DOMENICA IN ALBIS [2018]

DOMENICA I DOPO PASQUA

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus 1 Pet II, 2.

Quasi modo géniti infántes, allelúja: rationabiles, sine dolo lac concupíscite, allelúja, allelúja allelúja. [Come bambini appena nati, alleluia, siate bramosi di latte spirituale e puro, alleluia, alleluia,]

Ps LXXX:2. Exsultáte Deo, adjutóri nostro: jubiláte Deo Jacob. [Inneggiate a Dio nostro aiuto; acclamate il Dio di Giacobbe.]

Quasi modo géniti infántes, allelúja: rationabiles, sine dolo lac concupíscite, allelúja, allelúja allelúja. [Come bambini appena nati, alleluia, siate bramosi di latte spirituale e puro, alleluia, alleluia.]

Oratio

Orémus.

Præsta, quaesumus, omnípotens Deus: ut, qui paschália festa perégimus, hæc, te largiénte, móribus et vita teneámus. [Concedi, Dio onnipotente, che, terminate le feste pasquali, noi, con la tua grazia, ne conserviamo il frutto nella vita e nella condotta.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Joannis Apóstoli. – 1 Giov. V: 4-10.

“Caríssimi: Omne, quod natum est ex Deo, vincit mundum: et hæc est victoria, quæ vincit mundum, fides nostra. Quis est, qui vincit mundum, nisi qui credit, quóniam Jesus est Fílius Dei? Hic est, qui venit per aquam et sánguinem, Jesus Christus: non in aqua solum, sed in aqua et sánguine. Et Spíritus est, qui testificátur, quóniam Christus est véritas. Quóniam tres sunt, qui testimónium dant in coelo: Pater, Verbum, et Spíritus Sanctus: et hi tres unum sunt. Et tres sunt, qui testimónium dant in terra: Spíritus, et aqua, et sanguis: et hi tres unum sunt. Si testimónium hóminum accípimus, testimónium Dei majus est: quóniam hoc est testimónium Dei, quod majus est: quóniam testificátus est de Fílio suo. Qui credit in Fílium Dei, habet testimónium Dei in se”.  [Carissimi: chiunque è nato da Dio trionfa del mondo; e ciò che ha trionfato del mondo è la nostra fede. Chi è che vince il mondo, se non chi crede che Gesù è figliolo di Dio? È Lui che è venuto per mezzo dell’acqua e del sangue, Gesù Cristo: non nell’acqua solo, ma nell’acqua e nel sangue. Ed è lo Spirito che attesta, perché lo Spirito è verità. Poiché sono tre che rendono testimonianza in cielo: il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo: e questi tre sono una sola cosa. E sono tre che rendono testimonianza in terra: lo Spirito, l’acqua e il sangue: e questi tre sono concordi. Se ammettiamo la testimonianza degli uomini, dobbiamo tanto più ammettere la testimonianza di Dio, che è superiore. Ora è Dio stesso che ha reso testimonianza al suo Figlio. Chi crede nel figliolo di Dio ha in sé la testimonianza di Dio.]

Omelia I

[Mons. Bonomelli: “Nuovo saggio di Omelie”, Marietti ed. Torino, vol. I; 1899 – Omel. XV]

