G. FRASSINETTI: CATECHISMO DOGMATICO (VI)

[Giuseppe Frassinetti, priore di S. Sabina di Genova:

Catechismo dogmatico

Ed. Quinta, P. Piccadori, Parma, 1860]

CAPITOLO V.

DELLA GRAZIA DI DIO.

§ 1.

Nozioni delle varie sorti di Grazia, e particolarmente della Grazia Attuale.

— Che cosa s’intende sotto il nome di grazia di Cristo?

Un dono soprannaturale di Dio, il quale a riguardo dei meriti di Gesù Cristo è conferito all’uomo gratuitamente, perché conseguisca il suo fine soprannaturale, che è la salvezza eterna. Da questa definizione si vede, che sotto il nome di grazia di Cristo non intendiamo di parlare delle grazie naturali quali sono per esempio la sanità, o il buono ingegno; nemmeno della grazia concessa al primo uomo nello stato d’innocenza, ed agli Angeli; ma della grazia medicinale del Salvatore, la quale si concede all’uomo dopo la caduta del peccato originale a riguardo dei meriti del Salvatore medesimo.

— Come si divide questa grazia?

Si divide in grazia esterna, in grazia interna, e in grazia gratis data. Le grazie esterne sono gli esempi di Cristo, la predicazione del Santo Vangelo ecc. Le grazie interne sono le buone inspirazioni, i doni dello Spirito Santo. Le grazie gratis date sono quelle che si danno all’uomo non tanto per il di lui proprio vantaggio quanto per l’altrui, come i doni di profezia, di discrezione di spirito, di miracoli ecc. Ma la grazia della quale noi più di proposito vogliamo parlare è quella che si chiama dalle scuole: gratia interna gratum faciens, la quale è un dono soprannaturale particolarmente diretto alla spirituale salute di colui a cui si concede, e questa si divide in grazia attuale e grazia santificante, ovvero abituale.

— Quale é la grazia attuale?

Le grazie attuali sono quegli aiuti detti dalle scuole transeuntia, noi diremmo passeggieri, transitorii, momentanei, con i quali Dio, di volta in volta, aiuta la nostra debolezza affinché operiamo il bene, e non commettiamo il male in ordine alla salute dell’anima.

— Quale è la grazia santificante, ovvero abituale?

La grazia santificante è un dono di Dio soprannaturale, permanente e inerente per modo di abito all’anima nostra, mediante il quale l’uomo addiviene giusto e amico di Dio, perciò figlio di Dio adottivo, adottivo fratello di Gesù Cristo, ed erede del Paradiso.

— Potrebbe con qualche similitudine spiegarmi meglio la diversità che passa tra la grazia attuale e la grazia santificante?

Immaginatevi un fanciullino che sia caduto in un lago di fango. Questo fanciullo non ha forza per drizzarsi da sé, e ha bisogno di una veste asciutta e monda, perché la sua è tutta molle e sporca di fango. Arriva la madre, quanto prima gli dà la mano perché si rialzi, poi lo riveste com’è conveniente: ecco che al doppio bisogno del fanciullino corrisponde un doppio aiuto della madre; ma il primo è un aiuto passeggero, transitorio, momentaneo, giacché il rialzarlo che fa la madre non è cosa che gli resti indosso, per esprimermi materialmente; il secondo poi è un aiuto permanente; giacché la nuova veste di che lo copre resta indosso al fanciullino. Nell’aiuto che gli dà la madre perché si rialzi, ecco una similitudine della grazia attuale, nella veste che gli mette, eccone un’altra della grazia abituale: la prima è transitoria e la seconda è permanente, che resta all’uomo.

— La grazia attuale è necessaria all’uomo?

È dogma di Fede che l’uomo, senza la grazia soprannaturale di Dio, non può fare alcun bene conferente alla Vita Eterna. Or si deve dire che la grazia attuale è necessarissima, cosicché non possiamo fare la minima buona azione, che conferisca alla salute dell’anima se non ci muove, ossia se non ci eccita nel suo principio, se non ci accompagna nel suo decorso, e fin nel suo fine; e questa poi non solo è necessaria ai peccatori, ma anche ai giusti; cioè a quelli che hanno la grazia santificante. Dice Sant’Agostino che per quanto l’occhio sia sano, non può veder senza luce, così per quanto l’uomo sia giusto, non può operar bene senza la grazia che lo muova e l’accompagni nella sua buona opera e salutare.

