NELLA FESTA DELLA SS. TRINITA’

NELLA FESTA SANTISSIMA TRINITA’

2° DISCORSO PER LA DOM. DELLA SS. TRINITÀ’.

Sopra la santificazione delle domeniche e delle feste.

[Mons. Billot, Discorsi Parrocchiali; S. Cioffi Ed. Napoli, 1840]

“Euntes docete omnes gentes, baptizantes

eos in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti” (Matth. XXVIII)

Un solo Dio in tre Persone, Padre, Figliuolo e Spinto Santo, le quali, sebbene distinte l’una dall’altra, pure non hanno che una medesima natura e le medesime perfezioni, si è, fratelli miei, ciò che noi chiamiamo il mistero della ss. Trinità, di cui la Chiesa celebra in questo giorno una festa particolare. Il Padre non era prima del Figliuolo, né il Figliuolo prima dello Spirito Santo; ma il Padre, Figliuolo e lo Spirito Santo sono tutti e tre da tutta l’eternità; sono tutti e tre dappertutto, tutti e tre sono egualmente buoni, egualmente sapienti, egualmente potenti, egualmente degni delle nostre adorazioni e del nostro amore. Questo mistero ineffabile è superiore alla nostra cognizione, e i nostri lumi sono troppo limitati per penetrarne la profondità; non v’è che Dio medesimo che possa comprendersi, perché è infinito. Non sarebbe tale, se noi medesimi potessimo comprenderlo. Ma se non ci è permesso di giungere alla cognizione di questo mistero incomprensibile, noi possiamo e dobbiamo crederlo, rendergli omaggio delle nostre menti e dei nostri cuori. Si è per eccitare la nostra fede ed il nostro amore che la Chiesa si propone oggi questo mistero ineffabile da onorar nella festa particolare che essa ne celebra: entriamo nei disegni di questa tenera madre, e siccome il santo giorno di domenica, chiamato il giorno del Signore, è consecrato alla gloria della santissima Trinità, noi non possiamo far meglio per onorare un Dio in tre Persone che passare santamente le domeniche e le feste: il che m’induce a parlarvi dell’obbligo e del modo di santificare cosi fatti giorni, che la maggior parte dei cristiani profanano. I giorni delle domeniche e delle feste, sono santi di loro istituzione : primo punto. Come dovete voi santificarli: secondo punto.

I. Punto. Benché Dio meriti d’essere servito in tutto il tempo della vita, e l’uomo debba effettivamente tutti i giorni adempiere verso di lui questo dovere; vi sono nulladimeno certi giorni ch’Egli si è riserbati perché fossero specialmente consacrati al suo servizio: tali sono i giorni di domenica e delle feste, giorni santi nella loro istituzione, perché sono particolarmente destinati a glorificare Dio e a santificare l’uomo; due circostanze che ne provano la santità. Che deve far l’uomo per glorificare Dio suo creatore? Egli deve riconoscerlo pel primo principio da cui in ogni cosa dipende; deve ringraziarlo per i beni che ne ha ricevuti; ed è per questi due fini particolari che i giorni delle domeniche e delle feste sono stati istituiti. Andiamo subito all’origine di questa verità, e ne saremo ben presto convinti. Se noi apriamo i libri santi, vi leggiamo che Dio impiegò sei giorni a creare questo vasto universo; che durante quei sei giorni s’occupò a formare il cielo, la terra, gli astri, le piante, gli animali e tutte le creature; ma che santificò il settimo giorno, in cui si riposò. Dio aveva forse bisogno di riposo dopo aver creato il mondo, Egli che non è suscettibile di alcuna noia, d’alcuna fatica? No, senza dubbio, fratelli miei: che cosa vuole dunque insegnarci la Scrittura quando si dice che Dio si riposò nel settimo giorno? Volle far conoscere all’uomo che se Dio accordavagli sei giorni nella settimana per lavorare, Egli voleva che il settimo gli fosse specialmente consacrato con un santo riposo, in cui l’uomo avesse il tempo di riconoscere la sua dipendenza dal Creatore e i benefìzi che ne ha ricevuti. Quindi quelle precauzioni che Dio prese così spesso di richiamare al suo popolo la memoria del giorno del sabato; quindi quei precetti reiterati che gli fece di santificare quel giorno: Memento ut diem sabbati sanctifices (Ex.20.). E per qual ragione Dio fa al suo popolo un comando sì formale? Lo spiega egli stesso nel libro dell’Esodo e del Deuteronomio: Voi lavorerete (disse il Signore agli Ebrei) durante i sei giorni della settimana; nel settimo