Di S. Giovanni, oltre il Vangelo, che porta il suo nome, abbiamo tre lettere: le due ultime piuttosto che lettere, si potrebbero dire biglietti, perché brevissime, affatto confidenziali e prive d’importanza sia dogmatica, sia morale, sia polemica, e indirizzate a persone private. – La prima lettera, da cui è tolto il brano recitatovi, è di grandissima rilevanza sotto ogni rispetto, e si direbbe un’eco del Vangelo, tanto a quello è somigliante. Quando fu scritta? Prima o dopo il Vangelo? Lo ignoriamo. A chi fu scritta? Questo pure ignoriamo, né di ciò vi è traccia in tutta la lettera: essa non porta indirizzo né a principio, né infine, non saluti, a differenza di tutte le altre lettere, e perciò sembra uno scritto esortativo indirizzato in generale alle Chiese da lui fondate. L’argomento della lettera è stabilire la divinità di Gesù Cristo e la verità della umana natura assunta, contro alcuni eretici gnostici, che cominciavano a negarla, e inculcare la necessità della fede in Lui e la carità scambievole fra i credenti. – Mandati innanzi questi pochi schiarimenti generali sulla lettera di S. Giovanni, poniamo mano alla spiegazione dei versetti, che avete udito. “Quanto è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria, che ha vinto il mondo, la nostra fede!” Che cosa è la terra, o dilettissimi? È un campo di battaglia. Chi sono i combattenti? Da una parte Cristo, coi suoi seguaci, che Lo precedettero, che vissero con Lui e che dopo di Lui vivranno fino al termine dei secoli, continuando l’opera di Lui; dall’altra il demonio, coi suoi seguaci, da Adamo ed Eva fino all’ultimo uomo che vivrà sulla terra. Quali sono le armi, che si adoperano? Dalla parte di Cristo e suoi seguaci: la verità, la fede, la speranza, la carità, l’umiltà, la purezza, la mortificazione e andate dicendo: dalla parte del demonio e suoi seguaci: la menzogna, l’empietà, l’odio, l’orgoglio, la sensualità, le passioni tutte sfrenate. Tutti gli uomini pigliano posto più o meno in questi due gran campi di battaglia. S. Giovanni, che tratteggia più volte questa gran lotta in tutti i suoi scritti, qui ci fa sapere che tutti quelli che sono nati da Dio [Il testo dice: Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo; perché non dice: Chiunque è nato da Dio, ecc.? Credo che quel neutro equivalga propriamente al chiunque, che indica persona; ma forse Giovanni usò il: Tutto ciò ecc. in forma neutra, perché con la persona volle significare tutti i doni della fede, della grazia ecc. che vengono da Dio.), ossia tutti quelli che per il Battesimo sono rigenerati e divenuti figliuoli di Dio ed esercitano le virtù proprie dei figliuoli di Dio, che hanno il loro compimento nella carità, come sopra ha detto, vincono il mondo]. – Con questa parola, “mondo”, san Giovanni non intende certo di significare la terra che calpestiamo, ma gli uomini che vivono secondo le massime del mondo, gli schiavi delle sue cupidigie e, in una parola, i seguaci di colui che Gesù Cristo stesso chiamò “principe di questo mondo”, gli uomini malvagi colle loro passioni! – Sì, ripiglia S. Giovanni, spiegando meglio il suo concetto e ripetendo la stessa verità in altra forma: Questa è la vittoria, cioè quelli riportano la vittoria, quelli hanno in mano l’arma sicura della vittoria sul mondo, che hanno la fede: la fede li farà vincitori del mondo. Che fede è questa che ci farà vincere il mondo e le sue passioni? Non certo la sola fede, nuda delle opere, che è morta per se stessa: ma la fede viva, che dalla mente discende al cuore, che dal pensiero si travasa nelle opere, che, secondo l’espressione di san Paolo, opera per la carità. Datemi un uomo che creda fermamente ciò che la fede insegna e ciò che crede per fede pratica con le opere, che al Simbolo congiunga il Decalogo: quest’uomo naturalmente disprezzerà il mondo, respingerà le sue lusinghe e calpesterà i suoi piaceri colpevoli: quest’uomo, ossia la fede di quest’uomo vincerà il mondo: “Hæc est Victoria, quæ vincit mundum, fides nostra”. – Né di questa sentenza si appaga S. Giovanni, ma la ribadisce nel versetto seguente in forma d’interrogazione e piena di energia: ” Chi è mai colui che vince il mondo, se non chi crede che Gesù è il Figliuolo di Dio? Come se dicesse: Nuovamente e più fortemente l’affermo: solo colui che crede ed opera conformemente alla fede, vince il mondo: a chi non crede è impossibile vincere il mondo. E questa fede, o Giovanni, in chi si appunta? In Chi si compendia? Da chi trae origine e forza? In Gesù Cristo, autore e consumatore della fede, come scrive S. Paolo, “autore”, perché viene da Lui, “consumatore”, perché Egli solo ci dà la forza di attuarla nelle opere, Gesù Cristo, che è il Figliuolo di Dio! Accenna con questa espressione al fondamento di tutta la nostra fede, che è la divinità di Gesù Cristo. Perciò badate che S. Giovanni non dice già che — Gesù è Figliuolo di Dio — ma sì “che è “il” Figliuolo di Dio”, cioè Figliuolo per eccellenza, Figliuolo unico, Figliuolo proprio di Dio, a Dio Padre consustanziale. Scolpitevela bene addentro nel cuore questa verità, o cari: Gesù Cristo è Dio ed Uomo, vero Dio e vero Uomo: se voi togliete in Lui la divinità, non vi resta che l’uomo, è distrutta la redenzione, perché un uomo non poteva riscattarci dal peccato, non poteva soddisfare la divina giustizia, cade tutta la sua autorità, e noi ci troviamo ai piedi d’un uomo, siamo adoratori di un uomo, il massimo dei delitti. Crediamo dunque che Gesù è il Figlio di Dio, Dio come il Padre, ed uniti a Lui saremo forti della sua forza, e come Egli ha vinto il mondo, così lo vinceremo noi pure. – Gesù Cristo è il Figlio di Dio, vero Dio! Ma come lo sappiamo noi? Come si è provato tale? Ascoltate S. Giovanni: “Gesù è il venuto per acqua e sangue”. Come per acqua? Lascio alcune interpretazioni date e mi attengo a quella che mi sembra più chiara, più naturale e meglio fondata. Gesù, allorché ricevette il battesimo al Giordano, ricevette la solenne testimonianza dal Padre, che disse: ” Questi è il Figliuolo mio diletto, in cui trovo tutte le mie compiacenze: Lui ascoltate” [Alcuni vogliono intendere quelle parole ” E venuto nell’acqua, pel battesimo, cioè viene in noi col battesimo. Ma le parole del versetto 9° non lo permettono, perché là si parla di testimonianza resa a Gesù, la massima, quella del Padre]. – Testimonianza splendidissima ripetuta colle stesse parole nella Trasfigurazione. Ma Gesù è anche il venuto nel sangue, cioè nella passione e morte, che non si può disgiungere dalla risurrezione, nella quale provò luminosamente ch’Egli era Dio, Signore della morte e della vita. E qui S. Giovanni, quasi per ribadire la cosa, ripete: Gesù è il venuto [È da osservare quel modo di dire assai efficace : “Il Venuto”, come si ha nel greco, che designa Gesù Cristo come il Messia, “Il Venuto” per antonomasia], non nell’acqua soltanto, ma nell’acqua e nel sangue: ha provato ch’Egli era Dio nel suo battesimo di acqua e nel battesimo del suo sangue, coronato dalla sua gloriosa Risurrezione. Alle prime due prove tiene dietro la terza, dicendo: “E lo Spirito attesta, che Cristo è la verità”, cioè è veramente il Figlio di Dio! E che vuol dire in questo luogo S. Giovanni? Nel Vangelo (Cap. XV, vers. 26) S. Giovanni riferisce queste parole dette da Gesù nell’ultima Cena: “e quando verrà il Paraclito, che vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità, che procede dal Padre, Egli farà testimonianza