DOMENICA III DI AVVENTO (2018)

DOMENICA III DI AVVENTO

Incipit
In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus
Phil IV:4-6
Gaudéte in Dómino semper: íterum dico, gaudéte. Modéstia vestra nota sit ómnibus homínibus: Dóminus enim prope est. Nihil sollíciti sitis: sed in omni oratióne petitiónes vestræ innotéscant apud Deum. [Godete sempre nel Signore: ve lo ripeto: godete. La vostra modestia sia manifesta a tutti gli uomini: il Signore è vicino. Non siate ansiosi per alcuna cosa, ma in ogni circostanza fate conoscere a Dio i vostri bisogni]

Ps LXXXIV: 2
Benedixísti, Dómine, terram tuam: avertísti captivitátem Jacob. [Hai benedetto, o Signore, la tua terra: hai liberato Giacobbe dalla schiavitù]. Gaudéte in Dómino semper: íterum dico, gaudéte. Modéstia vestra nota sit ómnibus homínibus: Dóminus enim prope est. Nihil sollíciti sitis: sed in omni oratióne petitiónes vestræ innotéscant apud Deum. [Godete sempre nel Signore: ve lo ripeto: godete. La vostra modestia sia manifesta a tutti gli uomini: il Signore è vicino. Non siate ansiosi per alcuna cosa, ma in ogni circostanza fate conoscere a Dio i vostri bisogni.]

Oratio

Orémus.
Aurem tuam, quǽsumus, Dómine, précibus nostris accómmoda: et mentis nostræ ténebras, grátia tuæ visitatiónis illústra: [O Signore, Te ne preghiamo, porgi benigno ascolto alle nostre preghiere e illumina le tenebre della nostra mente con la grazia della tua venuta.]

Lectio
Lectio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Philippénses
Philipp IV: 4-7
Fratres: Gaudéte in Dómino semper: íterum dico, gaudéte. Modéstia vestra nota sit ómnibus homínibus: Dóminus prope est. Nihil sollíciti sitis: sed in omni oratióne et obsecratióne, cum gratiárum actióne, petitiónes vestræ innotéscant apud Deum. Et pax Dei, quæ exsúperat omnem sensum, custódiat corda vestra et intellegéntias vestras, in Christo Jesu, Dómino nostro.
R. Deo gratias.

OMELIA I

[Mons. Bonomelli: Omelie, Vol. I; Torino 1899 – Omelia V.]

“Rallegratevi sempre nel Signore: da capo ve lo dico, rallegratevi. La vostra benignità sia nota a tutti gli uomini: il Signore è vicino. Non siate ansiosi di nulla: ma in ogni cosa le vostre domande siano manifestate a Dio nell’orazione, nella preghiera e nel rendimento di grazie. E la pace di Dio, che supera ogni mente, custodisca i vostri cuori e le vostre menti in Gesù Cristo „ (Ai Pilipp. IV, 4-7).