— Senza la grazia non si possono vincere le tentazioni?

Nessuna tentazione si può vincere senza grazia soprannaturale, o per motivo d’amor di Dio, o per motivo di timor di Dio, che sia soprannaturale; perché chi vince la tentazione per alcuno di questi motivi fa un’opera buona, in se stessa meritoria e salutare per la vita eterna. Per altro alcune tentazioni si possono vincere, particolarmente le leggiere, per altri motivi, e in tal caso non sempre si richiede la grazia; io p. es. vinco la tentazione del furto per il timore del castigo, che vi assegna la legge civile; similmente vinco la tentazione di dire bugia temendo il rossore che me ne verrebbe se fosse conosciuta la mia mala fede; ecco che tali tentazioni sarebbero vinte per motivi naturali, niente conferenti alla vita eterna; in questo modo anche gl’infedeli e i peccatori più perduti vincono molte tentazioni. Però in generale bisogna dire che le tentazioni non si vincono senza grazia, giacché infinite sono quelle tentazione anche gravi alle quali si potrebbe acconsentire senza timore di mali temporali, e senza questo timore si può sempre acconsentirvi almeno con la compiacenza e col desiderio (Bellar. controv. de Grat. et lib. c. 7.).

— Senza la grazia non si possono osservare tutti i precetti della legge naturale?

Non si possono osservare tutti, particolarmente quelli contro i quali le tentazioni sono più forti e frequenti; segue da questo, che senza la grazia non si possono evitare tutti i peccati (Antoin. de Grat. cap. 5, art. 2, § 2).

— Per evitare in questa vita tutti e singoli i peccati veniali, è necessario che abbiano i giusti una grazia particolare?

Ella è verità definita dal Sacro Concilio di Trento (sess. VI, can. 23) che nemmeno i giusti possano evitare, in tutto il Corso della loro vita, tutti i peccati anche veniali senza uno speciale privilegio di Dio; il quale privilegio non consta che sia mai stato concesso a nessuno eccettuata la B. Vergine Maria, che non mai fu macchiata da qualsivoglia ombra di colpa.

— La grazia di perseverare fino alla morte nell’amicizia di Dio, cioè la grazia della perseveranza finale è un dono speciale di Dio?

Senza dubbio è un dono speciale; perciò il Sacro Concilio di Trento la chiama il gran dono (sess. VI, c. 16).

— La grazia attuale come si divide?

Si divide in efficace e sufficiente.

— Qual è la grazia efficace?

È quella che ottiene il suo effetto; p. es. Dio mi dà la grazia perché mi converta sinceramente a Lui, io non resisto a questa grazia, anzi vi coopero col mio libero arbitrio, e perciò mi converto in realtà: ecco che questa grazia è efficace, cioè ottiene il suo effetto.

— Qual è la grazia sufficiente?

⁕ È quella grazia la quale dà all’uomo forze bastanti per fare il bene ed evitare il male, alla quale però l’uomo resistendo con la sua cattiva volontà, essa non ottiene il suo effetto.

— Si potrebbe spiegare in altro modo l’efficacia e la sufficienza della grazia?

I Teologi formarono vari sistemi, e spiegarono chi in un modo, chi in un altro l’efficacia e la sufficienza della grazia; ma a noi in questa materia difficilissima basterà sapere ciò che è certo e non si può mettere in dubbio. È certo che vi sono delle grazie efficaci, le quali cioè ottengono il loro effetto. È certo che vi sono delle grazie solo sufficienti, alle quali si resiste e non ottengono il loro effetto; e questa è verità di Fede definita contro Giansenio. Queste grazie sufficienti devono essere capaci, cioè bastanti ad ottenere il loro effetto per cui si danno. Se non bastassero al loro fine sarebbero insufficienti, e una grazia sufficiente, che non basta, che cioè non è sufficiente, è una contraddizione. É certo che Dio vuole sinceramente la salute di tutti gli uomini, è certo che senza la sua grazia interiore e attuale, nessuno degli adulti si può salvare; dunque è certo che Dio non lascerà loro mancare i veri aiuti di grazia come mezzi assolutamente necessari per la consecuzione del fine, cioè della loro salvezza. Dunque tutti abbiamo grazie bastanti per salvarci e, se a queste cooperiamo, la nostra salute è in sicuro. « Ad ognuno, è dato lume e grazia che facendo quello che è in sé, si può salvare dando solo il suo consenso ». Questa é dottrina, e sono parole di S. Caterina da Genova, la cui autorità come tutti sanno deve valere a paragone di quella di un Teologo (vedi Vita del Muìneri cap. 11). D’altronde precisamente, e in tutto il rigore dell’espressione, questa è la credenza di tutto quanto il popolo Cristiano. Io in fine confesso che per tutti i sistemi mi valgono quelle belle parole del Concilio di Trento. « Dio non comanda cose impossibili; ma comandando ti avvisa di far ciò che puoi e di chiedere ciò che non puoi, ti aiuta intanto affinché tu possa.  I suoi Comandamenti non sono gravosi, il suo giogo è soave, il suo peso leggero … Quelli che ha giustificato una volta Egli non abbandona, se non è prima abbandonato da essi, » Ecco la consolante Dottrina dello Spirito Santo, tanto più consolante, perché infallibile.