di me”, vale a dire, “vi farà conoscere che Io sono il Figlio di Dio”, Gesù Cristo dunque afferma che la venuta dello Spirito Santo sarebbe stata una prova, una solenne testimonianza della sua divinità, ed è quella notata dallo stesso S. Giovanni nella sua lettera. Onde per conchiudere in poche parole le sentenze di S. Giovanni, noi dobbiamo tenere che Gesù Cristo ci mostrò la sua divinità nel suo Battesimo al Giordano, nella sua Passione, morte e risurrezione, e finalmente nella venuta dello Spirito Santo, nella trasformazione degli Apostoli e nella fondazione della Chiesa. E non erano quelli miracoli solenni, strepitosissimi, che mostravano la sua divina potenza? Non cadevano sotto gli occhi di tutti? Non si potevano verificare da tutti con la massima facilità? – S. Giovanni, proseguendo, fa cenno d’una analogia e mette innanzi un paragone per confermare la sua sentenza, e il paragone è questo: “Poiché son tre, che attestano in cielo: Padre, Verbo e Spirito Santo, e questi tre sono una cosa sola; e tre sono quelli che attestano in terra, lo Spirito, l’acqua ed il sangue, e questi tre riescono ad una sola cosa”, E volle dire: Il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo con le loro manifestazioni esterne dal cielo hanno attestata e comprovata la missione divina di Gesù Cristo, e come le tre divine Persone sono una sola cosa, una sola essenza o sostanza, così la loro testimonianza esterna si unisce e si concentra in una sola, attestando la stessa verità, così le tre grandi manifestazioni esterne, ad intervalli succedute sulla terra e accertate dagli uomini, al Giordano, nella passione, morte e Risurrezione di Gesù Cristo, e nella venuta dello Spirito Santo, tornano allo stesso, raffermano la medesima verità, e mettono in luce la divina origine e missione di Gesù Cristo. – Allora si comprende ciò che S. Giovanni soggiunge nel seguente versetto: “Se noi accettiamo la testimonianza degli uomini, maggiore è la testimonianza di Dio: e la testimonianza di Dio è quella con cui ha attestato intorno al Figliuol suo”. Se noi accettiamo, e dobbiamo accettare, la testimonianza degli uomini degni di fede, e credere quello ch’essi affermano, a maggior ragione dobbiamo accettare la testimonianza stessa di Dio che dal cielo ripetutamente attesta intorno a Gesù Cristo, e ci assicura ch’Egli è il Figlio dell’Eterno. Insomma il sacro Scrittore ci mette innanzi tre Testimoni in cielo e tre sulla terra: i tre Testimoni in cielo sono le tre divine Persone distintamente nominate e che sono una sola cosa o natura; e i tre testimoni sulla terra, pure nominati, spirito, acqua e sangue, siano fatti, siano persone, cospiranti nella stessa cosa e affermanti anch’essi sulla terra ciò che le tre Persone attestano dal cielo. Voi vedete, o cari, che non si poteva esprimere in forma più precisa e più netta il grande mistero della augusta Trinità. S. Giovanni proclama che sono tre le Persone divine, Padre, Figlio, o Verbo, e Spirito Santo, e che queste tre Persone sono una cosa sola od unica essenza. È quel mistero, che abbiamo imparato bambini sulle ginocchia della madre e al catechismo in chiesa; che abbiamo professato la prima volta che facemmo il segno di croce, e nel quale e pel quale fummo rigenerati nel Battesimo e accolti nel grembo della Chiesa. Questo mistero trascende le forze della nostra povera ragione, è vero; ma Dio lo ha rivelato chiarissimamente, la Chiesa lo professa come una delle verità fondamentali della fede, e noi lo dobbiamo tenere con tutta fermezza. Sappiate poi anche, o dilettissimi, che se la sola ragione non può dimostrare e conoscere questa verità con le sole sue forze, nondimeno essa, studiandolo, vi trova tanta convenienza, tanta luce, tante armonie, che per poco ne è rapita ed è costretta ad esclamare: “la santa Trinità delle Persone nella unità della essenza, è mistero, mistero altissimo, ineffabile, ma non solo non offende la ragione, la illumina, armonizza con essa, getta un riverbero di luce su tutto il creato, specialmente sulla natura dell’uomo: la S. Trinità è un mistero per la ragione umana, ma sarebbe più grande mistero il non ammetterlo”. Crediamo adunque, o cari, sì alto mistero, crediamolo con la semplicità con cui lo credevamo fanciulli, persuasi che, se supera le forze della ragione, ad essa non si oppone, anzi ad essa mirabilmente consuona. – Siamo all’ultima sentenza del nostro commento: “Chi crede nel Figlio di Dio, ha in se stesso la testimonianza di Dio”. Chi legge e medita alcun poco le sante Scritture e particolarmente gli scritti di S. Giovanni, sa bene che la stessa verità si ripete spesse volte, o, dirò meglio, la si presenta sotto varie forme, sia per inculcarla meglio, sia per farcene vedere tutti i lati, che non sempre si affacciano subito sotto una sola forma. E ciò, se non erro, accade in questo versetto, nel quale conferma e si svolge meglio ciò che sopra è detto. Chi crede nel Figlio di Dio, chi per fede viva, salda ed operosa unisce la sua mente e il suo cuore a Gesù Cristo, Figlio di Dio, forma quasi una cosa sola con Lui, ed ha in sé, come un germe, la verità e la vita eterna, che poi a suo tempo si manifesterà in tutta la sua pienezza; possiede con la grazia e con la fede viva Gesù Cristo stesso, del quale San Paolo ebbe a dire che, “Cristo abita in noi per la fede”. – Osservate di grazia, o dilettissimi: se voi tenete stretto alla vostra persona, p. es. un corpo qualunque odoroso, un mazzo di fiori, non è egli vero, che voi partecipate della loro fragranza finché ad essi vi tenete uniti? Ciò che avviene del nostro corpo avviene altresì della nostra mente e del nostro cuore. Se noi con la mente ci teniamo fermi alle verità della fede, e con la nostra volontà le veniamo attuando nelle opere, la nostra mente e la nostra volontà si abbelliscono della bellezza di quelle verità, e quasi direi rimangono imbalsamate della fragranza della grazia, e si trovano necessariamente unite a Lui, dal quale vengono la verità e la grazia, che è Gesù Cristo stesso. Allorché voi pensate al padre, alla madre, all’amico lontani e li amate, non è egli vero che in qualche modo il padre, la madre, l’amico sono nella vostra mente e nel vostro cuore? Lo dite voi stessi: “Noi li abbiamo in mente, li teniamo sempre nel nostro cuore”. — È ciò che insegna S. Tommaso. E in questo senso che si dice Gesù Cristo abitare in noi, Dio dimorare in noi e spandersi in noi lo Spirito di Lui, e noi diventare suoi templi, sue membra, e partecipi della divina natura. – Vedete, o cari, un granello, che è affidato alla terra: sembra che voi, possedendo quel piccolo granello, non possediate che quel piccolo corpicciuolo, cosa da nulla per se stesso; ma aspettate alcuni mesi, lasciate compiere alla natura il suo occulto lavorìo. Che è avvenuto? Il granello è cresciuto e, fatto pianta, ha prodotto i suoi fiori e finalmente i suoi frutti che cortesemente ci porge, curvando sotto essi i suoi rami. Eravate possessori d’un solo granello, e più tardi siete possessori d’una pianta e di molti saporosi frutti. Così noi, o dilettissimi: ora, qui in terra possediamo il granello della fede, la radice della carità; un giorno troveremo che il granello è diventato albero carico di frutti di vita eterna. E quando verrà questo giorno? Quando, chiudendo gli occhi a questa luce del tempo, li apriremo alla luce della eternità; quando, addormentandoci la sera qui sulla terra, ci sveglieremo al mattino in cielo!

