristo, del Sacramento, della Madonna, o se pure non sparlano del Papa o dei preti, o se non trattano di oscenissime cose, o se non fanno le più gravi mormorazioni del terzo e del quarto. E qual è poi, sia detto con loro buona grazia, qual è poi una delle maggiori occupazioni di certe donne, e diciam pure di certe signore, qual è il trattenimento favorito nelle visite che si fanno, se non quello di rivedere i conti a questo e a quello e tagliare i panni addosso a questa o a quell’altra? E quanti non sono i figliuoli e le figliuole caparbie, superbe, che rispondono arrogantemente ai loro genitori ed ai loro superiori? Quante mogli che mancano di rispetto ai loro mariti e quanti mariti, che oltraggiano lo loro mogli? E quelle liti incessanti, eterne, che vi hanno tra le suocere e le nuore, quello screditarsi a vicenda, quel rampognarsi ed insultarsi continuo, non sono i peccati ordinari nel seno di tante famiglie? Sì, sì, sono proprio i peccati di lingua quelli, che si commettono con maggior facilità e frequenza. Epperò nulla più a proposito dell’avvertimento, che oggi Gesù Cristo dà agli Apostoli, avvertimento, che dobbiamo prendere ancor noi e praticare con la massima diligenza. Noi felici, se ci faremo un tale studio, perciocché dice, e ben a ragione, S. Giacomo (III, 2), che « chi non inciampa nel discorrere egli è un uomo perfetto. Si quis in verbo non offendit, hic perfectus est vir ».

Credo

Offertorium

Orémus Ps CXVIII: 47; CXVIII: 48

Meditábor in mandátis tuis, quæ diléxi valde: et levábo manus meas ad mandáta tua, quæ diléxi. [Mediterò i tuoi precetti che ho amato tanto: e metterò mano ai tuoi comandamenti, che ho amato.]

Secreta

Sacrifíciis præséntibus, Dómine, quaesumus, inténde placátus: ut et devotióni nostræ profíciant et salúti. [Guarda, o Signore, con occhio placato, al presente sacrificio, affinché giovi alla nostra devozione e salute.]

Communio

Ps V: 2-4 – Intéllege clamórem meum: inténde voci oratiónis meæ, Rex meus et Deus meus: quóniam ad te orábo, Dómine. [Ascolta il mio grido: porgi l’orecchio alla voce della mia orazione, o mio Re e mio Dio: poiché a Te rivolgo la mia preghiera, o Signore.]

Postcommunio

Orémus.

Súpplices te rogámus, omnípotens Deus: ut quos tuis réficis sacraméntis, tibi etiam plácitis móribus dignánter deservíre concédas. [Súpplici Ti preghiamo, o Dio onnipotente: affinché, a quelli che Tu ristori coi tuoi sacramenti, conceda anche di servirti con una condotta a Te gradita.]

LO SCUDO DELLA FEDE (53)

LO SCUDO DELLA FEDE (53)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Mure, FIRENZE, 1858]

FALSITA’ DEL PROTESTANTESIMO

CAPITOLO III.

SI CONVINCE FALSO IL PROTESTANTISMO DALLE PERSONE CHE LO ABBRACCIANO, E DA QUELLE CHE LO ABBANDONANO.

