IL PRECURSORE (4)

Il PRECURSORE (4)

TERZA DOMENICA D’AVVENTO

(Giov., I. 19-28).

[G. Colombo: Pensieri sui Vangeli, vol. I, soc. Ed. Pensiero e Vita, Milano 1939)

4.

LO SCONOSCIUTO

Il mondo era stanco d’attendere. Eran secoli e secoli che i patriarchi e i profeti l’avevano annunciato, ed ogni giorno il popolo scrutava i confini del deserto per vedere se venisse verso Sion il Dominatore della terra (Is., XVI, 1), ed ogni alba alzava le mani verso l’alto e scongiurava che si squarciasse alfine il cielo e il Salvatore discendesse ( Is., LXIV, 1). Ed ecco che fuori dalle lande desolate della Perea esce un uomo, e si ferma sulla riva sinistra del Giordano, presso Betania, a battezzare e a predicare. L’asprezza del suo abito, fatto con peli di cammello e stretto ai fianchi con cinghia di cuoio, l’austerità del suo volto e della sua vita, che sostentava di radiche amare e di miele silvestre, la sua parola minacciosa e sdegnosa fece balenare a molti l’idea ch’egli fosse il Messia atteso. – I Giudei di Gerusalemme lo mandarono ad interrogare per bocca di autorevoli rappresentanti: sacerdoti e leviti. « Sei tu il Cristo? ». Ma il Battezzatore protestò e confessò: « No: io non sono il Cristo ». « Allora sarai Elia ? o almeno un profeta? ».

« Né Elia io sono, né un profeta. Sono l’eco della Sua parola che  s’alza dal deserto; sono l’ombra della Sua figura che s’avanza; sono indegno di essergli schiavo e di curvarmi a sciogliergli i legacciuoli dei calzari ».

Quelli disillusi protestarono: « Allora perché battezzi? ».

« In acqua soltanto io battezzo. Ma in mezzo a voi c’è Uno che voi non conoscete ».

Medius autem vestrum stetit quem vos nescitis.

Ed in mezzo a quella gente, ignoto, c’era il Figliol di Dio, incarnato per la salute del mondo. Portava vesti d’operaio, mangiava carne e beveva vino coi peccatori, lo chiamavano il figlio del fabbro. Sì, figlio del fabbro: ma di quel fabbro che edificò il mondo non col martello, ma con il comando della sua volontà, di quel fabbro che compaginò con ordine gli elementi dell’universo, di quel fabbro che accese il sole e le stelle con fuoco non terreno, di quel fabbro che, all’impeto della sua voce, fece balzare dal nulla ogni cosa.

Medius autem vestrum stetit quem vos nescitis.

Questo rimprovero può essere rivolto anche a un gran numero di Cristiani, ai nostri tempi. Quel Gesù che era presente e sconosciuto in mezzo agli Ebrei ai giorni del Battista, è pure presente e sconosciuto in mezzo a noi.

Il piccolo Catechismo c’insegna che nell’Eucaristia vi è lo stesso Gesù che nacque dalla Vergine Maria; che vi è vivente e immortale come lo è in Paradiso; che vi è certamente perché ce l’assicurò Egli medesimo quando disse: questo è il mio corpo. Da fanciulli imparammo queste verità, le credemmo, e le crediamo ancora; ma in pratica Gesù Eucaristico è uno sconosciuto tra gli uomini. – Perché i Cristiani sentono così poco desiderio della S. Comunione? – Perché a stento e non tutti riescono ad ascoltare una Messa alla settimana? – Perché le chiese sono sempre silenziose e deserte, mentre tutta la vita ferve nei teatri, nelle osterie, nelle piazze? Perché Gesù Eucaristico è in mezzo a noi come uno sconosciuto:

sconosciuto nella S. Comunione

sconosciuto nella S. Messa

sconosciuto nel S. Tabernacolo.

Oggi, davanti a Lui che ci guarda e ci vede fin nel profondo del cuore, esaminiamo in proposito la nostra coscienza.

