DOMENICA VI dopo PENTECOSTE (2018)

DOMENICA VI DOPO PENTECOSTE (2018)

Incipit
In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXVII:8-9 Dóminus fortitudo plebis suæ, et protéctor salutárium Christi sui est: salvum fac pópulum tuum, Dómine, et benedic hereditáti tuæ, et rege eos usque in sæculum. [Il Signore è la forza del suo popolo, e presidio salutare per il suo Unto: salva, o Signore, il tuo popolo, e benedici i tuoi figli, e govérnali fino alla fine dei secoli.]

Ps XXVII: 1 Ad te, Dómine, clamábo, Deus meus, ne síleas a me: ne quando táceas a me, et assimilábor descendéntibus in lacum. [O Signore, Te invoco, o mio Dio: non startene muto con me, perché col tuo silenzio io non assomigli a coloro che discendono nella tomba.]

Dóminus fortitudo plebis suæ, et protéctor salutárium Christi sui est: salvum fac pópulum tuum, Dómine, et benedic hereditáti tuæ, et rege eos usque in sæculum. [Il Signore è la forza del suo popolo, e presidio salutare per il suo Unto: salva, o Signore, il tuo popolo, e benedici i tuoi figli, e govérnali fino alla fine dei secoli.]

Oratio

Orémus.

Deus virtútum, cujus est totum quod est óptimum: ínsere pectóribus nostris amórem tui nóminis, et præsta in nobis religiónis augméntum; ut, quæ sunt bona, nútrias, ac pietátis stúdio, quæ sunt nutríta, custódias. [O Dio onnipotente, cui appartiene tutto quanto è ottimo: infondi nei nostri cuori l’amore del tuo nome, e accresci in noi la virtú della religione; affinché quanto di buono è in noi Tu lo nutra e, con la pratica della pietà, conservi quanto hai nutrito.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános. Rom. VI: 3-11

“Fratres: Quicúmque baptizáti sumus in Christo Jesu, in morte ipsíus baptizáti sumus. Consepúlti enim sumus cum illo per baptísmum in mortem: ut, quómodo Christus surréxit a mórtuis per glóriam Patris, ita et nos in novitáte vitæ ambulémus. Si enim complantáti facti sumus similitúdini mortis ejus: simul et resurrectiónis érimus. Hoc sciéntes, quia vetus homo noster simul crucifíxus est: ut destruátur corpus peccáti, et ultra non serviámus peccáto. Qui enim mórtuus est, justificátus est a peccáto. Si autem mórtui sumus cum Christo: crédimus, quia simul étiam vivémus cum Christo: sciéntes, quod Christus resurgens ex mórtuis, jam non móritur, mors illi ultra non dominábitur. Quod enim mórtuus est peccáto, mórtuus est semel: quod autem vivit, vivit Deo. Ita et vos existimáte, vos mórtuos quidem esse peccáto, vivéntes autem Deo, in Christo Jesu, Dómino nostro”.

Omelia I

[Mons. Bonomelli: Omelie, vol. III, Torino 1899, impr. – Omelia XIII]

“Tutti quanti siamo stati battezzati in Gesù Cristo, siamo stati battezzati nella morte. Noi dunque siamo stati con Lui seppelliti per il battesimo, a morte; affinché, come Cristo è risuscitato dai morti per la gloria del Padre, similmente noi pure camminiamo nella vita nuova: perché se siamo stati innestati con Cristo alla conformità della sua morte, certo lo saremo ancora a quella della sua risurrezione. Sapendo questo, che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con Lui, affinché il corpo del peccato sia annullato, sicché noi non serviamo più al peccato, perché chi è morto è sciolto dal peccato. Ora se noi siamo morti con Cristo, crediamo che vivremo altresì con Lui. Sapendo che Cristo, risuscitato dai morti, non muore più; la morte non ha più signoria sopra di Lui. Perché quanto all’essere morto per il peccato, Egli morì una volta: quanto al vivere, Egli vive a Dio. Così anche voi fate conto di essere bensì morti al peccato, ma di vivere a Dio in Gesù Cristo Signor nostro „ (Ai Rom. VI, 3-11).

