L’ANNO ECCLESIASTICO

DIVISIONE DELL’ANNO ECCLESIASTICO.

(Messale Romano di Bertola e De Stefani; L.I.C.E. Ed. – Torino, 1950)

L’anno ecclesiastico comincia con la prima Domenica d’Avvento e finisce il Sabato che segue l’ultima Domenica dopo Pentecoste. Si compone di stagioni o Tempi liturgici chiamati Ciclo del tempo o Proprio del Tempo. Il suo scopo è di mostrarci nostro Signore nel quadro tradizionale dei grandi misteri della nostra Religione. – Contemporaneamente a questo ciclo se ne svolge un altro che è secondario: lo si chiama Ciclo del Santi o Proprio dei Santi, perché si compone di tutte le feste delle anime sante, che Dio associò a Gesù nell’opera della Redenzione.

I. — CICLO DEL TEMPO.

Questo ciclo è diviso in due parti che sono il ciclo di Natale e il ciclo di Pasqua. Ognuno di essi si suddivide a sua volta in tre tempi: l’uno precede, l’altro accompagna, il terzo segue queste due grandi feste, ed hanno il fine di prepararvi l’animo, di farle celebrare solennemente e dì prolungarle poi per parecchie settimane.

A. — Il Ciclo di Natale o dell’Incarnazione.

1) Il Tempo d’Avvento (dal latino adventus), si compone di 4 settimane che ci fanno aspirare coi Patriarchi e i Profeti alla venuta del Salvatore.

2) Il Tempo di Natale ci presenta la Nascita del Verbo Incarnato, che si riproduce in noi con la grazia e la sua Epifania o manifestazione al mondo.

3) Il Tempo dopo l’Epifania conta da due a sei settimane, che ci ricordano la vita nascosta di Nazaret e ci manifestano la sua Divinità.

B. — Ciclo di Pasqua o della Redenzione. Questo ciclo essendo dipendente dalla luna pasquale, comincia fra queste date, estreme, del 18 Gennaio e del 22 Febbraio.

La festa di Pasqua, centro di tutto l’anno, si celebra sempre nella domenica dopo il 14° giorno della luna di marzo. Si conta questo 14° giorno a partire dal 21 marzo. Se la luna piena fosse prima del 21, la luna pasquale sarebbe la seguente: donde uno sbalzo talvolta d’un mese; cioè Pasqua si celebra fra le date estreme del 22 marzo e de! 25 aprile.

1) Nove settimane preparano alla grande festa di Pasqua. E  sono divise in tre Tempi:

a) Il Tempo della Settuagesima, che dura tre settimane, ci prepara già in qualche modo al mistero pasquale, e, con la Quaresima che viene dopo, ci dà una sintesi della vita pubblica di Gesù.

b) Il Tempo della Quaresima, che comincia il mercoledì delle ceneri, ci fa partecipare mediante 40 giorni di penitenza, al digiuno di 40 giorni di nostro Signore nel deserto ed alla sua vita apostolica.

c) Il Tempo della Passione, che comprende le due ultime settimane di Quaresima, ci mostra durante 15 giorni le ultime sofferenze di Cristo e la sua agonia sulla Croce, affinché noi possiamo morire con Lui ai nostri peccati.

2) Il Tempo Pasquale ci fa celebrare la più grande fra tutte le feste: Pasqua e la sua ottava privilegiata, affinché la nostra anima risusciti con Cristo e viva, durante le cinque settimane seguenti con Gesù che istituisce la Chiesa e sale al Cielo nel giorno dell’Ascensione. La festa di Pentecoste viene a chiudere questo Tempo con la discesa dello Spirito Santo nelle nostre anime.

3) Il Tempo dopo la Pentecoste ci mostra per 24 o 28 domeniche le fioriture di santità che lo Spirito Santo e l’Eucarestia faranno nascere nella Chiesa e nei suoi Santi sino alla fine del mondo, epoca questa ricordata dalla ventiquattresima domenica dopo Pentecoste.

II. — CICLO DEI SANTI.

Pio X, nella sua bolla Divino Afflatu, ci indica la gerarchia che dobbiamo osservare nella celebrazione delle feste dei Santi che vengono ad intercalarsi, nel corso dell’anno, fra i grandi misteri del ciclo Cristologico.

