DOMENICA V dopo PENTECOSTE (2018)

Incipit
In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXVI:7; XXVI:9 Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te: adjútor meus esto, ne derelínquas me neque despícias me, Deus, salutáris meus. [Esaudisci, o Signore, l’invocazione con cui a Te mi rivolgo, sii il mio aiuto, non abbandonarmi, non disprezzarmi, o Dio mia salvezza.].

Ps XXVI:1 Dóminus illuminátio mea et salus mea, quem timébo? [Il Signore è mia luce e mia salvezza, chi temerò?]

Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te: adjútor meus esto, ne derelínquas me neque despícias me, Deus, salutáris meus. [Esaudisci, o Signore, l’invocazione con cui a Te mi rivolgo, sii il mio aiuto, non abbandonarmi, non disprezzarmi, o Dio mia salvezza.].

Oratio

Orémus. Deus, qui diligéntibus te bona invisibília præparásti: infúnde córdibus nostris tui amóris afféctum; ut te in ómnibus et super ómnia diligéntes, promissiónes tuas, quæ omne desidérium súperant, consequámur. [O Dio, che a quanti Ti amano preparasti beni invisibili, infondi nel nostro cuore la tenerezza del tuo amore, affinché, amandoti in tutto e sopra tutto, conseguiamo quei beni da Te promessi, che sorpassano ogni desiderio.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Petri Apóstoli. 1 Pet III:8-15

“Caríssimi: Omnes unánimes in oratióne estóte, compatiéntes, fraternitátis amatóres, misericórdes, modésti, húmiles: non reddéntes malum pro malo, nec maledíctum pro maledícto, sed e contrário benedicéntes: quia in hoc vocáti estis, ut benedictiónem hereditáte possideátis. Qui enim vult vitam dilígere et dies vidére bonos, coérceat linguam suam a malo, et lábia ejus ne loquántur dolum. Declínet a malo, et fáciat bonum: inquírat pacem, et sequátur eam. Quia óculi Dómini super justos, et aures ejus in preces eórum: vultus autem Dómini super faciéntes mala. Et quis est, qui vobis nóceat, si boni æmulatóres fuéritis? Sed et si quid patímini propter justítiam, beáti. Timórem autem eórum ne timuéritis: et non conturbémini. Dóminum autem Christum sanctificáte in córdibus vestris.”

Omelia I

[Mons. Bonomelli, “Nuovo saggio di OMELIE per tutto l’anno”, Vol. III, Torino 1899, Om. XI –imprim.]

“Siate tutti concordi, compassionevoli, amatori dei fratelli, pietosi, modesti, umili: non rendendo male per male, od ingiuria per ingiuria; ma, per contrario, benedite, perché a questo siete chiamati, acciocché ereditiate la benedizione. Chi pertanto vuole amare la vita e vedere giorni felici, raffreni la sua lingua dal male e le sue labbra non proferiscano frode. Si ritragga dal male e faccia il bene, cerchi la pace e la procacci. Perché gli occhi del Signore sono sopra i giusti, e le sue orecchie intente alle loro preghiere; ma il volto del Signore sta contro quelli che fanno male. E chi mai potrà farvi male, se siete studiosi del bene. Ma se pure patite alcuna cosa per la giustizia, beati voi! Non abbiate timore di loro, né ve ne turbate. Adorate Cristo Signore nei vostri cuori„ (I. di S. Pietro c. III, 8-15).

In questi otto versetti vi ho presentato nella nostra lingua il tratto dell’epistola, che or ora si è letta nella Messa. Esso è tolto dal capo terzo della prima lettera di S. Pietro ai fedeli sparsi in varie province dell’Asia Minore. È cosa affatto superflua il farvi osservare come ogni versetto, dirò meglio, quasi ogni parola di questa breve lezione racchiuda un documento altissimo di sapienza morale; voi stessi, udendone la versione, ve ne sarete accorti. Noi avvezzi fino da fanciulli ad udire queste sì sante verità, quasi non vi poniamo mente e non ne riceviamo grande impressione, come non facciamo le meraviglie allorché al mattino il sole spunta sull’orizzonte, raggiante di luce. Ma così non doveva essere dei primi Cristiani, massime di quelli che erano allora allora usciti dal paganesimo. Io immagino, che quei cristiani all’udirsi leggere queste sentenze sì semplici, sì sublimi e sì conformi ai principi della stessa ragione naturale ed ai sentimenti più nobili del cuore, eppure sì nuove, pieni di stupore gratitudine, dovessero esclamare: Oh! come bella, ammirabile e divina questa Religione! Benedetto Colui, che per sua misericordia l’ha manifestata agli uomini! Felici gli uomini che la ricevono e la osservano! – Ma lasciato da banda ogni esordio, mettiamo mano non tanto alla spiegazione (che in tanta chiarezza non occorre), ma alla considerazione ed applicazione di queste verità, che rispondono ad ogni età e condizione di persone. – S. Pietro nei versetti, che precedono, ricorda alle donne i loro doveri verso dei mariti, e le esorta ad essere sollecite più degli ornamenti esterni, della vera bellezza, che è tutta interna; poi eccita i mariti ad usare ogni riguardo alle loro donne, affinché possano avere insieme l’eterna eredità. Poi proseguendo, scrive: ” Siate tutti concordi, compassionevoli, amatori dei fratelli, pietosi, modesti, umili. „ Dite, o carissimi: era possibile in sì poche parole condensare maggior numero di massime morali di queste più belle e più stupende ? “Siate tutti concordi, „ o, come porta il testo della Volgata, ” unanimi, „ cioè abbiate tutti un animo solo, un solo sentimento. Si può dire che nelle lettere, specialmente di S. Paolo, la raccomandazione della concordia si incontra ad ogni pagina. La concordia esterna, delle parole e degli atti, nella famiglia e società, perché sia vera concordia e durevole, deve essere una conseguenza dell’interna, deve scaturire dalla mente e dal cuore. Abbiamo tutti gli stessi principi, professiamo tutti le stesse verità, amiamoci tutti come fratelli, e la concordia regnerà regina in mezzo a noi. Mi direte: Sta bene aver comuni gli stessi principi, tener salde le stesse verità, ecco la base della concordia. — Ma è egli possibile trovarci uniti nelle stesse verità e negli stessi principi? Volete voi che ciascuno sacrifichi le sue convinzioni? La diversità di parlare e di giudicare è una necessità delle cose ed è voluta in gran parte dalla disuguaglianza delle menti, della istruzione e di cento altre cause, onde la concordia in tanta differenza di caratteri e di pensamenti è impossibile. — No, non è impossibile, o cari. La carità scambievole, senza offendere la libertà individuale, può mantenere la concordia. Le voci dell’organo sono diverse fra loro, ma si possono armonizzare: il rispetto vicendevole, la tolleranza, figlia della carità, possono mantenere la più perfetta concordia: anche tra quelli, che quanto a princîpi dissentono profondamente tra loro. Studiamoci di essere uniti nella verità e avremo la concordia: che se non possiamo essere uniti nella stessa verità, lo siamo sempre nella carità e ne avremo egualmente il frutto nella concordia esterna. Lo so dilettissimi: alcuni credono che la differenza di religione e di fede debba spezzare il vincolo della carità e generare la discordia e l’odio. È un errore: Dio non ama Egli i peccatori e per amore non li chiama a penitenza? Gesù Cristo non morì forse per tutti? Se Dio li ama, se Gesù Cristo morì anche per essi, perché non ameremo noi pure quelli che non hanno comune con noi la stessa fede? Noi non approveremo mai la loro dottrina e i loro errori, che faremmo oltraggio a Dio: ma rispetteremo sempre ed ameremo le loro persone, li terremo in conto di fratelli, perché anch’essi come noi creati da Dio, chiamati alla stessa fede, perché anche per essi è morto Gesù Cristo. Tolga dunque Dio che noi nutriamo ombra d’odio o di rancore contro quelli, che non professano la nostra fede o che avendola professata, la rigettarono. Deploreremo la loro caduta, la loro miscredenza, ma li rispetteremo e li ameremo sempre e cordialmente, e perciò anche con loro sarà perfetta la nostra concordia. – “Siate compassionevoli„ Compatientes, dice S. Pietro, che importa piangere con chi piange, patire con chi patisce. Allorché un membro del nostro corpo soffre, in qualche modo soffrono tutti gli altri e il corpo nostro languisce, perché il male d’uno è male degli a1tri: similmente quando una persona a noi cara patisce, noi pure patiamo con essa, perché l’amore, che ad essa ci lega, di due anime ne forma quasi una sola, e perciò il dolore è comune. Ciò, in qualche misura, dovrebbe avvenire ogni qualvolta vediamo un fratello soffrire: se lo amiamo, come vuole il Vangelo, il suo soffrire, sarà nostro soffrire: allora saremo compassionevoli e tosto appariranno i frutti della carità, giacché non è possibile sentire vera compassione pei mali altrui e non far nulla per alleviarli. È egli possibile che una spina vi si conficchi nella mano sinistra e la destra non si adopri a levarla prontamente? “Siate amatori dei fratelli, „ Fraternitatis amatores. O la santa parola! Quegli uomini pieni d’orgoglio, che nel secolo scorso proclamarono la fratellanza universale, quasi che fossero stati essi gli scopritori ed i primi apostoli, meditino queste due parole, diciannove secoli or sono, scritte dal principe degli Apostoli: Fraternitatis amatores. – Non solo dobbiamo essere concordi, compassionevoli gli uni verso gli altri, ma dobbiamo amarci come fratelli. Per i fratelli, per i veri fratelli che si amano, ogni bene è comune, e la sventura che colpisce uno, colpisce tutti. Ah! Carissimi, come sarebbe felice il mondo, se questa fratellanza inculcata da Gesù Cristo e predicata da S. Pietro in questo luogo, regnasse in mezzo a noi e si manifestasse nelle opere. Si parla molto, si parla eloquentemente di fratellanza; tutti 1’hanno sulla lingua: ma l’hanno anche nelle opere? Ohimè! Parlano di fratellanza e si lacerano tra loro, e il forte opprime il debole, il ricco il povero, l’uomo istruito abusa dell’ignoranza altrui e vedo una classe armata e fremente contro l’altra. È questa la fratellanza che Gesù Cristo ha portato sulla terra e san Pietro proclama altamente quando scrive: siate amatori dei fratelli — Fraternitatis amatores? — Ditelo voi, carissimi. S. Pietro prosegue: siate pietosi, „ Misericordes, che suona alcun che di più vivo e sentito del compassionevoli. Cosa strana e quasi incredibile! Vi furono filosofi antichi, come Seneca, che osarono insegnare la pietà verso i miseri essere una debolezza d’animo, una infermità dello spirito e doversi combattere e disprezzare. La pietà e la commiserazione verso i sofferenti è la dote che maggiormente onora la natura umana e la rende più simile a Dio, che è la stessa bontà e misericordia: per essere insensibili ai dolori altrui; bisogna rinnegare la propria natura e renderci simili alle piante ed alle pietre, non dico alle bestie, le quali talvolta sembrano compatire ed aver pietà almeno coi loro nati. Noi, o dilettissimi, non dimenticheremo mai questa sublime sentenza di Gesù Cristo, che disse: “Siate misericordiosi, com’è misericordioso il Padre vostro che è nei cieli, „ e “Beati i misericordiosi, perché anch’essi otterranno misericordia. „ “Siate modesti, umili, „ Modesti, umile. Modestia ed umiltà, osserva S. Bernardo, sono due sorelle, ed io volentieri le chiamerei piuttosto, madre e figlia, giacché mi sembra che la modestia sia la figlia della umiltà. La modestia riguarda direttamente l’esterno dell’uomo, l’umiltà si riferisce all’interno. Per la modestia l’uomo compone il suo esterno in guisa che torna caro ed amabile a tutti: la modestia apparisce nelle vesti, nel passo, nel suono della parola, nell’aspetto, negli atti esterni, nell’atteggiamento della persona, che spira benevolenza, piacevolezza, benignità, rispetto, affabilità e grazia, a talché la compagnia della persona modesta è da tutti desiderata e tutti rallegra. Perché poi la modestia non sia ingannevole apparenza, ma virtù vera e solida, deve germogliare dal fondo dell’anima, deve emanare dall’umiltà del cuore, come la fragranza dal fiore. L’anima, che conosce se stessa e perciò sente bassamente di sé, veglia sempre sopra de’ propri atti, ama il nascondimento, tutti reputa migliori di sé, si tiene all’ultimo luogo, e ne gode: essa è sempre tranquilla e pacifica nel santuario della sua coscienza: e qual meraviglia, che la pace interna informi i suoi atti esterni e si irradii costantemente sul suo volto e si manifesti nella modestia? – “Non rendendo male per male e ingiuria per ingiuria. „ Veramente un uomo, un cristiano, quale lo vuole S. Pietro i n questo luogo, che abbiamo chiosato brevemente, dovrebbe essere amato da tutti e parrebbe impossibile possa essere offeso: ma non è così. Tanta è la malignità di certi uomini e il pervertimento di certi cuori, che le anime più umili, più modeste, più pie, più caritatevoli non vanno salve dall’odio e dalle offese più gravi, e sembra talvolta che le loro virtù siano incitamento e motivo ad accrescere l’ira e le persecuzioni dei tristi. Pietro stesso che scriveva queste verità sì sante e le praticava; tutti gli Apostoli e Gesù Cristo medesimo non furono fatti segno della malevolenza più cupa, dell’odio più feroce dei malvagi fino a rimanerne vittime? Perciò S. Pietro, continuando la sua esortazione, dice: “Ancorché voi, o cari, siate perfettissimi in codeste virtù, non dovete meravigliarvi se il mondo vi tratterà da pari suo, e se vi perseguiterà e coprirà d’ingiurie. È questa la mercede ch’egli suole dare ai buoni. E voi che farete? Non rendete male per male, ingiuria per ingiuria. „ In queste parole di S. Pietro ed in quelle che seguono si ripete quasi letteralmente l’insegnamento di Cristo registrato nel capo V del Vangelo di S. Matteo. E non solo noi non dobbiamo rendere male per male, ingiuria per ingiuria, che sarebbe già molto; ma per contrario dobbiamo benedire chi ci offende: Sed e contrario benedicentes; frase che risponde perfettamente al precetto di Cristo: Benedicite maledicentibus vobis (Matteo, V, 44). È il grado sommo della carità, è virtù eroica, senza dubbio; ma Gesù Cristo l’ha comandata, più ancora, l’ha praticata Egli stesso sulla croce, e per noi basta. “E questa, soggiunge S. Pietro, quasi per prevenire la difficoltà, la vostra vocazione, „ “Quia in hoc vocati estis.” Non movete difficoltà, sembra dire l’Apostolo, perché la religione, alla quale siete chiamati, vi impone virtù sì alta, “se volete ereditare la benedizione, „ Ut benedictionem hareditate possideatis. Di quale benedizione intende qui parlare S. Pietro, data qual premio del perdono generoso delle offese, del benedire chi ci maledice? Non dubito che intenda parlare principalmente della benedizione eterna, del premio dei giusti, ma non senza una allusione anche alla benedizione o mercede temporale, che il mondo stesso non rare volte riserba ai magnanimi, che perdonano le offese e rendono bene per male. Affermata questa dottrina sì eccelsa del perdono delle offese, anzi del rendere bene per male, benedizione per maledizione, S. Pietro cita un luogo del Salmo XXX, 13 e seg., e dice: ” Chi dunque vuole amare la vita e godere buoni giorni, raffreni la sua lingua dai male, e le sue labbra non proferiscano frode; „ vale a dire: chiunque desidera di possedere la vita beata in cielo e felice anche quaggiù sulla terra, quanto a noi è possibile, raffreni la sua lingua e si guardi dal tessere inganno od ordire frode contro il fratello. È chiaro che questa testimonianza del Salmo si connette colla sentenza evangelica del perdonare e benedire chi ci maledice: Benedìcite maledicentibus vobis, ed è qui riportata da S. Pietro come conferma, tanto più conveniente in quantoché la lettera era indirizzata ai cristiani, la maggior parte dei quali era di Ebrei, cresciuti nelle idee naturalmente ebraiche. Una lingua che non sa raffrenarsi, che rende ingiuria per ingiuria, non solo si prepara giorni amari nella vita futura, dove sarà reso a ciascuno secondo le opere sue, ma sovente se li prepara anche nella presente, perché sparge il seme della discordia, offende ed irrita i fratelli, si crea dei nemici e dilata l’incendio degli odi, dove ché colui che tace, benefica chi gli fa male e benedice chi lo ingiuria, gli chiude la bocca e vince, come scrive S. Paolo, col bene il malvagio. Si ritragga dal male, faccia il bene, cerchi la pace e la procacci. „ Quest’altra sentenza, tolta dallo stesso Salmo, è amplissima, vedete, e contiene quattro cose distinte, che S. Pietro conferma e raccomanda e sulle quali mi passo. Fuggire il male, fare il bene, cercare la pace e conservarla con ogni diligenza, le sono cose generalissime, sulle quali non occorre fermarci, e perciò passiamo all’altra sentenza del Salmo. – “Perché gli occhi del Signore sono sopra i giusti, e i suoi orecchi sono intesi alle loro preghiere; ma il suo volto sta contro quelli che fan male. „ Il fissare gli occhi sopra una persona può avere un doppio significato affatto contrario: gli occhi si fissano sopra una persona per mostrare ira e disprezzo, o per mostrare compiacenza ed amore. Si guarda il nemico con occhi torbidi, fieri, dispettosi; la madre sul bambino, che porta sulle braccia, tiene fissi gli occhi pieni di letizia e d’amore. In qual senso il Salmista afferma che Dio tiene fissi gli occhi sui giusti? Evidentemente li tiene fissi sopra di loro con cura ed affetto paterno, perché si tratta di giusti, che sono figli bene amati. Dio poi verso di loro tiene aperte le orecchie per udire le loro preghiere ed esaudirle. Come è bella e soave questa pittura, che il Salmista fa di Dio rispetto ai buoni! Iddio li guarda amoroso, li ascolta sollecito, come un padre, anzi come una madre fa con i suoi figli: la madre è tutta intenta ai bisogni dei figli, li mira tacita, li previene ed appena ode un loro grido, un gemito, vola a loro e darebbe per essi la vita. È questa una poverissima immagine delle sollecitudini amorose, onde Iddio circonda i giusti e provvede ai loro bisogni. Che se Dio è tutto tenerezza verso dei giusti, il suo volto, dice il salmista, è pieno di sdegno e di terrore contro i malvagi, per scuoterli e ridurli a miglior consiglio. Non è mestieri, o dilettissimi, il dirvi che in questo luogo della sacra Scrittura, come in mille altri, si parla di Dio, come se fosse un uomo, che ha occhi, orecchie e volto, mentre per ragione sappiamo e per fede, che Dio è puro spirito e come tale non ha né occhi, né orecchi, né volto, ma solo mente e volontà, come si conviene alla natura sua semplicissima. – Qui S. Pietro ripiglia la sua esortazione e scrive: “E chi mai potrà recarvi danno, se siete studiosi del bene? „ Sopra ha detto ai suoi discepoli, che non rispondano male per male, ma benedicano a chi li maledice, e qui a confermarli nel bene aggiunge: Se voi fate bene a tutti, anche a chi vi odia, e se volgete in vostro vantaggio il male, che tentano di farvi i nemici, chi mai potrà recarvi danno? Non ve lo possono fare, i nemici; chi dunque ve lo farà? Ai giusti, ai veri figli di Dio tutto giova sulla terra e tutto si volge a bene, dice S. Paolo: Omnia cooperantur in bonuum. Giovano i favori e le benedizioni degli uomini, come le contraddizioni e le maledizioni, perché i giusti da tutto traggono occasione di esercitare la virtù e di servire a Dio. – “Che se pure, così S. Pietro, soffrite alcuna cosa per la giustizia, felici voi!” È questa una sentenza tolta quasi di peso dal Vangelo, dove Cristo dice: “Beati quelli che soffrono persecuzione per la giustizia; „ e ancora: “Beati voi allorché gli uomini vi avranno maledetti e vi avranno perseguitato: godete ed esultate, perché grande è la vostra mercede. „ E non temete di loro, né vi turbate, soggiunge S. Pietro. A che temere quelli che vi odiano, vi maledicono e vi perseguitano? Essi vi spianano la via del cielo, vi preparano la corona, e se possono togliervi il corpo, non possono togliervi l’anima, né torcervi un solo capello. Dunque bando ad ogni timore non solo, ma ad ogni più lieve turbamento: Non conturbemini. – Ci resta da spiegare l’ultimo versetto: “Adorate nei vostri cuori Cristo Signore. „ Il testo della nostra Volgata dice: “Santificate”, parola che risponde all’adorate, nel senso preciso che ha pure nell’orazione domenicale, in cui diciamo a Dio; “Sia santificato il vostro nome, „ cioè siate onorato, glorificato, e adorato. Come doppia è la nostra natura, così doppio vuol essere il culto, che tributiamo a Dio, il culto dello spirito e del cuore, che è interno, e il culto del corpo, che è esterno: questo non può mai separarsi da quello e, se è separato, si risolve o in una ipocrisia o in atti materiali senza valore dinanzi a Dio. Il culto del cuore deve precedere ed informare il culto esterno come l’anima informa il corpo, e benché il primo alcune volte possa esistere senza il secondo, tuttavia ordinariamente lo trae seco come una necessità: è come il pensiero, che produce naturalmente la parola. San Pietro in questo luogo inculca ai suoi figliuoli questo culto interno, questa adorazione di Cristo nel cuore, causa e radice del culto esterno. Miei cari! Dio è spirito, disse Gesù Cristo alla samaritana, e perciò vuole che gli uomini lo adorino anzi tutto in spirito. Allorché pertanto vogliamo o dobbiamo adorare Iddio, poniamoci dinanzi alla sua maestà infinita, raccogliamo i nostri pensieri ed i nostri affetti, ritiriamoci nel santuario della nostra mente e del nostro cuore, e quivi riconosciamo il nostro nulla e la grandezza di Dio: questo conoscimento, questo sentimento intimo del nostro nulla, e del tutto che è Dio, mentre fa curvare tutto l’essere nostro al cospetto di quella immensa grandezza e quasi lo annienta, fa piegare le nostre ginocchia e la nostra fronte e fa risuonare sulla nostra lingua quelle parole di S. Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!” Allora adoriamo Dio nei nostri cuori: Dominum Christum sanctificate in cordibus vestris. –  È questo adorare Dio in spirito e verità.

Graduale

Ps LXXXIII:10; LXXXIII:9

Protéctor noster, áspice, Deus, et réspice super servos tuos, [O Dio, nostro protettore, volgi il tuo sguardo a noi, tuoi servi]

V. Dómine, Deus virtútum, exáudi preces servórum tuórum. Allelúja, allelúja [O Signore, Dio degli eserciti, esaudisci le preghiere dei tuoi servi. Allelúia, allelúia]

Alleluja

Ps XX:1

Alleluja, alleluja Dómine, in virtúte tua lætábitur rex: et super salutáre tuum exsultábit veheménter. Allelúja. [O Signore, nella tua potenza si allieta il re; e quanto esulta per il tuo soccorso! Allelúia].

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthæum.

Matt. V:20-24

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Nisi abundáverit justítia vestra plus quam scribárum et pharisæórum, non intrábitis in regnum coelórum. Audístis, quia dic tum est antíquis: Non occídes: qui autem occídent, reus erit judício. Ego autem dico vobis: quia omnis, qui iráscitur fratri suo, reus erit judício. Qui autem díxerit fratri suo, raca: reus erit concílio. Qui autem díxerit, fatue: reus erit gehénnæ ignis Si ergo offers munus tuum ad altáre, et ibi recordátus fúeris, quia frater tuus habet áliquid advérsum te: relínque ibi munus tuum ante altáre et vade prius reconciliári fratri tuo: et tunc véniens ófferes munus tuum.”

Omelia II

[G. Bonomelli, ut supra, om. XII]

“Io vi dico che se la vostra “giustizia non sarà migliore di quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete udito, che fu detto agli antichi: Non ucciderai, e chi uccide sarà sottoposto al giudizio; ma io vi dico, che chiunque si adira contro il fratel suo sarà sottoposto al giudizio; e chi gli avrà detto Racha, sarà sottoposto al sinedrio: e chi gli avrà detto Pazzo sarà sottoposto al fuoco della geenna. Se tu pertanto presenti la tua offerta sull’altare e quivi ti rammenti, che il tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia colà la tua offerta sull’altare è va prima a riconciliarti col fratel tuo, e allora venendo, presenta la tua offerta „ (S. Matteo, V, 20-24).

Fin qui l’odierno Vangelo. – Il Vangelo è la succinta narrazione dei fatti principali della vita di Gesù Cristo e l’esposizione della sua dottrina: questa poi viene esposta o in parabole od in discorsi nelle forme più semplici e più efficaci. Ora tra i discorsi di Cristo, principalissimo senza dubbio è quello che dicesi del monte, perché fu tenuto sopra un monte, e comincia al capo quinto di S. Matteo e si chiude col settimo. Chi va da Nazaret a Tiberiade, oltrepassa il Tabor, che resta a destra, attraversa un altopiano ondulato ed alla sua sinistra vede elevarsi un piccolo colle, affatto nudo: quel colle si dice colle delle beatitudini, perché la tradizione vuole che Gesù Cristo lassù abbia pronunciato il discorso del monte, che comincia con le otto beatitudini. Esso è il compendio di tutta la dottrina morale di Gesù Cristo, esposta in una forma sì chiara, sì semplice e sì efficace, che formò sempre e formerà fino alla fine dei secoli la meraviglia di chiunque lo scorra con qualche attenzione. Da questo discorso del monte è tolto il brano che vi ho recitato e che deve essere il soggetto della presente omelia.. “Vi dico che se la vostra giustizia non sarà migliore di quella degli scribi e dei farisei non entrerete nel regno de’ cieli. „ Per comprendere questa sentenza di nostro Signore, è necessario sapere che cosa era la giustizia, ossia la virtù od osservanza della legge praticata dagli scribi e dai farisei. Essi professavano di osservare rigorosamente la legge mosaica: a questa avevano aggiunto molte pratiche o prescrizioni esterne di nessun conto ed alle quali davano grande importanza, per es. il lavarsi le mani prima di prendere il cibo, il mondare certi vasi e via dicendo. Gesù Cristo non condannava l’uso di queste pratiche; meno poi ancora l’osservanza esatta della legge; ciò ch’Egli fortemente biasimava negli scribi e nei farisei era il mettere la virtù nell’adempimento materiale della legge e nell’esigere con estremo rigore l’osservanza di cose di poco momento, trascurando l’interno e lo spirito della legge. Gesù guariva un infermo nel giorno di sabato, e gli scribi ed i farisei l’accusavano d’aver violato il riposo prescritto da Mosè; gli Apostoli in giorno di sabato sfregavano le spighe di frumento per calmare la fame che li tormentava; ed eccoti quei crudeli a designarli come profanatori della legge. In una parola: erano duri, senza carità, tutti intesi a fare materialmente le pratiche esterne, non curanti per nulla dell’interno. Gesù Cristo proclama che con siffatta virtù non si può entrare nel regno dei cieli: che oltre gli atti esterni e prima e più che questi si domandano gli interni, o più che le cerimonie del culto si esige il sacrificio del cuore. Il carattere proprio della dottrina di Cristo è la riforma dello spirito, la rigenerazione interna, la purezza del cuore, la carità vera, che dall’anima si traduce nelle opere, precisamente il rovescio di ciò che facevano i farisei, ai quali Cristo sdegnato diceva: ” Lavate il di dentro, e poi vedrete di mondare il di fuori „ (S. Matteo, XXIV, 26). Allorché pertanto Gesù Cristo vuole che la nostra giustizia sia migliore di quella degli scribi e farisei, ci comanda di far sì che per noi si curi più l’interno che l’esterno; che al di sopra delle pratiche esterne e delle cerimonie si metta il culto dello spirito e del cuore, e che al formalismo, se così posso dire, materiale, vada innanzi la carità, in una parola, che quello che nell’uomo è principale, cioè lo spirito, tenga il primo luogo. – Ora, o dilettissimi, alcun che della lebbra gli scribi e dei farisei non si sarebbe appiccicata anche ad alcuni Cristiani? A Dio non piaccia; ma non sarebbe da farne le meraviglie. Giustizia farisaica, da Cristo sfolgorata, è recitare lunghe orazioni, prender parte a pratiche religiose non obbligatorie, far pellegrinaggi, novene, tridui, ascriversi a pie confraternite e lacerare la fama del prossimo, seminare la discordia tra fratelli, opprimerli con le usure, tenere discorsi osceni, imbrattarsi in laide tresche, negare un tozzo di pane al poverello affamato. – Sente di giustizia farisaica la condotta di quei Cristiani, che crederebbero colpa omettere il Rosario, la Messa in giorno feriale, la visita al Sacramento, e poi in casa tiranneggiare la moglie, i figli, le sorelle, i servi. Ricordiamolo bene, o fratelli; tutte le pratiche religiose, ancorché eccellenti, gli stessi Sacramenti, non hanno ragione di fine, ma sì di mezzo, e potrebbe essere per conseguenza che uno abbondasse e sovrabbondasse in queste cose e scarseggiasse nella virtù, e per contrario altri abbondasse nella virtù e facesse appena il necessario quanto alle pratiche di religione e all’uso dei Sacramenti. Cerchiamo dunque l’acquisto della virtù vera e solida, che si alimenta di sacrifici e di opere di carità, la virtù che Cristo vuole nei suoi seguaci, perché questa sola ci schiuderà le porte del cielo. – Cristo, dopo avere dichiarato in genere che la virtù richiesta in chi lo vuol seguire deve essere ben superiore a quella praticata dagli scribi e dai farisei, prosegue e discende ai particolare, dicendo: ” Avete udito che fu detto agli antichi: Non ucciderai, e chi uccide sarà sottoposto al giudizio; ma io vi dico, che chiunque si adira contro il fratel suo, sarà sottoposto al giudizio. „ – La legge antica, quanto al prossimo vietava direttamente l’omicidio e con l’omicidio tutte le altre offese fatte esternamente alle persone, ed infliggeva la pena proporzionata: legge nuova, ch’io promulgo ed impongo, dice Cristo, va più oltre e vieta severamente non solo tutte le offese personali esterne fatte al prossimo, ma l’ira, il rancore, l’odio interno, qualunque ne sia il grado. L’omicida nella legge di Mose è soggetto al giudizio, e trovato colpevole di volontario omicidio è condannato a morte: quella legge si limita agli atti esterni: il Vangelo in quella vece entra nei penetrali della coscienza e dichiara reo nel giudizio divino e meritevole dell’eterna perdizione chiunque nell’animo suo cova ira ed odio contro il prossimo. – Sarebbe far torto a Mosè ed ai profeti ed alla fede dell’antica sinagoga se noi affermassimo semplicemente che la legge antica si limitava agli atti esterni e non si curava degli interni. Quando Davide gemendo diceva: “Signore, crea in me un cuor mondo e rinnova in me il tuo spirito retto: „ e ancora: “Se tu, o Signore, l’avessi voluto, io ti avrei offerto il sacrificio: ma tu non gradisci gli olocausti: il sacrificio grato a Dio è lo spirito dolente: è il cuore contrito ed umiliato che tu non respingi: „ allora Davide esprimeva a meraviglia come Iddio voglia anzi tutto e sopra tutti il culto interno, il sacrificio del cuore. Ma è anche certo che questa dottrina nobilissima era poco conosciuta e praticata in Israele e che solo Gesù Cristo la elevò alla sua perfezione e la rese comune e popolare nella sua Chiesa. – Direte: È dunque peccato sdegnarci alla vista dei delitti e chiedere od infliggere la punizione dei facinorosi? Convien distinguere, o cari.  Se noi odiamo la persona colpevole e ne vogliamo il castigo per desiderio di bassa vendetta, noi incorriamo la condanna qui fulminata da Cristo, che dice: Qui irascitur fratri suo reus erit judicio. Se noi ci sdegniamo per il male commesso, per l’offesa fatta a Dio, per il desiderio che sia represso lo scandalo e punito il colpevole, affinché si emendi e gli altri siano ritratti dal peccato, l’ira nostra non è biasimevole, è buona, è santa, come quella di Gesù, del quale è detto nel Vangelo “che guardò con ira gli scribi ed i farisei,” che resistevano alla verità: Circumspiciens eos cum ira. Gesù procede, mostrando sempre la perfezione della legge evangelica sulla mosaica, e dice: “Chi avrà detto racha, fatuo, senza cervello, sarà sottoposto al sinedrio, „ cioè al gran Consiglio giudaico, al quale spetta pronunciare la sentenza nei maggiori delitti. “Chi poi avrà detto pazzo al fratello, sarà sottoposto al fuoco della geenna, „ cioè maggiore condanna. E qui è necessario spiegare un po’ più ampiamente la cosa, se vogliamo debitamente intendere le parole di Cristo. – Ponete mente che Gesù Cristo parlava agli Ebrei e naturalmente il suo linguaggio doveva rispondere ai loro usi e fino ad un certo punto alle loro idee. Ora per i Giudei vi erano tre sorta di tribunali: il primo riguardava le questioni d’interesse pecuniario, ed era composto di tre giudici: il secondo si occupava di cause più gravi, come omicidi, e vi sedevano ventitre giudici: il terzo rendeva sentenza sulle cause gravissime, come di idolatria, di apostasia, e si componeva di settantadue giudici, e dicevasi il sinedrio, il concilio per eccellenza. Gesù Cristo in questo luogo mette tre gradazioni di colpe, l’ira contro il fratello, l’ingiuria del dirgli raca e l’altra più grave del trattarlo da pazzo, e insegna che ciascuna di queste tre colpe subirà il suo giudizio e la sua pena proporzionata, e per farne risaltare più chiaramente la differenza, penso io, piglia l’immagine dal triplice tribunale ebraico. La pena, che Cristo dice inflitta a ciascun grado di colpa qui accennata, è senza dubbio eterna, ma differente secondo la gravità della colpa: massima poi si intende la pena inflitta al terzo grado di colpa, come apparisce dal testo e però conviene dire che in queste tre forme di colpe, s’intende offesa gravemente la carità fraterna. – Gesù Cristo in questo luogo parla del fuoco della geenna, reus erit gehennæ ignis; espressione che secondo tutti gli interpreti significa il fuoco infernale. Che cosa è questa geenna? Qual è il senso di questa parola, che troviamo in questo luogo del Vangelo, nell’Apocalisse, in Geremia ed in Isaia? È  necessario fare un po’ di storia se vogliano rilevarne il valore. –  Dalla parte meridionale della città di Gerusalemme, ai piedi del colle di Sion, esiste una piccola valle, chiamata Gehenna. In quella valle gli Ebrei, caduti nella idolatria, passavano per il fuoco, cioè offrivano talvolta i loro figli a Molok, Dio dei Fenici o Cananei bruciandoli (Lib. X dei Re, XXVIII, 10), e per coprire le strida disperate di quelle vittime infelici, facevano grande strepito con timpano, onde quella valle fu detta tophet, che vuol dire timpano. Il re Giosia, allorché abolì quella orrenda e quasi incredibile barbarie, per rendere abominevole ed infame quel luogo, vi fece gettare tutte le immondezze della città e i cadaveri dei giustiziati e, per impedirne le pestifere esalazioni, vi faceva grandi fuochi quasi continui. Gesù Cristo, parlando della pena infernale agli Ebrei, prende l’immagine di quella valle infame e di quel fuoco, che quasi sempre vi ardeva, e chiama geenna lo stesso inferno. – Da queste sentenze di Cristo noi apprendiamo qual gran male sia nutrire odio contro il fratel nostro, e come sia maggior male sfogare quest’odio esternamente con parole oltraggiose, che lo amareggiano e lo disonorano. Eppure siffatte colpe non solo sono frequenti in mezzo a noi, ma quel che è ancor peggio le si reputano poca cosa, e appena è che le si confessino, se pure si confessano. Ah! Miei cari, è sempre un male deplorevole quello che ferisce la carità fraterna, quella carità che Gesù Cristo inculcò con tanta efficacia, che dichiarò essere precetto suo e precetto nuovo e segno, al quale si debbono riconoscere i suoi discepoli – Gesù, volendo mettere in maggior luce la differenza che corre tra la legge mosaica e la giustizia farisaica da una parte e la legge evangelica dall’altra, aggiunge una sentenza gravissima, che dobbiamo seriamente meditare: “Se dunque tu presenti la tua offerta sull’altare e quivi ti ricordi, che il fratel tuo ha qualche cosa contro di te, lascia colà la tua offerta sull’altare e va a riconciliarti col fratel tuo, e poi, venendo, presenta la tua offerta. „ Sembra che gli scribi ed i farisei insegnassero tra le altre cose, che la violazione del precetto: Non occides, non ucciderai, non offenderai il tuo prossimo, si potesse espiare con offerte e sacrifìci fatti a Dio per mezzo dei suoi sacerdoti: Gesù Cristo rigetta questa dottrina e dichiara qual sia il dovere che vuolsi tosto adempire. E non dimentichiamo una cosa degna di attenta considerazione, ed è che in questo precetto Gesù Cristo non distingue tra offeso ed offensore, ma vuole che l’uno e l’altro si affrettino a far pace col fratello. Ben è vero, che l’offensore è tenuto a riparare l’offesa e a dare soddisfazione all’offeso; così vuole la giustizia: ma Gesù Cristo non fa distinzione, e in generale inculca la necessità di ristabilire subito i vincoli della carità fraterna: l’offensore vi è tenuto per giustizia, e l’offeso, quantunque non sia tenuto ad offrire per primo la pace, se lo farà, l’opera sua sarà santa e sommamente gradita a Dio. – Eccovi un uomo nel tempio, ai piedi dell’altare: egli presenta al sacerdote la vittima da offrire a Dio per ringraziarlo dei suoi benefici, o per espiare i proprii falli: in quella, dice Gesù Cristo, la coscienza gli ricorda che il fratel suo nutre rancore contro di lui. Che deve fare? Forse deve continuare la sua preghiera ed offrire il suo sacrificio e rimette ad altro tempo la riconciliazione col fratello? A noi parrebbe che così e non altrimenti  fosse da fare. È già nel tempio: l’offerta è pronta; il sacerdote l’ha ricevuta; perché interrompere il sacrificio? Perché lasciar Dio per l’uomo? Perché turbare l’ordine e il  culto divino? A tempo più conveniente ristabiliremo la pace: nessuna necessità di precipitare la pace. Si compia il sacrificio a Dio e poi si darà la pace al fratello. Così ragioneremmo noi, o dilettissimi; ma non così ragiona Gesù Cristo. Lascia, dice Cristo, la tua offerta sull’altare, interrompi pure il sacrificio, va. corri, vola dal fratello tuo, fa la pace con lui e poi vieni, ripiglia e compi il sacrificio, che sarà accettevole a Dio. Come ciò, o fratelli? Perché così vuole la ragione e la fede. L’offerta al tempio, il sacrificio a Dio è di consiglio, doveché la carità col prossimo è imposta da un precetto divino; perché è sdegnato con noi finché dura l’offesa del prossimo; perché il sacrificio è simbolo di pace, e come Dio potrebbe gradire l’offerta del simbolo di pace quando questa pace non alberga nel tuo cuore? Perché finalmente a Dio torna più cara la pace, la concordia tra i suoi figliuoli, che l’offerta delle vittime. Dio non vuole le cose nostre, ma noi stessi, e sopratutto il sacrificio della nostra mente per la fede e quello del nostro cuore per la carità: è la carità che informa i nostri cuori, quella che rende accettevole il sacrificio, non il sacrificio quello che santifica il cuore e lo rende accettevole a Dio: il valore del dono si misura dalla bontà o generosità e purezza del cuore : dove questo fa difetto, gli uomini stessi respingono il dono;  quanto più Dio, che non guarda a ciò che apparisce, ma guarda al cuore e questo solo lo onora! Offrire il sacrificio al Dio della pace senza la pace nel cuore? Chiedere a Lui la remissione dei nostri debiti, e rifiutarla noi ai nostri fratelli e sotto i suoi occhi? Pregar Dio che si plachi con noi, mentre noi non ci plachiamo col fratello? No, il tuo sacrificio non può essere gradito a Dio se prima non gli hai offerto il sacrificio incomparabilmente più degno e più nobile del tuo cuore, col perdono dell’offesa e con la riconciliazione sincera col fratel tuo. Fatta questa, il tuo sacrificio, dice Cristo, sarà accolto in cielo e salirà a Dio in odore di soavità. – Di questo precetto di Cristo, espresso con tanta chiarezza e vivacità di immagine, abbiamo un ricordo od un simbolo bellissimo nella liturgia antica, conservato ancora in parte fino a noi. Sappiamo che i Cristiani antichi, prima di ricevere la S. Comunione, si  davano a vicenda il bacio di pace per mostrare che tra loro regnava la più perfetta carità: di quest’uso è rimasta una memoria nel rito, che i ministri sacri usano ancora nelle Messe solenni, di darsi l’amplesso di pace. È forza confessare che di certi riti bellissimi e pieni d’alti significati, introdotti nella Chiesa, sembra non essere rimasti che i riti materiali e lo spirito si è perduto! – Carissimi figliuoli e fratelli! Non vi sia grave, ora, qui, innanzi all’altare, su cui tra breve sarà immolata la Vittima divina di pace di perdono, gettare uno sguardo nei penetrali del vostro cuore, a Dio solo pienamente manifesto. Alla luce della coscienza e della fede,  scrutate le sue fibre più intime e vedete se mai, per avventura, vi si annidasse qualche risentimento, qualche rancore, qualche ruggine contro il fratel vostro; non cercate se voi siete gli offesi o gli offensori, ciò poco importa. Se trovate che il vostro cuore non ama tutti egualmente, non perdona l’offesa ricevuta, o della offesa data non ha ancora chiesto perdono, né offerta soddisfazione: se trovate che serba memoria amara di certe ingiurie, e che forse vagheggia l’idea della vendetta, fosse pure leggera, e non gode del suo bene come del proprio: se trovate, in una parola che la carità non regna sovrana nel vostro cuore, prima che si offra il divino sacrificio della Messa, risolvete generosamente di fare la pace col fratello, chiunque egli sia, e vi assicuro che quest’atto sarà più grato a Dio e più meritorio per voi, che non sia l’osservanza del precetto che oggi vi ha qui condotti. Se volete il perdono dei vostri peccati, perdonate ai vostri offensori: se volete la pace con Dio, abbiate la pace con i vostri fratelli: la misura che voi userete con essi sarà quella che Dio userà con voi.

