NELLA FESTA DELL’ASCENSIONE [2018]

NELLA FESTA DELL’ASCENSIONE [2018]

Incipit
In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus
Acta 1:11.
Viri Galilæi, quid admirámini aspiciéntes in cœlum? allelúia: quemádmodum vidístis eum ascendéntem in coelum, ita véniet, allelúia, allelúia, allelúia.
[Uomini di Galilea, perché ve ne state stupiti a mirare il cielo? allelúia: nello stesso modo che lo avete visto ascendere al cielo, così ritornerà, allelúia, allelúia, allelúia].

Ps XLVI:2
Omnes gentes, pláudite mánibus: iubiláte Deo in voce exsultatiónis.
[Applaudite, o genti tutte: acclamate Dio con canti e giubilo.]

Viri Galilæi, quid admirámini aspiciéntes in cœlum? allelúia: quemádmodum vidístis eum ascendéntem in cœlum, ita véniet, allelúia, allelúia, allelúia.

[Uomini di Galilea, perché ve ne state stupiti a mirare il cielo? allelúia: nello stesso modo che lo avete visto ascendere al cielo, così ritornerà, allelúia, allelúia, allelúia].

Oratio
Orémus.
Concéde, quǽsumus, omnípotens Deus: ut, qui hodiérna die Unigénitum tuum, Redemptórem nostrum, ad coelos ascendísse crédimus; ipsi quoque mente in coeléstibus habitémus. [Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che noi, che crediamo che oggi è salito al cielo il tuo Unigenito, nostro Redentore, abitiamo anche noi col nostro spirito in cielo].

Lectio
Léctio Actuum Apostólorum.
Act 1:1-11
Primum quidem sermónem feci de ómnibus, o Theóphile, quæ coepit Iesus facere et docére usque in diem, qua, præcípiens Apóstolis per Spíritum Sanctum, quos elégit, assúmptus est: quibus et praebuit seípsum vivum post passiónem suam in multas arguméntis, per dies quadragínta appárens eis et loquens de regno Dei. Et convéscens, præcépit eis, ab Ierosólymis ne discéderent, sed exspectárent promissiónem Patris, quam audístis -inquit – per os meum: quia Ioánnes quidem baptizávit aqua, vos autem baptizabímini Spíritu Sancto non post multos hos dies. Igitur qui convénerant, interrogábant eum, dicéntes: Dómine, si in témpore hoc restítues regnum Israël? Dixit autem eis: Non est vestrum nosse témpora vel moménta, quæ Pater pósuit in sua potestáte: sed accipiétis virtútem superveniéntis Spíritus Sancti in vos, et éritis mihi testes in Ierúsalem et in omni Iudaea et Samaría et usque ad últimum terræ. Et cum hæc dixísset, vidéntibus illis, elevátus est, et nubes suscépit eum ab óculis eórum. Cumque intuerétur in coelum eúntem illum, ecce, duo viri astitérunt iuxta illos in véstibus albis, qui et dixérunt: Viri Galilaei, quid statis aspiciéntes in coelum? Hic Iesus, qui assúmptus est a vobis in coelum, sic véniet, quemádmodum vidístis eum eúntem in coelum.

OMELIA I

[Mons. G. Bonomelli: MISTERI CRISTIANI, Queriniana Brescia, 1896 vol. II, impr.]

