LO SCUDO DELLA FEDE (XXXV)

[A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S.E.I. Ed. Torino, 1927]

XXXV.

LA PENITENZA E L’ESTREMA UNZIONE.

Il sacramento della penitenza non può essere stato inventato dai preti. — L’ha istituito Gesù Cristo. — Errore di Lutero nell’attribuirlo a Papa Innocenzo III. — La confessione non è dura, benché apporti una salutare umiliazione. — Il segreto della confessione. — La prudenza nella manifestazione del peccato commesso con altri. — L’estrema Unzione.

— Ed anzitutto la prego di dirmi francamente e magari in confidenza se non sono stati proprio i preti che abbiano inventato questo Sacramento della Penitenza.

Così asseriscono i protestanti e in seguito a loro molti increduli dei giorni nostri, senza neppur sapere che cosa si dicano. Difatti, si provino costoro a dire quali siano stati i preti di che luogo, di che tempo, i quali abbiano fatto questa invenzione? Possibile che la Storia, la quale, se si tratta di quella profana, ci narra per filo e per segno non solo tutte le vicende dei popoli, tutte le loro guerre, tutte glorie, tutte le loro ignominie, ma eziandio tutte le invenzioni, tutte le innovazioni, tutte le riforme che si fecero, e se si tratta di quella ecclesiastica, ci registra minutamente non solo tutte le opere compiute dai Pontefici, dai Vescovi, dai Concili generali e particolari, tutte le istituzioni, tutte le leggi, tutti i decreti, tutte le pratiche devote, ma eziandio tutte le eresie, tutti gli scismi, tutte le novità che si tentò d’introdurre nel seno della Chiesa, non dica assolutamente nulla del quando, del dove, del come i preti introdussero la pratica della confessione? E poi dimmi, se sono stati i preti ad inventare la confessione, non dovevano averci qualche fine! Ora quale interesse ci possono avere? che cosa ci guadagnano? che si paga loro per la confessione? che divertimento vi si pigliano, massime quando devono stare in confessionale delle ore intere, respirando talora certi aliti poco somiglianti all’odor di rosa, quando devono levarsi su di notte, di gelato inverno, per recarsi al letto dei moribondi, quando infine in tempo di colera, di peste, di altre malattie contagiose devono ben anche sfidare la morte? – Di più: se fossero stati essi ad inventare la Confessione non ti pare, che avrebbero dovuto avere la furbizia di esimere se stessi da quest’obbligo, di modo che non si vedesse e non si sapesse, che anch’essi, preti, vescovi, cardinali e Papi vanno a confessarsi? Ah! davvero che per buttare là di cosiffatte calunnie ci vuole fronte ben incallita, tanto più pei protestanti che han sempre il Vangelo in bocca e nelle mani! Perciocché il Vangelo non mostra forse nel modo più chiaro che questo sacramento fu istituito, come tutti gli altri da Gesù Cristo?

— Sarei contento di conoscere ciò con la massima precisione.

Ascolta adunque. Il Vangelo ci narra che Gesù Cristo dopo la sua risurrezione apparso agli Apostoli disse loro: « Come il Padre mio ha mandato me, così Io mando voi. Ricevete lo Spirito Santo. I peccati saranno rimessi a coloro, ai quali li rimetterete, e saranno ritenuti a coloro, ai quali li riterrete » (Vedi Vangelo di S. Giovanni, capo XX, versetti 22, 25). Dalle quali parole non risulta chiaro che è Gesù Cristo l’istitutore del Sacramento della Penitenza?

— Scusi: da tali parole risulterà chiaro che Gesù Cristo ha dato agli Apostoli il potere di rimettere o no i peccati, ma non risulta chiaro che Egli abbia voluto la confessione ossia la manifestazione dei nostri peccati ai sacerdoti.

Lasciami proseguire, e vedrai che risulterà chiaro anche questo. Tu dunque hai già riconosciuto il potere dato da Gesù Cristo agli Apostoli. Ora dimmi, con quale criterio avrebbero dovuto essi esercitare un tale potere? Così a capriccio, a talento, ad impulsi momentanei per modo che possa avvenire che sia perdonato chi non ne è degno, e non sia perdonato chi lo merita?