Alleluja

Alleluia, alleluia –

Matt XXVIII:7. In die resurrectiónis meæ, dicit Dóminus, præcédam vos in Galilæam. [Il giorno della mia risurrezione, dice il Signore, mi seguirete in Galilea.]

Joannes XX:26. Post dies octo, jánuis clausis, stetit Jesus in médio discipulórum suórum, et dixit: Pax vobis. Allelúja. [Otto giorni dopo, a porte chiuse, Gesù si fece vedere in mezzo ai suoi discepoli, e disse: pace a voi.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum S. Joánnem.

 Joannes XX: 19-31.

“In illo témpore: Cum sero esset die illo, una sabbatórum, et fores essent clausæ, ubi erant discípuli congregáti propter metum Judæórum: venit Jesus, et stetit in médio, et dixit eis: Pax vobis. Et cum hoc dixísset, osténdit eis manus et latus. Gavísi sunt ergo discípuli, viso Dómino. Dixit ergo eis íterum: Pax vobis. Sicut misit me Pater, et ego mitto vos. Hæc cum dixísset, insufflávit, et dixit eis: Accípite Spíritum Sanctum: quorum remiseritis peccáta, remittúntur eis; et quorum retinuéritis, reténta sunt. Thomas autem unus ex duódecim, qui dícitur Dídymus, non erat cum eis, quando venit Jesus. Dixérunt ergo ei alii discípuli: Vídimus Dóminum. Ille autem dixit eis: Nisi vídero in mánibus ejus fixúram clavórum, et mittam dígitum meum in locum clavórum, et mittam manum meam in latus ejus, non credam. Et post dies octo, íterum erant discípuli ejus intus, et Thomas cum eis. Venit Jesus, jánuis clausis, et stetit in médio, et dixit: Pax vobis. Deinde dicit Thomæ: Infer dígitum tuum huc et vide manus meas, et affer manum tuam et mitte in latus meum: et noli esse incrédulus, sed fidélis. Respóndit Thomas et dixit ei: Dóminus meus et Deus meus. Dixit ei Jesus: Quia vidísti me, Thoma, credidísti: beáti, qui non vidérunt, et credidérunt. Multa quidem et alia signa fecit Jesus in conspéctu discipulórum suórum, quæ non sunt scripta in libro hoc. Hæc autem scripta sunt, ut credátis, quia Jesus est Christus, Fílius Dei: et ut credéntes vitam habeátis in nómine ejus.” – [In quel tempo, la sera di quel giorno, il primo della settimana, essendo, per paura dei Giudei, chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli, venne Gesù, si presentò in mezzo a loro e disse: Pace a voi! E detto ciò mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono nel vedere il Signore. Ed egli disse loro di nuovo: Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, così anch’io mando voi. E detto questo, soffiò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; a chi li riterrete, essi saranno ritenuti. E uno dei dodici, Tommaso, detto Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Ora gli altri discepoli gli dissero: Abbiamo visto il Signore. Ma egli rispose loro: Non crederò se non dopo aver visto nelle sue mani la piaga fatta dai chiodi e aver messo il mio dito dove erano i chiodi e la mia mano nella ferita del costato. Otto giorni dopo i discepoli si trovavano di nuovo in casa e Tommaso era con loro. Venne Gesù a porte chiuse e stando in mezzo a loro disse: Pace a voi! Poi disse a Tommaso: Metti qua il tuo dito, e guarda le mie mani; accosta anche la tua mano e mettila nel mio costato; e non voler essere incredulo, ma fedele. Tommaso gli rispose: Signore mio e Dio mio! E Gesù: Tommaso, tu hai creduto perché mi hai visto con i tuoi occhi; beati coloro che non vedono eppure credono. Gesù fece ancora, in presenza dei suoi discepoli, molti altri miracoli, che non sono stati scritti in questo libro. Queste cose sono state scritte, affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e affinché credendo, abbiate vita nel nome di lui.] – R. Laus tibi, Christe!

OMELIA II

 [Bonomelli: Omelie, vol. II, om. XVI]

