LO SCUDO DELLA FEDE (XXXIX)

[A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S.E.I. Ed. Torino, 1927]

LO SCUDO XXXIX.

IL PAPA.

Visibilità della Chiesa e spirito privato del protestantesimo. — Istituzione divina del Papato. — S- Pietro a Roma. — Autorità del Papa. — Sua infallibilità. — Necessità della medesima. — Anche di fronte ai Concili!. — Un’infallibilità pontificia non è un dogma nuovo? — E i Papi che hanno errato? — E quelli malvagi?

— È dunque proprio vero che Gesù Cristo nel fondare la sua Chiesa ha inteso di fondare una società visibile?

Non se ne può avere il minimo dubbio. Già fin dai tempi antichi i profeti avevano annunziato che Gesù Cristo avrebbe creato una società visibile a guisa di un regno potente, che si sarebbe esteso sino agli estremi confini della terra (V. Daniele, capo II, versetto 44); a guisa di una casa del Signore, che sta sulla vetta dei monti e si solleva sopra tutti i colli, ed alla quale sarebbero accorsi in folla tutti i popoli; a guisa di una città santa, nella quale sarebbero entrate le moltitudini delle nazioni ed i popoli gagliardi (V. Isaia., capo II e LX). Lo stesso Gesù Cristo poi promise durante la sua predicazione, che per la salvezza universale degli uomini avrebbe edificato la sua Chiesa: e parlando di essa la paragonò ad un gregge e ad un ovile, al quale dovevano pervenire tutte le pecorelle disperse per tutto il mondo; ad un banchetto, a cui sono chiamate persone di ogni stato; ad una rete gettata nel gran mare dell’umanità e che piglia ogni specie di pesci; ad un granellino di senapa, che si converte poscia in un albero immenso, nel quale vanno a riposarsi ogni sorta di uccelli; ad un regno di Dio aperto a tutti i popoli della terra.

— Come dunque i protestanti osano negare la visibilità della Chiesa?

Si capisce. Tutto il sistema del protestantesimo si basa sopra lo spirito privato. Essi sostengono cioè che ognuno degli uomini può stare da sé e dipendere direttamente da Dio, il quale illumina ogni uomo intorno a quel che deve credere e a quel che deve operare per mezzo della Bibbia; che perciò non vi è bisogno di nessun’autorità nella Chiesa, la quale ci spieghi e quel che dobbiamo credere e quel che dobbiamo operare. Quindi in conformità a questo suo errore capitale il protestantesimo nega la necessità che la Chiesa di Gesù Cristo sia visibile, nega cioè che debba essere visibile nel suo insegnamento, nel suo culto, nel governo delle anime, nell’autorità dei suoi Pastori e specialmente del Sommo Pontefice, lasciato da Gesù Cristo a governarla visibilmente sulla terra. E ciò esso fa propriamente per poter affermare di sé che, allontanatosi dall’ovile e sottrattosi all’autorità del supremo pastore il Papa, forma nondimeno la Chiesa di Gesù Cristo.

— E non risulta forse chiaro dal Vangelo che Gesù Cristo ha preposto un capo supremo a governare visibilmente la Chiesa?

Risulta chiarissimo. Tu sai che fra i dodici Apostoli suoi riguardò sempre Pietro come il primo di tutti. A lui cambiò il nome di Simone in quello di Cefa ossia Pietra, ad indicare che lo voleva fare la pietra fondamentale della sua Chiesa. Predicò di preferenza dalla barca di lui. Pregò distintamente per lui. Da lui cominciò a lavare i piedi agli Apostoli. Lui fece camminare sulle onde. A lui apparve singolarmente dopo la risurrezione; lui insomma designò chiaramente al disopra di tutti. E tutto ciò è ancor poco, perciocché ben più apertamente Gesù Cristo fece intendere il suo disegno e la sua volontà riguardo a Pietro. Quel dì, che a nome degli altri Apostoli Pietro confessò esplicitamente la Divinità di Lui, Gesù Cristo rivolgendosi ad esso gli disse queste precise parole : « Ed io dico a te, che tu sei Pietro, e sopra di questa pietra fabbricherò la mia Chiesa, e le potenze d’inferno non prevarranno contro di essa giammai. A te io darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che avrai legato sopra la terra sarà legato anche nei cieli, e tutto ciò che in sulla terra avrai sciolto, sarà sciolto anche ne’ cieli » (V. Vangelo di S. Matteo, capo XXVI). – Nell’ultima cena poi rivolto a Pietro, gli dice: « Simone, io ho pregato per te affinché la tua fede non venga meno; e tu una volta ravveduto conferma i tuoi fratelli » (V. Vangelo di S. Luca, capo XXII). E dopo la sua risurrezione apparendo ai suoi discepoli e volgendosi ancora a Pietro, dopo averlo per tre volte interrogato se lo amava ed essersi inteso a rispondere che sì, gli disse due volte: « Pasci i miei agnelli; » ed una terza: « Pasci le mie pecorelle » (V. Vangelo di S. Giovanni, capo XXI). – Ora per negare che in queste sentenze Gesù Cristo abbia costituito Pietro capo, fondamento, clavigero, legislatore, pastore, maestro supremo del suo regno, cioè della sua Chiesa, bisognerebbe far contro allo stesso buon senso naturale.