1. GESÙ È SCONOSCIUTO NELLA S. COMUNIONE

Una tempesta improvvisa colse la nave su cui viaggiava Satiro, fratello di S. Ambrogio quando già all’orizzonte s’intravvedeva il profilo scialbo del porto. – Il vento gonfiava le onde enormemente e le nubi erano discese in giro alla nave come una coltre grigia e densa. Il fragore dell’acque copriva l’ululo delle donne e il pianto dei bambini. Qualche mercante s’era buttato sopra le sue casse, piene di prodotti oltremarini, quasi per strapparle alla furia selvaggia dell’elemento, o per sommergersi con esse in fondo al mare. Satiro, quando vide che la nave, sbattuta contro uno scoglio, faceva acqua da ogni parte e calava a picco, dimenticò la sua roba e i suoi denari, e gridò ad alcuni Cristiani: « Datemi l’Eucaristia ». – Quelli portavano seco il Sacramento come permetteva la liturgia del tempo. Ma Satiro non poteva far la Comunione, che ancora non era battezzato: perciò, posta sul cuore l’Ostia santa, si gettò in mare. Che cosa può fare un uomo contro l’infinita rabbia del mare? Ma quest’uomo portava Gesù, il dominatore del mare, e toccò la sponda della salvezza. Ogni giorno quante persone fan naufragio nella vita! Sono giovani travagliati dalla passione impura, che a loro suscita in mente una fosca nuvolaglia di pensieri, che a loro ridesta in cuore rabbiose ondate di desideri, e deboli e stanchi della dura lotta si abbandonano agli istinti cattivi disperatamente. Sono fanciulle che dopo aver cercato di resistere alle frivolezze della moda, dei divertimenti, delle compagnie, sfiduciate si lasciano trascinare dalla corrente vorticosa del male verso la rovina eterna. Sono uomini che non si sentono capaci di liberarsi dalla bestemmia, dal gioco, dal vino, dal furto, da un affetto proibito e impuro. Sono madri di famiglia che hanno persa la pazienza e la forza di portar la croce: e non sanno più educare i figliuoli, e s’imprecano la morte ogni giorno, e più volte al giorno. – Povera gente! Avete in mezzo a voi Colui che può salvarvi dalla bufera, e voi non lo conoscete, non lo volete conoscere. Perché v’attaccate a mille cose di quaggiù, come quei mercanti che speravano di salvarsi dal naufragio gettandosi sopra le cassi delle loro merci? Imitate piuttosto l’esempio di Satiro; gridate anche voi: « Datemi l’Eucaristia!» Con essa nel cuore non temerete né il demonio, né le passioni; con la forza che in voi metterà Gesù Eucaristico trionferete di ogni vizio, porterete ogni croce e la serenità della vita ritornerà ancora sopra il vostro cielo. – Alcuni credono di aver toccata la perfezione se una volta all’anno, a Pasqua, non tralasciano la Comunione. Oh quanto poco conoscono Gesù! Valeva forse la pena, allora, di rimanere tra noi sotto le specie di pane? « Si panis est — dice S. Ambrogio — quomodo illum post annum sumis? ». Se questo pane celeste avesse virtù di prolungare per molti anni la vita terrena, o soltanto di guarire dalle infermità corporali, in folla il popolo si accosterebbe alla sacra mensa. Ma la vita e la salute dell’anima non è da più di quella del corpo? Ma Gesù Cristo non è il dono che supera ogni dono? Si: ma troppi Cristiani lo ignorano. Medius vestrum stetit quem vos nescitis.