È sì bello, sì caro questo racconto, tutto spirante un’aria di semplicità e di candore senza esempio, che mi tarda di venire, non ad una spiegazione, della quale non v’è bisogno, ma alla pratica considerazione delle singole parti, che riusciranno dolci e fruttuose, se vi compiacerete porgere, come siete soliti, tutta la vostra attenzione. – “Allorché fu sera, in quello stesso primo giorno della settimana, cioè la nostra Domenica, ed essendo chiuse le porte del luogo dov’erano radunati i discepoli per timore dei Giudei, Gesù venne e stette in mezzo a loro, e disse: Pace a voi ! „ – Era la sera del giorno della risurrezione, cioè la domenica stessa della Pasqua, dopo le nove circa; perché sappiamo da S. Luca (C. XXIV, 33 seg.) che erano presenti i due ritornati quella sera stessa da Emmaus, e non potevano aver compiuto il loro cammino in meno di tre ore, come dicemmo. I due discepoli avevano appena narrata l’apparizione di Gesù ai dieci Apostoli e agli altri ivi raccolti, e udito dell’apparizione fatta a Pietro: eran ancora tutti in preda ad una grande agitazione conseguenza naturale dei fatti di quella giornata, della speranza, del dubbio ed anche del timore e, come suole avvenire, dovevano vivamente discutere tra loro, ed ecco Gesù, nella sua forma naturale, senza rumore alcuno, apparire in mezzo a loro, pronunciando il saluto solito, degli Ebrei: Schalom, “la pace a voi. „ – Come rimanessero tutti quei discepoli è facile immaginarlo. Parmi vederli immoti, quasi estatici, fermi gli occhi sul volto di Gesù, impotenti a pronunciare una parola, per poco senza respiro, come inconsci di se stessi, ondeggianti tra la gioia di vedere il Maestro, e il timore d’avere innanzi a sé un’ombra, uno spirito, Per incorarli e accertarli della verità, Gesù mostrò loro le cicatrici delle mani e del fianco, e ripeté il saluto: “Pace a voi” e, come narra S. Luca, completando il racconto, disse loro: Palpatemi e vedete: perché uno spirito non ha né ossa, né carne come mi vedete avere. – Poi domandò da mangiare, e mangiò un po’ di pesce e di miele. — Allora finalmente gli Apostoli e i discepoli smisero ogni timore ed ogni dubbio, e dovettero prorompere in grida di gioia e cadere ai suoi piedi e baciarglieli e sciogliersi in lacrime, come ciascuno può immaginare. Tutto ciò il Vangelista, ch’era presente, espresse con la solita sua parsimonia di linguaggio in queste cinque parole : “Gavisi sunt discipuli, viso Domino”! — I discepoli, visto il Signore, ne gioirono. Dopo la tempesta la calma, dopo il dolore la gioia, dopo gli strazi e le agonie il tripudio e la letizia più pura: la vista di Gesù tutto fa dimenticare a questi poveri discepoli, e certo non v’ebbe mai sulla terra gioia eguale alla loro. Miei cari, non dimentichiamo mai che la nostra vita quaggiù è una serie continua di pene e di gioie, di amarezze e di dolcezze, di giorni sereni e di giorni procellosi, e allorché questi imperversano, attendiamo quelli fidenti e tranquilli, e allorché questi brillano sopra di noi, prepariamoci alle ore della prova. – Gesù, dice il Vangelo, entrò, essendo chiuse le porte per timore dei Giudei. E come il corpo, il vero corpo di Gesù Cristo passò attraverso le porte o alle pareti? Se la voce nostra passa attraverso le porte e le pareti: se il raggio del sole passa attraverso l’acqua ed il cristallo: se ora la scienza ha scoperto raggi di luce che attraversano anche corpi solidi ed opachi, perché altrettanto non potrebbe fare un corpo glorioso e fatto spirituale, come dice S. Paolo? Tal era il corpo di Cristo. Egli, dice il Crisostomo, non bussò alla porta, non l’aperse, né sfondò per non atterrire gli Apostoli: “Januas non pulsavìt, ne turbarentur”. Quanta delicatezza! quanto amore per i suoi cari! Noi non sappiamo ciò comprendere, è vero, ma confessiamo, soggiunge S. Agostino, che Dio può fare cose che noi non intendiamo: ci basti il sapere che Dio può tutto, e non cerchiamo più oltre! – Ora sappiate, o cari, che vi furono e vivono tuttora, uomini ai quali non fanno difetto né ingegno, né dottrina, i quali osarono affermare, che i buoni Apostoli, in quella sera, furono vittima d’una illusione, credettero vedere e udire Gesù risorto, e non videro, né udirono che un fantasma, un’ombra creata dalla loro fantasia e dall’ardente loro brama di vedere ed udire redivivo il Maestro. Ma ci dicano questi dotti, ci dicano in nome del cielo: gli Apostoli e i discepoli, colà raccolti, che dovevano essere più di dodici persone, erano tutti vittima della propria fantasia? E tutti insieme, proprio nello stesso momento? Credere di vedere tutti, nello stesso momento, una persona, di udire tutti la stessa parola, e non vedere, non udire che un’ombra? E vederla sì da vicino e nella stessa figura e ingannarsi? Non solo vederla e udirla per pochi istanti, ma per qualche tempo, vedere le cicatrici delle mani e dei piedi e del costato e toccarle, e vederlo mangiare ed essere sempre e tutto giuoco della fantasia? Ed aver tale persuasione d’aver veduto Cristo risorto da non dubitarne mai, da patire e morire per Lui? E notate che gli Apostoli erano sì poco disposti a credere che fosse veramente risorto che, vedendolo, dubitavano e sospettavano che fosse un fantasma. E poi questa apparizione fatta la sera della Pasqua non bisogna separarla dalle tante altre che avvennero dopo, fino all’ultima solenne, allorché salì al cielo. San Paolo attesta che Gesù Cristo si mostrò risuscitato a circa 500 persone, nel periodo di quaranta giorni, in diversi luoghi e in diverse maniere: il dire od anche solo il sospettare che tutte queste apparizioni fossero effetto d’una allucinazione, è cosa sì strana, sì enorme, sì incredibile da mettere in dubbio tutti i fatti della storia più certi, da gettarci in uno scetticismo universale, e da urtare contro le leggi del senso comune in guisa da credere ragionevolmente essere allucinati davvero gli spacciatori di siffatte ipotesi e favole. – Ma è da ritornare al nostro racconto evangelico. Poiché Gesù ebbe ripetuto la cara parola “Pace a voi, „ soggiunge: “Siccome il Padre mandò me, così Io mando voi. „ Questa forma di parlare sì alta e sublime vuole essere spiegata: essa importa che la missione degli Apostoli e dei discepoli è, non solo simile, ma eguale, per quanto lo può essere, a quella che ebbe Cristo dal Padre: essa afferma l’identità della missione, ossia dell’ufficio di Cristo e dei suoi Apostoli, l’identità del fine, dei mezzi e del modo. Il Padre, così si ha da intendere la espressione di Cristo, il Padre ha mandato me con piena autorità di ammaestrare, di sciogliere i peccati, di dare la grazia di offrire il divin Sacrificio, ed Io do a voi la stessa autorità, sotto di me: “siete vicari miei [gli Apostoli ed i loro successori nella Sede Apostolica e nell’episcopato sono vicari di Cristo e non successori, perché il vicario ha il potere istesso di colui del quale è vicario, ma ne deve usare nel modo e nella misura che gli è determinata; mentreché il successore può anche modificare le cose stabilite da colui del quale è successore. Il Papa è vicario di Gesù Cristo, non successore, perché la sua potestà è delegata e circoscritta dai limiti posti da Cristo stesso.]: il Padre ha mandato me per santificare e salvare le anime, e voi pure santificate e salvate le anime: il Padre ha mandato me per vincere e guadagnare i cuori non con la forza, ma con la carità, con la persuasione, e così fate voi pure: il Padre mi ha mandato perché dia la mia vita per la salute del mondo: altrettanto fate voi: il Padre ha mandato me come un agnello in mezzo ai lupi, e così Io mando voi come agnelli in mezzo ai lupi: in una parola, voi avete lo stesso potere, che tengo Io dal Padre, e voi lo eserciterete nel modo stesso che l’ho esercitato io. Carissimi! comprendete la grandezza e l’eccellenza veramente divina della potestà della Chiesa, che risiede nel Capo in tutta la sua pienezza, e si spande da Lui in tutti i gradi della gerarchia in diversa misura! Nella