DISCORSO SULL’INFERNO

TERZO PUNTO PER UN TERZO

DISCORSO Sopra l’Inferno.

[Signor J. Billot: Discorsi Parrocchiali –

V Dom. dopo l’Epifania
S. Cioffi Ed. Napoli, 1840, – impr.]

Discedite a me, maledicti, in ignem æternum.

Matth. XXV.

Sarà, questa, Fratelli miei, la sentenza, che Gesù Cristo pronunzierà al fine dei secoli contro i malvagi, che saran morti nei loro peccati: queste terribili, e spaventevoli parole fisseranno per sempre la sorte dei peccatori impenitenti, destinati ad essere le vittime delle vendette del Signore; verranno essi condannati a soffrire eternanente; questa eternità di pene renderà il loro supplizio più rigoroso, e metterà il colmo alla loro infelicità. La speranza fu sempre la consolazione dei miseri nei loro più grandi mali; ma le pene le più leggiere divengono insopportabili, da che si perde la speranza di vederne il fine. Che sarà dunque soffrire pene estreme nel loro rigore, ed infinite nella loro durata? Tali sono le pene dell’inferno; esse sono universali, continue, eterne; la loro eternità niente diminuisce del loro rigore, ed il loro rigore non abbrevia la loro durata; ecco ciò che è, propriamente parlando, l’inferno; imperciocchè se i reprobi, dopo aver sofferto per lo spazio di milioni di secoli i tormenti ancora più violenti di quelli che soffrono, sperar potessero di vederne il fine, l’inferno cesserebbe di esser inferno; la speranza di uscirne un giorno calmerebbe i loro più vivi dolori. Ma ciò che rende somma la loro sciagura, si è che saranno sempre in preda ai mali i più sensibili, con una certezza perfetta, che quei mali non finiranno giammai; ecco ciò che li getta nella più orrenda dispera zione: cominciamo primieramente a dare alcune prove della verità dell’eternità, per farne dipoi conoscere il rigore. Niente di più certo, niente di più rigoroso che l’eternità infelice. Due riflessioni capacissime di fare impressioni salutevoli sopra il cuore, e lo spirito d’ ogni fedele. –

I. Qualunque siate voi, Fratelli miei, ben persuasi della verità che vi predico, perché siete sommessi ai lumi della fede, non è con tutto ciò fuori di proposito di richiamarvi quivi i principi, su cui è appoggiata la vostra fede, per credere questa verità di nostra Religione, o sia per risvegliare la vostra fede, o sia per dissipare le tenebre che certi pretesi spiriti forti cercano di spargere sulle verità le più chiare, che li molestano nel godimento dei loro piaceri. Or la verità, che vi predico in quest’oggi, è sì sodamente stabilita, e sì chiaramente rivelata nelle sante Scritture, che sarebbe un rinunciar alla sua fede il rivocarla in dubbio. Fra i tanti testi, che io potrei riferirvi, mi attengo alle parole della sentenza, che Gesù Cristo pronunzia contro i reprobi nel suo Vangelo. Andate, maledetti, al fuoco eterno: Discedite maledicti in ignem æternum. Niente di più chiaro, niente di più preciso. I castighi dei malvagi dureranno tanto, quanto la ricompensa dei giusti: or la ricompensa dei giusti sarà la vita eterna; la punizione dei malvagi sarà la morte eterna: ibunt hi in supplicium æternum : justi autem in vitam æternam. (Matth. XXV). Siccome Dio ricompensa in Dio i predestinati, così punisce in Dio i reprobi. Tanto che sarà Dio farà Egli la felicità dei Santi nel cielo; tanto che sarà Dio, sarà anche Egli il vendicatore del peccato nell’ inferno. Tale è sempre stata la credenza della Chiesa, che se n’è chiaramente spiegata nelle decisioni de’ suoi concili, e nella condanna dei sentimenti contrari a questa verità. A questi principi di fede aggiungiamo le ragioni, che i Santi Padri, tra gli altri S. Agostino, e S. Tommaso, apportano per provare l’eternità delle pene dell’inferno; queste ragioni fondate sono da un canto sulla giustizia di Dio, e dall’altro sulla natura del peccato. Dio, che è la stessa bontà di sua natura, ha una sì grande avversione del peccato, che non può soffrirlo. Siccome è un male essenzialmente opposto alle sue perfezioni, l’odia necessariamente, e sommamente; e perché il suo odio non è senza