Credo …

Offertorium

Orémus

Ps XV:7 et 8. Benedícam Dóminum, qui tríbuit mihi intelléctum: providébam Deum in conspéctu meo semper: quóniam a dextris est mihi, ne commóvear. [Benedirò il Signore che mi dato senno: tengo Dio sempre a me presente, con lui alla mia destra non sarò smosso.]

Secreta

Propitiáre, Dómine, supplicatiónibus nostris: et has oblatiónes famulórum famularúmque tuárum benígnus assúme; ut, quod sínguli obtulérunt ad honórem nóminis tui, cunctis profíciat ad salútem. [Sii propizio, o Signore, alle nostre suppliche, e accogli benigno queste oblazioni dei tuoi servi e delle tue serve, affinché ciò che i singoli offersero a gloria del tuo nome, giovi a tutti per la loro salvezza.]

Communio

Ps XXVI:4 Unam pétii a Dómino, hanc requíram: ut inhábitem in domo Dómini ómnibus diébus vitæ meæ. [Una cosa sola chiedo e chiederò al Signore: di abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita].

Postcommunio

Orémus.

Quos cœlésti, Dómine, dono satiásti: præsta, quæsumus; ut a nostris mundémur occúltis et ab hóstium liberémur insídiis.

LO SCUDO DELLA FEDE (XVI)

[A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S.E.I. Ed. Torino, 1927]

XVI.

LA DIVINA PROVVIDENZA.

Come mai Iddio è provvido, se vi hanno tanti disordini nella natura? — Se vi sono tanti esseri inutili? — Se vengono al mondo tanti mostri e nomini infelici? — Se siamo oppressi da tanti mali? — Se accadono tanti disastri?

— Si dice che Iddio è provvido, e cioè si dice aver egli cura delle creature, conservarle, governarle, dirigerle al loro fine, procacciare a tutte quel che loro abbisogna. Ora come conciliare questa divina provvidenza con tanti disordini, che vi sono nel mondo?

E di quali disordini intendi parlare?

— Dei disordini che vi hanno nella natura e nella società. Per esempio nella natura vi sono tanti esseri, piante, animali, che potrebbero venire al mondo e vivere a lungo, e invece improvvisamente sono soffocati e distrutti. E questo non è già un disordine?

Nella mente nostra potrà benissimo parer tale, ma non già di fronte a Dio. Hai tu mai intesa una qualche sinfonia d’un celebre Maestro, supponiamo di Haydn o di Verdi? E nel sentire quella sinfonia non ti è sembrato che vi fossero delle note sacrificate? massime certe note di accompagnamento? Eppure se tu le togliessi, non ne risulterebbe più quel complesso armonico, che tanto molce l’orecchio. Una sinfonia dev’essere considerata nel suo complesso per goderne l’effetto. Così, caro mio, se anche nell’armonia del mondo vi sono delle note sacrificate, ciò non toglie che l’armonia esista e sia sommamente ammirabile ed esalti il Maestro Divino che la crea. Dunque devi riconoscere che Dio in vista dell’ordine generale può permettere qualche disordine parziale, che alla fin fine non si può nemanco chiamar tale, in quanto che serve a stabilire l’armonia e l’equilibrio del mondo. Supponiamo ad esempio che tutti i semi delle piante si svolgessero, e tutte le pianticelle nate dai semi si conservassero in vita, il mondo intero non diventerebbe una sola foresta? Supponiamo che si moltiplicassero, come potrebbero, i nati di un moscherino, al termine di una stagione non basterebbero a coprire quattro ettari di terreno? E se si schiudessero tutte le uova dei merluzzi e degli storioni, in meno di cento anni non potrebbero riempire tutti gli oceani? Vedi adunque come nel lasciare che vadano distrutte e soffocate tante esistenze, Dio, tutt’altro che far contro alla sua Provvidenza, ne dà bellissima prova.

— Ciò è vero. Ma appunto perché tanti esseri sono inutili, come mai li crea?

Nella tua domanda vi è un bello sproposito. Tu dici: Come mai Dio crea tanti esseri inutili? Ma ciò è possibile? Quando un essere qualsiasi non servisse ad altro che a mostrare la perfezione di Dio, non sarebbe già sommamente utile? Ora vi è forse anche un solo di quegli animaluzzi, di cui in una sola goccia d’acqua ve n’ha migliaia, che non serva a questo scopo? Ma oltre a ciò bisogna pur riconoscere che non c’è alcun essere nell’universo, che Dio non abbia creato con un fine particolare e che non rechi all’armonia del mondo la sua utilità.

— Ma che utilità arrecano certi insetti, che non danno che molestia?

Ricordi il fatto o la parabola di quel re che si lamentava perché Dio avesse creato i ragni e le pulci? Un dì dopo una disastrosa battaglia avendo dovuto darsi alla fuga, finalmente stanco si nascose in un antro, dove si stette a riposare per alcune ore. Intanto un ragno dispiegò alla porta di quell’antro una ragnatela. E quando già era stata compiuta, ecco alcuni soldati nemici di quel re, che si erano dati a ricercarlo, passare di là. Vi fu bene chi disse: entriamo qui a vedere, se qui si fosse nascosto. Ma vi fu subito chi osservò ciò non essere possibile dal momento che si vedeva quella ragnatela intatta. E così quei soldati essendo andati oltre, il re scampò alla morte, e cominciò a riconoscere l’utilità dei ragni. Il dì seguente dormendo in luogo aperto sarebbe del pari caduto nelle mani dei nemici, se una pulce non l’avesse talmente morsicato da svegliarlo a tempo, sì che potesse accorgersi dell’arrivo dei nemici e fuggire. E allora riconobbe anche l’utilità delle pulci. Questo fatto o parabola mi par che basti a darti la spiegazione dell’esistenza di tutto ciò che a noi può parere inutile.

— Mi sembra però assai difficile conciliare la divina Provvidenza coi tanti mostri che vengono al mondo, e soprattutto con tanti uomini infelici, con tanti ciechi, con tanti sordomuti, con tanti cretini, con tanti storpi, con tanti rachitici eccetera, eccetera.

Ascolta : « Quanto ai mostri essi mettono in luce la debolezza delle forze create, e non vi ha ragione di meravigliarcene. Quantunque noi non possiamo sempre assegnare loro una causa particolare nei disegni di Dio, né sapere a quale forza occulta tornino profittevoli, teniamo per certo ch’essi hanno la loro ragione di essere e che non possono cogliere in fallo la divina Provvidenza. E non basta, come osserva giudiziosamente S. Agostino (Enccheridion, capo 5), « che essi attraggano la nostra attenzione e muovano la nostra intelligenza ad investigare le leggi, alle quali fanno eccezione, affinché noi ne accertiamo l’ordine abituale e ne ammiriamo la sublime disposizione? » (Monsabrè). In quanto poi a quelli che nascono al mondo ciechi, sordi, storpi, cretini, pazzi e va dicendo, anzi che a Dio, il quale fa bene ogni cosa, ciò si deve attribuire agli uomini, che concorrono per parte loro all’azione creatrice di Dio, e che ne sono la causa con certi loro vizi e peccati, E quando poi per parte loro non si possa scoprire alcuna causa, bisogna pur riconoscere che Dio permette ciò con un fine sempre buono, perché la sua volontà non può mai essere altrimenti che buona, ad esempio per provare certe famiglie, per mantenerle nell’umiltà, per far acquistare loro dei meriti, se non altro per far apprezzare meglio a chi vede questi infelici il benefizio di essere sani e di buona costituzione, e per altri simili ottimi fini. E stando così le cose, si potrà forse disconoscere per questo lato la Divina Provvidenza?

— No certo; lo comprendo anch’io. Nondimeno non so darmi pace perché Iddio così buono e provvido lasci poi che la nostra breve vita sia ripiena di tanti mali, di tante infermità, di tante tribolazioni, di tanti dispiaceri, di tanti dolori!

* Tu non ti sai dar pace di ciò, perché al pari di tanti altri in questi mali fisici, che contrastano i nostri sensi e si oppongono alla nostra tendenza di non voler soffrire, vedi dei veri mali, mentre essi non sono propriamente tali. Di fatti a che cosa possono essi servire tutti questi mali fisici? Essi possono servire mirabilmente a indurre l’uomo a distaccare il cuore dalla terra, a darsi al servizio di Dio, ad espiare per loro mezzo, soffrendoli con pazienza, i peccati propri e persino gli altrui, ad operare la propria santificazione, a conseguire l’ultimo fine per cui è stato creato. Se adunque è vero, come è verissimo, che questi mali fisici servano a conquistare i beni eterni del cielo, si possono ancora chiamare veri mali? o non si hanno piuttosto a chiamare divini benefizi? E Iddio che ce li manda non si manifesta veramente buono e provvido? Tutto sta che noi, da parte nostra pigliandoli rassegnati dalle mani di Dio, sappiamo convenevolmente giovarcene.

— Questo è vero. Nondimeno certe disgrazie, come ad esempio, i terremoti, le inondazioni, i fulmini, gli incendi, le rovine, i disastri in ferrovia e per mare e simili non sono così contrarli alla divina Provvidenza? Questi mali tolgono agli uomini la vita in un attimo e purtroppo non tutti coloro che sono colpiti si trovano in grazia di Dio, sicché dal colpo del disastro passano all’eterna dannazione.

Prima di tutto ti osservo che se taluni in questi disastri, che Dio per giusti suoi fini permette, perdono la vita improvvisamente, e morendo senza grazia vanno all’eterna dannazione, non è da ascriversi a Dio, ma a loro che avrebbero potuto anche in quel punto trovarsi preparati a ben morire. In secondo luogo ti dico, che anche in tali sventure è difficile che non vi sia un istante per quelli che ne sono colpiti, nel quale, se il vogliono, possano pentirsi e provvedere ancora in tempo alla loro salvezza. E poi ti dichiaro addirittura, che questi mali ben lungi dall’opporsi alla divina Provvidenza, ne sono anzi una conferma, in quanto che danno a tutti il serio avvertimento di star sempre pronti e ben disposti dell’anima, perché può accadere purtroppo, che quando meno ci si pensa, si abbia a passare all’eternità.

— Ma intanto da questi mali fisici e da queste disgrazie, che succedono nel mondo, taluni sono spinti al suicidio, oppure al furto, alle frodi e ad altri simili delitti!

E con ciò ne vorresti dar la colpa alla divina Provvidenza? Se taluni sono malvagi, e anziché servirsi delle pene, che Iddio loro manda per guadagnarli a sé e metterli sulla via della salvezza, se ne servono per darsi in braccio alle colpe, ed alle colpe più gravi, quale è tra le altre il suicidio, si dovrà dire che Dio non è buono e provvido? Ma allora si dovrebbe dire lo stesso, quando Iddio concede a taluno gran copia di beni, e costui si serve di essi per accontentare le sue passioni e dannarsi. Se non che a chi mai è saltato in testa di accusar la divina Provvidenza per i beni, che essa largisce agli uomini?

— È vero: non ostante tutte le difficoltà, bisogna ammettere in tutto la divina Provvidenza e in tutto ammirarla.

Primo fine della devozione al SACRO CUORE DI GESÙ: amarlo

Primo fine della divozione al Sacro di Gesù: Amarlo.

[Sac. A. Carmignola: IL SACRO CUORE DI GESÙ; S.E.I. Ed. Torino, 1920 – IV disc. ]

Il grande S. Agostino ha detto che la vita del cuore è l’amore: Vita cordis amor. E ciò è conforme a quel che scrisse l’Apostolo S. Giovanni: Qui non diligit manet in morte. (I Jo. III, 14) Ma in quale amore il cuore troverà la vita? Nell’amore dei beni, dei piaceri, degli onori, delle creature di questa terra? No, o miei cari. Questo amore non procaccia al cuore che affanni, agitazioni, torture, infelicità e morte. Lo stesso S. Agostino esclamava: « O Signore, tu ci hai fatti per te, ed è inquieto il nostro cuore, finché non riposi in te. » Solo l’amore di Dio, di Gesù Cristo, può renderci contenti e dare al nostro cuore la vera vita. Ora se l’amor di Dio e di Gesù Cristo (perciocché amar Dio non è altra cosa che amar Gesù Cristo ed amar Gesù Cristo è lo stesso che amar Dio) è l’unico amore, che ci rende veramente felici, certamente sarebbe già stata gran cosa, se Gesù Cristo ci avesse anche solo permesso di amarlo, perché chi siamo noi a petto di lui, maestà infinita, da pensare di poterlo amare? Ma, oh bontà immensa del Cuore! Non solo ci ha permesso di amarlo, ma lo vuole e lo brama ardentissimamente; e per assicurarsi più che gli era possibile che lo amassimo, ce ne ha fatto un formale comando: Diliges Dominum Deum tuum ex toto eorde tuo: (MATTH. XXII. 37) Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore. Anzi. questo non è soltanto uno de’ suoi comandi, ma è il primo di tutti: hoc est maximum etprimum mandatum; (MATTH. XXII, 38) e al tempo stesso il fine di tutti, perché  tutti gli altri non tendono che a preparare ed assicurare l’adempimento di questo. Più ancora, l’amor di Dio è la pienezza della legge: plenitudo legis; (Rom. XIII, 8) è il vincolo della perfezione: vinculum perfectionis, (Col. III, 14) perché non è possibile amare Iddio e trasgredire alcuno de’ suoi precetti, e chi ama Iddio non può stare unito a lui con un legame più perfetto di quello dell’amore, essendo che Dio è carità e chi sta nella carità, dice S. Giovanni, sta in Dio, e Dio sta in lui: Deus caritas est, et qui manet in caritate, in Deo manet, et Deus in eo. (Jo. IV, 16) L’amor di Gesù Cristo pertanto è per noi la cosa più essenziale, la cosa che surroga tutto, ma che nulla può surrogare, la cosa che esistendo fa riuscire tutto a bene, ma che mancando, tutto va a male, la cosa più assolutamente indispensabile. « Sì, dice l’Apostolo Paolo, quando io parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, se non ho la carità, sono come un bronzo sonante, e come un cembalo che squilla. E quando avessi lo spirito di profezia e intendessi tutti i misteri e tutto lo scibile; e quando avessi tutta la fede, talmente che trasportassi le montagne, se non ho la carità, sono un niente: e quando distribuissi in nutrimento dei poveri tutte le mie facoltà, e quando sacrificassi il mio corpo ad essere bruciato, se non ho la carità, nulla mi giova. » (1a Cor. XIII, 13) Chi non ama nostro Signor Gesù Cristo non può far parte della società dei credenti: Si quis non amat Dominum nostrum Jesum Christum sit anathema. ( I Cor. XVI, 22). Ora, o carissimi, compiamo noi questo nostro supremo dovere? Ahimè! Forse dobbiam rispondere che amiamo ogni altra cosa, ma poco o nulla quel Gesù, che dobbiamo amare sopra tutto. Ebbene a correggere questo nostro grave mancamento è indirizzata particolarmente la divozione al Sacro Cuore di Gesù. Questo è il suo primo fine. Il Divin Redentore rivelando a Santa Margherita Alacoque il suo Cuore « che tanto ha amato gli uomini » prese a gridarci gagliardamente: Ricambiatemi di amore, datemi amore, non cerco altro che amore: Ignem veni mittere in terram, et quid volo nisi ut accendatur? (Luc. XII, 49) Son venuto con questo mio Cuore a portare un’altra volta in terra il fuoco della carità, e non bramo altro se non che si riaccenda. Per raggiungere adunque il primo fine della divozione al Sacro Cuore di Gesù, facciamoci oggi a considerare quanto il Sacro Cuore sia degno di essere amato.

1. — L’amore, questo allettamento, che niuna parola può esprimere, e che ci sospinge verso un oggetto in modo da dargli noi stessi, o più ancora da trasfonderci in lui se fosse possibile, l’amore, la più incomprensibile meraviglia di nostra natura è il bisogno più profondo, più prepotente e più irresistibile del nostro cuore. Non appena spunta nell’uomo, ancor piccolo bambino, il primo bagliore della conoscenza, non appena egli può fermare l’occhio sopra alcun oggetto ed esserne lievemente colpito, la fiamma dell’amore si desta in cuor suo e col crescere della vita ingigantisce smisuratamente fino a che arrivato ad un tempo in cui dispera di poter destare altri incendi, a poco a poco sminuisce, senza però spegnersi affatto che con lo spegnersi della vita. – Ma quali sono mai le cagioni che accrescono nel cuore dell’uomo una tale fiamma? Sono tre principalmente: la bellezza, la bontà e la potenza. Anzi tutto la bellezza, questo dono grande e terribile ad un tempo, che Iddio si compiacque di spargere sulle sue creature, questo raggio di cielo, che può bene nelle anime sante sollevare in alto le lor menti e i loro cuori alla contemplazione ed all’amore della bellezza unica ed eterna, ma che, ahi ! troppo spesso, trascina le anime volgari, che sono anche la più parte, ad amori idolatri e sommamente colpevoli. In secondo luogo la bontà, che può ben suscitare un amore più ordinato e casto che non la bellezza, ma che è troppo rara quaggiù e non esercita sempre una grande attrattiva. Da ultimo la potenza, da cui con amore d’interesse si sperano favori, od alla quale nelle anime ben nate si volge l’amore di gratitudine per i benefizi già ricevuti. Ebbene, queste tre cagioni principali dell’amore si trovano tutte tre nel Cuore Sacratissimo di Gesù in sommo grado, ma di tal natura, che non possono non spronarci all’amore più giusto, più puro e più santo, per poco che ci facciamo a contemplarle con gli occhi della fede. Ed anzi tutto nel Cuore di Gesù vi è una somma bellezza. E qui non intendo parlare della bellezza esterna della persona, che forma ora l’ornamento e lo splendore del Paradiso, e che un giorno sulla terra, come dice S . Girolamo, rivelandosi nella maestà della fronte, nella serenità degli occhi, nel sorriso delle labbra, nella dolcezza del sembiante, nella grandezza ed amabilità del portamento, esercitava un fascino irresistibile sopra i cuori degli uomini, guadagnandoli al suo amor divino; io parlo soltanto e propriamente della bellezza interna del suo Cuore, bellezza, la quale spicca massimamente per gli splendori della grazia, della sapienza e della santità. – Non appena il Cuore di Gesù diede i suoi primi palpiti, per cagione dell’unione ipostatica, furono palpiti dati subito nella pienezza della grazia. No, in essa la grazia non sopravvenne quale cosa accidentale, ma dalla Persona divina fluendo nella natura umana, vi si trovò tosto sostanzialmente e necessariamente. Cosicché in quel Cuore santissimo fin dal primo istante della sua esistenza, inabitandovi la pienezza della divinità, vi fu tosto la bellezza della divinità medesima. Ma oltre di ciò, perché questo Cuore era della nostra stessa natura, doveva partecipare altresì alle perfezioni, che il nostro cuore può avere. E poiché la più bella perfezione che possa avere il cuor nostro, è la grazia santificante, che lo rende oggetto di compiacenza agli occhi di Dio, così anche nel Cuore di Gesù Cristo, avverandosi la parola del profeta: Requiescet super eum Spiritus Domini, (Is. XI, 1) si posò lo Spirito Santo e vi riversò senza misura tutte le ricchezze ineffabili della grazia santificante. – Ed insieme coi tesori della grazia vi sono pure in Lui tutti i tesori della sapienza e della scienza di Dio: In quo sunt omnes thesauri sapientiæ. et scientiæ Dei absconditi. (Col. II, 3). In Lui la conoscenza intima di Dio, del suo essere, della sua unità, delle sue perfezioni, delle sue operazioni intime, della sua vita, di tutto ciò insomma che per noi è profondissimo mistero; in Lui la conoscenza di tutti i tempi presenti, passati e futuri, di tutti gli esseri che esistettero che esistono ed esisteranno, di tutta la natura e di tutte le sue forze più latenti e più misteriose. In lui la conoscenza di tutti gli Angeli del Cielo dall’infimo dell’infima gerarchia al più alto della gerarchia più alta, di tutti gli uomini dal principio sino alla fine del mondo, di tutti i loro cuori, di tutti i loro pensieri, di tutti i loro sentimenti, di tutti i loro affetti, di tutte le loro opere, di tutte le loro parole, di tutte le grazie che ricevono, e di tutte le colpe che commettono; in Lui insomma la conoscenza infinita di tutto ciò, che è finito e di ciò eziandio che è infinito. Epperò ben a ragione contemplando questo Cuore Santissimo di Gesù, raggiante dell’infinita sapienza di Dio, si ha da esclamare: O profondità delle ricchezze, della capienza e della scienza divina! 0 altitudo divitiarnm sapientiæ et seientiæ Dei! (Rom. XI, 33) – Ma ciò non è ancor tutto, perciocché il Cuore di Gesù così bello per i tesori della grazia e della sapienza, non lo è meno per quelli della santità. In Lui la santità è la più sublime che si possa immaginare; è desso .per eccellenza il Cuore santo, innocente, senza macchia, segregato dai peccatori: Sanctus, innocens, impollutus, segregatus a peccatoribus. (Hebr. VII, 26) Sebbene nella sua immensa bontà per noi esso abbia voluto farsi in tutto e per tutto simile al cuor dell’uomo, in questo solo tuttavia ha fatto eccezione, e non ebbe mai sopra di sé neppur l’ombra della più piccola colpa. Oh! Ben sicuramente egli poté volgersi ai suoi nemici e lanciar loro questa nobile sfida: Chi di voi mi accuserà di peccato? Quis ex vobis arguet me de peccato? (Jo. VIII, 46) perché in tutta la sua vita di trentatrè anni, pur facendo libero esercizio della libertà, fin dal primo istante della sua concezione, né contrasse né conobbe mai che fosse la colpa. Oh santità! Oh bellezza meravigliosa! 1 santi, che nel corso di loro vita corrisposero fedelmente all’azione della grazia divina, già ci appaiono ben degni della nostra ammirazione; ma che cosa sono essi mai, anche uniti tutti assieme, in confronto della santità del Cuore adorabile di Gesù Cristo? Neppur tutto lo splendore degli Angeli del Paradiso vale a darci un’idea della bellezza di questo Cuore, perché negli Angeli del Paradiso, per quanto perfetti, Iddio trova delle macchie: In Angelis suis reperit pravitatem; (IOB. IV, 18) ma nel Cuore di Gesù invece il Divin Padre, rivolgendo lo sguardo, trova l’oggetto di tutte le sue compiacenze: Ecce Filius meus dilectus, in quo mihi bene complacui. (MATT. XVII, 5). Ma se il Cuore Sacratissimo di Gesù è già così amabile per la sua bellezza, chi potrà dire quanto lo sia per la bontà? Immaginate pure quanto vi ha di più tenero, di più sensibile, di più delicato, di più magnanimo; immaginate un cuore, che non possa vedere una lagrima senza commuoversi, che non possa guardare un misero senza intenerirsi; immaginate un cuore, che sia ripieno di tutte le impazienze e di tutte le sollecitudini per amare, e che nell’amare non si arresti né per indifferenze, né per rivolte, né per tradimenti, né per ingratitudini, che anzi abbandonato, vilipeso, disprezzato da coloro che maggiormente ha amati, provi il bisogno di amarli ancora; immaginate un cuore, che pieno di ogni ricchezza doni tutto quello che ha, e poi rimpianga di non poter dare di più, e vagheggi di sopravvivere nell’amore e vada perciò ricercando mille industrie per amare sempre, in ogni tempo, da per tutto, tutti gli uomini del mondo; tuttavia non arriverete che a raffigurarvi assai pallidamente la bontà del Cuore Sacratissimo di Gesù Cristo. I Santi non sapendo altrimenti darcene una idea, la dicono bontà d’un cuore di padre, di sposo e di amico. E questi sono pure i titoli con cui, a significarci la bontà del suo Cuore, Gesù Cristo o si è chiamato Egli stesso o si fece chiamare dalle Sante Scritture. Ed invero la sua bontà è veramente quella di un padre, perché è Egli che venne nel mondo per darci la vera vita e darcela abbondantemente: Ego veni ut vitam habeant et abundantius habeant. ( Jo. X, 10) E come un padre terreno, che non pago di aver concorso a dar la vita fisica ai figliuoli, si travagli a ancora per dare agli stessi la vita morale, così Gesù Cristo, dopo di averci data la vita della grazia, continua ad accrescerla in noi con la ricchezza de’ suoi tesori celesti è col provvederci incessantemente tutti gli aiuti che ci abbisognano, perché abbiamo a raggiungere il nostro fine. E che dire della tenerezza di questo Cuore veramente paterno verso i figli che più ne abbisognano? Durante la sua mortal vita è propriamente ai figliuoli più rozzi, più meschini, più infelici, che Egli rivolgeva di preferenza le attenzioni amorose del suo Cuore. E con quanta bontà trattava le turbe, benché così incostanti nel seguirlo! Con quanta bontà trattava gli Apostoli, benché così difficili ad essere ammaestrati e così tardi di cuore a prestargli fede! Con quanta bontà trattava i poveri, gl’infermi, i lebbrosi, benché così piagati? ributtanti! Con quanta bontà trattava i peccatori! Questi uomini avviliti, che dalla superbia de’ Farisei erano crudelr_:e condannati, nel suo Cuore pieno di compassione trovavano sempre un sicuro rifugio; e per assicurarci viemeglio di ciò, egli dipingeva il Cuor suo sotto l’immagine del cuore di un padre, che si strugge dalla gioia nel riabbracciare il suo pentito figliuolo. – La bontà del Cuore di Gesù è la bontà di un cuore di sposo. Pel mistero della grazia Egli si unisce alle anime nostre con uno sposalizio assai più perfetto, che non siano le nozze nell’ordine naturale. Ed unito per tal guisa ad un’anima, chi sa dire le finezze di bontà, che le prodiga? Come uno sposo indovina i desideri della sposa, ed amandola, prontamente l’appaga, così fa il Cuore di Gesù con le anime sue dilette. Egli legge in fondo al loro essere i bisogni che hanno, e con l’abbondanza delle sue grazie si fa premuroso a soddisfarli. Egli si intrattiene sempre con esse e del continuo le ispira al bene, le conforta nei pericoli, le consola negli affanni, le inebria in ogni circostanza di infinite dolcezze. Oh! è bensì vero che il mondo materiale e miscredente non sa, non intende, non crede neppur possibili queste relazioni così intime e così sublimi tra Gesù Cristo e le anime, che lo amano; ma con tutto ciò non lasciano di esser vere e di  rivelare la bontà immensa del Cuore di Gesù per noi. E se interrogassimo le anime sante, come quelle di una sant’Agnese, di una santa Catterina da Siena, di una santa Teresa di Gesù, di un S. Bernardo, di un S. Filippo Neri, di un S. Francesco Saverio e di mille altri  serafini d’amore che gustarono vivamente le delizie dello Sposo divino, ce ne direbbero senza dubbio delle meraviglie. – La bontà del Cuore di Gesù è ancora bontà di cuore d’amico. « Chi ha trovato un vero amico, ha trovato un tesoro, » dice lo Spirito Santo. Ed invero se tu hai un vero amico, hai chi riceve nel cuore i tuoi segreti e li custodisce, chi ti consiglia nei dubbi, chi ti aiuta nelle necessità, chi ti sostiene nei pericoli, chi ti ristora in tutta la vita, chi vive anzi per te stesso ed è pronto a sacrificarsi per te. Ma tal amico, oh quanto è difficile trovarlo tra gli uomini! Molti saranno coloro, che ti si spacceranno per tali, ma alla più piccola sventura che t’incolga, non tarderai a riconoscere la loro ipocrisia. Il Cuor di Gesù invece è il cuore di un amico vero, di un amico fedele, di un amico generoso. E chi andrà a confidare i suoi segreti a questo Cuore Santissimo col timore che gli siano svelati? Il Cuore del sacerdote, che nel Sacramento della penitenza rappresenta il Cuore di Cristo, è a somiglianza di uno di quei pozzi che vi sono sulle montagne, nei quali gettata entro una pietra, non sarà possibile cavamela fuori più mai. E chi ricorrerà per consiglio, per aiuto, per sostegno al Cuore di Gesù e non avrà tosto quanto egli brama? Un giorno Egli si fece vedere dal tabernacolo a S. Giovanni Berchmans con una corona di rose in mano, simbolo delle sue grazie, e gli disse che era pronto a donarle a chiunque si fosse appressato a domandargliene. E quando è mai che il Cuore di Gesù ci abbandoni? Porse nella povertà? Forse nel disonore? Forse nell’abbandono degli uomini? Forse nel carcere? Forse sul patibolo? Forse in vita? Forse in morte? Ah! mai e poi mai Gesù non ci abbandona: Egli ci sta sempre dappresso, anche allora che noi rifiutiamo la sua amicizia, anche allora che siamo in peccato, Egli si avvicina al nostro cuore e batte con le sue grazie per poterci rientrare. E infine che cosa non ha fatto per noi questo amico generoso? Lo stesso Gesù ha detto, che non vi ha carità maggiore di colui, che dà l a sua vita per i suoi amici: ed Egli la diede, ma ciò che è più meraviglioso, non per i suoi amici, ma per i suoi nemici, quali sono gli uomini per il peccato. Egli infine nel Sacramento dell’amore trovò il modo di restar sempre in mezzo a noi, di farsi persino il cibo delle anime nostre! Oh amico senza confronto! Oh bontà veramente ineffabile! – Chi è adunque, che non amerà un cuore così bello, così buono, epperò così amabile? Se anche da lontano noi intendessimo esservi una persona ammirabile per queste doti, non è egli vero che, anche senza conoscerla, noi ci sentiremmo dolcemente forzati ad amarla? E il Cuore di Gesù, ripieno di bellezza, di bontà infinita, sarà da noi così poco amato? Oh Dio! esclama sant’Alfonso Maria de’ Liguori, Gesù che solo è amabile, Egli solo par che sia il mal fortunato con noi, non potendo giungere a vedersi da noi amato, come se non fosse abbastanza degno del nostro amore! È  così le fragili bellezze, le meschine bontà delle creature hanno maggior forza per guadagnare i nostri cuori, che non abbia il Cuore Santissimo di Gesù! Questo è quel che faceva piangere le Rose di Lima, le Caterine di Genova, le Terese, le Marie Maddalene de” Pazzi, le quali, considerando queste ingratitudini degli uomini, esclamavano piangendo: « L’amore non è amato! L’amore non è amato! » Orsù adunque, se vogliamo corrispondere degnamente al fine della divozione al Sacro Cuore, finiamola una volta con quegli amori delle creature, che non fanno altro che deturpare e gettare in affanno le anime nostre; amiamo soltanto più questo Divin Cuore, nel cui amore le anime nostre si faranno belle e buone della sua stessa bellezza e della sua stessa bontà.