Chiesa riguardiamo sempre Cristo vivente, operante, ammaestrante e santificante: si mutano gli uomini, che esercitano il potere, ma il potere è sempre quello: è come l’acqua d’un fiume, che muta il letto e le rive entro le quali scorre; ma è sempre la stessa: è come una gemma, che muta le persone che se ne adornano, ma essa non muta mai. “Come Gesù ebbe ciò detto, alitò sopra di loro, e disse: Ricevete lo Spirito santo. „ – E perché Gesù Cristo alitò loro in volto? Poiché Iddio a principio ebbe formato di poca argilla il corpo del primo uomo, gli alitò in volto, infuse in esso la vita del corpo, e quella troppo più preziosa dell’anima: doppia vita dell’anima e del corpo che doveva propagarsi nella futura generazione: qui, l’Uomo-Dio, il secondo Adamo, alita in volto ai suoi Apostoli e discepoli, rappresentanti la sua Chiesa, e infonde in essi quel soffio di vita divina, che essi dovranno propagare nella nuova generazione fino al termine dei secoli. Mirabile riscontro fra quel primo soffio di vita, che viene da Dio, e questo secondo, che viene dall’Uomo-Dio [“Qui initio naturam nostram, creavit et Spiritu sancto signavit, rursus in initio renovandæ natura sufflatione Spiritum discipulis largitur ut sicut creati ab initio fuimus, sic etìam renovaremur (S. Cyrill. Alex, in Joan.)! E perché Gesù alitò in volto ai suoi discepoli? L’alito è una cotale emanazione che esce da noi, una cotale effusione del nostro essere, che si comunica ad altri. Ora la fede ci insegna che lo Spirito santo è lo Spirito, ossia l’Emanazione amorosa del Padre nel Figlio e del Figlio nel Padre, consustanziale ad entrambi, e perciò assai opportunamente con quell’alito Gesù Cristo adombrò lo Spirito Santo, non già che quell’alito materiale fosse lo stesso Spirito Santo (cosa, più che assurda, ridicola), ma molto bene lo raffigurava. Certamente con quell’alito Gesù Cristo diede agli Apostoli e ai loro successori il potere divino, di cui tosto si parla. L’uomo, perché composto di spirito e di corpo, ha sempre bisogno di alcun che di sensibile per conoscere ciò che è spirituale, e non riceve questo che per mezzo di quello. Voi ora ricevete la verità, che è invisibile, ma la ricevete per mezzo della mia parola, che è sensibile: voi ricevete la grazia invisibile, ma sempre per mezzo dei Sacramenti, che sono mezzi visibili, noi ci uniamo a Dio per mezzo di Gesù Cristo, che è Dio, ma anche Uomo. Che più? Noi vediamo che l’autorità stessa umana si dà agli uomini con segni visibili, che saranno una divisa militare, un diploma, una corona, uno scettro. Era dunque ben naturale che Gesù Cristo, volendo dare agli Apostoli il suo potere, alitasse sopra di loro, quasi per significare, che come il suo soffio passava da Lui in loro, così con esso e per esso passava in loro il suo potere. – Ora vediamo, o dilettissimi, qual sia il potere che Gesù col misterioso suo soffio volle dare agli apostoli. Udite: “Quelli ai quali rimetterete i peccati, saranno rimessi: quelli ai quali li riterrete, saranno ritenuti. „ Se dovessi spiegarvi ampiamente questa sentenza di nostro Signore si richiederebbe un lungo discorso: mi restringerò a ciò che è necessario e voi raddoppiate la vostra attenzione, che l’argomento lo esige. Gesù Cristo non dà qui il potere di predicare la verità, di consacrare il suo corpo adorabile, di reggere la Chiesa od altro: dà il potere di rimettere o perdonare i peccati, di ritenerli ossia di rifiutare di perdonarli. L’oggetto dunque di questo potere divino sono i peccati, tutti i peccati, sempre e senza eccezione. Ma come si deve esercitare questo potere di perdonare o non perdonare i peccati? Forse col predicare la divina verità e con essa eccitare la fede e quindi ottenere la remissione dei peccati, come già dissero i fratelli nostri protestanti ? No, per fermo: se così fosse, il potere dato da Cristo di ritenere i peccati avrebbe significato il potere di non predicare, mentre Cristo comandò espressamente di predicare a tutte le genti. Più: se il potere di annunziare la verità è il potere stesso di perdonare i peccati, chiunque ammaestra nelle cose della fede, sia uomo, sia donna, sia cristiano, sia pagano, sia laico, sia prete, può rimettere i peccati; anzi potrebbero perdonare i peccati anche i libri, perché anche i libri, come gli uomini, e talora meglio degli uomini, ci insegnano le eterne verità. È dunque cosa manifesta che qui Gesù Cristo non diede il potere di predicare, ma un altro potere ben diverso. E quale? Considerate che Gesù Cristo conferisce agli Apostoli un doppio potere, quello di rimettere e quello di non rimettere i peccati. In qual maniera si deve esercitare questo potere? A caso? a capriccio? Andando per le vie gli Apostoli potranno dire agli uni, come loro talenta: “A voi sono rimessi i peccati”; e agli altri: “A voi non sono rimessi”? Certamente no; sarebbe cosa stolta, indegna di uomini che si rispettano, quanto più di Dio, che è la stessa sapienza! È dunque chiaro che gli Apostoli debbono perdonare i peccati o ritenerli secondo ragione, ossia debbono perdonarli a quelli ai quali è giusto perdonarli, e ritenerli a quelli ai quali è giusto ritenerli, e perciò devono avere una norma, una regola sicura, secondo la quale rimetterli o non rimetterli. Ora perché gli Apostoli e loro successori potessero sapere se si doveva dare il perdono o no secondo la regola evangelica, era assolutamente necessario che conoscessero le colpe di ciascuno e le disposizioni dell’animo, in una parola, era necessario che potessero entrare nei segreti della coscienza: solo allora avrebbero potuto sapere con sicurezza se dovessero assolvere o non assolvere. – Ma come entrare nei penetrali della coscienza senza la confessione volontaria dei propri peccati? Gesù Cristo dunque col dare quel doppio potere di rimettere o non rimettere i peccati, istituì necessariamente la Confessione, come mezzo indispensabile per esercitare ragionevolmente o l’uno o l’altro dei due poteri. Una similitudine chiarirà la cosa. – Il capo supremo di giustizia costituisce un giudice, gli assegna il campo della sua giurisdizione, egli dice: Giudicate, assolvete o condannate quanti saranno condotti innanzi al vostro tribunale. — Ditemi, o cari: potrà egli il giudice assolvere o condannare gli accusati come meglio gli piace, senza conoscere lo stato delle cose, udire l’accusato, esaminare le prove? No, sicuramente: sarebbe un insulto alla giustizia e al buon senso. Quelle parole del capo supremo della giustizia: “Assolvete o condannate gli accusati, „ vanno intese così: Udite, esaminate, conoscete debitamente lo stato degli accusati, accertatevi della loro innocenza o della loro reità, e allora usate del vostro potere di assolvere o di condannare, a norma di giustizia. Ecco come si debbono intendere le parole di Gesù Cristo, il sommo ed eterno Giudice: Quelli, ai quali, rimetterete i peccati, saranno rimessi; quelli, ai quali li riterrete saranno ritenuti. — Esse domandano da parte degli Apostoli e di quanti eserciteranno il loro ufficio la cognizione della causa, ossia la manifestazione della coscienza, ossia la Confessione, affinché si possa pronunciare sentenza secondo ragione e giustizia, e dire: “Ti assolvo, … non ti assolvo”. — Cristo dunque, dando il potere di assolvere o non assolvere i peccati, impose manifestamente ai peccatori l’obbligo di manifestare la loro coscienza, come condizione necessaria per l’esercizio del potere stesso. La cosa è sì chiara che non vi spendo intorno altre parole. – S. Giovanni continua il suo racconto, e dice: “Ma Tommaso, uno dei dodici, chiamato Didimo, non era con loro, quando venne Gesù; il Vangelo non dice per qual ragione Tommaso, che si chiamava anche Didimo, cioè gemello (forse perché gemello), era assente, né importa cercarla. Appena i discepoli l’ebbero visto, il primo loro saluto, come è facile immaginare, fu il grido che eruppe spontaneo dal loro cuore: “Abbiamo veduto il Signore. „ Sì lieto annunzio, sembra a noi, doveva