2. GESÙ SCONOSCIUTO NELLA MESSA

Circa l’ora nona d’un Venerdì, lontano ormai dei secoli, moriva in croce il Salvatore del mondo. Era disceso dal cielo in una notte rigida d’inverno, era cresciuto nel lavoro e nell’umiltà, per tre anni aveva camminato senza requie predicando e facendo miracoli, ed infine perseguitato e calunniato e flagellato moriva come un delinquente, lui il Figlio di Dio, per la salvezza degli uomini. E gli uomini non se ne davano pensiero. – A Roma forse in quell’ora tutto il popolo era assembrato nella cavea del circo, urlando di gioia beluina ad ogni gladiatore che gettasse il rantolo dell’agonia. Ad Atene la gente non pensava che a danzare e a mangiare allegramente. Ad Alessandria, ad Antiochia affluivano i mercanti non desiderosi d’altro che di perle e di profumi orientali. A Gerusalemme stessa la maggior parte della popolazione attendeva alle solite faccende d’ogni giorno. E Gesù, intanto, spasimava e agonizzava per tutti costoro. – Sul Calvario c’erano delle persone. Ma i più erano là indifferenti e curiosi: Stabat populus spectans ( Lc., XXIII, 35). E Gesù moriva per loro. I ricchi e i caporioni lo beffavano: « Alios sàlvos jecit, se salvum faciat ». E Gesù moriva per loro. Anche i soldati lo prendevano in giro, e gli umettavano le labbra riarse con l’aceto : « Si tu es rex, salvum te fac ». E Gesù moriva per loro. Perfino il ladro, a sinistra crocifisso, lo scherniva: « Si tu es Christus, salvum fac temetipsum et nos ». E Gesù moriva per lui. Cristiani, questa tragedia che non ha confronti nel mondo, si ripete ancora e spesso tra noi. Che cosa è la S. Messa? è il Sacrificio della croce, — risponde il Catechismo, — che si rinnova sui nostri altari realmente quantunque senza spargimento di sangue. È ancora Gesù che si sacrifica al suo divin Padre per la salute di noi peccatori. « Prendimi, o Dio — sembra che dica ogni volta che il sacerdote leva l’ostia e il calice in alto — prendimi, ma salva gli uomini ». – Fra tutte le azioni più sacre e venerande della fede, non ve n’ha  alcuna che possa paragonarsi al sacrificio della Messa: questa è il compendio di tutta la nostra santissima Religione. Eppure gli uomini, ancora come in quel venerdì ormai lontano nei secoli, se ne danno così poco pensiero! Come gli antichi Romani, come gli Ateniesi, come i commercianti di Alessandria e d’Antiochia gli uomini anche oggi hanno tempo per tutto: per i teatri, per i balli, per le chiacchiere, per gli affari; ma per la Santa Messa, no. Quanti Cristiani hanno il coraggio di non trovare, nemmeno alla festa, il tempo per ascoltare la S. Messa? I selvaggi, convertiti dai missionari, fanno giornate di cammino, attraverso foreste senza sentieri, per udire una S. Messa; e noi non sappiamo balzare dal letto qualche tempo prima, e noi non abbiamo la forza di fare un piccolo sacrificio per ricevere tanto bene.

Medius vestrum stetit quem vos nescitis.

Oh se lo si conoscesse Gesù che s’immola ogni giorno sull’altare, sarebbe ben diverso il nostro contegno durante la S. Messa! Molti vi assistono di malavoglia e con la noia in cuore. Si preferisce stare in fondo alla chiesa, addossati alla porta, e nei giorni d’estate si ama rimanere fin sul sacrato per divagarsi meglio con la gente che passa. Si mormora del prete che nel celebrare non è frettoloso come si desidera. Si girano gli occhi su tutto e su tutti con un’aria curiosa e maliziosa. Si cerca un amico per scambiare qualche chiacchiera o qualche sorriso. Si viene alla chiesa a sfoggiare il lusso delle vesti, l’acconciatura del volto e della persona. Così, così han fatto i Giudei sotto la croce. Intanto sull’altare Gesù muore un’altra volta per noi! … – S. Giovanni Crisostomo, accortosi un giorno che durante il Santo Sacrificio stavano taluni in piedi e cianciavano, in un impeto di zelo così li apostrofò: « Qui stanno tremanti perfino gli Angeli e voi, in piedi, cianciate? Mi meraviglio come non vi colpisca un fulmine, o sacrileghi. Mentre il sangue dell’Agnello leva al Padre per i Cristiani voci di misericordia, contro voi lancia una voce terribile di vendetta e maledizione ». Non così, o Cristiani, rechiamoci ad ascoltare la S. Messa, ma coi sentimenti di Tomaso apostolo quando disse: « Andiamo anche noi e moriamo con lui! » (Giov., XI, 16). Con Cristo che rimuore sull’altare, moriamo al peccato e al mondo.

3. GESÙ SCONOSCIUTO NEL TABERNACOLO

Assalonne, privato da Davide suo padre dell’onore di comparire alla sua presenza, non sa trovar pace. Che gli vale essere sfuggito alla morte, se vivo gli è proibito di vedere il volto di suo padre? Che sollievo potevano dargli, in questo stato, le parole degli amici da cui era corteggiato e l’abbondanza dei beni che possedeva? Cupo di giorno, inquieto di notte, s’aggira come un’ombra singhiozzante intorno alla reggia, penetra furtivamente nelle anticamere, e scongiura qualcuno che gli ottenga il sospirato favore. Un giorno, non potendone più, ferma Gioab e gli dice: « Recati innanzi al re mio padre e digli che da due anni languisco. Che non mi neghi più di vedere la sua faccia ! E se il mio delitto è tale da non lasciarmi sperar perdono, o Gioab, digli allora che mi è più dolce morire che vivere senza vederlo ».  Obsecro ergo ut videam faciem regis; quod si memor est iniquitatis meæ, interficiat me (II Reg., XIV, 32). – Quale stridente confronto, o Cristiani, tra noi e quel figlio sgraziato!

