IL SACRO CUORE DI GESU’ E I TEMPI PRESENTI

Il Sacro Cuore di Gesù e i tempi presenti.

[A. Carmagnola: IL SACRO CUORE DI GESU’; S.E.I. Ed. Torino, 1920 – impr.-]

 Cuore! Cuore! Ecco una di quelle parole più espressive, più ricche di significati, che maggiormente si odono sulla bocca degli uomini. E Cuore! Cuore! facciamoci a ripetere ancor noi. Ma non già per ricordare il viscere del petto umano, o le sue morali qualità, bensì per rappresentare dinnanzi a noi il viscere del petto divino e le sue grandezze, le sue perfezioni, i tesori del suo amore infinito per noi. Sì, diciamo e ridiciamo pur le cento volte Cuore! Cuore! per farci a conoscere, ad amare, ad imitare, ad adorare il Cuore Sacratissimo di Cristo. E potremo noi far uso migliore della parola Cuore? Potremo meglio riparare in tal guisa l’uso indegno, che di essa si fa in espressioni idolatriche e sacrileghe? Potremo con essa esprimere, significare qualche cosa di più grande, di più bello, di più sublime, di più buono, di più eletto, di più caro! Cuore, Cuore Sacratissimo, Cuore Santissimo, Cuore Divino, Cuore Adorabile, Cuore di Gesù Cristo, ecco adunque la voce, che noi fin da questo momento prenderemo a ripetere senza stancarci mai. E perché? Perché incominciando oggi il mese di giugno, nel quale ricorre la festa del Cuore di Gesù, e che noi, secondo l’uso cristiano ornai universalmente introdotto, consacriamo a questo Cuore istesso, prendevo col più vivo trasporto a parlarne ogni giorno, affine di accenderci ognora più della sua divozione. – Ed oh! a qual opera importante noi ci accingiamo! Oggidì massimamente si muove contro di Gesù Cristo una guerra atroce, ostinata ed implacabile. Si bestemmia orribilmente il suo santo Nome, si disprezza la sua celeste dottrina, si deridono i Sacramenti, frutti benefici del suo amore per noi, si oltraggia la Chiesa da Lui istituita per la nostra salute, si insulta e si fa patire l’Augusto Capo, che Egli vi ha preposto a governarla, e in cento guise diverse si lavora satanicamente a distruggere .nelle anime il regno di Gesù Cristo. Ora, prendendo noi a parlare del suo Sacratissimo Cuore, ne mostreremo, come meglio ci sarà dato, le grandezze, le perfezioni, le prove di carità per noi, e ci industrieremo per tal guisa a mantenere ed accrescere in noi la sua fede, il suo amore e a diffondere altresì questo amore e questa fede nel cuore dei nostri fratelli. E se a ciò riusciremo, oltreché avremo assicurate grazie specialissime di salute a noi, non arrecheremo altresì vantaggi segnalatissimi alla società, in cui viviamo? I tempi, o miei cari, corrono tristi pur troppo, non ostante le più fallaci parvenze del contrario. E la ragione della miseria ed infelicità presente non da altro è causata se non dall’abbandono e dal disprezzo, in cui fu lasciato cadere Gesù Cristo. – La divozione pertanto al suo Cuore Santissimo, che noi praticheremo e che col nostro esempio faremo praticare da altri, sarà uno dei mezzi più efficaci per risollevare la società presente dal suo abisso, e ridonarle la pace e la prosperità. Ed è ciò appunto che voglio dimostrarvi in questo primo discorso. Ma prima di metter mano agli importanti argomenti, che siamo per trattare, preghiamo umilmente il cuore Santissimo di Gesù, che si degni di purificare le nostre labbra e i nostri cuori. Quando Mosè fu per avvicinarsi al roveto ardente, intese da quello uscir una voce che gli disse: « Sciogliti prima i calzari, perché il luogo in cui stai è terra santa. Ed il Cuore di Gesù, nel quale dobbiamo entrare in questo mese con le nostre considerazioni, coi nostri sentimenti, e coi nostri affetti, è un luogo infinitamente santo, è il ricettacolo di tutta la santità. Diciamogli adunque con umiltà: O Cuore Sacratissimo, purificate le nostre menti, i nostri cuori, le nostre labbra, perché liberi da vani pensieri non riflettiamo più ad altro che a quello che voi ci farete intendere, perché mondi da terreni affetti non amiamo più altro che voi, perché casti nelle parole cantiamo più degnamente che sia possibile le vostre sante lodi.