Il primo posto è per la Madonna.

Poi vengono i Santi Angeli; e quindi, conforme all’ufficio più o meno intimo ch’essi ebbero nel piano dell’Incarnazione, S. Giovanni Battista, precursore del Messia; S. Giuseppe, S. Pietro e S. Paolo e gli altri Apostoli il cui culto era una volta solenne.

Le feste dei Santi d’una Nazione, d’una Diocesi, d’un Paese, d’una Parrocchia, d’un Ordine o Congregazione religiosa sono pure elevati al primo grado per la riconoscenza dovuta a questi Santi Protettori.

Vengono quindi le feste della Dedicazione delle chiese, e quelle dei Martiri, dei Pontefici (cioè dei Papi o Vescovi), dei Dottori (cioè dei Padri della Chiesa, interpreti più autorizzati della parola divina), dei Confessori (di quelli cioè che con la loro vita e con le loro dottrine hanno reso testimonianza a Dio), delle Vergini e delle Sante Donne. – Le più importantie numerose solennità di questo ciclo mattono, per il posto che occupano – specialmente nel tempo dopo la Pentecoste – in piena luce il ciclo riservato a Gesù, poiché è mediante Cristo che il mondo dev’essere ricostruito: «instaurare omnia in Christo».

 

1. — DELLA OCCORRENZA E DELLA CONCORRENZA DELLE FESTE.

Da questo movimento simultaneo del ciclo del Tempo e del ciclo dei Santi nascono incontri di feste del Tempo e dei Santi che prendono il nome di occorrenza, quando due feste sono assegnate al medesimo giorno, e di concorrenza, quando i secondi Vespri di una festa si incontrano con i primi Vespri della seguente. ( I primi Vespri si dicono la vigilia ed i secondi nel giorno della festa).

Nel caso di occorrenza, la festa meno privilegiata cede all’altra, nel caso di concorrenza la più degna prevale sull’altra e se esse sono dello stesso grado, si dividono i Vespri, cioè a cominciare dal Capitolo i Vespri sono del giorno seguente.

2. — DEL RITO E DEI GRADI DELLE FESTE.

Le feste assegnate a ciascun giorno dell’anno non sono uguali in importanza e in solennità. La Chiesa stabilisce la loro dignità con un rito speciale e con gradi differenti. Il rito di una festa consiste nella forma che la costituisce. E sono tre principali:

1° Il rito doppio, così chiamato perché si raddoppiano le antifone ripetendole cioè per intero sia prima che dopo ciascun salmo dell’Ufficio.

— Nelle Messe di questo rito (a meno che non vi siano commemorazioni di uno o più santi) non vi è che una sola orazione.

2° Il rito semidoppio, nel quale prima del salmo non si dice che l’inizio dell’antìfona (la quale sarà poi detta interamente dopo il salmo). Nelle Messe di questo rito vi sono sempre tre orazioni.

3° Il rito semplice.

I gradi di una festa consistono nella maggiore o minore solennità che le conviene.

Perciò si distinguono:

I doppi di prima classe

I doppi di seconda classe

I doppi maggiori

I semidoppi

I doppi minori

I semplici

3. — LE DOMENICHE DI PRIMA E DI SECONDA CLASSE

LE DOMENICHE ORDINARIE,

a) Le Domeniche di prima classe sono:

la prima Domenica d’Avvento e le 4 Domeniche di Quaresima;

la Domenica di Passione e la Domenica delle Palme;

la Domenica di Pasqua;

la Domenica in Albis (prima dopo Pasqua);

la Domenica di Pentecoste.

Queste dieci Domeniche non cedono il posto a nessun’altra Festa.

  1. b) Le Domeniche di seconda classe sono:

La seconda, la terza e quarta di Avvento;

Le Domeniche di Settuagesima, Sessagesima e Quinquagesima

Queste Domeniche non cedono il posto che ai doppi di prima classe;

c) Le altre Domeniche dell’anno cedono il posto alle Feste di prima e di seconda classe, come pure alle Feste di nostro Signore, ma prevalgono sopra ogni altro Doppio maggiore o minore e semidoppio. La Feste doppie sono allora semplificate: se ne fa solamente commemorazione alla Messa e nell’Ufficio.

4. — LE OTTAVE PRIVILEGIATE COMUNI E SEMPLICI.