giorno, che è il sabato, non farete alcun lavoro né voi né vostro figlio né vostra figlia né il vostro servo né la vostra serva né gli animali che vi appartengono, né gli stranieri che si ritroveranno nei recinti delle vostre mura» E perchè? Perchè il Signore ha fatto in sei giorni le sue opere e si è riposato il settimo; e questa è la ragione per cui Egli ha benedetto questo giorno e vi comanda di santificarlo: Septimo autem die sabbatum Domini tui est, non facies omne opus in eo (Ibid.).. Voi vedete, fratelli miei, da queste parole che dei sette giorni della settimana Dio se n’è riserbato uno per essergli consacrato con un santo riposo. E perché questo giorno di riposo? Per richiamarci la memoria del riposo che ha preso Egli medesimo dopo di averci creati. Perché finalmente fa ricordarci di quel riposo, se non per metterci avanti agli occhi il benefìcio della nostra creazione, e per conseguenza farci riconoscere la nostra dipendenza dal Creatore? Ecco il primo motivo dell’istituzione del giorno del sabato. – Il Signore ne propone ancora un altro al suo popolo nel libro del Deuteronomio. Egli trae questo motivo dalla libertà che gli accordò liberandolo dalla schiavitù d’Egitto. Ricordatevi, disse Mosè al popolo per parte di Dio, che voi avete servito nell’Egitto, donde il Signore nostro Dio vi ha cavati con la forza del suo braccio. Sappiate altresì che questa è la ragione per cui Egli ha stabilito il suo sabato e vi ha comandato di osservarlo: Ideo præcepit. tibi ut observares diem sabbati (Deut. III). Fu ancora in memoria di questa famosa liberazione che il popolo ebreo celebrò sì religiosamente ogni anno la festa di pasqua ed osservò sì regolarmente in ogni settimana il giorno di sabato, per ringraziare Dio dei benefizi che ne aveva ricevuti. Quindi i terribili castighi con cui si punivano coloro che non osservavano questo precetto. Testimonio quell’uomo che fu colto un giorno di sabato ad ammassare legna e fu condannato ad essere lapidato da tutto il popolo fuori del campo, perché Dio aveva proibito sotto pena di morte il trasgredire quel santo giorno: Qui polluerit illud, morte moriatur (Exod. XXXI). Quindi anche la precauzione che fu intimata agli Ebrei, per parte di Dio medesimo, di preparare il giorno innanzi del sabato tutte le provvisioni necessarie per vivere, affinché alcuno non si occupasse in quel giorno che di ciò che riguardava il suo culto. Si è per questa ragione che, allora quando Iddio nutrì quel popolo d’una manna miracolosa che cadeva dal cielo, volle che il giorno precedente al sabato ne raccogliesse tutto ciò ch’era necessario per vivere in quel giorno, mentre questa manna non potevasi conservare gli altri giorni oltre quello in cui si raccoglieva, ed il soprappiù che radunavano si corrompeva; accadeva per un altro miracolo che quella che era raccolta pel giorno del sabato si conservava molto tempo per profittarne. Non era questa forse, fratelli miei, una prova molto sensibile che il giorno del sabato era un giorno santo, un giorno in cui nulla dovevasi fare di servile, un giorno che doveva essere specialmente consacrato al culto del Signore ed impiegato a riconoscere la sua grandezza e i suoi benefizi? – Ora quel che era il giorno del sabato agli Ebrei è la domenica per rapporto ai Cristiani: mentre due cose vi sono nel comandamento che Dio fece altre volte di osservare il giorno del sabato: l’una che era il diritto naturale; l’altra che era di precetto cerimoniale. Che si debba specialmente consacrare  qualche giorno al servizio di Dio; è di diritto naturale; ma che questo giorno fosse il giorno del sabato piuttosto che un altro, era un’osservanza cerimoniale, da cui Gesù Cristo e la  Chiesa sua sposa, in virtù del potere ch’ella ne ha ricevuto, ha potuto dispensare i suoi figliuoli; il che essa ha fatto per buone ragioni, dice s. Agostino sostituendo la domenica al giorno del sabato, perché nel giorno di domenica si sono operati i più grandi misteri della nostra religione. Si è in questo santo giorno che tiensi Gesù Cristo venuto al mondo, che le stelle ne abbiano annunziata la nascita ai magi. Si è nel giorno di domenica che Gesù Cristo è risuscitato, ch’Egli ha inviato lo Spirito Santo ai suoi Apostoli. E perciò questo giorno è