II. — E ciò è richiesto dal nostro stesso interesse. Il mellifluo S. Bernardo oltre al chiamare il Cuore di Gesù Cuore di fratello e di amico, lo chiama altresì Cuore di re: Cor E ben a ragione, perché Gesù Cristo è re davvero, onde disse Egli stesso a Pilato: Rex sum ego. ( Jo. XVIII, 37). Ma Egli è re che regge realmente, re che ordina, governa e comanda con ogni potere tutto quanto il creato. Così ancora dichiarò Egli ai suoi apostoli: Data est mihi òmnis potestas in cœlo et in terra: (MATT. XXVIII, 18) A me è stata conferita ogni potestà in Cielo ed in terra. E come non sarebbe così, se Egli è Dio creatore e padrone assoluto degli Angeli, degli uomini, e di tutti quanti gli altri esseri creati? Ma perché non ne dubitassimo punto, durante la sua mortal vita Egli ce ne diede le prove più grandi. Alle nozze di Cana in Galilea, dando principio alla serie dei suoi strepitosi miracoli, comandò all’acqua di diventar vino, e l’acqua obbedì facendosi vino generoso. Sul lago di Genezaret addormentato a poppa di una nave, allorquando la tempesta mugge e minaccia di sommergerla, al grido degli Apostoli atterriti si desta; comanda ai venti ed al mare di ricomporsi in pace, e questi gli obbediscono e torna la calma perfetta. Nel deserto le turbe, che da più giorni lo seguono, mancano di cibo e stanno per venir meno, ma Egli comanda ad alcuni pani e a pochi pesci di moltiplicarsi e questi obbediscono e bastano a satollare migliaia di persone. Nei borghi, nei villaggi, nelle città dove Egli passa, sono recati a Lui sulle pubbliche piazze infermi d’ogni maniera perché li guarisca, ed Egli comanda alle infermità di lasciarli in salute, e le infermità obbediscono alla sua voce e se ne vanno; ed ecco i sordi che odono, i ciechi che vedono, gli storpi che si drizzano, i paralitici che si alzano dai loro letti e lo portano via sulle spalle, i lebbrosi che sono mondati, gl’infermi d’ogni malattia che sono sanati. Né solamente sulle infermità Gesù Cristo fa sentire il suo potere, ma ancora sulla morte istessa, ed al suo comando l’unico figlio della vedova di Naim, la figlia di Giairo, ed il fratello di Marta e Maddalena, dopo d’essere stati vittime della morte, riprendono la vita e risuscitano. Gli stessi demoni così superbi, così potenti cogli uomini, diventano piccoli e miserabili dinanzi a questo Re dell’universo, ed al suo imperioso comando escono frementi di rabbia dal corpo degli ossessi e se ne vanno dove egli li rilega, nel corpo di vili animali. E quale è poi la potenza che egli esercita a suo riguardo? Davanti a coloro che lo vogliono lapidare ei si rende invisibile; innanzi ai suoi Apostoli prediletti si trasfigura diventando col volto più fulgido del sole e colle vesti più candide della neve; a coloro che vanno per catturarlo dice una parola soltanto ed essi cadono tutti all’indietro. Sul Calvario poi inchiodato sulla croce, non sembrando più altro che la debolezza in persona, pur fa tremare la terra ed oscurare i cieli, fa che si spezzino le rocce, si aprano i sepolcri, risuscitino i morti, si squarci il velo del tempio, sicché gli stessi suoi crocifissori dicano, battendosi il petto: Vere Filius Dei erat iste! (MATT. XXVII, 40). Ah! costui era veramente Figlio di Dio. E da ultimo per sua propria virtù risorge trionfante da morte e dopo essere rimasto ancora quaranta giorni con i suoi Apostoli se ne sale al Cielo. Quali prove adunque della potenza del Cuore di Gesù Cristo? Sì, del Cuore; perché l’onnipotenza spontanea che Gesù Cristo dimostra non è altro se non l’effetto dell’amore e della misericordia per gli uomini. Tutti i miracoli da Lui compiuti sono atti di beneficenza, atti che mirano a prevenire od a togliere le sventure, atti che hanno per iscopo di trasformare le anime e di salvarle, di trarre a sé le menti ed i cuori, degli uomini, atti perciò che inducono le moltitudini a circondarlo, sia per fare appello fiduciosamente al suo potere, sia per rendergli grazie dell’esperienza, che già ne hanno fatta. – Ma la potenza del Cuore Sacratissimo di Gesù non si è ora abbreviata; epperò tutto quello che Egli fece nella sua mortal vita, e mille volte di più, Egli è pronto a fare ora e sempre per il bene delle anime nostre e per guadagnarsi l’affetto dei nostri cuori. Sì, certamente ora non sempre ad ogni nostra invocazione opererà un miracolo, perché ciò non è affatto necessario, benché se fossero tutti conosciuti quelli che opera anche oggidì in tutto il mondo, si vedrebbe non essere per nulla inferiori di numero e di grandezza a quelli operati un giorno nella Palestina. Ma per darci all’amore del Cuore di Gesù Cristo abbiamo noi bisogno di miracoli? Non ci basta il sapere che Egli può scamparci dai pericoli del corpo e dell’anima? Che Egli può guarirci dalle nostre malattie o darci la pazienza di sopportarle? che Egli può soccorrerci nelle nostre sventure o darci la forza per assoggettarvici con rassegnazione e con merito? Che Egli può liberarci dalle tentazioni del demonio od assisterci, perché ne siamo vincitori? che Egli può domare le nostre cattive inclinazioni e farci santi? Un giorno Gesù parlando a Santa Margherita le disse: «Non temere, o mia diletta, perché tu non mancherai di soccorso, se non quando questo mio Cuore mancherà di potenza. » Or queste confortanti parole il Divin Redentore rivolge ancora a noi tutti, suoi devoti. E siccome la potenza del Cuore di Gesù non verrà meno in eterno, perciò dobbiamo ritenere, che Egli sempre eserciterà a pro delle anime nostre il suo infinito potere, purché noi ce ne rendiamo degni col nostro sincero amore per Lui. Coraggio adunque, o carissimi, quando la bellezza e la bontà del Sacratissimo Cuore non bastassero ancora ad indurci al suo amore, ci sproni almeno il nostro interesse, nella considerazione della debolezza nostra e della sua potenza; amiamolo questo Cuore Santissimo, almeno per gli aiuti che ce ne possono venire, epperò d’ora innanzi ripetiamo sempre efficacemente: Diligam te, Domine, fortitudo mea; (Ps. XVII, 1) o Cuore Santissimo di Gesù, Signore del Cuor mio, io vi amerò, perché voi siete la mia forza. –

III. Ma non basta, o miei cari, che noi ci risolviamo di amare il Cuore di Gesù, o che diciamo di amarlo È necessario che lo amiamo di fatto con un amor vero. E perché il nostro amore sia tale, fa duopo anzi tutto che sia un amore attivo, fecondo di buone opere e di generosi sacrifici. No, non sono parole che il Cuor di Gesù cerca da noi, ma opere: non… verbo et lingua, sed opere et veritate, ( I Jo. III, 18) perché prova dell’amore è l’esibizione dell’opera; non sono preghiere soltanto, che Egli vuole da noi, benché anche queste gli siano tanto care, ma l’adempimento della sua santa volontà, giacché questa è la livrea, a cui si riconoscono i suoi veri amanti: qui habet mandata mea et servat ea, illi est qui diligit me; (Jo. XIV, 15) no, non sono unicamente tenerezze affettuose ed amorose compiacenze, che Egli richiede da noi, benché anche queste gli tornino gradite, ma fatti veri e reali nell’esecuzione precisa di tutti i suoi santi precetti. Non basta. Per amare il Cuore di Gesù bisogna sottostare alla fatica per Lui, soffrire per Lui, bramare che ci manchi qualche cosa per Lui, gradire le malattie o qualche disgrazia per Lui. Chi ama, deve abbracciare con gioia anche i tormenti e le sofferenze pel diletto. Oportet amantem omnia dura et aspera propter dilectum libenter amplecti. (Imit. 1. III, c. V) E colui che non è pronto a patir e ad abbandonarsi interamente alla volontà di colui che ama, non merita di essere chiamato amante: Qui non est paratus omnia pati, et ad voluntatem stare dilecti, non est dignus amator appellari. (Ibid.) Or ecco perché i Santi tanto anelavano di patire, e un S . Francesco d’Assisi giubilava in mezzo alla penuria ed alla nudità; e un S. Giovanni della Croce domandava per compenso a Gesù di patire ed essere disprezzato per Lui: e una S. Teresa esclamava: O patire, o morire: e una S. Maria de’ Pazzi soggiungeva: Patire e non morire. Tutto ciò era effetto dell’amor vero, che nutrivano in cuore per Gesù Cristo. In secondo luogo, per amare il Cuore di Gesù di un amor vero, bisogna amarlo di un amor sovrano. Con ciò non s’intende già di dire che lo dobbiamo amare di un amor esclusivo, cioè senza amar affatto il prossimo; il pensar ciò sarebbe un’empietà ed una pazzia. Gesù Cristo anzi ci ha insegnato e con le parole e con l’esempio, che amare il prossimo è precetto simile a quello di amare Iddio; ma nel tempo stesso ci ha appreso ancora che il prossimo dobbiamo amarlo in Dio, con Dio e per Iddio, e che, per quanto vivo e tenero sia l’amor nostro verso del prossimo, deve sempre essere sovranamente superato dall’amor di Dio. Chi ama il padre o la madre, ha detto Gesù Cristo, chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me: Qui amat patrem aut matrem plusquam me non est me dignus; et qui amat filium aut filiam super me, non est me dignus. (MATT. X, 37) Il Cuore di Gesù adunque vuol essere amato sovranamente. Ed è questo l’amore con cui noi lo amiamo? O non vi sarebbero invece nel cuor nostro degli amori, che eclissano l’amore di Gesù Cristo! Non vi sarebbe in noi la stolta pretesa di mettere a paro l’amore di Gesù Cristo con quello delle creature? Di dare un po’ del cuor nostro a Lui e il resto agli amici e ai beni del mondo? Ah! il Cuore di Gesù, santamente geloso, di questa ingiustissima divisione troppo resterebbe afflitto! Egli vuole assolutamente, che neppure un affètto solo non sia ordinato a Lui. È quello che assai chiaramente fece conoscere alla sua dilettissima S. Rosa di Lima. Questa santa verginella erasi già distaccata da tutto il mondo e non viveva più ad altro che a Dio in continue orazioni. E volendo talora sollevarsi qualche poco dalle sue lunghissime contemplazioni, si tratteneva a coltivare ed innaffiare una pianta di basilico; ed essendo già cresciuta fronzuta e bella si godeva l’innocente piacere di guardarla qualche volta. Quando un dì tornata essa a rivedere il suo basilico, vide rovesciato il vaso, sparsa qua e là la terra e sfrondata la pianta. E a questa vista, ohimè! disse la Santa, chi mi ha così rovinato il mio caro basilico? E in questo dire girando gli occhi, vide dinnanzi a sé  il divin Salvatore Gesù, che tutto accigliato e fosco le rispose: « Sono io, che ho strappato il basilico, perché non voglio che veruno de’ tuoi affetti sia dato ad altro che a me. » A tali parole si confuse la Santa, e gettatasi per terra chiese perdono a Gesù del suo fallo. Ora, o carissimi, se dispiacque a Gesù quell’affètto così innocente per una pianta, come potrebbero piacergli quegli amori, con cui noi amiamo le creature e i beni del mondo a preferenza di Lui? Come anzi non ne sarebbe sommamente sdegnato? Ah! per professare al Sacratissimo Cuore una vera divozione, gridiamo adunque efficacemente come gridava S. Francesco di Sales: « Se io sapessi che nel mio cuore vi è una sola fibra che non fosse per Iddio, me la vorrei tosto strappare e gettarla lontano come un veleno. » Imitiamo l’esempio de’ Santi, che sono stati pronti per amore di Gesù, a sacrificare anche gli amori più vivi e più teneri, di padre, di madre, di figlio, di sposo, di amico, sempre che questi amori non potevano conciliarsi coll’amore di Gesù Cristo. E se fosse necessario, siamo pronti come i martiri a sacrificare piuttosto la vita, anzi che rinnegare l’amore di quel Dio, che nel Cuore di Gesù si mostra degno del nostro sovrano amore. Finalmente il Cuore di Gesù per essere amato di un amor vero deve essere amato di un amore costante. Pur troppo, o miei cari, riandando la vita passata vi saranno non pochi tra di noi, che già avanzati negli anni, come S. Agostino dovranno dire: Signore Gesù, assai tardi ti ho conosciuto, assai tardi ti ho amato; Sero te cognovi, sero te amavi. E in questo caso che altro dovremmo fare per l’avvenire, se non imitare quei Santi, che pur avendo offeso Iddio con gravi peccati, si fecero a ripararli con l’amor penitente, con le lagrime della contrizione? Ma chi sa pure quanti altri, giovani ancora, andranno forse dicendo in cuor loro: Più tardi, quando i ghiacci dell’età avranno raffreddato i nostri sensi, quando la vita sarà logora, quando in essa non vi sarà più nulla per il mondo, più nulla per il piacere, più nulla per le passioni, allora approfitteremo della calma dei nostri vecchi anni per amicarci con Gesù Cristo e dargli il nostro amore! Oh se mai ve ne fossero: Giovani, griderei, non siate così insensati da gettare il fior di vostra vita. Indarno correte in cerca di felicità nei piaceri del mondo e nella soddisfazione dei sensi. Gli amori terreni non susciteranno in voi che affanni ed amarezze; e il più crudo disinganno non tarderebbe a mostrarvi quanto vi siate avviliti. Ma siamo noi giovani, siamo noi vecchi, se Dio ci ha fatto la grazia, massime nella divozione al Sacro Cuore di Gesù, di conoscerlo e di cominciare davvero ad amarlo, deh! non cessiamo di amarlo un istante solo. Amiamolo oggi e amiamolo domani, amiamolo di giorno e amiamolo di notte, amiamolo nella pace e amiamolo negli affanni, amiamolo nella prosperità e amiamolo nelle cose avverse, amiamolo nella gioia e amiamolo nel dolore, amiamolo sempre, amiamolo eternamente. Anche noi con l’Apostolo Paolo ripetiamo: « Chi ci separerà dalla carità di Cristo? La tribolazione, l’angoscia, la fame, la nudità, il pericolo, la persecuzione, la spada? Io son sicuro che né la morte, né la vita, né gli Angeli, né i principati, né  le virtudi, né  il presente, né l’avvenire, né la violenza, né ciò che è in alto, né ciò che è al basso, né qualsivoglia creatura potrà dividerci dalla carità di Dio, la quale è in Cristo Gesù Signor nostro. » (Rom. VIII, 35-39). Che anzi studiamoci incessantemente di accrescere pel Cuore di Gesù il nostro amore. No, quando si tratta di amare quel Cuore, che tanto ci ha amato, non bisogna mai dire: Basta. Quando pure avessimo sostenute tutte le malattie di S. Liduina, quando avessimo sofferto come san Francesco di Assisi i dolori della crocifissione, quando avessimo fondato come S. Teresa trentadue monasteri, quando avessimo procacciata la pace alla Chiesa come S. Caterina da Siena, quando avessimo convertito intere nazioni come san Francesco Saverio, quando avessimo faticato come S. Paolo ed amato come S. Giovanni, pensiamo e confessiamo, che non abbiamo ancor fatto nulla, in confronto di quello che ci resta a fare, per amare il Cuore di Gesù Cristo, come merita di essere amato. Ad ogni modo troviamoci sempre con tali vampe in cuore, che alla domanda del Cuore di Gesù: « Mi ami tu veramente? » possiamo rispondere come S. Pietro: « Signore, tu sai il tutto: e tu conosci che io ti amo. » ( Jo. XXI, 15-17). Sì, o Cuore Sacratissimo, voi sapete il tutto e vedete come nel cuor nostro vi sia almeno il desiderio di amarvi. Eccoci dunque interamente a voi. Si chiudano per sempre questi nostri occhi, se cercheremo le nostre compiacenze in altra bellezza, e bontà fuorché nella vostra. Si inaridisca per sempre la nostra lingua se cesserà di invocare il vostro possente aiuto. Si estingua in noi ogni alito di vita, se non faticheremo, se non soffriremo, se non vivremo sempre per voi. Aiutateci, o Cuore Divino, a restar fermi nei nostri propositi. Dateci la grazia di amarvi davvero come meritate di essere amato, affinché ciascuno di noi possa sempre ripetere con gioia: Dilectus meus mihi, et ego illi: (Cant. I, 16) il mio diletto a me, ed io a Lui, in vita ed in morte, in terra ed in cielo, ora ed in eterno.

 

CATECHISMO DI BALTIMORA 3 (III) – Lez. 8-10

Catechismo di Baltimora 3 (III) Lez. 8-10

[Dal terzo Concilio generale di Baltimora

Versione 1891]

LEZIONE 8 –

SULLA  PASSIONE , MORTE, RESURREZIONE E ASCENSIONE DEL SIGNORE NOSTRO

D. 369. Che cosa intendiamo per: passione di Nostro Signore?

R. Per passione di Nostro Signore intendiamo le sue tremende sofferenze, dalla sua agonia nel giardino, fino al momento della sua morte.

D. 370. Che cosa ha sofferto Gesù Cristo?

R. Gesù Cristo ha sofferto un sudore di sangue, una flagellazione crudele, è stato incoronato con spine ed è stato crocifisso.

D. 371. Quando Nostro Signore soffrì il “sudore di sangue”?

R. Nostro Signore soffrì il “sudore i sangue” quando gocce di sangue uscirono da ogni poro del Suo corpo, durante la sua agonia nell’orto degli Ulivi, vicino a Gerusalemme, dove andò a pregare la notte in cui iniziò la sua passione.

D. 372. Chi ha accompagnato nostro Signore all’orto degli ulivi nella notte della sua agonia?

R. Gli Apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni, gli stessi che avevano assistito alla sua trasfigurazione sul monte, accompagnarono nostro Signore all’orto degli ulivi, per vegliare e pregare con Lui nella notte della sua agonia.

D. 373. Che cosa intendiamo per trasfigurazione di Nostro Signore?

R. Per trasfigurazione di Nostro Signore intendiamo il cambiamento soprannaturale nella Sua apparizione, quando Egli si mostrò ai Suoi Apostoli in grande gloria e splendore in cui “il Suo volto brillò come il sole e le Sue vesti divennero candide come la neve”.

D. 374. Chi erano i presenti alla trasfigurazione?

R. Alla trasfigurazione erano presenti – oltre agli Apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni, che ne furono testimoni – i due grandi e santi uomini della antica Legge, Mosè ed Elia, che parlavano con nostro Signore.

D. 375. Che cosa ha causato l’agonia di Nostro Signore nel giardino?

R. Si crede che l’agonia di Nostro Signore nel giardino sia stata causata:

⁕  Dalla sua chiara conoscenza di tutto ciò che presto avrebbe sopportato;

⁕  Dalla vista delle molte offese commesse contro Suo Padre dai peccati di tutto il mondo;

⁕ Dalla sua conoscenza dell’ingratitudine degli uomini per le benefici della redenzione.

D. 376. Perché Cristo fu crudelmente flagellato?

R. Cristo fu crudelmente flagellato dagli ordini di Pilato, affinché la vista del Suo corpo sanguinante potesse spingere i suoi nemici a risparmiare la Sua vita.

D. 377. Perché Cristo fu incoronato di spine?

R. Cristo fu coronato di spine a mo’ scherno perché aveva affermato che era un re.

D. 378. Avrebbe potuto Cristo, a Lui piacendo, sfuggire alle pene della sua passione?

R. Cristo avrebbe potuto, volendo, sfuggire alle pene della sua Passione, perché le aveva previste ed aveva il potere di vincere i suoi nemici.

D. 379. Era necessario dunque che Cristo soffrisse così tanto per riscattarci?

R. Non era necessario che Cristo soffrisse così tanto per riscattarci, poiché la minima delle sue sofferenze era più che sufficiente per espiare tutti i peccati dell’umanità. Soffrendo così tanto però, ha mostrato il Suo grande amore per noi.

D. 380. Chi ha tradito Nostro Signore?

R. Giuda, uno dei Suoi Apostoli, ha tradito Nostro Signore e dal suo peccato possiamo imparare che anche il bene può trasformarsi in grande malvagità con l’abuso del libero arbitrio.

D. 381. In che modo Cristo fu condannato a morte?

R. Per l’influenza di coloro che lo odiavano, Cristo fu condannato a morte dopo un processo ingiusto, in cui testimoni falsi furono indotti a testimoniare contro di Lui.

D. 382. In quale giorno è morto Cristo?

R. Cristo è morto il Venerdì Santo.

D. 383. Perché chiami “buono” quel giorno in cui Cristo morì in modo così triste?

R. Chiamiamo “buono” quel giorno in cui Cristo è morto, perché con la sua morte ha mostrato il suo grande amore per l’uomo e ha acquistato per lui ogni bene.

384. Per quanto tempo Nostro Signore fu appeso sulla croce prima di morire?

R. Nostro Signore rimase appeso alla Croce circa tre ore prima che morisse. Mentre soffriva così, i suoi nemici stavano intorno a bestemmiare e a deriderlo. Con la sua morte Egli ha dimostrato di essere un vero uomo mortale, poiché certo non poteva morire nella sua natura divina.

D. 385. Come chiamiamo le parole che Cristo ha pronunciato mentre era appeso sulla croce?

R. Chiamiamo le parole che Cristo ha pronunciato mentre era appeso sulla croce “le sette ultime parole di Gesù sulla croce”. Ci insegnano le disposizioni che dovremmo avere noi nell’ora della morte.

D. 386. Ripeti le ultime sette parole o parole di Gesù sulla croce.

R. Le sette ultime parole o parole di Gesù sulla Croce sono:

1. “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”, in cui Egli perdona e prega per i Suoi nemici.

2. “In verità, io ti dico, questo giorno sarai con Me in Paradiso”, in cui Egli perdona il peccatore penitente.

3. “Donna, ecco il tuo Figlio” – “Ecco la tua Madre”, parole con le quali ha rinunciato a ciò che gli era più caro sulla terra, e ci ha dato Maria per Madre nostra.

4. “Mio Dio, mio ​​Dio, perché mi hai abbandonato?” da cui apprendiamo la sofferenza della sua mente.

5. “Ho sete”, da cui apprendiamo la sofferenza del suo corpo.

6. “Tutto è consumato”, con cui ha mostrato il compimento di tutte le profezie che riguardavano Lui ed il completamento dell’opera della nostra redenzione.

7. “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”, con il quale ha mostrato la sua perfetta rassegnazione alla volontà dell’eterno Padre Suo.

D. 387. Cosa è successo alla morte di Nostro Signore?

R. Alla morte di Nostro Signore ci sono state tenebre e movimenti della terra; molti santi morti uscirono dalle loro tombe ed il velo che nascondeva il Santo dei Santi, nel Tempio di Gerusalemme, fu lacerato.

D. 388. Cos’era il Santo dei Santi nel tempio?

R. Il Santo dei Santi era la parte sacra del Tempio, in cui era custodita l’Arca dell’Alleanza, e dove il sommo sacerdote consultava la Volontà di Dio.

D. 389. Che cosa era “l’Arca dell’Alleanza”?

R. L’Arca dell’Alleanza era una scatola preziosa in cui erano custodite le tavole di pietra recanti i comandamenti scritti di Dio, la verga che Aronne trasformò in un serpente davanti al re Faraone, e una parte della manna di cui gli israeliti si erano miracolosamente nutriti nel deserto. L’Arca dell’Alleanza era una antica figura del Tabernacolo in cui conserviamo la Santa Eucaristia.

D. 390. Perché il velo del Tempio fu squarciato alla morte di Cristo?

R. l velo del Tempio fu squarciato alla morte di Cristo perché alla sua morte la religione ebraica cessò di essere la vera religione, e Dio non manifestò più la Sua presenza nel Tempio.

D. 391. Perché la religione ebraica, che fino alla morte di Cristo era stata la vera religione, cessò in quel momento di essere la vera religione?

R. La religione ebraica, che fino alla morte di Cristo era stata la vera religione, cessò in quel momento di essere la vera religione, perché essa era solo una promessa della redenzione e figura della Religione cristiana, e quando la redenzione fu compiuta e la Religione cristiana stabilita dalla morte di Cristo, la promessa e la figura non erano più necessarie.

D. 392. Tutte le leggi della religione ebraica furono abolite dall’istituzione del Cristianesimo?

R. Le leggi morali della religione ebraica non furono abolite dall’istituzione del Cristianesimo, poiché Cristo non venne per distruggere queste leggi, ma per renderle più perfette. Le sue leggi cerimoniali furono abolite, quando il Tempio di Gerusalemme cessò di essere la Casa di Dio.

D. 393. Che cosa intendiamo per leggi morali e cerimoniali?

R. Per leggi “morali” intendiamo le leggi riguardanti il ​​bene e il male. Per leggi “cerimoniali” intendiamo le leggi che regolano le modalità di adorare Dio nel Tempio o nella Chiesa.

D. 394. Dove morì Cristo?

R. Cristo morì sul monte Calvario.

D. 395. Dov’era il Monte Calvario, e cosa significa il suo nome?

R. Il Monte Calvario era il luogo dell’esecuzione, non lontano da Gerusalemme; il nome significa “luogo del cranio”.

D. 396. Come è morto Cristo?

R. Cristo fu inchiodato alla croce e vi morì tra due ladri.

D. 397. Perché il Signore è stato crocifisso tra ladri?

R. Nostro Signore fu crocifisso tra i ladri, perché i suoi nemici potessero così aumentarne il disonore, rendendolo simile ai peggiori criminali.

D. 398. Perché Cristo soffrì e morì?

R. Cristo ha sofferto e è morto per i nostri peccati.

D: 399. Come fu seppellito il corpo di nostro Signore?

R. l corpo di nostro Signore fu avvolto in un panno di lino pulito e deposto in un sepolcro nuovo o tomba scavata nella roccia, da Giuseppe d’Arimatea e da altre persone pie che credevano nel Nostro Divino Signore.

D. 400. Quali lezioni impariamo dalle sofferenze e dalla morte di Cristo?

R. Dalle sofferenze e dalla morte di Cristo, apprendiamo il grande male del peccato, l’odio che Dio gli porta e la necessità di soddisfarlo.

D. 401. Dove andò l’anima di Cristo dopo la sua morte?

R. Dopo la morte di Cristo la sua anima discese nell’inferno.

D. 402. L’anima di Cristo discese nell’inferno dei dannati?

R. L’inferno in cui l’anima di Cristo discese non era l’inferno dei dannati, bensì un luogo o stato di riposo, chiamato Limbo, dove le anime dei giusti lo stavano aspettando.

D. 403. Perché Cristo è disceso nel Limbo?

R. Cristo discese nel Limbo per predicare alle anime che erano prigioniere – cioè, per annunciare loro la lieta novella della loro redenzione.

D. 404. Dov’era il corpo di Cristo mentre la sua anima era nel Limbo?

R. Mentre l’anima di Cristo era nel Limbo, il suo corpo era nel santo sepolcro.

D. 405. In quale giorno Cristo risuscitò dai morti?

R. Cristo risuscitò dalla morte, glorioso e immortale, la domenica di Pasqua, il terzo giorno dopo la sua morte.

D. 406. Perché la risurrezione è il più grande dei miracoli di Cristo?

R. La risurrezione è il più grande dei miracoli di Cristo perché tutto ciò che ha insegnato e fatto è confermato da esso e discende da esso. Egli aveva promesso di risorgere dai morti, e senza l’adempimento di quella promessa non potevamo credere in Lui.

D. 407. Qualcuno ha mai provato a confutare il miracolo della risurrezione?

R. I miscredenti in Cristo hanno cercato di smentire il miracolo della risurrezione così come hanno tentato di confutare tutti i suoi altri miracoli; ma le spiegazioni che danno per dimostrare che i miracoli di Cristo sono falsi, sono molto più improbabili e difficili da credere degli stessi miracoli.

