MESSA DI NATALE (2018)

Incipit
In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus
Isa IX: 6
Puer natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus. [Ci è nato un Bambino e ci è stato dato un Figlio, il cui impero poggia sugli òmeri suoi: il suo nome sarà Àngelo del buon consiglio.]
Ps XCVII: 1
Cantáte Dómino cánticum novum, quia mirabília fecit.
[Cantate al Signore un càntico nuovo: poiché ha fatto cose mirabili.]

Puer natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus. [Ci è nato un Bambino e ci è stato dato un Figlio, il cui impero poggia sugli òmeri suoi: il suo nome sarà Angelo del buon consiglio.]

Oratio
Orémus.
Concéde, quǽsumus, omnípotens Deus: ut nos Unigéniti tui nova per carnem Natívitas líberet; quos sub peccáti jugo vetústa sérvitus tenet.
[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che la nuova nascita secondo la carne del tuo Unigenito, liberi noi, che l’antica schiavitù tiene sotto il gioco del peccato.]

Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Hebræos.
Hebr 1: 1-12
Multifáriam, multísque modis olim Deus loquens pátribus in Prophétis: novíssime diébus istis locútus est nobis in Fílio, quem constítuit herédem universórum, per quem fecit et saecula: qui cum sit splendor glóriæ, et figúra substántia? ejus, portánsque ómnia verbo virtútis suæ, purgatiónem peccatórum fáciens, sedet ad déxteram majestátis in excélsis: tanto mélior Angelis efféctus, quanto differéntius præ illis nomen hereditávit. Cui enim dixit aliquándo Angelórum: Fílius meus es tu, ego hódie génui te? Et rursum: Ego ero illi in patrem, et ipse erit mihi in fílium? Et cum íterum introdúcit Primogénitum in orbem terræ, dicit: Et adórent eum omnes Angeli Dei. Et ad Angelos quidem dicit: Qui facit Angelos suos spíritus, et minístros suos flammam ignis. Ad Fílium autem: Thronus tuus, Deus, in saeculum saeculi: virga æquitátis, virga regni tui. Dilexísti justítiam et odísti iniquitátem: proptérea unxit te Deus, Deus tuus, óleo exsultatiónis præ particípibus tuis. Et: Tu in princípio, Dómine, terram fundásti: et ópera mánuum tuárum sunt coeli. Ipsi períbunt, tu autem permanébis; et omnes ut vestiméntum veteráscent: et velut amíctum mutábis eos, et mutabúntur: tu autem idem ipse es, et anni tui non defícient.

OMELIA I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli. Tip. Artigianelli, Pavia, 1929 – imprim.]

A più riprese e in molte maniere, parlò Dio un tempo ai padri per mezzo dei profeti: ultimamente, in questi giorni; ha parlato a noi per mezzo del suo Figliuolo, che egli ha costituito erede di tutte le cose, e per mezzo del quale ha anche creato il mondo. Questo Figlio che è lo splendore della gloria del Padre e la forma della sua sostanza, e che sostiene tutte le cose con la sua potente parola, compiuta che ebbe l’espiazione dei peccati; s’è posto a sedere alla destra della maestà nel più alto dei cieli, fatto di tanto superiore agli Angeli, di quanto più eccellente del loro è il nome da lui ereditato. Infatti, a quale degli Angeli disse mai. Tu sei mio Figlio, io oggi ti ho generata? E ancora: Io gli sarò Padre, ed Egli mi sarà Figlio? E quando introduce di nuovo il primogenito nel mondo dice: E l’adorino tutti gli Angeli di Dio. Agli Angeli, poi, dice: Colui che fa dei suoi Angeli i venti, e dei suoi ministri guizzi di fuoco. Al Figlio, invece dice: Il tuo trono, o Dio. sta in eterno: lo scettro del tuo regno è scettro di rettitudine. Hai amato la giustizia, e hai odiato l’iniquità; perciò, o Dio, il tuo Dio ti ha unto con olio di allegrezza a preferenza dei tuoi compagni. E tu in principio, o Signore, hai creato la terra, e i cieli sono opera delle tue mani. Essi passeranno, ma tu rimarrai, e tutti invecchieranno come un vestito, e tu li cambierai come un mantello, ed essi saranno cambiati. Ma tu sarai sempre quello, e i tuoi anni non finiranno mai.” (Ebr. 1, 1-12).

Paolo era venuto a conoscenza delle persecuzioni che subivano i Cristiani palestinesi, convertiti dal giudaismo, e non gli sfuggiva il pericolo che correvano di abbandonare la Religione cristiana per far ritorno a quella ebraica. A confortarli nella loro tribolazione, e a confermarli nella Religione abbracciata manda loro dall’Italia una lunga lettera. In essa è dimostrata la grande superiorità del Nuovo Testamento su l’antico, e se ne deducono pratiche esortazioni. Il principio di questa lettera forma l’Epistola di quest’oggi. — Premesso che Dio ci ha parlato, un tempo, per mezzo dei profeti, in molti e vari modi, e, ora, per mezzo del proprio Figlio, prova, con diversi argomenti che il Figlio di Dio è molto superiore agli Angeli. Guidati dagli insegnamenti dell’Apostolo, portiamoci davanti alla culla di Gesù a venerare Colui che è

1. La luce fra le tenebre,

2. Il Salvatore del mondo,

3. Il dispensatore delle grazie.

1.

Quando nasce il figlio di un re si fa festa in tutto il regno. Il giorno della sua nascita è considerato un giorno di letizia. La nascita di Gesù Cristo si festeggia in tutto il mondo: il giorno di questa nascita è il giorno del gaudio universale. Tutti vi prendono parte: adulti e piccini, fortunati e infelici. E perché tanto gaudio, da 19 secoli, si rinnova di anno in anno davanti alla culla di Gesù? Chi è quel bambino che vaggisce nella mangiatoia, che non balbetta una parola? Egli è l’interprete della volontà di Dio, egli è colui che rivela pienamente le verità che riguardano l’Altissimo. Nell’Antico Testamento erano state fatte al popolo ebreo divine rivelazioni: e questo tesoro delle divine rivelazioni rendeva quel popolo grandemente superiore a tutti gli altri popoli. Con l a nascita di Gesù Cristo comincia una nuova rivelazione. Udiamo S. Paolo: A più riprese e in molte maniere parlò Dio un tempo ai padri per mezzo dei profeti: ultimamente, in questi giorni, parlò a noi per mezzo del suo Figliuolo. Fin dal tempo dei primi patriarchi Dio manifesta i suoi oracoli a uomini, che si è scelti come strumenti per manifestare la sua volontà. Non tutto è rivelato ai profeti, né a tutti è rivelata la stessa cosa. Una cosa è rivelata ai nostri progenitori, altra a Noè, altra ad Abramo. A Isaia è rivelato il parto della Vergine e la passione di Cristo. A Daniele il tempo della nascita del Messia; a Michea il luogo. La rivelazione è fatta come a frammenti, a più riprese, in modo che s’accresce col succedersi dei tempi.Orbene, il fanciullo che noi contempliamo nella culla di Betlemme, è strumento di rivelazione divina molto più completa di quella fatta per mezzo dei profeti, attraverso tanto volgere di secoli. Quel Bambino ci istruirà non solamente intorno a qualche verità, ma intorno a tutte le verità. Non ci istruirà in modo confuso, ma chiaro. Quel Bambino è il riflesso della gloria di Dio e l’impronta della sua sostanza; è il Verbo fatto carne. La dottrina che Egli insegna l’ha attinta nel seno del Padre. «Tutto quello che intesi dal Padre — dirà un giorno agli Apostoli — l’ho fatto sapere a voi» (Giov. XV, 15). E la sua rivelazione non è riservata ai soli Ebrei: è fatta per tutti i popoli della terra. Questo profeta di tutti i tempi e di tutte le verità è anche il profeta di tutte le genti». « È la luce che splende fra le tenebre» (Giov. I, 5) dovunque esse si stendano. La luce che questo Bambino è venuto a portare porterà un nuovo ordine, che andrà estendendosi a tutto il mondo.

