GREGORIO XVII – IL MAGISTERO IMPEDITO: 2° Corso di Esercizi Spirituali (5)

IL MAGISTERO IMPEDITO

2° corso di ESERCIZI SPIRITUALI

Nostra conversatio in cœlis est

[G. SIRI: Esercizi spirituali, Ed. Pro Civitate Christiana, Assisi, 1962]

5. La morte

Facciamo la meditazione sulla morte. Anche questo è un tema fondamentale per un corso di Esercizi Spirituali. È un punto che obbliga a essere concreti, che impedisce le evasioni e non permette che si sostituisca la solida pietà e devozione con qualche facile e non costosa poesia. È una meditazione che non si può omettere. Voi sapete che la morte è ineluttabile, perché tutti a uno a uno ce ne andremo. Voi sapete che il punto essenziale della morte sta nel fatto che con essa termina la prova, cioè con essa termina la capacità di acquistare meriti. Nella vita eterna non si cambia più il nostro stato. Il merito cessa, rimane la fruizione di esso, il frutto nella pace, nel gaudio, nell’amore, nella vita eterna; ma si ferma per sempre la capacità di meritare, e pertanto cessa la capacità di aggiungere valore al nostro valore. È proprio questo « basta », che vien detto con la morte, ciò che dà l’incredibile serietà al passaggio dal tempo all’eternità. Ma per esercitarci quanto è possibile nella conversatio in cœlis, dobbiamo guardare l’argomento dall’alto. Che cosa si vede portandoci idealmente in cielo? Che cosa vediamo noi con lo sforzo di stare a quel livello, di ragionare con un criterio che non è di questo mondo, di dare alla nostra interiore veduta l’apertura che è propria del livello in cui c’è la libertà da questo mondo? Si vede anzitutto che si rovescia ogni cosa. L’importanza dell’argomento sta in questo: nel capire che ciò che a noi sembra abituale quaggiù è invece straordinario; capire che quel che ci sembra ordinario è invece l’eccezione; capire che ciò che a noi pare la vita non lo è. Rovesciare tutto. Che cosa accade al momento della morte? Noi lo possiamo descrivere a forza di negazioni: non abbiamo altra strada. Sì, sappiamo qualche cosa dalla divina Rivelazione, ma sappiamo poco. E allora dobbiamo procedere deduttivamente per altra strada. Sappiamo con certezza che al momento della morte l’anima si distacca dal corpo. Anzi fisicamente la morte consiste in questo: il corpo rimane abbandonato dall’anima che gli era stata sostanzialmente unita e, accaduto questo, il corpo comincia a dare la prova vera di sé stesso, di che cosa sia e di che cosa valga da solo. Gli uomini se ne liberano al più presto possibile andandolo a cacciare sotto terra; cercano di dimenticare, livellano tutto, è come quando il mare si apre per accogliere un oggetto e subito si richiude, e la sua superficie ridiventa liscia come se nulla fosse accaduto. L’anima rimane separata dal corpo. Procedendo per deduzione, si possono capire alcune cose. Che cosa succede della nostra intelligenza? L’intelligenza, fino al momento della morte, come dote e potenza dell’anima semplice e spirituale, era legata al corpo nel suo operare. Infatti la nostra intelligenza non può agire se non in quanto ad essa si presta, docile e normale strumento, il corpo coi suoi organi. Quaggiù noi non possiamo intendere e neppure ragionare, sia pure nella forma più astratta, se non per « conversionem ad sensibilia ». Dove questo manca, non è possibile nulla. Quando l’organo cerebrale è alterato, queste alterazioni hanno le loro ripercussioni anche sull’anima, la quale sragiona. Dunque l’anima, fino a quel momento, nella sua operazione, non nel suo essere, è legata al corpo. Ma al momento della morte l’angolo visuale della intelligenza dell’uomo si trova non più in cantina, esposta alla poca luce che viene dalla feritoia e che dà su un’intercapedine; rimane in campo aperto, e non splende il nostro sole, ma Dio. Non splende al modo materiale, ma con lo splendore della intelligenza e delle cose spirituali, delle quali noi abbiamo una conoscenza solo relativa e non ancora il contatto e l’esperienza diretta, monda da ogni necessità di collegamento con il fantasma. Da un angolo di apertura di un infinitesimo di grado noi arriviamo all’apertura di 360 gradi, e mentre normalmente 360 gradi stanno in un piano solo, in quel momento lo saranno in tutte le dimensioni. Ecco che cosa accade al momento della morte, quando l’anima si distacca dal corpo. Ora tutto il mondo presente è presente a me in quanto la sua immagine viene portata a me dalle potenze materiali attraverso fantasmi. L’unico legame che io ho con questo mondo, il vero legame è l’accidens quantitatis, che consiste nel fatto di essere esteso, il che permette il combaciamento fra me, che materialmente sono esteso, e la superfìcie del corpo ambiente. Se potessi sottrarre a me stesso l’accidens quantitatis, perderei ogni contatto col mondo che mi ospita. Pare strano, ma è così. Allora, al momento della morte, cessando di disporre dell’ accidens quantitatis, poiché abbandono la materia a cui sono legato, io perdo ogni e qualsiasi ragione di contatto con questo mondo e perdo anche lo strumento col quale questo contatto