– Delle quattordici lettere di S. Paolo, per sentenza unanime degli interpreti, la più importante e più difficile ad intendersi è quella indirizzata ai Romani, perché in essa il grande Apostolo tratta diffusamente della vocazione alla fede, della grazia divina e della sua gratuità, della rinnovazione che si opera per il santo Battesimo, del peccato originale e d’altri punti capitalissimi di dottrina cristiana. Il brano, che vi ho recitato, si legge nel capo sesto di questa epistola ai Romani. Esso riguarda ai doveri, che hanno i battezzati di morire al peccato e di vivere a Cristo, nel che si compendia tutta la sapienza pratica del Vangelo. È un argomento della più alta importanza, ma non facile a spiegarsi, attesa la forma concisa e serrata propria dell’Apostolo. La vostra attenzione renda a me più agevole la chiusa delle sentenze riportate ed a voi più fruttuoso l’apprenderne il senso. “Tutti quanti siamo stati battezzati in Cristo, fummo battezzati nella morte di Lui. „ Punto principalissimo della dottrina di Cristo, svolto in tutte le forme da san Paolo, è questo: noi siamo riconciliati a Dio per la fede in Gesù Cristo, e questo è dono totalmente gratuito, al quale, per nessun titolo avevamo diritto; e la larghezza di questo dono apparisce mirabilmente più grande se consideriamo lo stato di colpa universale, in cui tutti, senza eccezione, Giudei e Gentili ci trovavamo. Ora noi siamo battezzati, che è quanto dire siamo passati dallo stato di morte allo stato di vita, e tutto ciò per Gesù Cristo. Ma che vuol dire questa frase di san Paolo, ” fummo battezzati nella morte di Cristo? „ Noi sappiamo che al tempo degli Apostoli e dopo essi per molti secoli, cioè fino al tempo di S. Tommaso, il Battesimo solevasi amministrare quasi sempre per immersione: la persona tutta era immersa nell’acqua, anche il capo: in quest’atto o rito il battezzato rappresentava la morte e la sepoltura di Cristo, come nell’atto e nel rito di uscire dall’acqua rappresentava la sua risurrezione. Cristo, morendo sulla croce, cessò di vivere alla vita di prima, cioè al peccato del quale era schiavo; Cristo, uscendo dal sepolcro, rivive, ma di una vita nuova, immortale; così il battezzato uscendo dall’acqua deve ricominciare una vita nuova, spirituale, santa. Come Cristo lasciò nel sepolcro, a così dire, la vita sua passibile e mortale, così il battezzato lascia nell’acqua del Battesimo il peccato e tutte le opere del peccato. – È ciò che S. Paolo più chiaramente sviluppa nel versetto seguente: “Fummo sepolti con Cristo nel Battesimo, affinché come Cristo risuscitò dai morti, a gloria del Padre, così noi pure camminassimo in una vita nuova. „ Chi è desso il ristiano? domandava a se stesso Tertulliano, e rispondeva con frase ardita sì, ma vera ed incisiva: Alter Christus. Egli è un altro Cristo, una copia fedele di Cristo in ogni cosa. Tutto ciò che avvenne in Cristo, dice S. Agostino, ragguagliata ogni cosa, deve ripetersi nel suo vero discepolo: Cristo morì in croce alla vita naturale del corpo, e tu devi morire nel Battesimo al peccato, alle passioni, ai piaceri illeciti della carne, cioè devi essere a tutte queste cose quello che è un morto, che non se ne cura, non le vede, non le ama. Cristo risuscitò, rifiorente d’una immortale giovinezza: e tu devi uscire dalle acque del Battesimo rifatto, nei pensieri, nelle parole, nelle opere uomo nuovo, nuova creatura; e camminare per la via nuova della virtù e della santità. Cristo risuscitò e con la sua risurrezione ci provò la santità della sua dottrina e manifestò la gloria sua e la gloria del Padre, che l’aveva mandato: così tu, rinnovato nel Battesimo, con la tua vita, modellata su quella di Cristo, farai in te stesso testimonianza alla santità della Dottrina che professi, e renderai gloria a Dio, giacché gli uomini, come dice altrove Gesù Cristo stesso, vedendo le opere tue buone ed affatto nuove, frutto della tua fede, riconosceranno la grandezza e santità di Colui del quale sei discepolo, e glorificheranno Dio. In altre parole più brevi e forse più chiare, per il Battesimo (l’Apostolo parlava ad adulti) deve cessare in noi il peccato e la vita antica, vita schiava delle passioni, e deve cominciare la grazia e la vita nuova, la vita di Cristo. – Oh piacesse a Dio, che queste maschie verità penetrassero negli animi nostri e informassero la nostra condotta! Persuadiamocene bene, o dilettissimi, che il bisogno è grande in ogni classe di persone: la vera vita cristiana non sta in parole, in proteste, in pratiche esterne, in novene, in tridui, in processioni, in luminarie, in feste, in pellegrinaggi clamorosi, ma nelle opere della vita cristiana, nell’imitazione di Gesù Cristo, l’eterno modello di ogni perfezione. Tutte quelle pratiche esterne sono buone, commendevoli senza dubbio, ma sono mezzi e non fine, e intanto si hanno da fare in quanto ci conducono al fine, cioè alla pratica delle virtù cristiane. Se in noi non appare la vita di Gesù Cristo, cioè se in noi non risplendono le virtù di Gesù Cristo, tutte quelle pratiche religiose non giovano a nulla, sono una contraddizione manifesta e in qualche modo sono la nostra condanna. Ribadisco questa grande verità perché mi sembra che grande ne sia il bisogno. – S. Paolo ribadisce questa verità nel versetto che segue, scrivendo: “Se siamo stati innestati alla conformità della morte di Cristo, lo saremo eziandio a quella della risurrezione. „ Scopo dell’Apostolo è sempre quello di stabilire la unione intima di Cristo e dell’anima per Lui rigenerata e quella identità di vita, che forma la vera