2.

Il Fanciullo che contempliamo nella culla è colui che si porrà, compiuta  l’espiazione dei peccati, a sedere alla destra della maestà nel più alto dei cieli.  – Sofonia aveva predetto:« In quel giorno si dirà in Gerusalemme: … Il Signore, il Dio tuo forte sta in mezzo a te » (Sof. III, 16-17). Quel giorno è venuto. Il Fanciullo che vaggisce è il Dio forte venuto a salvarci, espiando per noi i peccati. Attorno a lui l’occhio umano non scorge nulla che indichi chi strapperà i popoli al potere dei nemici. Dalle pareti tra cui vaggisce non pendono i ritratti di antenati guerrieri. Alla soglia non vegliano soldati armati. Le sue mani non stringono la spada. Egli è avvolto nelle fasce, debole come tutti i fanciulli appena nati. Crescerà non in una scuola di guerra, ma in una bottega di falegname. Un giorno si associerà dei discepoli, che non avranno mai combinato piani di battaglia, ma unicamente tese le reti nel lago di Genesaret, E se un giorno, uno di loro, in un momento di zelo, sfodererà la spada per difendere il Maestro; questi lo richiamerà prontamente: «Rimetti la spada al posto, perché tutti coloro che si serviranno della spada, periranno di spada» (Matth. XXVI, 52). – Gesù, come predisse l’Angelo a S. Giuseppe, «salverà il popolo dai suoi peccati» (Matth. I, 21). ma non per mezzo di eserciti. Egli combatterà non sterminando i nemici col ferro e col fuoco, ma consegnando se stesso alla morte come mite agnello. «E l’Agnello li vincerà, perché Egli è il Signore dei Signori e il R e dei Re» (Apoc. XVII, 14). Questo Bambino nella natura umana che ha assunto ha deposto la maestà divina, ma non il potere» (S. Zenone, L. 2 Tract. 9, 1). – I tiranni sorgono e scompaiono. I regni da loro fondati si dilatano, poi vanno restringendosi, e poi non sono che ricordi. Ma il tiranno, contro cui prende a lottare Gesù Cristo, regna da secoli. Ha posto il suo giogo sul primo uomo, e continua a porlo sopra i suoi discendenti. Il suo regno, che è il regno del peccato, si estende a tutto il mondo. Non c’è nazione, non c’è individuo che se ne possa sottrarre. « In vero tutti hanno peccato, e sono privi della gloria di Dio » (Rom. III, 23). Gesù Cristo sarà il liberatore di tutti. – Quel Bambino, è l’innocente, è il segregato dai peccatori. Egli è sfuggito al dominio di satana, e sulla croce lo infrangerà completamente. Da Adamo fino a Gesù Cristo ha dominato il peccato. Con la venuta di Gesù Cristo si inizia il dominio della grazia. L’impero di satana andrà perdendo terreno ogni giorno. I tempi dedicati agli idoli cadranno a mano a mano, e al loro posto sorgeranno chiese, in cui si innalzeranno preghiere al vero Dio, e a Lui si faranno sacrifici accetti, l’uomo è ora destinato alla morte eterna, e Gesù gli aprirà le porte della vita beata. Egli salirà al cielo a ricevere il premio della sua vittoria, e dietro di Lui saranno continuamente i suoi seguaci. Come aveva ragione l’Angelo di dire ai pastori: «Vi reco una buona novella di grande allegrezza per tutto il popolo. Oggi nella città di Davide vi è nato un Salvatore che è il Cristo Signore» (Luc. II, 10-11).

3.

In principio hai creato la terra e i cieli sono opera delle tue mani. È la preghiera che il popolo d’Israele, schiavo in Babilonia, rivolge a Dio, perché lo liberi, e faccia risorgere Gerusalemme. Egli può farlo: è onnipotente (Salm. CI, 26). Lo stesso possiam dire con S. Paolo del fanciullo di Betlemme. Egli è padrone del cielo e della terra: l’universo e quanto vi si contiene è suo. Egli può ricolmarci di tutti i beni. Non sconfortiamoci se non lo vediamo in una culla dorata, se non è difeso da cortine di seta, se il suolo della sua abitazione non è coperto di ricchi tappeti. « La povertà di Cristo è più ricca che tutta la roba, che tutti i tesori del mondo » (S. Bernardo. In Vig. Nat. Serm. 4, 6). Questo povero Fanciullo un giorno darà abbondanza di pane alle turbe affamate. Darà il camminare agli storpi, l’udito ai sordi, la vista ai ciechi, la loquela ai muti, la liberazione agli indemoniati. – Padrone della vita e della morte, ascolterà la preghiera delle sorelle di Lazzaro, e richiamerà dalla tomba, ove è già in preda alla corruzione, il loro fratello; scuoterà dal sonno della morte la figlia di Giairo, fermerà la bara che porta alla sepoltura il figlio unico della vedova di Naim; e, ridonata la vita al giovinetto, lo consegnerà alla madre. – Chi giace privo di tutto nella mangiatoia è il dispensatore dei regni. Un giorno dirà agli eletti : « Venite, o benedetti dal Padre mio; prendete il regno che vi è stato preparato dalla fondazione del mondo » (Matth. XXV, 34). Egli richiamerà i peccatori dalla morte alla vita spirituale. La peccatrice, il paralitico, ascolteranno dalla sua bocca la consolante parola: « Va, ti sono rimessi i tuoi peccati » (Luc. V, 20; VII, 48). S. Giovanni racchiude tutto in una frase: E della pienezza di Lui tutti abbiamo ricevuto, grazia su grazia » (Giov. I, 16). E intanto gli uomini cominciano a godere il dono della pace. Poco lontano dalla sua culla uno stuolo dell’esercito celeste canta: « Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà» (Luc. II, 14). La pace tra Dio e l’uomo è stata inaugurata con la nascita del Redentore. Il Bambino di Betlemme è la vittima destinata a placare la divina giustizia offesa. La culla in cui piange è come un altare su cui comincia per noi il sacrificio che deve riconciliarci al Padre. Su questo altare versa lagrime; sulla croce verserà sangue, e sarà compiuto l’ultimo atto del sacrificio. L’opera è cominciata con l’offerta di pace; non respingiamola. È un dono che non troveremo altrove, perché, nessuno può dare quel che non ha. Togliamo prontamente tutto ciò ch’è d’ostacolo a questa pace, e godremo pienamente di questo giorno. Oggi dev’essere giorno di letizia. « Non è lecito dar luogo alla tristezza quando è il giorno natalizio della vita» (S. Leone M. Serm. 21, 1). Non potremo sottrarci alla tristezza se avremo il peccato su l’anima: via, dunque, il peccato. E se vogliamo gustare appieno la letizia, procuriamo di stringere al nostro cuore, sotto le specie eucaristiche, quel Bambino che contempliamo nella culla di Betlemme. – È commovente la storia del piccolo Giorgio, nipote del celebre ebreo convertito, Ermanno Cohen. Per obbligarlo ad abiurare la Religione Cattolica, che il fanciullo aveva abbracciato con la madre, il padre, ebreo, lo separa da questa, e lo conduce in un paese protestante, lontano quattrocentocinquanta leghe da lei. Si era fatto Cristiano per poter ricevere Gesù nella S. Comunione, e ora ne è severamente impedito. Era questo il suo maggior tormento. All’avvicinarsi di Natale può far pervenire allo zio i suoi lamenti: « Siamo alla vigilia di Natale, ed all’approssimarsi di questa solennità la sorveglianza si raddoppia per impedirmi di ricevere il mio Dio. Ahimè! Dovrò dunque passare queste belle feste nel digiuno e privo del pane di vita? Prego il Santo Bambino Gesù che il mio digiuno presto finisca ». Il non rimaner digiuno del pane di vita sarà appunto il modo migliore di assaporare tutta intera la gioia che ci reca la nascita di Gesù.