Se il rito doppio di prima classe ha l’Ottava questa può esse

I.Una ottava privilegiata

a) di primo ordine (Pasqua e Pentecoste), durante la quale non è ammessa la celebrazione di nessun’altra festa, ma solo la commemorazione ed anche questa è esclusa nel lunedì e martedì.

b) di secondo ordine (Epifania e Corpus Domini) durante la quale si possono celebrare soltanto le feste di rito di prima classe e nel giorno Ottavo ammette solo una festa di prima classe, e nel giorno ottavo ammette solo una festa di prima classe della Chiesa universale. In questi casi si fa la commemorazione dell’Ottava.

c) di terzo ordine (Natale, Ascensione e il Sacro Cuore) che giorni durante l’Ottava ammette tutte le feste superiori al semplice, ma nel giorno Ottavo non cede che a una festa di prima e di seconda classe. Si fa sempre commemorazione dell’Ottava.

II. — Una Ottava comune.

Hanno questa Ottava:

1° le seguenti feste della Chiesa universale: Immacolata Concezione; Assunzione; Natività di S. Giovanni Battista; Solennità di San Giuseppe; Ss. Apostoli Pietro e Paolo; Tutti i Santi. – 2° Le feste primarie delle Chiese particolari. – 3° Per privilegio qualche altra festa. Questa Ottava ammette la celebrazione delle stesse feste che le Ottave privilegiate di terzo ordine. Si omette la memorazione dell’Ottava nei doppi di prima e seconda classe, non però nel giorno ottavo.

Quando il rito doppio di seconda classe ha l’Ottava, questa è:

Una Ottava semplice.

Dell’Ottava semplice si celebra solo il giorno ottavo e con rito semplice (S. Giovanni Ap., S. Stefano, ecc.). Se occorre una festa di rito superiore si fa la commemorazione, eccetto che nella festa

di rito di prima classe. .

5. — LE FERIE PRIVILEGIATE E NON PRIVILEGIATE.

Le ferie seno giorni liberi nei quali non si celebra alcuna festa. La Quaresima, che un tempo serviva di preparazione al Battesimo, amministrato nel giorno di Pasqua, possiede una Messa speciale per ogni Feria, cioè per ogni giorno della settimana. – Nelle ferie che non hanno Messa propria, si celebra la Messa della Domenica precedente.

a) Le ferie maggiori privilegiate sono:

Il Mercoledì delle Ceneri e tutti i giorni della Settimana Santa.

Queste ferie prevalgono su ogni altra festa.

b) Le ferie maggiori non privilegiate sono:

Quelle dell’Avvento, della Quaresima (dopo il Mercoledì delle Ceneri), di Passione (prima della Domenica delle Palme), delle Quattro Tempora dì Settembre ed il lunedì delle Rogazioni. Se ne fa sempre la commemorazione e si legge il loro Vangelo in fine della Messa.

In queste ferie, nelle Quattro Tempora dell’Avvento e nelle Vigilie Comuni (v. N° 6, b) se si fa l’Ufficio di un Doppio maggiore o minore o di un Semidoppio, nelle Messe private si può leggere la Messa della feria o della vigilia con la Commemorazione della festa, oppure la Messa della festa con la Commemorazione della feria o della vigilia.

La Commemorazione di tutti i fedeli Defunti esclude (anche se trasferita al giorno seguente, quando il 2 Novembre cade in Domenica) le Feste sia occorrenti che trasferite di qualsiasi rito.

6. — LE VIGILIE.

Le vigilie, o veglie, preparano con ufficio speciale la celebrazione della festa del giorno successivo. Alcune sono caratterizzate dalla penitenza e spesso da uffici più lunghi e dal colore violaceo dei parati. Vi sono vigilie:

a) Privilegiate:

di prima classe: vigilia di Natale e di Pentecoste che non cedono il posto a nessuna festa.

di seconda classe: vigilia dell’Epifania che non ammette che le feste di prima e seconda classe e di nostro Signore.

b) Comuni ordinarie: Apostoli, ecc.

7. LE MESSE VOTIVE.

Messe Votive si chiamano quelle che si celebrano, nei giorni prescritti dalle Rubriche, indipendentemente dall’Ufficio dei giorno e sono state istituite per soddisfare il voto o desiderio della stessa S. Chiesa, dei fedeli che le domandano, e del Celebrante medesimo.