avviene. E il mondo cessa per me. E’ la solitudine infinita! Allora c’è uno solo che riemerge nell’infinita ed eterna maestà dell’Essere, Iddio. La solitudine infinita nostra davanti al Creatore! Cessa tutto, tutto si dissolve come nebbia al sole. Io vi prego di osservare che il nostro sentimento, cioè quella vibrazione che segue la cognizione tanto materiale che fisica e spirituale e che riempie tutto, rimpolpa tutto, imbottisce tutto, rende vivido e caldo tutto, è tre quarti della nostra vita, perché agisce spontaneamente e agisce sempre e rimane vigile anche quando l’intelligenza si assopisce o si fa inerte. Vi sono infiniti stati nei quali l’uomo sente e non pensa. Tutto questo sentimento, che ha riempito l’esistenza, di colpo viene a cessare, venendo a cessare per l’uomo lo strumento e la ragione per cui il sentimento esisteva ed era possibile perché determinato dalle cose sensibili. L’uomo perde l’esperienza della sua vita e si trova davanti a Dio. Il tempo, quel tempo che non può essere espresso con nessuna delle tante formule matematiche, non è affatto di pertinenza dell’accidens quantitatis: la misurazione e la concezione del tempo appartiene esclusivamente all’ontologia. Il tempo cioè non è altro che la creatura mutante e non la mutazione, perché la mutazione è già un’astrazione. Dove non ci sono più cose che mutano, il tempo non esiste: dove ci sono cose la cui mutazione è di natura assolutamente differente dalla mutazione delle cose materiali e fisiche alle quali siamo legati nel nostro cosmo, il tempo esisterà perché di eterno c’è soltanto Iddio. Ma sarà un’altra cosa.Applicando questi concetti alla nostra conversatio in cœlis, contemplando la morte di lassù, si vede il rovesciamento di tutto. Si vede che noi qui siamo fuori intelletto, siamo fuori della vera vita. Si capisce che questa vita è l’anormale, mentre l’altra è la normale, che questa è lo straordinario e quella l’ordinario. Si rovescia tutto. A questo punto si prende la forza di guardare con cipiglio fiero a questo mondo, perché dobbiamo convincerci che questo mondo vale poco. Andatelo a chiedere a chi è in punto di morte e ve lo dirà. Di lassù si vede che se questo mondo può valere qualche cosa, vale perché noi, prendendo il mondo solo strumentalmente, e cioè mai per sé stesso, ci facciamo dei meriti che rimarranno in eterno. Ecco l’unica ragione per cui il mondo vale. Non crediate però che io voglia dire male di quanto ha creato Dio. Ho voluto semplicemente dire che noi ora siamo nella posizione delle mosche che credono di essere, loro, a posto, aggrappate al soffitto, e si meravigliano di noi che invece siamo nella posizione giusta a terra. Ho voluto dire questo e non esprimo il minimo disprezzo. Le vedete le mura di questa chiesa? Quando ce ne andremo, noi non le vedremo più come le vediamo ora, ma in un altro modo: per tutta l’eternità, per voi specialmente che in questa chiesa passate la parte più nobile della vostra vita, queste mura formano un ambiente legato alla ragione della vostra vita e al calore che porterete nelle vostre azioni e nel vostro apostolato, diventano una concausa del merito eterno che voi state accumulando. In Dio queste mura le vedrete sempre, le rivedrete per tutta l’eternità con una visione rispetto alla quale la materia sarà translucida e non costituirà più impedimento. Le vedrete perché rimarranno sempre legate al vostro merito eterno, nel quale e per il quale vivrete per tutti i secoli dei secoli. Ecco per che cosa vale il mondo: per una cosa sola, perché è concausa della nostra prova, è strumento della nostra prova. Ecco come la morte ci rivela che questo mondo, oltre un certo limite, non va preso troppo sul serio. Basta che noi ci sforziamo con questa nostra povera intelligenza, aiutati dalla rivelazione divina e deduttivamente, a spostarci oltre il limite nel quale sta materialmente la nostra vita presente, perché noi riusciamo a comprendere molte cose di quello che sarà, e pertanto la valutazione meno inesatta di quello che è. Sia questo il frutto della meditazione sulla morte.La morte fa giustizia al nostro corpo, il quale si disferà, e questa sarà la giustizia per la nostra superbia. Abbiamo fatto molto conto del nostro corpo, forse qualche volta ne abbiamo fatto troppo. E questo corpo si dissolverà, ritornerà in braccio alla natura che ce lo aveva dato e alimentato. E un giorno Iddio sarà obbligato ad andarlo a mettere insieme, raccogliendo dalle quattro parti del mondo quello che era stato il nostro corpo, attraverso tutte le possibili e immaginabili trasformazioni dei secoli. E questa sarà la giustizia per tutte le nostre sensualità. Tutto si comporrà nella pace, se noi guarderemo alla morte di lassù. Tutto ritroveremo in Dio; tutto quaggiù ha un valore solo, il valore di strumento della vita eterna. Il resto è tutto vuoto, illusione, inganno. Guardate fino a che punto prevalgono le ragioni spirituali e soprannaturali in questo mondo. E poi dicono che la Chiesa si può ritirare da parte!

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.