effetto, tanto che sussiste il peccato, e che non è cancellato, la sua giustizia richiede che sia sempre punito. Ora nell’inferno il peccato sussisterà sempre, e non verrà mai cancellato. Che cosa si ricerca, infatti, per cancellar il peccato? È necessario, dalla parte di Dio, ch’Egli apra il seno della sua misericordia al peccatore, che gli dia le grazie per convertirsi, ed uscir dallo stato del peccato; onde è necessario dalla parte del peccatore una penitenza sincera, che lo riconcili con Dio. Or nell’inferno non v’è più di misericordia ad aspettare da Dio per peccatore: il tempo delle misericordie è passato; non è che in questa vita, che Dio esercita la sua misericordia: il peccatore non ne ha voluto profittare; egli opposto ne ha abusato mentre viveva sulla terra; non sentirà dunque più nell’inferno, che i flagelli terribili della sua giustizia: in inferno nulla est redemptio. No, nell’inferno non v’è più speranza di perdono; il sangue di Gesù Cristo non colerà più sul peccatore per purificarlo. Non vi saranno più grazie, più Sacramenti a santificarlo. più tempo, più mezzi di salute, di cui possa profittare. Per verità si pentiranno i peccatori dei loro disordini, ne faranno penitenza, ma sarà questa una penitenza inutile, ed infruttuosa; perciocché la penitenza per essere salutevole, deve essere l’effetto della grazia; deve essa venirne come da suo principio; deve ella altresì esser l’effetto di una buona volontà, che si porta a Dio. Ora la penitenza dei peccatori riprovati non sarà l’effetto della grazia, poiché non ne avranno alcuna; ma sarà una penitenza sforzata, che non sarà di alcun merito innanzi a Dio. Quando quegli sgraziati avranno versate tante lagrime, quante vi sono gocce d’acqua nei fiumi, ed in tutti i mari del mondo, mai non cancelleranno un sol peccato; dunque il peccato sussisterà sempre, sarà dunque dalla giustizia di Dio sempre punito … L’altra ragione viene dalla natura medesima del peccato. La malizia del peccato è sì grande, che è infinita; perché, dicono i Teologi, assalta un oggetto infinito che è Dio. Per riparare l’ingiuria che fa a Dio, non è stato necessario meno del sangue, e della vita di un Dio, il quale ha pagato a sue spese la soddisfazione, che esigeva la giustizia dell’eterno suo Padre. Se la malizia del peccato è infinita, merita una pena infinita. Ma non potendo la creatura sopportare una pena infinita nella sua natura, bisogna dunque che questa pena sia infinita nella sua durata; senza di che non vi sarebbe quella proporzione, che la giustizia richiede tra il peccato, e la pena del peccato. Non stiate dunque a dirmi, o peccatori, per rassicurarvi contro gli spaventi di un infelice avvenire, che esser non può che Dio, il quale è sì buono, punisca con una eternità di supplizi il piacere d’un momento, e che non evvi proporzione alcuna tra la colpa, e la pena. Dio è buono, verissimo, Egli è la stessa bontà; ma è giusto, e la sua giustizia domanda che il peccato sia punito con un castigo proporzionato alla sua malizia: ora quantunque il peccato non duri che un momento, la sua malizia è infinita, perché assale un Dio di una maestà infinita. Voi comprender non potete, come il piacere d’un momento può esser punito con una pena eterna; ma comprendete voi forse, come per espiare il peccato, è stato necessario, che un Dio stesso si annientasse, e soffrisse la morte della croce? Io ritrovo l’uno più incomprensibile che l’altro. Che una vil creatura in punizione del peccato soffra un’eternità di pene, è qualche cosa infinitamente meno dei patimenti, e della morte di un Dio divenuto la vittima del peccato? – Ma questo basti per provare la verità, e l’equità dell’eternità disgraziata. Che si creda, che non si creda, essa non è meno certa; questa verità non dipende dalle vostre idee, ella è appoggiata sulla divina rivelazione : guai a coloro che aspettano per crederla di farne l’esperienza. Fissiamoci piuttosto alle salutevoli riflessioni, che il rigore di questa eternità deve in noi produrre per la riforma dei nostri costumi.