— E si può essere certi che S. Pietro abbia riconosciuto d’aver ricevuto tale potestà e che gli altri Apostoli e i primitivi fedeli l’abbiano riconosciuta?

Certissimi. Difatti appena salito in cielo Gesù Cristo, Pietro nel cenacolo piglia il primo posto, parla pel primo e propone egli l’elezione di un altro Apostolo in luogo di Giuda il traditore. Nel dì della Pentecoste è egli che pel primo predica la fede di Gesù Cristo e la conferma coi miracoli. In seguito è ancor egli che pel primo avendo convertito i Giudei, va pel primo a battezzare i Gentili. Così è egli Pietro, che stabilisce i primi punti di disciplina e compone qualsiasi dissidio che insorga, tanto che tutta la Chiesa, pastori e fedeli a lui si affidano, lui seguono, lui obbediscono; e lo stesso grande S. Paolo, benché fatto Apostolo direttamente da Gesù Cristo non si tiene pago fino a che non ha fatto confermare il suo apostolato da S. Pietro.

— Ciò va benissimo. Ma non si potrebbe obbiettare che l’autorità che Gesù Cristo conferì a Pietro sia stato un privilegio personale?

Il credere ciò sarebbe lo stesso che credere che Gesù Cristo non abbia voluto che durasse in perpetuo la sua Chiesa, ma che invece con la morte di Pietro si disgregasse e andasse in rovina. Dimmi, a non sovvertire l’idea istessa di famiglia, di stato, di società, non si appalesa a primo aspetto la necessità di un rispettivo capo?

— Sì, senza alcun dubbio.

Dunque se Gesù Cristo voleva che la sua Chiesa durasse perpetuamente quaggiù (e lo volle davvero, perché ha dichiarato apertamente essere sua volontà che tutti gli uomini pervengano al conoscimento della verità), non doveva volere che a conservarsi integra, una, indissolubile vi fosse pur sempre in essa un capo supremo?

— Anche ciò è chiarissimo.

Dunque il primato di Pietro non è un privilegio personale, che abbia a perire con la sua morte; è un privilegio che raccoglierà ogni suo successore, un privilegio che rimarrà in tutti quelli che continueranno il suo Pontificato sino alla consumazione dei secoli, ascendendo quella stessa cattedra romana, sulla quale per divina ispirazione egli andò ad assidersi e ad esercitare il suo supremo potere ed infallibile magistero.

— Mi pare però che si dubiti assai che S. Pietro si sia recato a Roma a stabilire la sua cattedra episcopale.