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DIVISIONE SCHEMATICA DELL’ANNO ECCLESIASTICO

A. — CICLO DI NATALE

MISTERO DELL’INCARNAZIONE.

PREPARAZIONE

(Par. Violacei)

I. Tempo di Avvento (dalla 1a Dom. di Avvento al 24 dicemb.) – 4 Domen.

CELEBRAZIONE

(Par. Bianchi)

Natale

Epifania

II.Tempo di Natale   (dal 24 dic. Al 13 gennaio)      2 Domen.

PROLUNGAMENTO.

(Par. Verdi)

III. Tempo dopo l’Epifania)    (dal 14 gennaio alla Settuagesima) 6 Dom.

 

B. — CICLO DI PASQUA.

MISTERO DELLA REDENZIONE.

PREPARAZIONE

(Par. Violacei)

I. remota (Tempo di Settuag.) da Settuagesima alle Ceneri 3 Domen.

II. prossima (Tempo di Quares.)  dalle Ceneri alla Dom. di Passion         4 Domen.

III. immediata (Tempo  di Passione ) dalla Dom. di Passione a Pasqua               2 Dom.

CELEBRAZIONE

IV. Pasqua (Par. Bianchi)

Pentecoste ed Ottava (Par. Rossi)

(Tempo Pasquale) da Pasqua alla Trinità – 7 Dom.

PROLUNGAMENTO

(Par. Verdi)

V. Tempo dopo Pentecoste dalla Trinità all’Avvento                   – Domen. 24

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE I MODERNISTI APOSTATI DI TORNO: FIDENTEM PIUMQUE ANIMUM DI S. S. LEONE XIII

Ancora una volta il Santo Padre Leone XIII, propone il Santo Rosario, come argomento di una sua lettera enciclica. Quella che può sembrare una “fissa”, in realtà, oggi soprattutto, si rivela come l’unico potentissimo rimedio dei nostri mali attuali, sociali, economici, materiali e soprattutto spirituali. Naturalmente parliamo del Santo Rosario pregato  nella Chiesa Cattolica, dai “veri” Cattolici uniti al Papa, S. S. Gregorio XVIII, successore del suo omonimo Gregorio XVII. Anche gli scismatici liberi-sedevacantisti, i tesisti anti-teologici del mezzo-Papa, i fallibilisti masso-gallicani, i settari della chiesa gnostico-satanica dell’uomo del Vaticano II, pregano con il Rosario, ma oltre che grazie materiali, che il Signore concede pure agli atei, ai miscredenti, ai massoni delle conventicole, ai maomettani e finanche al suo popolo deicida, il Signore non può concedere. Ci riferiamo alle grazie spirituali, quelle che riguardano la salvezza eterna, la perseveranza finale, la conservazione della fede Cattolica, la buona morte del penitente, il premio finale della corona immarcescibile in Paradiso … quelle si ottengono solo come “cittadini della Città di Dio”, la Chiesa Cattolica, ai quali soli la Vergine fa da Madre, avvocata e “acquedotto” di grazie, secondo la felice espressione di San Bernardo. Oggi tutti si affannano a trovare rimedi per ovviare ai mille gravissimi problemi della nostra era, rimedi che tutti, irrimediabilmente, si dimostrano inefficaci o addirittura peggiorativi. Leone XIII, per esperienza personale e come Vicario di Cristo, nonché Capo visibile della Chiesa, l’unica fondata dal Figlio di Maria Immacolata, ci ricorda invece che l’unico valido ed infallibile rimedio di tutti i mali dell’umanità, mali causati dall’azione del nemico infernale, comunque camuffato ed oggi in versione gay-clargy-man, è l’azione presso Dio della Vergine, sollecitata dalla preghiera a Lei più gradita: il Santo Rosario. Ed allora, dopo la lettura della lettera, approfittiamo pure noi di questa “arma potente” per sconfiggere i mali personali e della società in cui viviamo, senza dimenticare la speciale intenzione per la Gerarchia Cattolica ed il Santo Padre, Gregorio XVIII.

FIDENTEM PIUMQUE ANIMUM

LETTERA ENCICLICA
DI SUA SANTITÀ


LEONE PP. XIII

Ai Patriarchi, Primati, Arcivescovi, Vescovi ed altri Ordinari locali che hanno pace e comunione con la sede Apostolica.