II. Sebbene grandi siano i mali di questa vita, non sono per l’ordinario di lunga durata, o se durano lungo tempo, vi è sempre qualche buon intervallo, che ne tempera l’amarezza: ricevesi qualche sollievo, o dal canto di quelli che prendono parte ai nostri mali, o dai soccorsi che uno si procura, o finalmente dalla speranza di vederne il fine. Ma nell’eternità non v’è alcun fine, alcuna consolazione, alcun riposo, alcun alleggerimento a sperare; e quel che è più, questa eternità fa sentirsi ai reprobi tutta intera ad ogni istante. Che cosa più rigorosa, e che cagioni maggior disperazione? Entriamo di primo slancio in quest’abisso immenso dell’eternità: ma come misurare ne possiamo l’estensione, penetrare la profondità? Più io vi penso, più io ne parlo, più trovo a pensare, più trovo cose a dirne. Contate, calcolate tanto che vi tornerà a grado, tanto che l’immaginazione potrà bastare: nulla voi sminuirete giammai dall’eternità. – Sono sei mila e più anni, che il perfido Caino, il primo dei reprobi, è nell’inferno; egli non è più avanzato che al principio e dopo aver ancora sofferto sei mila anni, sei cento mila di millioni d’anni, sarà egli più avanzato nella sua eternità? Nulla di più, che al primo giorno: avrà sempre a soffrire; l’eternità comincerà sempre, e non finirà mai. Quando il reprobo avrà sofferto tanti milioni di secoli, quante vi sono gocce d’acqua nel mare, grani di sabbia sulla terra, non avrà fatto neppure un solo passo nell’eternità; non la sminuirà mai d’un sol momento, rimarrà essa sempre tutta intera. Io vi confesso, Fratelli miei, che il mio spirito si perde e si confonde in questo pensiero dell’eternità. Per darvene ancora qualche idea, supponiamo che di tutte le lagrime, che il reprobo verserà nell’inferno, non se ne prenda che una in ogni secolo per formare fiumi e mari così grandi, come quelli, che noi vediamo sulla terra, e mille mondi più vasti di questo; quanto bisognerebbe di tempo per venir a capo d’una tal impresa? E bene, o peccatori, verrà il tempo (pensatevi bene, e fremete d’orrore) verrà il tempo, che, se voi siete nell’inferno, come vi sarete, se morirete nel vostro peccato, sì, verrà quel tempo, in cui dire potrete: se di tutte lagrime che ho sparse da poi che sono nell’inferno, se ne fosse presa soltanto una in ogni secolo per formare i fiumi e i mari di mille mondi, quegli spazi immensi sarebbero al presente ripieni; e con tutto ciò nulla ho ancora diminuito della mia eternità, io l’ho ancora tutta intera a soffrire, ed io l’avrò sempre nella stessa maniera. Ah! Io vi confesso, peccatori, che se questa riflessione non vi tocca in questo momento, io non so più che dirvi, io dispero della vostra salute. Se almeno questa spaventevole durata dei tormenti interrotta fosse da qualche momento di consolazione, di riposo, di alleviamento, sarebbe essa meno insopportabile. Ma no, quelle pene, che saranno senza fine, saranno continue, immutabili; niuna consolazione, niun riposo, niun alleggerimento vi è a sperare per quelli, che le soffrono. Da chi mai potrebbero quegli infelici ricevere qualche consolazione o qualche aiuto? Sarebbe forse dal canto di Dio? Ma Egli è divenuto loro nemico implacabile, ha perduto per essi il nome di Padre per non conservare, che il titolo di un giudice severo ed inesorabile. Se il reprobo getta dunque gli occhi al cielo per domandare, come il ricco Epulone, una gocciola d’acqua soltanto per rinfrescare la sua lingua abbruciata dagli ardori della sete, questo benché piccolo soccorso gli è severamente ricusato: evvi, gli rispondono, tra voi e noi un muro impenetrabile, che non si potrà giammai passare. Sarebbe forse dal canto delle creature, che il dannato, ricever potrebbe qualche consolazione? Ma esse tutte armate sono contro di lui per tormentarlo. Se getta gli occhi avanti di lui, vede demoni, che come carnefici furiosi non s’applicano, che a farlo soffrire secondo il potere che Dio loro ha dato. Non vi sono più né parenti, né amici, cui possa egli indirizzarsi; sono tutti divenuti irreconciliabili gli uni con gli altri. Il padre ed il figlio, la figlia e la madre, il fratello e la sorella, il marito e la moglie si fanno i rimproveri i più amari, la guerra la più