Gesù nel Santo Tabernacolo ove s’è fatto eterno prigioniero d’amore, non ci proibisce d’andare a lui, anzi c’invita: «Voi che faticate, voi che siete angosciati, venite da me che vi ristorerò » (MT., XI, 28). « O assetati, venite all’acqua !» (Is., LV, 1). Eppure le chiese per tutta la giornata sono sempre silenziose e deserte come una tomba. Quante volte si passa davanti alla chiesa e perché non si entra almeno un minuto a salutare Gesù?

— Non si ha tempo — si dice; ma se s’incontra un amico per strada, nonostante tutta la fretta che ci sospinge, ci si indugia per delle mezz’ore. Perché nei lunghi pomeriggi le buone donne di casa non sanno correre da Gesù per una visitina? Perché si va, a poco a poco, dimenticando la bella consuetudine di passare da Gesù, dopo il lavoro della giornata, a prendere la perdonanza?

Medius vestrum stetit quem vos nescitis.

Quando il rimorso dei peccati vi stringe il cuore, voi cercate il rimedio nelle dissipazioni: e in mezzo a voi c’è Uno che vi può guarire, e non lo conoscete. Quando qualche disgrazia, qualche calunnia, qualche discordia vi strazia l’anima, voi cercate conforto tra gli amici, che non vi sanno comprendere, né vi possono aiutare; e in mezzo a voi c’è Uno che vi può consolare, e non lo conoscete.

CONCLUSIONE

Nella notte di Natale, S. Gaetano da Thiene, vegliava in preghiera ardente davanti ai presepio nella basilica di S. Maria Maggiore. Con la sua fede rifaceva la storia di quella notte santa, e gli pareva d’esser lui pure un pastore a cui l’Angelo annunciasse la grande gioia. E gli pareva d’accorrere anche lui giù per le stradette rupestri verso la grotta di Betlemme, ove con un fìl di voce gemeva l’Onnipotente nato bambino. Ed ecco, mentre così meditava, gli apparve davvero la Vergine Maria che portava il Bambino. E venne da lui e reclinò sulle sue braccia aperte e tremanti il piccolo Figlio di Dio. E Gaetano lo guardava, e stringeva al suo cuore di povero uomo quel Cuore di Dio, e gustava il paradiso. (Brev. Ambr.: 9 Agosto).

Cristiani, in questo tempo d’Avvento, ravviviamo il nostro amore e la fede verso il santissimo e divinissimo Sacramento. Che Gesù Eucaristico non sia più per noi lo Sconosciuto! Allora nella Comunione di Natale, che tutti vorremo ricevere, sarà la Madonna che metterà tra le nostre braccia, nel nostro cuore tremante di poveri peccatori il suo piccolo Figlio di Dio. E gusteremo un presagio di paradiso.

5.

PREPARIAMOCI AL S. NATALE CON L’UMILTÀ’

Quando sulle rive del Giordano venne San Giovanni a predicare e a battezzare, le speranze del popolo si rivolsero segretamente a lui come all’atteso da secoli. Ma di questo favore popolare ognora crescente s’insospettì il Sinedrio di Gerusalemme, che gli mandò una delegazione di preti e di leviti.

Gli chiesero : « Tu chi sei: ».

Giovanni più che alla loro domanda espressa, rispose al loro secreto sospetto decisamente. « No: io non sono il Messia ». I delegati, sicuri ormai sul punto capitale proseguirono la loro inchiesta.

« Non sei forse Elia ? ».

« No: io non sono Elia ».

« No: io non sono il Profeta ».

« Non sono che una voce che vien dal deserto a dire: fate la strada al Signore che viene ».

Rimasero delusi. E qualcuno obbiettò: « Se non sei il Messia, non sei Elia, non sei il Profeta, perché battezzi? ». Allora disse chi era: un semplice precursore, e il suo battesimo una cerimonia di preparazione. Ma in mezzo a loro, benché ancora sconosciuto, già stava Uno a cui si sentiva indegno perfino di slegare le stringhe dei calzari. – Davanti alla rude umiltà di san Giovanni Battista viene spontanea questa osservazione. Il primo peccato nell’universo fu di superbia. A redimere il mondo rovinato dalla superbia ci volle l’umiltà di Colui che, essendo Dio per natura, s’abbassò fino alla nostra misera condizione di uomini. Volendo poi mandare avanti chi gli preparasse la strada, era conveniente che scegliesse un uomo come Giovanni, che sapeva stare al proprio posto. Questi infatti non s’arrogò il posto di Dio:

«No, io non sono il Cristo ». Questi infatti non s’arrogò il posto del prossimo:

« No, io non sono Elia; no, io non sono il profeta ».