Con questi quattro versetti l’apostolo Paolo chiude la sua breve ma bella ed affettuosissima lettera ai fedeli della Chiesa di Filippi, città principale della Macedonia. Nessuna difficoltà nella spiegazione di queste sentenze dell’Apostolo: ma i documenti che vi si contengono, sono d’una importanza pratica grandissima e meritano tutta la vostra attenzione. – “Rallegratevi sempre nel Signore: da capo vel dico, rallegratevi. „ S. Paolo scrisse questa lettera da Roma, come si fa manifesto dai saluti che in fine della lettera manda a quei di Filippi. La scrisse certamente dalla carcere, in cui fu gettato la prima volta, circa l’anno sessantesimo dell’era nostra. Uomo veramente ammirabile questo Apostolo per eccellenza! Egli è oppresso da ogni maniera di tribolazioni e in molti luoghi delle sue lettere, e in questa stessa, ne fa una viva descrizione. Da Gerusalemme è condotto a Roma incatenato: è là in carcere, imperando Nerone; si vede innanzitutto il patibolo: molti lo hanno abbandonato ed alcuni dei suoi lo amareggiano perfino in carcere: eppure, ripieno d’un sacro entusiasmo, l’entusiasmo della fede e della carità, grida ai suoi cari: rallegratevi. „ Ciò non gli basta, ed aggiunge: “Rallegratevi sempre; „ non gli basta ancora: lo ripete di nuovo: “Da capo vel dico, rallegratevi. „ Ma come rallegrarsi in mezzo ai timori e ai terrori della persecuzione, con le catene alle mani, lì, a pochi passi di quel mostro di crudeltà, che si chiama Nerone? — L’Apostolo leva in alto gli occhi, li fissa con fede viva in Dio ed è in Lui, in Lui solo, che egli attinge ogni conforto e perfino l’allegrezza, che vorrebbe trasfondere nei suoi cari figliuoli. – Vi è una doppia allegrezza, l’una celeste, l’altra terrena: l’una che viene dagli uomini, l’altra che viene da Dio; l’una che si fa sentire nel corpo, l’altra che riempie l’anima, la fa trasalire e si riflette eziandio nel corpo. Vi è la gioia dell’avaro, che guarda estatico lo scrigno riboccante d’oro; vi è la gioia del superbo, del vanitoso, che si delizia degli applausi e si inebria dell’incenso che le turbe gli profondono: vi è la gioia dell’epulone, che si bea tra vini e vivande; vi è la gioia del voluttuoso che lussureggia per ogni fibra: son gioie basse, turpi, indegne dell’uomo, inette a farlo felice, perché non sono durevoli, passano rapidamente e se pur saziano per alcuni istanti la parte inferiore del corpo, che se ne va tutto con la morte, lasciano vuota, desolata, riarsa la povera anima, come se vi passasse sopra un soffio infuocato. Domandate a questi beati del mondo, che corsero tutte le vie del piacere, che colsero tutti i fiori trovati lungo la via; che ammassarono i milioni; che salirono alto e videro le turbe prostrate ai loro piedi; che alla loro bocca non negavano mai né un cibo, né una bevanda, fossero pure a peso d’oro; che ebbero tutto ciò che poterono desiderare; domandate loro: “Siete felici?,, Ad una voce vi risponderanno: “Siamo sazi della vita; la noia ci opprime; il nostro cuore è vuoto. „ – Ecco la gioia del mondo! Vi è poi la gioia dell’umile, che conosce se stesso, del poverello rassegnato e contento dei suo pane quotidiano, dell’uomo che comanda alle passioni e le vede obbedienti; vi è la gioia del casto, del giusto, del caritatevole; gioia tranquilla, sempre eguale, che inonda l’anima, che ne ricerca tutte le fibre più riposte, che dura in mezzo alle pene ed alle amarezze della vita, che è come un effluvio del cielo, che ci fa sentire Dio presente e quasi ce lo fa toccare: ecco la gioia del Signore, di cui scrive S. Paolo. Non cercate, non amate mai la gioia del mondo, ma la gioia di Dio: Gaudete semper in Domino: iterum dico, gaudete. Questa gioia della virtù, gioia pura e santa, raddolcisce i dolori, che sulla terra sono nostri compagni inseparabili; infonde una forza meravigliosa nell’anima e ci fa correre speditamente le vie del cielo. S. Francesco d’Assisi sul miserabile giaciglio delle sue agonie, cantava. S. Luigi Gonzaga esclamava: Lætantes imus: ce ne andiamo pieni di gioia. S. Francesco di Sales, S. Vincenzo dei Paoli, S. Filippo erano sempre sorridenti e in mezzo alle fatiche, alle cure, alle pene della vita erano lieti e felici. E la gioia dei figli di Dio, quella di S. Paolo, che scrive: Rallegratevi sempre nel Signore. – “La vostra benignità sia nota a tutti gli uomini. „ La parola greca usata da S. Paolo e che io ho voltato nella parola benignità, ha un significato amplissimo e vuol dire modestia, temperanza di modi, affabilità, dolcezza. Qui l’Apostolo in sostanza vuole che nel nostro esterno, parole, opere e contegno ci mostriamo con tutti, tali da non recar loro molestia alcuna e da essere loro graditi. Tutto questo non è che il frutto e la manifestazione della carità, la quale vuole, che per quanto è possibile, non facciamo mai cosa che spiaccia ai nostri prossimi e facciamo loro ciò che onestamente piace. Il Cristiano, secondo S. Paolo, deve essere l’uomo più caro, più amabile, più accettevole a tutti nella stessa società civile, perché in ogni cosa è informato alla carità di Gesù Cristo. E perché questa benignità con tutti? Perché, risponde S. Paolo, “Il Signore è vicino Dominus prope est. „ Il Signore è vicino: forseché è vicino il giorno del finale giudizio, come alcuni sognarono? No: perché Gesù Cristo non volle dire quando verrà, e lo stesso Apostolo, nella sua lettera seconda a quei di Tessalonica, vuole che nessuno si turbi, quasi che quel giorno sia vicino (Capo II, 2 ) . — Il Signore è vicino; — vicino, perché il giorno della nostra morte e per conseguenza del giudizio per ciascuno, sia quanto si voglia lontano, è sempre vicino, dacché la nostra vita passa come un’ombra. — Il Signore è vicino; — vicino, perché viviamo in Lui, in Lui ci muoviamo, in Lui siamo; perché in qualunque luogo e in qualunque istante Egli ci vede, scruta i nostri pensieri e i nostri affetti. Siamo in ogni cosa composti, grida S. Paolo, perché siamo sempre al suo cospetto. Qual motivo più efficace di questo per vivere santamente? Segue un altro versetto, nel quale S. Paolo» ci dà un ammaestramento pratico per regolare cristianamente la nostra condotta. Eccovelo: “Non siate ansiosi di nulla. „ In mezzo alle nostre