crudele, ed il numero degli sgraziati, che fa una specie di consolazione in questa vita per quelli che lo sono, non farà che accrescere la pena del reprobo nell’inferno. Finalmente non troverà in se stesso consolazione alcuna; troverà all’opposto tutti i motivi del più amaro dolore; nulla vede nel passato, che non l’affligga, nulla nel presente che non l’opprima, nulla nell’avvenire che nol disperi; i suoi dolori sono senza interruzione, senza refrigerio, non avrà neppur un momento di riposo; ben lungi di avvezzarsi ai tormenti con la lunghezza del tempo, saravvi sempre così sensibile durante tutta l’eternità, come al principio, non cesserà mai il fuoco, che brucerà, nulla perderà della sua attività, né la vittima della sua sensibilità. Non cambierà mai di sito, ma sarà sempre attaccato con legami, che non potrà spezzare. Ah! non mi meraviglio dunque d’intendere quegl’infelici chiamare la morte in loro soccorso. O morte, che eri altre volte un oggetto d’orrore, tu faresti adesso le nostre più care delizie! Morte, vieni terminar una vita, che ci è più dura che tutti i tuoi orrori! Morte, vieni a distruggerci, annientarci: ma la morte sarà insensibile ai loro gridi; essa fuggirà sempre da loro: mors fugiet ab eis. O piuttosto verrà ella, ma ciò sarà per farli sempre soffrire, per servir loro di nutrimento: mors depascet eos. Viveranno essi sempre, dice S. Bernardo, per continuamente morire, e continuamente morranno per sempre vivere; e ciò che renderà somma la loro disperazione, si è che ad ogni istante soffriranno tutta intera l’eternità, perché in ogni momento vedranno, che hanno un’eternità intera a soffrire. L’eternità si presenterà incessantemente al loro spirito in tutta la sua estensione, incessantemente quest’oggetto gli occuperà, senza che venir possano un sol momento da qualche altro oggetto distratti. Dirà continuamente il reprobo a se stesso: qualunque progresso abbia io fatto nella spaventevole carriera dell’eternità, non sono più avanzato che al primo giorno. Io non vedrò mai il fine dei miei mali; sempre io piangerò, sempre io gemerò senza mai udir parlar di liberazione. Oh mai spaventevole! Oh funesto sempre! Oh eternità disgraziata! Se gli uomini a te pensassero, mai non si esporrebbero ai tuoi rigori. Imperciocchè donde viene, Fratelli miei, che malgrado ciò, che la fede c’insegna sul rigore, e sulla durata delle pene dell’inferno, d’onde viene, che vi sarà un sì gran numero di reprobi condannati a quelle pene? proviene questa disgrazia dal non pensarvi. Non riguardano gli uomini l’eternità, che in un punto di vista molto lontano; quindi la dimenticanza di questa verità sì propria ad un santo terrore; o se vi pensano alcuni momenti, come avete voi fatto, ben presto dopo si dissipano o negli affari che occupano, e dividono i pensieri della vita, o nelle compagnie in cui si trovano, o nei piaceri che ricercano. Siccome gli oggetti esteriori non basterebbero per distrarci da questo pensiero, l’allontanano quanto possono dal loro spirito, lo discacciano come un pensiero importuno, il quale non è capace, dicono essi, che d’inquietarci, e sconcertarci. Se pensassimo continuamente all’eternità, vi sarebbe, soggiungono, non solo di che spaventarci, ma ancora di che intorbidarci; non passeremmo la nostra vita che nella tristezza e nell’affanno, gustar non vi potremmo alcun piacere. Ed è così, o peccatori, che per godere di una falsa calma nei vostri disordini, allontanate da voi il pensiero dell’eternità per lo falso timore di una molestia, che non sarebbe tale, qual ve l’immaginate, ma che vi diverrebbe salutevole con le amarezze che spargerebbe su i vostri piaceri? Di più, non è forse meglio, che voi siate spaventati e turbati in questa vita dal pensiero dell’eternità, che di soffrirne un giorno tutti gli orrori? Se questo pensiero vi cagiona qualche tristezza, sarà questa una tristezza secondo Dio, tale che l’Apostolo si rallegrava di averla ispirata ai suoi fratelli, perché questa tristezza operata aveva la loro salute: similmente questa tristezza, che vi cagionerà il pensiero dell’eternità, staccandovi dai beni della terra, dai piaceri del mondo, vi salverà, e si cangierà in un’allegrezza, che non potrà alcuno rapirvi.