— Oh ciò non può essere; sarebbe contrario alla ragione, indegno del volere di Dio. Essi avrebbero dovuto esercitare un tale potere secondo le leggi della giustizia e della equità.

Benissimo. Or dunque come giudicare le coscienze, e per quanto è possibile con giustizia ed equità, senza conoscerle? e come conoscerle senza che queste si rivelino, e con esattezza e precisione? In termini più chiari, come l’assoluzione o la negazione della medesima senza la confessione? Né starmi a dire che Gesù Cristo non ne parla espressamente: ciò non era affatto necessario. Se un principe costituisce dei giudici a far le parti sue nell’assolvere e condannare gli accusati, è necessario che dica loro: Badate bene che prima di assolvere o condannare, voi dovete pigliar buona conoscenza dei fatti, obbligando e gli accusati e i testimonii a manifestarveli? No, assolutamente no, perché dal momento che il principe costituisce dei giudici a far le sue veci, ciò intende che si faccia. Or dunque se Gesù Cristo ha dato agli Apostoli e ai loro successori la potestà di assolvere o di non assolvere, Gesù Cristo senza dubbio ha voluto e vuole eziandio che si faccia quanto è necessario al conveniente esercizio di questa potestà. Senza di ciò il potere dato agli Apostoli med ai loro successori non sarebbe che un potere ridicolo. No, non è possibile sfuggire a questo termine sacrilego per Gesù Cristo, se non si crede che Gesù Cristo nel conferire una tale potestà abbia pure implicitamente voluto la confessione auricolare, specifica e precisa, se non si crede insomma che la confessione è opera divina.

— Il suo ragionamento non fa la più piccola piega, e non capisco come i protestanti osino venir fuori a dire che la confessione è invenzione dei preti! Mi pare tuttavia d’aver inteso dire che Lutero l’attribuisse al Papa Innocenzo III, nel Concilio di Laterano IV.

Sì, è così propriamente, ma oggidì gli stessi scrittori protestanti riconoscono che egli volle deliberatamente prendere un solenne granchio, essendoché quel Papa in quel Concilio non ha fatto altro che stabilire con un decreto disciplinare, che i Cristiani giunti all’uso della ragione vadano a confessarsi almeno una volta all’anno. Del resto, se fosse così, non si dovrebbe trovare traccia della confessione prima dell’anno 1215, in cui quel Papa fece tale decreto. E invece fin dai primi secoli del Cristianesimo le prove di sua esistenza e pratica abbondano. Negli Atti degli Apostoli si riferisce che i Cristiani di Efeso convinti del male che avevano fatto nel ritenere dei cattivi libri, andarono ai piedi di S. Paolo a « confessare ed annunziare le opere loro ». S. Clemente, terzo Papa dopo S. Pietro, scrivendo ai Cristiani di Corinto, i quali avevano commessi gravi disordini, li esorta a confessarsi, mentre sono ancora in tempo, perché, egli dice, quando saremo partiti per l’altro mondo, colà non potremo più confessarci. Nel secolo II abbiamo tra le altre la testimonianza di S. Ireneo, vescovo di Lione, il quale parlando di certe donne, dice che prese dalla vergogna dei loro peccati, non avendo osato di confessarsi, caddero nella disperazione. S. Cipriano, vescovo di Cartagine, nella metà del III secolo parla dei Cristiani che si confessano ai Sacerdoti di Dio con dolore e con sincerità, e depongono il peso della loro coscienza, e cercano il rimedio alle loro ferite. Che poi nel IV secolo la Confessione dei peccati fatta ai sacerdoti fosse praticata siccome unico mezzo di ottenerne da Dio perdono, Sant’Ambrogio, vescovo di Milano, lo insegna con le parole e col fatto. Parlando della Confessione, egli scrive: Dobbiamo assolutamente astenerci da ogni sorta di vizio, perché non sappiamo se avremo tempo di confessarci a Dio e al Sacerdote. Il medesimo santo era un abilissimo confessore, onde Paolino, scrittore di sua vita, scrisse: Ogni volta che alcuno andava a confessargli le proprie cadute per ottenerne la penitenza, il santo Vescovo piangeva così, che costringeva al pianto anche il penitente. Nei secoli susseguenti dal quinto al dodicesimo le testimonianze della pratica della confessione si moltiplicano a dismisura, ed io le lascio per non abusare della tua mente, che si stancherebbe nell’udire tante volte ripetuta la stessa cosa. – Vedi adunque se può essere Innocenzo III, nel Concilio Lateranense IV, colui che ha istituito la Confessione! No, caro mio, la confessione non è, non può essere invenzione degli uomini: essa è opera di un Dio.