Il Papa Leone XIII.

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Abbiamo avuto spesso occasione, durante il Nostro sommo Pontificato, di dare pubbliche prove di quella fiducia e di quella pietà verso la santissima Vergine, che abbiamo nutrito fino dai più teneri anni, e che poi Ci siamo studiati di alimentare ed accrescere in tutta la Nostra vita. Infatti, essendoCi trovati in tempi infausti per la cristianità e pericolosi per la stessa società civile, abbiamo facilmente compreso quanto fosse utile raccomandare col massimo calore quel baluardo di salvezza e di pace che Dio, nella sua grande misericordia, volle dare all’umanità nella persona della sua augusta Madre, e che rese poi insigne nei fasti della Chiesa per una serie non interrotta di favorevoli avvenimenti. Molti popoli cattolici hanno corrisposto alle Nostre esortazioni e ai Nostri voti con sollecitudine, specialmente ravvivando la devozione verso il Rosario, con un’abbondante messe di splendidi frutti. Tuttavia Noi non possiamo desistere dall’esaltare la Madre di Dio, che è veramente “degnissima di ogni lode”, e dal raccomandare un tenero amore verso di lei, che è anche Madre degli uomini, e che è “piena di misericordia e piena di grazia”. Anzi, quanto più il Nostro animo, affaticato dalle sollecitudini apostoliche, sente avvicinarsi l’ora della partenza, tanto più fiduciosamente volge il suo sguardo a Colei che è come l’aurora benedetta, dalla quale sorse il giorno di una felicità e di una gioia senza tramonto. Ci rallegra, Venerabili Fratelli, il ricordo delle Lettere periodicamente scritte per raccomandare il Rosario, tanto gradito a Colei che si vuole onorare, e tanto utile a coloro che lo recitano bene; ma non è meno caro al Nostro cuore avere ancora la possibilità di riaffermare insistentemente il Nostro proposito, anche perché, ciò facendo, abbiamo un’ottima occasione per esortare paternamente le menti ed i cuori ad un sempre maggiore attaccamento alla religione, e per rinvigorire in essi la speranza delle ricompense immortali.  – Alla forma di preghiere della quale parliamo, fu posto l’appropriato nome di Rosario, quasi per esprimere nello stesso tempo il profumo delle rose e la grazia delle corone. Tale nome, mentre è indicatissimo a significare una devozione per onorare Colei che, giustamente, è salutata “Mistica Rosa” del Paradiso, e, cinta di una corona di stelle, è venerata come Regina dell’universo, sembra anche simboleggiare l’augurio delle gioie e delle ghirlande celesti offerte da Maria ai suoi devoti.  – E l’affermazione appare ancora più evidente, se si considera la natura del Rosario mariano. Nulla, infatti, ci è più raccomandato dai precetti e da gli esempi di Cristo Signore e degli Apostoli, quanto l’obbligo di invocare Dio e di supplicare il suo aiuto. I Padri poi e i Dottori della Chiesa insegnano che questo dovere è di tale importanza che invano confiderebbero di conseguire l’eterna salvezza coloro che lo trascurassero. Ma, sebbene chi prega, per la virtù stessa dell’orazione e per la promessa di Cristo, abbia la possibilità di impetrare le grazie divine, tuttavia, come tutti sanno, la preghiera trae la sua maggiore efficacia principalmente da due condizioni: dall’assidua perseveranza, e dall’unione di molti nella stessa orazione. La prima condizione viene messa chiaramente in evidenza dalle amorevoli insistenze di Cristo: “Chiedete, cercate, bussate” (Mt 7,7), a somiglianza di un ottimo padre, il quale vuole sì accogliere i desideri dei suoi figli, ma gode pure sentirsi da essi a lungo pregato, anzi quasi tormentato dalle loro suppliche, per legare sempre più strettamente a sé i loro cuori. Circa l’altra condizione, lo stesso Signore, in varie circostanze, ha proclamato: “Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio la concederà” perché “dove due o tre persone sono riunite nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,19-20). Da tale insegnamento trasse ispirazione quella vigorosa sentenza di Tertulliano: “Ci raccogliamo insieme in adunanza ed in società, quasi per prendere d’assalto Iddio con le nostre preghiere; è questa una forma di violenza, ma da Dio molto gradita”[1]. È inoltre degno di menzione ciò che scrive l’Aquinate: “È impossibile che non siano esaudite le preghiere di molti insieme, quando esse formano quasi una sola orazione”[2].  – Ambedue queste condizioni si trovano perfettamente congiunte nel Rosario.  – In esso infatti — per tacere di altre riflessioni — col nostro ripetere le stesse preghiere ci sforziamo di implorare dal Padre celeste il suo regno di grazia e di gloria; e supplichiamo insistentemente la Vergine Madre affinché conceda il suo aiuto a noi peccatori durante tutta la nostra vita e nella nostra ora estrema, che è la porta dell’eternità. La stessa forma del Rosario, poi, si presta ottimamente per la preghiera in comune; tanto che, a ragione, esso fu chiamato anche “Salterio mariano”. Si mantenga pertanto religiosamente o si richiami in onore l’usanza che tanto fiorì presso i nostri antenati, quando le famiglie cristiane, nelle città e nelle campagne, consideravano come un sacro dovere il raccogliersi la sera, dopo le fatiche della giornata, davanti ad un’immagine della Vergine, per recitare il Rosario con alterna lode. Ed ella si compiaceva tanto di questo fedele e concorde omaggio che, come una madre tra la corona dei suoi figli, assisteva quei suoi devoti, ed elargiva loro il dono della pace domestica, come presagio di quella del Cielo.  – Fu appunto riflettendo sull’efficacia di questa preghiera in comune che, fra le molte altre Nostre disposizioni sul Rosario, abbiamo esplicitamente dichiarato “che era Nostro vivo desiderio che esso fosse recitato ogni giorno nelle cattedrali delle singole Diocesi, e tutti i giorni festivi nelle Chiese parrocchiali”[3]. Si osservi dunque con costanza e diligenza tale Nostra disposizione, e con soddisfazione constatiamo che detta pratica si diffonde e si congiunge ad altre pubbliche manifestazioni di pietà, come, per esempio, ai pellegrinaggi ai santuari più insigni: consuetudine che si afferma sempre più e che è da raccomandare. – Inoltre, codesta unione di preghiere e di lodi mariane presenta anche altri aspetti, che danno tanta gioia e utilità alle anime. Noi stessi — Ci piace qui ravvivarne il ricordo — abbiamo avuto modo di farne l’esperienza in alcune particolari circostanze del Nostro Pontificato, quando eravamo nella Basilica Vaticana, circondati da una folla immensa di fedeli di ogni categoria, i quali, uniti a Noi nelle intenzioni, nella voce e nella fiducia, attraverso i misteri del Rosario e le orazioni supplicavano con zelo la potentissima Ausiliatrice del popolo cristiano.  – E chi mai vorrà ritenere eccessiva e biasimare la grande fiducia risposta nell’aiuto e nella protezione della Vergine? Certamente sono tutti d’accordo nell’ammettere che il nome e la funzione di perfetto Mediatore non convengono che a Cristo, perché egli solo, Dio e uomo insieme, riconciliò il genere umano col sommo Padre: “Uno solo è il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù che diede se stesso in riscatto per tutti” (1Tm 2,5.6). Ma se “nulla vieta”, come insegna l’Angelico, “che qualche altro si chiami, sotto certi aspetti, mediatore tra Dio e gli uomini, in quanto dispositivamente e ministerialmente coopera all’unione dell’uomo con Dio”[4], come sono gli angeli, i santi, i profeti e i sacerdoti del vecchio e del nuovo testamento, senz’alcun dubbio tale titolo di gloria conviene, in misura ancora maggiore, alla Vergine eccelsa. Nessuno infatti può immaginare un’altra creatura che abbia compiuto o sia per compiere un’opera simile alla sua nella riconciliazione degli uomini con Dio. Infatti, fu lei che per gli uomini, volti all’eterna rovina, generò il Salvatore, quando all’annuncio del mistero di pace, portato dall’Angelo sulla terra, diede il suo ammirabile assenso, “in nome di tutto il genere umano”[5]. Ella è Colei “da cui nacque Gesù”, sua vera Madre, e perciò degna e grandissima “Mediatrice presso il Mediatore”.  – Siccome questi misteri sono proposti con ordine nel Rosario alla meditazione e alla contemplazione dei fedeli, ne segue che in questa preghiera risplendono i meriti di Maria nell’opera della nostra riconciliazione e della nostra salvezza. Nessuno può sottrarsi ad una soave commozione ogni volta in cui rivolge la mente a lei, sia quando visita la casa di Elisabetta per dispensarvi i divini carismi, sia quando presenta il Figlio suo pargoletto ai pastori, ai re, a Simeone. E che deve dirsi quando si consideri che il Sangue di Cristo, sparso per noi, e le membra sulle quali egli mostra al Padre le ferite ricevute, “come pegno della nostra libertà”, non sono altro che carne e sangue della Vergine? In realtà: “La carne di Gesù è carne di Maria; e, sebbene magnificata dalla gloria della risurrezione, tuttavia la natura di questa carne rimase e rimane quella stessa che fu presa a Maria”[6].  – Ma, come abbiamo altra volta ricordato, il Rosario produce un altro notevole frutto, adeguato alle necessità dei nostri tempi. Questo: che, in un’epoca in cui la virtù della fede in Dio è esposta ogni giorno a tanti pericoli ed assalti, il Cristiano trova nel Rosario mezzi abbondanti per alimentarla e raffozarla.