occupazioni, tribolazioni, privazioni ed anche in mezzo alla abbondanza d’ogni bene,, noi siamo facilmente inquieti e inquietiamo quelli coi quali abbiamo comune la vita. Temiamo, speriamo, affannosamente desideriamo, ci agitiamo senza tregua e così la pace fugge dai nostri cuori. Quando S. Paolo ci dice: “Non siate ansiosi di nulla,„ non intende già che trascuriamo le cose nostre, che viviamo spensierati, dimentichi del domani, con la stolta pretensione che ogni nostra cura si abbandoni alla Provvidenza divina: se così fosse, S. Paolo avrebbe predicata la negligenza, inculcato l’ozio, avrebbe condannata l’intera sua vita e ci avrebbe imposto di tentare la Provvidenza. Egli vuole che adempiamo ogni nostro dovere e poi ci rimettiamo alla provvidenza di Dio, perfettamente rassegnati a tutto ciò ch’essa disporrà, senza turbarci, sapendo ch’essa tutto va ordinando al nostro vero bene. E ciò che si fa? Sventuratamente nella nostra condotta cadiamo troppo spesso nei due estremi. Ora noi domandiamo tutto alle nostre forze, al nostro ingegno, alla nostra abilità, dimenticando che se Dio non è con noi, tutto fallisce: ed ora tutto pretendiamo da Dio, come se nulla si esigesse da noi e Dio dovesse premiare i pigri, gli oziosi. La verità è, carissimi, che si domanda sempre in ogni cosa l’aiuto di Dio ed il nostro concorso, e se l’uno o l’altro fa difetto, follia sperare il compimento dell’opera. Può esso il sole illuminare i vostri occhi, se voi non li aprite? Può essa il campo coprirsi di messi, se voi non lo seminate e coltivate? Possono i vostri polmoni respirare se l’aria vien meno? Non dimenticate mai, che se Dio ci ha creati senza di noi, senza di noi non ci salva. Lavoriamo, facciamo il nostro dovere, ma senza ansietà, sicuri che se noi dal canto nostro faremo ciò che è in poter nostro, Dio non mancherà mai dal lato suo, e le due forze unite, l’umana e la divina, ci daranno l’opera compiuta. – E per cessare questa ansietà, che sì spesso turba i nostri cuori, che faremo? Ce lo insegna l’Apostolo: “In ogni cosa le vostre domande siano manifestate a Dio nella orazione, nella preghiera e nel rendimento di grazie. „ Allorché ci assale il timore che le cose nostre volgano male e l’anima nostra è sopraffatta da sollecitudini moleste ed è in preda al turbamento, solleviamo gli occhi a Lui che tutto vede e può; a Lui, che ci è sempre vicino e ci ama teneramente, e come figli a padre amoroso, apriamogli l’anima nostra con l’orazione; e se la tempesta dell’anima non cessa, instiamo più fortemente nella orazione, che allora diventa preghiera. Qui è notata la differenza tra orazione e preghiera; la preghiera è l’orazione con insistenza, con ardore, e quando incalza il bisogno, deve pur crescere la nostra orazione e diventare preghiera. – Se Dio ci esaudisce, noi gli porgeremo rendimento di grazie per l’ottenuto beneficio: se per gli occulti consigli della sua sapienza, Egli ritarda l’esaudimento della nostra preghiera e ci lascia ancora in balia della tempesta, noi lo ringrazieremo egualmente, perché ci conforta col suo aiuto, perché ciò vuole a nostro maggior bene e perché la sua volontà benedetta è pur sempre la nostra legge inviolabile. Non dimentichiamo mai, o carissimi, questo sì prezioso insegnamento dell’Apostolo: in ogni cosa ricorriamo a Dio; la preghiera è il farmaco dell’anima afflitta, è l’àncora della nostra salvezza. – L’Apostolo chiude il tratto della epistola per noi citato con questo augurio, che non potrebb’essere più bello: “E la pace di Dio, che supera ogni mente, custodisca i vostri cuori e le vostre menti in Gesù Cristo. „ La pace! Non vi è cosa che suoni più dolce ai nostri orecchi, che maggiormente si desideri e che più studiosamente si conservi quanto la pace. Tutti cerchiamo, tutti vogliamo la pace: tutti la salutiamo come il sommo bene che si possa avere quaggiù. Che è dessa la pace? Fu definita da sant’Agostino: “Tranquillitas ordinis — Tranquillità dell’ordine! „ Quando serbiamo l’ordine, che è quanto dire, osserviamo la giustizia con tutti, allora abbiamo la pace. Noi tutti abbiamo dei doveri verso noi stessi, verso i nostri simili, verso Dio. Abbiamo doveri verso noi stessi, che ci impongono di vegliare sui pensieri e sugli affetti nostri, di reprimere le passioni scomposte che ci travagliano, la superbia, l’amore sregolato dei beni della terra, la sensualità, l’intemperanza, l’invidia, l’ira e via dicendo. Vogliamo noi la pace con noi? Ebbene: ristabiliamo l’ordine nell’anima nostra, le passioni ribelli siano ridotte alla ubbidienza, vi regnino le virtù e legge nostra sia la fede, che regoli ogni nostro atto. — Abbiamo doveri coi nostri simili e quanti son padri, sono madri, sono figli, padroni, servi, ricchi, poveri; adempia ciascuno i suoi doveri, sempre e fedelmente: esercitando i nostri doveri, vediamo di non offendere quelli degli altri; pieni di compatimento e di amore vero ed operoso verso di tutti, cerchiamo il bene altrui come il nostro, ed avremo l’ordine, cioè la pace coi fratelli nostri. — Abbiamo doveri con Dio, e sono i primi e il fondamento degli altri; osserviamo la sua legge, temiamo il suo giudizio, amiamolo, come il Padre nostro, non facendo mai cosa che lo possa offendere, ed avremo l’ordine e la pace con Dio. Oh la pace! come la può avere colui che vive in peccato, che sa d’avere per nemico Dio stesso? Un uomo che sa d’avere commesso un delitto e di meritare l’estremo supplizio; che sa d’avere sulle sue orme gli esecutori della giustizia, che lo cercano, non ha un’ora di pace. Ogni rumore, ogni stormire di foglie, la vista d’un uomo che muove alla sua volta, tutto lo turba, lo agita, lo riempie di sospetto e di terrore. É l’uomo che sa d’aver offeso Dio onnipotente, a cui non può sfuggire; Dio, che lo attende e lo coglierà all’estremo passo; questo uomo potrà mai aver pace? É impossibile. Quegli solo ha la pace, la pace di Dio, la pace cioè che viene da Dio, il quale signoreggia le sue passioni, ama i fratelli come se stesso, che fugge il peccato, che vive nella grazia di Dio. Uomo avventurato! Questa pace, tesoro di tutti preziosissimo, custodirà la sua mente ed il suo cuore, gli farà gustare anche sulla terra quanto dolce e soave è il Signore con quelli che lo amano!