— Ci andiamo inoltrando nel secolo ventesimo. Ed è innegabile, che chi considera soltanto con occhio superficiale lo stato presente delle cose, va fuori di sé per maraviglia allo spettacolo, che gli si para dinnanzi. Le scienze fisiche e naturali, le conquiste nel campo della materia, la libertà nell’ordine sociale, le agiatezze della vita, sembrano aver raggiunto il loro apogèo, e se pur rimane a fare qualche passo per raggiungerlo si è così sicuri di poterlo fare, che già oggi si dice baldanzosamente: Domani avremo trionfato di ogni difficoltà! Dappertutto per mezzo di fili elettrici, che scorrono per le pianure, travalicano le montagne, stendonsi sul letto dei mari, con la rapidità del fulmine il pensiero e la volontà dell’uomo si appalesano da una ad un’altra città, da un popolo ad un altro popolo, da un mondo ad un altro mondo; che anzi oggimai mercé le scoperte di un nuovo genio italiano ciò avviene anche senza la mediazione dei fili. Là, in mezzo agli oceani navi, che assicurate dai capricci dell’atmosfera e dalla tirannia dei venti volano senz’ali, sfiorando l’abisso, giungendo in porto ad ora stabilita e compiendo in pochi giorni un viaggio, per il quale i nostri antenati impiegavano mesi intieri. Sulla superficie della terra una immensa rete di ferro, sulla quale i treni passano sbuffanti, portati dal vapore, come da un’anima vivente, e trasportando le intere popolazioni a spettacoli, ad affari, a piaceri, che ai nostri maggiori erano ignoti. Le città e persino le ville illuminate la sera da splendori incantevoli, che sembrano eclissare il giorno; e i signori e le dame che folgoranti di sete, di ori, di diamanti o battono il cammino in aria di conquistatori, o nei superbi cocchi paiono essere condotti per le vie del trionfo. Nel tempo stesso la gente del popolo, gli operai, i servitori, gli uomini della gleba, che senza più alcun riguardo si frammischiano nelle agitazioni della vita alla nobiltà ed alla borghesia, tenendo alta la testa e mostrando scritto sulla fronte il pensiero del cuore: « Le distinzioni sono ornai scomparse; è il tempo della libertà, dell’uguaglianza e delle fraternità: anche noi abbiamo i nostri rappresentanti al maneggio della cosa pubblica; siamo ancor noi in pieno possesso dei nostri diritti. » La gioventù poi soprattutto ti si presenta lieta e festante, incoronata di fiori, senza timore che le si appassiscano, spensierata della vita presente e facendo sogni dorati per l’avvenire. Insomma sembrerebbe tornata l’età dell’oro, parrebbero giunti i tempi della prosperità e della tranquillità universale. Eppure… ah! non vi ha bisogno di un lungo esame per riconoscere, che la prosperità non è che apparente e che la tranquillità non esiste. Invece della prosperità regna la miseria, e miseria sì grave, sì orrenda e sì estesa da far soffrire la fame a intere popolazioni. Invece della tranquillità regna la cupidigia, l’agitazione, la lotta, il disordine. Si è fatta la pace, ma la pace non esiste, e più che mai rinvigoreggiano gli odii nazionali e regionali; si invoca la ristorazione morale e non mai i delitti furono più numerosi, più enormi e più feroci, perché non mai i costumi furono così depravati. Quadra troppo bene alla nostra età quella sentenza dell’apostolo Giovanni: Omne quod in mundo est, concupiscentia carnis est, et concupiscentia oculorum, et superbia vitae. ( I Eph. II, 16). Quant’è nel mondo tutto è compiacenza della carne, sete delle ricchezze, superbia della vita. La più parte degli uomini infatti obbliando il principio, onde nacquero, e il fine a cui sono chiamati, fissano tutti i loro pensieri e le loro sollecitudini nei vani e caduchi beni della terra, e violentando la natura e scompigliando l’ordine stabilito, si rendono volontariamente schiavi dei miserabili agi e piaceri dei sensi. È poi naturale che con l’amore degli agi e dei piaceri si accoppi la cupidigia di quanto serve a comprarli. Di qui quella sfrenata avidità di denaro, che acceca quanti invade, e corre tutto fuoco ed a briglia sciolta a scapricciarsi, senza divisare sovente il giusto dall’ingiusto, e non di rado con ributtante insulto all’altrui miseria e impotenza. Di qui la giustizia divenuta così