Le sacre Scritture chiamano Cristo “autore e perfezionatore della fede” (Eb 12,2). “Autore”, perché egli stesso ha insegnato agli uomini un grande numero di verità in cui credere, specialmente quelle che riguardano lui, nel quale “abita tutta la pienezza della Divinità” (Col 2,9); e per di più, con la grazia e quasi con l’unzione dello Spirito Santo, concede generosamente il dono della fede. “Perfezionatore”, perché nel Cielo, dove convertirà l’abito della fede nella chiarezza della gloria, egli renderà evidenti quelle cose che gli uomini, nella loro vita mortale, hanno percepito come attraverso un velo. Ora tutti sanno che, nella pratica del Rosario, Cristo ha quel posto di preminenza che gli compete. Noi, meditando la sua vita, contempliamo quella privata nei misteri gaudiosi, quella pubblica in mezzo a gravissimi disagi e dolori che lo portano alla morte, e, infine, quella gloriosa che dalla sua trionfale risurrezione arriva fino all’eternità di lui, che siede alla destra del Padre. E siccome è necessario che la fede, per essere degna e perfetta, si manifesti esteriormente, “poiché con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza” (Rm 10,10), nel Rosario troviamo anche un eccellente mezzo per professare la nostra fede. Infatti, con le preghiere vocali di cui esso s’intesse, possiamo esprimere la nostra fede in Dio, Padre nostro provvidentissimo, nella vita futura, nella remissione dei peccati, nei misteri dell’augusta Trinità, del Verbo incarnato, della divina maternità ed in altre verità. Orbene, nessuno ignora quanto grandi siano il valore ed il merito della fede: seme sceltissimo che oggi fa sbocciare i fiori di tutte quelle virtù che ci rendono graditi a Dio, e che un giorno produrrà frutti che dureranno in eterno: “Il conoscere te è perfetta giustizia, e il sapere la tua giustizia e la tua potenza è radice d’immortalità” (Sap XV,3).  – Qui sembra opportuno un richiamo ai doveri di quelle virtù, che la fede giustamente impone. Tra queste è la virtù della penitenza, di cui è una manifestazione l’“astinenza”, doverosa e salutare per più di un motivo. Se la Chiesa mostra, su questo punto, sempre maggiore mitezza verso i suoi figli, è però loro dovere compensare con altre opere meritorie la sua materna indulgenza. Ora, anche a tale scopo, Ci piace, in primo luogo, inculcare la pratica del Rosario che può produrre buoni frutti di penitenza, specialmente con la meditazione delle sofferenze di Cristo e della Madre sua.  – A coloro, dunque, che si sforzano di raggiungere il loro bene supremo, per un mirabile disegno della Provvidenza viene offerto l’aiuto del Rosario: aiuto più facile e più pratico di qualsiasi altro. Infatti basta una conoscenza, anche modesta, della Religione, per imparare a recitare con frutto il Rosario; inoltre, esso richiede così poco tempo che non può davvero recare pregiudizio ad altri affari. Ciò è confermato da opportuni e luminosi esempi della storia sacra, dove si legge che vi furono, in ogni tempo, molte persone che, sebbene ricoprissero uffici molto gravosi, o fossero assorbite da faticose occupazioni, tuttavia non tralasciarono, neppure per un giorno, questa pia consuetudine. – Ciò si spiega con quell’intimo sentimento di pietà che trasporta le anime verso questa sacra corona, sino ad amarla teneramente e a considerarla come inseparabile compagna e sicuro sostegno. Stringendola nella suprema agonia, esse ne