Graduale
Ps LXXIX:2; 3; 79:2

Qui sedes, Dómine, super Chérubim, éxcita poténtiam tuam, et veni. [O Signore, Tu che hai per trono i Cherubini, súscita la tua potenza e vieni.]

Qui regis Israël, inténde: qui dedúcis, velut ovem, Joseph. [Ascolta, Tu che reggi Israele: che guidi Giuseppe come un gregge. Allelúia, allelúia.]

Alleluja

Allelúja, allelúja,

Excita, Dómine, potentiam tuam, et veni, ut salvos fácias nos. Allelúja. [Suscita, o Signore, la tua potenza e vieni, affinché ci salvi. Allelúia.]

Evangelium
Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem

Gloria tibi, Domine!

Joann l: XIX-28

“In illo tempore: Misérunt Judæi ab Jerosólymis sacerdótes et levítas ad Joánnem, ut interrogárent eum: Tu quis es? Et conféssus est, et non negávit: et conféssus est: Quia non sum ego Christus. Et interrogavérunt eum: Quid ergo? Elías es tu? Et dixit: Non sum. Prophéta es tu? Et respondit: Non. Dixérunt ergo ei: Quis es, ut respónsum demus his, qui misérunt nos? Quid dicis de te ipso? Ait: Ego vox clamántis in desérto: Dirígite viam Dómini, sicut dixit Isaías Prophéta. Et qui missi fúerant, erant ex pharisæis. Et interrogavérunt eum, et dixérunt ei: Quid ergo baptízas, si tu non es Christus, neque Elías, neque Prophéta? Respóndit eis Joánnes, dicens: Ego baptízo in aqua: médius autem vestrum stetit, quem vos nescítis. Ipse est, qui post me ventúrus est, qui ante me factus est: cujus ego non sum dignus ut solvam ejus corrígiam calceaménti. Hæc in Bethánia facta sunt trans Jordánem, ubi erat Joánnes baptízans.”