rara, il furto, la rapina, la concussione, l’usura che si pratica sotto tante forme, le catastrofi finanziarie che si moltiplicano, i giuochi di borsa nei quali si rischia non solo quel che si possiede, ma ciò che non si ha e non si avrà giammai; i possessori della fortuna pubblica che vivono tranquillamente al coperto sotto la loro infamia, la qualifica di speculazione disgraziata ai giuochi in cui si è dilapidato il bene altrui, l’invidia alla sorte di quei ricchi disonesti, a cui la fortuna fu più propizia, e da un capo all’altro della scala sociale quel non aver più in credito ed in voga che un’arte, l’arte di riuscire a far denaro, anche a costo di metter le mani sull’oro altrui e di tingerle dell’altrui sangue. E di qual sangue! Talora del fratello, dei figli, del proprio padre e della propria madre! All’istesso modo l’animo inorgoglito per una parte tenta scuotere il giogo d’ogni legge, calpesta ogni autorità e solleva da per tutto la bandiera della ribellione: per l’altra, affine di prevalere ad ogni costo sopra gli altri, si appiglia alla menzogna, alla corruzione, alla forza ed all’arbitrio. Uno sguardo in basso, e le classi povere e lavoratrici vi faranno paura; uno sguardo in alto, e l’autorità o vi farà compassione o vi farà fremere. Il popolo più non rispetta l’autorità, anzi non solo non la rispetta, ma la disprezza e la odia, e la disprezza e la odia solamente perché è autorità. I piccoli, i poveri, gli operai, i diseredati della fortuna alzano il grido di Spartaco, e con celerità spaventosa questo grido si propaga nel mondo ingenerando i più spaventevoli rivolgimenti politici; il pugnale o la palla dell’assassino mette così spesso a pericolo e toglie ben anco la vita dei Capi delle nazioni, e il petrolio, la dinamite, le bombe talora mandano in aria le case o le famiglie dei ricchi, dei padroni, dei capitalisti e dei governanti. Questi poi per parte loro in gran numero arrivano oggi a sedere al banchetto dei pubblici affari non altrimenti che brogliando e corrompendo; e là seduti, serviti del danaro delle pubbliche gabelle, servono ad un tempo stesso alla setta, da cui dipende tutta la loro vita e la loro forza, o eccedendo vilmente di tolleranza verso i malvagi, o più odiosamente di dispotismo verso i buoni. Che se poi dalla società in generale voi vi affacciate in particolare al focolare domestico, dovete tosto ritrarvene atterriti, perciocché nozze senza santità, famiglie senza amore, coniugati senza fedeltà, genitori senza prudenza, figliuoli senza rispetto, anche qui fanno regnare l’alterigia, la disobbedienza ed il disordine. Insomma dappertutto, nella vita privata e nella pubblica, nonostante il progresso delle scienze e della materia, e la prosperità e la tranquillità apparente, decadenza, miseria, malessere e rivoluzione che spaventa. Ma a tanto male chi ha spalancato la via? Quale causa funesta lo ha ingenerato e cresciuto? Quale causa?… L’abbandono e il disprezzo pressoché totale di nostro Signor Gesù! O, Sì, purtroppo, o miei cari, con uno spirito fatale di superba e fallace innovazione, Gesù Cristo fu detronizzato e messo alla porta dalla società, dalla scienza dalla letteratura, dall’arte, dalla morale, dal governo, e persino dalla religione, che si pensò creare senza di Lui; anzi Gesù Cristo non solo fu escluso, ma beffato, insultato, maltrattato, combattuto nella scienza, nella letteratura, nell’arte, nella morale, nel governo e nella religione di nuovo conio. Né crediate che in ciò vi sia esagerazione di sorta. Non avete che a gettare qua e là lo sguardo per convincervi tosto di questa dolorosa e terribile verità. « Considerate l’andamento delle pubbliche scuole. Non solo non si dà luogo in esse all’ecclesiastica autorità, e si lascia d’informare alla pratica dei cristiani doveri gli animi della gioventù, ma si tace il più delle volte l’insegnamento religioso, e ciò che è peggio le si ammanisce una viziata dottrina, la quale, tutt’altro che istruire con le nozioni del vero, infatua coi sofismi dell’errore. » (LEO XIII) – Il libero pensiero ha negate le grandi verità religiose, epperò postergata affatto la fede divina, e filosofando col solo magistero della ragione, si