Umiltà con Dio, umiltà col prossimo prepareranno nel nostro cuore la strada al Signore che viene nel santo Natale.

1 . UMILTÀ CON DIO

Nella Storia sacra si racconta che a Nabucodònosor venne in mente di farsi una statua d’oro e di innalzarla in mezzo a un vasto piano. Nel giorno dell’inaugurazione fece dare questo bando: « Magistrati e popolo, siete avvisati: appena udrete la poderosa orchestra suonare con trombe, flauti, arpe, cetre, zampogne, sull’istante vi butterete per terra adorando la statua del Re. Se qualcuno non lo farà, una fornace di fuoco inestinguibile già arde per lui ».

Evidentemente una folle superbia spingeva Nabucodònosor a credersi Dio, e a scimmiottare il castigo divino dell’inferno. Non passò molto tempo che la vendetta del Signore lo raggiunse. Fu preso da un male strano e bestiale per cui urlava e morsicava come una belva, mangiava fieno come un bue, e gli crescevano sulle dita le unghie come artigli. Chi volle farsi Dio, si trovava ad essere bestia. (DAN.. III, 17; IV, 26-30). L’orgoglio è quella profonda depravazione che induce l’uomo a mettersi al posto di Dio.

a) Sono io il Messia! gridano tante anime, non a parole ma con la pratica della vita: ad esempio, con lo spirito d’indipendenza dalle leggi di Dio. Perché il Signore deve proibirmi questo piacere? Che c’entra lui con l’uso che del matrimonio io credo di fare nel secreto della mia famiglia? Così della propria volontà si fanno una statua d’oro da adorare.

b) Sono io il Messia! gridano tante anime con il loro spirito d’egoismo che le inclina ad operare per sé, come se fossero fine a se stesse.Perché devo perdere un guadagno se mi viene da un lavoro di festa? Che mi viene in tasca a frequentare la Chiesa, le prediche? Così, del proprio interesse si fanno una statua d’oro da adorare.

c) Sono io il Messia! gridano tante anime con il loro spirito di vana compiacenza che si diletta nelle proprie qualità come se Dio non ne fosse l’autore; che si vanta per qualche opera buona come se essa non fosse, prima di tutto e principalmente, il risultato dell’azione divina in loro. Così della propria stima si fanno una statua d’oro da adorare.E in conclusione, tante anime, arrogandosi il posto di Dio, misconoscendo la loro realtà di creature che devono ubbidire, servire, adorare il Signore, sono diventate più felici? più elevate? Né più felici, né più Dio le vede cadute nell’abbiezione di Nabucodònosor. Si sono preclusa la comprensione e la grazia dell’umile nascita di Gesù nella stalla di Betlemme.

1. UMILTÀ COL PROSSIMO

San Giovanni Battista ricusò di innalzarsi nella stima dei suoi contemporanei, proclamandosi Elia o il Profeta. Quanti invece tenendosi per grandi uomini, disprezzano il prossimo col cuore, con la parola, con gli atti.

a) Col cuore perché hanno invidia dei buoni successi altrui; si rattristano come di un torto fatto a loro; e giungono perfino a desiderarne il male. Essi sono il grande Elia, il Profeta atteso, e guai a chi fa ombra su di loro.

b) Con la parola perché vedendo il prossimo sbagliare, lo diffamano ripetendo a tutti con maligna mormorazione quel che hanno veduto o saputo. E non vedono i loro sbagli e i loro peccati; si credono zelanti come Elia, santi come il Profeta.

c) Con gli atti perché non riconoscono nessuna superiorità più in su della loro, e vogliono’ a tutti soprastare. Se si ricordassero che coi loro peccati hanno meritato l’inferno, e dovrebbero stare sotto i piedi del demonio, con quanta più delicata carità tratterebbero il prossimo! Ma essi si credono come Elia destinati al Paradiso prima ancora di morire.