Io primieramente ho trattato, o Teofìlo, delle cose che Gesù prese a fare e ad insegnare in fino al dì, ch’Egli fu accolto in alto, dopo aver dato i suoi comandi per lo Spirito Santo agli Apostoli ch’Egli aveva eletti. Ai quali ancora, dopo aver sofferto, si presentò vivente, con molte e sicure prove, essendo da loro veduto per lo spazio di quaranta giorni e ragionando con essi delle cose del regno di Dio. E trovandosi con essi, comandò loro che non si partissero da Gerusalemme, ma aspettassero la promessa del Padre, che, diss’Egli, avete da me udita. Perocché Giovanni battezzò con acqua, ma voi sarete battezzati con lo Spirito Santo fra pochi giorni. Essi adunque, stando con Lui, lo domandarono, dicendo: Signore, sarà egli in questo tempo, che tu restituirai il regno ad Israele? Ma Egli disse loro: Non spetta a voi conoscere i tempi e le stagioni, che il Padre serba in poter suo. Ma voi riceverete la virtù dello Spirito Santo, che verrà sopra di voi e mi sarete testimoni e in Gerusalemme e in tutta la Giudea e nella Samaria e fino alle estremità della terra. E dette queste cose, levossi a vista loro: e una nuvola lo ricevette e lo tolse agli occhi loro. E com’essi tenevano ancora fissi gli occhi in cielo, mentre se ne andava, ecco due uomini si presentarono loro in candide vesti e dissero loro: Uomini Galilei, perché state riguardando verso il cielo? Questo Gesù che è stato accolto in cielo d’appresso voi, verrà nella stessa maniera che l’avete veduto andarsene in cielo -. (Atti Apostolici, 1. I, 11). – In questi primi undici versetti, che leggiamo nel principio del libro degli Atti Apostolici, che la Chiesa oggi fa recitare al sacerdote celebrante la Santa Messa e che ora vi ho riportato parola per parola nella nostra favella, S. Luca ci narra l’Ascensione di Gesù Cristo al Cielo. È il fatto strepitoso, è il mistero che la Chiesa festeggia in questo giorno, col quale si chiude la vita di Gesù Cristo quaggiù sulla terra. Mio compito è quello di ragionarvi di questo fatto: e qual miglior modo di sdebitarmene che quello di commentare la lezione sacra, che udiste? Eccovi il soggetto di questa, anziché Ragionamento, modesta Omelia, a cui vi piaccia porgere benigno l’orecchio. – S. Luca, nato nel gentilesimo, fornito di coltura greca più che comune, fu medico di professione. Abbandonò il paganesimo e abbracciò il Vangelo di Gesù Cristo per opera di S. Paolo, che seguì fedelmente ne’ suoi viaggi di terra e di mare fino a Roma, dove si trovava allorché l’Apostolo scrisse la sua seconda lettera a Timoteo, poco prima della morte. (II Tim. V. 11). S, Paolo si loda di lui e lo chiama carissimo. (Ai Coloss. IV, 12). Egli scrisse il suo Vangelo come l’aveva udito da S. Paolo e lo scrisse in lingua greca, allora abbastanza conosciuta in tutto l’Oriente e a Roma e lo scrisse per uso di quei Cristiani, che prima erano stati gentili. Dopo aver scritto il Vangelo pose mano a scrivere il libro, che porta il titolo Atti o Gesta degli Apostoli, particolarmente di S. Paolo, giacché la seconda metà del libro si restringe esclusivamente a narrare le opere di lui: cosa affatto naturale, essendo egli stato suo discepolo e compagno e testimonio di ciò che narra. Cominciando questo libro, lo lega col Vangelo, che prima aveva scritto e che racchiude per sommi capi la storia di circa trent’anni. Questo libro fa seguito al Vangelo e ci descrive l’origine della Chiesa e, come voleva la natura delle cose, si apre col racconto della Ascensione di Gesù Cristo, accennata appena nell’ultimo capo del Vangelo. Uditene il prologo: Primieramente, o Teofilo, ho ragionato di tutte le cose, che Gesù prese a fare e ad insegnare fino al giorno, nel quale, dati per lo Spirito Santo i suoi comandi agli Apostoli, da Lui eletti, levossi al cielo. S. Luca rivolge la parola a Teofilo. Chi è desso codesto Teofilo, al quale S. Luca si indirizza eziandio a principio nel suo Vangelo? Sembra fuori di dubbio che fosse un personaggio distinto, che aveva dato il suo nome a Gesù Cristo e la cui vita doveva rispondere al nome che portava, e che in nostra lingua significa Amatore di Dio. Gli ricorda il libro del Vangelo, che gli aveva mandato e nel quale aveva compendiato le opere e la dottrina di Gesù Cristo. – Quæ cœpit Jesus facere et docere. Ecco che cosa è il Vangelo: il compendio delle cose fatte e insegnate da Gesù Cristo; dal che è facile inferire che nel Vangelo le opere e la dottrina di Gesù Cristo non sono riferite tutte, ma le principali e per sommi capi. A ragione poi gli interpreti fanno osservare che S. Luca, compendiando la vita di Gesù Cristo nel Vangelo, alle parole di Lui manda innanzi le opere: – Cœpit facere et docere -. Prima fece e poi insegnò! E in vero: le opere sono assai più eloquenti delle parole e gli uomini apprendono più assai da quelle, che da queste: le parole non costano gran sacrificio, ma lo impongono spesso assai grave le opere. E poi, a che valgono le parole se non sono accompagnate dalle opere? Ciò che valgono le frondi senza i frutti; ed è per questo che di Gesù si dice che cominciò a fare e dopo ad insegnare. Imitiamolo, affinché gli uomini vedano le opere nostre e vedendole sollevino la mente a Dio e gli rendano lode. – Io, scrive S. Luca, vi ho narrata nel mio Vangelo la vita di Gesù dal suo miracoloso concepimento fino alla sua dipartita dalla terra, fino a quel dì nel quale, andandosene al Cielo, lasciò i suoi comandi agli Apostoli e li costituì esecutori dei suoi voleri. Quali siano questi comandi e quali i voleri di Gesù Cristo si fa manifesto dal Vangelo istesso, dove sono determinati. E badate bene, soggiunge S. Luca, che questi comandi sono dati da Lui, che come fu concepito per virtù dello Spirito Santo, cosi tutto fa e dice per virtù dello stesso Spirito Santo, di cui possiede la pienezza. I quali comandi e voleri manifestò a quegli Apostoli che elesse Egli medesimo e ammaestrò di sua bocca. Non è senza ragione e profonda che S. Luca, nominati gli Apostoli, volle tosto soggiungere quelle due parole: – Quos elegit – I quali egli elesse -. Scopo del libro è di far conoscere le opere compiute dagli Apostoli e singolarmente da San Paolo e quindi di mettere in rilievo l’organismo della Chiesa primitiva. Importava adunque che si facesse conoscere in chi risiedeva il potere di reggere quella Chiesa e da chi era dato; e S. Luca ce lo mostra negli Apostoli e qui ci dice ch’essi l’ebbero da Cristo, che li elesse. È questa, o cari, una verità che vuolsi spesso ricordare e inculcare in questi tempi, nei quali si tende a collocare la radice del potere nella moltitudine. Checché sia del potere civile, di cui non parlo, il potere della Chiesa viene dall’alto, deriva di Cristo e da Lui passa negli Apostoli e dagli Apostoli nei suoi successori fino al termine dei tempi, perché Egli li elesse ed eleggendoli li investì di quel potere, che non riceve da chicchessia,, ma trae da se medesimo. – Fino al giorno nel quale fu assunto in Cielo – E da chi fu assunto Egli, Gesù Cristo? Non da altri fuorché dalla sua stessa onnipotenza, perché Egli era Dio eguale in ogni cosa al Padre; il perché la frase – Egli fu assunto in Cielo – vuolsi riferire alla natura umana, che aveva assunto, non alla sua divina Persona, che essendo immensa e onnipotente non può né salire, né discendere e per agire non ha bisogno di qualsiasi forza a sé estranea. Il sacro scrittore prosegue e in un versetto solo riassume la vita di Gesù Cristo, dalla sua Risurrezione alla sua Ascensione così: – Ai quali Apostoli, dopo la Passione, si era eziandio mostrato redivivo per lo spazio di quaranta giorni in molte maniere, parlando loro del regno di Dio -. Il punto capitale della vita di Gesù Cristo e la prova massima della sua divina missione, era senza dubbio il fatto della sua Risurrezione e questa, dice S. Luca, non poteva essere più certa e più splendida. Per il periodo di quaranta giorni si mostrò redivivo ai suoi Apostoli e nei modi più svariati per dileguare ogni ombra di dubbio. Si mostrò alle donne, a Pietro, a Giacomo separatamente, a due discepoli lungo la via di Emmaus, a sette sulle rive del lago di Tiberiade, a dieci e poi ad undici insieme raccolti nel Cenacolo di Gerusalemme; poi finalmente allorché salì al Cielo fu visto da circa cento e venti persone [S. Luca, narrata la Ascensione di Gesù Cristo, dice che gli Apostoli (e dà il nome di tutti undici) insieme con Maria e le donne si raccolsero nel Cenacolo in Gerusalemme, e tra parentesi aggiunge: – Che erano circa 120 -. Dal contesto sembra chiaro che questi 120 furono sul colle degli Olivi spettatori della Ascensione di Cristo. Si noti poi che gli Ebrei, allorché danno il numero delle persone, non comprendono mai le donne.], ed altra volta, che San Paolo afferma in modo solenne senza specificare il luogo e il modo, mostrossi insieme a cinquecento fratelli (I. Cor. XV. 6). Con loro parlò, con loro mangiò; volle che gli toccassero le mani e il costato perché si accertassero essere ben Egli il loro Maestro risuscitato, non ombra o spirito. La sua Risurrezione, considerata la lunghezza del tempo, la varietà delle apparizioni e delle prove e tenuto conto del numero dei testimoni, poteva ella essere più manifesta e più accertata? Mi appello a voi. – In tutte codeste apparizioni Gesù Cristo più o meno lungamente si trattenne e naturalmente parlò con gli Apostoli e con quanti erano presenti. E di quali cose parlò Egli con essi? Se noi scorriamo i quattro Evangeli e questo primo capo degli Atti Apostolici, troviamo alcuni cenni intorno alle cose che Gesù disse loro; ma ogni ragione vuole ch’Egli parlasse loro e ampiamente di tutto ciò che loro importava conoscere nell’esercizio dell’altissima missione loro affidata. S. Luca, con due sole parole, accenna il soggetto di queste istruzioni, che Gesù dava agli Apostoli e che dovevano essere la regola della loro condotta privata e specialmente pubblica, dicendo: – Loquens de regno Dei – Parlando del regno di Dio -. Qual regno di Dio? Certamente il regno di Dio sulla terra, cioè la Chiesa, che è la preparazione e il mezzo necessario per entrare nel regno di Dio, il Cielo e la vita beata. Ma se lo Scrittor sacro con estremo laconismo indicò l’argomento dei discorsi di Cristo con gli Apostoli in genere, non li significò in particolare, rimettendosi in questo alla tradizione orale. E qui riceve nuova e gagliarda prova la Dottrina Cattolica, che professa la Scrittura santa non contenere tutto l’insegnamento di Gesù Cristo, ma questo aversi pieno e perfetto nella tradizione orale. Dicano i fratelli nostri protestanti quante e quali furono le cose dette da Gesù Cristo agli Apostoli e comprese in quelle tre parole – Loquens de regno Dei? – E dovevano essere cose d’alto momento e perché venivano da tanto Maestro e perché riguardavano l’opera di Lui per eccellenza, la Chiesa, e perché  erano gli ultimi ricordi che loro lasciava. L’insegnamento orale adunque degli Apostoli e della Chiesa devesi considerare come il