— Si danno grazie necessitanti, le quali facciano operar l’uomo per necessità?

Queste non sarebbero grazie ma violenze: è articolo di Fede, che la grazia non toglie e non impedisce all’uomo l’uso della sua libertà, perciò tutto quello che si fa con la grazia, è tutto libero. Diceva S. Paolo: Io “posso ogni cosa in Colui che mi conforta”, non diceva, “… in colui che mi violenta”. È tanto di Fede che nelle buone opere vi ha parte la grazia, quanto è di Fede che vi ha parte il libero arbitrio.

— Iddio comparte mai alcuna grazia ai peccatori indurati e ostinati?

Vi sono certi peccatori, i quali per le loro iniquità e ostinazione nelle medesime, non hanno più quelle grazie ordinarie e prossime per fare il bene ed evitare il male che Dio comunemente concede; per altro loro non mancano alcune grazie remote, almeno per potere pregare ed ottenere misericordia, delle quali se si valessero, non mancherebbero poi della grazia della conversione. Il totale abbandono di Dio in questa vita, non si accorda col sentimento dei fedeli, i quali pensano che non si debba disperare della salvezza di alcuno finché vive; e non si accorda con S. Paolo il quale parlando ai peccatori indurati e impenitenti li avvisa che la benignità di Dio, li invita a penitenza (Ad Rom. cap. 2) (Antoin. de grat. cap. 4, art, 3, § 2).

— Che si dovrà dire degl’infedeli, i quali non hanno cognizione della vera Fede, perché loro non è annunziata?

Anche questi hanno alcune grazie, mediante le quali potrebbero osservare la legge naturale, e se costoro se ne valessero facendo ciò che loro è possibile con le forze naturali aiutate da quelle grazie, Dio o con mezzi ordinari o straordinari, li farebbe venire in cognizione della vera Fede, affinché si potessero salvare (S. Thom. in q. 14 de verit. art. 11 ad 1 (Dice pure che viene dalla nostra negligenza che noi manchiamo della grazia: « Defectus gratiæ prima causa est ex nobis » ( 1, 2, 112 art. 3). « Ex negligentia sua est ut quis gratìam non habeat. (De Verit. q. 24, art. 14 ).

— Le grazie attuali si danno ai meriti dell’uomo?

Questa sarebbe un’eresia chiaramente condannata dalle divine Scritture e dalle decisioni della Chiesa. Le grazie sono doni gratuiti, che Iddio concede a chi vuole e quando vuole (Conc. Trid. sess. VI, c. 5).

— Vuol dire dunque che i buoni non hanno alcun fondamento di sperare che Iddio tenga per loro una particolare provvidenza di grazie?

Questo sarebbe un altro errore; perché, sebbene le grazie non si possano meritare, Dio tuttavia nelle divine Scritture, promette ai buoni una speciale assistenza. « Gli occhi del Signore sono vigilanti sopra dei giusti, e le sue orecchie attente alle loro preghiere » (Salmo XXXIII). Perciò, quantunque Iddio non sia obbligato a fare grazie né ai giusti né ai peccatori, Egli, che ama chi lo ama ( Prov. VIII), abbonda ordinariamente di grazie maggiori con chi gli si mostra fedele: dico ordinariamente, perché alle volte per manifestare nei modi più mirabili la sua misericordia, concede grazie grandissime anche ai grandi peccatori. Tali le concesse a Davide, alla Maddalena, al buon ladrone, ecc.

§ II.

Della Grazia Santificante.

— Che cosa giustifica l’uomo?