D. 408. Che cosa intendiamo quando diciamo che Cristo è risorto “glorioso” dai morti?

R. Quando diciamo che Cristo è risorto “glorioso” dai morti, intendiamo che il suo corpo era in uno stato glorificato; cioè, dotato delle qualità di un corpo glorificato.

D. 409. Quali sono le qualità di un corpo glorificato?

R. Le qualità di un corpo glorificato sono:

1. Splendore, per cui emette luce;

2. Agilità, con la quale si muove da un luogo all’altro rapidamente come un Angelo;

3. Sottigliezza, in base alla quale le cose materiali non possono fermarlo;

4. Impassibilità, con la quale è reso incapace di soffrire.

D. 410. Cristo rimase tre giorni interi nella tomba?

R. Cristo non rimase nella tomba tre giorni interi, ma solo parte di tre giorni.

D. 411. Per quanto tempo Cristo rimase sulla terra dopo la sua risurrezione?

R. Cristo rimase quaranta giorni sulla terra dopo la sua risurrezione, per dimostrare che era veramente risorto dai morti e per istruire i suoi Apostoli.

D. 412. Cristo è stato visibile a tutti ed in ogni momento durante i quaranta giorni che è rimasto sulla terra dopo la sua risurrezione?

R. Cristo non era visibile a tutti, né in ogni momento durante i quaranta giorni in cui rimase sulla terra dopo la sua risurrezione. Sappiamo che Egli apparve ai Suoi Apostoli e ad altri, almeno nove volte, sebbene Egli potesse apparire più spesso.

D. 413. In che modo Cristo dimostrò che era veramente risorto dai morti?

R. Cristo dimostrò che era veramente risorto dai morti, mangiando e conversando con i suoi Apostoli e con altri ai quali apparve. Mostrò le ferite nelle sue mani, piedi e fianchi, e fu dopo la sua risurrezione che diede ai suoi apostoli il potere di perdonare i peccati.

D. 414. Dopo che Cristo era rimasto per quaranta giorni sulla terra, dove andò?

R. Dopo quaranta giorni, Cristo è asceso al cielo, ed il giorno in cui è asceso al cielo è chiamato Ascensione.

D. 415. Dove si è svolta l’ascensione di Nostro Signore?

R. Cristo ascese al cielo dal monte Oliveto, il luogo reso sacro dalla sua agonia nella notte prima della sua morte.

D. 416. Chi erano i presenti all’ascensione e chi ascese al cielo con Cristo?

R. Da varie luoghi della Scrittura, possiamo concludere che c’erano circa 125 persone – anche se le tradizioni ci dicono che ce n’era un numero maggiore – presenti all’Ascensione. Questi erano gli Apostoli, i Discepoli, le pie donne e altri che avevano seguito Nostro Signore. Con Cristo salirono le anime dei giusti che stavano aspettando nel Limbo la Redenzione.

D. 417. Perché la candela pasquale, illuminata il mattino di Pasqua, si spegne durante la Messa nel giorno dell’Ascensione?

R. Il cero pasquale è illuminato il mattino di Pasqua, e significa la presenza visibile di Cristo sulla terra, e si spegne nel giorno dell’Ascensione per mostrare che Egli, avendo adempiuto tutte le profezie concernenti Se Stesso, e avendo compiuto l’opera di redenzione, ha affidato la cura visibile della sua Chiesa ai suoi Apostoli ed è ritornato col suo corpo al cielo.

D. 418. Dove si trova Cristo in cielo?

R. In cielo, Cristo siede alla destra di Dio Padre Onnipotente.

D. 419. Cosa intendi dicendo che Cristo siede alla destra di Dio?

R. Quando dico che Cristo siede alla destra di Dio, intendo dire che Cristo, come Dio, è uguale a Suo Padre in tutte le cose e che, come uomo, Egli è nel posto più alto in cielo accanto a Dio.

LEZIONE 9 –

SULLO SPIRITO SANTO E LA SUA DISCESA SUGLI APOSTOLI

D. 420. Chi è lo Spirito Santo?

R. Lo Spirito Santo è la terza Persona della Santissima Trinità.

421. Lo Spirito Santo è mai apparso?

R. Lo Spirito Santo è apparso a volte sotto forma di una colomba, e di nuovo sotto la forma di lingue di fuoco; poiché, essendo un puro spirito senza un corpo, Esso può assumere qualsiasi forma.

422. Lo Spirito Santo è chiamato con altri nomi?

R. Lo Spirito Santo è chiamato anche Santo Spirito, il Paraclito, lo Spirito di Verità e altri nomi dati nella Sacra Scrittura.

423. Da chi procede lo Spirito Santo?

R. Lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio.

D. 424. Lo Spirito Santo è uguale al Padre e al Figlio?

R. Lo Spirito Santo è uguale al Padre e al Figlio, essendo lo stesso Signore e Dio così come Essi sono.

D. 425. In quale giorno lo Spirito Santo scese sugli Apostoli?

R. Lo Spirito Santo scese sugli Apostoli dieci giorni dopo l’Ascensione di nostro Signore; e il giorno in cui discese sugli Apostoli è chiamato Pentecoste o Pentecoste.

D. 426. Perché il giorno in cui lo Spirito Santo scese sugli Apostoli è chiamato Domenica Bianca?

R. Il giorno in cui lo Spirito Santo scese sugli Apostoli è chiamato Pentecoste o Domenica Bianca, probabilmente perché i Cristiani che furono battezzati alla vigilia di Pentecoste indossarono indumenti bianchi per qualche tempo dopo, come segno della purezza conferita alla loro anime dal Sacramento del Battesimo.

D. 427. Perché questa festa si chiama anche Pentecoste?

R. Questa festa è chiamata anche Pentecoste, perché Pentecoste significa: cinquantesimo; e lo Spirito Santo scese sugli Apostoli cinquanta giorni dopo la risurrezione di Nostro Signore.

D. 428. In che modo lo Spirito Santo discese sugli Apostoli?

R. Lo Spirito Santo discese sugli Apostoli sotto forma di lingue di fuoco.

D. 429. Che cosa denotava la forma delle lingue di fuoco?

R. La forma delle lingue di fuoco denotava il carattere sacro e l’autorità divina della predicazione e dell’insegnamento degli Apostoli, dalle cui parole e fervore tutti gli uomini dovevano essere convertiti all’amore di Dio.

D. 430. Chi ha inviato lo Spirito Santo sugli Apostoli?

R. È Nostro Signore Gesù Cristo che ha inviato lo Spirito Santo sugli Apostoli.

D. 431. Gli Apostoli sapevano che lo Spirito Santo sarebbe sceso su di loro?

R. Gli Apostoli sapevano che lo Spirito Santo sarebbe sceso su di loro; poiché Cristo ha promesso ai suoi Apostoli che dopo la sua Ascensione avrebbe mandato lo Spirito Santo, lo Spirito di verità, per insegnare loro tutte le verità e per rimanere con loro per sempre.

D. 432. Qualcuno ha mai negato l’esistenza dello Spirito Santo?

R. Alcune persone hanno negato l’esistenza dello Spirito Santo; altri hanno negato che fosse una Persona reale uguale al Padre e al Figlio; ma tutte queste affermazioni si sono dimostrate false per le parole della Sacra Scrittura e per l’insegnamento infallibile della Chiesa.

D. 433. Quali sono i peccati contro lo Spirito Santo che Nostro Signore ha detto che non saranno perdonati né in questo mondo né nel futuro?

R. I peccati contro lo Spirito Santo, che Nostro Signore ha detto che non saranno perdonati né in questo mondo né nel futuro, sono peccati commessi per pura malvagità e fortemente contrari alla misericordia di Dio, e sono perciò raramente perdonati.

D. 434. Perché Cristo ha mandato lo Spirito Santo?

R. Cristo ha mandato lo Spirito Santo per santificare la Sua Chiesa, per illuminare e rafforzare gli Apostoli e per consentire loro di predicare il Vangelo.

D. 435. In che modo la Chiesa fu santificata dalla venuta dello Spirito Santo?

R. La Chiesa fu santificata mediante la venuta dello Spirito Santo ricevendo quelle grazie che Cristo aveva meritato per i suoi ministri, i Vescovi e i sacerdoti e per le anime di tutti coloro che erano affidati alle loro cure.

D. 436. In che modo gli Apostoli furono illuminati dalla venuta dello Spirito Santo?

R. Gli Apostoli furono illuminati dalla venuta dello Spirito Santo ricevendo la grazia di ricordare e comprendere nel suo vero significato tutto ciò che Cristo aveva detto e fatto alla loro presenza.

D. 437. In che modo gli Apostoli si rafforzarono con la venuta dello Spirito Santo?

R. Gli Apostoli furono rafforzati dalla venuta dello Spirito Santo con il ricevere la grazia di sfidare ogni pericolo, e persino la stessa morte, nell’adempimento dei loro sacri doveri.

D. 438. Che cosa significa “Apostolo” e che cosa significa “Vangelo”?

R. “Apostolo” significa una persona inviata e “Vangelo” significa “buone notizie” o “nuove”. Quindi il nome “Vangelo” è dato alla storia ispirata della vita di Nostro Signore e delle opere sulla terra.

D. 439. Come si chiamavano gli Apostoli?

R. Gli Apostoli erano: Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Tommaso, Matteo, Giacomo, Taddeo, Simone e Giuda Iscariota, al cui posto fu poi scelto Mattia.

D. 440. San Paolo era un Apostolo?

R. San Paolo era un Apostolo, ma poiché non è stato chiamato che dopo l’Ascensione di Nostro Signore, non è numerato tra i dodici. È chiamato l’Apostolo delle genti; cioè di tutti quelli che non erano di religione ebraica o membri della Chiesa della vecchia legge.

D. 441. In che modo San Paolo divenne un Apostolo?

R. Mentre stava andando a perseguitare i Cristiani, San Paolo fu miracolosamente convertito e chiamato ad essere un Apostolo da Nostro Signore, che gli parlò. San Paolo, prima della sua conversione, si chiamava Saulo.

D. 442. Chi erano gli Evangelisti?

R. San Matteo, San Marco, San Luca e San Giovanni sono chiamati Evangelisti, perché hanno scritto i quattro Vangeli che portano il loro nome, ed “Evangelia” è il nome latino dei Vangeli. San Marco e San Luca non furono Apostoli, mentre San Matteo e San Giovanni furono entrambi Apostoli ed Evangelisti.

D. 443. Perché gli Apostoli non hanno compreso pienamente quando Cristo stesso aveva loro insegnato loro?

R. Gli Apostoli non capirono pienamente quando Cristo stesso insegnò loro, perché durante la sua permanenza con loro sulla terra si stavano solo preparando a diventare Apostoli; le loro menti erano ancora piene di molti pensieri e desideri mondani che dovevano essere poi rimossi alla venuta dello Spirito Santo.

D. 444. Lo Spirito Santo rimarrà per sempre con la Chiesa?

R. Lo Spirito Santo dimorerà per sempre con la Chiesa e la guiderà sulla via della santità e della verità.

D. 445. Quale beneficio noi otteniamo dalla consapevolezza che lo Spirito Santo resterà con la Chiesa per sempre?

R. Dalla consapevolezza che lo Spirito Santo resterà con la Chiesa per sempre, noi siamo certi che la Chiesa non potrà mai insegnarci la menzogna e non potrà mai essere distrutta dai nemici della nostra fede.

D. 446. Quale potere visibile fu dato agli Apostoli, attraverso la venuta dello Spirito Santo?

R. Attraverso la venuta dello Spirito Santo gli Apostoli ricevettero il “dono delle lingue”, con il quale potevano essere compresi in ogni lingua, sebbene predicassero in una sola lingua.

D. 447. Perché tali meravigliosi doni hanno accompagnato la conferma, o la venuta dello Spirito Santo, nella prima età della Chiesa?

R. Tali meravigliosi doni hanno accompagnato la confermazione nelle prime età della Chiesa per dimostrare la potenza, la verità e il carattere divino del Cristianesimo a coloro che altrimenti non avrebbero potuto credere, e per attirare l’attenzione di tutti sull’istituzione della Chiesa Cristiana.

D. 448. Perché questi segni non sono continuati poi ovunque, ed anche in questo momento?

R. Questi segni non sono continuati ovunque ed anche in questo momento, perché ora che la Chiesa è pienamente stabilita e il suo carattere e i potere divini si sono dimostrati in altri modi, tali segni non sono più necessari.

D. 449. Poteri come il “dono delle lingue” costituivano parte del Sacramento della Confermazione?

R. Poteri come il “dono delle lingue”, non facevano parte del Sacramento della Confermazione, ma furono aggiunti dallo Spirito Santo quando fu necessario per il bene della Chiesa.

LEZIONE 10 –

SUGLI EFFETTI DELLA REDENZIONE

D.450. Che cos’è un effetto?

R. Un effetto è un qualcosa che viene causato da qualcos’altro, come ad esempio il fumo, è effetto del fuoco.

D.451. Che cosa significa redenzione?

R. Redenzione significa riacquistare una cosa che è stata data via o venduta.

D. 452. Che cosa ha dato via Adamo col suo peccato, e che cosa ha comprato Nostro Signore per lui e per noi?

R. Con il suo peccato, Adamo ha ceduto ogni diritto ai doni di grazia promessi da Dio in questo mondo e di gloria nell’altro, e Nostro Signore ha recuperato il diritto che Adamo aveva perduto.

D. 453. Quali sono gli effetti principali della Redenzione?

R. Gli effetti principali della Redenzione sono due: la soddisfazione della giustizia di Dio, mediante le sofferenze e la morte di Cristo, e l’acquisto della grazia per gli uomini.

D. 454. Perché diciamo “effetti principali”?

R. Diciamo “effetti principali” per dimostrare che questi sono solo i più importanti ma non i soli effetti della Redenzione; infatti tutti i benefici della nostra santa Religione e della sua influenza sul mondo sono gli effetti della redenzione.

D. 455. Perché la giustizia di Dio richiede soddisfazione?

R. La giustizia di Dio richiede soddisfazione perché è infinita e richiede riparazione per ogni colpa. L’uomo nel suo stato di peccato non ha potuto fare una riparazione necessaria, così Cristo è diventato uomo e l’ha fatto Egli per lui.

D. 456. Cosa intendi per grazia?

R. Per grazia intendo un dono soprannaturale di Dio a noi conferito, per i meriti di Gesù Cristo, per la nostra salvezza.

D. 457. Che cosa significa “soprannaturale”?

R. Soprannaturale significa sopra o superiore alla natura. Tutti i doni come la salute, l’apprendimento o le comodità della vita, che influiscono principalmente sulla nostra felicità in questo mondo, sono chiamati doni naturali, mentre e tutti i doni, come le beatitudini, che riguardano la nostra felicità principalmente nel mondo futuro, sono chiamati doni soprannaturali o spirituali.

D. 458. Cosa intendi con “merito”?

R. Merito indica la qualità di meritare un bene o un male per le nostre azioni. Nella domanda di cui sopra, si intende il diritto di ricompensa per le buone azioni compiute.

D. 459. Quanti tipi di grazia ci sono?

R. Esistono due tipi di grazia, la grazia santificante e la grazia reale.

R. 460. Qual è la differenza tra la grazia santificante e la grazia effettiva?

R. La grazia santificante rimane con noi finché non siamo colpevoli di peccato mortale; e quindi essa è spesso chiamata grazia abituale; ma la grazia effettiva ci perviene solo quando abbiamo bisogno del suo aiuto nel fare o nell’evitare un’azione, e rimane con noi solo nel mentre che stiamo facendo o evitando l’azione.

D. 461. Che cos’è la grazia santificante?

R. La grazia santificante è quella grazia che rende l’anima santa e gradita a Dio.

D. 462. Come chiamate quelle grazie o doni di Dio con le quali crediamo in Lui, speriamo in Lui e Lo amiamo?

R. Quelle grazie o doni di Dio con cui crediamo in Lui, speriamo in Lui, e Lo amiamo, sono chiamate le virtù divine o teologali, di Fede, Speranza e Carità.

D. 463. Che cosa intendi per virtù e per vizio?

R. La virtù è l’abitudine di fare il bene, mentre il vizio è l’abitudine di fare il male. Un atto, buono o cattivo, non costituisce un’abitudine; e quindi, una virtù o un vizio è il risultato di ripetuti atti dello stesso tipo.

D. 464. L’abitudine ci scusa dai peccati commessi per causa sua?

R. L’abitudine non ci scusa dai peccati commessi a sua causa, ma anzi ci rende ancor più colpevoli mostrandoci quanto spesso dobbiamo aver commesso il peccato per acquisirne l’abitudine. Se, tuttavia, stiamo seriamente cercando di superare una cattiva abitudine, e con la dimenticanza cediamo ad essa, l’abitudine a volte ci può scusare dal peccato.

D. 465. Che cos’è la fede?

R. La fede è una virtù divina grazie alla quale crediamo fermamente alle verità che Dio ha rivelato.

D. 466. Che cos’è la speranza?

R. La speranza è una virtù divina con la quale crediamo fermamente che Dio ci darà la vita eterna e i mezzi per ottenerla.

D. 467. Che cos’è la carità?

R. La carità è una virtù divina con la quale amiamo Dio sopra ogni cosa per proprio amor suo, e il nostro prossimo come noi stessi, per amor di Dio.

D. 468. Perché la fede, la speranza e la carità sono chiamate virtù?

R. Fede, Speranza e Carità sono chiamate virtù perché non sono meri atti, ma abitudini, mediante le quali sempre e in ogni cosa crediamo in Dio, speriamo in Lui e Lo amiamo.

D. 469. Che tipo di virtù sono Fede, Speranza e Carità?

R. Fede, Speranza e Carità sono chiamate virtù infuse teologali per distinguerle dalle quattro virtù morali: Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza.

D. 470. Perché diciamo che le tre virtù teologali sono infuse e le quattro virtù morali acquisite?

R. Diciamo che le tre virtù teologali sono infuse; cioè, riversate nelle nostre anime, perché sono doni rigorosamente di Dio e non dipendono dai nostri sforzi per ottenerle, mentre le quattro virtù morali: Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza – sebbene anche doni di Dio, possono, come virtù naturali, essere acquisite con i nostri sforzi.

D. 471. Perché crediamo in Dio, speriamo in Lui e Lo amiamo?

R. Crediamo in Dio e speriamo in Lui perché è infinitamente vero e non ci può ingannare. Lo amiamo perché è infinitamente buono, magnifico e degno di ogni amore.

D. 472. Quali peccati mortali sono contrari alla Fede?

R. L’ateismo, che è una negazione di tutte le verità rivelate; l’eresia, che è una negazione di alcune verità rivelate; la superstizione, che è un uso improprio della religione, sono contrarie alla Fede.

D. 473. Chi è il nostro prossimo?

R. Ogni essere umano suscettibile di salvezza di ogni età, paese, razza o condizione, specialmente se ha bisogno del nostro aiuto, è il nostro prossimo nel senso del Catechismo.

D. 474. Perché dovremmo amare il nostro prossimo?

R. Dovremmo amare il prossimo perché è uno dei figli di Dio, redento da Gesù Cristo, e perché è nostro fratello creato per dimorare in cielo con noi.

D. 475. Qual è la vera grazia?

R. La grazia effettiva è quell’aiuto di Dio che illumina la nostra mente e muove la nostra volontà per evitare il male e fare del bene.

D. 476. La grazia è necessaria per la salvezza?

R. La grazia è necessaria per la salvezza, perché senza la grazia non possiamo fare nulla per meritare il cielo.

D. 477. Possiamo resistere alla grazia di Dio?

R. Possiamo, e purtroppo spesso facciamo resistenza alla grazia di Dio.

D. 478. È un peccato resistere consapevolmente alla grazia di Dio?

R. Sì, è un peccato resistere consapevolmente alla grazia di Dio, perché così lo disprezziamo e ne rifiutiamo i doni senza i quali non possiamo essere salvati.

D. 479. Dio concede la sua grazia a tutti?

R. Dio dà a tutti coloro che Egli crea sufficiente grazia per salvare la propria anima; e se le persone non salvano le loro anime, è perché non hanno usato la grazia ricevuta.

D. 480. Qual è la grazia della perseveranza?

R. La grazia della perseveranza è un dono particolare di Dio che ci permette di continuare nello stato di grazia fino alla morte.

D. 481. Possiamo meritare la grazia della perseveranza finale o sapere quando la possediamo?

R. Non possiamo meritare la grazia della perseveranza finale, o sapere quando la possediamo, perché dipende interamente dalla misericordia di Dio e non dalle nostre azioni. Immaginare di possederlo ci condurrebbe al peccato della presunzione.

D. 482. Una persona può meritare una ricompensa soprannaturale per le buone azioni compiute, mentre è in peccato mortale?

R. Una persona non può meritare alcuna ricompensa soprannaturale per le buone azioni compiute mentre è in peccato mortale; tuttavia, Dio ricompensa tali buone azioni dando la grazia del pentimento; e, quindi, tutte le persone, anche quelle in peccato mortale, dovrebbero sforzarsi di fare del bene.

D. 483. Dio ricompensa tutte le nostre buone opere?

R. Dio ricompensa la nostra buona intenzione e il desiderio di servirLo, anche quando le nostre opere non hanno successo. Dovremmo rinnovare questa buona intenzione spesso durante il giorno, e specialmente al mattino.

IL CATECHISMO DI BALTIMORA 3 (IV) Lez. 11-13

 

IL CATECHISMO DI BALTIMORA 3 (II) – Lez. 5-7

IL CATECHISMO DI BALTIMORA (2)

[Dal terzo Concilio generale di Baltimora

Versione 1891]

Lezioni 5-7

LEZIONE 5 –

SUL NOSTRO PRIMO GENITORE E SULLA CADUTA

D. 233. Chi furono il primo uomo e la prima donna?

R. I primi uomini, uomo e donna, sono stati Adamo ed Eva.

D. 234. Ci sono delle persone nel mondo che non sono discendenti di Adamo ed Eva?

R. Non ci sono persone nel mondo né adesso, né ce ne sono mai state, che non siano i discendenti di Adamo ed Eva, perché l’intera razza umana non ha avuto che un’unica origine.

D. 235. Le differenze di colore, di statura, ecc., che troviamo in razze distinte, indicano una differenza nei primi genitori?

R. Le differenze di colore, statura, ecc., che troviamo in razze distinte, non indicano differenza nei primi genitori, in quanto queste differenze sono state prodotte nel tempo da altre cause, come il clima, le abitudini, ecc…

D. 236. Adamo ed Eva erano innocenti e santi quando uscirono dalla mano di Dio?

R. Adamo ed Eva erano innocenti e santi quando uscirono dalla mano di Dio.

D. 237. Che cosa intendiamo dicendo che Adamo ed Eva “erano innocenti” quando uscirono dalla mano di Dio?

R. Quando diciamo che Adamo ed Eva “erano innocenti” quando uscirono dalla mano di Dio, intendiamo che essi erano nello stato di giustizia originale; cioè, erano dotati di ogni virtù e liberi da ogni peccato.

D. 238. Come si è formato il corpo di Adamo?

R. Dio ha formato il corpo esteriore di Adamo dall’argilla della terra, e poi ha insufflato in esso un’anima vivente.

D. 239. Come si è formato il corpo di Eva?

R. Il corpo di Eva si è formato da una costola estratta dal fianco di Adamo durante un sonno profondo che Dio fece scendere su di lui.

D. 240. Perché Dio fece Eva da una costola di Adamo?

R. Dio fece Eva da una costola di Adamo per dimostrare la stretta relazione esistente tra il marito e la moglie nella loro unione matrimoniale da Dio istituita.

D. 241. Potrebbe essersi sviluppato, il corpo dell’uomo, dal corpo di un animale inferiore?

R. Il corpo dell’uomo potrebbe essersi sviluppato dal corpo di un animale inferiore qualora Dio lo avesse voluto; ma la scienza non prova che il corpo dell’uomo sia stato così formato, mentre la rivelazione ci insegna che esso sia stato formato direttamente da Dio dall’argilla della terra.

D. 242. L’anima e l’intelligenza dell’uomo possono essersi formate dallo sviluppo della vita animale e dall’istinto?

R. L’anima dell’uomo non può essersi formata dallo sviluppo dell’istinto animale, poiché, essendo interamente spirituale, deve essere stata creata da Dio ed è unita al corpo non appena il corpo sia pronto a riceverla.

D. 243. Dio ha dato qualche comando ad Adamo ed Eva?

R. Per provare la loro obbedienza, Dio comandò ad Adamo ed Eva di non mangiare un certo frutto che cresceva nel giardino del Paradiso.

D. 244. Qual era il giardino del paradiso?

R. Il Giardino del Paradiso era un luogo grande e bello, preparato come abitazione dell’uomo sulla terra. E stato fornito di ogni specie di piante e di animali e con tutto ciò che potesse contribuire alla felicità dell’uomo.

D. 245. Dov’era il Giardino del Paradiso?

R. Il luogo esatto in cui si trovava il Giardino del Paradiso – chiamato anche il Giardino dell’Eden – non è conosciuto, poiché il diluvio può aver cambiato la superficie della terra e gli antichi punti di riferimento essere stati cancellati. Probabilmente era posto in Asia, non lontano dal fiume Eufrate.

D. 246. Come si chiamava l’albero recante il frutto proibito?

R. L’albero che porta il frutto proibito è stato chiamato “l’albero della conoscenza del bene e del male”.

D. 247. Conosciamo il nome di qualsiasi altro albero nel giardino?

R. Conosciamo il nome di un altro albero nel giardino chiamato “albero della vita”. Il suo frutto manteneva i corpi dei nostri primi genitori in uno stato di perfetta salute.

D. 248. Quali sarebbero state le principali beatitudini destinate ad Adamo ed Eva se fossero rimasti fedeli a Dio?

R. Le principali beatitudini destinate ad Adamo ed Eva, se fossero rimaste fedeli a Dio, erano un costante stato di felicità in questa vita e la gloria eterna nell’altro.

D. 249. Adamo ed Eva sono rimasti fedeli a Dio?

R. Adamo ed Eva non rimasero fedeli a Dio, ma infransero il Suo comando mangiando il frutto proibito.

D. 250. Chi fu il primo a disobbedire a Dio?

R. Eva fu la prima a disobbedire a Dio e indusse Adamo a fare lo stesso.

D. 251. In che modo Eva fu tentata nel peccare?

R. Eva fu tentata dal peccato dal diavolo, che venne sotto forma di un serpente e la persuase ad infrangere il comando di Dio.

D. 252. Quali furono le cause principali che portarono Eva nel peccato?

R. Le cause principali che portarono Eva nel peccato furono: (1) Si espose al pericolo di peccare ammirando ciò che era proibito, invece di evitarlo. (2) Lei non cadde subito nella tentazione, ma discutendo si arrese ad essa. Una simile condotta da parte nostra, allo stesso modo ci porterà al peccato.

D. 253. Che cosa accadde ad Adamo ed Eva a causa del loro peccato?

R. Adamo ed Eva, a causa del loro peccato, persero l’innocenza e la santità e furono condannati alla malattia e alla morte.

D. 254. Quali altri mali hanno colpito Adamo ed Eva a causa del loro peccato?

R. Molti altri mali colpirono Adamo ed Eva a causa del loro peccato. Furono cacciati dal Paradiso e condannati a lavorare. Dio dispose anche che d’ora in poi la terra non producesse raccolti senza essere coltivata, e che le bestie, una volta amici dell’uomo, diventassero i suoi selvatici nemici.

D. 255. Dovevamo noi rimanere nel Giardino del Paradiso per sempre, se Adamo non avesse peccato?

R. Non dovevamo rimanere nel Giardino del Paradiso per sempre anche se Adamo non avesse peccato, ma dopo aver attraversato gli anni della prova sulla terra, dovevamo essere presi, corpo e anima, e portati in cielo senza patire la morte.

256. Qual male ci ha colpiti a causa della disobbedienza dei nostri primi genitori?

R. A causa della disobbedienza dei nostri primi genitori, tutti condividiamo il loro peccato e la loro punizione, come avremmo condiviso d’altra parte la loro felicità, se fossero rimasti fedeli.

D. 257. Non è ingiusto punirci per il peccato dei nostri primi genitori?

R. Non è ingiusto punirci per il peccato dei nostri primi genitori, perché la loro punizione consisteva nell’essere privati ​​di un dono gratuito di Dio; cioè, del dono della giustizia originale a cui non avevano alcun rigoroso diritto al quale volontariamente avevano rinunciato nel loro atto di disobbedienza.

D. 258. Ma in che modo la perdita del dono della giustizia originale ha lasciato i nostri primi genitori e noi in peccato mortale?

R. La perdita del dono della giustizia originale ha lasciato i nostri primi genitori e noi, nel peccato mortale, perché li ha privati ​​della Grazia di Dio, ed è proprio nell’essere senza questo dono della Grazia, che è consistito e consiste il peccato mortale. Poiché anche tutti i loro figli sono privati ​​dello stesso dono di Grazia, pur essi vengono al mondo nello stato di peccato mortale.

D. 259. Quali altri effetti seguirono al peccato dei nostri primi genitori?

R. La nostra natura era corrotta dal peccato dei nostri primi genitori, oscurando così la nostra comprensione, indebolendo la nostra volontà e lasciando in noi una forte inclinazione al male.

D. 260. Che cosa intendiamo per “la nostra natura è stata corrotta”?

R. Quando diciamo che “la nostra natura è stata corrotta” intendiamo che tutto il nostro essere, corpo e anima, è stato ferito in tutte le sue parti e nei suoi poteri.

D. 261. Perché diciamo che la nostra comprensione è stata oscurata?

R. Diciamo che la nostra comprensione è stata oscurata perché anche con il molto apprendimento, non abbiamo la chiara conoscenza, la percezione rapida e la memoria ritentiva che Adamo aveva prima della sua caduta dalla grazia.

D. 262. Perché diciamo che la nostra volontà è stata indebolita?

R. Diciamo che la nostra volontà è stata indebolita per mostrare che il nostro libero arbitrio non è stato interamente tolto dal peccato di Adamo, e che abbiamo ancora il potere di usare il nostro libero arbitrio, facendo il bene o il male.

D. 263. In che consiste la forte inclinazione al male che è rimasta in noi?

R. Questa forte inclinazione al male che è lasciata in noi, consiste negli sforzi continui che i nostri sensi e i nostri appetiti fanno per condurre le nostre anime al peccato. Il corpo è incline a ribellarsi contro l’anima e l’anima stessa a ribellarsi contro Dio.

D. 264. Che cos’è questa forte inclinazione richiamata al male, e perché Dio le ha permesso di rimanere in noi?

R. Questa forte inclinazione al male è chiamata concupiscenza, e Dio le permette di rimanere in noi perché, con la sua grazia, possiamo resisterle e così aumentare i nostri meriti.

D. 265. Come è chiamato il peccato che ereditiamo dai nostri primi genitori?

R. Il peccato che ereditiamo dai nostri primi genitori è chiamato peccato originale.

D. 266. Perché questo peccato è chiamato originale?

R. Questo peccato è chiamato originale perché discende fino a noi dai nostri primi genitori e veniamo al mondo con questa colpa sulla nostra anima.

D. 267. Questa corruzione della nostra natura rimane in noi dopo che il peccato originale sia stato perdonato?

R. Questa corruzione della nostra natura e le altre pene rimangono in noi anche dopo che il peccato originale è perdonato.

D. 268. Qualcuno è mai stato preservato dal peccato originale?

R. La Beata Vergine Maria, per i meriti del suo divin Figlio, fu preservata libera dalla colpa del peccato originale, e questo privilegio è chiamato la sua Immacolata Concezione.

269. Perché la Vergine è stata preservata dal peccato originale?

R. La Beata Vergine fu preservata dal peccato originale perché non sarebbe stato coerente con la dignità del Figlio di Dio che la Madre Sua, anche per un solo istante, fosse stata sotto la potenza del diavolo, nemico di Dio.

D. 270. In che modo la Beata Vergine poteva essere preservata dal peccato dal suo Divin Figlio, prima che suo Figlio nascesse?

R. La Vergine Benedetta poteva essere preservata dal peccato dal suo Divin Figlio prima che nascesse come uomo, poiché Egli sempre è esistito come Dio e aveva previsto i suoi meriti futuri e la dignità della Madre Sua. Quindi, per i suoi futuri meriti, aveva previsto il suo privilegio di essere esente dal peccato originale.

D. 271. Che cosa significa “Immacolata Concezione”?

R. L’Immacolata Concezione significa il privilegio esclusivo della Vergine Beata di venire all’esistenza, per i meriti di Gesù Cristo, senza la macchia del peccato originale. Non significa, quindi, che la sua vita sia stata esente dal peccato, né la verginità perpetua o la concezione miracolosa del Nostro Divino Signore mediante l’opera dello Spirito Santo.

D. 272. Qual è sempre stata la credenza della Chiesa riguardo a questa verità?

R. La Chiesa ha sempre creduto nell’Immacolata Concezione della Beata Vergine e collocando questa verità oltre ogni dubbio, l’ha dichiarato un Articolo di Fede.

D. 273. A cosa dovrebbero portarci i pensieri dell’Immacolata Concezione?

I pensieri dell’Immacolata Concezione dovrebbero portarci ad un grande amore per la purezza e al desiderio di imitare la Vergine Santa nella pratica di quella santa virtù.

LEZIONE 6 –

SUL PECCATO E SUOI TIPI

D. 274. Come si distingue il peccato?

R. Il peccato si distingue in:

-1) peccato che ereditiamo, chiamato peccato originale, e:

– 2) il peccato che commettiamo noi, chiamato peccato attuale. Il peccato reale è suddiviso in peccati maggiori, chiamati mortali, e peccati minori, chiamati veniali.