Graduale
Ps XCVII:3; 2
Vidérunt omnes fines terræ salutare Dei nostri: jubiláte Deo, omnis terra. [Tutti i confini della terra vídero la salvezza del nostro Dio: tutta la terra acclàmi a Dio.]
V. Notum fecit Dominus salutare suum: ante conspéctum géntium revelávit justitiam suam. Allelúja, allelúja. [Il Signore ci fece conoscere la sua salvezza: agli occhi delle genti rivelò la sua giustizia. Allelúia, allelúia.]
V. Dies sanctificátus illúxit nobis: veníte, gentes, et adoráte Dóminum: quia hódie descéndit lux magna super terram. Allelúja. [Un giorno sacro ci ha illuminati: venite, genti, e adorate il Signore: perché oggi discende gran luce sopra la terra. Allelúia.]

Evangelium

Joann 1: 1-14
In princípio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum. Hoc erat in princípio apud Deum. Omnia per ipsum facta sunt: et sine ipso factum est nihil, quod factum est: in ipso vita erat, et vita erat lux hóminum: et lux in ténebris lucet, et ténebræ eam non comprehendérunt. Fuit homo missus a Deo, cui nomen erat Joánnes. Hic venit in testimónium, ut testimónium perhibéret de lúmine, ut omnes créderent per illum. Non erat ille lux, sed ut testimónium perhibéret de lúmine. Erat lux vera, quæ illúminat omnem hóminem veniéntem in hunc mundum. In mundo erat, et mundus per ipsum factus est, et mundus eum non cognóvit. In própria venit, et sui eum non recepérunt. Quotquot autem recepérunt eum, dedit eis potestátem fílios Dei fíeri, his, qui credunt in nómine ejus: qui non ex sanguínibus, neque ex voluntáte carnis, neque ex voluntáte viri, sed ex Deo nati sunt. Hic genuflectitur Et Verbum caro factum est, et habitávit in nobis: et vídimus glóriam ejus, glóriam quasi Unigéniti a Patre, plenum grátiæ et veritátis. [In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e senza di Lui nulla è stato fatto di ciò che è fatto. In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini. E la luce splende tra le tenebre e le tenebre non l’hanno accolta. Ci fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni. Questi venne come testimonio, per rendere testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui. Egli non era la luce, ma era per rendere testimonianza alla luce. Era la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. Era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di Lui, e il mondo non lo conobbe. Venne nella sua casa, e i suoi non lo accolsero. Ma a quanti lo accolsero diede il potere di diventare figli di Dio: a loro che credono nel suo nome: i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono nati. Genuflettiamo E il Verbo si fece carne Ci alziamo, e abitò tra noi: e noi abbiamo visto la sua gloria, gloria come di Unigénito dal Padre, pieno di grazia e di verità.]

OMELIA II

[Mons. G. Bonomelli: Misteri Cristiani, vol. I., Queriniana Ed.; Brescia, 1894]

Le convenienze della Incarnazione.