CONCLUSIONE

Il santo Natale s’avvicina. Moviamo incontro a Gesù Bambino col sentimento della nostra nullità e miseria. Egli è Colui che redimendoci dalla maledizione e dalla schiavitù ci ha riaperto le porte del paradiso, di cui avevamo smarrito la chiave.

A S. Gerardo Maiella, quand’era fanciullo, capitò un caso tanto bello che quasi non parrebbe vero: ma è degno di fede perché fu esaminato e riconosciuto dalla Chiesa quando si trattò la causa della sua beatificazione. Gerardo faceva da servitorello al vescovo di Lacedonia. Un giorno fu visto con la faccia pallida e piena di spavento vicino al grande pozzo sulla piazza del mercato. Con negli occhi una muta angoscia guardava in quell’oscura profondità. Neppur lui sapeva dire come fu: ad un certo momento udì un tonfo, ed erano le chiavi di casa sgusciategli dalle dita. E adesso che fare? che cosa gli avrebbe detto il suo padrone, malaticcio e nervoso? Forse l’avrebbe messo alla porta. Dove sarebbe andato, solo senza lavoro, senza tetto? Di colpo gli balenò un’idea. Attraversa correndo la piazza, entra nella cattedrale, e prende dalla cuna in cui giaceva, la statuetta del Bambino Gesù. « Bambino Gesù! — supplica Gerardo quasi stringesse non una figura di gesso, ma proprio Lui di carne, vivo e respirante. — Tu soltanto puoi aiutarmi. Tu e nessun altro: fammi dunque ripescare la chiave! » Poi legò il Bambino Gesù alla corda del pozzo e lo fece calare dolcemente. Come lo sentì nell’acqua gli gridò dentro con tutta la forza della sua speranza: « Bambino Gesù! portami su la chiave ». E cominciò a ritirare la corda. Un grido di gioia: già sull’orlo era apparso il Bambino Gesù e nella manina teneva la chiave. Gerardo la prese da lui, e poi sospinto come da un vento di allegrezza e di riconoscenza corse a riportarlo nella sua cuna. – Cristiani, questo fatto è la conclusione più bella al Vangelo che abbiamo spiegato in questa terza domenica d’Avvento. Gli uomini per la loro superbia avevano persa la chiave della loro casa, cioè del Paradiso. Il demonio con l’astuzia e con la menzogna l’aveva fatta sgusciare dalle loro mani, e con riso beffardo l’aveva gettata in un abisso, donde era impossibile riprenderla. Venne Gesù Bambino, ci ripescò la chiave, e ci riaprì il cielo: non da noi, ma solo da lui venne la nostra salvezza. Umiliamoci! Il triste tempo della chiave perduta è finito: la chiave del Paradiso c’è per tutti che la vogliono. Rallegriamoci con riconoscenza amorosa! E se qualcuno sentisse di non potersi rallegrare perché nel suo cuore s’è spalancato ancora un pozzo di peccati e la chiave di nuovo gli è caduta dentro, con un’umile, sincera confessione faccia calare Gesù Bambino in quel suo pozzo. Riavrà la chiave.

6.

PREPARATE LA STRADA AL SIGNORE

Tutti correvano al Giordano. Fuori dal deserto, a quelle sponde era venuto un uomo austero che insegnava alla gente come dovevano prepararsi alla venuta del Messia. Gli esattori non dovevano esigere più di quanto era stato fissato; i soldati dovevano accontentarsi della loro paga; chi aveva due tuniche doveva darne una a chi n’era senza; lo stesso doveva fare chi avesse cibo e vino in abbondanza. Alcuni andarono da Gerusalemme a chiedergli chi fosse. « Sei tu Elia ».

« No ».

« Sei tu il profeta? ».

« No ».

« Sei tu il Cristo? ».

« No ».

« Chi sei, dunque? ».

« Io son la voce che grida dal deserto: preparate la strada al Signore ».

Anche a noi che ci prepariamo al santo Natale, S. Giovanni grida:

Dirigite viam Domini. Gesù Bambino è per venire e la via per cui verrà è il nostro cuore: bisogna prepararglielo. Per preparare la strada all’ingresso d’un re prima la si eguaglia, poi la si netta da ogni lordura, infine la si adorna. Eguagliar la via del cuore significa, dunque, togliere ogni occasione di caduta in peccato. Nettare il cuore da ogni lordura significa purificarlo da ogni colpa. Infine adornarlo non è altro che abbellirlo d’opere buone. Queste son le tre cose che verrò spiegando un poco, son le tre cose che dobbiamo fare prima che giunga Natale

1. TOGLIERE LE OCCASIONI

Gerolamo il dalmata, un giorno, sparì dalle liete brigate romane: lo si cercò alle terme, al circo, ai divertimenti; invano. Per lunghi anni non si seppe più nulla di lui, così allegro, così intelligente. Ma una volta Vigilanzio lo scovò in una grotta di Palestina presso Bethlem, sfinito dalla penitenza, colla faccia sulla terra, pregante. Lo chiamò:

« Gerolamo! perché ti sei rintanato come un orso in questa spelonca, di che temi? ».