complemento non solo utile, ma necessario di. quello che abbiamo nei Libri Santi. – S. Luca nel versetto che segue ci fa sapere qual fu uno degli argomenti di queste conversazioni od istruzioni di Gesù Cristo, scrivendo: – Stando insieme a mensa, comandò loro non si dipartissero da Gerusalemme, ma vi aspettassero la promessa del Padre, che voi avete udito (disse) dalla mia bocca -. Dovevano fermarsi in Gerusalemme finché fosse adempiuta la promessa che Egli stesso aveva fatta a nome suo e del Padre – di mandare loro lo Spirito Santo. E perché  fermarsi in Gerusalemme? Perché là e non altrove, Gesù Cristo vuole che ricevano lo Spirito Santo? Perché là dove Gesù Cristo patì e morì, là se ne vedesse il primo frutto: perché là dove sul vertice della sua croce fu posta per ischerno la scritta: – Questi è il Re dei Giudei -, là cominciasse il suo regno, regno di tutti i secoli. Perché là dove Gesù Cristo lasciava i suoi Apostoli, là ricevessero lo Spirito consolatore, che doveva tenerne il luogo e continuarne l’opera. Perché là dove Gesù Cristo con la sua morte aveva posto fine alla legge mosaica, lo Spirito Santo proclamasse la nuova legge e dal centro della Sinagoga uscisse la Chiesa, che ne era la meta ed il termine. Accennata la promessa dello Spirito Santo che sarebbe disceso sugli Apostoli, Gesù ne tocca gli effetti, chiamando quella comunicazione miracolosa: Battesimo e altrove Battesimo di fuoco – Giovanni battezzò con l’acqua, dice Cristo, e voi sarete battezzati con lo Spirito Santo fra pochi giorni -. – Giovanni, così il divin Salvatore, battezzava il popolo sulle rive del Giordano, e voi ed Io con voi vi andammo. Che Battesimo era quello? Battesimo con acqua: esso, per sé, non mondava l’anima, ma solo il corpo. Per esso voi vi riconoscevate peccatori, bisognevoli di purificazione: esso non infondeva grazia alcuna nelle anime vostre; vi eccitava soltanto a desiderarla, destandovi la fede in Lui, che Giovanni annunziava e che ora vi parla. Voi ora siete mondi in virtù della mia parola: nell’anima vostra alberga la mia grazia e con essa il germe della vita divina. Ma la missione, che siete per cominciare domanda una forza più gagliarda, una vita più potente, un novello Battesimo, non di acqua, ma di fuoco e l’avrete tra pochi giorni -. È chiaro che Gesù Cristo in questo luogo col nome di Battesimo nello Spirito Santo designa la venuta dello Spirito Santo e la trasformazione operata negli Apostoli il giorno delle Pentecoste e la designa con questo nome perché vi è una certa somiglianza col Battesimo di acqua. Questo si riceve una sola volta e una sola volta in modo sensibile lo Spirito Santo discese sugli Apostoli: questo depose nell’anima una vita nuova, che si svolse nella vita cristiana, stampando in essi un segno incancellabile: e lo Spiritò Santo depose in essi una nuova energia, che si svolse nelle opere tutte dell’Apostolato. – Ma ritorniamo alla narrazione di S. Luca, il quale riporta una domanda degli Apostoli a Gesù, la quale se da una parte dimostra la semplicità e, diciamolo pure, la ignoranza degli Apostoli, dall’altra mette in piena luce la divinità del divino Maestro verso di loro e prova insieme l’ammirabile sincerità del sacro scrittore. Uditela: – Intanto i convenuti colà lo interrogarono dicendo: Signore, restituirai tu forse in questo tempo il regno ad Israele? – Per comprendere questa domanda, che sembra a noi molto strana, conviene conoscere le idee che allora fermentavano nel popolo giudaico non meno che nei suoi capi, alle quali naturalmente gli Apostoli non potevano essere estranei. E tanto più conviene conoscere queste idee, delle quali gli Apostoli si fanno interpreti presso del Maestro in quanto che esse ci danno la chiave per spiegare la terribile apostasia della nazione e la catastrofe che ne seguì. Scorrete i libri dell’antico Testamento e particolarmente i Salmi ed i Profeti: in moltissimi luoghi si promette il Messia e sotto le più svariate forme lo si presenta e si descrive. Si predicano, è vero, le sue umiliazioni, i suoi dolori, la sua morte in modo che sembrano una storia piuttostoché una profezia; ma lo si dipinge pure come un re potentissimo, un gran duce vincitore, un conquistatore glorioso, che strapperà il suo popolo dalle mani dei nemici, che lo rivendicherà a libertà e stenderà il suo scettro pacifico su tutta la terra. Che ne avvenne? Ciò che doveva avvenire in un popolo sì fiero della propria indipendenza, orgoglioso, tenacissimo e che dopo le terribili prove, da cui era uscito contro i Babilonesi e contro i re Siri, al tempo dei Maccabei, fremevano sotto il giogo romano. Come gli individui e più degli individui i popoli hanno il loro amor proprio, il loro egoismo nazionale, che può toccare i gradi estremi. Gli Ebrei tenevano salda la speranza del futuro Liberatore, del quale parlavano i profeti, i riti ed i simboli in tante forme rappresentavano; l’aspettavano, lo desideravano ardentemente. Ma la loro natura grossolana, il desiderio ardentissimo di scuotersi dal collo l’abbominata signoria straniera e l’orgoglio nazionale fecero sì che nel Messia promesso, nel Liberatore annunziato dai Patriarchi e dai Profeti, più che il Liberatore delle anime vedessero il liberatore dei corpi, più che il Redentore del mondo aspettassero il vindice della nazione, un Davide glorioso, un Maccabeo restauratore di Israele. Foggiatasi questa idea bizzarra e falsissima del Messia, che accarezzava il loro orgoglio e rispondeva alle condizioni politiche sì dolorose ed umilianti della nazione, è facile immaginare come i Giudei dovessero accogliere Gesù Cristo, che annunziava un regno spirituale, che voleva si rendesse a Cesare ciò che era di Cesare e che mandava in fumo le speranze di libertà e grandezza temporale, che si aspettavano. È questa la causa precipua della cecità de’ Giudei e del ripudio di Cristo e che trasse in rovina la nazione intera. Terribile lezione. che troviamo ripetuta sventuratamente anche in alcuni popoli cristiani! Perché l’Oriente ai tempi di Fozio e poi di Michele Cerulario si separò da Roma e cadde nello scisma e nella eresia, in cui giace ancora? La causa principale fu l’orgoglio nazionale dei Greci, ai quali pareva una umiliazione ubbidire al Pontefice di Roma e sottostare ai Latini. Perché la maggior parte della Germania consumò la sua separazione dal centro dell’unità cattolica, che risiede in Roma? Vuolsi ascriverne la causa principale alla gelosia nazionale: ai fieri Germani mal sapeva ricevere la legge da Roma, a loro, figli di Arminio. Perché l’Inghilterra ruppe i vincoli, che da secoli la tenevano unita a Roma? Perché le parve a torto minacciata la sua indipendenza nazionale. Se bene si guarda quasi tutti gli scismi e quasi tutte le grandi eresie, che desolarono la Chiesa, ebbero la loro funesta radice nel sentimento esagerato e male inteso della dignità e grandezza nazionale. È una prova tremenda per un popolo il sospetto, il solo timore, che gli interessi religiosi possano offendere il sentimento patriottico: nella lotta vera o immaginaria che sia v’è un grande pericolo, che il popolo agli interessi del Cielo anteponga i terreni e respinga una Chiesa od una Religione che gli sembra domandare il sacrificio della patria e tanto più grande è il pericolo quanto più ardente è l’amore della patria stessa. Ma guai a quel popolo che si lascia accecare! L’esempio d’Israele è là sotto gli occhi del mondo intero. Torniamo al sacro testo. – Gli Apostoli, benché poveri figli del popolo, rozzi pescatori, nati e cresciuti sugli estremi confini della nazione, ai piedi del Libano e lontani dal centro d’Israele, Gerusalemme, dove batteva il cuore della nazione e ardeva il focolare del patriottismo, non erano estranei alle speranze comuni, né insensibili al fremito del popolo. L’uomo nasce e vive patriota e tutto ciò che suona onore, libertà e grandezza della patria, trova sempre aperta la via del suo cuore e se vi è uomo, in cui l’amore della patria non trova eco, dite pure che è un miserabile, un essere degradato. Era dunque naturale che gli Apostoli, anime rette, forti e generose, ancorché prive d’ogni coltura, sentissero vivo l’amore della patria e partecipassero al sentimento comune, spingendolo fino al pregiudizio fatale di assegnare al Messia, e per conseguenza a Gesù Cristo, la missione di liberatore dal giogo straniero. E che gli Apostoli tutti fossero vittima di questo pregiudizio comune, figlio d’un patriottismo male inteso, e ciò fino alla Ascensione di Gesù Cristo al Cielo, apparisce in modo indubitato dalla domanda che ingenuamente e non senza qualche peritanza, gli mossero: – Signore, restituirai tu forse in questo tempo il regno ad Israele? – La domanda è fatta in modo, che sembra deliberata in comune, riserbata in sull’ultimo come cosa gravissima, nella speranza che il Maestro ne parlasse anche non richiesto e concepita in termini che esprimono l’angustia e l’incertezza dell’animo loro. Qual fu la risposta di Gesù? È semplicissima e l’avete udita. Egli, il divino Maestro, li lascia dire e li ascolta. Non una parola di stupore, non un accento solo di rimprovero per tanta ignoranza, dopo sì lungo tempo di scuola avuta da Lui, e tanta ignoranza sopra un punto capitale, che riguardava il fine della divina sua missione. Quanta benignità! Quanta carità con questi suoi cari Apostoli! Egli, vedendo le loro menti ingombre di sì gravi pregiudizi, tace e dissimula e non si prova nemmeno a dissiparli, perché non l’avrebbero compreso. Aspetta che il tempo e la luce che tra breve getterà nelle loro menti lo Spirito Santo, li rischiarino e mettano fine ai loro dubbi. Grande e sublime lezione per tutti e particolarmente per quanti hanno l’ufficio di ammaestrare il popolo! Quante volte accade di trovare persone piene di errori, che non si arrendono alle dimostrazioni più evidenti, che non sanno spogliarsi di certi pregiudizi succhiati col latte, che chiudono gli occhi della mente a verità chiarissime! Che fare? Talvolta sono vittime della educazione, dell’ambiente, come si dice, delle correnti popolari, di passioni per sé non sempre spregevoli. Combatterle risolutamente a viso aperto sarebbe forse cosa vana e talora anche nociva, perché ecciterebbe più vive le passioni facendosi l’amor proprio offeso loro patrocinatore. In molti casi giova tacere, dissimulare, attendere che le passioni sbolliscano, che il tempo ammaestri, e non è raro il caso che le menti si aprano da se stesse alla luce di quelle verità che prima si erano fieramente rigettate. L’esempio di Cristo lo prova. Egli lasciò cadere la domanda; non negò, né affermò; ma, riconducendo la mente dei suoi diletti Apostoli a ciò che maggiormente importava e dalle cose temporali richiamandoli, come sempre soleva fare, alle celesti, rispose: – Non spetta a voi conoscere i tempi e le congiunture, che il Padre ha serbato in sua balìa. – Che fu un dire: a che fermate il vostro pensiero sulle sorti future del regno d’Israele? Voi non potete mutarle; esse