Laus tibi, Christe!

Omelia II

(Mons. G. Bonomelli, Omelie ut supra, Omelia VI)

“I Giudei di Gerusalemme mandarono dei sacerdoti e dei leviti per domandare a Giovanni: Tu chi sei? Ed egli confessò e non negò, e confessò: Non sono io il Cristo. Ed essi gli domandarono: Chi sei dunque? Sei tu Elia? E disse: Non lo sono. Sei tu il profeta? E rispose: No. Essi dunque gli dissero: Chi sei? affinché diamo risposta a coloro che ci hanno mandati: che dici tu di te stesso? Egli rispose: Io sono la voce di colui, che grida nel deserto: Raddrizzate la via del Signore, come disse Isaia profeta. – E i messi erano farisei. E lo interrogarono e gli dissero: Perché dunque tu battezzi, se non sei Cristo, né Elia, né il profeta? Giovanni rispose loro, e disse: Io battezzo con  acqua, ma in mezzo a voi è presente chi voi non conoscete: egli è colui che viene dopo di me, ma che è stato innanzi a me, del quale io non sono degno di sciogliere i lacci dei calzari. Queste cose avvenivano in Betania, di là del Giordano, dove Giovanni battezzava. „ (Giov. I, 19-28).

Voi ora, o carissimi, avete udito nella nostra lingua il Vangelo che la Chiesa ci fa leggere nella Messa di questa Domenica terza d’Avvento. Prima di cominciare la spiegazione del testo evangelico, che è piana e facilissima, giova conoscere il perché di questa solenne ambasceria, che il gran Consiglio di Gerusalemme mandò a Giovanni. A quei giorni era generale l’aspettazione del Messia nel popolo ebreo, e per riflesso, ancorché in proporzioni molto minori, anche presso i gentili. Le tradizioni antiche, sempre vive in Israele, e più ancora gli oracoli dei profeti sì chiari, indicavano essere ormai giunto il tempo in cui il Salvatore del mondo doveva comparire in mezzo agli uomini. Di questa aspettazione comune d’Israele, vi sono prove indubitate negli Evangeli, che qui non occorre riportare: della aspettazione d’un grande personaggio presso i gentili, precisamente al tempo di Cristo, sono testimoni due celebri storici, Tacito e Svetonio, per tacere d’altri documenti. Nessuna meraviglia pertanto, che allorquando Giovanni Battista uscì dal deserto e venne sulle rive del Giordano, predicando la penitenza, non pure il popolo, ma i capi stessi del popolo, entrassero seriamente in dubbio, Giovanni stesso dover essere l’aspettato Messia. Il nascimento miracoloso di Giovanni, la sua dimora nel deserto, l’austerità della sua vita, il suo linguaggio sì franco con tutti, anche coi potenti, che ricordava quello di Elia, il tutto insieme che circondava quell’uomo, dovevano naturalmente scuotere le fantasie popolari e per rimbalzo richiamare sopra di lui l’attenzione dei principali uomini della sinagoga. – Molti e massimamente quelli che erano stati al Giordano e l’avevano veduto e udite le sue parole di fuoco, si domandavano: Giovanni non sarebbe egli stesso il Messia, che attendiamo? La fama di Giovanni in poco tempo crebbe a dismisura, e la credenza, che lui stesso fosse il Messia si propagò per guisa che i capi della sinagoga, sia per secondare l’opinione popolare, sia perché essi ancora ne dubitassero e volessero chiarire il dubbio e raddrizzare il giudizio della moltitudine, deliberarono di mandare a Giovanni una solenne ambasciata, provocandolo a dire pubblicamente chi egli fosse. E qui comincia la narrazione dell’evangelista S. Giovanni e la spiegazione che vi debbo dare. Non vi sia grave udirla attentamente. – “I Giudei di Gerusalemme mandarono dei sacerdoti e dei leviti per domandare a Giovanni: Tu chi sei? „ Questa ambasciata, composta, come dirà più innanzi il Vangelo, di sacerdoti e di leviti, doveva essere numerosa e grandemente autorevole. È troppo naturale supporre, che gran folla accompagnasse quella missione, perché il nome di Giovanni era già celebre, e perché vivissimo doveva essere il desiderio in tutti di udire una risposta esplicita, che avrebbe dissipato ogni dubbio. Per il popolo giudaico il Messia era tutto, perché in lui si incentravano i vaticini dei profeti, si compivano i riti, i sacrifici, la legge di Mosè e i voti tutti dei padri suoi. Pensate dunque aspettazione grandissima del popolo di udire la risposta di Giovanni. Sempre così, o dilettissimi. Qualunque fatto tocca fortemente il sentimento religioso, in qualunque tempo e luogo, i popoli si scuotono e sembra che sopra di loro passi il soffio di Dio. E ciò che accade anche ai nostri tempi, che pur si dicono (ed in parte è vero) tempi di indifferenza religiosa. Fate che si sparga la voce, in un luogo qualunque essersi manifestato alcun che di straordinario, una immagine, una statua aver mosso gli occhi, aver versato lacrime, e andate dicendo, e voi vedrete tosto commuoversi i popoli, accorrere d’ogni parte per vedere, per udire, per accertarsi del fatto, e in mezzo alla folla dei devoti troverete non pochi, che non sono religiosi e nemmeno credenti; anch’essi vogliono vedere ed udire e subiscono l’influenza del movimento popolare. E perché tutto questo? Perché la indifferenza religiosa vera e totale non esiste, e perché in fondo alla natura umana rimane sempre