Si rizzò il santo sulle ginocchia e, guardandolo, gli disse: « Vigilanzio; sai di che temo? temo di tanti pericoli tra i quali tu vivi, temo i discorsi oziosi, le liti, l’avarizia sordida, temo gli occhi della donna mondana ».

Poi ritornò a poggiare la testa sul suolo di quella grotta dove quattro secoli prima era nato Gesù, il Salvatore.

« Questo è un fuggir da vigliacco, — insistè Vigilanzio, — e non un vincere da glorioso. Bello è saper resistere al male pur vivendone in mezzo! ».

« Basta, Vigilanzio. Se questa mia è debolezza, confesso d’essere debole. Confiteor imbecillitatem meam. Preferisco fuggire per vincere, che rimanere per perdere ».

L’unico modo, dunque, di toglier le occasioni è quello di fuggirle. Se un santo, già disfatto dalle penitenze, assicura di non saper resistere in mezzo alle occasioni, come pretenderemo noi di non cadere senza lasciar quella compagnia, senza abbandonar quel ritrovo, quella relazione, senza bruciar quel libro? – S. Bernardo dice che la nostra natura è troppo debole, e perciò è più facile risuscitare un morto che vivere nelle occasioni senza peccare. – Via adunque quella lettura, via quella persona, via quel gioco. Il Signore viene, bisogna preparargli la strada.

2. TOGLIERE IL PECCATO

Era un giorno arioso d’aprile quando Gesù uscito dalla casa di Marta prese la via di Gerusalemme. Il mezzogiorno dorato si stendeva sopra la città affollata d’ogni gente accorsa per la celebrazione della Pasqua vicina. La notizia si diffuse rapidamente e la moltitudine cominciò ad affluire. Irrompeva giù dall’Oliveto incontro al Signore, agitando rami di palma, frasche di mortella, ciocche d’ulivi. Alcuni gettavano sotto al suo passo i propri mantelli. – Gesù avanzava: mite e solenne come un trionfatore, cavalcando un asino non mai aggiogato. Tutti che l’accompagnavano si sentivano esaltare in quell’ora di trionfo luminoso.

« Benedetto chi viene in nome di Dio! » gridò qualcuno; tutta la folla rispose con urlo impetuoso: « Osanna, osanna! ».

« Benedetto il re d’Israele che viene! » gridarono altri che sopraggiungevano allora e tutti in un rapimento sovrumano risposero: « Osanna, Osanna!». Non era questo il giorno più bello per Gesù? Eppure, come dall’alto della costa Gesù vide Gerusalemme bianca di marmo e piena di sole, scoppiò in pianto sopra di essa.

Videns civitatem, flevit super illam ( Lc., XIX, 41).

Buon Dio! Ora che la città è tutta in festa dentro le sue mura, ora che tutto il popolo corre ad incontrarlo con fronde e con grida, Gesù piange. Gesù, che non ha pianto quando quelli del suo paese lo buttarono fuori dalla sinagoga; che non ha pianto quando gli gridarono dietro ch’era indemoniato; che non ha pianto quando tolsero su i sassi per lapidarlo, piange ora, nel giorno suo più bello.

Videns civitatem flevit super illam.