chiamato, a preferenza di tutti, il giorno del Signore: dies dominica. E da ciò che ne segue? Ne siegue che l’osservanza del santo giorno di domenica è per noi d’un obbligo così stretto come il giorno di sabato presso gli Ebrei; che i lavori ci sono in esso altrettanto vietati quanto agli Ebrei il giorno di sabato; che questo giorno deve essere unicamente ed interamente impiegato a servire e a glorificar Dio, a riconoscere il suo sapremo dominio su di noi, a ringraziarlo dei beni che ne abbiamo ricevuti. Ed invero, se il giorno di domenica ci rammenta il beneficio della nostra creazione, noi dobbiamo più particolarmente in quel giorno che in tutt’altro fare a Dio una protesta solenne della dipendenza in cui siamo del suo supremo dominio. Se il santo giorno di domenica ci mette avanti gli occhi le vittorie che Gesù Cristo ha riportate sulla morte con la sua risurrezione noi dobbiamo riguardare questo giorno, come un giorno di libertà, poiché Gesù Cristo, risuscitando, ci ha data la vita e ci ha liberati dalla schiavitù del demonio, più funesta per noi che quella in cui erano gl’Israeliti tra gli Egiziani. Noi dobbiamo, per conseguenza, ringraziare Dio solennemente di questa felice liberazione e di tutti i beni ch’ella ci ha procurati. Al che dovete, fratelli miei, particolarmente impiegare quei santi giorni; ed è per questo che la Chiesa ci obbliga in quei giorni al santo Sacrificio della Messa, perché non evvi azione alcuna che renda maggior gloria a Dio e che gli dimostri meglio la nostra riconoscenza che questo adorabile sacrifizio. Per questo medesimo fine la santa Chiesa, in quei giorni uffizi ha instituiti, ove i fedeli radunati insieme uniscono le loro voci per lodare le perfezioni di Dio e ringraziarlo dei suoi benefizi. Entrate, fratelli miei, nei sentimenti della Chiesa ; rispettate il santo giorno di domenica ed impiegatelo secondo la sua istituzione. Iddio, che merita d’essere servito tutti i giorni e tutti i momenti di vostra vita, poteva riserbarsene di più, per essere specialmente consacrati al suo culto. Di sette giorni ve ne dà sei per attendere ai vostri affari temporali e ai vostri lavori; è forse troppo riserbarsene uno per sé? E non sarebbe una grande ingiustizia il ricusarglielo? Al santo giorno di domenica aggiungiamo le feste che la Chiesa ha istituite, sia per richiamarci la memoria dei misteri della nostra santa religione, sia per onorare la santa Vergine Madre di Dio, gli Apostoli, i Martiri ed altri Santi, i cui esempli la Chiesa ci propone ad imitare; giorni di feste che noi dobbiamo celebrare secondo la sua intenzione, astenendoci dalle medesime cose che ci sono vietate nelle domeniche e praticando quelle che ci sono comandate; con questa differenza che la domenica essendo d’istituzione divina e le altre feste d’istituzione ecclesiastica, quel giorno ha qualche cosa di più rispettabile e soffre meno dispense che questi. Ma gli uni e gli altri debbono essere impiegati a glorificare Dio e a santificare noi medesimi: secondo motivo della loro istituzione. Egli è vero che l’uomo deve tutti i giorni della sua vita attendere alla propria santificazione. In qualunque stato egli sia, da qualsivoglia affare sia occupato, non deve giammai perdere di vista l’unico necessario che abbia in questo mondo, il quale è di salvare l’anima sua. Tutti gli altri affari debbono riferirsi a quello della salute, e nulla deve farsi che con la mira della propria salute. Ma quanto è egli facile, fratelli miei, perdere di vista questo grande affare tra gli impacci del mondo, nei diversi imbarazzi che dividono la vita degli uomini! mentre per faticare alla propria salute, si richiede raccoglimento, riflessione, attenzione continua sopra se stesso. Or questo raccoglimento, quest’attenzione sono forse compatibili con la moltitudine degli affari, con le occupazioni d’uno stato che dissipano lo spirito e conturbano il cuore? L’anima ripiena delle cure d’una vita tumultuosa è quasi sempre fuori di se stessa; or occupata dai diversi bisogni cui convien provvedere, ora oppressa sotto il peso della fatica o dell’applicazione inseparabili da una professione, in cui è taluno impegnato, ella si abbandona a mille oggetti che fissano successivamente la sua attenzione e