traggono un dolce auspicio per il raggiungimento dell’“immarcescibile corona di gloria”. A tale auspicio giovano grandemente i benefìci della “sacra indulgenza”, purché di essi si abbia la dovuta stima: di tali benefìci il Rosario fu in larga misura dotato dai Nostri Predecessori e arricchito da Noi stessi. Non vi è dubbio che queste indulgenze, quasi dispensate dalle mani della Vergine misericordiosa, giovano molto ai moribondi e ai defunti, in quanto affrettano loro le gioie della sospirata pace e della luce eterna.  – Ecco, Venerabili Fratelli, i motivi che Ci spingono a non desistere dal lodare e dal raccomandare ai cattolici una forma così eccellente di pietà, tanto utile per arrivare al porto della salvezza. Ma a ciò siamo mossi anche da un’altra ragione di straordinaria importanza, sulla quale abbiamo già più volte manifestato il Nostro pensiero con Lettere ed Allocuzioni.  – SentendoCi, cioè, ogni giorno più fortemente stimolati e spinti ad operare dall’ardente desiderio — acceso in Noi dal Cuore santissimo di Cristo Gesù — di favorire la riconciliazione dei dissidenti, comprendiamo che questa mirabile unità non può essere meglio preparata e realizzata che in virtù della preghiera. Abbiamo presente l’esempio di Cristo, il quale supplicò lungamente il Padre, perché i seguaci della sua dottrina fossero “una cosa sola” nella fede e nella carità. Della validità della preghiera alla santissima Madre sua, finalizzata a questo scopo, esiste un’ampia documentazione nella storia apostolica. In essa, nella quale viene ricordata la prima riunione dei Discepoli, in supplichevole attesa della promessa effusione dello Spirito Santo, si fa speciale menzione di Maria, in preghiera con essi: “Tutti questi perseveravano concordi nell’orazione con Maria, Madre di Gesù”. Come, dunque, la Chiesa nascente giustamente si unì nella preghiera a lei — fautrice e nobile custode dell’unità —, è quanto mai opportuno che altrettanto si faccia ai nostri giorni in tutto il mondo cattolico, specialmente durante il mese di ottobre, che Noi, già da lungo tempo, abbiamo voluto dedicato e consacrato alla divina Madre, con la recita solenne del Rosario, per implorarne l’aiuto nelle presenti angustie della Chiesa. Si accenda dunque, dappertutto, l’ardore per questa preghiera, con lo scopo precipuo di ottenere la santa unità. Nulla potrà essere più soave e più gradito a Maria. Unita intimamente a Cristo, ella soprattutto desidera e vuole che coloro che hanno ricevuto il dono dello stesso battesimo, da lui istituito, siano anche uniti da una stessa fede e da una perfetta carità con Cristo, e tra loro medesimi. – Che i misteri augusti di questa fede, mediante il Rosario, penetrino così profondamente nelle anime che noi possiamo “imitare ciò che essi contengono, ed ottenere ciò che promettono!”.  – Frattanto, in auspicio dei divini favori, e a testimonianza del Nostro affetto, accordiamo di gran cuore a ciascuno di voi, al vostro clero ed al vostro popolo, la Benedizione Apostolica.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 20 settembre 1896, anno decimonono del Nostro Pontificato.

LEONE PP. XIII

(1) Apologet. c. XXXIX.

(2) In Evang. Matth. c. XVIII.

(3) Litt. apost. Salutaris ille, datae die XXIV decembr. an. MDCCCLXXXIII.

(4) III, q. XXVI, aa. 1, 2.

(5) S. Th. III, q. XXX, a. 1.

(6) S. Aug., De assumpt. B.M.V., c. V, inter opp.

… et IPSA conteret caput tuum!!!