— Non mi potrà però negare che la confessione sia dura ed umiliante assai.

Ed io non ti voglio negare del tutto che confessarci sia duro ed umiliante. Ma che cos’è tutto ciò di fronte alla grave offesa, che si reca a Dio col peccato? Non poteva Gesù Cristo imporci una condizione più dura e più umiliante ancora? Non sta bene che sia così anche per mettere un ritegno al nostro peccare? D’altronde alla fin fine è tutto ciò che meglio risponde alla natura dell’uomo, che sotto l’oppressione di gravi affanni sente il bisogno di manifestarli altrui per confortarsi e, che riconoscendosi colpevole capisce che non v’ha nulla di più efficace a meritarsi il perdono che manifestarsi spontaneamente tale.

— Non poteva però Gesù Cristo stabilire che noi ci confessassimo a Dio, come dicono appunto di far taluni?

Sì, ma dacché Gesù Cristo nella sua infinita sapienza ha stabilito diversamente, bisogna fare come Egli ha voluto senza inutili ricerche. Del resto in questo caso, che ci avessimo da confessare a Dio, vi sarebbe ancora un’umiliazione adeguata alla superbia del peccato? Che cosa ci costerebbe pentirci in segreto e in segreto confessarci a Dio? Ed in questa umiliazione, che è già da nulla per il nostro spirito, quale castigo subirebbero i nostri sensi che devono pur essere castigati? Sapremmo noi ingiungere loro la dovuta penitenza? Il nostro amor proprio ci lascerebbe agire con giustizia? Il confessarsi adunque a Dio, soltanto, come vorrebbero far taluni, come anzi taluni pretendono di fare (senza però che realmente lo facciano), potrà parere maggior misericordia, ma non sarebbe in realtà, anche solo perché non umiliandoci e castigandoci abbastanza, non ci farebbe abbastanza comprendere la malizia infinita della colpa, né ce la farebbe abbastanza detestare e fuggire per l’avvenire.

— Eppure quelli che si confessano, sento a dire che sono peggiori degli altri.

Eh! via lasciamo un po’ da parte queste false statistiche comparative. Senza dubbio, oltrecchè la confessione non rende impeccabili, non tutti si confessano bene: e quei che si confessano male certo fanno peggio di coloro che non si confessano. Ma se si tratta di coloro, che si confessano bene, com’è possibile che avendo nelle loro opere il freno e l’aiuto della Confessione siano peggiori di coloro, che senza tale freno ed aiuto si danno in piena balia delle loro passioni?

— Certamente lo cosa dev’essere come lei dice. Ora vorrei soddisfatte ancora, riguardo alla confessione, certe mie curiosità. Io so che il confessore è tenuto al segreto e so pure che del segreto della confessione vi sono dei martiri. Non di meno non potrebbe il confessore avvertire i genitori o i superiori del penitente a stare attenti sopra di lui?

Guai, se egli lo facesse! Non può, non deve assolutamente farlo e non lo farà mai.

— Non potrebbe almeno far cenno ai genitori o superiori, che stiano più attenti in quel tempo, in quel luogo, in quella circostanza, in quel dato caso, sopra qualcuno dei loro figli o alunni?

Nemmeno, assolutamente non lo può fare.

— E se il confessore fosse un superiore, per le cose udite in confessione potrebbe togliere al penitente qualche punto di condotta o suggerire che glielo tolgano, oppure tenergli dietro per vedere, se esso fa di nuovo quel male che ha confessato?

Neppure, neppur questo. E a togliere, non dirò questi pericoli, ma anche solo questi sospetti la Chiesa desidera, e direi, vuole di volontà precisa, come apparisce da alcuni suoi decreti, che i superiori non ascoltino le confessioni dei loro dipendenti, se non in casi affatto eccezionali. Insomma è tale e tanto il rispetto che la Chiesa giustamente esige pel segreto della confessione, che se il tuo confessore avesse intesa da te una colpa, che egli, prima ancora che tu la confessassi, già conosceva, perché o l’aveva veduta o gli era stata riferita, dopo che l’ha intesa da te in confessione, si diporterà come se ne sapesse nulla affatto.