insegna che quanto vi ha nel mondo tutto è corporeo; che gli uomini e gli animali hanno medesimezza di origine e di natura, che forse non vi ha neppure un Dio, sommo artefice del mondo e dominatore delle cose, e che se pure esiste egli è ben diverso da quello che la religione cristiana lo finge. – Considerate la stampa, che più ancora della scuola riproduce il libero pensiero, e col libero pensiero la coscienza libera, che ha proclamato norma unica delle azioni umane il proprio volere; consideratela nei romanzi, nei libri, nei manuali, nelle riviste, negli almanacchi e più ancora nel giornale, che forma oggidì la principale attrattiva del popolo. Da per tutto storie, racconti, novelle, ragionamenti, articoli scientifici e letterari concorrono come tanti colpi di scure contro il tronco di un albero che si vuole atterrare, a rovinare, cioè gli ultimi avanzi della fede popolare. Ivi si insultano i preti, si calunniano e si infamano senza smentita o ritrattazione di sorta; ivi si scherniscono e si combattono le processioni, i pellegrinaggi, le feste religiose, i congressi cattolici e tutte le manifestazioni di fede cristiana; ivi si assale con energia diabolica la Bibbia, il Vangelo, Gesù Cristo, Iddio; ivi con la più cruda fierezza si spaccia il materialismo popolare: « Che Dio non c’è, che Dio è il male, che l a religione ha fatto il suo tempo, che quando si è morti tutto è morto, che l’altro mondo non esiste, che nessuno ne è mai tornato, che il cielo, l’inferno, il purgatorio sono stupidezze; che i preti che li predicano fanno il loro mestiere, che le persone che ancor ci credono sono sciocchi o pazzi, che le persone dabbene non ci credono più, che il regno della superstizione è passato, che è il regno della scienza! » Sì, ecco in tutta la sua sincerità e in tutta la sua estensione la dottrina, che si spaccia ogni dì da milioni e milioni di fogli stampati. Considerate inoltre le stesse arti, già inventate pei comodi della vita e onesto sollievo dell’animo, fatte servire di esca ad infiammare le umane passioni; considerate le ampie e licenziose rappresentazioni teatrali; considerate la educazione laica e viziata che si imparte ai figliuoli nel seno istesso delle famiglie; considerate sopra tutto il lavorìo febbrile, incessante, diabolico delle sette anticristiane, ed il contegno talora aggressivo ed oppressivo dei poteri umani contro la Chiesa cattolica; e poi non penerete a conoscere, che non solo si è respinto Gesù Cristo e la sua dottrina da ogni cosa, ma che in ogni cosa si combatte Gesù Cristo e la sua dottrina e da per tutto si ripete il grido della giudaica perfidia: Nolumns hunc regnare super nos. – Ma che? Dove termina il regno di Gesù Cristo, termina per naturale conseguenza il regno della vita cristiana, e delle cristiane virtù, da cui solo viene ogni bene; termina la castità che conserva il pudore e il buon costume, termina la povertà che ci innalza al di sopra dei miseri beni del mondo, termina l’umiltà che ci rende sommessi all’autorità, dolci con gli eguali, fratellevoli cogl’inferiori, termina la mortificazione che ci fa rassegnati al patire, termina la carità che ci anima al perdono ed al sacrificio; termina insomma il regno di ogni pia bella virtù, e vi sottentra necessariamente, inevitabilmente, un altro regno, il regno del diavolo, il regno d’ogni più turpe vizio; il regno della disonestà, della cupidigia, dell’orgoglio, del godimento, dell’egoismo, dell’ingiustizia, della prepotenza, dell’odio, della vendetta, dell’insubordinazione e della rivoluzione, e accumula rovine sopra rovine, dolori sopra dolori, miserie sopra miserie. Tant’è, la giustizia nella stima e nell’amore di Gesù Cristo innalza e prospera le genti, ma il peccato nell’abbandono e nel disprezzo di Gesù Cristo li abbatte ed immiserisce: Iustitia elevat gentem, miseros autem facit populos peccatum. (Prov. XIV, 34) No, non è da cercare altrove la causa dei mali presenti; perciocché le stesse cause meramente esterne, quali sono gli sbagli gravissimi dei governanti, l’accrescimento enorme delle tasse, l’inferacità del suolo, e simili, non sono altro in fondo in fondo che effetti e castighi prodotti da quella causa prima ed unica.