Dio! Noi possiamo considerarlo in se stesso, fissando l’occhio della mente, avvalorato dalla fede, nel mare sterminato dell’essere suo, in quell’oceano di luce, nel quale allora meglio e più santamente si vede quando non si vede più nulla, secondo il linguaggio dei Padri: e possiamo considerarlo eziandio spaziando liberamente in quell’altro mare, finito sì, ma per noi immensurabile, dell’opere stupende, svariatissime della sua mano, disseminate in cielo e in terra. – Ficcando l’occhio della mente, confortato dalla fede, nell’intima natura di Dio, per quanto lo consente la debolezza nostra, che solo … “da sensato apprende Ciò che fa poscia d’intelletto degno”, noi vediamo, ch’Egli è eterno, immutabile, infinito, immenso, uno, semplicissimo, sovranamente perfetto: l’esser primo, non fatto, da cui deriva ciò che esiste. Attraverso ai fulgori di quella luce infinita, nell’unità incommutabile dell’essere, con la ragione intravediamo alcun poco e con la fede fermamente crediamo : tre Persone, l’una che emana dall’altra, come dalla luce il raggio e dal raggio il calore: come dalla mente nostra il pensiero e dal pensiero la scintilla dell’amore. Ciascuna Persona si distingue dall’altra, eppure ciascuna ha tutta l’essenza divina, come il mio pensiero e la mia volontà si distinguono dall’anima mia e tutte egualmente la posseggono, anzi sono tutta l’anima istessa. Che se dalla profondità inscrutabile della divina essenza portiamo lo sguardo sull’opere che ha compiute e compie fuori di sé, non per bisogno, che ne avesse, ma per solo amore, che vediamo noi, carissimi? – Vediamo che Dio con una parola trae dal nulla l’universo, di cui la nostra terra è appena un atomo nello spazio sconfinato. È questo il primo atto che Dio liberissimamente compie fuori di sé, il primo riverbero della sua luce. Nel corso di quaranta secoli, preparata ogni cosa, Colui che è il Figlio di Dio, generato ab eterno nel seno del Padre, si fa figlio dell’uomo ed è generato nel seno della Vergine: il raggio dell’eterna luce si posa entro il calice del più candido giglio, che la mano di Dio abbia potuto creare e l’ineffabile connubio tra l’umana e la divina natura fu stretto e consumato. È il secondo atto che Dio per un miracolo della sola sua bontà compiva fuori di sé, diciannove secoli or sono, e che oggi con santa letizia solennemente rammentiamo. – È questo il mistero dei misteri, che solo l’amore infinito di Dio poteva ideare e compire: mistero, dinanzi al quale la ragione umana si smarrisce e, còlta dalle vertigini, è quasi tentata di esclamare: È impossibile, è impossibile! – Ma se poi lo contempliamo posatamente, e studiamo meglio le proporzioni e le armonie, in mezzo alle fitte tenebre, onde si avvolge il mistero, noi vediamo balenare tali lampi di luce, da trovarlo non solo non ripugnante alla ragione, ma alla ragione mirabilmente conforme. È ciò che vedremo se vi piacerà seguirmi con animo attento e desideroso del vero. – Prima di svolgere il vastissimo argomento, che ho tra mano, è necessario determinare in che consista il mistero della Incarnazione e fissarne con la maggior precisione possibile il concetto secondo la dottrina cattolica. Eccolo. Dio, quando furono maturi i tempi per lui stabiliti, creò un’anima, la più perfetta, che alla sua sapienza e onnipotenza fosse possibile: formò nel seno di Maria un corpo ugualmente il più perfetto possibile senza intervento di qualsiasi opera umana; e a quest’anima, nell’atto stesso di crearla, e a questo corpo nell’atto stesso di formarlo e congiungerlo all’anima, si univa la seconda Persona dell’augusta Trinità, il Figlio di Dio, e si univa per guisa che ne risultava un solo individuo, Dio ed Uomo ad un tempo. Come tu, o uomo, hai il corpo e l’anima, eppure sei un solo individuo, una sola persona, visibile e mortale quanto al corpo, invisibile ed immortale quanto all’anima, così pel mistero dell’Incarnazione Gesù Cristo è un solo individuo, una sola Persona, vero Dio e vero Uomo, perfetto Dio e perfetto Uomo, visibile e mortale corno Uomo, invisibile ed immortale come Dio. Il suo corpo è in ogni cosa eguale al nostro fuorché in tutto quello che è conseguenza del peccato: l’anima sua, dotata d’intelligenza e volontà liberissima, è ricolma di tutta quella scienza e grazia, di cui è capace fin dal primo istante della sua esistenza. – Questo mistero, pur rimanendo sempre mistero incomprensibile, risponde esso alle perfezioni divine ed ai bisogni delle tendenze dell’umana natura? Sì, e vediamolo, seguendo la guida dei Padri e nominatamente dell’Angelo della scuola, S. Tommaso. – L’Incarnazione, come ciascuno intende, importa due termini distinti e infinitamente distanti, il Creatore ed il creato, Dio e l’uomo, che si uniscono col massimo dei vincoli, il vincolo personale. Consideriamo anzitutto la convenienza della Incarnazione per rapporto a Dio. – L’Incarnazione è un atto che Iddio compie fuori di sé e perciò è sovranamente libero. Qual è il fine di qualunque atto, che Dio compie fuori di sé? La manifestazione delle sue perfezioni, fine principalissimo, e il bene delle creature, fine secondario, ordinato al principalissimo. L’atto esterno  di Dio è tanto più grande e più degno di Lui, quanto maggiore è in esso la manifestazione delle sue perfezioni, come più splendido è il trionfo di quel monarca, nel quale maggiormente brillano la sua potenza, la sua sapienza, e tutta la forza del suo genio. Ora nell’Incarnazione del Figlio di Dio noi vediamo apparire in tutta la loro magnificenza le perfezioni divine. – Apparisce in tutta la sua luce la sapienza, che seppe ideare e mandare ad effetto questo meraviglioso disegno di unire l’umana alla divina natura, in guisa che Dio fosse veramente un Uomo e un uomo fosse veramente Dio, e l’onore e la gloria che Dio riceve fuori di sé, fosse infinita come quella che necessariamente in se stesso. Dio è uno solo nell’essenza e trino nelle Persone; l’unità dell’essenza si svolge nella Trinità delle Persone e tutto questo oceano immenso della luce e dell’amore divino si racchiude negli abissi inscrutabili dell’essenza divina, dove Dio è gloria adeguata a se stesso nella generazione del suo Verbo e nella spirazione del suo Amore. Per l’Incarnazione il Verbo divino, eguale al Padre ed allo Spirito Santo, a nostro modo d’intendere, si mette fuori di Dio, si pone nella umanità assunta, e, se è lecito il dirlo, raddoppia se stesso e la sua gloria. Perocché nell’istante. in cui si compie l’Incarnazione, il Figlio di Dio è anche Figlio dell’uomo e dal fondo