Oh sì, caro mio, dai protestanti ciò si è messo in dubbio e lo si è negato addirittura, e sempre con questo intento maligno di negare l’autorità suprema del Vescovo di Roma. Ma il fatto della venuta, dimora e morte di San Pietro in Roma, e per conseguenza dello stabilimento della sua sovrana autorità in detta città è di una certezza storica tale, che fa peranche oggi sin ridere il doverlo provare. I monumenti archeologici specialmente, con quelle illustrazioni che ebbero ultimamente dal celebre Giovan Battista de Rossi, forniscono oggi, oltre ad altri innumerevoli, uno dei più convincenti argomenti della verità di tal fatto. D’altronde gli stessi protestanti e razionalisti dei dì nostri, in gran parte, benché non vogliano saperne del primato del Papa, Vescovo di Roma, hanno ancor essi respinto questo errore del vecchio protestantesimo. Dico però solamente in gran parte, perché taluno di essi che passa per la maggiore, come lo storico Ferdinando Gregorovius, osa asserire impudentemente, pur sapendo di mentire, che « la storia non sa nulla di questa presenza dell’apostolo Pietro in Roma, e che perciò non è altro che un fondatore leggendario della comunità romana ». E di ciò è a rincrescere assai, perché certi giovani studenti delle scuole superiori se si imbatteranno in tale asserzione, o se l’intenderanno a fare da qualche loro professore, senza punto darsi la pena di rettificarla con studi appositi, solo perché è l’asserzione di un tedesco, l’accetteranno come oro di coppella, e diranno poi contro la sentenza opposta e dimostrata matematicamente vera: « Ecco un’altra invenzione dei preti ».

— Stia certo che essendo stato posto sull’avviso, ciò non accadrà di me. Ma l’autorità suprema del Papa fu pure sempre riconosciuta lungo il corso dei secoli?

Sempre. Tutti i Padri, tutti i Dottori, tutti i Concilii furono sempre d’accordo nel credere e proclamare che il Papa, il Pontefice romano è il Vicario di Gesù Cristo, il Successore di S. Pietro, il Reggitore e Maestro supremo della Chiesa universale. Ed ogni qualvolta i reggitori e maestri delle Chiese particolari, i Vescovi, si trovarono nel dubbio e nella controversia per riguardo a qualche pratica religiosa o a qualche punto di dottrina fu sempre al Papa che si rivolsero, e fu sempre alla sua decisione che si affidarono ed obbedirono come all’oracolo divino, conoscendo per fede e di fatto che S. Pietro persevera e vive nei suoi successori.

— Vuol dire adunque che il Papa ha il potere di ammaestrare, dirigere e comandare anche i Vescovi?

Senza dubbio. Sebbene i Vescovi siano i successori degli Apostoli, opperò abbiano anch’essi quell’autorità divina, che Gesù Cristo diede agli Apostoli dicendo loro: « Tutto ciò che avrete legato sulla terra sarà pure legato in cielo; tutto ciò che avrete sciolto sulla terra sarà sciolto in cielo; come il Padre celeste ha mandato me, così io mando voi eccetera, eccetera; » non di meno il Papa per essere il Capo supremo della Chiesa, per avere ricevuto da Gesù Cristo l’ordine e il potere di pascere non solo gli agnelli figura dei fedeli, ma eziandio le pecorelle figura dei Vescovi, di confermare nella fede i suoi fratelli, cioè gli stessi Vescovi, perciò ha realmente l’autorità di ammaestrare, dirigere e comandare anche i Vescovi, ed anche i Vescovi devono stare a Lui soggetti.

— E in tal guisa l’autorità dei Vescovi non ne scapita?

No affatto. L’autorità dei Vescovi, che come ti dissi, è pur essa divina, rimane quella che è. Epperò anche i Vescovi nella loro diocesi hanno il potere di ammaestrare nella fede, di conferire la grazia coi Sacramenti, di far leggi conducenti alla salvezza delle anime in particolar modo affidate alle loro cure, di punire con pene adatte alla natura ed indole della Chiesa i figli disobbedienti, e cose simili; ma la loro autorità è sempre subordinata a quella del Pontefice secondo che Gesù Cristo ha voluto, di quella guisa che in un esercito i diversi generali e colonnelli, avendo pur ciascuno una vera autorità, stanno tuttavia soggetti al generale in capo, costituito dal re anche sopra di essi.

— Ho inteso, e sono ora più che convinto riguardo all’autorità del Papa. Ciò che però non capisco ancor bene si è la sua infallibilità. Mi pare impossibile che il Papa, per quanto Papa, non possa peccare come tutti gli altri uomini! e che si debba aggiustar fede ad ogni parola, ad ogni giudizio che egli esprima su qualsiasi soggetto.