II. — Se tale adunque è la causa vera e suprema dello stato infelice, a cui trovasi ridotta la nostra società, quale sarà il rimedio per guarirla e salvarla? La sapienza umana si avanza proponendo i suoi. Il socialismo ai giorni nostri vorrebbe a tal line rifare la costituzione sociale dalle sue basi. Ma chi non ha perduto interamente il buon senso, vede a primo aspetto, che nelle teorie del socialismo ridotte alla pratica, anziché un rimedio vi ha un pericolo maggiore del male. I filosofanti vorrebbero far penetrare meglio nelle masse l’idea del dovere, della giustizia e dell’onore. Ma che può mai sull’animo umano l’idea dell’onore, della giustizia e del dovere, quando mancando la dottrina di Gesù Cristo non vi è più nulla da far sperare e più nulla da far temere? Quando dalle pareti del tribunale, della scuola, dell’officina, della casa domestica si è strappato il crocifisso, che rammenta un Dio che tutto vede e tutto conta, anche i più segreti pensieri dell’animo, per darne premio o castigo, dovere, giustizia, onore sono parole prive di senso. I governanti si appigliano alle leggi ed alla forza. Ma moltiplicate pure all’infinito le leggi, raddoppiate le precauzioni, triplicate le serrature, ampliate le prigioni, aumentate le galere e i domicilii coatti, mettete gli stati di assedio, istituite i tribunali militari, pronunziate giudizi con la massima severità ed eseguiteli col maggior apparato di forza, non perciò si stabilirà la prosperità e la pace, non saranno perciò più sicuri i vostri beni e la vostra vita; un po’ di astuzia, un po’ di destrezza, un po’ di violenza basterà ad eludere e ad abbattere ogni cosa per coloro, nei quali avete fatto morire l’idea della legge cristiana e di quel tribunale che non si evita giammai. Miei cari! I rimedi che propone l’umana sapienza sono inutili, perché impotenti ed inefficaci. « Come questo mondo non altrimenti può essere conservato, che dalla volontà e provvidenza di Colui, che l’h a creato, così pure non possono gli nomini essere risanati, che dalla sola virtù di Colui, che gli ha redenti. » No, non est in alio aliquo salus: (Act. IV , 12) – Non havvi salvezza fuor di Lui. « Poiché se Gesù Cristo a prezzo suo sangue riscattò una volta sola il genere umano, nondimeno perenne e costante è l’efficacia di opera cotanta e di sì gran benefizio. » ( LEO XIII) Perciocché questo è il disegno di Dio, di ristorare mai sempre in Cesù Cristo tutto ciò che è nei cieli, e tutto ciò che è sulla terra; Instaurare omnia in Christo, quæ in cœlis et quae in terra sunt. (Eph. 1, 10) E Gesù Cisto ristoratore, dall’alto della sua croce, sollevato in mezzo all’universo ed al tempo, è il centro di ogni armonia che si ristabilisce, d’ogni bellezza che si rinnova, d’ogni grandezza che si ristora: Egli è la via, la verità e la vita. È « la guarigione dei mali presenti è riposta in questo, che mutato avviso, ritornino gl’individui e la società a Gesù Cristo ed al retto cammino della vita cristiana. » (Id.) Tale, nessun’altra, è la gran legge della riparazione: ricondurre Gesù Cristo nella scuola, nell’officina, nella famiglia, nella legislazione, nel governo, nella religione, in tutta quanta la vita sociale ed individuale. Bisogna che ogni cristiano, di fatto e non di nome soltanto, effettui l’ideale del Cristianesimo additato già dai santi Padri: Esso è un altro Cristo: Christianus alter Christus. – Bisogna che l’individuo, la famiglia, la società possa gridare con l’Apostolo: Io vivo, ma non già io, è Gesù Cristo che vive in me. È Gesù Cristo che anima la mia parola, i miei scritti, le