dell’universo, fuori di Dio, si leva una voce, che grida: – Tu, o Dio, sei mio Padre: io Uomo sono eguale a te e ti rendo un onore adeguato -. La sapienza divina ha trovato il modo di far sì che il finito sia anche infinito e che la gloria resa a Dio da un uomo sia rigorosamente infinita e divina. E non è questo un prodigio di sapienza? Apparisce nella Incarnazione la potenza di Dio, che unisce le cose più disparate tra loro, il corpo, l’anima e il Verbo divino in una sola Persona: tra Dio e il creato si avalla un immenso abisso, che cielo e terra moltiplicati mille volte e mille milioni di volte non varrebbero mai per tutti i secoli a ricolmare. Ma Dio coll’Incarnazione sopra questo sconfinato abisso getta un ponte che unisce e stringe intimamente tra loro le due rive dell’Increato e del creato, dell’immutabile e del mutabile, dell’eterno e del temporario, dell’impassibile e del passibile, di Dio e dell’uomo. Contemplatelo questo ponte, che lega a sé cielo e terra e ammirate la sapienza e la potenza dell’architetto, che lo compì e lo eseguì! – Vi sono in Dio due perfezioni sovrane ed eguali, che per poco sembrano tra loro ripugnanti, ma pure armonizzano stupendamente tra loro nel mistero dell’Incarnazione e sono la misericordia e la giustizia. Quella vuole il perdono pel colpevole, questa ne domanda inesorabile la punizione; quella apre le braccia e tutti invita i peccatori a gettarvisi fidenti; questa con atteggiamento austero li respinge. Come si comporranno tra loro queste due perfezioni, delle quali Dio è e deve essere egualmente geloso? Come rimarranno intatti i diritti dell’una e dell’altra? L’Incarnazione scioglie l’arduo problema. Il Figliuolo di Dio, assumendo la povera nostra natura e in essa offrendosi vittima espiatrice per tutti gli uomini, ci dà prova dell’amor suo ed eccovi il trionfo massimo della misericordia: ricevendo sopra di sé la pena a noi dovuta e col sacrificio della croce soddisfacendo con usura smisurata il debito che avevamo con Dio, la sua giustizia è placata e il prezzo del riscatto sovrabbondante. Intreccio sublime di  sapienza! In Gesù Cristo, Dio-Uomo, la misericordia diventa giustizia, e la giustizia diventa misericordia: la misericordia lo fa vittima della giustizia e la giustizia lo fa vittima della misericordia. Ponete che Dio avesse condonato gratuitamente il delitto dell’umanità (e certo così poteva fare): avevamo il trionfo della misericordia; ma dov’era il trionfo della giustizia? Per l’Incarnazione l’uno è congiunto all’altro per forma che sono inseparabili e qui veramente la pace, ossia la misericordia e la giustizia si gettano le braccia al collo e si baciano in fronte. – A canto alla sapienza ed alla potenza, alla misericordia e alla giustizia di Dio risplende nell’Incarnazione la sua Provvidenza. Spetta ad essa, stabilito il fine, disporre i mezzi, che più acconciamente conducono al suo conseguimento. Fine primo di Dio è di condurre gli uomini al conoscimento di se stesso, in cui sta riposta la vita. Ora gli uomini devono salire al conoscimento di Dio invisibile per mezzo delle cose visibili; per le creature e quasi per altrettanti scalini, dovevano salire a Dio Creatore. Ma sciaguratamente gli uomini si fermavano nelle creature: queste sole conoscevano e amavano; in queste riponevano ogni loro felicità, sordi alla voce, che gridava: – In alto i cuori: montate a Dio, che è al di sopra delle cose tutte visibili. Gli uomini erano tutti come tuffati nelle cose visibili e materiali. Allora Dio, scrive S. Atanasio, discende e per l’Incarnazione si fa sensibile e palpabile agli nomini e fa loro conoscere se stesso e le verità invisibili colla parola materiale, che risuona sul suo labbro e percuote il loro orecchio e per l’orecchio discende al cuore Ut dum visibiliter cognoscimus, per hunc in invisibilium amorem rapiamur -. Al linguaggio muto, ma eloquente delle creature, che annunziavano Dio, per l’Incarnazione è sostituito l’accento vivo, più chiaro, intelligibile a tutti che l’Uomo-Dio fa udire sulla sua lingua. E non brilla in questo consiglio di pietà infinita quella Provvidenza che arriva da un estremo all’altro ed ogni cosa dispone con forza e dolcezza? Ma dalle altezze divine discendiamo sulla terra e consideriamo l’Incarnazione rispetto all’umana natura e ancor meglio appariranno le sue mirabili convenienze. Una mano barbara e profana ha sformato in parte il Mosè di Michelangelo e guastato la Trasfigurazione di Raffaello. Che farebbero essi quei due artisti se vivessero? Gli artisti amano i loro lavori come i padri amano i figli, e veramente sono figli nobilissimi della loro intelligenza. Io credo che quelle mani, che trassero dal marmo quel volto parlante, che gettarono sulla tela quelle figure vive, rifarebbero il loro lavoro, né si darebbero pace finché non ci avessero ridonati nella primitiva loro bellezza quei miracoli del genio. Ora l’uomo era il capolavoro uscito dalle mani del Creatore, che compendiava in sé tutte le bellezze dell’universo: sulla sua fronte riluceva in tutta la sua bellezza l’immagine di Dio, di quel Verbo, che l’aveva creato.La mano del nemico fino a principio guastò orribilmente quel superbo lavoro, lasciandovi ancora alcuni lineamenti, che ricordavano l’antica bellezza. Poteva Egli il Verbo, che lo fece sì bello, abbandonarlo a se stesso? Sarebbe stato un darla vinta al nemico, che n’avrebbe menato vanto. Conveniva adunque che quella stessa mente che prima ideò, che quelle stesse mani, che prima produssero quel capolavoro di bellezza, lo rifacessero sull’antico modello, e lo rifacessero ancor più bello, perché più pieno fosse il trionfo del divino Artefice e più perfetto lo scorno del malvagio, che l’aveva bruttamente svisato e guastato (1). Dio, che è immortale, buono e onnipotente, non può fare come quell’architetto, che, visto scrollato l’edificio, opera delle sue mani, impotente a ricostruirlo, l’abbandona: Dio ripara tutte le opere delle sue mani che sono riparabili e non può, non vuole abbandonarle in balia del suo nemico. Poteva riparare l’uman genere miseramente caduto, e lo volle, ed Egli che l’aveva fatto venne a rifarlo e a ridipingere in lui le proprie fattezze. L’umana natura, scrive il Nisseno (Catech.) uscì dalle mani del sommo Fattore simile ad oro purissimo: il nemico di Dio e dell’uomo la frammischiò alla scoria e perdette la sua lucidezza e purezza. Il Verbo divino, che, al dire dell’Apostolo, è fuoco che consuma – Ignis consumens Deus – investe e penetra in ogni sua parte l’umanità assunta e per essa