Come ? anche tu hai delle idee così storte a questo riguardo? Caro mio, l’infallibilità non è affatto l’impeccabilità come tu, ed altri pensano: la Chiesa non ha mai insegnato ciò; perché il Papa in quanto è uomo potrà anche egli peccare, e dovrà perciò anch’egli gettarsi ai piedi di un altro ministro del Signore per implorare il perdono delle sue colpe. Così pure non è vero assolutamente che l’infallibilità sia legata ad ogni sua parola e ad ogni suo giudizio, che anch’egli, come persona privata, esprimendo il suo parere o sopra la storia, o sopra la scienza, o sopra la filosofia, o sopra la teologia, o sopra la politica, o sopra l’arte, o sopra qualsiasi altra cosa può fallire. L’infallibilità è quella prerogativa, per cui il Papa come Capo della Chiesa, in virtù della promessa di Gesù Cristo, giudicando e definendo dall’alto della sua suprema cattedra cose riguardanti la fede o i costumi, non può cadere in errore, né quindi ingannar se stesso o gli altri. Ecco che cosa è l’infallibilità.

— Tutto ciò va bene; ma io ho sempre udito dire che al mondo non c’è altri infallibile che Iddio!

Perdinci ! Tu mi spari davvero una bomba, ma è bomba di carta. Lo so anch’io che Iddio solo è infallibile, e so anche che Dio solo può conoscere il futuro, che Dio solo può far dei miracoli, che Dio solo può assolvere i peccati e compiere altre simili cose. Ma forse che Dio non può comunicare, quando gli paia e piaccia, questi doni a taluno degli uomini? Forse che non li abbia comunicati? Dunque anche essendo Egli solo infallibile può comunicare al Papa il dono dell’infallibilità e realmente glielo comunica, affinché quando parla come Papa, cioè come Vicario suo e definisce una qualche cosa che riguardi la fede o i costumi non cada in errore.

— Ma quale necessità che Dio partecipi la sua infallibilità al Papa? Io non la vedo affatto.

Non la vedi? Eppure non v’è nulla di più chiaro. Secondo le parole di Gesù Cristo a S. Pietro, ogni Papa deve pascolare agnelli e pecore, deve cioè istruire tutta la Chiesa, e questa deve ricevere i suoi pascoli, i suoi insegnamenti. – Ora se il Papa ne’ suoi insegnamenti circa la fede o i costumi errasse o per ignoranza o per malizia, non sarebb’egli come un pastore, che conduca gli agnelli e le pecore a pascoli avvelenati, un pastore che invece della vita darebbe loro la morte? – Inoltre il Vangelo ci dice che Gesù Cristo pregò pel Capo della sua Chiesa, affinché la sua fede non venisse meno e così potesse confermare in essa i suoi fratelli. Ma potrebbe fare ciò il Papa, se la preghiera di Gesù Cristo non fosse stata dal suo Celeste Padre esaudita, ed il Papa non fosse infallibile nel suo Magistero supremo? – Supponi che nella Chiesa nasca una questione gravissima riguardo a qualche dottrina o a qualche pratica religiosa, questione che assolutamente bisogna decidere per tranquillizzare le coscienze, per illuminarle e dirigerle secondo la verità; si potrebbe fare ciò, se il Papa, capo della Chiesa, appoggiandosi alla promessa di Gesù Cristo non potesse egli decidere in modo infallibile, che si tratta sì o no di una dottrina rivelata, di una pratica conforme o disforme alla legge di Dio?

— Le ragioni che mi adduce sono veramente forti; ma per decidere queste questioni religiose non si sono radunati pel passato e non si possono ancora radunare adesso e in seguito dei Concilii di tutti i Vescovi della Chiesa?

Sì, ciò è vero, ma anzitutto ti osservo che i Concilii ecumenici, ossia generali di tutti i Vescovi, non si possono raccogliere in ogni tempo, né possono essere per loro natura un tribunale permanente. E se la cosa fosse urgente e si esigesse subito una parola chiara, autorevole, che cessi i dissidi e tronchi le lotte, come si farebbe? In secondo luogo tu devi sapere che nessun Concilio può aver valore nella Chiesa se non è ratificato dal Papa, e che le decisioni dogmatiche di un Concilio ecumenico sono infallibili in quanto che in detto Concilio i Vescovi sono congiunti al Papa, capo della Chiesa, il quale, a guisa di sole nel quale s’incentra la infallibilità, la irradia sopra il corpo episcopale a lui unito.

— Vuol dire adunque che un Concilio, fosse pure di tutti i Vescovi del mondo, senza il Papa o contro il Papa, non sarebbe infallibile.