nostra grandezza, e che il divino Maestro espresse stupendamente allorché nel discorso dell’ultima Cena disse: Io sono la vite e voi siete i tralci: come il tralcio non può dare frutto alcuno, se non rimane unito alla vite, così voi pure se non rimarrete uniti a me. Osservate, dice S. Paolo, ciò che avviene nell’albero: se sopra quest’albero si inseriscono rami d’altri alberi, questi rami succhiano l’umore dell’albero, su cui sono innestati, di esso vivono e vigoreggiano e formano con l’albero stesso una sola cosa: così deve avvenire anche di noi, rami inseriti nell’albero della Vite divina, che è Gesù Cristo. Inseriti in Lui per il santo battesimo, siamo simili in ogni cosa a Lui, viviamo a Lui e con Lui, e produciamo i suoi frutti stessi. Che avverrà? Morti all’albero antico, da cui siamo tagliati, cioè all’uomo vecchio, ad Adamo peccatore per il battesimo e inseriti nell’albero della vita divina che è Cristo, con Cristo vivremo e risorgeremo: Si enim complantati facti sumus similitudini mortis ejus, sìmul et resurrectionìs erimus. Vedi: d’inverno l’albero si spoglia dell’ammanto delle sue frondi, e con ‘albero i rami, che sembrano morti: ritorna la bella stagione: l’aria si intiepidisce, il sole vibra più ardenti i suoi raggi, l’albero si desta dalla sua morte apparente, rifonde la vita nei rami, che tosto si ricoprono di foglie e di fiori e albero e rami insieme rivivono: così avverrà a noi, o cari, se saremo inseriti nell’albero della vite vera, che è Gesù Cristo; come Egli già risuscitò, noi pure risusciteremo e con Lui vivremo eternamente. Oh la bella e consolante dottrina dell’Apostolo! Inseriti in Cristo, risuscitiamo prima alla vita della grazia e per la grazia abbiamo in noi il germe felice della finale risurrezione anche del corpo: Sìmul et resurrectionis erimus. – Troppo preme all’Apostolo far comprendere ai fedeli di Roma il mistero della morte nostra per il Battesimo, e quindi della conseguente nostra risurrezione in Cristo, e perciò vi torna sopra nei versetti seguenti: “Questi ben sapendo, che il nostro vecchio uomo è stato con Lui (Cristo) crocifisso, affinché il corpo del peccato sia annientato. „ Voi, o fedeli, sapendo queste cose, cioè che noi siamo per il Battesimo morti al peccato, inseriti Cristo e che dobbiamo vivere una vita nuova, la vita stessa di Cristo, dovete anche sapere che il nostro uomo vecchio è crocifisso con Cristo. E che è questo uomo vecchio, del quale qui ed altrove si parla dall’Apostolo? Lo dissi altra volta, ma non sarà inutile ripeterlo qui. L’uomo vecchio, l’uomo fuor d’uso, l’uomo esterno, espressione che si trova nel solo S. Paolo, è detto per opposizione all’uomo nuovo, ossia rinnovato per Cristo. Il nuovo fu quello, che uscì pel primo dalle mani di Dio, come nuova dicesi quella casa, appena fabbricata dall’architetto: uomo vecchio è quello che vien dopo, che per ragione di tempo o per altre cause è guastato, come dicesi vecchia la casa, che ha bisogno d’essere ristorata. Adamo innocente era l’uomo nuovo: Adamo peccatore è l’uomo vecchio e uomo vecchio è ogni peccatore che viene da lui con il peccato d’origine e con gli altri peccati a quello aggiunti. Il vecchio uomo pertanto qui importa ogni uomo, guasto dal peccato originale, schiavo delle passioni e delle malvagie abitudini contratte. Or bene, dice san Paolo, sappiatelo bene: quest’uomo corrotto fu confitto alla croce con Cristo, cioè ucciso con Cristo nel Battesimo, e lo deve essere ogni giorno per la grazia di Cristo, in quanto ché ogni giorno noi dobbiamo combatterlo, crocifiggendo, e se fosse possibile, uccidendo tutte le sue perverse voglie. Che cosa deve fare ogni giorno il vero discepolo di Gesù Cristo? combattere e soggiogare le proprie passioni: ecco che cosa vuol dire crocifiggere con Cristo l’uomo vecchio; come Cristo confisse il suo corpo alla croce, così noi dobbiamo mettere in croce le nostre passioni : è tutta qui la sapienza di Cristo, l’insegnamento del Vangelo. E se ciò faremo, quale ne sarà la conseguenza? “Il corpo del peccato sarà annientato, „ Ut evacuetur corpus peccati. Questo corpo del peccato, di cui parla S. Paolo, può significare il cumulo dei peccati, onde ciascuno è aggravato, o meglio il corpo stesso in quanto che in esso si annida la concupiscenza, radice di tutti i peccati, e in questo senso è lo strumento ed anche l’incentivo dei peccati stessi. – Forse che s’intende che il corpo debba essere distrutto? No, per fermo, giacché l’Apostolo in altro luogo vuole che il corpo serva alla giustizia, a Dio, come prima ha servito all’iniquità: il corpo del peccato si dice dover essere annientato, cioè il corpo, ora strumento di peccato, deve essere sciolto da questo servaggio, diventando strumento della virtù: “Ut evacuetur corpus delinquentiæ per emendationem vitæ, non per interitum substantiæ”, disse sapientemente Tertulliano (De Besurr. Carnis, c. 47, apud A Lapide). Quando avremo crocifisso l’uomo vecchio, e annientato il corpo del peccato, che è la stessa cosa, allora noi non serviremo al peccato: “Et ultra non serviamus peccato”. Il nostro corpo, lo disse il maggiore dei filosofi pagani, è simile ad un destriero: questo ubbidisce a chi lo cavalca, e va dove esso vuole che vada. Se l’anima è rigenerata da Cristo, informata dalla sua grazia, il corpo ubbidisce ad essa e si presta alle opere di vita: se per contrario l’anima è in balia delle passioni e serva del peccato, il corpo fa opere di peccato. E qui l’Apostolo in una sentenza piena di energia compendia tutta la dottrina esposta in questi versetti, dicendo: “Chi è morto è