ricolmare di gioia l’afflitto Tommaso: eppure non ne fu nulla. Misteri del cuore umano! Gli si assicurava dai compagni, che i desideri sì ardenti del suo cuore erano adempiuti, che Gesù era risorto, ed egli rifiuta ogni loro fede, si ostina a consumarsi nel dubbio e nel dolore, e pronuncia queste parole:” S’io non vedo nelle mani di Gesù la squarciatura dei chiodi e non vi metto il mio dito e non pongo la mia mano sul suo costato, non crederò. „ Era un linguaggio pieno di presunzione, di superbia, di caparbietà e oltraggioso verso i suoi fratelli. Era un dir loro sul viso, che li riputava tutti allucinati, visionari, fanatici, o bugiardi: era un dubitare delle promesse del divino Maestro e un pretendere che si mostrasse direttamente anche a lui; e notate che questa ostinazione dell’Apostolo durò per otto giorni. Egli voleva vedere e toccare le ferite delle mani e del costato del Maestro prima di credere: ma non le avevano vedute e toccate i suoi compagni? I loro occhi e le loro mani non valevano bene i suoi occhi e le sue mani? Perché quell’orgoglioso e ostinato: “Non credo? „ Io sono d’avviso che il buon Tommaso non si rendesse ragione del fallo, di cui si rendeva colpevole, e che dinanzi alla sua coscienza fosse immune da peccato grave: penso anche che, sopraffatto dal dolore per la morte del Maestro, non sapesse riaversi dal profondo scoramento in cui era caduto, né aprire il cuore alla speranza; ma, se mi è lecito dire un mio pensiero, in fondo a quell’anima afflitta e un po’ caparbia v’era un’altra causa, che lo teneva fermo nella sua ostinazione e che aveva la radice in una delle tante debolezze del cuore umano. Il povero Tommaso udiva che Gesù era apparso alle donne, a Pietro, a Giacomo, ai due che se ne andavano ad Emmaus, ai dieci suoi compagni nell’onore dell’apostolato: vedeva d’essere ormai il solo quasi dimenticato da Gesù: si sentiva umiliato e il suo cuore n’era punto sul vivo. Era naturale un risentimento, un certo dispetto di gelosia, d’amor proprio offeso, che cercava dissimulare e coprire dicendo: “Se non lo vedo, se non lo tocco anch’io, non crederò. „ Ma l’amoroso Gesù, pieno di compatimento pel suo caro Apostolo, permise la sua ostinazione per dare a lui una prova del suo affetto, e raffermare lui e gli altri tutti nella certezza della propria risurrezione. – “Otto giorni appresso (precisamente come oggi, ottava della Pasqua), i suoi discepoli erano ancora dentro quella casa e Tommaso con loro. Venne Gesù a porte chiuse, e stette in mezzo, e disse: Pace a voi! „ Ciascuno di noi comprende come a quella apparizione improvvisa il buon Tommaso, più che gli altri, dovesse sentirsi rimescolare il sangue, martellare il cuore e confondere tutte le idee: gioia e timore, rimorsi e giubilo, come le onde sopra uno scoglio, si avvicendavano nell’anima sua. Quel Gesù, che si era ostinato a negare risorto, ricusando fede alle sue promesse e alle affermazioni dei fratelli, era lì, a due passi; i suoi occhi, in un primo istante, incontratisi con quelli del Maestro, confusi, umiliati, si erano chinati a terra. I pensieri dei suoi compagni si riflettevano nell’anima sua, sentiva di meritare i loro rimproveri e più ancora quelli del Maestro, e li aspettava ed aspri…. Che cuore fu il tuo, o Tommaso, allorché in mezzo a quel solenne silenzio aspettavi di udire la parola di Gesù, parola severa, parola di duro e meritato rimprovero? Ma conosceva il Maestro, il suo cuore, la sua bontà, e temendo pure sperava. Quella voce, dolce e sì cara, in fondo alla quale si sentiva un lamento, un rimprovero, ma paterno, si fe’ udire: “Tommaso: qua il tuo dito (era un richiamo delicato alle sue proteste); qua il tuo dito e vedi le mie mani: stendi la tua mano e mettila sul mio costato [Bisogna dire che quel colpo di lancia, che trapassò il petto di Gesù già morto in croce, fosse rimasto profondamente fitto nella fantasia e nella memoria di Tommaso e di tutti gli Apostoli, perché lo notano in modo speciale] e fa di essere non incredulo, ma credente. „ Oh bontà, oh benignità, oh tenerezza del divino Maestro! Non un rimprovero, non un accento di sdegno contro l’Apostolo sì ostinato. Anzi Gesù lo invita a fare ciò che desiderava e a pigliarsi quella prova che esigeva qual condizione della sua fede e a smettere così la sua pervicacia. Poteva essere più benigno e più indulgente? Quelle parole, come una punta acuta penetrarono nel cuore di Tommaso, lo riempirono di dolore, di gioia e di gratitudine, e fuor di sé, nell’impeto dell’amore onde riboccava, con gli occhi gonfi di lacrime, e con voce rotta dai singulti, cadde ai piedi di Gesù, esclamando: “Signor mio e mio Dio! „ In queste parole non c’è neppure un verbo, ma esse dicono tutto. Esse volevano dire: O Signore, o Dio mio! vi credo, vi amo, mi pento, vi ringrazio, vi benedico, vi adoro, sono vostro, tutto vostro, perdonatemi, fate di me ciò che volete. Notate quella professione sì chiara di Tommaso: Dio mio! Vede un uomo, e protesta che quest’uomo è suo Dio! Il miracolo della risurrezione, congiunto a tutti gli altri miracoli, dei quali egli stesso era stato testimonio, alla dottrina, che aveva udita da Gesù Cristo, gli fece sentire e vedere in Gesù Cristo, in quell’uomo, che gli stava innanzi, il Figlio di Dio, e gli strappò quelle parole eloquentissime : “Signor mio e Dio mio [“Videbat tangebatque hominem et confitebatur Deum, quem non videbat neque tangebat? Sed per hoc quod videbat atque tangebat, illud, jam remota dubitatione, credebant” – S. August., Tract. 121]! „ Quanta carità e soavità in quella esortazione di Gesù Cristo: “Fa di essere non incredulo, ma credente” e poco dopo in quelle altre: “Perché hai veduto, o Tommaso, hai creduto: beati coloro, che non hanno veduto ed hanno creduto.” Questa sentenza deve tornare carissima a noi, o figliuoli dilettissimi. Noi non abbiamo veduto, non abbiamo udito, non abbiamo toccato Gesù Cristo nella sua umanità risorta, eppure abbiamo creduto e crediamo fermamente alla sua risurrezione e alla sua divinità, che ci fu annunziata dagli Apostoli e ci si ripete dalla Chiesa, e più felici di Tommaso, noi siamo da Cristo stesso dichiarati beati. – Siamo alla chiusa del nostro Evangelo. “Molti altri miracoli fece Gesù alla presenza dei suoi discepoli, che non sono scritti in questo libro, ma questi sono stati scritti affinché crediate che Gesù è il Cristo, Figlio di Dio, e affinché credendo, abbiate, nel nome di Lui, la vita eterna. „ – Da queste parole di S. Giovanni apprendiamo, che Gesù operò molti altri miracoli, oltre a quelli da Lui e negli altri tre Evangeli registrati, che Giovanni senza dubbio conosceva; perché voi, o cari, non potete ignorare che non tutto ciò che Gesù disse e fece fu scritto negli Evangeli, ma solo ciò che allo Spirito Santo parve necessario ed utile a nostro ammaestramento; il resto, in parte almeno, giunse a noi per la viva tradizione che si conserva nella Chiesa. S. Giovanni poi, in quest’ultimo versetto ci dice il fine o la ragione che lo mosse a scrivere il Vangelo, che fu quello che i lettori credessero Gesù essere il Cristo, cioè il Messia aspettato, il Figlio di Dio, eguale al Padre, e credendo questo, che è il fondamento della fede e vivendo conformemente a questa fede, potessero ottenere la vita eterna, meta ultima della fede e speranza nostra, vita eterna, che Iddio misericordioso conceda a me, a voi, a tutti gli uomini. [Qui è necessaria una avvertenza. È cosa evidente che qui si chiudeva il Vangelo di S. Giovanni. Come sta che segue dopo un altro capo, che è l’ultimo? In esso si narra distesamente un’altra apparizione avvenuta sul lago di Genesaret. Questo capo XXI, ora ultimo, certamente fu scritto da S. Giovanni dopo qualche tempo, quasi appendice. Per qual motivo? Per distruggere l’opinione, divenuta quasi generale, ch’egli, Giovanni, non avesse a morire fino alla seconda venuta di Cristo. In questo capo egli spiega le parole di Cristo, che, malintese, diedero occasione all’errore].