sono nelle mani di Dio, che solo le conosce e le regola nella sua sapienza. Ad altra impresa e troppo più alta e importante voi siete chiamati: di questa vi occupate, che è vostra, e quell’altra rimettete al divino volere. – Del resto qual era la sorte riserbata alla nazione giudaica e nominatamente alla sua capitale, Gerusalemme, cinquanta giorni innanzi l’aveva detto e descritto coi colori più vivi e la memoria doveva essere ancor fresca negli Apostoli. Non aveva lor detto, pochi giorni prima della sua passione, che sarebbe scoppiata una guerra sterminatrice con rivolte e tumulti? Non aveva chiaramente annunziato un assedio terribile, la presa della città, la distruzione del tempio, sì che non ne sarebbe rimasta pietra sopra pietra e ammonitili che fuggissero ai monti per non essere involti nella catastrofe? In quella profezia sì chiara e particolareggiata, che non potevano aver dimenticata, perché recentissima, si conteneva la risposta alla domanda: – È questo il tempo, nel quale restituirai il regno ad Israele? – Ma non è inutile il ripeterlo, quando un pregiudizio è profondamente abbarbicato nell’animo non valgono le ragioni più evidenti a svellerlo, ed è saggezza aspettare il beneficio del tempo e della esperienza, come fece Cristo, il quale, messo da banda questo argomento affatto umano e che allora non interessava, continuò, dicendo: – Piuttosto voi riceverete la potenza dello Spirito Santo, il quale verrà sopra di voi -. Ben altro regno che quello temporale d’Israele, del quale mi fate domanda, si deve fondare e tosto e per opera vostra. E come e quando? Appena avrete ricevuto lo Spirito Santo, che vi riempirà della sua forza divina tra pochi giorni e trasformandovi in altri uomini, vi renderà strumenti atti all’ardua impresa; e allora, da Lui supernamente illustrati, comprenderete qual sia il regno, ch’Io sono venuto a stabilire, regno della verità, regno dell’anime, che comincerà qui in Gerusalemme, si allargherà in tutta la Giudea e nella Samaria, che sono i confini del regno d’Israele, di cui parlate, e poi si distenderà fino agli estremi della terra. In tal modo Gesù Cristo accenna alla differenza immensa, che corre tra l’angusto e temporal regno sognato dagli Apostoli e quello senza confini e spirituale, ch’Egli per opera loro avrebbe fondato e implicitamente risponde alla domanda, che gli avevano fatta: – In questo tempo restituirai tu il regno ad Israele? – E qui cade in acconcio toccare alcune verità, che non sono senza importanza. E primieramente osservate tracciato agli Apostoli l’ordine della loro predicazione: essi dovevano cominciare la loro missione in Gerusalemme, poi spandersi nella Giudea, poi portarla in Samaria, che è quanto dire annunziare prima la buona novella ai figli di Abramo disseminati sul territorio delle dodici tribù, pigliando le mosse dalle due rimaste fedeli. Compiuta questa missione presso i figli d’Israele, il muro, che fino allora aveva separato il popolo eletto da tutti gli altri doveva cadere e aprirsi a tutti indistintamente la porta del novello regno, regno universale e duraturo fino al termine dei tempi. Disegno più audace di questo e umanamente di questo più impossibile non s’era mai visto, né mai era caduto in mente d’uomo e direttamente feriva l’orgoglio del popolo ebraico, sì tenace e sì geloso del suo più assoluto isolamento. Il carattere della più vasta universalità per ragione dello spazio e del tempo, che Cristo in questo luogo imprime al suo regno, siffattamente ripugna alle idee del mondo pagano e più ancora del mondo ebraico, che anche solo basta d’avvantaggio a mostrarli in Chi lo concepì e sì chiaramente l’annunzi la coscienza della propria forza al tutto sovra umana e divina. Osservate in secondo luogo che Cristo costituisce gli Apostoli testimoni – Eritis mihi testes – Testimoni di che? Dei fatti e dei miracoli (e per conseguenza della dottrina dai fatti e dai miracoli provata), che avevano veduto coi loro occhi. Ufficio adunque degli Apostoli e dei loro successori è quello di attestare e affermare costantemente e dovunque l’insegnamento di Cristo, la cui certezza poggia sui miracoli da Lui operati. Essi non sono che testimoni e perciò loro ufficio è quello di conservare pura e intatta la Dottrina di Cristo, quale uscì dalle sue labbra, senza aggiungere o levare ad essa pure un’apice. Perciò il ponetevelo bene nell’animo, o dilettissimi, la Chiesa, continuatrice dell’opera degli Apostoli non crea una sola verità nuova, non altera, né dimentica, né omette una sola delle verità caduta dalle labbra di Cristo e degli Apostoli: tutte le conserva e le trasmette fedelmente, come un cristallo tersissimo trasmette i raggi del sole, benché le svolga più largamente e di nuove e più ampie prove secondo i tempi e i luoghi le avvalori. Finalmente non dimenticate mai, o dilettissimi, che questo doppio ufficio di propagatrice e conservatrice infallibile della Dottrina di Cristo la Chiesa lo adempì e adempirà sempre, non per virtù propria, ma sì unicamente per virtù di quello Spirito Santo, che Cristo promise agli Apostoli e che rimarrà nella Chiesa fino all’ultimo giorno de’ secoli, secondo la sua promessa solenne. È bene a credere che Cristo, trattenendosi con gli Apostoli a lungo e più volte per lo spazio di quaranta giorni, altre cose disse loro, che non sono registrate da S. Luca, ma che si conservarono religiosamente nell’insegnamento orale degli Apostoli stessi e della Chiesa. S. Luca, compendiate queste cose, narra che Gesù condusse gli Apostoli fuori, in Betania, il castello di Marta, Maria e Lazzaro, presso Gerusalemme (S. Luca, XXIV, 51) e benedicendoli amorosamente – sotto i loro occhi levossi in alto – Videntibus illis, elevatus est –  Cristo levossi da terra per virtù della sua divina persona e sembra che ciò facesse a poco a poco, volti sempre gli sguardi sorridenti e stese le braccia verso i suoi cari Apostoli e discepoli e sopra tutto verso la Madre sua, che indubitatamente era colà, come si rileva dal versetto quattordicesimo di questo primo capo degli Atti Apostolici. Levossi in alto – Elevatus est – cioè levossi al Cielo. Che vi sia un luogo dove Iddio si manifesta svelatamente nella sua gloria a quelli, che hanno meritato di vederlo e bearsi in Lui e che si dice cielo, non vi può essere dubbio alcuno e la natura stessa degli Angeli e particolarmente degli uomini, che vi sono chiamati, lo esige. Ma dove sia questo luogo e questo Cielo a noi è perfettamente ignoto. Finché gli uomini, giudicando secondo i sensi e perciò seguendo le idee astronomiche di Tolcredevano la terra immobile, centro universale del creato e gli astri e le stelle poste in alto e d’altra natura incomparabilmente più nobile della terra, si comprende come potessero e dovessero collocare il Cielo, questo luogo di delizie, questa dimora gloriosa lassù in alto, negli astri, nelle stelle, nel Cielo immobile, che a tutte le cose sovrasta. L’idea cristiana del Cielo, elevandosi ai sublimi concetti di Dio, della sua immensità, degli spiriti, delle anime e dei corpi gloriosi, conserva pur sempre l’idea d’un luogo particolare, dove Dio mostra la sua presenza e la sua gloria, ma non determinò mai precisamente in qual regione sia posto questo luogo, se sopra o sotto di noi, se ad Oriente od Occidente, a tramontana o mezzogiorno. I Libri Santi tacciono, la tradizione è muta e la Chiesa, che n’è l’interprete, insegna che il Cielo de’ beati, il paradiso vi è, ma dove sia nol disse mai. E perché non potrebb’essere sulla terra istessa? Là dove è Dio svelato alle anime, là può essere il Cielo; e non potrebbe Iddio mostrarsi loro qual è qui sulla terra, campo dei loro combattimenti e delle loro vittorie e perciò anche luogo del loro trionfo? Che importa che noi non vediamo nulla? Chi può vedere Iddio, i puri spiriti, i corpi gloriosi? Cristo non vive sulla terra nel Sacramento dell’altare invisibile? E certo dove è Cristo ivi è altresì il Cielo, di cui è il Re. Disse profondamente il poeta teologo che ogni dove è paradiso ed è questo il vero concetto del Cielo secondo la ragione e secondo la fede e questo teniamo. Ma voi direte: E pur sempre vero che il testo sacro, narrando l’ascensione di Cristo, ce lo descrisse in atto di salire in alto – Elevatus est -; e noi stessi, allorché accenniamo il Cielo, leviamo in alto le mani quasi fosse lassù sopra dei nostri capi. È vero: Cristo, salendo in Cielo, montò in alto, non perché il Cielo sia piuttosto in alto che in basso ma per mostrare che la sua presenza visibile cessava sulla terra e cominciava un’altra maniera differentissima di vita; e poiché le cose più nobili e più eccellenti per noi si dicono metaforicamente alte e ce le rappresentiamo, non in basso, ma in alto; così Cristo per farci conoscere il suo nuovo modo di esistere in Cielo, salì in alto. Per la stessa ragione, allorché noi parliamo del Cielo, leviamo in alto le mani e gli occhi come se il Cielo fosse sopra de’ nostri capi Poiché Gesù fu levato in alto, una nube, dice il sacro scrittore, lo tolse ai loro occhi. Qual nube? Porse fu vera nube, o come inclino a credere e mi sembra più conforme al fatto e alla maestà di Cristo, quella fu uno splendore di luce meravigliosa, che a guisa di nube lo circonfuse e lo rese invisibile agli occhi degli Apostoli, che lo seguivano con ansia amorosa, con gioia ineffabile e dolore vivissimo, come potete immaginare. – Allorché gli Apostoli stavano pur con gli occhi fissi in alto cercando di vedere il Maestro, che si era dileguato in mezzo a quei fulgori celesti, ecco ad un tratto due personaggi bianco vestiti stettero presso di loro, quasi inosservati, perché gli occhi loro erano fermi lassù in alto. S. Luca non dice che fossero Angeli, ma non è a dubitarne dal contesto. Li chiama personaggi (viri), non Angeli, perché apparvero con forme umane e certo non è questo il primo luogo, in cui gli Angeli si chiamano uomini. Essi, riscossi gli Apostoli da quella loro estasi, volsero loro la parola, dicendo: – 0 Galilei, che state a riguardare in Cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi fu assunto in Cielo, verrà al modo istesso, onde lo vedeste andarsene -. Quegli Angeli rammentarono agli Apostoli una verità, che più volte avevano udita dalla bocca di Cristo, cioè la sua venuta gloriosa al termine dei tempi. Vedete somiglianza tra i due fatti della salita di Cristo al Cielo e della futura sua venuta, toccata dal sacro Autore. E sempre sopra una nube, che Gesù si mostra, sia che parta dalla terra, sia che vi ritorni, per indicare la sua maestà e la piena signoria ch’Egli ha sopra ogni cosa. Nella stessa trasfigurazione la voce celeste si fa udire dal seno d’una nube e attraverso ad una nube Mosè intravvede Dio. Con la mente e col cuore abbiamo seguito Cristo, che sale al Cielo: prepariamoci con la mente e col cuore ad accoglierlo nella finale sua venuta per essergli compagni nel suo rientrare nella gloria celeste e vivere beati con Lui per tutti i secoli dei secoli.