non le lascian tempo di pensare a Dio né  alla sua salute. Ne chiamo qui in testimonio la quotidiana esperienza. Un uomo di giustizia non è forse occupato dalla mattina sino alla sera dei diversi affari che si presentano e non è egli obbligato di privarsi spesso del necessario riposo per soddisfare i suoi clienti? Un uomo di negozio non impiega forse tutta la sua giornata nei traffici? Un contadino, un artigiano, sempre piegati verso la terra, sopportano il freddo ed il caldo per soccorrere ai bisogni della loro famiglia; ed appena in tutta la settimana gli uni e gli altri prendono alcuni momenti per pensare a Dio e alla loro salute; appena si presentano avanti a Dio la mattina e la sera per rendergli quegli omaggi che una creatura deve al suo Creatore. – Saggiamente adunque e per nostro interesse particolare ci ha Iddio fissati alcuni giorni di riposo, in cui, sciolti dalla cura e dall’impaccio degli affari stranieri, noi abbiamo ad occuparci unicamente del grande affare della salute. Si è in questi giorni che rientrando in noi medesimi con un santo raccoglimento, ripariamo i danni che le occupazioni della settimana han recato al nostro spirito e al nostro cuore. Si è allora che noi abbiamo maggior comodo di chiederci in particolare: perché sono io al mondo? Io ho faticato molto durante questa settimana, io mi sono molto applicato, molto stancato per gli altri; ma nulla ho fatto per me. Io ho fatto avanzi, ho accumulati beni temporali; ma ho trascurata la mia fortuna eterna. Convien dunque che adesso io pensi a me, che io lavori per me. Ringrazio la misericordia del mio Dio di avermi posto in questa fortunata necessità col precetto che mi ha fatto di santificare questo giorno, e con ciò di santificare me stesso. – Si è anche per questa ragione, fratelli miei, che la Chiesa vi comanda nei giorni di domenica e delle feste la pratica di certe opere di pietà alle quali questa non vi obbliga negli altri giorni, come sono l’assistenza al santo Sacrificio della Messa, ai divini uffici, l’assiduità ad ascoltare la divina parola, perché tutte queste azioni sono altrettanti mezzi efficaci ch’ella vi presenta per operare la vostra salute. Mezzi di salute nel sacrificio della Messa, che vi ottiene il perdono dei peccati e le grazie necessarie per perseverare nella virtù. Mezzi di salute nei divini uffici, che v’innalzano a Dio, v’inspirano santi desideri e vi rammentano la bella sorte che avrete un giorno di cantare nel cielo le sue lodi, con una maniera molto più perfetta ancora che non si cantano sulla terra. Mezzi di salute nella parola di Dio che voi dovete ascoltare o meditare o leggere nei libri di pietà, perché questa divina parola v’insegna ciò che dovete fuggire e praticare per meritare la felicità eterna. Finalmente, mezzi di salute che la Chiesa vi propone nell’esempio dei santi di cui ella fa la festa, mettendovi innanzi agli occhi le virtù che eglino han praticate nel medesimo stato che voi, quantunque soggetti alle medesime debolezze e alle medesime tentazioni che voi. Rammentandovi le virtù di quei santi, la loro umiltà, la loro povertà, il loro distacco dai beni, dagli onori, dai piaceri del mondo, la loro pazienza nel sopportare ogni sorta d’afflizioni, d’ingiurie e di dispregi, vi dice la Chiesa ciò che s. Agostino diceva altre fiate a se stesso: Come! non potete voi fare quel che questi e quegli hanno fatto? Non poteris quod isti et istæ? Siete voi forse meno interessati che essi a seguire lo stesso genere di vita che hanno essi seguito? Non avete voi forse altrettanto a temere e a sperare che avevan essi? Perché non farete voi dunque ciò che essi facevano? Non poteris quod isti et istæ? Non è egli vero, fratelli miei, che udendo voi raccontare le azioni eroiche dei santi, vi siete sentiti qualche volta animati dal desiderio d’imitarli, soprattutto allorché vi hanno rappresentate le magnifiche ricompense di cui godono nel cielo? Voi avete risoluto di fare ogni vostro potere per arrivare alla medesima felicità, avete anche praticate alcune opere buone per questo fine; il che non avreste fatto in altri giorni. Convenite dunque che questi sono giorni a proposito stabiliti per santificarvi. Ma come dovete voi santificare questo giorno? Secondo punto.