Un grande indizio a conoscere la bontà di una causa è il ravvisare quelli che corrono ad abbracciarla e quelli che la disertano. I buoni non s’appigliano se non al bene, i malvagi se non al male. Ora tra i Cattolici chi sono quelli, che abbracciano il Protestantesimo? Tutto quello che vi ha di più guasto, di più depravato, di più feccioso. Notate di grazia, non voglio io dire che tutti i protestanti siano scostumati e malvagi: no, perché molti di quelli che sono nati in quelle sette e vi si trovano non per colpa loro, non conoscendo sventuratamente la verità, sono, come suol dirsi, in buona fede. Questi facendo quel poco che possono, non di rado giungono a vivere anche onestamente; parlo di quelli che avendo conosciuta la verità la rigettano per gettarsi da sé medesimi in braccio all’errore. Questi non giungono ad un tanto eccesso se prima non sono guasti fino alla midolla. Già sino dai princìpi del Protestantismo fu osservato che ad abbracciarlo furono sempre i più viziosi tanto che a quel tempo era perfino passato un proverbio, quando si vedeva qualcuno licenzioso, scostumato, disonesto, il dirgli, che stava vicino a farsi protestante. Ma lasciamo gli antichi, veniamo ai tempi nostri. Chi sono quelli che si danno alla setta? Quelli appunto che vivono peggio. L’esperienza ha fatto toccare con mano che i più disposti ad abbracciare le credenze dei Protestanti sono quelli che vi hanno interesse: quelli che già pensano da Protestanti e vivono praticamente da Protestanti, che non si confessano, non si comunicano, non rispettano le sante leggi della Chiesa, amano abbandonarsi ad ogni peccato senza aver noia di renderne conto nel s. Tribunale del penitenza. Sono quelli in una parola, che ignorantissimi delle cose di Dio e ripieni d’ogni nequizia, han ridotta tutta la loro Religione a sentire (ed anche molto malamente) un poco di Messa nei dì Festivi. Questi sono per lo più i primi a declamare contro la Fede Cattolica, ed abbracciare la religione dei Protestanti. Non vogliono sentir Messa e però condannano la Messa, non vogliono confessarsi, e però condannano la confessione, non hanno volontà di mortificarsi con digiuni e con astinenze, e perciò condannano astinenze e digiuni. Per non essere condannati dalla legge si fanno condannatori della legge. Chi sono quelli che più strepitano contro il bargello ed i tribunali? Quelli che han timore di essere presi e condannati: così a declamare contro la Chiesa sono quelli che sapendo che ella mai non approverà le loro scostumatezze, temono di essere da lei ripresi e condannati: epperò per non essere condannati dalla Chiesa, si ergono temerari a condannare Lei. Se ne volete una prova voi l’avete in quei pochi apostati, che hanno fatto tanto rumore in questi ultimi anni. Il famoso Achilli, quando fu che si fece protestante? Quando a dispetto di tutte le leggi ecclesiastiche che lo proibivano a lui Sacerdote e Religioso, volle soddisfare a tutte le vergognose passioni. Quando fu che l’infame De Sanctis trovò vero il Protestantesimo? Quando gli fece comodo quella setta, dandogli il diritto di rubare una fanciulla e sacrilegamente sposarla. Quando fu che certi altri (che per buona ragione non voglio ora nominare) scapparono in Inghilterra e si fecero Protestanti? Quando credettero con l’oro inglese di poter vivere più comodamente violando i loro voti e gettandosi in preda ad ogni laidezza e disonestà. Volete di più? Alcuni di questi apostati infelici, poi tornarono pentiti al seno della S. Chiesa, confessarono pubblicamente che la ragione della loro apostasia erano state le loro vergognose passioni. E di fatto riescono poi così scandalosi, che gli stessi Protestanti di qualche onestà gli hanno a schifo e dicono che quando il Papa vuole purgare il giardino di Santa Chiesa, getta le male erbe fra di loro. – Se vi ha dunque chi non si vergogni di mettersi in truppa con questi uomini infami, rinunzi pure alla Chiesa Cattolica; la quale se avrà il dolore di perderli, avrà anche il compenso di purificar così sempre più le sue membra. – Noi al contrario accoglieremo ben volentieri quelli che dal Protestantismo tendono a noi le braccia tutto giorno e si raccolgono nel seno della nostra Madre. Imperocché chi sono essi? Quello che tra loro vi ha di più degno, di più stimabile, di più dotto, di più irreprensibile nella condotta. Miei cari, è questa una prova sì bella in favor della Cattolica Chiesa che non posso non porvela sott’occhio accennandovi almeno alcuna delle conversioni più illustri che avvennero da un secolo in qua, ed a nostra memoria. Uditene anche solo i nomi e vedrete qual contrasto essi facciano con quelli che disertano da noi. Fin dal 1785 il Duca Adolfo Federico di Mecklemburg e di Luigia Saxa-Gotha, superati gli ostacoli grandissimi frappostigli da suo Padre abiurò il Protestantismo. Ne imitò l’esempio tre anni dopo il Principe Federigo Augusto Carlo terzogenito del Granduca di Assia-Darmstadt: a lui tenne dietro la