Alleluia
Allelúia, allelúia.
Ps XLVI:6.
Ascéndit Deus in iubilatióne, et Dóminus in voce tubæ. Allelúia.
[Iddio è asceso nel giubilo e il Signore al suono delle trombe. Allelúia.]

Ps LXVII:18-19.
V. Dóminus in Sina in sancto, ascéndens in altum, captívam duxit captivitátem. Allelúia.  [Il Signore dal Sinai viene nel santuario, salendo in alto, trascina schiava la schiavitú. Allelúia.]

Evangelium
Sequéntia sancti Evangélii secúndum Marcum.
Marc XVI:14-20
In illo témpore: Recumbéntibus úndecim discípulis, appáruit illis Iesus: et exprobrávit incredulitátem eórum et durítiam cordis: quia iis, qui víderant eum resurrexísse, non credidérunt. Et dixit eis: Eúntes in mundum univérsum, prædicáte Evangélium omni creatúræ.
Qui credíderit et baptizátus fúerit, salvus erit: qui vero non credíderit, condemnábitur. Signa autem eos, qui credíderint, hæc sequéntur: In nómine meo dæmónia eiícient: linguis loquantur novis: serpentes tollent: et si mortíferum quid bíberint, non eis nocébit: super ægros manus impónent, et bene habébunt. Et Dóminus quidem Iesus, postquam locútus est eis, assúmptus est in cœlum, et sedet a dextris Dei. Illi autem profécti, prædicavérunt ubíque, Dómino cooperánte et sermónem confirmánte, sequéntibus signis.

OMELIA II

[Ut supra, Commento del Vangelo]

– Mentre (gli undici Apostoli) stavano a mensa, Gesù apparve loro e rampognò la loro incredulità e durezza di cuore, perché a quelli, lo avevano veduto risorto, non avevano creduto, e disse loro: Andando per tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura; chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvo; ma chi non avrà creduto, sarà condannato. I segni poi che accompagneranno quelli, che avranno creduto, sono questi: Nel mio nome scacceranno demoni, parleranno nuovi linguaggi, torranno via serpenti e se alcun che di mortifero avranno bevuto, non ne avranno nocumento: porranno le mani sopra gli infermi e guariranno. E poiché il Signore ebbe parlato loro, fu accolto in Cielo e siede alla destra di Dio. Gli Apostoli intanto usciti, predicarono per tutto, cooperando il Signore e confermando la parola coi segni che seguitavano (S. Marco, XVI, 14, 20) -.