Precisamente così. Il Papa è sempre lui il fondamento della Chiesa, e qualsiasi corpo, fosse pure quello di tutti i Vescovi del mondo, che non si basi sopra il fondamento stabilito da Gesù Cristo, non può partecipare a quella incrollabilità di fede, che Gesù Cristo ha assicurato al detto fondamento.

— Ma il dogma dell’infallibilità del Papa non è ancor esso un dogma nuovo? Dunque i Papi, che esistettero prima di questo dogma, non saranno stati infallibili.

Ricorda quanto già ti ho detto riguardo alla definizione del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria. La Chiesa quando definisce un nuovo dogma non introduce una nuova verità da credere, ma dichiara che una dottrina, che sempre vi è stata nella Chiesa, è una verità rivelata da Dio precisamente perché fa parte della divina rivelazione. Dunque sebbene il dogma dell’infallibilità del Papa sia stato definito soltanto il 18 luglio 1870 nel Concilio Vaticano, perché allora si vide l’opportunità di definirlo, non di meno è una verità sempre esistita e in fondo in fondo sempre riconosciuta, dacché Gesù Cristo disse a San Pietro: « Tu sei Pietro; pascola i miei agnelli e le mie pecorelle; conferma nella fede i tuoi fratelli ».

— Ma pure alcuni Papi in passato non sono caduti in errore? Ho sentito parlare di Liberio, di Marcellino, di Onorio.

Basta, basta; ho già inteso. Ma prima di tutto bisogna ricercare se le cose, che di questi Papi si dicono, siano vere. In secondo luogo bisogna vedere se le cose, quali sono realmente, contengano errori contro la fede o la morale. E da ultimo, qualora ci fossero veramente degli errori, bisogna dimostrare se sono stati profferiti da questi Pontefici come da Papi, nell’esercizio supremo della loro autorità, propriamente per fare una definizione dogmatica, oppure come da dottori privati. Fino a che non si provino queste tre cose, e non si potranno mai provare, è inutile far delle obbiezioni aeree.

— Dunque non è mai accaduto che nella Chiesa vi siano stati dei Papi, che abbiano errato?

No; dei Papi che nell’esercizio supremo del loro ministero abbiano errato, non ve ne sono stati mai, e non mai ve ne saranno. Ed è questa una cosa al tutto mirabile che in sì lungo corso di secoli, con tante e sì svariate dottrine, che i Papi come Capi della Chiesa hanno proposte e definite, non siano mai caduti in alcun errore o contraddizione.

— Ciò che però non mi potrà negare si è che tra i Papi ve ne siano stati anche di quelli malvagi, per esempio un Alessandro VI, nei quali non saprei proprio come vi abbia potuto essere la infallibilità!

Io non ti nego che vi sia stato tra i Papi qualcuno di una vita non dicevole alla sublime sua dignità. Ma che per questo? Se come persone private fallirono, come Pontefici vennero forse meno al loro gravissimo ufficio? No, mai. Lo stesso Alessandro VI, di cui tanti scrittori farisaici inorridiscono, dato pure che la sua vita privata non sia stata sempre buona, non diede mai alcun insegnamento, che pregiudicasse la fede e la morale cristiana. La purità della dottrina anche sotto di lui rimase intatta. – « In ogni epoca, ti dirò col valentissimo storico dei Papi, Dottor Lodovico Pastor, si sono dati nella Chiesa da canto a cattivi Cristiani anche indegni sacerdoti, come tra gli stessi Apostoli vi fu un Giuda. Ma a quella guisa che una cattiva incastonatura non scema il pregio di una gemma, così pure la peccabilità di un sacerdote non può recar scapito essenziale né al Sacrificio ch’egli offre, né ai sacramenti di cui è ministro, né alla dottrina ch’egli insegna. Il perché eziandio il sommo sacerdote (il Papa) non è in grado di togliere alcunché dal merito dei tesori celesti, che gli sono nella loro pienezza affidati e cui egli amministra e dispensa. L’oro rimane oro, sia che lo dispensi una mano pura od impura. Con questi criteri giudicava ormai Leone Magno; « La dignità di Pietro (e si può dire lo stesso della sua infallibilità) non va a scadere né anche in un indegno successore » (V. Storia dei Papi, ecc. di Lodovico Pastor, volume III, pagina 435).

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.