II. Punto. Per santificare i giorni delle domeniche e delle feste, due cose sono necessarie: astenersi dalle opere servili e praticare opere di pietà: questi sono i propri termini della legge, come ve li ho di già riferiti al principio di questo discorso. Il settimo giorno, che è il giorno di sabato, voi non lavorerete, dice il Signore, nè i vostri figliuoli , né i vostri servi, né i vostri animali, perché Dio ha benedetto questo giorno e l’ha santificato. Voi non farete in esso alcun’opera servile: Omne opus servile non facietis in eo ( Lev. XXIII). Ora che intendiamo noi per le opere servili che sono vietate nei giorni delle domeniche e delle feste? Noi intendiamo quelle a cui le persone d’arte e di lavoro sono solite applicarsi: come coltivare la terra, esercitare un’arte meccanica, negoziare, far mercati, contratti di vendita e di compra o altri di questa specie, fare atti di giustizia che riguardano qualche lite; come piatire, esaminare testimoni, dare sentenze. In una parola, opere servili sono tutte le azioni che di loro natura si riferiscono a qualche profitto, qualche utilità temporale. Perché mai queste opere servili sono, esse proibite nei giorni delle domeniche e delle feste? Perché allontanano lo spirito ed il cuore dal servigio di Dio, in cui si debbono impiegare questi santi giorni, non essendo possibile che lo spirito occupato ed immerso negli affari temporali possa occuparsi del suo Dio e della sua salute. Ma oimè! Fratelli miei, quanti vediamo noi al giorno d’oggi cristiani sedotti dall’allettamento di un sordido interesse che violano impunemente la santa legge del Signore? Gli uni sotto pretesto d’una necessità che non sussiste che nella loro immaginazione, non si fanno scrupolo di occuparsi in certi lavori che essi credono permessi secondo le massime d’una coscienza, che si fanno a modo loro e conformemente ai loro interessi. Gli altri si asterranno per verità da un lavoro vietato dalle leggi civili per tema d’incorrere le pene da queste leggi portate, ma non si fanno veruno scrupolo d’impiegare i giorni delle domeniche e delle feste a fare viaggi pei loro affari, dopo avere udito una Messa in fretta, ovvero anche di mettersi in istrada prima di avervi assistito. Passeranno essi tutto il giorno ad andare da una parte e dall’altra cercando quel che loro è dovuto, faranno mercati con questi e conti con quelli, passando cosi tutto il giorno in una dissipazione continua che li distoglie dal servigio di Dio e dall’affare della loro salute. Ed è questo, fratelli miei, soddisfare al precetto di santificare le feste? No, senza dubbio: questo è rendersi egualmente colpevole che con l’attendere alle opere servili, poiché il tumulto degli affari è così incompatibile col raccoglimento necessario per bene santificare le feste, come lo sono le opere servili. Io so benissimo che tutti quelli di cui vi ho ora parlato non mancano di trovare scuse e pretesti per giustificare la loro condotta. Non posso, dirà uno, differire quest’opera servile, questo lavoro ad un altro giorno, senza risentirne grave danno. Io non trovo, dirà l’altro, che nei giorni delle domeniche e delle feste coloro con cui ho da trattare: bisogna dunque ch’io mi metta in viaggio in quei giorni per incontrarli e finire le bisogne con essi. Io convengo primieramente che una urgente necessità può mitigare la legge che proibisce le opere servili nei giorni di festa; che vi sono certe occasioni in cui non si possono differire queste opere senza risentirne del danno, come sono i tempi della ricolta pei terreni, od altri casi simili di necessità, di pietà, per cui è sempre a proposito di consultare i parrochi e di chiedere loro permissione, principalmente quando la cosa è dubbiosa. Ma non bisogna confondere la necessità con la cupidigia. Si può moltissime volte differire un lavoro che si crede necessario un giorno di festa ad un altro giorno senza risentirne del danno. Bisogna che l’interesse cede alla legge di Dio, e non già la legge di Dio all’interesse. Ora l’interesse, che accieca la maggior parte degli uomini fa loro fare molte cose nei giorni di festa che potrebbero rimettere ad altri giorni. E perché s’impiega un giorno di festa per fare certi lavori lucrosi? Gli è perché ve ne sono altri nella settimana che non si avrebbe il tempo di fare; gli è che si vuol guadagnare nei giorni di festa come negli altri giorni della settimana: ed ecco i pretesi danni che servono di velo alla cupidigia, cioè un interesse meno considerevole di quello che si avrebbe, se si lavorasse nei giorni vietati. Eh! se un profitto fosse una ragione di trasgredire la legge, sarebbe sempre permesso di violarla. Falso principio, falsa conseguenza. Perché mai viaggia taluno nei giorni domeniche e di festa? Perché non vuol togliere dal suo lavoro un giorno della settimana per