sciolto dal peccato. „ Noi, nel Battesimo, dando il nostro nome a Cristo e venendo innestati in Lui, non abbiamo più nulla a fare col peccato: in faccia al peccato siamo come i morti rispetto alle cose che li circondano: per essi sono come se non fossero. E per tenerci all’altra immagine di S. Paolo, noi siamo rami tagliati da un albero per essere innestati nell’albero della vita, che è Gesù Cristo. Questi rami tagliati dall’albero sono morti totalmente all’albero stesso, né più possono produrre frutti innestati in un altro albero, possono vivere e fruttificare, ma vivono e fruttificano del nuovo albero. Similmente noi; dopo il Battesimo non dobbiamo più vivere di Adamo, cioè dell’uomo peccatore e far le opere sue, ma vivere di Cristo e fare le opere di Cristo. Questa sentenza sì profonda e sì forte dell’Apostolo ci stia fitta nell’animo. – Rigenerati in Cristo, viventi di Lui, non dobbiamo curarci del mondo, né dei suoi piaceri: tra noi e lui non ci debbono essere rapporti: egli è morto a noi e noi a lui. Il ramo che è innestato in un albero e vive di esso ed in esso, cerca egli forse di separarsi da questo per ritornare ancora all’albero antico, da cui fu reciso? Certamente no, e se lo facesse, per esso varrebbe quanto il disseccare ed il perire. Questa è la dottrina dell’Apostolo ed il succo del Vangelo: noi, che ora apparteniamo a Gesù Cristo per il Battesimo, dovremmo essere come morti all’amore sregolato del mondo e delle mondane cose: questo il nostro dovere. È così anche nel fatto? La nostra condotta è conforme alla nostra vocazione? Ohimè! quanto siamo lontani da questo sublime ideale del vero cristiano tratteggiato da S. Paolo. Col pensiero, con l’affetto sempre volti alle cose della terra, queste amiamo, queste cerchiamo, per queste viviamo, in queste collochiamo le nostre gioie, il nostro fine: a Gesù Cristo ed alle cose del cielo, noi, cristiani, raramente pensiamo, se pure qualche volta vi pensiamo. Quasi continuamente intesi ad accarezzare il corpo ed appagarne le voglie malnate, dimentichiamo il dovere che abbiamo di crocifiggerlo, di farlo morire al peccato! Eppure a questo si riduce tutta la vocazione e l’opera del Cristiano, e se non lo facciamo, non siamo Cristiani che di nome. – “Se dunque siamo morti con Cristo, crediamo, eziandio che vivremo insieme con Cristo. ,, È la conclusione naturale delle cose sopra accennate: se saremo imitatori di Cristo, nel far morire il nostro corpo ai piaceri terreni, avremo comune con Cristo la vita futura. Voi vedete che l’Apostolo con la somma cura con cui cerca porci sotto gli occhi i sacrifici che dobbiamo fare per la virtù, per l’imitazione di Cristo, ci ricorda anche il premio e la corona riserbata, e come tutto Egli consideri sempre in rapporto a Cristo. – “Sapendo che Cristo, risuscitato dai morti, non muore più; la morte non ha più signoria sopra di Lui .. Quest’altro versetto si lega col primo e vuol dire che vivremo con Cristo. Quanto? Per sempre, perché Cristo è risorto per non ricadere più mai in potere della morte, che ha vinto. E prosegue, svolgendo meglio questo pensiero: Perché quanto all’essere morto per il peccato, Cristo morì una sola volta al peccato, una sola volta per sempre: così noi, morti una volta al peccato; fatta una volta la rinuncia al mondo e alle opere sue, dovremmo essere morti per sempre, e la rinuncia fatta una volta al mondo, non dovrebbe più aver bisogno d’essere rinnovata; e come Cristo, risorto una volta, è risorto per sempre e sempre vivrà nella gloria, così noi pure, resuscitati a Dio con la grazia, viventi in Cristo, dovremmo vivere in Lui per sempre e non ricadere più mai in balia della morte, ritornando al peccato. Eccoci all’ultimo versetto della nostra epistola: “Così ancor voi fate conto d’essere morti al peccato, ma di vivere a Dio in Gesù Cristo Signor nostro. „ Dopo avere esposta la dottrina evangelica, sì teorica come pratica in genere, l’Apostolo si rivolge direttamente e particolarmente ai fedeli, ai quali scrive e dice: “Ora a voi, o carissimi, applicare l’insegnamento che vi ho dato. Secondo le vostre forze studiatevi d’essere sempre morti al peccato e sempre vivi soltanto a Dio, ad imitazione di Gesù Cristo, o forse meglio, mercé l’aiuto di Gesù Cristo Signore nostro. „ – S. Paolo in tutti questi versetti, che abbiamo commentati, con linguaggio poetico ci rappresenta la virtù e il vizio, come due esseri viventi, che combattono tra loro, e si contendono tra loro la signoria del cuore dell’uomo. Questo sta in mezzo ai due contendenti, libero di darsi all’uno od all’altro; se si getta dal lato del vizio, diventa schiavo delle passioni, che militano nel corpo, vive della vita del corpo e muore per sempre a Dio; se per contrario si mette dalla parte della virtù, della santità, di Cristo, diventa figlio di Dio, muore al mondo e vive per sempre a Cristo. La scelta è inevitabile, e così l’uomo è l’artefice della propria sorte, o eternamente infelice col peccato, o eternamente beata con la virtù in Cristo. O morire a Dio per vivere col peccato; o morire al mondo per vivere con la grazia: non c’è via di mezzo, e tra i due è forza scegliere. A quale dei due, che domandano l’ingresso del nostro cuore, porgeremo noi le chiavi? Al peccato od alla virtù? Al mondo o a Cristo? A chi col piacere presente ci porta la morte eterna, o a chi col dolore passeggero ci offre la vita eterna? Voi non potete stare in forse un solo istante; la vostra scelta è fatta: voi vi schierate sotto la bandiera della virtù, che è la bandiera di Gesù Cristo, perché con Lui solo vi è la vita!