D. 275. In quanti modi può essere commesso il peccato reale?

R. Il peccato effettivo può essere commesso in due modi: facendo volontariamente le cose proibite o trascurando volontariamente le cose comandate.

D. 276. Come si chiama il nostro peccato quando trascuriamo le cose comandate?

R. Quando trascuriamo le cose comandate, il nostro peccato è chiamato “peccato di omissione”. Trascurare volontariamente di ascoltare la Messa la domenica, o andare alla Confessione almeno una volta all’anno, sono ad esempio peccati di omissione.

D. 277. Il peccato originale è l’unico tipo di peccato?

R. Il peccato originale non è il solo tipo di peccato; c’è un altro tipo di peccato, che noi commettiamo, chiamato vero peccato.

D. 278. Che cos’è il peccato attuale?

R. Il peccato attuale o reale è qualsiasi pensiero intenzionale, parola, azione o omissione contraria alla legge di Dio.

D. 279. Quanti tipi di peccato attuale ci sono?

R. Esistono due tipi di peccato reale: il mortale e il veniale.

D. 280. Che cos’è il peccato mortale?

R. Il peccato mortale è un’offesa grave contro la legge di Dio.

D. 281. Perché questo peccato si chiama mortale?

R. Questo peccato è chiamato mortale perché ci priva della vita spirituale, che è la grazia santificante, conduce alla morte eterna e alla dannazione all’anima.

D. 282. Quante cose sono necessarie per rendere mortale un peccato?

R. Per commettere un peccato mortale, sono necessarie tre cose: 1. una materia grave, 2. una consapevolezza sufficiente e 3. il pieno consenso della volontà.

D. 283. Che cosa intendiamo per “materia grave” riguardo al peccato?

R. Per “materia grave” riguardo al peccato, intendiamo che il pensiero, la parola o l’azione con cui viene commesso il peccato mortale, devono essere molto cattivi in ​​sé o severamente proibiti, e quindi sufficienti per commettere un peccato mortale se deliberatamente cadiamo in esso.

D. 284. Che cosa significa “sufficiente consapevolezza e pieno consenso della volontà”?

R. “Consapevolezza sufficiente” significa che sappiamo con certezza che il pensiero, la parola o l’azione sono peccaminosi, nel momento in cui ne siamo colpevoli; e “il pieno consenso della volontà” significa che dobbiamo cedere pienamente e volontariamente ad essa.

D. 285. Quali sono i peccati commessi senza consapevolezza o deliberato consenso?

R. I peccati commessi senza consapevolezza o consenso sono chiamati peccati materiali; cioè, sarebbero peccati formali e reali, se ne conoscessimo la peccaminosità nel momento in cui li stiamo per commettere. Così mangiare carne in un giorno di astinenza senza sapere che sia un giorno di astinenza o senza pensare al divieto, sarebbe un peccato materiale.

D. 286. I peccati materiali commessi nel passato, diventano veri peccati non appena scopriamo la loro peccaminosità?

R. I peccati materiali passati non diventano veri peccati appena scopriamo la loro peccaminosità, a meno che non li ripetiamo nuovamente con piena consapevolezza e consenso.

D. 287. Come possiamo sapere quali peccati siano considerati mortali?

R. Possiamo sapere quali peccati siano considerati mortali: dalla Sacra Scrittura, dall’insegnamento della Chiesa e dagli scritti dei Padri e dei Dottori della Chiesa.

D. 288. Perché è sbagliato giudicare gli altri colpevoli di peccato?

R. È sbagliato giudicare gli altri colpevoli di peccato perché non possiamo sapere con certezza se il loro atto peccaminoso sia stato commesso con sufficiente consapevolezza e pieno consenso della volontà.

D. 289. Quale peccato commette chi, senza una ragione sufficiente, ritiene un altro colpevole di peccato?

R. Colui che senza una ragione sufficiente crede che un altro sia colpevole di peccato commette un peccato di giudizio avventato.

D. 290. Che cos’è il peccato veniale?

R. Il peccato veniale è una offesa leggera contro la legge di Dio in questioni di minore importanza o, in questioni di grande importanza, è un’offesa commessa senza sufficiente consapevolezza o pieno consenso della volontà.

D. 291. Possiamo sempre distinguere il peccato veniale dal peccato mortale?

R. Non possiamo sempre distinguere il peccato veniale dal peccato mortale, e in tali casi dobbiamo lasciare la decisione al nostro confessore.

D. 292. Le piccole offese possono mai diventare peccati mortali?

R. Lievi offese possono diventare peccati mortali se li commettiamo con disprezzo provocatorio verso Dio o la Sua legge; oppure anche quando sarebbero seguiti da conseguenze molto malvagie, che noi prevediamo nel commetterli.

D. 293. Quali sono gli effetti del peccato veniale?

R. Gli effetti del peccato veniale sono: 1) la diminuzione dell’amore di Dio nel nostro cuore, 2) il renderci meno degni del suo aiuto, e 3) l’indebolimento del potere di resistere al peccato mortale.

D. 294. Come possiamo sapere che un pensiero, una parola o un’azione siano peccaminosi?

R. Possiamo sapere che un pensiero, una parola o un’azione siano peccaminosi se esse, commesse od omesse, sono proibite da una qualsiasi legge di Dio e della sua Chiesa, o se si oppone a qualsiasi virtù soprannaturale.

D. 295. Quali sono le principali fonti di peccato?

R. Le principali fonti di peccato sono sette, orgoglio, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia, accidia, e sono comunemente chiamate: peccati capitali.

D. 296. Che cos’è l’orgoglio?

R. L’orgoglio è un amore eccessivo per le nostre capacità; tale da farci disobbedire peccando, piuttosto che umiliarci.

D. 297. Quale effetto ha l’orgoglio per le nostre anime?

R. L’orgoglio genera nelle nostre anime un’ambizione peccaminosa, la vanagloria, la presunzione e l’ipocrisia.

D. 298. Che cos’è la avarizia o cupidigia?

R. L’avarizia o cupidigia è un desiderio eccessivo delle cose del mondo.

D. 299. Quale effetto ha la cupidigia sulle nostre anime?

R. La cupidigia genera nelle nostre anime cattiveria, disonestà, l’inganno e la mancanza di carità.

D. 300. Che cos’è la lussuria?

R. La lussuria è un desiderio eccessivo per i piaceri peccaminosi proibiti dal sesto comandamento.

D. 301. Quale effetto ha la lussuria sulle nostre anime?

R. La lussuria genera nelle nostre anime un disgusto per le cose sante, una coscienza perversa, un odio per Dio, e molto spesso porta ad una completa perdita della fede.

D. 302. Che cos’è l’ira?

R. L’ira è un’emozione eccessiva della mente eccitata contro qualsiasi persona o cosa, o è un desiderio eccessivo di vendetta.

D. 303. Che effetto ha l’ira sulla nostra anima?

R. L’ira genera nelle nostre anime impazienza, odio, irriverenza e troppo spesso l’abitudine a bestemmiare.

D. 304. Che cos’è la gola o ingordigia?

R. La gola è un desiderio eccessivo di cibo o di bevande.

D. 305. Che tipo di peccato è l’ubriachezza?

R. L’ubriachezza è un peccato di gola per il quale una persona si priva dell’uso della ragione, con l’assunzione eccessiva di bevande inebrianti.

D. 306. L’ubriachezza è sempre un peccato mortale?

R. L’ubriachezza deliberata è sempre un peccato mortale se la persona viene completamente privata da questa, dell’uso della ragione, ma l’ubriachezza che non è compresa o desiderata, può essere giustificata dal peccato mortale.

D. 307. Quali sono gli effetti principali dell’ubriachezza abituale?

R. L’ubriachezza abituale ferisce il corpo, indebolisce la mente, porta la vittima in preda a molti vizi e lo espone al pericolo di morire in uno stato di peccato mortale.

D. 308. Quali sono i tre peccati che sembrano causare la maggior parte dei mali nel mondo?

R. L’ubriachezza, la disonestà e l’impurità, sembrano causare la maggior parte dei mali nel mondo, e devono quindi essere attentamente evitati in ogni momento.

D. 309. Che cos’è l’invidia?

R. L’invidia è un sentimento di dispiacere per la fortuna dell’altro e la gioia del male che si abbatte su di lui; come se noi stessi fossimo feriti dal bene e beneficati dal male che gli viene.

D. 310. Che effetto ha l’invidia sull’anima?

R. L’invidia genera nell’anima una mancanza di carità per il prossimo e produce uno spirito di diffamazione, di maldicenza e di calunnia.

D. 311. Che cos’è l’accidia?

R. L’accidia è una pigrizia della mente e del corpo, attraverso la quale trascuriamo i nostri doveri a causa del lavoro che essi richiedono.

D. 312. Quale effetto ha la pigrizia sull’anima?

R. La pigrizia genera nell’anima uno spirito di indifferenza verso i nostri doveri spirituali e un disgusto per la preghiera.

D. 313. Perché le sette radici o fonti del peccato sono chiamate peccati capitali?

R. Le sette fonti del peccato sono chiamate peccati capitali perché dirigono gli altri nostri peccati e ne sono la causa.

D. 314. Che cosa intendiamo per: nostro peccato predominante o passione dominante?

R. Per il nostro peccato predominante, o passione dominante, intendiamo il peccato in cui cadiamo più frequentemente e al quale troviamo più difficile resistere.

D. 315. Come possiamo superare meglio i nostri peccati?

R. Possiamo superare meglio i nostri peccati, proteggendoci dal nostro peccato predominante o dominante.

D. 316. Dovremmo rinunciare a cercare di essere buoni quando sembriamo non riuscire a superare i nostri difetti?

R. Non dobbiamo rinunciare a cercare di essere buoni quando sembra che non riusciamo a superare i nostri difetti, perché i nostri sforzi per essere buoni, ci impediranno almeno di diventare ancor peggiori.

D. 317. Quali virtù si oppongono ai sette peccati capitali?

R. L’umiltà è contraria all’orgoglio; la generosità alla cupidigia; la castità alla lussuria; la mitezza alla rabbia; la temperanza alla gola; l’amore fraterno all’invidia e diligenza alla pigrizia.

LEZIONE 7 –

SULL’INCARNAZIONE E LA REDENZIONE

D. 318. Che cosa significa “incarnazione” e cosa significa “redenzione”?

R. “Incarnazione” significa l’atto di vestirsi con la carne. Così nostro Signore ha rivestito la sua divinità con un corpo umano. “Redenzione” significa acquistare di nuovo.

D. 319. Dio ha abbandonato l’uomo dopo che questi cadde nel peccato?

R. Dio non ha abbandonato l’uomo dopo che questi era caduto nel peccato, ma gli ha promesso un Redentore, che avrebbe dovuto soddisfare il peccato dell’uomo e riaprirgli le porte del cielo.

D. 320. Che cosa intendiamo per “porte del paradiso”?

R. Per “porte del cielo” intendiamo il potere divino mediante il quale Dio ci tiene fuori dal cielo o ci ammette ad esso, a Suo piacimento.

D. 321. Chi è il Redentore?

R. Il nostro Santo Signore e Salvatore Gesù Cristo è il Redentore dell’umanità.

D. 322. Che cosa significa il nome “Gesù” e come è stato dato a Nostro Signore questo nome?

R. Il nome “Gesù” significa Salvatore o Redentore, e questo nome fu dato a Nostro Signore da un Angelo che apparve a Giuseppe e disse: “Maria darà alla luce un Figlio, e tu gli imporrai il nome di Gesù”.

D. 323. Che cosa significa il nome “Cristo”?

R. Il nome “Cristo” significa lo stesso che “Messia” e significa “Unto”; perché, come nell’antica legge, i profeti, i sommi sacerdoti e i re erano unti con olio, così Gesù, il Grande Profeta, Sommo Sacerdote e Re della Nuova Legge, fu unto come uomo con la pienezza del potere divino.

D. 324. In che modo Cristo dimostrò e provò il Suo potere divino?

R.  Cristo ha mostrato e dimostrato la sua potenza divina principalmente con i suoi miracoli, che sono opere straordinarie che possono essere eseguite solo con il potere ricevuto da Dio e che hanno, quindi, la sua ratifica e la sua autorità.

D. 325. Che cosa, quindi, dimostrarono i miracoli di Gesù Cristo?

R. I miracoli di Gesù Cristo provarono che qualunque cosa Egli avesse detto, era vera, e che quando dichiarò di essere il Figlio di Dio era assolutamente vero ciò che sosteneva di essere.

D. 326. Gli uomini non potrebbero essere stati ingannati nei miracoli di Cristo?

R. Gli uomini non potevano essere ingannati nei miracoli di Cristo perché essi venivano operati nella maniera più aperta e di solito in presenza di grandi moltitudini di persone, tra le quali c’erano molti dei suoi nemici, sempre pronti a smascherare qualsiasi inganno. E se Cristo non ha compiuto veri miracoli, in che modo avrebbe potuto convertire il mondo e persuadere gli uomini peccatori a rinunciare a ciò che amavano e a fare le cose difficili che la Religione cristiana impone?

D. 327. Non sono stati scritti anche dei falsi resoconti di questi miracoli dopo la morte di Nostro Signore?

R. False descrizioni di questi miracoli non potevano essere state scritte dopo la morte di Nostro Signore; allora infatti, né i suoi amici né i suoi nemici avrebbero creduto loro senza prove. Inoltre, i nemici di Cristo non negavano i miracoli, ma cercavano di spiegarli attribuendoli al potere del diavolo o ad altre cause. Per di più, gli Apostoli e gli Evangelisti che hanno scritto i resoconti, hanno sofferto la morte per testimoniare la loro fede nelle parole e nelle opere di Nostro Signore.

D. 328. Gesù Cristo è morto per riscattare tutti gli uomini di ogni età e razza senza eccezioni?

R. Gesù Cristo è morto per riscattare tutti gli uomini di ogni età e razza senza eccezioni; e ogni persona nata nel mondo dovrebbe condividere i suoi meriti, senza i quali nessuno può essere salvato.

D. 329. In che modo i meriti di Gesù Cristo si applicano alle nostre anime?

R. I meriti di Gesù Cristo sono applicati alle nostre anime attraverso i Sacramenti, e specialmente attraverso il Battesimo e la Penitenza, che ci riportano all’amicizia di Dio.

D. 330. Che cosa credi di Gesù Cristo?

R. Credo che Gesù Cristo sia il Figlio di Dio, la seconda Persona della Santissima Trinità, vero Dio e vero uomo.

D. 331. Non possiamo anche essere chiamati progenie di Dio, e quindi suoi figli e figlie?

R. Possiamo essere chiamati figli di Dio perché Egli ci ha adottato per la sua grazia o perché è il Padre che ci ha creati; ma noi non siamo, quindi, i suoi veri figli; mentre Gesù Cristo, il suo unico reale e vero Figlio, non fu né adottato né creato, ma fu generato da Suo Padre da tutta l’eternità.

D. 332. Perché Gesù Cristo è vero Dio?

R. Gesù Cristo è vero Dio perché è il vero e unico Figlio di Dio Padre.

D. 333. Perché Gesù Cristo è un vero uomo?

R. Gesù Cristo è vero uomo perché è il Figlio della Beata Vergine Maria e ha un corpo e un’anima come noi.

D. 334. Chi era il padre adottivo o il custode di Nostro Signore mentre era sulla terra?

R. San Giuseppe, il marito della Beata Vergine, era il padre putativo o il custode di Nostro Signore mentre era sulla terra.

D. 335. Gesù Cristo è nei cieli come Dio o come uomo?

R. Dalla sua ascensione Gesù Cristo è in cielo sia come Dio che come uomo.

D. 336. Quante nature ci sono in Gesù Cristo?

R. In Gesù Cristo ci sono due nature, la natura di Dio e la natura dell’uomo.

D. 337. Gesù Cristo è più di una Persona?

R. No. Gesù Cristo è solo una Persona Divina.

D. 338. Da cosa apprendiamo che Gesù Cristo è una sola persona?

R. Impariamo che Gesù Cristo è una sola Persona della Sacra Scrittura e dal costante insegnamento della Chiesa, che ha condannato tutti coloro che insegnano il contrario.

D. 339. Gesù Cristo è sempre stato Dio?

R. Gesù Cristo è sempre stato Dio, poiché è la seconda Persona della Santissima Trinità, uguale a Suo Padre da tutta l’eternità.

D. 340. Gesù Cristo è sempre stato uomo?

R. Gesù Cristo non fu sempre uomo, ma divenne uomo al tempo della sua incarnazione.

D. 341. Cosa intendi con l’Incarnazione?

R. Con l’incarnazione intendo che il Figlio di Dio è stato fatto uomo.

D. 342. In che modo il Figlio di Dio fu fatto uomo?

R. Il Figlio di Dio è stato concepito e fatto uomo dal potere dello Spirito Santo, nel seno della Beata Vergine Maria.

D. 343. La Beata Vergine Maria è veramente la Madre di Dio?

R. La Beata Vergine Maria è veramente la Madre di Dio, perché la stessa Persona Divina, che è il Figlio di Dio, è anche il Figlio della Beata Vergine Maria.

D. 344. Il Figlio di Dio si è fatto uomo immediatamente dopo il peccato dei nostri primi genitori?

R. Il Figlio di Dio non divenne uomo immediatamente dopo il peccato dei nostri primi genitori, ma fu loro promesso come Redentore.

D. 345. Quanti anni trascorsero da quando Adamo peccò fino al tempo in cui venne il Redentore?

R. Passarono circa 4000 anni dal momento in cui Adamo peccò, fino al tempo in cui venne il Redentore.

D. 346. Qual era la condizione morale del mondo immediatamente prima della venuta di Nostro Signore?

R. Poco prima della venuta di Nostro Signore, la condizione morale del mondo era pessima. L’idolatria, l’ingiustizia, la crudeltà, l’immoralità ed orribili vizi erano comuni quasi ovunque.

D. 347. Perché la venuta del Redentore è stata così a lungo ritardata?

R. La venuta del Redentore è stata ritardata talmente a lungo affinché il mondo – che soffre di ogni miseria – potesse apprendere il grande male del peccato e sapere che solo Dio può aiutare l’uomo decaduto.

D. 348. Quando fu promesso il Redentore all’umanità?

R. Il Redentore fu promesso per la prima volta all’umanità nel Giardino del Paradiso, e in seguito spesso attraverso Abramo e i suoi discendenti, i Patriarchi e attraverso numerosi Profeti.

D. 349. Chi erano i profeti?

R. I profeti furono uomini ispirati, ai quali Dio rivelava il futuro, affinché potessero farlo conoscere con assoluta certezza al popolo.

D. 350. Cosa predissero i profeti riguardo al Redentore?

R. I profeti, nella loro totalità, predissero in modo così preciso tutte le circostanze della nascita, della vita, della morte, della risurrezione e della gloria del Redentore, che nessuno che avesse studiato attentamente i loro scritti poteva non riconoscerlo quando realmente venne.

D. 351. Si sono adempiute tutte queste profezie riguardanti il ​​Redentore?

R. Tutte le profezie riguardanti il ​​Redentore sono state adempiute in ogni punto, dalle circostanze della nascita, della vita, della morte, della risurrezione e fino alla gloria di Cristo; Egli è, quindi, il Redentore promesso all’umanità fin dal tempo di Adamo.

D. 352. Dove troveremo queste profezie riguardo al Redentore?

R. Queste profezie riguardanti il ​​Redentore, le troveremo nei libri profetici della Bibbia o della Sacra Scrittura.

D. 353. Se la venuta del Redentore era predetta in modo così chiaro, perché non lo hanno riconosciuto tutti quando è venuto?

R. Non tutti hanno riconosciuto il Redentore quando è venuto, perché molti conoscevano solo una parte delle profezie, e ritenendo solo quelle riguardanti la Sua gloria, omettendo quelle riguardanti la Sua passione, non hanno potuto comprendere la Sua vita.

D. 354. Come potevano essere salvati coloro che vivevano prima che il Figlio di Dio diventasse uomo?

R. Coloro che vissero prima che il Figlio di Dio diventasse uomo, potevano essere salvati credendo in un Redentore venturo ed osservando i Comandamenti.

D. 355. In quale giorno il Figlio di Dio fu concepito e fatto uomo?

R. Il Figlio di Dio fu concepito e fatto uomo nel giorno dell’Annunciazione, il giorno in cui l’Angelo Gabriele annunciò alla Beata Vergine Maria che sarebbe stata la Madre di Dio.

D. 356. In quale giorno è nato Cristo?

R. Cristo è nato il giorno di Natale, in una stalla a Betlemme, oltre millenovecento anni fa.

357. Perché la Beata Vergine e San Giuseppe andarono a Betlemme poco prima della nascita di Nostro Signore?

R. La Beata Vergine e San Giuseppe andarono a Betlemme in obbedienza all’imperatore romano, che ordinò a tutti i suoi sudditi di registrare i loro nomi nelle città o nelle città dei loro antenati. Betlemme era la città di David, l’antenato reale di Maria e Giuseppe, e quindi dovettero registrarsi lì. Tutto ciò fu fatto dalla Volontà di Dio, affinché le profezie concernenti la nascita del Suo Divin Figlio, potessero essere adempiute.

D. 358. Perché Cristo è nato in una stalla?

R. Cristo nacque in una stalla perché Giuseppe e Maria erano poveri e stranieri a Betlemme, e senza denaro non trovarono nessun altro riparo. Ciò è stato permesso da Nostro Signore affinché potessimo imparare una lezione dalla Sua grande umiltà.

D. 359. Nel nominare gli ancestri o gli antenati di Nostro Signore, perché i Vangeli ricordano gli antenati di Giuseppe, che era solo il padre putativo di Cristo, e non gli antenati di Maria, che era la vera genitrice di Cristo?

R. Nel dare gli antenati di Nostro Signore, i Vangeli danno gli antenati di Giuseppe:

(1) Perché gli antenati delle donne non erano solitamente registrati dagli ebrei; e

(2) Perché Maria e Giuseppe erano membri della stessa tribù e avevano, quindi, gli stessi antenati; sicché, nel nominare gli antenati di Giuseppe, i Vangeli nominano anche quelli di Maria; e questo fu compreso da coloro ai quali i Vangeli erano destinati.

D. 360. Il nostro Signore aveva fratelli o sorelle?

R. Nostro Signore non aveva fratelli o sorelle. Quando i Vangeli parlano dei Suoi fratelli, intendono riferirsi ai suoi parenti prossimi. La Sua Beatissima Madre Maria, è sempre stata Vergine anche prima e alla Sua nascita come dopo.

D. 361. Chi furono i primi ad adorare Gesù bambino?

R. I pastori di Betlemme, ai quali la sua nascita fu annunciata dagli Angeli; e i Magi o tre saggi, che furono guidati alla Sua culla da una stella miracolosa, furono tra i primi ad adorare il Bambino. Ricordiamo l’adorazione dei Magi nella festa dell’Epifania, che significa apparizione o manifestazione, cioè, del nostro Salvatore.

D. 362. Chi ha cercato di uccidere Gesù bambino?

R. Erode cercò di uccidere Gesù Bambino perché pensava che l’influenza di Cristo – il nuovo re – lo avrebbe privato del suo trono.

D. 363. In che modo il Santo Bambino fu salvato dal potere di Erode?

R. Il Santo Bambino fu salvato dal potere di Erode mediante la fuga in Egitto, quando San Giuseppe – avvertito da un Angelo – fuggì frettolosamente in quel paese con Gesù e Maria.

D. 364. In che modo Erode sperava di realizzare i suoi disegni malvagi?

R. Erode sperava di realizzare i suoi disegni malvagi uccidendo tutti i bambini di Betlemme e dintorni. Il giorno in cui commemoriamo la morte di questi primi piccoli martiri che hanno versato il loro sangue a causa di Cristo, è chiamato la festa dei Santi Innocenti.

D. 365. Come possono essere divisi gli anni della vita di Cristo?

R. Gli anni della vita di Cristo possono essere divisi in tre parti:

– La sua infanzia, che si estende dalla sua nascita fino al dodicesimo anno, quando andò con i suoi genitori ad adorare nel Tempio di Gerusalemme.

– La sua vita nascosta, che si estende dal suo dodicesimo al trentesimo anno, durante il quale Egli dimorò con i suoi genitori a Nazareth.

– La sua vita pubblica, che si estende dal suo trentesimo anno, o dal suo battesimo di San Giovanni Battista alla sua morte; durante la quale ha insegnato le sue dottrine e stabilito la sua Chiesa.

D. 366. Perché la vita di Cristo è divisa così?

La vita di Cristo è divisa così per mostrare che tutte le classi trovano in Lui il loro modello. Nell’infanzia ha dato un esempio ai giovani; nella sua vita nascosta un esempio per coloro che si consacrano al servizio di Dio in uno stato religioso; e nella sua vita pubblica un esempio per tutti i cristiani senza eccezioni.

D. 367. Per quanto tempo Cristo visse sulla terra?

Cristo visse sulla terra per circa trentatré anni e condusse una vita santissima in povertà e nella sofferenza.

D. 368. Perché Cristo ha vissuto così a lungo sulla terra?

Cristo ha vissuto così a lungo sulla terra per mostrarci la via per il cielo con i suoi insegnamenti ed il suo esempio.

CATECHISMO DI BALTIMORA 3 (III) – Lez. 8-10

 

IL PECCATO VENIALE – (C. Alapide)

Peccato veniale.

[E. Barbier: I Tesori di Cornelio Alapide; S.E.I. Ed. Torino, 1930]

– 1. Il peccato veniale porta a gravi cadute. — 2. Malizia del peccato veniale. — 3. Quanto sono frequenti le colpe leggere. — 4. Punizione del peccato veniale.

I. IL PECCATO VENIALE PORTA A  GRAVI CADUTE. — « Chi non bada alle piccole colpe andrà a poco a poco nelle gravi » — Qui spernit modica, paulatim decidet (Eccli. XIX, 1). S u questa sentenza del Savio così ragiona S. Gregorio: « Se noi non badiamo alle piccole cose, insensibilmente sedotti, finiremo per cadere nei più enormi misfatti. Perché colui il quale trascura di deplorare i peccati veniali che ha commesso e non bada ad evitarli, decade dallo stato di giustizia non già tutto ad un tratto, ma a gradi e insensibilmente. Bisogna avvertire quelli che sono abituati al peccato veniale, perché considerino attentamente che talora una leggera caduta è in qualche modo più nocevole che una colpa grave; poiché una grave mancanza si rileva più facilmente e si piange più presto; mentre non si tiene conto di una leggera; e questa diventa tanto più pericolosa perché si commette senza scrupolo. Perciò spesso avviene che l’anima abituata alle colpe lievi, finisce col non sentire più orrore delle gravi: corrotta per le sue molteplici infrazioni, essa arriva a tanto di ardire, di disprezzo e di malizia, che più non teme i peccati mortali, perché ha imparato a commettere senza timore i veniali » (Moral. lib. X, c. XIX). – Lazzaro che languisce per debolezza, poi si ammala, poi muore, poi è sepolto, e finalmente puzza già putrefatto, presenta agli interpreti sacri una figura della vita e della caduta definitiva dell’uomo che non si dà pensiero di evitare il peccato veniale. 1 ° Egli non sente nell’anima che un languore; 2° questo languore si aggrava e diviene malattia; 3° cade in un sonno letargico, cioè nella noncuranza del suo stato; 4° arriva la morte o il peccato mortale; 5° la putrefazione o corruzione del cuore. – « Una cosa, dice S. Bernardo, che da principio ti pareva insopportabile peso, a poco a poco diventa meno pesante; poi non te ne accorgi nemmeno più; finalmente ti riesce dilettevole e gioconda (Primum aliquid tibi videtur importabile; iudicabis non adeo grave; nec senties: paulo post etiam delectabit – Serm, in Cantic.) ». Basta una scintilla a produrre un vasto incendio. Guai a chi trascura le piccole cautele! Bisogna chiudere, secondo l’avviso di S. Cipriano, non solo le porte, ma anche le più piccole fessure, per timore che basti un piccolo foro a introdurre il nemico nel campo. Tutto l’ambito di una città dev’essere fortificato, affinché non sia espugnata da un lato debole; perché, avverte Salomone, chi non fa conto del poco, mancherà nel molto (Omnes rimæ, ne dicam portæ, claudendæ sunt, ne per unum foramen castra omnia penetrentur; et universa sunt componenda munimento, ne per modicum non munitum tota civitas ruat; sicut Salomon repetit dicens: Qui spernit modica, paulatim decidet – Serm. in Eccles.) . – « Non sapete, scriveva S. Paolo, che un poco di lievito mette in fermento tutta la massa della farina? » — Nescitis, quia modicum fermentum totam massam corrumpit? ( I Cor.V, 6). «Chi non rigetta da sé i peccati veniali, dice S. Isidoro, si espone al pericolo di cadere nei più enormi delitti; perché il peccato veniale genera, per così dire, il mortale. I vizi crescono prontamente e senza che uno se ne accorga; se non si tiene d’occhio il peccato veniale, arriverà ben presto il mortale. Schivate adunque accuratamente l’uno, per non cadere nell’altro». (De norma bene viv.). «E come mai, dice S. Gerolamo, un’anima dedicata a Cristo, non baderà alle grandi ed alle piccole cose; mentre sa che avrà da rendere ragione perfino d’una parola oziosa? (Mens Christo dedita et in minoribus intenta est, sciens etiam prò otioso verbo reddendam esse rationem – Ad Heliodor.) ». « Guardatevi, dice S. Agostino, dal far poco conto delle vostre colpe, con la scusa che sono leggere; sono piccola cosa anche le gocce della pioggia, eppure riempiono fiumi, trascinano sassi ed alberi schiantati dalle radici (Noli despicere peccata tua quia parva sunt; nam etiam pluviarum guttæ flumina complent, et moles trahunt, et arbores cum suis radicibus tollunt – Serm. LXIV, de Temp.)». – « Che importa, dice il medesimo Santo, che un vascello naufraghi sommerso per una grossa falla, ovvero coli a fondo per il peso dell’acqua lasciata entrare poco a poco nella stiva per negligenza dei marinai? Nell’un caso e nell’altro l’esito è sempre lo stesso (Quid interest ad naufragium, utrum uno grandi fluctu navis aperiatur, aut obruatur; an paulatim subrepens aqua in sentinam et per negligentiam derelicta atque contempta, impleat navem atque submergat? – Epistola CVIII, ad Seleucum) ». Nessuno diventa improvvisamente un gran peccatore. Le trasgressioni leggere menano le colpe gravi; e tanto sono più pericolose le prime, in quanto che travestendosi, penetrano senza sforzo nell’anima, si nascondono nel cuore e vi preparano una spaventosa rovina … Perciò S. Bernardo ci avverte che « l’anima consacrata a Dio, deve schivare con altrettanto studio i più piccoli peccati, quanto i più enormi; perché cominciano da leggere venialità, quelli che cadono in grandi eccessi (Mens Deo dicata sic caveat minora vitia, ut maiora; quia a minimis incipiunt, qui in maxima prorunt Serm. In Cantic.) ». Sono funeste le conseguenze del peccato veniale, perchè 1 ° ancorché questo peccato non cacci Dio dal cuore, contrista però lo Spirito Santo che abita nell’uomo: ora, contristare un amico che viene a visitarci, equivale a fargli capire che può andarsene e che si può benissimo fare a meno della sua presenza… 2° Mette ostacolo all’abbondanza delle grazie… 3° Scema nell’anima il fuoco dell’amor divino… 4° La getta in uno stato fatale di tepidezza, stato pericolosissimo, dicendo il Signore nell’Apocalisse: « Fossi, tu almeno o del tutto freddo ovvero caldo! ma poiché sei tiepido, e ti tieni fra il freddo e il caldo, io ti rigetterò dalla mia bocca » — Utinam frigidus esses aut calidus! sed quia tepidus es, et nec frigidus nec calidus, incipiam te evomere ex ore meo (Apoc. III, 15-16).  5 ° Il peccato veniale priva di molti favori che Gesù Cristo concede ordinariamente alle anime vigilanti e fedeli, quali sono la pace interna, e le consolazioni sensibili, ecc .. 6° Affievolisce le forze dell’anima, accresce e rinvigorisce le passioni; per conseguenza, presentandosi una tentazione violenta, ovvero un’occasione che trascini, l’uomo spossato per le molte ferite fattegli dal peccato veniale, è facilmente scosso, dà il suo consenso e soccombe, secondo la frase dei Cantici: « Le piccole volpi danno il guasto alle vigne » — Vulpes parvulas … demoliuntur vineas (Cant. II, 15) … 7 ° Vedendo la negligenza ed il disprezzo delle piccole colpe, il demonio piglia ardire e potenza a sollecitare gli uomini ed a farli cadere nel peccato mortale. Al contrario, chi si guarda dalle colpe leggere, fa ostacolo al demonio e non si lascia prendere né uccidere l’anima, col peccato mortale.« Io oso, diceva il Crisostomo, dire una sentenza che ha dell’inaudito e del paradosso, ma che non è meno salda di ogni altra verità più chiara: Mi pare che non minore studio si deve mettere a fuggire i peccati veniali, di quello che si mette a schivare i mortali; la natura medesima infatti ci porta ad avere orrore dei gravi eccessi, mentre trascura e disprezza le colpe leggere sotto il vano pretesto che non sono infami. Questo disprezzo e questa noncuranza impediscono ben presto l’anima di trovare in sé la forza e l’energia necessaria per non commetterle, e in conseguenza delle ferite che ne riceve, le viene la morte. Voi vedrete tutte le più enormi scelleratezze battere questa via; perché nessuno cade ad un tratto nelle ultime profondità del male; nessuno tocca d’un colpo il fondo dell’abisso. L’anima ha una certa vergogna un certo pudore naturale di cui non può svestirsi in un momento, ma lo fa gradatamente» (Homil. LXXXVIII in Matth.).