mie opere, i miei movimenti, le mie aspirazioni, i miei commerci, le mie industrie, le mie leggi, i miei governi: vivo ego, jam non ego, vivit vero in me Christus. (Galat. II, 20). Oh! quando per mezzo di una vita essenzialmente ed universalmente cristiana, rifiorita di tutte le cristiane virtù sociali ed individuali, sarà ricollocato Gesù Cristo sul suo trono, sarà rimesso nel cuore della società, della famiglia, degl’individui, allora ritornerà il benessere, la prosperità e la pace, perciocché i grandi abbasseranno l’orgoglio, i piccoli si faranno rispettare per le loro virtù e non incuteranno timori coi tumulti, i maestri, i padroni, i genitori eserciteranno con dolcezza e con vigore la loro autorità, e i sudditi, i discepoli, gli operai, i servi, i figliuoli la riveriranno con stima ed affetto; la giustizia metterà la spada nel fodero e signore del mondo sarà l’amore; la miseria scomparirà dai nostri paesi e dalle nostre case, perché allora Iddio ci benedirà tutti de rore

meli et de pinguedine terræ.

III. — Ma io so bene che vi saranno di coloro, i quali nel loro cuore andranno dicendo che questo è un bel sogno, ma nient’altro che un bel sogno. L’apostasia del secolo è andata troppo avanti, l’incredulità è addivenuta troppo generale, perché si possa pervenire a questo di ristabilire largamente la vita e le virtù cristiane in seno alla società. Ed io non nego che tale ristabilimento abbia ad incontrare difficoltà ed ostacoli, né si possa effettuare ad un tratto solo. Ma viva Dio! Egli che « fece sanabili le nazioni » ha pur sempre a secondo della loro infermità apprestato gli opportuni rimedii. Al tempo che il paganesimo agonizzante tentava di mantenersi in vita con lo scannare a milioni i Cristiani, Iddio diede a suoi martiri il coraggio, per cui versando il sangue per la fede, effondevano il seme di cristiani ancor più numerosi. Quando gli eretici, sottentrati ai carnefici, con maggior furore e con maggior nocumento spargevano la zizzania nel campo della Chiesa, Iddio suscitò i Padri e i Dottori, che con la loro ammirabile sapienza ed operosità non tardarono a mondarlo. Quando tra i popoli accesosi lo spirito di odio e di vendetta, gli animi stavano inferociti tra loro nel seno della stessa città e famiglia e la mano correva sì presta a brandire la spada per versare umano sangue, Iddio risvegliava lo spirito di carità vicendevole e di universale fratellanza per mezzo delle grandi famiglie religiose. E in questi ultimi tempi, in cui dapprima il Protestantesimo, ed il Volterianismo, e l’incredulità dappoi, han fatto man bassa sopra i misteri più augusti della nostra santa fede e sopra le pratiche più sante e salutari della nostra santa Religione gridando satanicamente e senza alcun riguardo: « Abbasso Gesù Cristo! abbasso la Vergine e i Santi! » Iddio sembra offrire il rimedio opportuno nella divozione più ferma, più viva e più manifesta ai Santi, alla Vergine e a Gesù Cristo soprattutto. Perciò in questi tempi è che ad onore di vari santi, come ad esempio di san Giuseppe, si è esplicato un culto assai più fervido che nei tempi passati; è in questi tempi che le manifestazioni di amore alla grande Ausiliatrice dei cristiani si sono mirabilmente accresciute; ed è pure in questi tempi che si è fatta e si va facendo più ardente nel cuore dei Cristiani la divozione a Gesù Cristo mediante la divozione diretta al suo Cuore Sacratissimo. – Ora, che nella divozione a questo Cuore Sacratissimo di Gesù, per non dir nulla qui della divozione alla Vergine ed ai Santi, stia riposto un mezzo dei più acconci a ridonare