Graduale

Ps LXXXIX:13; LXXXIX:1 Convértere, Dómine, aliquántulum, et deprecáre super servos tuos. V. Dómine, refúgium factus es nobis, a generatióne et progénie. Allelúja, allelúja. [Vòlgiti un po’ a noi, o Signore, e plàcati con i tuoi servi. V. Signore, Tu sei il nostro rifugio, di generazione in generazione. Allelúia, allelúia]

Alleluja

Ps XXX: 2-3 In te, Dómine, sperávi, non confúndar in ætérnum: in justítia tua líbera me et éripe me: inclína ad me aurem tuam, accélera, ut erípias me. Allelúja. [Te, o Signore, ho sperato, ch’io non sia confuso in eterno: nella tua giustizia líberami e allontanami dal male: porgi a me il tuo orecchio, affrettati a liberarmi Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Marcum.

Marc. VIII:1-9 In illo témpore: Cum turba multa esset cum Jesu, nec haberent, quod manducárent, convocatis discípulis, ait illis: Miséreor super turbam: quia ecce jam tríduo sústinent me, nec habent quod mandúcent: et si dimísero eos jejúnos in domum suam, defícient in via: quidam enim ex eis de longe venérunt. Et respondérunt ei discípuli sui: Unde illos quis póterit hic saturáre pánibus in solitúdine? Et interrogávit eos: Quot panes habétis? Qui dixérunt: Septem. Et præcépit turbæ discúmbere super terram. Et accípiens septem panes, grátias agens fregit, et dabat discípulis suis, ut appónerent, et apposuérunt turbæ. Et habébant piscículos paucos: et ipsos benedíxit, et jussit appóni. Et manducavérunt, et saturáti sunt, et sustulérunt quod superáverat de fragméntis, septem sportas. Erant autem qui manducáverant, quasi quatuor mília: et dimísit eos.

Omelia II

[G. Bonomelli, ut supra, om. XIV]

“Essendosi radunata grande moltitudini, né avendo che mangiare, Gesù, chiamati a sè i discepoli, disse loro: Questa gente mi fa pietà, perché da tre giorni rimane presso di me e non hanno che mangiare. E se li rimando digiuni a casa loro, verranno meno per via, giacché alcuni di loro sono venuti da lontano. Ma i suoi discepoli gli risposero: Donde potrebbe alcuno, qui nel deserto, satollare costoro di pane? Ed Egli domandò loro: Quanti pani avete? Essi dissero: Sette. Allora Egli comandò alla moltitudine di sedersi in terra, e, presi i sette pani, rese grazie, li spezzò e li diede ai suoi discepoli, affinché li ponessero innanzi a quella, e così fecero. Avevano anche alcuni pochi pesciolini, e benedettili, comandò di porli loro innanzi. E mangiarono e furono sazi, e levarono degli avanzi di frusti sette sporte. Ora quelli che avevano mangiato erano circa quattromila: quindi li accommiatò „ (S. Marco, VIII, 1-9).

Due volte Gesù Cristo operò la moltiplicazione del pane, e ambedue le volte in Galilea, sulle rive del lago di Genesaret, e quasi nello stesso luogo. La prima volta Egli moltiplicò cinque pani d’orzo e due pesci, satollando circa cinque mila persone, senza tener conto delle donne e dei fanciulli, e questo fatto è narrato da S. Matteo, nel capo XIV, da San Marco, nel capo IV, da S. Luca, nel capo IX, e finalmente anche da S. Giovanni, nel capo VI. Quest’ultimo, che a studio omette quasi sempre ciò che è narrato dagli altri Evangelisti, riferì questo miracolo all’intento di riportare la promessa della Eucaristia, che fa seguito, omessa da quelli. Il secondo miracolo fu fatto da Gesù Cristo non molto dopo, ed è riferito solamente da S. Matteo, al capo XV, e nell’VIII da S. Marco, che ho riportato.Alcuni furono d’avviso che le due moltiplicazioni del pane fossero una sola, ma ciò è manifestamente falso, perché S, Matteo e san Marco avrebbero narrato due volte lo stesso fatto e con circostanze differenti, cosa affatto impossibile. Oltreché i particolari della seconda moltiplicazione presso S. Matteo e S. Marco non si possono comporre con la prima descritta da S. Luca e S. Giovanni; in questa si parla di cinque pani e due pesci moltiplicati, e di dodici canestri di avanzi raccolti, in quella di sette pani e pochi pesciolini, e di sette sporte di avanzi. Nessun dubbio pertanto che questo miracolo è distinto dall’altro e avvenuto qualche mese appresso, come non sarebbe difficile mostrare, raffrontando tra loro gli Evangelisti. Mandata innanzi questa breve avvertenza, vi piaccia seguirmi, non nella interpretazione del testo, che è chiarissimo, ma nelle applicazioni morali, che verranno a proposito. Gesù, accompagnato sempre dai suoi Apostoli, era stato sui confini della Fenicia, presso Tiro e Sidone, dove aveva risanata la figlia d’una donna cananea: di là, attraversata la Galilea, era ritornato sulle rive del suo lago prediletto di Tiberiade o Genesaret. Colà una gran moltitudine lo seguiva da tre giorni, attratta dai miracoli che operava, e rapita dalla sua parola. Gesù, vedendo quella folla, che lo seguiva con tanto amore e che non aveva che mangiare, chiamati a sé gli Apostoli, disse loro: Questa gente mi fa pietà, perché da tre giorni rimane presso di me e non hanno che mangiare. „ Noi, popoli occidentali, difficilmente possiamo formarci un’idea dei costumi orientali: per noi queste moltitudini di uomini, di donne e di fanciulli, che per tre giorni seguono il divino Maestro in luoghi lontani dall’abitato, presentano un fatto strano e quasi impossibile; ma se teniamo conto di quel clima, che nella maggior parte dell’anno permette di passare anche la notte in aperta campagna. Se poniamo mente a ciò che in quei paesi avviene anche al giorno d’oggi, non troveremo difficile ad intendersi ciò che si narra delle turbe che seguivano Cristo. Popoli, nei quali il sentimento religioso era profondo e potentissimo e fermentava l’idea del Messia aspettato, e nei quali le abitudini quasi nomadi non erano affatto dimenticate; popoli, che si erano sì fortemente scossi alla parola di Giovanni, e che ora udivano quella ammaliante di Cristo e vedevano i suoi miracoli, non potevano non levarsi in massa e seguitarlo dovunque con sacro entusiasmo. Nei nostri grandi pellegrinaggi possiamo avere una pallida immagine di ciò che avveniva a quei giorni intorno a Cristo. Quella moltitudine portava seco qualche provvisione di viveri, ma questa doveva essere interamente consumata, allorché Gesù, chiamati a sé gli Apostoli, esce in quelle parole piene d’ineffabile tenerezza: “Questa gente mi fa pietà, „ Misereor super turbam. E perché Gesù sente sì vivamente pietà di questa turba, che lo segue? Rende quattro ragioni semplicissime: “Perché da tre giorni questa gente rimane presso di me: perché non hanno da mangiare: perché se dovessero ritornare a casa così digiuni, verrebbero meno per via, e perché molti di loro sono venuti da lontani paesi. „