Ogni mistero, che la Chiesa ricorda e festeggia, si rispecchia naturalmente nella sua liturgia e segnatamente nella epistola e nel tratto evangelico, che fa leggere ai suoi sacerdoti nella Santa Messa. Così è del mistero o fatto della Ascensione di nostro Signore, che celebriamo in quest’oggi. Esso è narrato nella Epistola, che è tolta dal capo primo degli Atti Apostolici, che abbiamo spiegato nel Ragionamento antecedente e si narra pure in modo meno particolareggiato negli ultimi versetti di S. Marco, che testé si cantavano. Mi parrebbe cosa meno conveniente se dopo avervi commentato il fatto registrato negli Atti Apostolici, non lo commentassi eziandio quale è riferito succintamente da S. Marco. E tanto più mi induco a farlo in quantoché nei due testi vi sono parecchie differenze e si toccano cose e verità distinte tanto che non sarò costretto a ripetizioni, che riescono di peso anche quando sono utili. Non occorre il dirlo: il mio non è propriamente un Ragionamento, come vuole il titolo, ma un’Omelia, giacché è una chiosa del testo evangelico. Ma, Ragionamento od Omelia che sia, ciò che sono per dirvi merita tutta la vostra benevola attenzione. Le manifestazioni di Cristo alle pie donne e agli Apostoli dopo la sua Risurrezione, in Gerusalemme e poi nella Galilea e poi di nuovo in Gerusalemme, sono parecchie (se ne contano nove nei Vangeli): ma si narrano in modo sì succinto e con particolari sì scarsi e talora diversi, che non è agevol cosa ordinarle tutte e collocarle ciascuna al suo posto. Onde non è meraviglia che dopo tanti e sì pazienti studi degli interpreti si trovino ancora alcuni punti oscuri quanto al modo, al luogo, al tempo ed alle circostanze, in cui queste apparizioni avvennero; la qual cosa lungi dal gettar ombra di dubbio sulla certezza del fatto della Risurrezione lo conferma maggiormente, perché le differenze della narrazione sono affatto accidentali e mostrano che tra gli Evangelisti non v’ebbe accordo precedente, ma ciascuno narrò i fatti come li vide od udì, non curandosi d’altro!). S. Marco in special maniera è brevissimo e, accennate appena le due apparizioni di Gesù a Maria Maddalena e ai due discepoli nel castello di Emmaus, chiude con la terza ed ultima apparizione fatta agli undici Apostoli nel Cenacolo di Gerusalemme. E qui comincia il Vangelo di questo giorno: – Da ultimo Gesù, stando gli undici (Apostoli) a mensa, apparve loro -. S. Giovanni, testimonio di veduta, quanto alle apparizioni di Cristo è senza dubbio il più copioso. Egli, descritta la apparizione a Maria Maddalena, avvenuta al mattino della Domenica di Pasqua, narra subito quella avvenuta la sera stessa, a porte chiuse, in Gerusalemme, a dieci Apostoli, non trovandosi con loro Tommaso, come nota accuratamente (Cap. XX, 24). – Tommaso rifiutò ostinatamente di credere ciò che gli narrarono i dieci compagni. Otto giorni appresso, scrive Giovanni, gli Apostoli erano ancora raccolti insieme, a porte chiuse, nello stesso luogo secondo ogni verosimiglianza, e Tommaso era con essi (v. 26). Allorché adunque il nostro Evangelista S. Marco ci dice che: – Da ultimo Gesù apparve agli undici (Apostoli) mentre stavano a mensa -, chiaramente si riferisce alla seconda apparizione descritta da Giovanni, quando gli Apostoli erano, non dieci, ma undici. Così armonizzano i due Evangelisti. Nota in questo luogo il Vangelista che Gesù apparve agli undici mentre erano a mensa; e questa sembra l’apparizione descritta da S. Luca (XXIV, 41, 42), nella quale Gesù per mostrare la verità della Risurrezione, disse agli Apostoli: Avete qui alcun che da mangiare? E mangiò un po’ di pesce e di miele. Ma, lasciando da parte tutte queste cose, che interessano l’ordine dei fatti evangelici più che le verità insegnate da Cristo, poniamo mente a queste parole: – Gesù, dice S. Marco, rampognò la loro incredulità e durezza di cuore -. Nel periodo dei quaranta giorni che Cristo visse sulla terra tra la Risurrezione e la Ascensione, si devono distinguere due parti: la prima parte abbraccia i primi dieci o dodici giorni e nominatamente la prima settimana. In questo periodo di tempo i dubbi, i timori, le incertezze degli Apostoli furono molte; anzi in alcuni, come in Tommaso, apparve una ostinazione inescusabile in rifiutare la verità della Risurrezione: nel secondo periodo fino alla Ascensione cessarono dubbi e le incertezze e gli Apostoli credettero fermamente. – I rimproveri pertanto riguardano la incredulità e la durezza degli Apostoli nel primo periodo, non nel secondo, e più particolarmente riguardano Tommaso. S. Marco determina il perché di questi rimproveri, soggiungendo: – Perché a quelli, che l’avevano veduto risorto, non avevano creduto -. Questa osservazione ci fa comprendere come il rimprovero della incredulità e durezza di cuore era rivolto, non a tatti, ma soltanto ad alcuni, a quelli cioè che avevano appreso la sua Risurrezione per mezzo d’altri. E non erano essi colpevoli? Gesù Cristo tante volte e con tanta chiarezza aveva annunziata la sua morte e promessa la sua Risurrezione, determinandone anche il tempo. Allorché dunque quelli che l’avevano veduto redivivo lo annunziavano ai compagni avevano diritto d’essere creduti e il non credere a loro era un’ingiuria, che loro si faceva, reputandoli o ingannati od ingannatori, ed era una ingiuria a Cristo stesso quasi ché fosse stato un profeta bugiardo, impotente a mantenere la promessa fatta di risorgere. Gesù Cristo adunque voleva che si prestasse fede e fede pienissima a quelli che affermavano d’averlo veduto e ch’Egli mandava ad annunziare la sua Risurrezione. È dunque dovere, o carissimi, di aggiustar fede a quelli che sono mandati da Lui e tengono l’ufficio di suoi ministri. Ora chi sono dessi i ministri della Chiesa, i Sacerdoti, se non mandati di Cristo, aventi l’ufficio di ripetere fedelmente il suo insegnamento? Credete adunque alla loro parola se non volete incorrere il biasimo di quelli che allora non credettero alle affermazioni di coloro che l’avevano veduto. – Qui S. Marco, omessa ogni altra cosa, riporta il comando di Cristo fatto agli Apostoli di annunziare il suo Vangelo: – Andando per tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura -. Non occorre avvertire che quella parola – Ogni creatura – vuolsi riferire ad ogni creatura ragionevole, ossia a tutto l’uman genere. È un fatto sul quale giova sempre fermare la nostra attenzione, perché unico nei fasti della storia umana e perché mette in rilievo il carattere di Cristo e della sua dottrina. Cristo, nato nell’ebraismo e per conseguenza nell’ambiente religioso più esclusivo che si possa immaginare; cresciuto in mezzo ad un popolo per il quale era un delitto, un sacrilegio allargare le promesse fatte ad Abramo ai gentili e comunicare con essi; Cristo impone a’ suoi discepoli (e quali discepoli!) di predicare la sua dottrina a tutti gli uomini, senza eccezione di sorta,  senza limite di tempo e di spazio e lo impone allorché Egli stesso sta per cessare la sua missione e separarsi da loro; e l’impone in modo che non lascia ombra di dubbio sull’esito finale dell’impresa; e l’unico mezzo, che mette nelle loro mani per un’impresa sì audace, anzi impossibile, è la parola: – Predicate -. Chiunque consideri con animo posato e scevro di pregiudizi il disegno di Cristo, il suo comando e il linguaggio che tiene, deve conchiudere: O Cristo è pazzo, o è l’arbitro assoluto delle menti e dei cuori, è Dio. L’esito, che ci sta sotto degli occhi e che ogni dì più grandeggia, ha confermato la sua parola: Egli è Dio, quel Dio stesso, che da un solo trasse l’uman genere (Atti Apost. XVII. 26) e lo riduce ancora all’unità massima, l’unità della verità, fatta comune a tutti. – Qual fatto, o carissimi, che dopo diciannove secoli va compiendosi sotto de’ nostri occhi con una forza tranquilla e irresistibile! Voi, dice Cristo agli Apostoli, voi predicherete la mia dottrina a tutti così com’Io l’ho predicata: nessuna forza materiale: la sola parola, la sola persuasione vi deve dare la vittoria. – Chi avrà creduto e sarà stato battezzato, sarà salvo: ma chi non avrà creduto, sarà condannato -. Voi, o Apostoli, con la parola portate la verità nella mente degli uomini: è questo il vostro ufficio; a loro accoglierla mercé della grazia, che in modo invisibile Io infonderò nei loro cuori. Se docili presteranno l’orecchio alla vostra parola e riceveranno con essa la verità che annunziate; se faranno anche ciò che la verità impone e riceveranno il Battesimo, il suggello della fede, con questo rito santifìcatore essi diventeranno figli della nuova famiglia, membri del nuovo regno e saranno salvi. Ma come, o Signore? Per essere salvi basta dunque credere ed essere battezzati? E le opere non sono esse necessarie come la fede e il Battesimo? – Carissimi! È d’uopo mettere insieme tutte le parole di Cristo; guai a chi fissa l’occhio sopra alcune soltanto e dimentica le altre! Tiene una parte, non tutta la dottrina