PRATICHE. Sebbene tristo sia dunque ed amaro il pensiero dell’eternità, nol perdiate giammai di vista: se siete peccatori, niente di più capace ad indurvi a uscire dallo stato del peccato; se siete giusti, niente di più efficace per farvi perseverare nella virtù. Infatti, o peccatori, come potreste voi rimanere un sol momento nel peccato, se voi faceste questa riflessione: se io muoio in questo stato, io sono perduto per tutta l’eternità; l’inferno eterno sarà la mia porzione. Bisogna dunque uscirne prontamente, poiché ad ogni momento posso io venir dalla morte sorpreso, la quale sarà per me un passaggio a quell’infelice eternità. Voi avete pietà di un delinquente, contro cui è sta pronunziata una sentenza di morte; e voi pietà non avrete della vostra anima, che porta seco la sentenza di una morte eterna? Voi temete la giustizia degli uomini, e questo timore vi trattiene dal commettere i delitti, che essi severamente puniscono; e voi non temerete la giustizia di Dio, che perder può il vostro corpo, e la vostr’anima per un’eternità? Dove è la vostra fede, dove è la vostra ragione? Ah! peccatori, abbiate pietà della vostr’anima, e temete almeno altrettanto per essa, quanto temete pel vostro corpo. Voi fremereste d’orrore, se vi annunziassero, che siete condannati ad una prigione perpetua; voi comprar non vorreste al prezzo vostra libertà tutti i tesori della terra; e che cosa è una prigione di pochi anni, che durar deve la nostra vita, in paragone di una prigione eterna? Se questa eterna prigione non dovesse per voi essere più rincrescevole di quella, in cui vi rinchiudesse la giustizia degli uomini: se bisognasse soltanto stare in una positura incomoda durante tutta la vostra vita senza poter mai cangiare di sito, vi sarebbe dunque di che disperarvi; che sarebbe poi se fosse d’uopo dimorarvi per sempre? Che sarà dunque di essere per sempre coricati su gli ardenti carboni dell’inferno? Ecco il vostro posto con tutto ciò, se voi morite nello stato di peccato. Ah! potete voi, torno a dirvi, resistervi un solo istante, addormentarvi tranquillamente sull’orlo del precipizio? Non dovete voi all’opposto cercare la vostra sicurezza in una sincera e pronta conversione? – Per riuscirvi pensate sovente a questa eternità; quo pensiero non vi abbandoni giammai né giorno, né notte. Pensate durante il giorno, che verrà una notte fatale, in cui non si potrà più fare cosa alcuna per la salute; pensatevi la notte, in cui il non poter dormire attender vi fa con impazienza la venuta del giorno; fate ogni mattina, ed ogni sera questo atto di fede: io credo che v’è un’eternità di supplizi, in cui io cadrò infallibilmente, se muoio nel mio peccato. Chiedete a voi medesimi: se mi bisognasse restar quivi durante l’eternità nella medesima positura, come potrei io sostenermi? Che sarà dunque star eternamente sopra letti di fuoco? Ah! crudel peccato, direte voi allora, io ti detesto, io ti rinuncio per sempre, poiché tu solo puoi perdermi eternamente. Se io fossi al presente nella disgraziata eternità, io non ne ritornerei giammai; bisogna dunque, che io profitti del tempo per far penitenza dei miei peccati. – Pensate, o giusti, pensate all’eternità infelice; tal pensiero è efficacissimo per indurvi a fuggir il male, e a perseverare nella pratica del bene. Egli è vero, che le amabilità del Dio che voi servite, le magnifiche ricompense che vi promette, sono motivi più nobili, e soli capaci di unirvi a Lui. Ma non siamo sempre cotanto sensibili a questi motivi, come al timore di una miseria eterna. Non v’ha alcuno, su cui la vista dell’infelice eternità fare non debba salutevoli impressioni. I più gran Santi stessi si sono serviti di questo pensiero per elevarsi alla perfezione. Davide ne faceva il soggetto delle sue più serie riflessioni; egli rivolgeva nella sua mente, egli meditava gli anni eterni: cogitavi dies antiquos, et annos æternos in mente habui. (Psal. LXXVIII) E parimente questo pensiero, che ha renduti invincibili i Martiri nei loro supplizi, che ha condotti gli Anacoreti nei deserti, dove hanno preferito i rigori della povertà, e della penitenza ai beni, ed ai piaceri del mondo, eran essi persuasi che non si potrebbero prendere troppe cautele, dove si tratta dell’eternità. Per la qual cosa nulla hanno risparmiato: hanno sacrificato beni, fortuna, sanità, e