2. MALIZIA DEL PECCATO VENIALE. — Le seguenti considerazioni aiuteranno a comprendere la malizia del peccato veniale. 1 ° Il peccato veniale è, non meno che il mortale, una disobbedienza a Dio …; racchiude un certo qual disprezzo di Dio e della sua santa legge… 2 ° Dopo il mortale, il peccato veniale è il più grande dei mali. Fa più ingiuria a Dio, che non gli diano gloria tutte le opere buone immaginabili. Secondo i santi Padri e i teologi, tutti i meriti degli apostoli, dei martiri, dei santi, degli angeli, ed anche quelli dell’augusta Madre di Dio non basterebbero a scancellare un solo peccato veniale e riparare l’ingiuria ch’esso fa a Dio, ma si richiedono i meriti di Gesù Cristo … 3 ° Il peccato veniale è il male di Dio. Perciò essendo la gloria e l’onore dovuti a Dio, infinitamente al di sopra di tutto ciò che appartiene alle creature, anche le più nobili e le più perfette, non sarebbe mai lecito commettere un solo peccato veniale per scamparle dai più grandi mali e procurare loro i più grandi beni. Salviano dice: « Nelle cose che riguardano Dio, non vi è nulla di leggero » — Nil leve æstimetur, quo læditur Deus ( Lib. VI). Tutti i peccati assalgono e offendono Dio ; ma la più lieve offesa verso di Lui è più gran male che tutti i mali che possano opprimere le creature. Chi ama Dio, deve pertanto fuggire anche il peccato veniale… S. Agostino insegna che non sarebbe lecito dire una piccola bugia, se anche si dovessero salvare tutti i dannati; perché la menzogna è il male di Dio, mentre il supplizio dei reprobi non è che il male dell’uomo. Ora, siccome i più gravi mali dell’uomo non sono che mali della creatura, non sono mai così grandi come la più piccola offesa verso Dio, offesa che intacca la Maestà infinita (Confess.). – Il peccato veniale è una macchia sul’anima; gli altri mali, qualunque siano, non sono che la pena o il castigo del peccato. Ora la più lieve di queste macchie è più grave di tutti i tormenti; questi infatti non sono mali ma beni, perché sono l’opera della giustizia vendicativa che corregge il peccato e riconduce in questo modo il peccatore all’ordine… Con quanta premura bisogna dunque schivare i peccati veniali! – I pagani medesimi compresero che non era cosa indifferente in se stessa il preservarsi dalle colpe veniali. «Non mediocre prova del nostro progredire in virtù, dice Plutarco, è questa di vedere se evitiamo le più piccole colpe. Chi così si regola, mostra che ha già acquistato meriti che vuole conservare intatti » (De Profer. virtut.).

3. QUANTO SONO FREQUENTI LE COLPE LEGGERE. — Il giusto medesimo non va esente da colpe leggere ed anche frequenti, ma le deplora e se ne rialza, dice il Savio: — Septies cadet iustus et resurget (Prov. XXIV, 16). – Chi osasse dire di non avere peccato, ingannerebbe se stesso, e sarebbe mentitore: — Si dixerimus quoniam peccatum non habemus, ipsi nos seducimus, et veritas in nobis non est (I IOANN. I, 8). Infatti, secondo S. Giacomo, « manchiamo tutti quanti in molte cose » — In multis offendimus omnes (IACOB. III, 2); il non commettere nessuna colpa è cosa tutta propria di Dio, dice Clemente Alessandrino: — Nil omnino peccare, proprium est Dei (lib. I, Pædag. c. II). Deve dunque essere nostro impegno di n on cadere, e di rialzarci subito non appena caduti.

4. PUNIZIONE DEL PECCATO VENIALE. — Se vi è argomento che debba farci comprendere che grande male sia il peccato veniale, sono i castighi con cui Dio lo punisce in questa e nell’altra vita. Frequenti ne occorrono gli esempi nei Libri santi. Mosè viene escluso dalla terra promessa in punizione di un leggero dubbio s u l’onnipotenza di Dio … Davide vede perire settantamila sudditi, per una colpa di vanitosa leggerezza… I Betsamiti per aver guardata curiosamente l’arca; Oza per averla toccata, sono colpiti di morte. La medesima sorte tocca ad Anania e Satura per una bugia. Dio punisce non di rado con malattie ed altre afflizioni temporali i peccati veniali; molto più spesso li castiga con pene interiori, molto più severe, quali sono l’aridità nella preghiera, la nausea degli esercizi di pietà, le tentazioni contro la fede e la purità, i moti di scoraggiamento e anche di disperazione ed altri interni affanni, molte volte così gravi da sopportare, che quelli che li provano si vedono esposti a d abbandonare il servizio di Dio, e per conseguenza a dannarsi … Nell’altro mondo poi il castigo riservato al peccato veniale è il purgatorio

 

IL CATECHISMO DI BALTIMORA 3 (I) – Lez. 1-4

IL CATECHIAMO DI BALTIMORA (I)

[Dal terzo Concilio generale di Baltimora

Versione 1891]

Lezioni 1-4

LEZIONE 1

SUL FINE DELL’UOMO

 (Nota: la domanda n. 126 è l’inizio corretto del Catechismo di Baltimora n. 3)

D. 126. Che cosa intendiamo per “fine dell’uomo”?

R. Per “fine dell’uomo” intendiamo lo scopo per cui l’uomo è stato creato, cioè: conoscere, amare e servire Dio.

D. 127. Come si sa che l’uomo è stato creato solo per Dio?

R. Si sa che l’uomo è stato creato per Dio solo, perché tutto nel mondo è stato creato per qualcosa di più perfetto di sé: ma non c’è nulla al mondo più perfetto dell’uomo; perciò, egli fu creato per qualcosa che è al di fuori di questo mondo, e dal momento che non fu creato per gli Angeli, doveva essere stato creato solo per Dio.

D. 128. In che senso tutti gli uomini sono uguali?

R. Tutti gli uomini sono uguali in tutto ciò che riguarda la loro natura ed il loro fine. Sono tutti composti infatti da un corpo e da un’anima; sono tutti creati ad immagine e somiglianza di Dio; sono tutti dotati di comprensione e di libero arbitrio; e tutti sono stati creati per il medesimo fine: Dio.

D. 129. Gli uomini non differiscono tra loro in molte cose?

R. Gli uomini differiscono tra loro n molte cose, come l’apprendimento, la ricchezza, il potere, ecc.; ma tutte queste cose appartengono al mondo e non alla natura dell’uomo. Egli è venuto in questo mondo senza di esse e lo lascerà pure senza di esse. Solo le opere fatte in questo mondo nel bene o nel male, accompagneranno gli uomini nel mondo futuro.

D. 130. Chi ha creato il mondo?

R. È Dio che ha creato il mondo!

D. 131. Che cosa si intende per “mondo” in questa domanda?

R. In questa domanda “mondo” significa l’universo, cioè l’intera creazione: tutto ciò che vediamo ora o che si potrà vedere in futuro.

D. 132. Chi è Dio?

R. Dio è il Creatore del cielo, della terra e di tutte le cose.

D. 133. Chi è l’uomo?

R. L’uomo è una creatura composta da un corpo e da un’anima e creata ad immagine e somiglianza di Dio.

D. 134. “L’uomo” nel Catechismo significa tutti gli esseri umani?

R. “Uomo” nel Catechismo significa effettivamente tutti gli esseri umani, uomini o donne, giovani, vecchi o bambini.

D. 135. Che cos’è una creatura?

R.  Una creatura è qualsiasi cosa creata, che abbia o meno vita, un corpo o nessun corpo. Ogni essere, persona o cosa, eccetto Dio stesso, può essere chiamato “creatura”.

D. 136. Questa somiglianza [dell’uomo a Dio] è nel corpo o nell’anima?

R. Questa somiglianza dell’uomo a Dio, è principalmente nell’anima.

D. 137. In che modo l’anima è simile a Dio?

R. L’anima è simile a Dio perché è uno spirito che non morirà mai, e ha comprensione e libero arbitrio.

D. 138. Ogni cosa invisibile è uno spirito?

R. Ogni spirito è invisibile. il che significa che non può essere visto; ma ogni cosa invisibile non è uno spirito. Il vento è invisibile e non è uno spirito.

D. 139. Uno spirito possiede altre qualità?

R. Uno spirito è anche indivisibile; cioè non può essere diviso in parti, così come dividiamo le cose materiali.

D. 140. Che cosa significano le parole “non morirà mai”?

R. Con le parole “non morirà mai” intendiamo che l’anima, una volta creata, non cesserà mai di esistere, qualunque sia la sua condizione nel prossimo mondo. Quindi diciamo che l’anima è immortale o dotata dell’immortalità.

D. 141. Perché allora diciamo che un’anima è morta mentre si trova in uno stato di peccato mortale?

R. Diciamo che un’anima è morta mentre si trova in uno stato di peccato mortale, perché in quello stato è impotente come un corpo morto, e non può meritare nulla per se stessa.

D. 142. Che cosa significa la nostra “comprensione”?

R. La nostra “comprensione” significa il “dono della ragione”, mediante il quale l’uomo si distingue da tutti gli altri animali e per mezzo del quale ha la possibilità di pensare e quindi di acquisire la conoscenza onde regolare le sue azioni.

D. 143. Possiamo imparare tutte le verità solo mediante la nostra ragione?

R. Noi non possiamo imparare tutte le verità solo con la nostra ragione, poiché alcune verità sono al di là del potere di comprensione della nostra ragione e ci devono essere pertanto insegnate da Dio.

D. 144. Come chiamiamo le verità che Dio ci insegna?

R. Presa nel loro insieme, chiamiamo le verità che Dio ci insegna: rivelazione, e chiamiamo rivelazione anche il modo in cui Egli le insegna.

D. 145. Che cos’è il “libero arbitrio”?

R. “Il libero arbitrio” è quel dono di Dio mediante il quale abbiamo la possibilità di scegliere tra una cosa e l’altra, di fare il bene o il male nonostante la ricompensa o la punizione.

D. 146. Gli animali bruti hanno la “comprensione” e il “libero arbitrio”?

R. Gli animali bruti non hanno “comprensione” né “libero arbitrio”. Non hanno “comprensione” perché non cambiano mai le loro abitudini né migliorano le loro condizioni. Non hanno “libero arbitrio” perché non lo dimostrano mai nelle loro azioni.

D. 147. Quale dono negli animali supplisce in luogo della ragione?

R. Il dono dell’ “istinto” supplisce negli animali a guidare le loro azioni in luogo della ragione.

D. 148. Che cos’è l’istinto?

R. “L’istinto” è un dono mediante il quale tutti gli animali sono spinti a seguire le leggi e le abitudini che Dio ha dato alla loro natura.

D. 149. Gli uomini bruti hanno un’ “istinto”?

R. Gli uomini hanno anch’essi un “istinto” e lo mostrano quando si trovano improvvisamente nel pericolo, e non hanno quindi il tempo di usare la loro ragione. Un uomo che cade improvvisamente, ad esempio, afferra qualcosa per sostenersi.

D. 150. Perché Dio ti ha creato?

R. Dio ha fatto in modo che lo conoscessi, per poterlo così amare e servire in questo mondo ed essere felice con Lui per sempre nel mondo prossimo.

D. 151. Perché è necessario conoscere Dio?

R. È necessario conoscere Dio perché senza conoscerlo non possiamo amarlo; e senza amarlo non possiamo essere salvati. Dovremmo conoscerlo perché è infinitamente vero; amarlo perché è infinitamente bello; e servirlo perché è infinitamente buono.

D. 152. Di cosa dobbiamo prenderci maggiormente cura, della nostra anima o del nostro corpo?

R. Dobbiamo prenderci cura della nostra anima più che del nostro corpo.

D. 153. Perché dobbiamo prenderci cura della nostra anima più che del nostro corpo?

R. Dobbiamo prenderci cura della nostra anima più che del nostro corpo, perché perdendo la nostra anima, perdiamo Dio e la felicità eterna.

D. 154. Che cosa dobbiamo fare per salvare le nostre anime?

R. Per salvare le nostre anime, dobbiamo adorare Dio mediante la fede, la speranza e la carità; cioè, dobbiamo credere in Lui, sperare in Lui e amarlo con tutto il cuore.

D. 155. Che cosa significa “culto”?

R. “Culto” significa dare onore divino con azioni quali l’offerta di preghiere o di sacrifici.

D. 156. Come possiamo conoscere le cose a cui dobbiamo credere?

R. Conosciamo le cose alle quali dobbiamo credere, dalla Chiesa Cattolica, attraverso la quale Dio ci parla.

D. 157. Che cosa intendiamo per “Chiesa, attraverso la quale Dio ci parla”?

R. Con “Chiesa, attraverso la quale Dio ci parla”, intendiamo la “Chiesa docente”, che insegna, e cioè: il Papa, i Vescovi e i sacerdoti, il cui compito è quello di istruirci nelle verità e nelle pratiche della nostra religione.

D. 158. Dove troveremo le principali verità che la Chiesa insegna?

R. Troveremo le principali verità che la Chiesa insegna nel Credo degli Apostoli.

D. 159. Se troveremo solo le “principali verità” nel Credo degli Apostoli, dove troveremo le restanti verità?

R. Troveremo le restanti verità della nostra fede negli scritti religiosi e nei discorsi approvati dall’autorità della Chiesa.

D. 160. Nomina alcune verità sacre non menzionate nel Credo degli Apostoli.

R. Nel Credo degli Apostoli non si fa menzione della presenza reale di Nostro Signore nella Santa Eucaristia, né dell’infallibilità del Papa, né dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, né di alcune altre verità che siamo obbligati a credere

D. 161. Recita il Credo degli Apostoli.

R. Io credo in Dio, Padre Onnipotente, Creatore del cielo e della terra; e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore; che fu concepito dallo Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, soffrì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso; morì e fu sepolto. Discese agl’inferi: il terzo giorno risuscitò dai morti: salì al cielo, si è seduto alla destra di Dio, Padre onnipotente: da lì verrà per giudicare i vivi e i morti. Credo nello Spirito Santo, nella Santa Chiesa cattolica, nella comunione dei santi, nella remissione dei peccati, nella risurrezione dei corpi e nella vita eterna. Amen.

LEZIONE 2 –

DIO E LE SUE PERFEZIONI

D. 162. Che cos’è una perfezione?

R. Una perfezione è la somma delle buone qualità che una cosa dovrebbe avere. Una cosa è perfetta quando ha tutte le buone qualità che dovrebbe avere.

D. 163. Che cos’è Dio?

R. Dio è uno spirito infinitamente perfetto.

D. 164. Che cosa intendiamo quando diciamo che Dio è “infinitamente perfetto”?

R. Quando diciamo che Dio è “infinitamente perfetto” intendiamo che non vi sono misure o limiti alla sua perfezione; poiché Egli possiede tutte le buone qualità nel più alto grado possibile e Lui solo è “infinitamente perfetto”.

D. 165. Dio ha avuto un inizio?

R. Dio non ha avuto inizio; Egli è sempre stato e lo sarà sempre.

D. 166. Dov’è Dio?

R. Dio è ovunque

D. 167. E come Dio è ovunque?

R. Dio è dappertutto completo ed intero in qualsiasi posto. Questo è vero e dobbiamo crederci, anche se non possiamo capirlo.

D. 168. Se Dio è ovunque, perché non lo vediamo?

R. Non vediamo Dio, perché è un puro spirito e non può essere visto con gli occhi del corpo.

D. 169. Perché chiamiamo Dio “spirito puro”?

R. Chiamiamo Dio puro spirito perché non ha un corpo. La nostra anima è uno spirito, ma non uno spirito “puro”, perché è stato creato per essere unito al nostro corpo.

D. 170. Perché non possiamo vedere Dio con gli occhi del nostro corpo?

R. Non possiamo vedere Dio con gli occhi del nostro corpo perché essi sono creati per vedere solo le cose materiali, e Dio non è materiale. bensì spirituale.

D. 171. Dio ci vede?

R. Dio ci vede e veglia su di noi

D. 172. È necessario che Dio vegli su di noi?

R. È necessario che Dio vegli su di noi, poiché senza la sua costante cura noi non potremmo esistere.

D. 173. Dio conosce tutto?

R. Dio conosce tutte le cose, anche i nostri pensieri, le parole e le azioni più segrete.

D. 174. Dio può fare tutto?

R. Dio può fare tutte le cose, e nulla è difficile o impossibile per Lui.

D. 175. Quando una cosa è detta “impossibile”?

R. Una cosa è detta “impossibile” quando non può essere eseguita. Molte cose che sono impossibili per le creature, sono invece possibili per Dio.

D. 176. Dio è giusto, santo e misericordioso?

R. Dio è tutto giusto, tutto santo, tutto misericordioso, così come è infinitamente perfetto.

D. 177. Perché Dio deve essere “giusto” e “misericordioso”?

R. Dio deve essere altrettanto misericordioso perché deve adempiere la Sua promessa di punire coloro che meritano la punizione, e perché Egli non può essere infinito in una perfezione senza essere infinito in tutto.

D. 178. In quali peccati ci condurrà l’oblio della giustizia di Dio?

R. L’oblio della giustizia di Dio ci poterà al peccato di presunzione.

D. 179. In quale peccato ci porterà l’oblio della misericordia di Dio?

R. L’oblio della misericordia di Dio ci condurrà nel peccato di disperazione.

LEZIONE 3 –

L’UNITÀ E LA TRINITÀ DI DIO

180. Che cosa significa “unità” e cosa significa “trinità”?

R. “Unità” significa essere uno; “trinità” significa essere triplice o tre in uno.

D. 181. Possiamo trovare un esempio per illustrare pienamente il mistero della Beata Trinità?

R. Non possiamo trovare un esempio per illustrare pienamente il mistero della Trinità Santissima, perché i misteri della nostra santa Religione sono al di là di qualsiasi raffronto.

D. 182. Esiste un solo Dio?

R. Sì; c’è un solo Dio.

D. 183. Perché può esserci un solo Dio?

R. Può esserci un solo Dio perché Dio, essendo supremo e infinito, non può avere un uguale. 

D. 184. Che cosa significa “supremo”?

R. “Supremo” significa il massimo grado di autorità; ed anche il più eccellente o il più grande possibile in qualsiasi cosa. Quindi in tutte le cose Dio è supremo, e nella Chiesa supremo è il Papa.

D. 185. Quando due persone sono considerate uguali?

R. Si dice che due persone sono uguali quando l’una non è in alcun modo più grande o inferiore all’altra.

D. 186. Quante persone ci sono in Dio?

R. In Dio ci sono tre Persone divine, veramente distinte ed uguali in tutte le cose: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

D. 187. Che cosa significano “divino” e “distinto”?

R. “Divino” significa pertinente a Dio e “distinto” significa separato; cioè, non è confuso o mescolato con qualsiasi altra cosa.

D. 188. Il Padre è Dio?

R. Il Padre è Dio e la prima Persona della Santissima Trinità. 

D. 189. Il Figlio è Dio?

R. Il Figlio è Dio ed è la seconda Persona della Santissima Trinità.

D. 190. Lo Spirito Santo è Dio?

R. Lo Spirito Santo è Dio ed è la terza Persona della Santissima Trinità.

D. 191. “Primo”, “secondo” e “terzo” riguardo alle Persone della Santissima Trinità significa che una Persona esisteva prima dell’altro o che l’una era superiore dell’altra?

R. “Primo”, “secondo” e “terzo” riguardo alle Persone della Santissima Trinità non significa che una Persona sia precedente all’altra o che una sia più grande dell’altra; poiché tutte le Persone della Trinità sono eterne e uguali sotto ogni aspetto. Questi numeri sono usati per marcare la distinzione tra le Persone e mostrano l’ordine in cui l’una procede dall’altra.

D. 192. Cosa intendi con la Santissima Trinità?

R. Per Santissima Trinità intendo un Dio in tre Divine Persone. 

D. 193. Le tre Persone divine sono uguali in tutte le cose?

R. Le tre Persone divine sono uguali in tutte le cose.

D. 194. Le tre Persone Divine sono lo stesso Dio?

R. Le tre Persone divine sono un unico e medesimo Dio, hanno la stessa natura divina e la stessa sostanza.

D. 195. Che cosa intendiamo per “natura” e “sostanza” di una cosa?

R. Per “natura” di una cosa, intendiamo la combinazione di tutte le qualità che rendono quella cosa ciò che essa è. Per “sostanza” di una cosa, intendiamo la parte che non cambia mai e che non può essere cambiata senza distruggere la natura della cosa stessa.

D. 196. Possiamo comprendere appieno come le tre Divine Persone siano un unico e unico Dio?

R. Noi non possiamo comprendere appieno come le tre Divine Persone siano un unico e medesimo Dio, perché questo è un mistero.

D. 197. Che cos’è un mistero?

R. Un mistero è una verità che non riusciamo a comprendere pienamente.

D. 198. Ogni verità che non possiamo comprendere è dunque un mistero?

R. Ogni verità che non possiamo capire non è un mistero; ma ogni verità rivelata che nessuno può capire è un mistero.

D. 199. Dovremmo credere a verità che non possiamo capire?

R. Dovremmo e spesso crediamo a verità che non possiamo capire, quando abbiamo la prova della loro esistenza.

D. 200. Fai un esempio di verità che tutti credono, anche se molti non le capiscono.

R. Tutti credono che la terra sia rotonda e in movimento, sebbene molti non lo capiscano. Tutti credono che un seme piantato nel terreno produrrà un fiore o un albero spesso con più di un migliaio di altri semi uguali a se stesso, sebbene molti non possano capire come questo avvenga.

D. 201. Perché una religione divina ha dei misteri?

R. Una religione divina deve avere dei misteri perché deve avere verità soprannaturali che Dio stesso deve insegnare loro. Una religione che ha solo verità naturali, che l’uomo cioè con la sola sua ragione può conoscere, comprendere e insegnare pienamente, è soltanto una religione umana.

D. 202. Perché Dio ci chiede di credere ai misteri?

R. Dio ci chiede di credere ai misteri perché possiamo sottomettere a Lui la nostra comprensione.

D. 203. Con quale forma di preghiera lodiamo la Santa Trinità?

R. Lodiamo la Santissima Trinità con una preghiera chiamata Dossologia, che è giunta fino a noi fin quasi dal tempo degli Apostoli.

D. 204. Dì la dossologia.

R. La dossologia è: “Gloria al Padre, e al Figlio e allo Spirito Santo, come era in principio, è ora e sempre lo sarà, nei secoli dei secoli. Amen”.

D. 205. Esiste qualche altra forma di dossologia?

R. Esiste pure un’altra forma della dossologia, che si dice durante la celebrazione della Messa. Essa si chiama “Gloria in excelsis” o “Gloria a Dio nell’alto”, ecc., e queste sono le parole cantate dagli Angeli alla nascita di Nostro Signore.

LEZIONE 4 –

SULLA CREAZIONE

D. 206. Qual è la differenza tra fare e creare?

R. “Fare” significa produrre o formarsi da un materiale già esistente, come fanno gli operai. “Creare” significa tirar fuori dal nulla, come Dio solo può fare.

D. 207. È stato creato tutto ciò che esiste?

R. Tutto ciò che esiste, tranne Dio stesso, è stato creato.

D. 208. Chi ha creato il cielo e la terra e tutte le cose?

R. Dio ha creato il cielo e la terra e tutte le cose.

D. 209. Da cosa apprendiamo che Dio ha creato il cielo e la terra e tutte le cose?

R. Impariamo che Dio ha creato il cielo e la terra ed ogni cosa, dalla Bibbia o dalla Sacra Scrittura, in cui è dato il resoconto della Creazione.

D. 210. Perché Dio ha creato tutte le cose?

R. Dio ha creato tutte le cose per la sua stessa gloria e per il loro o nostro bene.

D. 211. Dio ha lasciato tutto a se stesso dopo averli creati?

R. Dio non ha lasciato tutte le cose a se stesse dopo averle create; Continua a preservarle e governarle.

D. 212. Come chiamiamo la cura con cui Dio preserva e governa il mondo e tutto ciò che contiene?

R. Chiamiamo la cura con cui Dio preserva e governa il mondo e tutto ciò che contiene: sua Provvidenza.

D. 213. In che modo Dio creò il cielo e la terra?

R. Dio ha creato il cielo e la terra dal nulla solo con la sua parola; cioè, con un singolo atto della sua onnipotente volontà.

D. 214. Quali sono le principali creature di Dio?

R. Le principali creature di Dio sono gli Angeli e gli uomini.

D. 215. Come possono essere divise le creature di Dio sulla terra?

R. Le creature di Dio sulla terra possono essere divise in quattro classi:
1. Cose che esistono, come l’aria;

2. Cose che esistono, crescono e vivono, come piante e alberi;

3. Cose che esistono, crescono, vivono e sentono, come animali;

4. Cose che esistono, crescono, vivono, sentono e capiscono, come l’uomo.

D. 216. Cosa sono gli Angeli?

R. Gli Angeli sono puri spiriti senza corpo, creati per adorare e godere Dio in cielo.

D. 217. Se gli angeli non hanno corpi, come potrebbero apparire?

R. Gli Angeli potrebbero apparire prendendo i corpi per rendersi visibili per qualche tempo; proprio come lo Spirito Santo prese la forma di una colomba e il diavolo prese la forma di un serpente.

D. 218. Ricordami alcune persone a cui sono apparsi gli Angeli.

R. Angeli apparvero alla Beata Vergine e a San Giuseppe; anche ad Abramo, Lot, Giacobbe, Tobia e altri.

D. 219. Gli Angeli furono creati per altri scopi?

R. Gli Angeli furono anche creati per assistere e servire Dio davanti al suo trono; essi sono stati spesso inviati come messaggeri da Dio all’uomo; e sono anche nominati nostri guardiani.

D. 220. Tutti gli Angeli sono uguali in dignità?

R. Tutti gli Angeli non sono uguali in dignità. Ci sono nove cori o classi menzionate nella Sacra Scrittura. I più alti sono chiamati Serafini mentre i più bassi semplicemente Angeli. Gli Arcangeli sono una classe superiore agli Angeli ordinari.

D. 221. Menziona alcuni Arcangeli e racconta quello che hanno fatto.

R. L’Arcangelo Michele cacciò satana dal cielo; l’Arcangelo Gabriele annunciò alla Beata Vergine che sarebbe diventata la Madre di Dio. L’Arcangelo Raffaele guidò e protesse Tobia.

D. 222. Gli Angeli furono mai mandati a punire gli uomini?

R. A volte gli Angeli venivano inviati per punire gli uomini. Un Angelo uccise 185.000 uomini dell’esercito di un re malvagio che aveva bestemmiato Dio; un Angelo uccise anche il primogenito nelle famiglie degli egiziani che avevano perseguitato il popolo di Dio.

D. 223. Che cosa fanno per noi i nostri Angeli custodi?

R. I nostri Angeli custodi pregano per noi, ci proteggono, ci guidano, e offrono le nostre preghiere, le buone opere e i desideri a Dio.

D. 224. Come sappiamo che gli Angeli offrono le nostre preghiere e le buone opere a Dio?

R. Sappiamo che gli Angeli offrono le nostre preghiere e le buone opere a Dio perché è così affermato nella Sacra Scrittura e la Sacra Scrittura è la Parola di Dio.

D. 225. Perché Dio dispose che gli Angeli custodi ci proteggessero?

R. Dio ha nominato gli Angeli custodi per assicurarci il loro aiuto e le nostre preghiere, e anche per mostrare il Suo grande amore per noi nel darci questi servitori speciali e amici fedeli.

D. 226. Gli Angeli, come Dio li ha creati, erano buoni e felici?

R. Gli Angeli, come Dio li ha creati, erano buoni e felici.

D. 227. Tutti gli Angeli sono rimasti buoni e felici?

R. Non tutti gli Angeli sono rimasti buoni e felici; molti di loro peccarono e furono gettati nell’inferno, e questi sono chiamati diavoli o angeli cattivi.

D. 228. Conosciamo il numero di Angeli buoni e cattivi?

R. Non conosciamo il numero degli Angeli buoni o cattivi, ma sappiamo che è molto grande.

D. 229. Qual era il nome del diavolo prima che cadesse, e perché fu cacciato dal cielo?

R. Prima di cadere, satana, o il diavolo, era chiamato Lucifero, o portatore di luce, un nome che indica una grande bellezza. Fu cacciato dal cielo perché per orgoglio si ribellò a Dio.

D. 230. Come agiscono i Cattivi Angeli nei nostri confronti?

R. I cattivi Angeli cercano con ogni mezzo di condurci al peccato. Gli sforzi che compiono sono chiamati “tentazioni del diavolo”.

D. 231. Perché il diavolo ci tenta?

R. Il diavolo ci tenta perché odia la bontà e non desidera che godiamo la felicità che lui stesso ha perso.

D. 232. Possiamo noi con il nostro potere superare le tentazioni del diavolo?

R. Noi non possiamo, con il nostro potere, vincere le tentazioni del diavolo, perché il diavolo è più scaltro di noi; poiché, essendo un Angelo, è più intelligente e non ha perso la sua intelligenza cadendo nel peccato più di quanto faccia ora. Pertanto, per superare le sue tentazioni abbiamo bisogno dell’aiuto di Dio.

IL CATECHISMO DI BALTIMORA 3 (II) – Lez. 5-7

 

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO: UNAM SANCTAM

A chi legge questa bolla, senza conoscerne l’anno di promulgazione, sembra che essa sia stata scritta per i giorni nostri, giorni di totale apostasia religiosa sia civile che ecclesiastica [… o meglio finto-ecclesiastca]. Si ribadiscono, con poche parole, dei princîpi essenziali della fede cristiana, diremmo elementari: la Chiesa, come l’arca di Noè, unica possibilità di salvezza nel diluvio di fuoco del giorno del Giudizio, la Chiesa UNA, non certo ecumenica, come si blatera nelle sette eretiche del novus ordo, dei protestanti e degli acattolici orientali, tutti prostrati agli ordini della kazaro-massoneria mondialista; Chiesa “UNA” è la Chiesa di Cristo affidata a Pietro ed ai suoi successori, quelli veri, non certo ai pupazzi-pulcinella, ai marrano-burattini succedutisi dal 1958 in poi; e questo appare fondamentale proprio da questa straordinaria bolla, quando appunto afferma che: “Porro subesse Romano Pontifici omni humanæ creaturæ declaramus, dicimus, definimus et pronuntiamus omnino de necessitate salutis” – “… noi dichiariamo, stabiliamo, definiamo ed affermiamo che è assolutamente necessario per la salvezza di ogni creatura umana che essa sia sottomessa al Pontefice di Roma“. Per salvarsi dunque, non basta praticare uno pseudomisticismo sentimentaloide, un neo-montanismo che si richiami ad un personale “spirito” (???) ispiratore, o un falso devozionismo non accompagnato dalla sottomissione alle leggi della Chiesa, che è Cristo stesso, suo Capo, sua volontà dichiarata, “… non chi dice Signore, Signore, si salverà, etc. …” (Matt. VII), ma bisogna assolutamente essere sottomessi al Sommo Pontefice, quello vero, come ad es. al Pontefice eletto il 26 ottobre del 1958 ed al suo successore, seppur prigioniero o relegato in una catacomba. Aderire o sottomettersi a chiunque altro, anche alle controfigure o a figuranti lupi-mascherati, non salva, tutt’altro, [diceva già ai suoi tempi San Cipriano che: “… chi aderisce ad un falso vescovo di Roma, è fuori dalla Chiesa … cioè fuori dalla salvezza! – … figuriamoci i fallibilisti scismatici, i sedevacantisti autonomi …) e quindi … si naufragherà miseramente, irrimediabilmente ed eternamente, pensando di essere oltretutto in una botte di ferro [che diventerà presto incandescente!]. Inoltre c’è da meditare circa il primato del potere spirituale su quello civile e politico come riportato in bolla da Bonifacio VIII, il Papa odiato dal marrano “fraticello”, l’omo-sex Dante Alighieri, il “divin copione” che riproduceva testi arabi, rivestendoli dell’idioma toscano e tramutandoli in “versi strani” per chi non avesse compreso il loro substrato gnostico ed anticattolico … e questo spiega anche perché parteggiasse per l’imperatore … Tornando alla bolla del Papa tanto vituperato, e ingiustamente, in vita e dopo la sua morte dai servi del “nemico di Dio e di tutti gli uomini”, riteniamo che essa sia oggi, 2018, un documento  più che mai attuale, ultimo richiamo del tipo “ … signori si parte, salite in carrozza, presto … non ne passerà un’altra …”. Affrettiamoci allora a conformarci ad essa e, con la grazia di Dio, potremmo viaggiare con una certa sicurezza verso la meta finale: la eterna felicità promessa a chi … farà la volontà del Padre mio [… e del suo Vicario, … il che è lo stesso!] (Matth. VII).