vacare ai suoi affari. Dunque è la cupidigia e non la necessità che fa aprire a quel mercante la sua bottega o che gli fa vendere in segreto; che occupa quell’uomo di giustizia dalla mattina sino alla sera in affari che può differire ad un altro giorno. È la cupidigia e non la necessità che fa lavorar quell’artigiano che teme di perdere i suoi avventori, quell’agricoltore che teme un cattivo tempo che non accadrà. È la cupidigia e non la necessità che induce quel padrone a mettere i servi alla fatica, sotto pretesto che niente hanno a fare; come se Dio non avesse proibito ad ogni uomo di lavorare da se stesso nei giorni di festa o di far lavorare coloro che gli appartengono. – Ah! fratelli miei, quanto mal capite vostri veri interessi! Sapete voi pure che i lavori che fate nei giorni di festa vi sono molto più nocevoli. Voi vi perdete più che non vi guadagnate. Chi ve lo assicura? Dio medesimo: Se voi non osservate i miei santi giorni, io vi visiterò con la miseria; voi avrete bel seminare, niente raccoglierete; il cielo sarà di bronzo, la terra di ferro; la siccità brucerà le vostre raccolte, o la tempesta le porterà via; le malattie, le pestilenze, la fame vi opprimeranno; si metterà fuoco nelle vostre case è consumerà tutto ciò che avrete ammassato (Levit. XXVI). E non è ciò, fratelli miei, che noi vediamo spesso accadere: vediamo con istupore alcuni che non possono mai prosperare, malgrado la loro assiduità al lavoro; ne vediamo altri afflitti da perdite di beni, di bestiami, oppressi da sinistri accidenti. Donde le vengono queste disgrazie? Dal non essere il loro lavoro secondo Dio. Più premurosi di acquistare i beni della terra che quei del cielo, intraprendono cose incompatibili col servizio di Dio, lavorano nei giorni in cui non dovrebbero pensare che a glorificare Dio: ecco perché Dio non li benedice, ma li affligge. Felici ancora, se non fossero puniti che in questa vita, ma lo saranno molto più severamente nell’altra. Laddove ogni cosa viene in abbondanza e prospera a coloro che cercano in primo luogo il regno di Dio; quelli che santificano, le domeniche e le feste attraggono su di essi le benedizioni del Signore, come lo ha loro promesso: Se voi osservate i giorni ch’io mi sono consacrato, io vi darò nelle pioggie nei loro tempi; la terra produrrà in abbondanza, gli alberi saranno carichi di frutti, io benedirò voi e i vostri figliuoli (Levit.XXVI).- E certamente, fratelli miei, Dio non è Egli il padrone dei tempi e delle stagioni? É la sua provvidenza che il tutto governa. Se voi ubbidite alla sua legge non può Egli forse rendere fertili le vostre terre, ed arrestare le tempeste che potrebbero disertarle? Laddove se voi trasgredite questa santa legge, Egli vi toglierà i vostri beni, vi affliggerà con funesti accidenti. Il miglior partito che avete dunque a prendere è di fare la sua volontà, ed Egli stesso farà la vostra, rendendosi favorevole ai vostri desideri: Voluntatem timentium se faciet (Levit. XVI). Oltre le opere servili, che sono vietate nei giorni di festa e permesse in altri tempi, ve ne ha di proibite in ogni tempo e particolarmente nei giorni di festa. Queste sono le opere di peccato, i divertimenti colpevoli, le dissolutezze, cui molti si abbandonano, in quei giorni più che negli altri della settimana. Noi le chiamiamo con s. Tommaso, opere servili, perché chi commette il peccato è schiavo del peccato, ndice Gesù Cristo: Qui facit peccatum servus est peccati (Jo. VIII). Queste opere sono particolarmente proibite nei giorni di festa, perché sono formalmente opposte al fine per cui sono istituiti i giorni di festa, che è di glorificar Dio e santificar l’uomo. Non è forse fare una grande ingiuria a Dio, dice s. Cirillo, ed una specie di sacrilegio, lo impiegare nelle follie del mondo, nei divertimenti profani, giorni che sono consacrati al Signore. in una maniera speciale? Non è forse anche portare a se stesso un gran pregiudizio, dei giorni di salute farne giorni di riprovazione con i peccati che in essi si commettono? Sembra contuttociò ad un gran numero di cristiani che i giorni di festa non siano loro accordati che per divertirsi e per risarcirsi con piaceri vietati dalle fatiche che hanno sopportato nella settimana. E quando è, infatti, che le osterie sono più frequentate? Nei giorni delle domeniche e delle feste. Quando si vede il libertinaggio regnare più sfrenato? Quando si odono più risse ed alterazioni, si vedono più disordini in una parrocchia? Nei giorni delle domeniche e delle feste. Quando è che la gioventù si abbandona maggiormente alla dissolutezza, forma brigate di spettacoli, di danze, di bagordi ed altri divertimenti peccaminosi? Nei giorni delle domeniche e delle feste. Questi sono i giorni che si scelgono per mantenere commerci pericolosi, per vedersi, per abboccarsi nei