indistruttibile il sentimento religioso, come indistruttibile è la ragione. Vi riflettano i liberi pensatori e si persuadano, che è opera vana e stolta quella di distruggere il sentimento religioso: lo svieranno, lo tramuteranno in superstizione, ma non lo annienteranno mai, ed essi stessi, se si esamineranno bene, troveranno di credere sempre qualche cosa e più che per avventura non vorrebbero. Ritorniamo al racconto evangelico. – “I messi dissero a Giovanni: Tu chi sei? „ Credo che quei messi avranno indirizzato a Giovanni un discorso e forse anche abbastanza lungo, richiedendolo per bel modo, che volesse dire chi egli era. L’Evangelista, come è suo costume, restringe la domanda dei messi al puro necessario e fa loro dire seccamente: Tu chi sei? “E Giovanni confessò e non negò, „ dice il Vangelo. Confessò cioè che non era egli il Cristo, com’essi credevano. Vedete schiettezza e franchezza singolare di linguaggio. Confessò, cioè disse ciò che doveva dire, non negò nulla della verità. Giovanni conosceva l’opinione del popolo e forse degli stessi messi, che inclinavano a credere lui essere il Messia, e perciò di tratto tolse loro ogni dubbio, protestando: “Sappiatelo bene, non sono io il Cristo. „ Uomo ammirabile questo Precursore! Egli poteva tacere, dissimulare, rispondere in modo indiretto e lasciar credere che fosse il Messia ed accettare, in parte almeno, l’onore sommo che gliene sarebbe venuto. Un uomo debole, che vagheggia l’onore e la gloria (e pochi sono quelli che siano immuni da questa febbre) avrebbe ceduto alla terribile tentazione; ma il Battista non esita un istante, e prima che gli si domandasse in termini s’egli era il Messia, innanzi a tutti protesta: “No, non sono io il Messia, il Cristo. „ Ammiriamo tanta altezza di virtù, guardiamoci dall’aura sì carezzevole della vanità, imitiamo il Precursore, respingendo generosamente qualunque lode non dovuta, amando la verità, la sola verità. I messi, attoniti a risposta sì recisa, ripigliano e interrogano il Precursore, dicendogli: “Sei tu Elia? „ Gli Ebrei sapevano che Elia doveva venire sulla terra e precedere il Signore e, confondendo la prima con la seconda venuta di Gesù Cristo, gli fecero quella domanda: “Sei tu Elia? „ E Giovanni con la stessa franchezza, in modo da togliere ogni dubbio, rispose ” Non lo sono. „ È vero: Gesù Cristo, parlando di Giovanni, presso S. Matteo, dice ch’egli è Elia: Ipse est Elias. Ma con quella espressione volle soltanto significare, che Giovanni allora andava innanzi a Lui come più tardi Elia gli sarebbe andato innanzi nella seconda venuta, e che Giovanni aveva la stessa virtù e lo stesso spirito di Elia. Instavano ancora i messi per avere una risposta esplicita intorno alla sua persona, giacché fin qui Giovanni non aveva fatto che negare di essere Cristo od Elia. — Gli dissero: “Sei tu il profeta? „ Notate che i messi non gli domandarono se era profeta od un profeta, ma sì “il profeta”, indicando con questo articolo “il” un profeta determinato, conosciuto ed aspettato dal popolo. Chi era o poteva essere questo profeta? Riferisce S. Giustino M. (Dial. contro Trifone), che era credenza del popolo ebraico, il Messia a principio dover restare nascosto per qualche tempo e che un profeta l’avrebbe fatto conoscere. Perciò i messi chiesero a Giovanni se era egli stesso questo profeta. Era questa una creazione della fantasia popolare o forse una alterazione dell’idea del Precursore. Giovanni rispose nettamente, come era da aspettarsi: “No. „ Nostro Signore nel Vangelo c’insegnò che il linguaggio dei suoi seguaci deve essere semplicemente : “È, è; no, no. „ Le tergiversazioni, le reticenze, le mezze bugie, che sono sì comuni, sono affatto contrarie a quella sincerità e schiettezza, che deve essere il carattere del Cristiano. Giovanni Battista con le sue risposte sì chiare e franche previene l’insegnamento di Gesù Cristo. – Amate sempre, o carissimi, la sincerità e la vostra lingua ignori la doppiezza e la menzogna, ricordevoli della sentenza dello Spirito santo: “La lingua che mentisce uccide l’anima sua. „ Allora i messi strinsero più da vicino Giovanni, e dissero: “Chi sei tu dunque? Affinché possiamo dare risposta a coloro che ci hanno mandato? Che dici di te stesso? „ Allora, stretto a dire chi era, rispose: “Io sono la voce di colui che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri. „ Voleva dire: Io sono colui che fu annunziato da Isaia, che vo innanzi al Signore che viene; io devo preparare il popolo a riceverlo e formargli i primi discepoli. Giovanni ha l’ufficio di preparare il popolo alla venuta di Gesù Cristo e condurre a lui i discepoli. È questo pure l’ufficio del parroco, del sacerdote. Come Giovanni, egli deve ammaestrare il popolo, intimargli la penitenza, richiamarlo dalla mala via, condurlo a Gesù! Se suo ufficio è quello di ammaestrarvi, correggervi, guidarvi a Gesù Cristo, dover vostro è certo quello di ascoltarlo, di lasciarvi correggere e guidare a Gesù Cristo. Il nostro dovere è legato al vostro inseparabilmente. ” Ed i messi, soggiunge