Unam sanctam

Bolla sul Primato del Papa –

Bonifacio VIII

Unam sanctam Ecclesiam catholicam et ipsam …

Che ci sia una ed una sola Santa Chiesa Cattolica ed Apostolica noi siamo costretti a credere ed a professare, spingendoci a ciò la nostra fede, e noi questo crediamo fermamente e con semplicità professiamo, ed anche che non ci sia salvezza e remissione dei nostri peccati fuori di lei, come lo sposo proclama nel Cantico: “Unica è la mia colomba, la mia perfetta; unica alla madre sua, senza pari per la sua genitrice” [Cant. VI, 8], che rappresenta un corpo mistico, il cui capo è Cristo, e il capo di Cristo è Dio, e in esso c’è “un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo” [Efes. IV, 5]. Al tempo del diluvio invero una sola fu l’arca di Noè, raffigurante l’unica Chiesa; era stata costruita da un sola braccio, aveva un solo timoniere e un solo comandante, ossia Noè, e noi leggiamo che fuori di essa ogni cosa sulla terra era distrutta. Questa Chiesa noi veneriamo, e questa sola, come dice il Signore per mezzo del Profeta: “Libera, o Signore, la mia anima dalla lancia e dal furore del cane, l’unica mia” [Ps. XXI, 21]. Egli pregava per l’anima, cioè per Se stesso (per la testa e il corpo nello stesso tempo) il quale corpo precisamente Egli chiamava la sua sola e unica Chiesa, a causa della unità di promessa di fede, sacramenti e carità della Chiesa, ossia “la veste senza cuciture” [Joan. XIX, 23] del Signore, che non fu tagliata, ma data in sorte. Perciò in questa unica e sola Chiesa ci sono un solo corpo ed una sola testa, non due, come se fosse un mostro, cioè Cristo e Pietro, vicario di Cristo e il successore di Pietro; perché il Signore disse a Pietro: “Pasci il mio gregge” [Joan. XXI, 17]. “Il mio gregge” Egli disse, parlando in generale e non in particolare di questo o quel gregge; così è ben chiaro, che Egli gli affidò tutto il suo gregge. Se perciò i Greci od altri affermano di non essere stati affidati a Pietro e ai suoi successori, essi confessano di conseguenza di non essere del gregge di Cristo, perché il Signore dice in Giovanni che c’è un solo ovile, un solo e unico pastore – unum ovile et unicum esse pastorem [Joan. X, 16].

Noi sappiamo dalle parole del Vangelo che in questa Chiesa e nel suo potere ci sono due spade, una spirituale, cioè, ed una temporale, perché, quando gli Apostoli dissero: “Ecco qui due spade” (che significa nella Chiesa, dato che erano gli Apostoli a parlare (il Signore non rispose che erano troppe, ma che erano sufficienti). E chi nega che la spada temporale appartenga a Pietro, ha malamente interpretato le parole del Signore, quando dice: “Rimetti la tua spada nel fodero”. Quindi ambedue sono in potere della Chiesa, la spada spirituale e quella materiale; una invero deve essere impugnata per la Chiesa, l’altra dalla Chiesa; la seconda dal clero, la prima dalla mano di re o cavalieri, ma secondo il comando e la condiscendenza del clero, perché è necessario che una spada dipenda dall’altra e che l’autorità temporale sia soggetta a quella spirituale. Perché quando l’Apostolo dice: “Non c’è potere che non venga da Dio e quelli (poteri) che sono, sono disposti da Dio”, essi non sarebbero disposti se una spada non fosse sottoposta all’altra, e, come inferiore, non fosse dall’altra ricondotta a nobilissime imprese. Poiché secondo san Dionigi è legge divina che l’inferiore sia ricondotto per l’intermedio al superiore. Dunque le cose non sono ricondotte al loro ordine alla pari immediatamente, secondo la legge dell’universo, ma le infime attraverso le intermedie e le inferiori attraverso le superiori. Ma è necessario che chiaramente affermiamo che il potere spirituale è superiore ad ogni potere terreno in dignità e nobiltà, come le cose spirituali sono superiori a quelle temporali. Il che, invero, noi possiamo chiaramente constatare con i nostri occhi dal versamento delle decime, dalla benedizione e santificazione, dal riconoscimento di tale potere e dall’esercitare il governo sopra le medesime, poiché, e la verità ne è testimonianza, il potere spirituale ha il compito di istituire il potere terreno e, se non si dimostrasse buono, di giudicarlo. Così si avvera la profezia di Geremia riguardo la Chiesa e il potere della Chiesa: “Ecco, oggi Io ti ho posto sopra le nazioni e sopra i regni” ecc.

Perciò se il potere terreno erra, sarà giudicato da quello spirituale; se il potere spirituale inferiore sbaglia, sarà giudicato dal superiore; ma se erra il supremo potere spirituale, questo potrà essere giudicato solamente da Dio e non dagli uomini; del che fa testimonianza l’Apostolo: “L’uomo spirituale giudica tutte le cose; ma egli stesso non è giudicato da alcun uomo” [1 Cor. II, 16], perché questa autorità, benché data agli uomini ed esercitata dagli uomini, non è umana, ma senz’altra divina, essendo stata data a Pietro per bocca di Dio e resa inconcussa come roccia per lui ed i suoi successori, in Colui che egli confessò, poiché il Signore disse allo stesso Pietro: “Qualunque cosa tu legherai…” [Mat. XVI, 19]. Perciò chiunque si oppone a questo potere istituito da Dio, si oppone ai comandi di Dio [Rom. XIII, 2], a meno che non pretenda, come i Manichei, che ci siano due princîpi; il che noi affermiamo falso ed eretico, poiché (come dice Mosè non nei princîpi, ma “nel princìpio” Dio creò il cielo e la terra [Gn. I, 1]. Quindi noi dichiariamo, stabiliamo, definiamo ed affermiamo che è assolutamente necessario per la salvezza di ogni creatura umana che essa sia sottomessa al Pontefice di Roma.

Data in Laterano, nell’ottavo anno del nostro Pontificato, il 18 novembre 1302

 

DOMENICA IV dopo PENTECOSTE (2018)

DOMENICA IV dopo PENTECOSTE

Incipit
In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXVI:1; XXVI:2 Dóminus illuminátio mea et salus mea, quem timebo? Dóminus defensor vitæ meæ, a quo trepidábo? qui tríbulant me inimíci mei, ipsi infirmáti sunt, et cecidérunt. [Il Signore è mia luce e mia salvezza, chi temerò? Il Signore è baluardo della mia vita, cosa temerò? Questi miei nemici che mi perséguitano, essi stessi vacillano e stramazzano.] Ps XXVI:3

Si consístant advérsum me castra: non timébit cor meum. [Se anche un esercito si schierasse contro di me: non temerà il mio cuore.]

Dóminus illuminátio mea et salus mea, quem timebo? Dóminus defensor vitæ meæ, a quo trepidábo? qui tríbulant me inimíci mei, ipsi infirmáti sunt, et cecidérunt. [Il Signore è mia luce e mia salvezza, chi temerò? Il Signore è baluardo della mia vita, cosa temerò? Questi miei nemici che mi perséguitano, essi stessi vacillano e stramazzano.]

Oratio

Orémus.

Da nobis, quæsumus, Dómine: ut et mundi cursus pacífice nobis tuo órdine dirigátur; et Ecclésia tua tranquílla devotióne lætétur. [Concedici, Te ne preghiamo, o Signore, che le vicende del mondo, per tua disposizione, si svolgano per noi pacificamente, e la tua Chiesa possa allietarsi d’una tranquilla devozione.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.

Rom VIII:18-23. Fratres: Exístimo, quod non sunt condígnæ passiónes hujus témporis ad futúram glóriam, quæ revelábitur in nobis. Nam exspectátio creatúræ revelatiónem filiórum Dei exspéctat. Vanitáti enim creatúra subjécta est, non volens, sed propter eum, qui subjécit eam in spe: quia et ipsa creatúra liberábitur a servitúte corruptiónis, in libertátem glóriæ filiórum Dei. Scimus enim, quod omnis creatúra ingemíscit et párturit usque adhuc. Non solum autem illa, sed et nos ipsi primítias spíritus habéntes: et ipsi intra nos gémimus, adoptiónem filiórum Dei exspectántes, redemptiónem córporis nostri: in Christo Jesu, Dómino nostro.

Omelia I

[Mons. G. Bonomelli, “Nuovo saggio di OMELIE per tutto l’anno”, Vol. III, Marietti ed. Torino 1899 –imprim.]- Om. IX.

“Tengo per certo, che le sofferenze del tempo presente non hanno punto proporzione con la gloria che sarà manifestata in noi. Perché la stessa creatura irragionevole aspetta ansiosamente la manifestazione dei figliuoli di Dio: perché la stessa creatura suo malgrado fu sottomessa alla vanità da colui che ad essa l’ha sottoposta nella speranza. Perché anch’essa creatura sarà affrancata dalla servitù della corruzione e messa nella libertà gloriosa dei figliuoli di Dio. Sappiamo difatti, che fino ad ora ogni creatura geme ed è in travaglio quasi di parto. Né solamente essa, ma noi ancora, che abbiamo le primizie dello spirito e gemiamo in noi stessi, anelando all’adozione a figliuoli di Dio, alla redenzione del nostro corpo „ (Ad Rom. VIII, 18) – Paolo ci lasciò quattordici lettere e prima di tutte nella Scrittura è posta quella ai Romani, dalla quale sono tolti i pochi versetti, che avete uditi e che si leggono nella Messa odierna. Questa tiene meritamente il primo posto tra le lettere di S. Paolo, non già perché sia stata scritta prima delle altre, ma perché è indirizzata alla Chiesa di Roma, madre di tutte le altre Chiese, sede del Primato, ed anche perché è la più lunga e per ragione della dottrina dogmatica in essa sviluppata sopra le altre importantissima. Questa lettera fu scritta da S. Paolo in Corinto, allorché era sulle mosse per Gerusalemme, l’anno 58, al più tardi, il 59 dell’era nostra. – Il tratto che devo chiosare si legge nel capo ottavo della lettera, ed è una miniera d’altissime verità teoriche e pratiche. L’Apostolo comincia il capo, toccando la felice condizione dei rigenerati in Cristo, e afferma ch’essi sono sciolti dalla legge del peccato; poi accenna alla misera condizione di coloro che vivono secondando la carne. Insegna che nei rigenerati in Cristo abita lo Spirito Santo, come devono seguirne la legge e come nell’intimo della coscienza abbiano la testimonianza d’esser figli di Dio. A quali condizioni potranno riceverne la mercede? A condizione di patire con Cristo; soffrendo con Lui, con Lui saranno anche glorificati. E qui comincia la lezione che devo spiegare. – « Tengo per certo, che le sofferenze del tempo presente non hanno proporzione con la gloria, che sarà manifestata in noi. „ È questa una verità, che troviamo, starei per dire, ad ogni pagina nelle lettere dell’Apostolo, ma che pure non è mai abbastanza ripetuta, perché di questa abbiamo bisogno continuo. La nostra vita quaggiù è una serie di afflizioni interne ed esterne raramente interrotte: il fardello del dolore ci sta sempre sulle spalle e l’ombra della croce ci segue dovunque. Ora in mezzo a tante tribolazioni, a tanti e sì crudeli affanni, che ci accompagnano nel cammino della vita, la verità più consolante, che possiamo avere, è questa: “Siamo certi, che le sofferenze del tempo presente non hanno proporzione colla gloria, che sarà manifestata in noi” —. Quali sofferenze? Forse quelle soltanto che ci vengono direttamente dal professare la fede di Gesù Cristo e dalla osservanza fedele dei suoi precetti? Indubbiamente queste ci meritano la gloria divina; ma l’Apostolo non parla di queste solamente, ma di tutte le sofferenze della presente vita: Hujus temporis —, come sono quelle del lavoro, delle infermità, dell’inclemenza delle stagioni, dei timori, delle contraddizioni, della povertà e andate discorrendo; anche queste, quantunque comuni a tutti gli uomini, patite con spirito di fede, per amore di Gesù Cristo, ci fruttano per il cielo. Quale conforto il cristiano può attingere in questo insegnamento di S. Paolo! Egli può e deve dire a se stesso: io soffro, ma il mio soffrire è seme che frutterà il godere e godere eterno; tra il soffrire presente e il godere futuro non vi è proporzione alcuna; il soffrire lieve, immenso il godere; il soffrire è breve, pochi giorni, pochi anni; il godere interminabile; la ricompensa, Dio stesso. Io affido alla terra un granellino, che l’occhio appena discerne; questo, dopo alcuni giorni, qualche mese o qualche anno, mi dà un fiore bello a vedersi, soave a odorarsi, un albero che curva i rami sotto il peso dei suoi frutti moltiplicati. Ecco l’immagine del mio soffrire quaggiù sulla terra e del mio godere su in cielo. Questo pensiero deve essere un balsamo versato sulle ferite del mio povero cuore e deve mitigarne e raddolcirne il dolore, come la speranza della messe copiosa rallegra il contadino, che suda sull’aratro e sparge la semente nel solco aperto. – S. Paolo dice: “Tengo per certo „ existimo che le sofferenze presenti mi daranno una gloria senza confronto maggiore del merito. „ Quale certezza abbiamo noi di ricevere il premio del nostro patire? La nostra certezza non è, né può essere di fede, perché la Chiesa ha definito contro gli eretici, che nessun cristiano, senza una speciale rivelazione, può essere certo di fede d’aver ottenuto la grazia, senza la quale non si può ottenere la vita eterna (Conc. di Trento, sess. VI, can. XIII, XLI); ma la nostra certezza può essere una certezza umana, che viene dalla coscienza di adempiere i propri doveri, di fare ciò che possiamo per pacere a Dio, per fuggire il peccato, simile a quella certezza che abbiamo d’essere amati dall’amico, dal padre, dalla madre, ai quali ci studiamo di mostrarci fedeli e ubbidienti. Questa gloria, che deve essere il frutto delle presenti sofferenze, sarà manifestata in noi, dice l’Apostolo, e a ragione. La gloria e la gioia, che avremo in cielo, non è altra cosa che la esplicazione e la fioritura della grazia, che possediamo sulla terra, come i fiori ed i frutti dell’albero non sono che la esplicazione e la fioritura di quel piccolo seme che avete affidato alla terra; ondeché, possedendo la grazia, possediamo in potenza o in germe la gloria, e soffrendo in pace i dolori della vita, portiamo in noi stessi la gioia, che un dì sgorgherà dal fondo dell’anima nostra: Revelabitur in nobis. – Poiché noi tutti siamo fatti per la felicità e ad essa tendiamo necessariamente, come la pietra tende al suo centro, ne conseguita che i nostri cuori con ardente brama sospirano questa ricompensa delle nostre sofferenze e la gloria onde saremo vestiti. – Ma vi è di più, continua l’Apostolo: non pure noi, noi esseri deboli di ragione, sollevati e mossi dalla grazia aspettiamo col desiderio più acceso questa futura trasformazione, “ma la stessa natura irrazionale aspetta con ansia che siano manifestati i figliuoli di Dio, „ ossia che apparisca il giorno della loro manifestazione o gloria celeste. – Che è dessa quella creatura, che dicesi aspettare con ansia la rivelazione? Alcuni vi ravvisarono indicati gli Angeli, ma a torto: perché questa creatura la si dice tosto nel versetto seguente soggetta alla vanità, e per fermo gli Angeli non possono essere soggetti alla vanità. D’altra parte non possono essere gli uomini giusti, perché si dice, che questa creatura aspetta la rivelazione dei figli di Dio, cioè dei giusti, onde è manifesto che la creatura che aspetta non si può confondere coi giusti: non possono essere nemmeno i tristi o peccatori, perché questi né aspettano, né possono aspettare questa rivelazione, che non conoscono, disprezzano od odiano. Resta dunque che quella parola creatura significhi la natura tutta irragionevole, ossia l’universo. S. Paolo, uomo orientale e nutrito nello studio dei Profeti, con un volo arditissimo di fantasia, ci rappresenta non solo le anime cristiane, ma le creature tutte anche irragionevoli, che si uniscono a quelle in desiderare ardentemente il compimento della speranza mercé la manifestazione della gloria eterna. Ma come mai e perché la natura irragionevole può unirsi alle anime credenti in questo affocato desiderio della futura trasformazione? Questo modo di parlare è veramente poetico, attribuendo l’aspettazione ansiosa a esseri destituiti di ragione e di volontà e perciò incapaci di desiderio; ma vi si nasconde un senso profondo, che mi studierò di spiegare alla meglio. Tutte le cose materiali sono create per l’uomo e debbono servire a lui in tutti i modi, e in gran parte per via di evoluzioni meravigliose e perenni debbono entrare nell’organismo dell’uomo stesso, diventare successivamente parte del suo corpo ed essere assunte all’altissimo onore di strumento del suo pensiero e della sua volontà. Il perché tutte le creature materiali, a nostro modo di dire, aspirano alla loro unione con l’uomo, perché in esso e con esso si nobilitano, partecipano alla sua vita fisica e spirituale e sentono che la loro sorte è legata indissolubilmente alla sorte dell’uomo. Ecco perché tutte queste creature irragionevoli, a loro modo anch’esse, come formanti il corteggio, l’appendice dell’uomo, formanti anzi qualche parte dell’uomo insieme con lui sospirano che venga il giorno dell’umana trasformazione e risplenda agli occhi di tutti la gloria degli eletti e dei figli di Dio. E qui S. Paolo sviluppa più ampiamente il suo pensiero. Seguitiamolo. “La stessa creatura è soggetta alla vanità. „ Tutte le creature, che esistono sulla terra che direttamente o indirettamente servono l’uomo, giusta il volere del Creatore, nell’ordine presente, subiscono incessanti trasformazioni ed alterazioni: ora passano dalla natura in organica all’organica vegetale od animale e fino all’umana e poi ritornano all’inorganica. Osservate ciò che avviene intorno a noi e nel nostro corpo e troverete un movimento incessante, un farsi e disfarsi perpetuo delle creature, or lento, or rapido, tantoché la morte è la condizione della vita e la vita la condizione della morte: non vi è una sola creatura visibile che sfugga alla legge che tutto fa vivere e morire e dalla morte trae gli elementi di una, vita novella e getta nella vita i germi della morte. Tutte queste creature non solo sono sottoposte a questa trasformazione che non cessa un solo istante, ma devono servire (ahi quante volte!) di strumento al disordine, all’offesa del Creatore, contro il loro fine. L’aria, la luce, l’acqua, la terra, le sue produzioni più belle e più preziose, tutto il regno vegetale, animale ed universale, per opera dell’uomo sono forzati a deviare dal loro fine e a diventare strumento di peccato. Inquantoché sono sottomesse al lavoro della trasformazione senza tregua ed alla necessità di essere soventi volte costrette ad un uso contrario al loro fine naturale, queste creature sono dette da S. Paolo ” sottoposte alla vanità: „ Vanitati creatura subjecta est. Espressione sublime, che rappresenta il mondo tutto in uno stato di prova e di violenza, come l’uomo, del quale segue necessariamente la sorte, perché ad esso è ordinato, come mezzo al fine. Questo mondo visibile, continua S. Paolo, non vorrebbe questa legge di continue mutazioni, di alternative di morte e di lotta e rivolta contro il Creatore, alla quale è costretto dall’uomo: Non volens; ma vi si acconcia, perché così vuole il Creatore; vi si acconcia, ma con la speranza che verrà pure quel giorno, nel quale cesserà questa lotta che lo affatica, nel quale saranno cieli nuovi e terra nuova e tutto sarà composto in una pace inalterabile e perfetta. “La stessa creatura è sommessa alla vanità, non volente, ma da Colui che a questa l’ha sottoposta nella speranza. „ Sì, la natura tutta irrazionale, nel suo linguaggio domanda al pari di noi, uomini e cristiani, il cessare del suo stato presente, al quale istintivamente rilutta: il suo grido, eco lontana del nostro, è questo: Quando, Signore, porrete fine al mio travaglio? Quando mi darete la pace ? Quando, anch’io, come l’uomo e per l’uomo, sarò rinnovata e secondo la mia natura non servirò che a Lui solo? E giusto, risponde l’Apostolo: “anch’essa, questa natura irrazionale sarà affrancata dal servaggio della corruzione, nella libertà della gloria dei figliuoli di Dio. „ Non è facile intendere questo luogo del sacro testo, ma sembra fuor di dubbio essere, non altrimenti del seguente, una spiegazione dell’antecedente. La natura tutta irrazionale, quasi culla, reggia e nutrice dell’uomo, suo re, al termine dei secoli, quando egli ripiglierà, rifiorente di vita immortale, il suo corpo, anch’essa si rinnovellerà, quasi per fare più bella la gloria dell’uomo, e ad imitazione dell’uomo stesso: Et ipsa creatura liberabitur a servitute corruptionis, in libertatem gloria filiorum Dei. Quale sarà questo rinnovellamento della natura irrazionale, riflesso del rinnovellamento dell’uomo? Come finirà il suo servaggio e quale sarà la libertà sua, di cui qui favella l’Apostolo? Sappiamo che avverrà, ma quale sarà lo ignoriamo, e solo per una cotale induzione possiamo formarcene un’idea. Saranno cieli nuovi e terra nuova, l’uno e l’altra abitazione degna dell’uomo glorificato, sottratta interamente all’impero e all’influenza di ogni male morale e fisico, e saper questo ci basti. – Da questa dottrina sì alta e sì bella dell’Apostolo si fa manifesto che il fine delle creature tutte irragionevoli è legato al fine proprio dell’uomo e da questo dipende tantoché, se così posso esprimermi, anch’esse saranno felici o infelici della sua felicità od infelicità: ed è giusto perché le creature irragionevoli sono create per l’uomo e a lui debbono servire e per conseguenza la sorte del principale tira seco la sorte del secondario. Gli elementi, onde risulta il nostro corpo, accompagneranno e per sempre l’anima o beata in cielo, o straziata nell’inferno, perché l’unione sarà sempiterna, e perciò siamo noi che determiniamo la sorte eterna del mondo materiale. Il linguaggio dunque dell’Apostolo in questo luogo è poetico e ad un tempo altamente filosofico e vero. Questa idea dell’aspettazione ansiosa della natura irrazionale è ribadita e con più forte tinta rilevata in questo altro versetto: “Sappiamo di fatto che ogni creatura finora geme ed è come nel travaglio del parto. „ Questo gemere e quasi soffrire i dolori del parto di tutte le creature irragionevoli, aspettanti la loro liberazione e trasformazione finale, ci fa sentire la loro solidarietà con l’uomo e com’esse fremono nello stato di disordine e di violenza, in cui al presente troppo spesso si trovano. Questa frase dell’Apostolo ci riduce alla memoria quell’altra frase non meno energica del libro della Sapienza, in cui si dice, che Dio armerà tutte le creature contro gli stolti, cioè i peccatori. Ah! ricordiamola sempre, o dilettissimi, questa verità. Ogni volta che noi abusiamo delle creature, peccando, rivolgendole contro il Creatore, esse, per così dire, si sdegnano contro di noi, soffrono, gemono e sospirano il momento nel quale spezzeranno il giogo della corruzione che loro imponiamo: strumento nostro quaggiù al peccato, al piacere colpevole, diventeranno allora strumento di Dio a nostra punizione. S. Paolo, dopo questa breve e brillante digressione sulle creature tutte irrazionali, che con sì affocato desiderio aspettano e invocano la propria libertà e rinnovazione, ritorna a sé, ai credenti, e prosegue: “E non solo essa, cioè la creatura irrazionale, ma noi ancora, che abbiamo le primizie dello spirito, gemiamo in noi stessi, anelando alla adozione dei figliuoli di Dio, alla redenzione del nostro corpo. „ Sì, l’universo sospira e geme, ma con esso e ben più di esso, noi, Cristiani, primizie del giardino di Cristo, la Chiesa, o meglio, noi Cristiani, che abbiamo ricevuto i primi e più copiosi doni dello Spirito, sospiriamo e gemiamo nel fondo delle anime nostre. Travagliati da sollecitudini ed affanni interni, fatti segno di calunnie e di persecuzioni, sbandeggiati, flagellati, gettati in carcere, trascinati dinanzi ai tribunali, divenuti il rifiuto del mondo, ci viene a noia la vita, ita ut tæderet nos etiam vivere, volgiamo lacrimosi gli occhi al giorno, in cui la grazia, o l’adozione di figli di Dio ci schiuderà le porte del cielo e saremo liberati da questo corpo mortale e rivestiti del corpo impassibile e glorioso: Adoptionem filiorum Dei, expectantes redemptionem corporis nostri. Questo grido affannoso dell’Apostolo che guarda, aspetta ed invoca la gloria della risurrezione del corpo, risponde al grido di Giobbe, che, straziato e disfatto dalla lebbra esclama: “So che il mio redentore vive, e ch’io alla fine dei tempi risorgerò dalla polvere e rivestirò questa carne, e in essa vedrò il mio Dio e mio Salvatore. „ È questo il grido, che erompe dal cuore d’ogni credente, che attraversa questa terra d’esilio, che sente la miseria della vita presente, che cammina verso la vera patria, al possesso di Dio. Sia pur questo il grido che esce dai nostri cuori, disillusi della terra e anelanti al cielo!

Graduale  

Ps LXXVIII:9; LXXVIII:10 Propítius esto, Dómine, peccátis nostris: ne quando dicant gentes: Ubi est Deus eórum? V. Adjuva nos, Deus, salutáris noster: et propter honórem nóminis tui, Dómine, líbera nos. [Sii indulgente, o Signore, con i nostri peccati, affinché i popoli non dicano: Dov’è il loro Dio? V. Aiutaci, o Dio, nostra salvezza, e liberaci, o Signore, per la gloria del tuo nome.]

Allelúja

Alleluja, allelúja Ps IX:5; IX:10 Deus, qui sedes super thronum, et júdicas æquitátem: esto refúgium páuperum in tribulatióne. Allelúja [Dio, che siedi sul trono, e giudichi con equità: sii il rifugio dei miseri nelle tribolazioni. Allelúia.

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam. Luc. V:1-11

In illo témpore: Cum turbæ irrúerent in Jesum, ut audírent verbum Dei, et ipse stabat secus stagnum Genésareth. Et vidit duas naves stantes secus stagnum: piscatóres autem descénderant et lavábant rétia. Ascéndens autem in unam navim, quæ erat Simónis, rogávit eum a terra redúcere pusíllum. Et sedens docébat de navícula turbas. Ut cessávit autem loqui, dixit ad Simónem: Duc in altum, et laxáte rétia vestra in captúram. Et respóndens Simon, dixit illi: Præcéptor, per totam noctem laborántes, nihil cépimus: in verbo autem tuo laxábo rete. Et cum hoc fecíssent, conclusérunt píscium multitúdinem copiósam: rumpebátur autem rete eórum. Et annuérunt sóciis, qui erant in ália navi, ut venírent et adjuvárent eos. Et venérunt, et implevérunt ambas navículas, ita ut pæne mergeréntur. Quod cum vidéret Simon Petrus, prócidit ad génua Jesu, dicens: Exi a me, quia homo peccátor sum, Dómine. Stupor enim circumdéderat eum et omnes, qui cum illo erant, in captúra píscium, quam céperant: simíliter autem Jacóbum et Joánnem, fílios Zebedaei, qui erant sócii Simónis. Et ait ad Simónem Jesus: Noli timére: ex hoc jam hómines eris cápiens. Et subdúctis ad terram návibus, relictis ómnibus, secuti sunt eum”.

OMELIA II

[Mons. Bonomelli, ut supra, Omelia X]

“Avvenne che la moltitudine, stringendosi addosso a Gesù per ascoltare la parola di Dio, e stando Egli in piedi presso il lago di Genesaret, vide due barchette presso la riva del lago e i pescatori, smontati, lavavano le reti. Ed Egli, essendo montato sopra una di quelle, che era di Simone, lo pregò di allargarsi un poco da terra e seduto, ammaestrava le turbe dalla navicella. E com’ebbe finito di parlare, disse a Simone: Piglia il largo e calate le vostre reti per pescare. Ma Simone, rispondendo gli disse: Maestro, ci siamo affaticati tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma pure, alla tua parola, getterò la rete. E fatto questo, rinchiusero grande quantità di pesce, tantoché la rete si rompeva. E accennarono ai loro compagni, ch’erano nell’altra navicella, affinché venissero per aiutarli. Ed essi vennero, e riempirono ambe le barche a talché affondavano. Ciò visto, Simon Pietro, si gettò alle ginocchia di Gesù dicendo: Partiti da me, o Signore, perché io sono un uomo peccatore. Perché egli e quelli che erano con Lui erano compresi di spavento per la presa dei pesci che avevano fatto. Lo stesso fu ancora di Giacomo e Giovanni, figliuoli di Zebedeo, ch’erano compagni di Simone. E Gesù disse a Simone: Non temere: d’ora innanzi attenderai a pescare uomini. Ed essi, tirate a terra le navicelle, lasciata ogni cosa, lo seguitarono „ (S. Luca, V, 1-11).