Quanta semplicità! quanta naturalezza di linguaggio! quanta bontà e soavità di affetto, quando si pensa, che Colui che parla in questo modo agli Apostoli e parla del popolo sofferente, è il Figlio di Dio, il Creatore dell’universo, il Salvatore del mondo, noi ci sentianio sopraffatti dalla meraviglia, la mente si smarrisce, vien meno la parola e sentiamo il bisogno di raccomandarci alla fede. Che cosa dobbiamo apprendere da Gesù? Che cosa ci insegna questo popolo, che per udire il divino Maestro, non bada a disagio di cammino e dimentica persino il bisogno naturale del cibo? Da Gesù, noi che teniamo una autorità qualunque, dobbiamo imparare la dolcezza, l’affabilità, la benignità, lo spirito di compatimento e di indulgenza verso quelli, che ci sono soggetti, quelli che soffrono, verso tutti i deboli ed i poveri. Sulla terra non c’è spettacolo più bello e più commovente quanto quello d’una autorità, che si china verso i sofferenti ed i piccoli, li ama, li soccorre e tratta con essi come se fossero eguali. Questa autorità non si abbassa, ma si innalza, non perde del suo decoro, ma lo accresce, più che farsi temere e rispettare si fa amare. Gesù ne è il modello più perfetto! Vedetelo in mezzo a quei poveri e rozzi pescatori, che erano i suoi Apostoli! Discorre con loro: li interroga, quasi li consulta ed apre con essi il suo cuore come un padre con i figli, che gli fanno corona; esprime i sensi del suo cuore, tocco di compassione alla vista di quella folla che soffre la fame, che ha fatto lungo viaggio: Misereor super turbarti. “Questa povera gente mi fa pietà! „ In queste parole sì semplici e sì care noi sentiamo, a così dire, oscillare il cuore di Gesù! Imitiamolo. Il popolo, che con tanta costanza e tanto suo disagio segue Gesù Cristo, ci insegna molte cose. Primieramente ci insegna, che in generale non sono i ricchi, i dotti, i grandi quelli che seguono Gesù Cristo; in mezzo a quella folla pare che non ve ne fossero; essi amano i comodi, gli agi, sdegnano di farsi discepoli: l’orgoglio li gonfia e non lascia loro vedere la verità, che entra soltanto nelle anime semplici ed umili; ciò che avveniva intorno a Cristo si ripete anche in oggi nella sua Chiesa. In secondo luogo quel popolo, che seguitava Gesù Cristo sulle rive del lago e fino nel deserto, soffrendo la fame per udire la sua parola, ci insegna come noi pure dobbiamo essere solleciti in accorrere al tempio per udire la stessa parola annunziata dai suoi ministri. Qual confronto tra noi e quel buon popolo! Esso per udire il divino Maestro doveva lasciare le sue case, i suoi campi, viaggiare lungamente, sfidare le intemperie della stagione, passare la notte senza un tetto amico, che l’accogliesse: noi l’abbiamo a pochi passi delle nostre case, a tutto nostro agio possiamo udirlo, eppure tante volte per ogni lieve motivo e spesso senza motivo trascuriamo di udirlo, di visitarlo nelle sue chiese! Quale vergogna e quale condanna per noi! – Quel popolo finalmente ci insegna, che chi segue Gesù Cristo riceve la mercede: esso non solo udì dalla sua bocca le verità celesti, che nutrono l’anima, ma fu fatto degno di vedere uno strepitoso miracolo e di ricevere un pane, che nutrisse anche i corpi. Giacché l’amabile Gesù, scrive S. Girolamo, dopo di avere risanato molti infermi, che gli erano stati presentati, ed ammaestrata quella moltitudine, volle miracolosamente sfamarla: Vult pascere quos curaverat et, ablatis debìlitatibus, jam sanis offerre cibos (in hunc locum, apud A Lapide). Gesù aveva detto agli Apostoli, che gli stavano intorno, che quella gente gli faceva pietà: che non gli reggeva il cuore rimandarli a casa così digiuni. Era un dir loro, che sentiva il bisogno di provvedere alle loro necessità in uno di quei modi, che alla sua onnipotenza non mancavano. Qualche tempo prima, in quei luoghi stessi aveva moltiplicato i cinque pani e i due pesci, e gli Apostoli non potevano aver dimenticato quel miracolo, che aveva ricolme le turbe di meraviglia per guisa, che volevano a forza dichiararlo loro re. Parea dunque, che, udite quelle parole, gli Apostoli dovessero rispondere prontamente a Gesù: “Maestro, tutto tu puoi: altra volta tu saziasti miracolosamente una grande moltitudine, noi lo ricordiamo e ne fummo testimoni. Ebbene: che ti costa rinnovare quel miracolo? Non altro che il volerlo. Tu senti pietà di questa gente che ha fame: seconda il tuo cuore, e rimandala nutrita, te ne preghiamo. „ Eppure nessuno di quegli Apostoli volse a Gesù una preghiera a favore di quella turba affamata: essi si limitarono a dare questa risposta al Maestro: “Donde potrebbe alcuno, qui nel deserto, saziare costoro di pane? „ Essi dichiaravano semplicemente, essere impossibile avere tanto pane in quel luogo deserto da nutrire tanta moltitudine, ed era questa dichiarazione che Gesù voleva dalla loro bocca, affinché riconoscessero essi medesimi il miracolo ch’era per operare. Perciò, rivolto verso di loro, disse: “Quanti pani avete? Essi risposero: Sette. „ Sembra che questi sette pani li portassero seco gli Apostoli, qual provvigione ai più urgenti bisogni, giacché la domanda è fatta a loro in guisa da farci comprendere, che questi pani erano loro proprietà: “Quanti pani . avete? „ – Leggendo queste cose nel Vangelo, la nostra mente, quasi senza accorgercene, corre a confronti, che possono essere istruttivi. Gli Apostoli formavano una famiglia abbastanza numerosa, della quale Gesù Cristo era naturalmente il capo. Essa non possedeva perfettamente nulla, e il suo capo divino altamente protestava di non avere un palmo di terra il che fosse suo e sul quale potesse adagiare la testa. Ridottosi in quel deserto con i suoi cari, trova che tutte le provvigioni per sé e per essi si riducono a sette pani! Possiamo immaginare strettezze e povertà di queste maggiori? Carissimi! quando le angustie della povertà vi assediano e vi premono, al termine d’una lunga giornata di lavoro ritornate alle vostre case, e trovate il vostro desco poveramente imbandito, non vi lagnate della vostra sorte, non fate offesa alla Provvidenza, non levate la voce contro il mondo, contro i ricchi, che nuotano nell’abbondanza, no, mai; pensate a Gesù, che nel deserto al chiudersi d’un giorno di grandi fatiche, non aveva un tetto ospitale, che lo accogliesse, non un giaciglio, su cui riposare, e solo sette pani da dividere con i suoi cari Apostoli. Ah! il contadino e l’operaio, che conservano la fede, che pensano alla vita sì travagliosa e sì