alla società lo spirito, la vita e le virtù cristiane, epperò la pace e la prosperità, nessuno è di retto senso che nol possa vedere. Perciocché, se è vero, come abbiamo riconosciuto, che l’attuale disordine della società consiste nell’abbandono di Gesù Cristo, e che a far scomparire tale disordine non vi è altro mezzo che rimettere nella società Gesù Cristo, bisogna pur confessare che a ciò nulla giova maggiormente, che la divozione al suo Sacratissimo Cuore. Il Cuore di Gesù è il cuore, in cui sono raccolte tutte le bellezze, tutte le perfezioni, tutte le virtù, tutte le dottrine, tutti gli ammaestramenti di Gesù Cristo. Il Cuore di Gesù è il cuore, in cui stanno tutte le ricchezze e tutti i tesori della bontà di Dio verso gli uomini, e da cui sono sgorgate tutte le prove supreme della carità divina in nostro prò. Questo Cuore anzi è per eccellenza la Vittima di Carità per noi; perciocché essendo il cuore l’organo dell’amore, è con questo Cuore, che Gesù Cristo ci amò col più grande amore di sacrifizio, vale a dire con quell’amore che lo spinse a dare tutto se stesso per noi. Nella divozione adunque di questo Sacratissimo Cuore si vengono a studiare e riconoscere particolarmente e profondamente le sue bellezze, le sue virtù, i suoi insegnamenti, le sue prove d’amore, tutta insomma la grand’opera della sua redenzione, e conoscendo tutto ciò resta come impossibile non credere, non amare, non imitare Gesù Cristo e non riporre in Lui tutta la fiducia. Di Archimede si racconta che essendo riuscito ad incentrare tutti i raggi del sole nel disco di una gran lente, di là proiettava saette di fuoco ad incendiare le navi nemiche. Gesù Cristo invece avendo concentrato nel Cuor suo Sacratissimo tutte le grandezze della sua redenzione, da questo Cuore si volge al cuore degli uomini per illuminarli, per infiammarli, per eccitarli alla sua imitazione, alla sua adorazione, all’invocazione del suo aiuto. – E per tal guisa Gesù Cristo creduto, amato, imitato, adorato, invocato dagli individui ripasserà nelle famiglie e nella società, che di individui si compongono; e la famiglia e la società, ritornate cristiane, riavranno la felicità e la pace. Tale, senza dubbio, sarà l’efficacia meravigliosa di questa divozione ben’intesa e ben praticata. Ce ne sta garante la parola istessa di Gesù Cristo. Mostrandosi egli un giorno a santa Geltrude in compagnia di S. Giovanni Apostolo concesse a questa santa di posare la testa sopra il suo petto. Ed allora, intendendo essa i battiti così forti del Cuore di Gesù Cristo, rivolgendosi a S. Giovanni esclamò: Perché, o santo Apostolo, non avete parlato nel vostro Vangelo di quello che ora io sento? E a questa domanda s’intese a rispondere che « una cognizione più intima del Cuore di Gesù era riserbata a quei tempi, in cui essendosi raffreddati i cuori degli uomini nel suo amore, sarebbe stato necessario riaccenderli. » Non temiamo adunque. – Per quanto sia cresciuta l’incredulità e l’indifferenza, per quanto sembrino congiurate contro la fede e la vita cristiana la scienza e la politica, per quanto possa parere vicino un nuovo trionfo del paganesimo e della rivoluzione, non sarà così tuttavia. La vera divozione al Sacro Cuore di Gesù, che si va ogni dì più assodando, mercé il movimento portentoso ed universale verso la SS. Eucarestia, ci anima efficacemente a sperare in tempi migliori. Lo stesso evangelista S. Giovanni dopo aver narrato l’ultimo oltraggio recato al Crocifisso con la lanciata, per cui gli fu aperto il costato e ferito il Cuore, si