La grazia santificante, la cui definizione fu data nel paragrafo antecedente nella risposta alla D. 4.

— La grazia santificante quando si acquista?

Si acquista nel Santo Battesimo.

— Acquistata che sia, si può perdere?

Si perde per qualunque peccato mortale, come con qualunque peccato mortale si perde la carità.

— Perduta che sia si può riacquistare?

Si può riacquistare mediante il Sacramento della Penitenza, il quale è instituito a questo fine: di togliere i peccati commessi dopo il Battesimo, e anche mediante la carità che inchiude il voto, ossia desiderio del Sacramento, come si dirà nel Capitolo seguente.

— Questa grazia santificante, è forse la stessa Giustizia di Gesù Cristo a noi imputata?

Il dire che la grazia santificante sia la stessa Giustizia di Gesù Cristo a noi imputata, è una eresia condannata dal Concilio di Trento (sess. VI). Questa grazia consiste in un dono soprannaturale non imputato, ma realmente conferito e che si fa intrinseco all’anima nostra, mediante il quale restiamo veramente giustificati, e veramente mondi dal peccato.

— Non si potrebbe dire, che la grazia santificante serve all’anima come di una veste, che copra e nasconda la bruttezza dei peccati?

Il dir questo sarebbe pure eresia, condannata dallo stesso Concilio. La grazia santificante non è estrinseca all’anima, come una veste è estrinseca al corpo che copre; e con l’infusione di questa grazia non si nascondono, non si coprono i peccati; ma assolutamente si tolgono e si scancellano; sicché non esistono più le loro macchie. In quella guisa che lavando una veste macchiata, le macchie non si coprono ma si tolgono, sicché non esistono più; Dio giustificando l’uomo con l’infusione della sua grazia, toglie i peccati dall’anima.

— Non basterà per la giustificazione dell’anima la sola Fede?

Questa sarebbe dottrina eretica condannata similmente dal S. Concilio di Trento (sess. VI). La Fede è soltanto la radice e il fondamento della giustificazione, come definì il Concilio; diversamente tutti i fedeli sarebbero in istato di grazia, e non si potrebbe trovare il peccato mortale, se non negl’infedeli. Per la giustificazione dell’uomo si richiedono anche le buone opere. La Fede senza buone opere è morta, lo dice S. Giacomo (cap. II, v. 20).

— Alcuni pensarono che solo fossero giustificati, e perciò solo avessero la grazia santificante, quelli che credessero fermamente di avere questa grazia, come si devono credere fermamente i dogmi della Fede: che direbbe di questa dottrina?

Essa è pure dottrina eretica condannata dal Concilio, anzi si deve notare che nessuno può credere fermamente di aver questa grazia, senza una speciale rivelazione di Dio.

— Dunque nessuno può essere certo di avere la grazia santificante?

Il Cristiano che non è conscio a se stesso di peccato mortale, o per non sapere di averne mai commesso, o per averlo confessato e detestato convenientemente nel caso che vi fosse già caduto, può essere certo di avere la grazia santificante; però la sua certezza non può essere ferma e sicura come la certezza infallibile con cui crediamo le verità della Fede. La ragione è che Dio ha rivelato le verità della Fede, e in esse perciò non vi può essere inganno; ma non ha rivelato né a questo, né a quello che non abbia mai commesso peccato mortale, o che dopo averlo commesso lo abbia convenientemente confessato e detestato, sicché ne abbia pure ottenuto il perdono. Per tanto nella certezza di essere in istato di grazia è possibile che l’uomo s’inganni.

— Per qual ragione Iddio ci lascia in questa incertezza?

Affinché il timore ci sia di uno sprone continuo, che ci stimoli ad assicurarci sempre più il possesso della sua grazia mediante l’esercizio delle virtù cristiane, e in tal modo si accrescano i nostri meriti per la vita eterna. Per altro noi possiamo essere certi di avere la grazia santificante non di certezza infallibile e divina, ma di certezza morale ed umana. Bisogna anzi guardarsi dall’avere in questo punto un timore soverchio, perché questo diminuirebbe la confidenza in Dio, e il suo amore (Bellarm. Controv. de Just, lib. 3. c. 11).

— Quale sarà il più forte argomento che noi possiamo avere di essere in istato di grazia?