di Cristo. Qui Cristo afferma necessaria la fede e necessario il Battesimo a salute: altrove dice che se vogliamo salvarci bisogna osservare la legge, mettere in pratica la fede, adempiere le opere della carità verso del prossimo; che colui il quale non nutre l’affamato, non disseta l’assetato, non veste l’ignudo, e non esercita le opere della carità, sarà da Lui condannato inesorabilmente nel dì del giudizio. Mettete insieme tutte queste parole di Cristo e troverete che se la fede e il Battesimo sono necessari a salvezza, non lo sono meno le opere, che sono il frutto della fede e del Battesimo. Che se in questo luogo Cristo non parlò delle opere, ma solo della fede e del Battesimo, egli è perché, affermando la necessità della fede, implicitamente affermava altresì la necessità delle opere, perché è la fede stessa che proclama la necessità delle opere. Allorché noi diciamo che chi respira l’aria vive, intendiamo forse di dire che l’aria sola sia bastevole per vivere? Neghiamo noi forse allora che sia necessario il cibo? Certo che no. Né meglio ragionano altri, che, appoggiati ai queste parole di Cristo, pensano non potersi dare il Battesimo ai bambini e a tutti quelli che non hanno l’uso della ragione, perché Cristo esige la fede prima del Battesimo – Chi avrà creduto sarà battezzato – e certamente i bambini e quelli privi di ragione non sono capaci della fede. È manifesto che Cristo in questo luogo parlava degli adulti, che non possono ricevere il Battesimo se prima non professano di credere. Del resto anche i bambini e quelli privi di ragione in qualche modo credono, non per sé, ma per mezzo dei genitori o di quelli che li rappresentano, per mezzo della Chiesa e, come senza loro volontà contrassero la colpa di origine, così senza loro volontà pel Battesimo la cancellano.E quelli, o Signore, ai quali non giungerà la parola dei vostri Apostoli e perciò non potranno nè credere, ne ricevere il Battesimo, li condannerete Voi? Condannare all’eterna perdizione quelli che non hanno la vostra fede e non ricevono il vostro Battesimo solo perché ignorano quella e questo senza colpa, sarebbe somma e orribile ingiustizia e Voi, o Signore, non la potrete mai fare. E Dio non la fa, né la farà mai, o cari. Tutti quelli che non credono al Vangelo, né ricevono il Battesimo senza loro colpa, non commettono peccato qualsiasi e non subiranno condanna alcuna, che non è giusto punire chi ha violata una legge che ignorava senza sua colpa [Convien distinguere tra la condanna positiva all’inferno, e la semplice esclusione dalla soprannaturale visione beatifica di Dio, ossia dal paradiso. Questa si può incorrere anche senza colpa, almeno propria e personale, non così quella. Chiunque, sia pure incolpevolmente, non ha fede soprannaturale e Battesimo (almeno in voto), è escluso dal paradiso; ma all’inferno non va, che chi si è fatto reo di peccato mortale. Quale sarà adunque lo stato di chi muore senza fede e senza Battesimo, ma incolpevolmente? S. Tommaso parlando dei bambini (ai quali si possono equiparare quegli adulti che si trovassero nello stesso caso, se pure è possibile) dice, che avranno una felicità naturale]. Dopo avere imposto la predicazione del Vangelo per tutto il mondo e annunziata chiaramente la mercede dovuta ai credenti e la pena riserbata agli ostinati non credenti, sorgeva naturale la domanda negli Apostoli: Ma come otterremo noi fede alla nostra predicazione? Se ci chiederanno le prove della dottrina, che annunziamo, che risponderemo noi, o Maestro? Dovranno essi gli uomini credere ciecamente, sulla nostra parola, a verità che superano la ragione, che impongono ardui sacrifici? Quali prove daremo noi della nostra missione? A questa domanda, che gli Apostoli tacitamente dovevano fare, Gesù risponde nei due versetti che seguono. Eccoli: – Torranno via serpenti e se alcun che di mortifero berranno, non ne riceveranno nocumento alcuno; porranno le mani sopra gli infermi e guariranno -. Con queste parole Gesù Cristo diede ai suoi Apostoli il potere di far miracoli e ciascuno comprende, che il potere è amplissimo e che il testo evangelico ne accenna alcuni soltanto per brevità. Non farò osservare che il potere di operare miracoli dato agli Apostoli non si vuole intendere dato per modo che essi li potessero fare a talento, come e quanto e quando loro piacesse come il potere di annunziare la Dottrina di Cristo e amministrare i Sacramenti e via dicendo. Era un potere affatto straordinario e ne usavano solo dove, quando, come e quanto piaceva a Dio e il più delle volte, credo io, senza che lo sapessero o volessero, secondoché Dio li ispirava e muoveva. – La storia della Chiesa dai tempi degli Apostoli fino a noi è piena, possiamo dire, di miracoli e il negarli, più che una empietà, sarebbe una stoltezza. Non io dirò che tutti e ciascuno (eccettuati, s’intende, quelli narrati nei Libri Santi) siano egualmente accertati; ma il negarli tutti od anche solo metterli in dubbio, sarebbe un vero oltraggio alla ragione e al senso comune. Certo nei primi tempi della Chiesa furono più frequenti, perché maggiore ne era il bisogno e S. Agostino ne dà la ragione (De vera religione, cap. 25); ma essi in varia misura si ebbero in tutti i secoli e non mancano eziandio ai nostri tempi. So bene che la parola miracolo fa spuntare sulle labbra di certi dotti il sorriso di compatimento: so bene ch’essi, stringendosi nelle spalle, vanno dicendo: – Sono leggende! Pie frodi! Superstizioni! Ignoranza delle leggi della natura! Creazioni della fantasia popolare, che ha bisogno del meraviglioso! Il miracolo, dicono essi in aria di trionfo, è impossibile: la scienza non lo ammette e fosse anche possibile, non fu, né sarà mai accertato -. È il linguaggio del razionalismo, e poiché qui cade in acconcio parlarne, dacché Cristo in forma solenne ne conferì il potere agli Apostoli, non vi sia grave, che ne dica quel tanto, che è necessario per mettere in sodo la verità cattolica e fornirvi l’armi per ribattere le accuse e le difficoltà. – Che è desso il miracolo, o carissimi ? È un fatto che cade sotto dei sensi, indubitato, che è impossibile attribuire alle forze della natura, perché ad esse superiore o contrario e che per conseguenza si deve attribuire alla causa delle cause: Dio. Il miracolo è possibile? E perché sarebbe impossibile? Chi ha create tutte le cose e fissate le loro leggi non potrebbe mutar quelle e sospendere queste ? Il legislatore è forse soggetto alle leggi per lui stabilite? – Ma se le sospende e le muta, muta la sua volontà, muta se stesso? — No, per fermo. Se così fosse non avrebbe potuto creare, né potrebbe provvedere al governo dell’universo. E poi quel mutamento che il miracolo introduce nelle leggi di natura fu previsto e voluto da Dio ab æterno e il miracolo non è che la attuazione del suo volere eterno: si muta dunque la legge, ma non si muta il legislatore. E voi, uomini, non sospendete e non mutate tante volte le leggi naturali coi mezzi naturali? Voi deviate il corso dei fiumi e delle folgori: voi vi sollevate in alto cogli areostati; voi dominate la forza stessa di attrazione, usando delle forze naturali, che sono in vostra mano. Perché non lo potrebbe far Dio? Ciò che possono fare le creature può farlo senza dubbio il Creatore, che precontiene in sé tutte le forze della natura. Chi oserebbe negarlo? Un miracolo inteso in questo modo non importa che si mutino o si sospendano le leggi di natura: esse stanno, ed è Dio stesso che fa ogni cosa. Curiosi questi dotti, che vorrebbero sottoporre Dio alle sue leggi e negare a Lui di mondare in un istante un lebbroso, di raddrizzare uno zoppo, di ridonare la vista ad un cieco, la favella a un sordo-muto e di ricongiungere al suo corpo l’anima che se n’è partita, a Dio che ha create tutte le forze, che ha creato l’uomo e tutto ciò che l’uomo possiede! Un medico con la sua scienza e co’ suoi farmaci, nel tempo conveniente, può guarire un infermo; e Dio non lo potrà in un istante con la sua sola volontà onnipotente? – Ma come potremo noi distinguere il miracolo dal fenomeno naturale, noi che non conosciamo che imperfettissimamente le leggi e le forze della natura? È troppo facile che la nostra ignoranza veda l’opera di Dio, il miracolo là dove non è che un fenomeno d’una forza occulta di natura? -. Se il vostro sospetto, che sia l’opera della natura quello che sembra miracolo, è ragionevole, tenete pur dubbio il miracolo. Quel fenomeno che si può spiegare naturalmente non è miracolo. È vero: noi non conosciamo tutte le forze della natura, ma non ne segue che possiamo dubitare del miracolo: basta osservare il fatto come avviene ed è facile distinguere ciò che è effetto di leggi naturali da ciò che è opera di Dio. Le leggi e le forze naturali operano in modi determinati, gradatamente, con l’applicazione di mezzi necessari: Dio opera senza questi mezzi, o con mezzi affatto impari e istantaneamente. Posso trasmettervi i miei pensieri col