tutta l’umanità, che non respinge l’opera sua, la purga d’ogni mondiglia e le restituisce la perduta bellezza. Quale opera più degna di lui? Il Verbo divino era la luce, che illuminava ogni uomo: luce, che, rischiarando perennemente la sua intelligenza, le mostrava l’errore da fuggire e il vero da seguire, il male da rigettare e il bene da fare; ma la nube del peccato eclissava quella luce e l’uomo muoveva il passo a tentoni, scambiando la verità coll’errore, il lecito con l’illecito: allora il Verbo divino, Colui  che solo merita il nome di Maestro – Unus magister Christus si presenta agli uomini come Uomo Egli stesso, e ripete in accenti umani chiarissimi ciò che sempre, e prima e poi, dice loro con la luce interna della ragione, con la voce della coscienza, aggiungendovi per sua bontà tesori di verità ben più sublimi.Così il Maestro interno diventa Maestro esterno, dà che dice internamente annunzia e spiega esternamente e compie l’ufficio suo d’infinità carità, accoppiando alle parti di Maestro perfetto, quella di Medico perfetto. – L’uomo non poteva essere ricondotto a Dio che da Dio stesso, colla luce della verità annunziata in modo sensibile, con la parola, che quasi scintilla riaccendesse la face della coscienza e ne secondasse la fiamma. Ad uomini, che non ricevono la verità che per la via dei sensi, era necessario un Maestro visibile, che parlasse ai sensi, ed eccolo nell’Uomo-Dio, il Verbo incarnato. Ma voi sapete troppo bene, o Signori, che allora l’insegnamento della parola riesce eloquente ed efficace quando è confermato e avvalorato dalle opere. Un maestro che parla bene ci piace: un maestro che parla bene e quello che dice mostra nei fatti, ci persuade e ci trascina. Conveniva adunque che il Maestro dell’uman genere all’insegnamento della parola aggiungesse quello più potente dell’esempio e perciò era necessario che fosse Uomo come noi. – Ed eccolo questo divino Maestro adempire in sé le due parti di perfettissimo Maestro colla parola e con le opere. Egli predica al mondo tutte le virtù con un linguaggio, che non si era mai udito, né mai s’udrà l’uguale « Beati i poveri di spirito: Beati i mansueti: Beati quelli che soffrono: Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia: Beati i mondi di cuore: Beati i pacifici: Beati i misericordiosi: Beati quelli che soffrono per la giustizia: tutta la legge e i profeti si riducono alla carità: perdonate ai vostri nemici, fate bene a chi vi fa male ». Non occorre che ricordi tutto l’insegnamento teorico e pratico di Cristo, che formò sempre la meraviglia di tutti gli uomini della scienza. Ma quale efficacia avrebbe avuto sul cuore degli uomini codesta dottrina, ancorché sì sublime, se non fosse stata suggellata dall’esempio? Ora vedete Gesù Cristo, Dio-Uomo, che si mette a capo dell’ umanità: Egli povero volontario, il più povero di tutti gli uomini fino a nascere in una stalla; Egli mansueto come un agnello; Egli che soffre e muore coperto di vituperio e perdona : Egli il pacifico per eccellenza: Egli la stessa purezza e bontà; Egli modello di umiltà, di ubbidienza, di pazienza, di tutte le virtù e massimamente di quelle che tornano più difficili e più amare alla nostra natura. Poteva egli l’uman genere domandare al cielo un maestro più perfetto di Gesù Cristo? Quale mai tra i figliuoli degli uomini potrà alzare la voce e dire: – Io non conosco la via della verità? Il cammino della virtù è troppo aspro perché io lo possa correre? – Noi non avremmo che ad aprirgli sotto gli occhi il Vangelo di Gesù Cristo e narrargli la sua vita. Ecco o uomini, il Maestro, che vi insegna la via della virtù con la parola e con l’opera la conferma. Ci sono virtù, belle, sublimi finché volete al lume  della ragione e alle quali facciamo plauso unanimi; ma esse domandano troppo spesso tali sforzi, tali sacrifici, che la natura nostra s’arresta e quasi atterrita indietreggia: tali sono l’umiltà, la pazienza, l’ubbidienza, il perdono delle offese, il disprezzo di se stesso, la mortificazione, la purezza e via dicendo. Noi le ammiriamo negli altri, ma praticarle noi stessi!…. Ohimè! è cosa che ci sgomenta. Ma allorché noi vediamo Gesù Cristo, l’Uomo-Dio, alla nostra testa, che dopo averle predicate, le pratica con infinita perfezione, chi volete, che vinto dal timore dia volta? Sul ponte d’Arcole fervea feroce la mischia: la presa del ponte era la vittoria: le schiere vi si urtavano con orribile cozzo: dall’una e dall’altra parte vi erano mucchi di cadaveri: la sua vittoria pendeva incerta: allorché il duce supremo dell’una parte, afferra una bandiera e agitandola fieramente si lancia sulla fronte de’ suoi: con la voce e con l’esempio li trascina dietro a sé, rovescia le file nemiche e la vittoria è sua. E ciò che fece e fa Gesù Cristo a capo dell’umanità: come avrebbe potuto far ciò se non era uomo? L’Incarnazione adunque del Figliuolo di Dio ci dà il vero e perfetto Maestro, che ci era necessario. Togliete l’Incarnazione, resta pur sempre Dio il Maestro nostro; ma un Maestro, che è nell’alto dei cieli, che è lontano da noi, che non si vede, che ci fa udire la sua voce, ma non ci lascia vedere l’opera sua: noi abbiamo bisogno d’un Maestro che vediamo, che tocchiamo, che cammini con noi, che soffra con noi, che sia uno di noi, per infonderci coraggio, che sia Dio per condurci a Dio. L’Incarnazione risponde ad ogni nostro bisogno e ci dà un Maestro, che come uomo si acconcia alla nostra debolezza, come Dio ci solleva alle supreme altezze della verità e della virtù. – Chi di noi uomini non ama elevarsi e nobilitarsi? E un desiderio per sé buono e santo, che Dio ha posto nel cuore d’ogni uomo, e che rettamente secondato, ci rende migliori. Non vi è uomo che non vada altero di potersi dire amico e congiunto d’un sapiente, d’un grande, d’un potente d’un re della terra. Gli pare di ricevere sulla propria persona il riflesso di quella luce, ond’essi si ammantano e non a torto. I vincoli dell’amicizia e del sangue creano non so qual solidarietà d’onore, di grandezza e di gloria, che tutti sentono e riconoscono, benché non sia facile rendercene ragione. Ora per l’umana natura tutta si può dare nobiltà più gloriosa di quella che acquista per l’Incarnazione del Verbo divino? Vi è un Uomo, un figlio d’Adamo, un nostro fratello secondo la carne, che è Dio! In Lui e per Lui noi siamo congiunti, imparentati con Dio e la nostra povera natura assurge a tanta gloria, che è come immersa nel mare dell’Essere divino,  tutta sfolgorante della sua luce istessa, come canta il Poeta:

“Dietro da sé, del suo color istesso

mi parve pinta della nostra effige.”

(PARAD. C. XXIII, v. 131-32).

Fine supremo di tutte le opere, che Iddio compie fuori di sé è la sua gloria e massima sua gloria è di ottenere l’omaggio delle intelligenze ed il tributo dell’amore delle creature libere; la gloria che gli rendono le creature prive di ragione e di libertà, che vale sulla bilancia di Dio? Nulla se non è congiunta a quella che gli rendono gli esseri servizievoli. Un solo atto di fede, di ubbidienza e di amore dell’ultima creatura ragionevole onora Dio immensamente più che tutti gli astri del cielo e le creature tutte irragionevoli dell’universo: è verità che basta annunziarla per dimostrarla. Dio domanda sopra tutto l’amore dell’uomo: questo solo è degno di Lui. Per ottenere l’amore si domanda amore, ond’è pieno di sapienza quel verso del poeta … amor che nullo amato amar perdona. L’amore allorché si manifesta provoca l’amore e manifestazione somma dell’amore è che l’amante si faccia simile e, se è possibile, eguale all’amato. Per l’Incarnazione Iddio, il primo, il sommo, l’eterno Essere, non pure si fa simile, ma eguale all’uomo, si dona tutto a lui in guisa da diventare uomo Egli stesso. Qual prova d’amore! Essa trascende al tutto ogni umano concepimento e se da una parte mostra l’infinita ricchezza della sapienza e bontà di Dio, mostra dall’altra qual sia la grandezza dell’uomo, qual sia la eccellenza e il pregio dell’amor suo. – La natura umana è un mistero incomprensibile. Vedetela! Essa ha un bisogno incessante, prepotente dell’infinito: mostratele il bello, il buono, il vero creato; essa non dice mai, mai basta: essa domanda sempre più, più, più ancora: mille universi insieme uniti, mille volte più belli di questo, non farebbero paghi i suoi desideri, non sazierebbero le sue brame. Essa dunque tende sempre all’infinito, a Dio, colla intelligenza, che domanda la verità, col cuore che domanda il bene. Ma come ciò se l’uomo naturalmente non può vedere Iddio e unirsi immediatamente a Lui? Lo vuol vedere, lo vuole abbracciare e non lo può vedere, né abbracciare! Quale enigma! Quale mistero! L’Incarnazione scioglie l’enigma, spiega il mistero. Il Verbo divino, che è il candore dell’eterna luce, che nessun occhio mortale può tollerare, si vela della nostra carne, si copre, dice S. Gregorio Nazianzeno, della nube della nostra natura e si rende accessibile: noi possiamo accostarci a Lui e attraverso al velo della carne vedere in qualche modo la luce increata del Verbo: vedendo in Gesù Cristo l’uomo, vediamo Dio, toccando l’uomo, tocchiamo Dio, abbracciando l’uomo, abbracciamo Dio. – Egli è pel mistero dell’Incarnazione, osserva S. Tommaso, che Dio provvide alla nostra debolezza, affinché non cadesse nelle vergogne della idolatria, adorando le creature in luogo del Creatore. L’uomo è soggetto all’ impero dei sensi per guisa che non può concepire le cose stesse spirituali senza l’aiuto dei fantasmi, che sono creature dei sensi. Egli ha sempre bisogno d’un oggetto sensibile ed è tratto a foggiarsi Dio medesimo sotto forme sensibili. Ecco perché cadde nel politeismo e confuse le creature col Creatore e prestò culto a quelle, che pure erano opere delle sue mani. Dio ebbe pietà dell’uomo e sovvenne alla sua debolezza: si fece uomo e nell’umana natura si degna ricevere le adorazioni dovute a Dio; in tal maniera gli uomini possono impunemente seguire la naturale tendenza, che li porta a rappresentarsi Dio sotto forme sensibili. – Il nemico aveva sedotto l’uomo e fattolo sua preda, pigliandolo per la carne: ebbene nella carne pose Iddio il rimedio, nella carne assunta dal Verbo Divino e per essa vinse il nemico. Dio fece come il pescatore: esso getta l’amo nascosto sotto l’esca: il pesce abbocca l’esca e resta preso dall’ amo. Dio si nascose sotto la carne di peccato: il nemico l’afferrò per farla sua preda: ma sotto la carne trovò nascosto Iddio e il predatore divenne preda e colui che aveva vinto per la carne per la carne fu vinto e il rimedio venne di là donde scaturiva il veleno e dalla morte sgorgò la vita. – Più ancora: Dio creò gli uomini e sopra gli uomini gli Angeli, distribuiti in ordine meraviglioso: quelli e questi formano un esercito sterminato, che non v’ha cifra, che li rappresenti. Essi costituiscono una scala immensa, che dal sommo tra gli Angeli giù giù digrada fino all’ultimo degli uomini. Questo sterminato esercito di uomini ed Angeli, facenti corona all’ Essere sovrano, che è Dio, doveva avere un capo ed un capo, a così dire omogeneo, come osservano i Padri, che li raccogliesse intorno a sé e a Dio li guidasse: capo, che loro sovrastasse, e che in pari tempo fosse della loro stessa natura. Tal è per ogni rispetto il Figlio di Dio fatto uomo. Egli è Dio, eguale al Padre e al Santo Spirito Egli ha il corpo e risponde agli uomini; Egli ha l’anima e in essa risponda e agli uomini e agli Angeli. In Lui gli uomini, in quanto hanno corpo, hanno nel tempo e nell’eternità un termine, che risponde alle loro esigenze: in Lui, in quanto ha l’anima, le menti umane ed angeliche hanno l’oggetto loro acconcio: in Lui in quanto Dio, ogni loro aspirazione è fatta paga e contenta come insegnano S. Agostino e S. Bonaventura. E non è anor tutto: la Scrittura ci insegna che un numero stragrande di Angeli, fino a principio, si ribellò e fu precipitata negli abissi infernali. Perché si ribellò e cadde? Secondo ogni verosimiglianza Iddio, a principio, mostrò agli Angeli il mistero dell’Incarnazione, che si sarebbe compiuto nella pienezza dei tempi ed impose loro che riconoscessero ed adorassero il suo Verbo nella natura umana: essi, considerandosi a lui superiori nella loro natura, ricusarono l’omaggio: di qui la caduta degli Angeli e l’odio loro ferocissimo contro Cristo e 1’uman genere. L’Incarnazione fu pertanto fu la prova, a ci Dio mise la fedeltà degli Angeli: quelli, che riconobbero ed adorarono come loro capo Cristo nell’umana natura, a loro inferiore, si giustificarono e furono confermati in grazia: quelli che superbi ricusarono, furono puniti: così l’umile ubbidienza salvò i primi e l’orgogliosa rivolta perdette gli altri, e questi ad eterno loro scorno son posti sgabello sotto i piedi dell’Uomo-Dio e veggono i figli di Adamo riempire le loro sedi. Così tutto il gran dramma degli Angeli in cielo e degli uomini sulla terra si svolge e si raggruppa intorno al mistero dell’Incarnazione, ed il Verbo fatto carne è il perno di tutti i disegni di Dio, è il capo degli uomini e degli Angeli, santificatore e glorificatore supremo di tutti i giusti, punitore di tutti i malvagi. – Levatevi col pensiero fino a Dio: contemplatelo in quell’istante, nel quale, uscendo di sé, coll’atto della sua onnipotente volontà trae dal nulla l’universo. Vedete come sotto l’impulso della sua irresistibile parola, quasi riflesso della vita divina, si spande dovunque la vita creata. Vedete come l’onda immensa dell’essere creato muove da Dio e quale smisurato circolo si allarga in cielo e in terra. Vedete comparire per primi i puri spiriti con una gradazione, che supera ogni calcolo umano; e poi man mano l’uomo, spirito e corpo; e poi l’onda della vita scema e diventa sola vita animale e poi vita vegetale e poi sola materia, ultima eco dell’essere, là sugli estremi limiti del nulla. Dio, con la creazione, ha lanciato fuori di sé l’essere in tutte le forme e gradazioni possibili, dalla più sublime, il primo Serafino, all’infima, 1’atomo della materia; ma tutto deve ritornare a Lui, da cui tutto deriva. Che fa Dio?  Mette fuori il suo Verbo: piglia la carne umana, e in essa e per essa gli elementi disseminati nel triplice regno minerale, vegetale e animale: con la carne umana piglia l’anima umana, la unisce alla Persona del suo Verbo e con Lui e per Lui, tira a sé tutto l’universo. Quale spettacolo di questo più magnifico e più sublime! Con la creazione Dio dà l’essere a tutte le cose e dispone fuori di sé l’immenso circolo delle creature digradanti sopra una scala indefinita; con l’Incarnazione le ripiglia tutte e secondo loro natura cominciando dalle più lontane, le tira a sé e coopera quella stupenda ricapitolazione universale di cui parla S. Paolo – Instaurare omnia in Christi Jesu. Chiuderò questo ragionamento, sviluppando con la maggiore brevità un pensiero, che tolgo da S. Tommaso e che è veramente degno di lui. Fisso lo sguardo della mente in Dio e veggo avvolte in lui tutte le perfezioni in grado infinito: una, a nostro modo di dire, grandeggia sopra le altre tutte, la sua bontà. Essa lo muove a comunicarsi tutto e necessariamente dentro di sé, nella sua vita intima, ed ecco la comunicazione totale, necessaria, eterna che ciascuna persona fa all’altre; lo muove a comunicarsi liberamente fuori di sé, ed ecco la creazione. La comunicazione che Dio fa della bontà sua nella creazione può essere maggiore? Sì: Egli può dare alle creature l’esistenza: ma a questa esistenza può aggiungere la partecipazione della sua immagine mediante la grazia; è comunicazione di Dio molto maggiore, soprannaturale. Non potrebbe Iddio, spinto dalla sua bontà, andare più oltre nella sua comunicazione? Dopo aver dato l’essere alle cose; dopo aver dato alle creature, che ne erano capaci, la sua immagine e la partecipazione della sua vita divina, non potrebbe,spinto da quell’amore immensurabile, che non dice mai basta; unire la stessa sua natura alla natura umana e far sì che la persona stessa del Figlio suo la facesse propria e dicesse: Io e questa natura siamo un solo essere, un solo io? La ragione non trova impossibile la cosa, anzi considerata la natura dell’amore di Dio infinito, la trova conforme e degna di Dio. Ora fisso lo sguardo nella natura umana e tra l’altre doti, ond’essa va bella, trovo la tendenza a comunicarsi, a darsi tutta per 1’amore. L’uomo si dà per amore ai figli, al padre, alla madre, allo sposo, alla sposa: si dà alla patria e più volte! è capace di dare tutto se stesso, la sua vita medesima. Mosso dall’amore, si dà a Dio, a Lui tutto sacrifica e per Lui, non una, ma mille vite immolerebbe. Dove può egli arrestarsi l’amore, che porta l’uomo a donarsi? Chi potrebbe stabilirne l’ultimo confine? Nessuno: egli tende all’infinito e solo in lui, fonte d’ogni verità e d’ogni! bellezza e d’ogni bontà può quietare le sue voglie: viene dall’infinito e torna all’infinito, come l’acqua, che scende d’alta cima ritornerebbe alla medesima altezza, se non ne fosse impedita, o come raggio di sole che riflesso torna diritto pur su al punto onde si parte. Dio pertanto per la sua infinita bontà discende verso l’uomo e tende ad unirsi a lui col massimo vincolo possibile; l’uomo dal lato suo, pel bisogno che ha di Dio, tende ad unirsi a Lui nel maggior grado possibile. Perché questi due esseri mossi l’uno dal puro amore, l’altro da un supremo bisogno, non si incontrerebbero in un punto, non si stringerebbero in un amplesso ineffabile in un connubio santo,  formando un solo individuo, una sola persona che dice: – Io sono Dio, io sono Uomo? – Questo amplesso ineffabile, questo connubio santo, che la ragione umana intravvede e presente, avvenne in quell’istante, in cui, come la fede insegna, il Verbo si fece uomo – Et Verbum caro factum est. –  Il Verbo divino alla umana natura per virtù divina formato nel seno intemerato della Vergine, unì immediatamente la sua Persona, e allora fu gettato il ponte tra il cielo e la terra, un uomo, un figlio d’Adamo fu Dio, e Dio, il Figlio di Dio fu uomo e con quel vincolo, il massimo dei vincoli, vincolo nei secoli eterni infrangibile, non solo l’umanità tutta, ma con essa tutto il creato fu congiunto per sempre a Dio. – Una volta mi trovai, in un mattino d’estate ai piedi dell’Alpi; il cielo era sereno, l’aria tranquilla, e le vette superbe dell’Alpi, quasi giganti silenziosi, erano là ritte, 1’una a ridosso dell’altra. Ad un tratto la più eccelsa dì quelle cime si colora di porpora, il sole la investe, arde come se fosse avvolta in un vasto incendio. La luce de sole la investe quel vertice altissimo e si riflette sulle cime inferiori, e tutti quanti siamo sparsi per la pianura ne riceviamo il benefico riverbero. È  questa una pallida immagine del mistero che oggi celebriamo. Il Verbo divino si posa sul vertice, sul capo dell’umanità, 1’assunta umana natura, la unisce a sé in unità di persona e di là irradia la sua luce, versa il suo calore e spande la sua vita divina in cielo e in terra – Pieghiamo le ginocchia, curviamo la fronte e adoriamolo coi pastori – .