la vita medesima per fuggire gli eterni supplizi. Questo pensiero, Fratelli miei, produrrà su di voi i medesimi effetti; esso vi distaccherà dal mondo, e dai suoi piaceri; esso trionfar farà delle tentazioni, domare le passioni le più ribelli. Si presenti pur dunque a voi il mondo con tutte le sue attrattive per indurvi al peccato: io non voglio per resistergli, che questa sola parola, eternità. A quell’istante voi non riguarderete il mondo, che come una figura, che passa, che non merita la vostra attenzione. La carne si sollevi pure contro lo spirito per trascinarvi verso i piaceri vietati; opponetele per vostra difesa questa sola parola, eternità; io sfido l’allettamento del piacere. di tenere contro il pensiero di un fuoco eterno, da cui deve esser seguito, se vi consente. Che? vi direte a voi medesimi nelle tentazioni, per un momento di piacere, un’eternità di supplizi! per un ben fragile, per appagar una passione, arderò io eternamente nell’inferno! No, non v’è né bene, né piacere, che comprare io voglia a questo prezzo. Tutto ceder deve al timore dell’eternità infelice. Quel che accrescer deve ancora questo timore, si è non solamente il rigore e la durata delle pene dell’inferno, ma eziandio il rischio, in cui voi siete di cadervi; mentre questo rischio, Fratelli miei, è più comune, che non si pensa. Che cosa si ricerca, infatti, per meritar l’inferno? Un solo peccato mortale basta per esservi condannato; è questa una verità di fede. Così, benché rassodati voi siate nella virtù, benché favoriti delle grazie del Signore, voi perder potete la sua grazia con un’offesa mortale; e forse quel peccato che voi commetterete, consumerà vostra riprovazione. Forse sarete voi da Dio abbandonati a quel primo peccato, come lo sono stati molti reprobi, come lo sono stati gli Angeli ribelli, cui non ha Iddio dato il tempo di far penitenza. Un solo peccato gli ha precipitati nell’inferno: chi assicurare vi può, che Dio non vi tratterà nella stessa guisa, se voi l’offendete? Chi è in piedi, avverta dunque bene di non cadere, dice l’Apostolo: qui stat, videat ne cadat. Che si ricerca ancora per esporsi ai pericolo dell’ inferno? Ohimè! lo scostarsi per poco dalla strada della salute impegna qualche volta in quella della perdizione. La tiepidezza nel servigio di Dio, la facilità di commettere mancamenti leggieri; ben più, una sola colpa leggiera può condurvi al peccato grave, e quel peccato grave alla dannazione eterna. Quanti reprobi, che da ciò hanno cominciata la loro riprovazione? Il timor dell’inferno scacciar dunque deve la tiepidezza; egli non solo dunque deve farvi evitare le colpe gravi, ma eziandio allontanarvi da tutto ciò, che ha l’apparenza di peccato. Che cosa si ricerca finalmente per meritar l’inferno? La sola omissione dei suoi doveri, il difetto delle buone opere sarà una materia di riprovazione; mentre non crediate già, che non vi saranno altri reprobi, che quelli i quali immersi si saranno nei delitti; forse questo è ciò che rassicura al giorno d’oggi un gran numero di Cristiani, che si credono in sicurezza contro i giudizi di Dio, perché la loro vita non è piena di scelleratezze, perché non si abbandonano ai gran disordini. Ma non vi lasciate sedurre; non solo si va all’inferno per aver fatto il male, ma ancora per non aver fatto il bene. Non dice già il Vangelo, che il ricco Epulone, che è nell’inferno, sia stato un impudico, un ingiusto usurpatore del bene altrui; egli viveva del suo, egli non faceva torto ad alcuno; ma non faceva dei suoi beni l’uso che farne doveva, non soccorreva il povero Lazaro, che languir lasciava alla sua porta: ecco ciò che gli rimprovera il Vangelo. Ci fa sapere lo stesso Vangelo, che il servo inutile fu gettato nelle tenebre per non aver fatto valere il suo talento; prova certissima che una vita priva di buone opere conduce all’inferno. Così il timore di cadervi indurre vi deve a render certa la vostra vocazione con le buone opere ad adempiere fedelmente i doveri del vostro stato, a servir Dio con tutto il fervore, di cui siete capaci, a pregar molto, a visitar le chiese, a frequentar i Sacramenti, a digiunare, a mortificarvi, a far limosine ai poveri, ed altre buone opere, che da voi dipenderanno. Con questo mezzo voi schiverete l’inferno, ed avrete parte nella felicità eterna. Così sia.