povera di Gesù, nel suo esempio attingeranno sempre un conforto, che tutti i discorsi e tutti i libri dei dotti non potranno mai dare. – A taluno di voi recherà meraviglia la domanda di Gesù agli Apostoli: “Quanti pani avete ? „ Ma Gesù non conosceva ogni cosa? Senza dubbio, tutto Egli conosceva. Perché dunque domanda agli Apostoli, come se avesse bisogno che gli facessero conoscere ciò che già conosceva perfettamente? Perché essendosi Egli fatto uomo, in ogni cosa dell’ordine naturale si conformava agli altri uomini: perché con quella domanda: “Quanti pani avete? „ obbligava gli Apostoli a riflettere alla tenue provvisione del pane, che tenevano e quindi a riconoscere la evidenza e la grandezza del miracolo, che avrebbe operato. – Avuta la risposta degli Apostoli, Gesù comandò alla moltitudine di sedersi in terra: Præcepit turbæ discumbere super terram. Penso che questo comando fosse fatto da Gesù alle turbe per mezzo degli Apostoli, come aveva già fatto nella prima moltiplicazione dei cinque pani e due pesci. Vuole che la moltitudine segga, affinché riposi, gravandogli di vederla stanca e ritta in piedi, ed affinché fosse più agevole agli Apostoli la distribuzione del pane, ch’era per moltiplicare. Voi vedete che Gesù Cristo non dimentica nulla e tutto dispone con una semplicità e delicatezza di padre amoroso. Come quella turba si fu seduta, Gesù, “presi i pani, rese le grazie, li spezzò e diede ai suoi discepoli, perché li mettessero innanzi a quella, ed essi li misero. „ Qui, o cari, parecchie cose sono da considerare: il pane si moltiplica, nelle mani di Cristo, e come ciò avvenisse, lo dissi in altra omelia ed è qui superfluo ripeterlo. Prima di moltiplicarlo, rese grazie a Dio e lo dovette benedire, come poi benedisse i pesci. Rese grazie a Dio e benedisse quei pani, cioè pregò, volendo mostrare che la moltiplicazione non era opera umana, ma divina e che a Dio se ne doveva rendere tutto l’onore. Il pane si moltiplica nelle mani di Cristo, sotto gli occhi degli Apostoli, delle turbe, in luogo aperto, alla piena luce del giorno e la moltiplicazione dovette durare finché ve ne fu bisogno e fu compiuta la distribuzione a quelle migliaia di persone. L’evidenza del miracolo non poteva essere più splendida e solenne. Gesù, che moltiplicava il pane nelle sue mani, poteva certamente far sì che questo dalle sue passasse nelle mani di chi lo mangiava senza bisogno di passare per quelle degli Apostoli. Ma così non volle fare: volle che il pane prodigiosamente moltiplicato passasse per le mani degli Apostoli e da queste in quelle delle turbe, e ciò, se non erro, per due ragioni. In primo luogo, perché gli Apostoli toccassero, direi quasi con mano, il miracolo e la loro fede ne ricevesse conforto validissimo. In secondo luogo Gesù Cristo volle farci comprendere che come il cibo del corpo moltiplicato con un prodigio sì grande giungeva a chi ne aveva bisogno solamente per mezzo degli Apostoli, così per lo stesso mezzo il cibo dell’anima, cioè la verità e la grazia, si sarebbe comunicato costantemente agli uomini. – E questa, o cari, una verità che non è mai abbastanza inculcata. Noi non abbiamo accesso a Dio che per mezzo di Gesù Cristo, Dio-Uomo, Mediator nostro supremo; e a Gesù Cristo non abbiamo accesso che per mezzo della sua Chiesa, cioè per mezzo del sacerdozio, per il quale solo Gesù Cristo continua la sua azione santificatrice ordinaria sulla terra. Dio solo, Gesù Cristo solo è l’autore e la fonte inesausta della verità e della grazia; ma questa grazia e questa verità Egli la comunica in modo ordinario e costantemente per opera del Sacerdote: per esso ammaestra, per esso battezza, per esso conferma, per esso consacra, per esso proscioglie da’ peccati, per esso in una parola sparge sulla terra la luce della verità e spande l’onda vivifica della grazia. Togliete il sacerdozio ed avete rotto il ponte, per cui la terra comunica col cielo e il cielo comunica con la terra: togliete il sacerdozio e voi avete spezzato quel filo, quel vincolo prodigioso, pel quale la corrente della vita divina si spande sulla umanità pellegrinante su questa valle d’esilio. Ecco perché Gesù Cristo diede il pane a’ suoi discepoli, affinché essi lo ponessero dinanzi alle turbe: Et dabat discipulis suis ut apponerent, et apposuerunt turbæ. Noi, o cari, ci studieremo di continuare l’ufficio degli Apostoli, di dispensare a voi tutti il pane celeste della verità e della grazia, ma ancor voi studiatevi di riceverlo dalle nostre mani. – L’Evangelista osserva che coi sette pani gli Apostoli avevano seco alcuni pochi pesciolini: et habebant pisciculos paucos, e questi pure Gesù Cristo moltiplicò con i pani e come i pani furono distribuiti alla moltitudine. Era questa la vivanda più comune della povera gente, in particolare di quella che abitava sulle rive di quel lago pescosissimo. Voi vedete, che Gesù per nutrire quella folla opera un miracolo, è vero, ma con quel miracolo appresta un alimento comune, quale era in uso presso quelle popolazioni, pane e pesce, non un alimento squisito, insegnandoci che dobbiamo appagarci del necessario secondo il nostro stato. “E mangiarono, continua S. Marco, e furono satolli, e levarono di avanzi sette sporte; „ e pare che gli avanzi fossero raccolti ancora per volere di Gesù Cristo, come aveva fatto nella prima moltiplicazione, sia per comprovare sempre più il miracolo, sia per mostrarci che dobbiamo aver cura che nulla perisca, perché quello che non è necessario a noi può essere utile ad altri. Erano sette pani, e dopo aver saziata sì grande moltitudine se ne raccolsero precisamente sette sporte, volendo Gesù Cristo che la misura degli avanzi rammentasse a tutti la quantità del pane moltiplicato. Il nostro Evangelista chiude la narrazione del miracolo col dirci a un di presso il numero dei satollati, scrivendo: ” Quelli poi che avevano mangiato erano circa quattromila; ,, S. Matteo poi, narrando lo stesso fatto, dice che erano quattromila senza contare le donne e i fanciulli (XV, 38), ond’è a credere, che tutti compresi potevano essere un diecimila; moltitudine enorme, che prova maggiormente la certezza del miracolo. Dopoché ebbe sfamata tutta quella gente, ricevendone senza dubbio in cambio benedizioni, applausi ed acclamazioni, che potete immaginare, l’accommiatò per bel modo: Et dimìsit eos, e si tolse di mezzo a loro sia per cessare quel trionfo, sia per raccogliersi, come soleva fare, nel silenzio e nella pace della preghiera.