— Mi dica ancora; qualora un cotale avesse commesso delle gravi colpe con qualche altro, deve dire al confessore il nome di costui?

No; egli deve accusare se stesso e non gli altri, e nel caso che non gli sia possibile accusare il peccato e le circostanze che ne mutano la specie, senza indicare la persona, con cui fu commesso, si deve manifestare non il nome (e nemmeno l’ufficio o la carica, che copre una tal persona, giacché in certi casi sarebbe lo stesso che dirne il nome), ma la qualità o il grado di parentela, che si ha con la medesima, per esempio fratello, sorella, cugino, un prossimo parente, una persona religiosa, eccetera.

— E se il confessore cercasse un tal nome, minacciando al penitente di negargli l’assoluzione, se non glielo dice?

Il confessore, giova sperarlo, non commetterà mai cosa simile, giacché egli sa che simil cosa darebbe scandalo, recherebbe ingiuria al Sacramento della Penitenza, tenderebbe alla violazione del Sigillo Sacramentale, secondochè ha dichiarato il Sommo Pontefice Benedetto XIV, il quale per di più ha sapientemente sentenziato che quei confessori, i quali avessero l’ardire di insegnarla come lecita o di difenderla, o di sostenerla, incorressero immediatamente nella scomunica riservata al Papa. Quindi il confessore potrà fare benissimo delle interrogazioni, alle quali si è obbligati di rispondere con tutta sincerità, ma salva sempre la regola che ti ho detta circa il nome del compagno della colpa o la designazione del medesimo; epperò qualora per una qualsiasi supposizione accadesse il caso che mi hai fatto, il penitente potrebbe umilmente ricordare al confessore che ciò non occorre, nella certezza che il medesimo, se non v’è altra ragione che questa, non gli negherà l’assoluzione.

— Queste cognizioni mi piacciono assai, perché da una parte mi mostrano con quanta rettitudine e delicatezza la Chiesa voglia sia amministrato questo Sacramento, e dall’altra mi persuadono che certe cose che si dicono e si stampano contro la pratica di questo sacramento sono falsità o calunnie. – Ed ora mi favorisca ancora una parola sul sacramento dell’Estrema Unzione, e mi dica se vi ha cenno di essa nella Santa Scrittura.

Dell’Estrema Unzione così parla San Giacomo (capo V, versetti 14, 15): « Alcuno tra di voi cade infermo? Chiami i sacerdoti della Chiesa, i quali preghino sopra di lui, ungendolo con olio nel nome del Signore; e la preghiera della fede salverà l’infermo, e Iddio gli darà conforto, e se si trova nei peccati gli saranno rimessi ». Dopo di che meritamente si deduce che anche questo Sacramento, senza che il Vangelo lo dica apertamente, sia stato istituito da Gesù Cristo.

— Ma l’amministrazione di questo Sacramento non pare a lei che sia un atto di crudeltà verso del povero infermo, che gli fa conoscere essere vicino a morire?

Pur troppo l’ignoranza e l’indifferenza religiosa dei nostri tempi fa credere a molti così, i quali perciò aspettano a chiamare il prete vicino al loro infermo, quando questi si trova già più nel mondo di là che ancora in quello di qua, con questo falso e sciocco pretesto di non spaventarlo. Ma dimmi un po’,  si ragiona forse così per indurre l’ammalato a fare il testamento? oppure anche solo per fare attorno al suo letto un consulto medico? Del resto quando pure non si potesse fare a meno di recare qualche po’ di commozione all’infermo col fargli venire dappresso il Sacerdote a dargli l’Olio Santo e gli altri Sacramenti,  che poi alla fin fine lo tranquillano e lo confortano ineffabilmente, non conviene di farlo per provvedere con maggior sicurezza alla sua eterna felicità? E il lasciare che l’infermo muoia, come si suol dire sìne luce e sine cruce, a guisa di un cane, ti pare carità, tenerezza, I pietà? Ah! caro mio: quanto importerebbe che certi pregiudizi a questo riguardo scomparissero e non fossimo più contristati da questo doloroso spettacolo di tante morti anticristiane, senza i conforti della fede! Fiat!

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.