Giovanni, appartenevano ai farisei, „ cioè erano sacerdoti e leviti della setta dei farisei; e chi fossero i farisei lo dirò in luogo più opportuno. I messi non si accontentarono delle risposte di Giovanni, ma col fatto mostrandosi veramente farisei, cioè uomini cavillosi e superbi, arrogandosi una certa autorità sopra il Battista, gli dissero: “Perché dunque battezzi se tu non sei il Cristo, ne Elia, né il profeta? „ Era un dire a Giovanni: Tu non avresti diritto di battezzare, cioè di usare quella cerimonia nuova, che hai istituita. Voi sapete che Giovanni battezzava nel Giordano quelli che lo domandavano. Era una cerimonia nuova, io credo, istituita da Giovanni stesso: gli uomini discendevano nel fiume e Giovanni spargeva acqua sopra di loro: era una cotal confessione dei loro peccati, era un dire che avevano bisogno d’essere mondati, era un chiedere perdono delle proprie colpe, ed alcuni, come apparisce dal Vangelo, le confessavano pubblicamente. E manifesto che il battesimo di Giovanni era ben altra cosa del Battesimo di Gesù Cristo, ma lo adombrava. – Giovanni a quella domanda insolente rispose con umiltà: “Io battezzo con acqua: ma in mezzo a voi è presente chi voi non conoscete. „ Il mio battesimo, così in sostanza il Precursore, è cosa da poco: non è che un po’ d’acqua versata sul capo di chi lo vuole: non ha virtù di cancellare i peccati, perché non ha la virtù dello Spirito Santo, che solo può cancellarli: il mio è battesimo di sola acqua, è un semplice rito, è una implicita confessione di essere peccatore, è un atto di umiltà, come sarebbe per es. coprirsi il capo di cenere: ma vi è in mezzo a voi un altro, che battezza nell’acqua e nello Spirito Santo: il mio non è che la figura di quello. — Chi lo darà? Colui, del quale io annunzio la venuta, l’Agnello, che toglie i peccati del mondo. — E qui Giovanni coglie occasione di far conoscere il Messia e di muovere un rimprovero a quelli che ancora non lo conoscevano. Colui che battezzerà, cancellando i peccati, è già venuto, sta in mezzo a voi e voi non lo conoscete. Se l’aveste cercato, di certo l’avreste trovato, poiché Dio fa sempre conoscere la verità a chi la cerca con amore e semplicità. E proseguendo a parlare del Messia per adempire l’ufficio suo di precursore e per invogliare i messi a cercare di lui, Giovanni dice: Volete sapere chi è il Messia, il Cristo, che aspettate e che è in mezzo a voi? “Egli viene dopo di me, „ cioè è nato dopo di me, e noi sappiamo dal Vangelo che Gesù Cristo nacque sei mesi dopo Giovanni. Viene sei mesi dopo di me per ragione della origine umana, ma sappiate, che “è stato prima di me, „ ossia è da più di me, sta sopra di me. In questa sentenza Giovanni abbastanza chiaramente afferma che Gesù era anche prima di essere uomo, che era Dio. Egli è sì grande, continua il Precursore, ch’io rispetto a lui “non sono degno di sciogliere i legacci dei suoi calzari. „ Era ufficio degli schiavi sciogliere al padrone i legacci dei calzari. Quale amore della verità e quale sentimento di umiltà in questo uomo straordinario! A noi sembra che quei messi venuti apposta da Gerusalemme per accertarsi se Giovanni era o non era il Messia, udendo da lui stesso che non lo era, ma che il Messia era venuto ed era in mezzo a loro, non conosciuto, a noi sembra, dico, che dovessero tosto dire a Giovanni: Deh! tu che lo conosci, ci insegna dov’Egli è, che di presente andremo a lui e gli renderemo il dovuto onore —. Era cosa sì naturale e voluta, non che altro, dalla più volgare curiosità. Eppure non ne fu nulla: non si curarono tampoco di chiedergli un solo indizio per riconoscere il Messia, che era il sospiro dell’intera nazione. Mistero inesplicabile di cecità, che si ripete continuamente sotto i nostri occhi. Quanti, in mezzo a noi vivono dimentichi di Dio, di Gesù Cristo, dell’anima loro! Non si curano nemmeno di sapere se Dio esiste, se Gesù Cristo è veramente il Figliuolo di Dio e il Salvatore del mondo! La Chiesa, come già il Precursore, grida incessantemente: “Fate penitenza: Gesù Cristo è in mezzo a voi: vi aspetta, vi invita al perdono: correte a lui, che è la verità e la vita; a lui, che toglie i peccati tutti del mondo. „ E tanti anche tra i Cristiani che fanno? Non se ne danno per intesi; continuano nella loro indifferenza, nelle loro tresche, nei loro stravizzi, nei loro scandali! Cecità questa anche più inesplicabile di quella dei Giudei, perché allora Gesù Cristo non si era ancora manifestato, né aveva operate le meraviglie che operò dopo e continua ad operare nella Chiesa. Dio ci guardi sempre dal cadere in tanta e sì inscusabile cecità! “Queste cose, conchiude l’Evangelista, avvennero in Betania, dove Giovanni battezzava. „ Questa non è la Betania, castello di Lazzaro, Marta e Maddalena, ma è un’altra Betania, posta sulla riva sinistra del Giordano, dove stava il Precursore, anche pel comodo dell’acqua, per battezzare le turbe, che traevano a lui. Carissimi! ci stia sempre dinanzi alla mente l’esempio di sincerità, di umiltà, di franchezza e di zelo ardente di Giovanni e studiamoci di imitarlo.