Ascoltatelo da S. Francesco di Sales riportato da S. Alfonso Liguori (Trat.di am. G. C. Cap. 8), ambedue erano» grandi Teologi. – « La maggior sicurezza che noi possiamo avere in questo mondo di essere in grazia di Dio, non consiste già nei sentimenti che abbiamo del suo amore, ma nel puro ed irrevocabile abbandonamento di tutto il nostro affetto nelle sue mani, e nella risoluzione ferma di non mai consentire ad alcuno peccato né grande, né piccolo »  Rassegniamoci dunque tutti in Dio, siamo risoluti di soffrire qualunque cosa più tosto che offenderlo con avvertenza anche nelle minime cose, e avremo il più forte argomento che possa aversi in terra: di possedere il gran tesoro della grazia santificante.

— La grazia santificante può avere aumento nell’anima del giusto?

Questa è verità di Fede definita dal Sacro Concilio di Trento (sess. VI. e XXIV), e questo aumento si acquista mediante le buone opere.

— Vuol dire dunque che la grazia santificante si può meritare?

La grazia della giustificazione non si può meritare, essa è un dono gratuito di Dio, e ciò è di Fede; pertanto nessuno che sia in peccato si può meritare che Dio gli perdoni e lo arricchisca della grazia santificante; per altro il giusto, cioè quegli che possiede la grazia santificante, con le sue buone opere (come si spiegherà nel paragrafo seguente) merita veramente un accrescimento di questa grazia.

— La grazia santificante è necessaria alle buone opere?

È necessaria affinché le buone opere siano meritorie della vita eterna, per altro si possono fare delle opere che siano buone anche d’innanzi a Dio senza la grazia santificante. Si vede infatti che Dio accettò le limosine del Centurione che era infedele. Daniele consigliava Nabucodònosor a fare delle limosine ecc., e perciò i peccatori devono anzi procurare di fare buone opere, le quali quantunque loro non serviranno per il merito della vita eterna, serviranno per altro onde impetrino con quelle, misericordia da Dio.

— Alcuni dissero che tutte le opere degli infedeli e peccatori sono peccati.

Questo errore detestabile fu condannato nelle proposizioni di Baio XXV e XXXV, dai Sommi Pontefici S. Pio V, Gregorio XIII e Urbano VIII. Dico errore detestabile, perché mette i peccatori nella disperazione, e loro toglie l’uso di quei mezzi, cioè delle buone opere, con i quali otterrebbero misericordia da Dio, e la grazia della conversione.

— La grazia santificante è la stessa cosa che la carità?

L’opinione più probabile è che sia la stessa cosa, alcuni per altro pensano che sia un dono distinto della carità. Comunque sia la cosa, è certo che chi ha la carità ha la grazia santificante, e chi ha la grazia santificante ha la carità.

§ III.

Del merito delle Opere buone.

— Le buone opere sono meritorie?

È verità di Fede definita dal Sacrosanto Concilio di Trento, che con le buone opere fatte in grazia, si merita veramente l’accrescimento della grazia medesima; cioè della grazia santificante, e la vita eterna (Conc. Trid.. sess. VI, c. 32 ).

— Come è possibile che con lo opere buone, le quali per molte e grandi che siano, non hanno proporzione alcuna con la preziosità di un premio eterno, si possa meritare il Paradiso, e meritarlo veramente?

Bisogna considerare, che con le nostre buone opere riguardate da per se stesse solamente, non potremmo meritarci la vita eterna, perché non vi sarebbe alcuna proporzione tra queste opere e il premio che loro si dà. Ma le nostre buone opere, dobbiamo considerarle come nobilitate dai meriti infiniti di Gesù Cristo, e innalzate a tanto di dignità e di valore da questi meriti, che v’ha benissimo proporzione tra esse e la vita eterna. Di più bisogna presupporre la divina promessa, con la quale Dio si obbligò a premiarle in tal modo; questa è quella divina promessa che rende Iddio in largo senso obbligato verso di noi a ricompensarci con quel premio. Dico in largo senso, perché Iddio non può essere obbligato a un debito rigoroso verso di noi; ma resta obbligato alla sua stessa infinita fedeltà, la quale esige che alle sue promesse non manchi. Perciò si vede che la vita eterna è vera grazia e vera mercede; è vera grazia, perché tutti i nostri meriti nascono dalla grazia di Dio, e per un semplice tratto della divina bontà le nostre opere buone furono innalzate a tanto valore di meritarci il Paradiso, il quale inoltre per un semplice tratto della divina bontà loro fu promesso; è però insieme vera mercede, perché stante la loro soprannaturale eccellenza e dignità, e stante la divina promessa con cui Dio si è obbligato a premiarle, loro si deve veramente un tal premio. Perciò, come è definito contro gli eretici, con le buone opere fatte in grazia, meritiamo veramente, non solo l’aumento della stessa grazia, ma anche la Vita Eterna. (Antoine Tract. de Grat., cap, 7, art. 1, § 2. Besp, ad, 3, et nota ad Resp. ad 6).