telegrafo o col telefono; ma sono obbligato a servirmi costantemente di quei mezzi che sono necessari: il medico può guarire un infermo che lotta con la morte, ma deve usare dei rimedi e domanda il tempo conveniente: nulla di simile nel miracolo. Non vi sono o se vi sono, tra loro e l’effetto non esiste proporzione alcuna. Chi giudica che l’effetto sia naturale o sopranaturale è e deve essere sempre la vostra ragione, la vostra scienza: il miracolo non si crede, ma si dimostra e il giudizio supremo e decisivo della sua esistenza spetta a voi, o dotti: a voi, rappresentanti della scienza [Parlo, com’è naturale, del miracolo in quanto è argomento di credibilità, e dei dotti in quanto non rinnegano il buon senso]. Un corpo da quattro dì giace nel sepolcro; il fetore che mena vi dice che la putrefazione è cominciata. Un uomo alla presenza d’una turba, in cui con gli amici sono confusi i nemici, lo chiama fuori della tomba: a quella voce il cadavere infradiciato si scuote, si leva e pieno di vita balza dal sepolcro. Un uomo risorge dopo tre dì dalla morte: dopo aver conversato per quaranta giorni co’ suoi discepoli, alla presenza di centinaia di persone, in pieno giorno, lascia la terra e si innalza al Cielo con un solo atto della sua volontà: Uomini della scienza, rispondete: questi fatti certissimi, innegabili, avvenuti sugli occhi di tanti testimoni, che non potevano ingannarsi, che non avevano interesse ad ingannare, che anzi avevano interesse a negarli o tacerli, potete voi attribuirli a forze occulte della natura operanti in quell’istante, proprio in quell’istante? Se è così, mostratelo; come uomini della scienza avete obbligo di mettere in luce queste nuove e misteriose forze; non vi è concesso di ripararvi dietro all’ignoto, all’ombra del mistero e dire: Possono essere forze ignote della natura quelle che operano -. Un “può essere”, a voi, che proclamate altamente i diritti sovrani della ragione, che questa sola riconoscete giudice inappellabile, disdice. I fatti son lì indubitati: nessuna forza naturale li può produrre; dunque vi è un’altra forza sovrannaturale, che li produce, la sola che li può produrre, è Dio -. Questo ci sembra buon senso, questo è il giudizio della ragione, che erompe spontaneo da ogni uomo, scevro da pregiudizi. I vostri dubbi , i vostri forse non fanno onore alla vostra ragione, che sembra cercare le tenebre là dove tutto è luce. – Ma quanti miracoli furono creati dalla superstizione, dall’inganno, dall’interesse, dall’ignoranza e dalla febbre del meraviglioso, onde le moltitudini troppo spesso sono invase! Tutte le Religioni della terra ne sono piene! Tutti i popoli narrano e magnificano i propri miracoli, che crescono in ragione della loro ignoranza e scemano in ragione della loro coltura e del loro progresso intellettuale. Ond’è ragionevole il credere che allorquando la ragione umana avrà compiute tutte le sue conquiste e sarà pervenuta al termine del suo cammino, del suo progresso, allora scomparirà dalla terra il miracolo, come le tenebre si dileguano dinnanzi al sole -. Molti miracoli furono creati dalla superstizione, dall’inganno, dall’interesse, dalla ignoranza, e dalla febbre del meraviglioso, onde le moltitudini sono invase: lo confessiamo. Ma tutti i miracoli hanno questa origine, anche quelli della Religione cristiana? Potete voi in buona fede mettere in un fascio i miracoli del paganesimo e del maomettismo con quelli di Mosè, di Cristo e degli Apostoli? Hanno tutti lo stesso carattere storico e morale? Perché con le monete vere si spacciano le false, direte voi che tutte son false? Perché coi rimedi efficaci della scienza medica han voga quelli dei ciarlatani, li proscriverete tutti insieme? Perché nei libri e nei monumenti della storia, le leggende e le menzogne più o meno intrecciate vanno talora mescolate coi fatti più certi e sicuri, avrete voi i diritto di rigettare ogni cosa? Avete solo il diritto e il dovere di sceverare il vero dal falso, il buono dal reo, questo serbando, quello rigettando. Il somigliante fate quanto ai miracoli: esaminateli, scrutateli senza prevenzioni, senza sistematici concetti, mossi dal solo amore del vero e troverete che i miracoli del Vangelo reggono alla critica più severa e che il negarli o anche solo il dubitarne è un fare violenza e oltraggio a quella ragione, di cui siete sì alteri. Troverete che se il progredire delle scienze e della ragione umana fa sparire i falsi miracoli e rende difficile e impossibile l’inventarne e spacciarne di nuovi, conferma e mette in maggior luce i veri, quelli su cui poggia la missione di Cristo e l’origine della Chiesa. La ragione umana e la scienza progredita faranno dileguare dalla terra il miracolo, si dice. Sì? Lo faranno dileguare quando avranno scacciato dalla terra e dal cielo, dalla mente e dal cuore degli uomini l’idea di Dio. Finche l’idea di Dio rimarrà nella mente e nel cuore degli uomini rimarrà pure l’idea del miracolo, che ne è inseparabile, come la luce e il calore è inseparabile dal sole. Perdonate questa digressione troppo lunga, ma non inutile e chiudiamo il commento del nostro Vangelo . E poiché il Signore Gesù ebbe parlato loro, fu accolto nel Cielo e siede alla destra di Dio -. L’Evangelista con questo versetto ricorda il fatto della Ascensione, su cui non richiamo la vostra attenzione, perché nel Ragionamento antecedente! fu più ampiamente esposto e me ne passo. – Chiude S. Marco il suo Vangelo con queste parole: – Quelli (cioè gli Apostoli) intanto, predicarono per tutto, cooperando il Signore e confermando la parola coi miracoli, che seguitavano -. È questo un richiamo alla promessa fatta da Cristo agli Apostoli, or ora accennata, con cui die’ loro il potere dei miracoli. La promessa, dice S. Marco, fu adempiuta e noi vedemmo Dio confermare coi miracoli l’insegnamento degli Apostoli e per tal guisa farsi loro cooperatore. I miracoli adunque sono la conferma della Dottrina, il suggello di Dio stesso. La Dottrina di Cristo per la massima parte trascende le forze della ragione umana: come potremmo noi dunque coglierla e tenerla con la maggiore fermezza, ci sia possibile? Sono due le vie, per le quali noi perveniamo al possesso d’una Dottrina qualunque: l’una è la ragione, il conoscimento della Dottrina stessa in sé; così conosciamo la matematica e tante altre cose naturali; l’altra è l’autorità e questa è umana, se è appoggiata a motivi umani; per essa conosciamo innumerevoli cose, per esempio tutti i fatti della storia. Può  essere divina, se è appoggiata a fatti divini, quali sono i miracoli operati in conferma d’una Dottrina e tale è appunto l’autorità degli Apostoli e della Chiesa. Uomini ragionevoli non siamo accogliere e tenere una dottrina qualunque senza prove ragionevoli proporzionate. Prove umane e naturali, dirette e decisive delle della fede non le abbiamo, né possiamo averle, perché a tanta altezza la ragion nostra non può assorgere. Come dunque potremo accoglierle e tenerle con ogni fermezza? Agli Apostoli e alla Chiesa che le annunziano noi diciamo: perché dobbiamo credere ciò che non intendiamo, né possiamo intendere? – Perché noi veniamo a nome di Dio -. Sta bene: e come ci provate ci venite a nome di Dio? – Ecco le nostre prove: i miracoli; esaminateli: sono la lettera credenziale dataci da Lui stesso -. I miracoli sono l’opera esclusiva di Dio, sono la sua parola e alla parola di Dio chi oserebbe rifiutar fede? E così, o cari, che la nostra fede a verità incomprensibili è ragionevole. Gli nomini della terra ricevono ed eseguiscono gli ordini del loro re quando ne vedono la firma e il suggello, benché non li comprendano; noi riceviamo ed eseguiamo gli ordini, le leggi, la dottrina di Cristo, ancorché non le comprendiamo, allorché la Chiesa, la sua ambasciatrice fedele, ci mostra la firma e il suggello di Lui: e la sua firma e il suo suggello sono i miracoli operati in suo nome.

Credo

Offertorium
Orémus
Ps XLVI:6.
Ascéndit Deus in iubilatióne, et Dóminus in voce tubæ, allelúia.
[Iddio è asceso nel giubilo e il Signore al suono delle trombe. Allelúia.]

Secreta
Súscipe, Dómine, múnera, quæ pro Fílii tui gloriósa censióne deférimus: et concéde propítius; ut a præséntibus perículis liberémur, et ad vitam per veniámus ætérnam. [Accetta, o Signore, i doni che Ti offriamo in onore della gloriosa Ascensione del tuo Figlio: e concedi propizio che, liberi dai pericoli presenti, giungiamo alla vita eterna.]

Communio
Ps 67:33-34
Psállite Dómino, qui ascéndit super coelos coelórum ad Oriéntem, allelúia.

[Salmodiate al Signore che ascende al di sopra di tutti i cieli a Oriente, allelúia.]

Postcommunio
Orémus.
Præsta nobis, quǽsumus, omnípotens et miséricors Deus: ut, quæ visibílibus mystériis suménda percépimus, invisíbili consequámur efféctu.
[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente e misericordioso, che di quanto abbiamo ricevuto mediante i visibili misteri, ne conseguiamo l’invisibile effetto].