CREDO

Offertorium
Orémus
Ps LXXXIV:2
Benedixísti, Dómine, terram tuam: avertísti captivitátem Iacob: remisísti iniquitatem plebis tuæ. [Hai benedetto, o Signore, la tua terra: liberasti Giacobbe dalla schiavitù: perdonasti l’iniquità del tuo popolo.]

Secreta
Devotiónis nostræ tibi, quǽsumus, Dómine, hóstia iúgiter immolétur: quæ et sacri péragat institúta mystérii, et salutáre tuum in nobis mirabíliter operétur. [Ti sia sempre immolata, o Signore, quest’ostia offerta dalla nostra devozione, e serva sia al compimento del sacro mistero, sia ad operare in noi mirabilmente la tua salvezza.]

Communio
Is XXXV:4.
Dícite: pusillánimes, confortámini et nolíte timére: ecce, Deus noster véniet et salvábit nos. [Dite: Pusillànimi, confortatevi e non temete: ecco che viene il nostro Dio e ci salverà.]

Postcommunio

Orémus.
Implorámus, Dómine, cleméntiam tuam: ut hæc divína subsídia, a vítiis expiátos, ad festa ventúra nos præparent. [Imploriamo, o Signore, la tua clemenza, affinché questi divini soccorsi, liberandoci dai nostri vizii, ci preparino alla prossima festa.]

Ite, Missa est.
R. Deo gratias.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.