Credo …

Offertorium

Orémus

Ps XVI:5; XVI:6-7 Pérfice gressus meos in sémitis tuis, ut non moveántur vestígia mea: inclína aurem tuam, et exáudi verba mea: mirífica misericórdias tuas, qui salvos facis sperántes in te, Dómine. [Rendi fermi i miei passi sui tuoi sentieri, affinché i miei piedi non vacillino: porgi l’orecchio ed esaudisci la mia preghiera: fa risplendere le tue misericordie, o Signore, Tu che salvi quelli che sperano in Te.]

Secreta

Propitiáre, Dómine, supplicatiónibus nostris, et has pópuli tui oblatiónes benígnus assúme: et, ut nullíus sit írritum votum, nullíus vácua postulátio, præsta; ut, quod fidéliter pétimus, efficáciter consequámur. [Propitiáre, Dómine, supplicatiónibus nostris, et has pópuli tui oblatiónes benígnus assúme: et, ut nullíus sit írritum votum, nullíus vácua postulátio, præsta; ut, quod fidéliter pétimus, efficáciter consequámur.]

Communio

Ps XXVI:6 Circuíbo et immolábo in tabernáculo ejus hóstiam jubilatiónis: cantábo et psalmum dicam Dómino. [Circonderò, e immolerò sul suo tabernacolo un sacrificio di giubilo: canterò e inneggerò al Signore.]

Postcommunio

Orémus. Repléti sumus, Dómine, munéribus tuis: tríbue, quæsumus; ut eórum et mundémur efféctu et muniámur auxílio. [Colmàti, o Signore, dei tuoi doni, concédici, Te ne preghiamo, che siamo mondati per opera loro e siamo difesi per il loro aiuto.]

 

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.