Credo
Credo in unum Deum, Patrem omnipoténtem, factórem cœli et terræ, visibílium ómnium et in visibílium. Et in unum Dóminum Jesum Christum, Fílium Dei unigénitum. Et ex Patre natum ante ómnia saecula. Deum de Deo, lumen de lúmine, Deum verum de Deo vero. Génitum, non factum, consubstantiálem Patri: per quem ómnia facta sunt. Qui propter nos hómines et propter nostram salútem descéndit de coelis. Et incarnátus est de Spíritu Sancto ex María Vírgine: Et homo factus est. Crucifíxus étiam pro nobis: sub Póntio Piláto passus, et sepúltus est. Et resurréxit tértia die, secúndum Scriptúras. Et ascéndit in coelum: sedet ad déxteram Patris. Et íterum ventúrus est cum glória judicáre vivos et mórtuos: cujus regni non erit finis. Et in Spíritum Sanctum, Dóminum et vivificántem: qui ex Patre Filióque procédit. Qui cum Patre et Fílio simul adorátur et conglorificátur: qui locútus est per Prophétas. Et unam sanctam cathólicam et apostólicam Ecclésiam. Confíteor unum baptísma in remissiónem peccatórum. Et exspécto resurrectiónem mortuórum. Et vitam ventúri sæculi. Amen.

Offertorium
Orémus
Ps LXXXVIII: 12; 15
Tui sunt c
œli et tua est terra: orbem terrárum et plenitúdinem ejus tu fundásti: justítia et judícium præparátio sedis tuæ. [Tuoi sono i cieli, e tua è la terra: tu hai fondato il mondo e quanto vi si contiene: giustizia ed equità sono le basi del tuo trono.]

Secreta
Obláta, Dómine, múnera, nova Unigéniti tui Nativitáte sanctífica: nosque a peccatórum nostrórum máculis emúnda. [Santifica, o Signore, con la nuova nascita del tuo Unigénito, i doni offerti, e puríficaci dalle macchie dei nostri peccati]

Communio
Ps XCVII:3
Vidérunt omnes fines terræ salutáre Dei nostri. [Tutti i confini della terra hanno visto la salvezza del nostro Dio.]

Postcommunio
Orémus.
Præsta, quǽsumus, omnípotens Deus: ut natus hódie Salvátor mundi, sicut divínæ nobis generatiónis est auctor; ita et immortalitátis sit ipse largítor:
[Fa, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che il Salvatore del mondo, oggi nato, come è l’autore della nostra divina rigenerazione, così ci sia anche datore dell’immortalità.]