Principessa Carlotta-Federica sorella del Principe Adolfo Federico di Meklemburg, celebre per le buone opere di ogni maniera che essa fece. Nel 1817 si convertì al Cattolicesimo il Duca di Sassonia Gotha e per la sua rara pietà fu la edificazione della Chiesa. Nel 1821 la Contessa Federica Guglielma Solms Baireuth fece il somigliante e diventò la madre ed il rifugio di tutti i poveri. Nel 1825 il Duca e la Duchessa di Anhalt Coetben, abiurata l’eresia si dichiararono pubblicamente Cattolici. Nel 1826 il Conte d’Ingenheim, fratello dell’ultimo Re di Prussia, fece altrettanto. Nel 1837 ebbe luogo la conversione del Principe Enrico Edoardo di Schoenboarg. ed ai dì nostri i Nobili Lord Camden e Lord Fielding con le loro spose, Lord Spencer che diventò poi ferventissimo Religioso, la Baronessa di Hügel specchio di belle virtù, e tanti altri che sarebbe lunghissimo l’enumerare. Ora qual ragione può aver mossi tutti questi incliti personaggi ad un tal passo? Qui non è possibile sospettare né passione, né interesse, né altro motivo umano, poiché anzi questi motivi dovevano piuttosto ritardarli, riuscendo sempre duro ad un cuore umano il confessarsi nell’errore. Fu dunque la verità sola che li vinse, e la verità che li trovò tanto generosi da sacrificarle ogni umano rispetto. Mostrino i Protestanti di queste conversioni. Non crediate però che siano soli personaggi augusti per sangue e onestà di vita che vengono a noi. I più chiari intelletti dell’età nostra fanno altrettanto. Ve ne sono prova il dottissimo Haller fondatore dirò così della scienza politica, lo Stolberg, sì celebre per la Vita di Gesù Cristo, e per i 14 volumi della Storia della Chiesa Cristiana, il Werner illustre per opere scritte e cariche sostenute, il Barone di Stark autore del Convito di Teodolo e di altri bei libri, lo Schlegel versatissimo in ogni genere di scienza e letteratura, i dottissimi Clemente Brentano, il Barone d’Eckstein, il Goerres, il Consigliere Aulico Adamo Muller, l’Esslinger, Pietro de Joux, il Grifner, il Philipps, lo Schlosser, e finalmente l’illustre presidente del Concistorio di Sciaffusa, Hurter: uomini tutti di fama inclita per l’ingegno e le opere dotte che hanno lasciato al mondo. – E quello che è accaduto nella Germania, avvenne altresì nella Inghilterra. Alcuni anni fa si risvegliò nella università protestante di Oxford, il desiderio di conoscere meglio le antichità ecclesiastiche, epperò quei maestri tolsero a studiare meglio le divine Scritture e le opere dei SS. Padri che le espongono. Qual fu l’effetto di questi studi? Che gli uni dopo gli altri si convinsero delle falsità del Protestantismo e passarono ad abbracciare la Religione Cattolica. Io vi accennerò solamente i nomi di alcuni di loro, i quali valgono per mille, e sono i Ward, gli Oakeley, i Faber, i Morris, i Brown, i Newman, i Manning, i pastori di Leeds, i Forbes, gli Ives, i Baker tutti celebri per dottrina, ed anche per libri eruditi che hanno dato alla luce: i più di loro specchiati per onestà tanto che godevano la riputazione di tutti i Protestanti non ché dei Cattolici. Il numero poi di questi uomini dotti è tale che oltrepassarono in pochi anni i trecento nella sola Inghilterra. Ora vi torno io a chiedere, quale motivo poteva indurre tutti costoro a lasciare il Protestantismo per farsi Cattolici? L’ignoranza no, perché sono uomini celeberrimi per sapere; forse l’interesse? ma molti di loro per farsi Cattolici, dovettero perdere le ricche loro prebende, e diventare affatto poveri. Le passioni forse? ma essi le potevano sfogar meglio da protestanti, e molti di loro le vinsero a segno da lasciare anche lo stato onesto di laici, per abbracciare la santa verginità nel sacerdozio o nella vita religiosa. Chi dunque li ha mossi a fare tanti sacrifici? La grazia di Gesù Cristo che li ha illuminati, la Verità che li ha santamente conquisi; ecco quello che li ha mossi. Confrontate ora voi questi grand’uomini che vengono a noi Cattolici, con quelli che partono da noi per farsi protestanti, e vedrete subito dove sia la verità. Quelli che vengono sono i più savi, i più costumati, i più istruiti, i più sinceri tra loro, vi vengono sacrificando il loro amor proprio, spesse volte il proprio onore, ed i propri interessi, vi vengono nonostante le difficoltà di ogni sorta che fanno loro i parenti e gli amici. Laddove quelli che partono da noi sono di niuna dottrina e ripieni di ogni vizio. Appena lasciano la Chiesa Cattolica si gettano ad ogni mal costume. É proprio vero quel che diceva un Protestante ad un Cattolico: Voi ci cedete la vostra feccia, e ci prendete la nostra crema. Dov’è dunque la verità? Se questo secolo non fosse così assorto nella materia e nei godimenti del senso, l’assistere a questo spettacolo dovrebbe rapirlo in estasi di stupore, e stringerlo di un amore eterno alla Cattolica Chiesa. Guai però a chi con tali prove che Iddio li pone sott’occhio o vacilla o prevarica, che non avrà scusa di sorta.