affrettò di notare, che ciò avvenne perché si adempisse la Scrittura che diceva: Volgeranno gli sguardi a Colui, che hanno trafitto: Videbunt in quem trafixerunt. (ZACC. XII, 10) E così avvenne realmente, perciocché dopo quella crudele ferita gli stessi crocifissori si volsero a guardar Gesù Cristo non più come oggetto di odio e di abbominazione, ma come oggetto di pietà e di religione, anzi di speranza e di salute. Lo stesso Longino, il soldato, che trasse il duro colpo di lancia, volgendo lo sguardo a quel Cuore ferito essendo stato bagnato dall’acqua e dal sangue, che ne scaturì, non solo acquistò la vista materiale di un occhio che aveva cieco, ma più ancora acquistò la vista dello spirito, poiché conosciuta la verità, l’abbracciò e la seguì, e si fece santo e morì martire! Così anche ora, per mezzo della devozione, volgendo lo sguardo al Cuore trafitto di Gesù Cristo, se ne trarranno per gli stessi malvagi, cha hanno rinnovato il delitto di Longino, torrenti di luce e di amore. Ed oh! voglia Iddio che da tutti si riconosca questa grade verità. Ma poiché Egli nella sua bontà si è degnato di farla riconoscere a voi, che devoti al Sacro Cuore di Gesù siete venuti qui ad onorarlo, fin da questo primo giorno del mese a Lui consacrato, deh! continuate voi ad avvalervi di questo gran mezzo di salute. No, non vi sia alcuno di voi, che creda non appartenergli punto la ristorazione della società od essere opera di ben altri uomini. Quando pure tra di voi non ci fossero che anime semplici e rozze, non vi scordate che Iddio si valse di dodici poveri pescatori per rigenerare il mondo. E con la devozione al Sacro Cuore di Gesù, che voi continuerete a praticare, e che anzi andrete ogni giorno più in voi accrescendo, riuscirete senza dubbio, benché occultamente, a fare al mondo un bene di gran lunga maggiore che non quello di tutti i legulei e filosofi moderni. Venite adunque, o carissimi, venite in questo mese a considerare, a studiare da vicino, a contemplare questo Sacratissimo Cuore. In Lui, secondo l’insegnamento della Chiesa, riconoscete la Vittima della Carità, l’Arca che contiene la legge di grazia e di misericordia, il Santuario intemerato della nuova Alleanza, il Tempio mille volte più santo dell’antico, la sorgente di ogni virtù. Venite ad adorare questo Cuore Divino, a rifugiarvi dentro di Lui, a gustare le sue dolcezze, a sperimentare le sue misericordie. Venite, o giusti, venite, o peccatori,, venite, o anime tranquille, venite, o anime tribolate, venite, venite tutti: nel Sacro Cuore di Gesù, nella sua cognizione, nel suo amore, nella sua imitazione, nella sua vera divozione, troverete tutti la pace, la salute, la felicità. – E voi, o Cuore Sacratissimo di Gesù, che sospingete al vostro capo, alle vostre mani, ai vostri piedi e a tutte le altre parti del vostro corpo, quel sangue preziosissimo con cui voleste operare la redenzione del mondo, deh! non permettete che una tale redenzione non abbia ad essere copiosa. Come un giorno vi commoveste di compassione al vedere innanzi a Voi una turba affamata di pane terreno, commovetevi oggi anche più nel vedere la presente società, che perisce in un’inedia terribile per la mancanza del cibo divino della vostra cognizione e del vostro amore. Mercé la divozione vostra disvelatevi ad essa in tutta la vostra amabilità, e riguadagnatevi tutti i cuori suoi; mercé questa divozione spargete sopra di essa le vostre benedizioni e le vostre grazie di salute, perché ancor essa fa parte del vostro popolo e della vostra eredità; sì, salvatela adunque e beneditela: Salvum fac populum tuum, Domine, et benedic haereditati tuæ.