Gesù cominciò la sua predicazione in Galilea, e chiamò alla sua sequela alcuni discepoli, come narra S. Giovanni nel primo capo, tra gli altri Simon Pietro, Andrea, Filippo, Natanaele ed i fratelli Giacomo e Giovanni, tutti Galilei. Con essi salì a Gerusalemme per celebrare la Pasqua, poi ritornò in Galilea, a Nazaret. In quel frattempo i discepoli ritornarono alle loro reti (erano quasi tutti pescatori), per campare la vita, ma per pochi giorni. Gesù da Nazaret recossi a Cafarnao e ripigliò la sua vita pubblica, e qui comincia il fatto evangelico, che forma l’argomento della nostra omelia, e che determinò i primi e principali discepoli a seguirlo stabilmente, come vedremo. Due volte essi furono chiamati da Gesù: la prima volta sulle rive del Giordano, dov’essi erano per udire Giovanni, e dove Gesù stesso ricevette il battesimo; la seconda e definitivamente, sulle sponde del lago di Genesaret, riferita da S. Luca nel capo V. Ora, a noi, o carissimi. “Avvenne che la moltitudine, stringendosi addosso a Gesù, per ascoltare la parola di Dio, e stando Egli in piedi presso il lago di Genesaret, vide due barchette in sulla riva, ed i pescatori, smontati, lavavano le reti. „ Nessun bisogno di illustrare queste parole, che non potrebbero essere più chiare: ma non sarà superfluo cavarne qualche pratica riflessione. – Considerate Gesù, le turbe e gli Apostoli pescatori. Gesù sta sulla riva di quel lago allora sì ridente, solo, senza corteggio, corre l’ultimo dei figli d’Israele, in mezzo alla folla, ch’era accorsa dalle vicine città e castella. E che fa Egli? Ammaestra quella moltitudine. Che cosa insegnasse, il Vangelo non lo dice, ma è agevole immaginare che parlasse, come soleva, del regno dei cieli e di quelle verità sì semplici e sì alte che rapivano il buon popolo, il quale pendeva estatico dalle sue labbra. – Considerate le turbe: esse si accalcavano intorno a Gesù, lo premevano, Gli si serravano addosso: Cum turbæ irruerent in eum, avide di udire la parola di Dio. Quale spettacolo, o cari! Gesù Cristo, il Figlio di Dio che parla al popolo, e questo popolo che lo ascolta tacito e riverente: era il mattino e di sopra rideva il cielo sereno, tranquillo: intorno, da una parte il lago con le sue rive incantevoli, seminate di villaggi popolosi; dall’altra i colli, coperti d’ulivi e di vigne, che si sollevano a mano a mano, ad occidente verso il Tabor, a tramontana, da lungi, verso l’Hermon ed il Libano. È sulle sponde di questo lago, in mezzo a questi pescatori, a questi figli dei campi, che Gesù Cristo sparge i semi di quella Dottrina che sarà portata ai quattro lati della terra e trasformerà il mondo pagano. – Considerate gli Apostoli: essi erano smontati dalle loro navicelle, e dopo aver ripulite e racconciate le reti, si erano mescolati con le turbe per udire il divino Maestro. In mezzo a quella moltitudine, credo io, non vi erano né ricchi, né dotti: essi avrebbero sdegnato di trovarsi in mezzo a quella povera gente, ma non si sdegnava Gesù, anzi le sue gioie più dolci erano quelle di annunziare a quei poverelli il regno di Dio: Misit me evangelìzare pauperibus. E vedete questi Apostoli, che già chiamati a seguire Gesù Cristo seguitano a pescare, non certo per sollazzo, ma per necessità della vita. Essi, destinati alla conquista del mondo, non si lagnano della loro povertà e della vita travagliosa che menano e che non muteranno nemmeno più tardi, perché santamente si glorieranno di provvedere ai propri bisogni col lavoro delle mani: Manus istæ ministraverunt. – Gesù, viste quelle due barchette, “salì sopra una, che era quella di Simon Pietro. „ Posto fine al suo discorso alle turbe, Gesù per scansarsi da queste e fare il miracolo che gli vedremo operare, salì sopra una navicella e, nota il Vangelista, che era quella di Pietro. Voi troppo bene comprendete che Gesù Cristo non faceva, nè poteva far nulla a caso; nessun uomo assennato fa mai cosa alcuna a caso; e l’avrebbe fatta Colui che è la stessa sapienza? Sarebbe bestemmia pure il sospettarlo. Perché  Gesù Cristo tra le due barchette preferì quella di Pietro e sopra di questa s’allargò nel lago e poi operò il miracolo? E perché  l’evangelista S. Luca volle notare questo fatto? I Padri ravvisarono in questo fatto un indizio della podestà suprema, che Gesù avrebbe più tardi conferita a S. Pietro. Noi non possiamo avere salute che col ricevere la dottrina di Gesù Cristo: ora dove Gesù annunzia la sua dottrina? Da qual nave la predica agli uomini? Dalla nave di Pietro: dobbiamo adunque essere nella nave di Pietro se vogliamo avere la dottrina di Gesù Cristo. La nave è simbolo della Chiesa; su ciò non vi è dubbio alcuno: i Padri, gli interpreti ed il simbolismo antico lo mostrano; ma sono molte navi o le chiese che si dicono navi e Chiese di Cristo. C’è la nave della Chiesa Greca, quella della Chiesa Nestoriana, della Chiesa Eutichiana, della Russa , della Anglicana via e via (1). Tutte a gran voce protestano di essere ciascuna la nave, l’unica vera Chiesa di Cristo, ed invitano gli uomini a salirvi se vogliono salute. Io domando: Dov’è Cristo? Su qual  nave siede Egli ed ammaestra? Sulla nave di Pietro, non sulle altre! Dunque teniamoci sempre fermi su questa nave di Pietro,  sicuri di avere con noi Gesù Cristo e con Gesù Cristo la verità. – Che cosa insegnò Gesù Cristo alle turbe, stando sulla navicella di Pietro? Il Vangelo non lo dice, ed è facile e natural cosa il credere che parlasse loro delle verità del regno dei cieli, giacché solo di queste cose Egli intratteneva la moltitudine che lo seguiva. “Poiché ebbe finito di parlare, disse a Simone: Piglia il largo e calate le vostre reti alla pesca.„  Il mare o lago di Genesaret è figura del mondo; i pesci sono figura degli uomini: la nave di Pietro, che con Gesù solca le onde, come dissi, è figura della Chiesa. Gesù comanda a Pietro ed ai suoi compagni di calare le reti per la pesca. Ma quando? Non prima, ma dopo di aver parlato al popolo. E perché? Perché vuole insegnarci che prima si devono ammaestrare gli uomini e poi accoglierli nella Chiesa: prima si deve seminare e poi mietere: prima far conoscere la verità; poi raccoglierne i frutti. Gli Apostoli ed i loro successori, come dirà più innanzi Gesù Cristo, devono pigliare gli uomini. Ma come si pigliano gli uomini? Essi sono spiriti nella parte loro più nobile, e non si pigliano come i pesci e gli uccelli nelle reti: pigliati i loro corpi, avete pigliato ogni cosa. Pigliati i corpi degli uomini, voi non avete preso nulla; per pigliare gli uomini conviene pigliare quello in cui sta veramente l’uomo, cioè l’anima sua. E questa che non si vede, che non si tocca, in qual modo si piglia? I pesci e gli uccelli li pigliate con l’offrir loro il cibo, che loro si confà: l’anima dell’uomo la si piglia col mostrarle quel cibo di cui solo essa è ghiotta, il cibo della verità. La verità signoreggia la sua mente e la mente tira a sé la volontà; e guadagnata la mente e la volontà dell’uomo, voi avete pigliato tutto l’uomo. E con qual mezzo presentare all’uomo il cibo della verità? Il pescatore presenta al pesce il cibo legato al filo della sua canna, o lo sparge presso le reti: noi lo porgiamo alla mente dell’uomo mediante la parola o l’istruzione, e perciò Gesù Cristo disse agli Apostoli: Andate, ammaestrate. Ammaestrate! cioè porgete alle menti il cibo della verità con la parola: questa scuoterà la volontà e trarrà a voi gli uomini retti. Ecco perché Gesù Cristo, dopo avere ammaestrate le turbe, comanda di gettare le reti. Proseguiamo. “Pietro rispondendo, disse a Gesù: Maestro, ci siamo affaticati tutta la notte e non abbiamo preso nulla. „ La pesca allora (come in parte anche in oggi da noi) si faceva la notte. Gli Apostoli l’avevano fatta da soli, senza la compagnia di Gesù, ed era stata senza frutto. Così aveva disposto il divino Maestro, per mettere in maggior luce il miracolo che aveva operato, e per dare una lezione importantissima a’ suoi cari Apostoli e determinarli a seguirlo definitivamente. – Il buon Pietro, sempre eguale a se stesso, risoluto, ardente e schietto, dopo d’aver pubblicamente dichiarato ch’era stato vano ogni lavoro della notte, e che non aveva speranza alcuna di miglior fortuna, mostrando la docilità e prontezza dell’animo suo, soggiunse: “Pure sulla tua parola getterò la rete. „ La parola del Maestro è tutto per il discepolo: questi fa tacere ogni suo giudizio, non bada alla nuova fatica, non muove ombra di difficoltà o di dubbio: il Maestro l’ha detto e gli basta: “Sulla tua parola getterò la rete. „ – Carissimi! quando la voce del dovere, la voce dell’autorità ha parlato, ancorché torni duro e sembri anche poco conforme alla nostra ragione, imitiamo la generosa prontezza di S. Pietro, e diciamo: Signore, ubbidisco. Gli Apostoli calarono adunque la rete, e appena ebbero cominciato a tirarla a sé, si accorsero “che avevano chiuso in essa grande quantità di pesci, tanto che la loro rete si rompeva. „ Vedendosi impotenti a tirare nella nave sì gran quantità di pesce, “accennarono ai compagni dell’altra nave, affinché venissero ad aiutarli, e vennero ed empirono ambe le barche; sicché quasi affondavano. „ – Tutti questi particolari del fatto, notati con somma concisione e semplicità, non abbisognano di schiarimento, e ci mettono sotto gli occhi la scena avvenuta sulle rive del lago, a talché ne siamo per poco noi stessi spettatori. È noto dalla storia che quel piccolo lago era abbondantissimo di pesci: d’altra parte si sa, che in certe stagioni e in certe con giunture, è possibile una pesca straordinaria, e nessuno lo sapeva meglio di Pietro e dei suoi compagni, praticissimi del loro mestiere e di quel lago; ma quella pesca, considerata nelle condizioni particolari in cui avvenne, presentava sì chiari i caratteri del miracolo da non poterne avere dubbio alcuno. E invero: gli Apostoli avevano gettate le reti tutta la notte e sempre inutilmente: non v’era indizio di sorta da far credere probabile un mutamento e una pescagione sì copiosa; se vi fosse stato, gli Apostoli l’avrebbero conosciuto od almeno sospettato. Più, dalla narrazione appariscente che fu quasi la stessa cosa gettare le reti nel lago e vederle ripiene di pesce. Finalmente, la quantità del pesce era al tutto meravigliosa, perché si dice che la rete si sdrusciva per il peso, e che ne ebbero ripiene le due barchette e ripiene per modo che quasi affondavano: Et impleverunt ambas naviculas, ita ut pene mergerentur. Tutte le circostanze del fatto, mostravano ad evidenza che non era naturale, ma sovrannaturale e miracoloso e che non potevasi attribuire ad altri, fuorché a Colui che con tanta sicurezza, non ostante la difficoltà mossa da Pietro, aveva detto: “Gettate le vostre reti alla pesca. „ – L’effetto del miracolo fu istantaneo e grandissimo su tutti gli Apostoli presenti, ma singolarmente sopra Pietro. Uditelo: “Veduto ciò, Simon Pietro, cadde alle ginocchia di Gesù, dicendo: Partiti da me, o Signore, perché io sono un uomo peccatore. „ In questa occasione, come sempre, si rivela l’anima tutta di Pietro. Egli ha visto il miracolo di Gesù Cristo, non ne può dubitare, lo tocca con mano, è lì, in quel cumulo di pesci che gli sta dinanzi. Dimentica tutto: e due sole cose egli vede, il Maestro e se stesso: nel Maestro, egli, scosso dal fatto della pesca ed illuminato internamente, riconosce l’operatore del miracolo, il profeta, il Messia; in sé vede un povero peccatore, e conscio della propria indegnità, nell’ardore della sua fede, si getta ai piedi di Gesù, Procidit ad genita Jesu, ed esclama: “Partiti da me, che sono un uomo peccatore. „ – S. Agostino domandava instantemente due cose a Dio: Domine, noverim te, noverim me.”Signore, ch’io conosca te e conosca me stesso! „ Questo doppio conoscimento si può considerare come il supremo grado della sapienza cristiana: conoscere Dio, per amarlo e servirlo; conoscere se stesso, per correggere ed emendare i propri falli: conoscere Dio per disprezzare se stesso; conoscere se stesso, per apprezzare Dio solo. Questi due conoscimenti sono inseparabili tra loro, tantoché l’uno non si può concepire senza l’altro, come l’effetto non si può disgiungere dalla sua causa, e quegli conosce bene l’effetto che conosce bene la causa. L’uomo che si mette innanzi a Dio e con l’occhio della mente discorre e contempla la sua grandezza, la sua potenza, la sua bontà, la sua sapienza, la sua immensità; che, inabissandosi in quell’oceano dell’essere di Dio, ne considera l’eternità e la immutabilità e tutte le altre perfezioni, sentesi sopraffatto e compreso di stupore al cospetto di tanta maestà. Che se allora torce lo sguardo da Dio e lo rivolge sopra di sé, comprende e sente d’essere piccolo, debole, soggetto a continue mutazioni, pieno di miserie: comprende e sente che da sé ha nulla, e che tutto ciò che ha o può avere, lo riceve da Dio, dal quale dipende più che la lampana dal filo che la sostiene: allora egli è costretto ad erompere in quel grido sì famigliare ai santi: Signore, Voi siete tutto, ed io nulla e meno che nulla, perché peccatore. Se non che il buon Pietro, nella foga del suo dire, non si limitò a riconoscere la grandezza del Maestro e la debolezza e il nulla proprio, ma, spingendosi più oltre e non rendendosi conto di ciò che diceva, aggiunse: “Partiti da me, o Signore, perché io sono un uomo peccatore. „ Voleva che Gesù si allontanasse da sé, reputandosi indegnissimo di stare presso di Lui sì santo, egli gran peccatore! Nessun dubbio, che se alcuno in quel momento avesse detto a Pietro: Vuoi tu davvero, che Gesù si parta da te? — Pietro avrebbe risposto: No, no; io credo in Lui, io l’amo, io voglio seguirlo sempre e dovunque: ho bisogno di star sempre con Lui —. Come dunque lo pregava di allontanarsi da Lui? Era questo il linguaggio del timor santo, ond’era compreso alla presenza di Gesù e dell’amore vivissimo, che sentiva per Lui e lo portava fuori di sé, onde mentre diceva a Gesù: Partiti da me, gli si serrava come un fanciullo alle ginocchia e non sapeva staccarsene. Carissimi! quando stiamo alla presenza di Gesù nel Sacramento dell’altare, e più ancora, quando lo riceviamo in noi stessi, facciamo nostri i sentimenti di fede, di riverenza, di timore, di amore, di profonda umiltà, ond’era ripieno il principe degli Apostoli là sulla sua barchetta di Genesaret. L’anima, che riconosce la propria indegnità e si confessa peccatrice dinanzi a Gesù, diviene oggetto delle sue più care compiacenze! L’Evangelista quasi per dare una spiegazione dell’atto e delle parole sì belle di san Pietro, dice, continuando: “Perché erano compresi di spavento egli, Pietro, e quanti stavano con Lui per la presa de’ pesci, che avevano fatto. „ Come mai ciò, o dilettissimi? Pietro e i suoi compagni erano atterriti? Essi dovevano essere meravigliati sì, e lietissimi, ma non mai atterriti, come dice il sacro testo. Sì, erano meravigliati, lietissimi, ma anche atterriti. Allorché noi ci troviamo dinanzi a fatti straordinari e sovraumani, dietro i quali vediamo levarsi, a così dire, l’ombra e la maestà di Dio stesso, che ne è l’autore, ci sentiamo gagliardamente scossi, compresi d’un sacro terrore. E chi noi deve essere dinanzi a quella infinita grandezza e potenza, dinanzi alla quale sentiamo tutto il nostro nulla? Scorrete tutte le sacre Scritture dell’antico e del nuovo Testamento e troverete sempre, che ogni qual volta Iddio si manifesta, sia sul Tabor, sia sull’Oreb, sia sul Sinai, sia nei grandi miracoli, il timore ed anche il terrore è la conseguenza comune e naturale, in quelli che ne sono testimoni. – S. Luca parla del terrore di Pietro e di tutti quelli che erano con lui; ma poi, quasi corregendosi, stima necessario nominare due, che erano presenti nell’altra navicella, perché dopo Pietro tenevano il primo posto presso il Maestro, e perché insieme con Pietro, dopo questo miracolo, furono chiamati a seguirlo stabilmente. ” Lo stesso fu ancora di Giacomo e Giovanni, figliuoli di Zebedeo, che erano compagni di Simone. „ Gesù, per confortare Simon Pietro, che era a’ suoi piedi, come fuori di sé, con voce amorevole gli disse: ” Non temere: quinci innanzi attenderai a pescare uomini. „ Con queste parole Gesù volle confortare il suo Pietro e nello stesso tempo fargli conoscere chiaramente la sua vocazione all’apostolato. Ben altro che pesci, così volle dire in sentenza il Salvatore, ben altro che pesci tu devi pigliare: la tua missione in avvenire sarà quella di pigliare uomini. La metafora graziosa è sì bella e naturale che non occorre spiegarla. Più volte Gesù Cristo adombra il sacro ministero sotto la figura della pesca, e veramente la figura risponde assai bene alla realtà che si vuole significare. E qui non voglio tacere una osservazione, che mi pare scaturisca naturalmente dal sacro testo. Pietro, visto il miracolo, conobbe se stesso e schiettamente, alla presenza dei compagni, confessò d’essere peccatore e indegno di stare presso Gesù. A quest’atto di umiltà Gesù rispose con la splendida promessa dell’apostolato. “Tu attenderai a pescare uomini. „ Sempre così! all’abbassamento volontario Dio risponde sempre con l’innalzamento, e a Pietro, che si protesta peccatore, velatamente promette la più alta prerogativa  dell’apostolica dignità. Il fatto della pesca prodigiosa, qui narrato da S. Luca, è toccato appena da S. Matteo (cap. IV, 18 seg.) con qualche particolare, che dà luce al tutto insieme. S. Matteo ai tre Apostoli sopra nominati, presenti al miracolo, aggiunge Andrea, fratello di Pietro, che dovevasi trovare nella barca con esso. Inoltre san Matteo scrive, che Gesù disse a tutti quelle parole da S. Luca riferite al solo Pietro: “Io vi farò pescatori di uomini, „ e che a tutti disse: “Venite dietro a me, „ e che tutti lo seguitarono. S. Luca in questo luogo, lascia sottintese le parole di Cristo: “Venite dietro a me, „ ma narra l’effetto, dicendo: “Tirate a terra le navicelle, lasciata ogni cosa, lo seguitarono. „ Quale esempio di prontezza, di fede, di ubbidienza, di generosità ci danno questi Apostoli! E vero, erano poveri, vivevano delle proprie fatiche: non avevano che quelle sdrucite barchette, quelle poche reti, forse la casetta nella vicina Betsaida: ma Pietro aveva la suocera, Giacomo e Giovanni avevano il padre e la madre; avevano congiunti ed amici; amavano le rive del loro lago; chi dice loro: “Seguitemi, „ era ancor più povero di loro; non aveva né casa, né barca, né reti, né dove posare il suo capo; eppure incontanente, ad una sua parola lo seguono: Relictis omnibus, secuti sunt eum. Che sarà di loro? Quale la sorte che li attende? Quale la ricompensa? Fin quando e fin dove lo seguiranno? Quali i patti? Di tutto questo non si danno pensiero: hanno udite quelle misteriose parole: ” Venite dietro a me; vi farò pescatori di uomini, „ senza comprenderne perfettamente il significato; non istanno in forse un solo istante: lo seguitano per non abbandonarlo più mai, e primo senza dubbio quel Pietro, che gli aveva detto: ” Partiti da me, o Signore, che sono uomo peccatore. „ Riconosciamo ancora una volta la certezza del miracolo della pesca, ammiriamo la potenza della parola di Cristo, che li chiama, e la generosa docilità con cui rispondono gli Apostoli.

(1) [La Chiesa greca Foziana, com’è noto non ammette l’istituzione divina del Primato di Pietro. Il suo governo è affidato ai Patriarchi e al Sinodo ecumenico, che risiede a Costantinopoli: ma è un edificio che sta per forza di inerzia, se cosi posso esprimermi. La creazione d’ogni nuovo Stato nell’Impero ottomano porta seco per conseguenza una nuova Chiesa nazionale. Questo secolo ha visto sorgere la Chiesa ellenica, la montenegrina, la serba, la rumena, la bulgara: è naturale, perché non vi è un centro comune. – Della Chiesa nestoriana ed eutichiana non val la ragionare perché piccole e sepolte nella più crassa ignoranza; di cristiano conservano poco più che il nome. – La Chiesa russa si trova in condizioni ben diverse e perché internamente unita alla potestà imperiale dello Czar e da lui dipendente, e perché organizzata fortemente, abbraccia popoli rozzi, sì, ma giovani e forti, e poiché ad essa si apre un campo vastissimo in Oriente. E vi è qualche probabilità, che la chiesa russa rientri nel seno della Chiesa Cattolica? Alcuni lo speravano e forse lo sperano ancora: così fosse!! Ma, ragionando umanamente, essa, la Chiesa russa è ben lontana dal ritornare alla Chiesa Romana. L’anno passato, il gran Procuratore del Sinodo russo, Pobedonoskeff che ora è l’anima del Sinodo stesso, ad un alto personaggio, che gli mostrava la necessità dell’unione con la Chiesa romana, rispose: “La Chiesa ortodossa russa e la Chiesa Romana sono due sorelle eguali, che si devono rispettare a vicenda —. La Russia ha toppo interesse a star salda nello scisma e nell’eresia e l’ignoranza del popolo, congiunta allo scetticismo delle classi alte e alla autocrazia imperiale e la diffidenza e l’odio contro la Polonia, innalzano una barriera insormontabile tra la chiesa russa e la Romana. „ – Della chiesa anglicana non occorre parlare. La dichiarazione solenne della S. Sede rispetto alla nullità delle sacre Ordinazioni della chiesa anglicana, dichiarazione necessaria per le circostanze speciali, ha forse aggiunto un nuovo ostacolo a quelli che vi erano e reso più difficile il ritorno all’Unità Cattolica.]

 Credo…

 Offertorium

Orémus Ps XII:4-5 Illúmina óculos meos, ne umquam obdórmiam in morte: ne quando dicat inimícus meus: Præválui advérsus eum. [Illumina i miei occhi, affinché non mi addormenti nella morte: e il mio nemico non dica: ho prevalso su di lui.]

Secreta

Oblatiónibus nostris, quæsumus, Dómine, placáre suscéptis: et ad te nostras étiam rebélles compélle propítius voluntátes. [Dalle nostre oblazioni, o Signore, Te ne preghiamo, sii placato: e, propizio, attira a Te le nostre ribelli volontà.]

Communio

Ps XVII:3 Dóminus firmaméntum meum, et refúgium meum, et liberátor meus: Deus meus, adjútor meus. [Il Signore è la mia forza, il mio rifugio, il mio liberatore: mio Dio, mio aiuto.]

Postcommunio

Orémus. Mystéria nos, Dómine, quæsumus, sumpta puríficent: et suo múnere tueántur. Per … [Ci purifichino, o Signore, Te ne preghiamo, i misteri che abbiamo ricevuti e ci difendano con loro efficacia.]

LO SCUDO DELLA FEDE (XV)

[A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S.E.I. Ed. Torino, 1927]

 XV.

IL GOVERNO DI DIO.

Come mai Iddio permette il male? — Iddio sa se mi salverò o mi dannerò; a che serve adunque che io mi travagli a salvarmi? — La predestinazione e la libertà umana.— Se Dio è infinitamente buono, perché crea coloro che andranno dannati?

— Avrei ora da esporre delle gravi difficoltà per riguardo ad alcuni attributi di Dio.

Già m’immagino quali siano. Tuttavia esponi pure liberamente tutto ciò che lambicca il tuo cervello, e vedrò di darti le spiegazioni più chiare che siano possibili.

— Ecco adunque: Iddio è onnipotente, cioè può fare tutto ciò che vuole, è santo, cioè vuole il bene ed abborrisce il male, è sapientissimo e sa tutto. Or come mai lascia che nel mondo si faccia tanto male? … si commettano tanti delitti? Li permette Egli forse perché non li può impedire! E allora dove sta la sua onnipotenza ? Li permette perché non li vuole impedire! E allora dove sta la sua santità? Li permette perché non sa che abbia ad accadere? E allora dove sta la sua sapienza?

Perdincolina! Mi fai veramente una scarica a mitraglia, ed entri per tal guisa in dei più tremendi misteri! Ma precisameli; perciò bisogna che ti ricordi anzitutto che misteri sono sempre misteri, che cioè noi non arriveremo mai a comprenderli. In secondo luogo devo dirti che il poter fare delle difficoltà anche gravi contro le verità della dottrina cristiana, difficoltà che per ora non si possono sciogliere, non dà il diritto di inferire che sia falsa la stessa dottrina, ma deve in quella vece farci riconoscere e confessare la nostra impotenza a comprendere tali verità. In terzo luogo ti aggiungerò che qualora avessi da adoperarmi a scioglierti le difficoltà, che mi hai proposte, con l’ampiezza dovuta, dovrei andare molto per le lunghe e tu non reggeresti al mio ragionamento. – Ciò premesso ti risponderò in breve che Dio, sì, è sapientissimo e perciò prevede anche il male che dagli uomini si fa, che Egli è santissimo e come tale non vuole il male e lo abborrisce, che Egli è onnipotente e che perciò assolutamente lo potrebbe impedire: e non di meno non lo impedisce perché, avendo dato all’uomo la libertà, Egli vuole assolutamente che l’uomo resti libero, padrone de’ suoi atti in modo da poter fare di sua piena volontà il bene o il male, e a seconda di quel che farà meritarsi coi propri sforzi la felicità eterna o con la propria malizia la eterna dannazione. E se l’uomo abusando della sua libertà commette il male e si abbandona persino a gravi delitti, Iddio perciò non lascia di essere e sapientissimo, e santissimo, e onnipotente.

— Va bene. Ma Iddio non poteva dare all’uomo la libertà perché faccia il bene e si meriti la felicità eterna, e a un tempo stesso impedire che l’uomo faccia il male non lasciandolo abusare della sua libertà? A me pare insomma che se Iddio non volesse davvero il male, non lo lascerebbe commettere, e che lasciandolo ommettere ne sia Egli stesso la causa.

Mio caro, senza saperlo tu metti innanzi i mostruosi errori di Calvino. Ascolta bene adunque. Che Iddio potesse, qualora lo avesse voluto, dare all’uomo la libertà per fare il bene e meritar la felicità eterna e a un tempo stesso impedire l’abuso dell’umana libertà nel fare il male è cosa certissima. Ma Egli non l’ha voluto, e in ciò appunto sta il mistero. Con tutto ciò non potendo noi capire il perché Iddio non abbia voluto affrancare l’uomo da quella naturale debolezza che lo rende peccabile, non porremo mai dire che Iddio voglia il male e ne sia Egli la causa. Il male Iddio lo permette, ma assolutamente non lo vuole, non può volerlo: se potesse voler il male, non sarebbe più Dio. Epperò non mai e poi mai si potrà ascrivere a Lui il più piccolo dei peccati, come appunto diceva S. Agostino. – E come mai sarebbe ciò possibile? Dio ha creato gli uomini, perché un giorno abbiano da possedere e godere Lui, e vorresti che Egli sia l’autore dei peccati, che allontanano l’uomo dal conseguimento del suo fine? Dio è l’infinita bontà e l’infinita giustizia, e vorresti che fosse l’autore della malizia e dell’ingiustizia? Dio è il punitore del peccato, e vorresti che punisse negli altri il peccato, di cui fosse Egli la causa? Dunque sia pure che noi non comprendiamo perché Iddio permette il peccato, ma non sia mai che sopra di Lui gettiamo la colpa dei peccati che commettiamo noi, abusando della libertà  che ci ha dato.

— Ho inteso e passo perciò ad esporle un’altra difficoltà.

Di su adunque.

— Se Iddio è, come non si può dubitare, sapientissimo, saprà certamente se noi ci salveremo o se ci danneremo, non è vero?

Verissimo!

— Dunque io dico: se Egli sa che mi salverò, sarò salvo; se Egli invece sa che mi dannerò, andrò dannato. Epperò che bisogno c’è ch’io mi travagli per salvarmi? Non mi resta così tolta ogni libertà di provvedere al mio eterno destino?

Anche questa è una difficoltà assai grave, ma se tu stai ben attento, spero che non riuscirà del tutto insolubile. – Tu dici adunque: « Iddio sa se mi salverò o se mi dannerò; » e da  questo sapere Iddio se ti salverai o ti dannerai, trai la conseguenza « che torna inutile che ti travagli per salvarti, perché non resti più libero di provvedere per parte tua al tuo eterno destino ». Ora io comincio a risponderti col fare a te una domanda. Che diresti tu a tua madre, se essa oggi ti dicesse: Figliuol mio, Iddio sa se quest’oggi devi pranzare o no; quindi è inutile che io ti prepari o non ti prepari il pranzo: se Dio sa se quest’oggi devi pranzare, pranzerai; se sa che non devi pranzare, non pranzerai?

— Oh! per certo le direi: Mia buona madre, per intanto fate il piacere di preparare il pranzo, e poi sarà come a Dio piacerà.

Così dico io a te: Pertanto tu fa da parte tua quello che importa per salvarti, e allora ti salverai; perché se al contrario non farai di tua volontà quello che devi e puoi fare per la tua eterna salvezza, certamente ti dannerai..

— Ma dunque la scienza che ha Iddio intorno alla nostra eterna destinazione non fa sì, che essa accada come Dio l’ha prevista?

La nostra eterna destinazione sarà senza dubbio infallantemente quale Iddio l’ha prevista, ma questa previsione, o a meglio dire visione (non essendovi innanzi a Dio futuro, ma tutto presente) non fa che la nostra eterna destinazione non sia ancor pienamente dipendente dalla nostra libera volontà. Supponi che tu ti trovassi sopra un terrazzo prospiciente un ampio cortile, dove molti govani tuoi compagni stanno divertendosi. Che vedresti tu?

— Eh! vedrei di quelli che corrono, di quelli che saltano, di quelli che fanno circolo, di quelli che si bisticciano, di quelli che si regalano  magari qualche pugno.

E vedendo tu tutte queste cose, ne saresti tu la cagione?

— Niente affatto!

E i tuoi compagni benché tu li veda, non restano ancor sempre liberi di proseguire i loro giuochi, le loro occupazioni, di fare quel che vogliono fare?

— Liberissimi. Il mio vedere nulla influisce sulla loro libertà.

Va bene. Ora stammi attento: Iddio da tutta l’eternità con la sua scienza infinita ha tutto presente dinanzi a sé, epperò tutto il bene e tutto il male che faranno gli uomini con tutte le circostanze più minute e particolari, e la loro conseguente salvezza o dannazione. Ma perciò che Egli tutto vede, si potrà dire la causa di quello che noi facciamo di bene o di male per salvarci o per dannarci? No assolutamente. Egli ci lascia fare il bene o il male, epperò operare la nostra salvezza o la nostra dannazione, a seconda della libertà che ci ha dato. Quindi non è già che noi facciamo il bene o il male perché Egli lo vede; ma Egli lo vede perché noi lo facciamo. Insomma Iddio vede che tu ti salverai, se tu liberamente vivrai da buon Cristiano per salvarti; e vede che ti dannerai, se tu di tua volontà vai alla dannazione vivendo male.

.— Mi sembra di aver inteso, e voglio dargliene una prova. Ecco dunque: Bisogna che io mi adoperi quanto posso per salvarmi, benché Iddio sappia se mi salverò o se mi dannerò dal vedere quello che io farò per salvarmi o per dannarmi; e la scienza, che egli ha intorno alla mia futura destinazione, non forza minimamente la libertà, che io ho di fare, il bene per salvarmi, o non farlo e fare il male èer dannarmi.

Benissimo; tu hai inteso egregiamente.

.— Resta però sempre verissimo che io infallibilmente mi salverò o mi dannerò, come Iddio ha previsto e come Egli ha predestinato.

Sì, senza dubbio, ma resta pure sempre verissimo che tu ti salverai o ti dannnerai liberamente. E questa verità, cioè l’infallibile prescienza divina e la conseguente predestinazione degli uomini ad essere salvi o dannati non contraddicono affatto a quest’altro della libertà dell’operazione umana. Ciascuna di queste verità è certa, e se torna alquanti difficile a combinarle insieme, ciò è in causa della nostra ignoranza, ma non già della impossibilità di farlo. Tutto sta che noi riflettiamo bene che Iddio non determina egli con la sua prescienza le nostre azioni buone o cattive e la nostra conseguente salvezza o dannazione, ma che invece Iddio infinitamente sapiente, vede da tutta l’eternità quelli che faranno bene e quelli che faranno male. E siccome da tutta l’eternità, in conformità alla sua giustizia, Egli ha decretato di premiare eternamente i buoni e castigare eternamente i cattivi, perciò da tutta l’eternità Egli vede altresì a chi darà il premio e a chi il castigo eterno, destinando in tal guisa gli uni a salvarsi, gli altri a dannarsi.  – Ma in tal guisa la predestinazione dell’uomo, sia alla gloria del cielo, sia alla dannazione dell’inferno, dipende interamente dalla libera volontà dell’uomo stesso, dal fare egli cioè liberamente il bene o il male. Così che siamo noi, che da noi stessi ci predestiniamo, essendo ché siamo noi, che ci vagliamo della nostra libertà o a meritare il premio dei buoni o il castigo dei cattivi.

— Ma stando così le cose, che non ostante la prescienza e la predestinazione divina noi restiamo interamente liberi nel fare il bene e salvarci o nel fare il male e dannarci, non sarebbe stato meglio che Iddio non ci avesse data la libertà?

No, caro mio. Se Iddio non avesse dato all’uomo la libertà, non ne avrebbe fatto, come volle, il capolavoro delle sue mani. La libertà è la dote, che ci pone a capo del mondo, è il perno della nostra grandezza e della nostra nobiltà, è il colmo delle nostre rassomiglianze con Dio. Tu sai quello che in proposito dice Dante:

Lo maggior don che Dio per sua larghezza

Fesse creando ed alla sua bontate

Più conformato, e quel ch’ei più apprezza,

Fu della volontà la libertate,

Di che le creature intelligenti,

E tutte e sole, furo e son dotate.

La libertà adunque è cosa per sé eccellente, così alta, così divina, di tale gloria a Dio e a noi, che Egli nella sua infinita sapienza e bontà ha preferito che vi fossero di quelli che ne abusassero, facendo il male e conseguentemente dannandosi, anziché non donarcela. Del resto per la stessa ragione che tu dici il Signore non avrebbe neppure dovuto darci gli occhi, le mani, la lingua, eccetera, perché non possiamo noi servirci, e non vi hanno molti purtroppo, che si servono anche di tali sensi per fare il male e dannarsi? In conclusione: o togliere la libertà all’uomo, o ammettere il male morale e la conseguente dannazione di taluni.

— Qualche cosa ho inteso. Iddio però, se lo volesse, potrebbe impedire in noi l’abuso della libertà, e trascinarci per forza sulla via del bene.

Sì, lo potrebbe benissimo. Ma sarebbe un far violenza alla nostra libertà. Dio vuol trattarci bene e non venir meno alla natura che ci ha dato, né fare con noi come si farebbe con un automa. Questo inoltre sarebbe un diminuire la nostra felicità futura. Quanto ci sarà più dolce il paradiso, pensando che abbiamo dovuto sostener delle lotte contro del male affine di conseguirlo!

— Ciò è verissimo. Ma intanto come conciliare tutto ciò con la bontà divina? Se Iddio è infinitamente buono, perché, sapendo che taluni andranno dannati, nulladimeno li crea?

Questa, amico mio, si può veramente riguardare come la più grave e più spaventosa difficoltà della dottrina cattolica. Cercherò di districarla alquanto ma brevemente, perché nello scandagliare questo mistero, si corre troppo rischio di sbagliare. – Vedi: Iddio è libero di fare quel che vuole e la libertà di Dio è sì gran bene, che non può venire al confronto con nessun bene o nessun male delle creature. Perciò sebbene Iddio preveda che taluno sarà malvagio, non perciò Egli deve rinunziare alla libertà di crearlo. Ma creandolo, lo fa Egli forse a questo fine che sia malvagio? Mai no: Egli lo crea, ancorché preveda che sarà malvagio, ma lo crea col fine che sia buono e si salvi, perciocché è certissimo che Dio vuole di volontà sincerissima che tutti gli uomini, che vengono al mondo, si salvino, e senza eccezione di sorta, perché da tutti senza eccezione vuole praticato il bene ed evitato il male e la conseguente salute eterna di tutti. Inoltre a tutti gli uomini, anche a quelli che andranno dannati, Iddio dà gli aiuti necessari per salvarsi. Dunque se taluni, ricevendo da Dio il benefizio dell’esistenza e gli aiuti necessari a conseguire il loro fine, nulla di meno si dannano, perché abusano di tale benefizio e di tali aiuti, si dovrà dire che Iddio non sia buono, non sia benefico?

— No, certamente.

Aggiungi poi, che dal male morale, che Iddio permette in taluni, male per cui costoro si dannano, Egli sa cavare facilmente sì gran bene, da far risplendere anche in ciò di vivissima luce la sua bontà.

— E come mai?

Ci sono ad esempio degli uomini che fanno molto male e determinano così la loro dannazione? E Iddio di fronte a questi malvagi fa vedere la sua bontà a stimolarli in mille maniere alla penitenza, ad attendere pazientemente che si convertano, a dar loro spazio di tempo perché lo facciano. Vi sono dei malvagi, che non contenti di fare essi il male e andare essi incontro alla dannazione, vorrebbero ancora indurre altri a fare lo stesso, e si valgono a tal fine della loro prepotenza per tentarli o perseguitarli, se non si arrendono alle loro inique voglie? E Iddio manifesta la sua bontà nel sostenere i buoni, nell’aiutarli ad essere vincitori in tale lotta, nel fare sì che in tal guisa si presenti al mondo lo spettacolo delle virtù eroiche praticate dalle sante vergini, dai santi martiri, dai santi d’ogni maniera, che a costo di qualsiasi sacrificio restano fedeli alla sua tede ed alla sua legge. Insomma in un modo o in un altro Iddio cava sempre del bene dal male, e così fa sempre palese, nello stesso male che permette, la sua bontà. – Ma a questo riguardo se trovi ancora delle oscurità, ripensa all’osservazione che già ti feci, che il mistero è sempre mistero, e che se possiamo vederlo chiaro da qualche lato, vederlo chiaro del tutto ci è assolutamente impossibile.