luoghi assegnati, nei passeggi, in siti solitari ed anche ad ore indebite. Questi sono i giorni in cui si fa servire la divozione medesima al libertinaggio, allorché,, sotto pretesto, di andare a qualche convegno di pietà, di fare viaggi in onore de’ santi, si trova il mezzo d’incontrarsi e trattenersi con persone che non si debbono in verun modo frequentare. Gli è finalmente ne’ giorni delle domeniche e delle feste che le passioni, che sono state nel riposo e come sopite dalle fatiche della settimana, sembrano risvegliarsi per abbandonarsi a tutti gli eccessi: di modo che si può dire che nel giorno di domenica o di festa Iddio è sovente più offeso che non è stato in tutta la settimana. Ah! dovran dunque , o mio Dio, i giorni destinati a servirvi e glorificarvi impiegarsi ad offendervi? I giorni che voi avete dato all’uomo per pensare e adoperarsi alla sua salute, diverranno per lui giorni di riprovazione per il cattivo uso ch’Egli ne fa? Sarebbe meglio in qualche modo che non vi fosse alcuna festa, o per lo meno sarebbe meglio, dice sant’Agostino, che si passasser quei giorni o a lavorar la terra o ad esercitare qualche altro mestiere che profanarli, come si fa, con i disordini che in essi si commettono; almeno il Signore non sarebbe cotanto offeso. L’uomo nel suo lavoro, nella sua professione, non pensa che a ciò che lo occupa; e perché nei giorni di festa non lavora, perciò, lo ripeto, non pensa che ad offendere Dio. Sarebbe dunque meglio che quell’intemperante lavorasse la terra nelle domeniche e nelle feste, che frequentare in questi santi giorni le osterie, ove perde con ciò che ha guadagnato nella settimana, la sanità. Almeno non si vedrebbe al ritorno dal lavoro, portar in casa sua il disordine, bestemmiare, maltrattare la moglie e i figliuoli, come fa. Sarebbe meglio per quella donna ch’ella fosse occupata nel governo domestico: che passare le ore intere e gran parte della feste a dir male del suo prossimo. Sarebbe meglio che quella figlia fosse occupata al fuso nei giorni di festa, e che quel giovine coltivasse la terra, che mantenere ree corrispondenze, che andare in quei balli, in quelle conventicole profane, donde non si esce giammai così puri come quando vi si è entrato: danze e conventicole che sono miseri avanzi del paganesimo: mentre si è in tal modo che gli idolatri onoravano le loro false divinità. Convien forse stupirne? Quei falsi Dei che essi onoravano, erano soggetti essi medesimi alle dissolutezze, alle impurità ed ai medesimi delitti di quelli che loro rendevano omaggi. Ma non è forse un’indegnità, che Cristiani, che adorano un Dio crocifisso, che onorano santi umili, penitenti, mortificati, santi che hanno tutto sacrificato; beni, piaceri, la vita medesima per la loro religione, che questi Cristiani, dico, celebrino le loro feste come i pagani celebravano quelle dei loro falsi Dei? Questo è ciò che è capace di fare stupire gl’idolatri medesimi e che fa mettere in derisione le nostre feste dai nostri nemici: viderunt hostes sabbata eius et deriserunt [Thren.1]. Ecco, fratelli miei, ciò che attrae la maledizione di Dio sopra i suoi popoli: la profanazione delle feste è la cagione delle tempeste che disertano le vostre campagne, degli incendi che consumano le vostre case, delle infezioni che distruggono i vostri bestiami, delle malattie che vi riducono alla miseria, perché voi cangiate i giorni santi in giorni di dissolutezza, invece di rendervi un Dio propizio, voi ne fate un Dio vendicatore; invece di procurarvi protettori nel Cielo col ben celebrare le feste dei santi, voi ve ne fate dei nemici, i quali ben lungi di domandare grazie per voi, domandano a Dio vendetta della profanazione che voi fate dei giorni del loro trionfo. Non basta dunque astenervi dalle opere servili nei giorni di festa; bisogna ancora astenervi dai divertimenti peccaminosi, che sono sì comuni in quei giorni. Se voi prendete qualche riposo, come non vi è proibito, sia esso in qualche ricreazione onesta, e non dì lunga durata. La vostra allegrezza, dice s. Paolo, sia secondo Dio, la vostra modestia sia conosciuta da tutto il mondo: Gaudete in Domino, modestia vestra nota sit omnibus; ma non prendete ricreazione alcuna che dopo aver adempito alle opere che vi sono comandate. – Imperciocché non bisogna fratelli miei, che il riposo prescritto nei giorni di festa sia una cessazione da ogni opera, da ogni azione anche corporale. Se Dio ci proibisce le opere servili, si è per darci tempo di attendere alle opere di pietà, cioè alle opere che riguardano Dio e la nostra salute; mentre se noi dobbiamo impiegare i giorni di festa per glorificare Dio e santificare noi stessi, non già riposandoci corrisponderemo ai disegni di Dio, ma bensì operando e adempiendo ciò che Dio comanda di fare e ciò che la Chiesa ci comanda da parte sua.