— Quali condizioni devono avere le buone opere, affinché siano meritorie?

La prima è, che le buone opere si facciano dagli uomini viatori, cioè durante questa vita; perciò i Santi in Cielo, che non sono più viatori, ma arrivati al termine e hanno conseguito il loro fine, non possono più meritare. La seconda è che siano libere; perché l’uomo meriti bisogna che sappia quel che fa e che possa fare, e non fare quel che fa. La terza che siano fatte dall’uomo giusto, ossia in istato di grazia come già si è accennato. La quarta, che siano opere buone per bontà soprannaturale, o per sé stesse come il ricevere i Sacramenti, o almeno per il fine, come il viaggio ad un Santuario per venerarvi una devota immagine di Maria Ss. Queste quattro, oltre la divina promessa, che si suppone, sono le condizioni che necessariamente e senza alcun dubbio, si richiedono nelle opere buone perché siano veramente meritorie, come si può vedere nei Teologi.

— Per qual ragione dice il Concilio che si merita l’aumento della grazia?

Perché come definì lo stesso Concilio (sess. VIII. c. 8), la prima grazia santificante non si può veramente meritare. Il peccatore che è privo della grazia può impetrarla con preghiere e buone opere, ma meritarla veramente non può, non avendo le sue preghiere e buone opere tanto valore; quando poi ottiene la grazia santificante, e perciò resta giustificato con le buone opere che fa in seguito, merita veramente l’aumento di detta grazia (Antoine ut sup. art. 6 ).

— Mi spieghi meglio la seconda condizione la quale esige che le buone opere siano libere?

Tanto per meritare quanto per demeritare davanti a Dio, cioè tanto per fare una buona opera che sia degna di ricompensa, quanto per fare un peccato che sia degno di castigo, si richiede nell’uomo libertà, e questa libertà richiede cognizione e determinazione non violentata o necessitata da qualunque causa, o esterna, o interna. Richiede cognizione; e perciò se io faccio un dono a un povero credendolo ricco, il mio dono non ha il merito della limosina, come se io dessi il veleno ad alcuno, credendo dargli una salubre bevanda, io non avrei il reato dell’omicidio. Richiede determinazione senza violenza di causa esterna, e perciò se alcuno, p. es., mi facesse prostrare a viva forza innanzi al Ss. Sacramento, io non avrei il merito dell’adorazione, e se mi facesse prostrare innanzi ad un idolo, io non avrei il reato della idolatria. Bisogna pure che non vi sia violenza, o necessità proveniente da causa interna; e perciò se la grazia di Dio sforzasse la nostra volontà come immaginò Calvino, o irresistibilmente la traesse come insegnò Giansenio, non vi potrebbe essere alcun merito nelle opere buone; e se in pari modo la concupiscenza la sforzasse e la traesse, ugualmente non vi potrebbe essere demerito alcuno nelle opere cattive. E in verità ciò che non si potrebbe supporre negli uomini senza far loro gran torto, si dovrà supporre in Dio? Se vi fosse un Sovrano che premiasse le azioni buone fatto da chi non potesse a meno di farle, e punisse le azioni cattive commesse da chi non potesse a meno di commetterle, non si direbbe nel primo caso che è uno stupido, e nel secondo che è un tiranno? Dopo questo facilmente s’intenderà perché dicasi che, onde l’uomo meriti con le sue buone opere, bisogna che sappia quel che fa, e che sia in suo potere di fare, o non fare quel che fa. Che il libero arbitrio sia restato all’uomo dopo il peccato originale, è verità di Fede definita dal sacrosanto Concilio di Trento (sess. VI, cara. 5). Che per meritare e demeritare si richieda nell’uomo la libertà, immune non solo da qualunque violenza, ma anche da qualunque necessità, è verità definita di Fede nella condanna della terza proposizione di Giansenio. Prima di Giansenio aveva bestemmiato Baio che un uomo pecca e merita punizione anche nelle cose che fa necessariamente ».

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.