Perchè? Egli intravvedeva sotto le frondi di palma e d’ulivo il tradimento; distingueva tra osanna e osanna il terribile crucifìge di pochi giorni dopo; e quei mantelli sotto il suo passo gli erano immagine delle sue vesti di cui l’avrebbero tra poco spogliato. Per questo piangeva. Or ecco, Cristiani, che Gesù sta ancora per venire. Nel santo Natale Gesù entra nel mondo, entra nei nostri cuori. Io so che in tutte le famiglie all’avvicinarsi di questa solennità c’è molta preparazione. Le massaie fan rilucere il rame; il capo di famiglia pensa ai vestiti nuovi per i figliuoli; i figliuoli sognano i regali; ogni soglia s’adorna con vischio, con fronde di alloro, con piccoli abeti. Tutto questo va bene: ma forse son come le palme agitate dagli ebrei, son come gli osanna d’allora. Tutta esteriorità e sotto c’è il peccato. Gesù Bambino venendo nelle nostre case, nei nostri cuori, Egli che vede fino in fondo alla coscienza, forse scoppierà in pianto. Videns… flevit. Vede che abbiamo dimenticato i nostri doveri di famiglia: che abbiamo trascurato l’educazione dei figli; che li abbiamo considerati come un fastidio da evitare. Vede la nostra passione per il gioco, per il vino; vede quell’amicizia indegna, vede i cattivi desideri, i pensieri. Vede che da mesi e mesi non ci confessiamo mentre sulla coscienza pesano certi peccati, certi sacrilegi, certe confessioni mal fatte. – Gesù Bambino vede e piange. – Come fa pena un bimbo che piange! quando di notte, svegliandoci, s’ode il suo vagito passare nel tenebroso silenzio, ci si stringe il cuore, non possiamo riprendere sonno e mormoriamo: « Ma perché lo lasciano piangere?… ». – Allora, perché non ci farà pena il vagito di un Dio Bambino, perché lo lasceremo piangere? Purifichiamoci con una bella confessione! che non li veda più i nostri peccati! sorriderà.

3. ORNIAMO IL CUORE

È  commovente leggere nella Storia sacra, con quale desiderio bruciante i patriarchi invocavano la nascita del Messia. Quando qualche disgrazia li opprimeva, dicevano: « Gocciate o cieli, dall’alto; s’aprano le nubi e discenda il Giusto » (Is., XLV, 8). Quando la tirannia di qualche re li angariava, sognavano il soavissimo regno di Cristo: « Signore, dicevano, manda il tuo Agnello a regnare su Gerusalemme » (Is., XVI, 1). E quando Mose ebbe l’incarico di liberare il popolo dalla schiavitù, e tremava di spavento, gli sgorgò l’invocazione sublime: « Signore, manda colui che devi mandare, che m’aiuti » (Esodo, IV, 13). – In questi giorni che precedono il Santo Natale facciamo nostre queste aspirazioni; ripetiamole mattino e sera, ma soprattutto nei momenti della tentazione. Ripetiamole quando l’adempimento del nostro dovere ci pesa; quando l’osservanza della legge del Signore ci sembra dura e difficile. Solo così, con la preghiera e con le opere buone, si può adornare il nostro cuore. Gesù venendo non troverà in noi lo squallore della stalla di Bethlem, ma un’abitazione calda d’affetto.

CONCLUSIONE

L’anima diletta dei Sacri Cantici, nel cuore della notte, udì strepere vicino alla sua porta. Si sveglia e tende l’orecchio. Sentì una voce che la chiamava: « Aprimi, sorella mia, amica, colomba! ». Ella, sorpresa così tra la veglia e il sonno, pensava: « Devo proprio vestirmi e scendere ad aprire che fa freddo, che è notte, che ho sonno? E si voltò dall’altra parte. Ma poiché la voce insisteva a chiamarla, poiché alla sua porta s’insisteva a bussare, dopo un poco decise di scendere ad aprire. Ma quando fu aperta la porta, non trovò più nessuno. S’accorse, disperata, che di là era passato il suo Signore, che aveva bussato proprio alla sua porta, e ch’ella, per pigrizia, non gli aveva aperto, ed Egli se n’era andato lontano. – Lo chiamò allora, con quanto fiato avesse in gola, perché tornasse, ma la sua voce velata di pianto, tremava nella notte senza stelle, e nessuno le rispondeva:  vocavi et non respondit mihi. Lo cercò allora, correndo come pazza in giro per la città, interrogando le sentinelle, ma non lo trovò: quæsivi eum et non inveni. Il Santo Natale è vicino, e Gesù Cristo già bussa alla porta dell’anima nostra. Ci scuote dal sonno dei peccati e ci dice: « Aprimi! Scaccia fuori il demonio e apri al Signore ». – Temiamo che se ne vada via per sempre da noi. Forse è l’ultima volta che Gesù ci chiama a convertirci poi ci abbandonerà in balia delle nostre passioni. Forse è l’ultimo Natale della nostra vita, poi verrà la morte. – E nel momento della morte saremo noi che busseremo alla casa di Gesù; ma se adesso non gli apriamo, neppure Egli aprirà a noi, allora.