Pratiche. Ora che cosa ci comanda la Chiesa in quei giorni? Di assistere al santo Sacrificio con tutta la modestia del corpo e l’attenzione della mente che convengono a quella grande azione. Ci invita particolarmente, questa santa madre, ad assistere alla Messa parrocchiale, perché ivi i fedeli tutti, uniti insieme per far la loro preghiera, attraggono su di sé una più grande abbondanza di grazie; ivi i medesimi fedeli ascoltano la voce del loro pastore, cui Dio ispira quel che convien dire alle sue pecorelle; ivi apprendono le verità necessarie alla salute, la loro anima ne è nutrita, e così fortificata ella compatte fedelmente il resto della settimana e trionfa costantemente de’ suoi nemici.

. La Chiesa esorta e comanda anche ai fedeli, per santificare le feste, di assistere ai divini uffizi. Mentre perché mai incarica ella i suoi ministri di celebrare in quei giorni le lodi del Signore con maggiore solennità che gli altri giorni, se non affinché i fedeli vengano a unire le loro voci, o per lo meno unirsi di cuore ai canti devoti onde risonano le nostre chiese? Non è forse un abuso intollerabile, nel mentre si cantano i divini uffizi, vedere gran numero di persone ai pubblici passeggi, ai giuochi, agli spettacoli, o passare una gran parte di giornata alla caccia o in banchetti o in combriccole di divertimenti? Contente di una Messa udita la mattina, si dispensano senza difficoltà degli altri esercizi di religione, come se una mezz’ora passata a pie degli altari fosse bastante per santificare tutto il giorno. Come? Non trovarsi ad alcuna delle adunanze di pietà che si fanno nei giorni di festa, passar tutto il restante del giorno nella mollezza e nell’ozio, egli è questo santificare come si deve quei santi giorni? No, è un abusarsene, è un profanarli, come i Giudei carnali, che, contenti d’astenersi dalle opere corporali, proibite nei giorni delle loro feste, profittavano di quei giorni per abbandonarsi alla mollezza e ai piaceri vietati.

3°. Per santificare le domeniche e le feste convien ascoltare la parola di Dio o, se ciò non si può, leggerla e meditarla in buoni libri. La Chiesa obbliga i suoi ministri a distribuire il pane della parola ai suoi figliuoli: ora e qual fine gl’incaricherebbe essa di quell’obbligo, se i fedeli non fossero altresì obbligati ad ascoltarli? L’obbligazione per gli uni porta seco necessariamente un dovere per gli altri. Siate dunque assidui, fratelli miei, alla parola di Dio che vi si predica in quei giorni di salute, principalmente alle spiegazioni del Vangelo, e ai catechismi dei vostri pastori, dove voi profitterete più che in tutte le altre istruzioni; sia perché Dio sparge una benedizione particolare su quella dei pastori, sia perché questa sorta d’istruzioni sono più adattate alla capacità di tutti. É una santa pratica nei giorni di festa l’assistere alle congregazioni, alle adunanze di pietà, dove si ricevono grazie maggiori per le orazioni che si fanno in comune, e dove si ritrovano anime giuste, che attraggono sulle altri doni celesti. E anche una santa pratica il visitare il ss. Sacramento nei giorni di festa; poiché da questo si ricevono molte grazie; niuno esce dalla sua casa senza riportare qualche favore. – Finalmente, fratelli miei, per ben santificare le domeniche e le feste, sarebbe a proposito accostarsi ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia, mentre non potete meglio santificar voi medesimi che purificandovi dei vostri peccati al tribunale della penitenza ed unendovi a Gesù Cristo, autore d’ogni santità. Era questa la pratica dei primi fedeli, che cornunicavansi ogni qualvolta assistevano al divin sacrificio. La Chiesa bramerebbe che questa santa pratica fosse ancora in vigore tra i suoi figliuoli: ma, il fervore dei Cristiani essendosi

rallentato su questo punto, bisogna per lo meno nei giorni di festa purificare le vostre coscienze fin dal principio del giorno con vivo dolore dei vostri peccati, comunicarvi spiritualmente con un desiderio ardente di unirvi a Gesù Cristo, visitarlo nel suo santo tempio, oltre il tempo della messa e degli uffizi; visitarlo anche nella persona dei poveri e degl’infermi; in una parola, praticare tutte le opere di pietà che la religione sarà per ispirarvi, Perché non posso io, fratelli miei, per animarvi alla pratica di queste buone opere, rappresentarvi qui il modo con cui i primi Cristiani celebravano le feste! Voi vedreste quei primi discepoli della religione astenersi non solamente da ogni opera servile, da ogni peccato, da ogni divertimento profano, ma ancora occuparsi durante quei santi giorni, ed anche durante la notte, nell’orazione, nel cantar le lodi di Dio e fare tutte le azioni di virtù che il fervore del Cristianesimo nascente loro ispirava. Celebrate nello stesso modo le vostre feste, fratelli miei, questo è il mezzo di partecipare un giorno alle allegrezze della festa eterna che si farà nel cielo. Così sia.