Credo …

Offertorium

 Orémus

Matt XXVIII:2; XXVIII:5-6. Angelus Dómini descéndit de cœlo, et dixit muliéribus: Quem quaeritis, surréxit, sicut dixit, allelúja. [Un Angelo del Signore discese dal cielo e disse alle donne: Quegli che voi cercate è risuscitato come aveva detto, alleluia.]

Secreta

Suscipe múnera, Dómine, quaesumus, exsultántis Ecclésiæ: et, cui causam tanti gáudii præstitísti, perpétuæ fructum concéde lætítiæ. [Signore, ricevi i doni della Chiesa esultante; e, a chi hai dato causa di tanta gioia, concedi il frutto di eterna letizia.]

Communio

[Joannes XX:27] Mitte manum tuam, et cognósce loca clavórum, allelúja: et noli esse incrédulus, sed fidélis, allelúja, allelúja. [Metti la tua mano, e riconosci il posto dei chiodi, alleluia; e non essere incredulo, ma fedele, alleluia, alleluia.]

Postcommunio

Orémus.

Quæsumus, Dómine, Deus noster: ut sacrosáncta mystéria, quæ pro reparatiónis nostræ munímine contulísti; et præsens nobis remédium esse fácias et futúrum.

I MEZZI NECESSARI ALLA SALVEZZA

  1. “I mezzi necessari alla salvezza” di S. Alfonso

Sant’Alfonso Liguori (morto nel 1787), vescovo e dottore della Chiesa

Sui mezzi necessari per la salvezza. 
di S. Alfonso M. de’ Liguori

Io sono voce di uno che grida nel deserto: raddrizzate la via del Signore” – Giovanni 1:23

Tutti vorrebbero essere salvati e godere della gloria del Paradiso; ma per conquistare il Paradiso, è necessario camminare sulla giusta via che conduce alla beatitudine eterna. Questa strada è l’osservanza dei comandamenti divini. Per questo, nella sua predicazione, il Battista esclamò: “Rendi dritta la via del Signore”. Per poter camminare sempre sulla via del Signore, senza deviare a destra o a sinistra, è necessario adottare i mezzi adeguati. Questi mezzi sono, innanzitutto, la diffidenza di noi stessi; in secondo luogo, la fiducia in Dio; in terzo luogo, la resistenza alle tentazioni.

Primo mezzo. Diffidenza di noi stessi

1. “Con timore e tremore”, dice l’Apostolo, “sviluppa la tua salvezza” – [Fil. II:12]. Per assicurarci la vita eterna, dobbiamo essere sempre penetrati dal timore; dobbiamo avere sempre timore di noi stessi (con paura e tremore) e diffidare del tutto delle nostre forze, perché, senza la grazia divina, non possiamo fare nulla.”Senza di me“, dice Gesù Cristo, “non puoi fare nulla“.: “Non possiamo fare nulla per la salvezza delle nostre anime”. San Paolo ci dice che noi non siamo capaci nemmeno di un buon pensiero. “Non però che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio”[II Cor. III: 5]. Senza l’aiuto dello Spirito Santo, non possiamo nemmeno pronunciare il nome di Gesù per meritare una ricompensa. “E nessuno può dire: “Signore Gesù”, se non per mezzo dello Spirito Santo” – I Cor.XII: 3

2. “Miserabile l’uomo che si affida a se stesso sulla via di Dio”. San Pietro ha sperimentato il triste effetto della fiducia in se stessi. Gesù Cristo gli disse: “In questa notte, prima del canto del gallo, mi rinnegherai tre volte” – [Matt. XXVI: 34]. Confidando nelle proprie forze e nella sua buona volontà, l’Apostolo rispose: “Sì, anche se dovessi morire con Te, non ti rinnegherò” – [v.35]. Quale fu il risultato? Nella notte in cui Gesù Cristo venne preso, Pietro fu rimproverato nella corte di Caifa di l’essere uno dei discepoli del Salvatore. Il rimprovero lo riempì di paura: tre volte negò il suo Maestro e giurò di non averlo mai conosciuto. L’umiltà e la diffidenza in noi stessi ci sono così necessarie, che Dio ci permette talvolta di cadere nel peccato, affinché, con la nostra caduta, possiamo acquisire l’umiltà e la conoscenza della nostra stessa debolezza. Per mancanza di umiltà anche Davide cadde: quindi, dopo il suo peccato, disse: “Prima di essere umiliato, andavo errando” – Sal. CXVIII:67.

3. Quindi lo Spirito Santo pronuncia: benedetto l’uomo che ha sempre paura: “Beato l’uomo che ha sempre paura” – Prov. XXVIII:14. Chi ha paura di cadere, diffida delle proprie forze, evita il più possibile tutte le occasioni pericolose e si raccomanda spesso a Dio, preservando così la sua anima dal peccato. Ma l’uomo che non ha paura, e che è pieno di fiducia in se stesso, si espone facilmente al pericolo del peccato, raramente si raccomanda a Dio e così cade. Immaginiamo una persona sospesa su di un grande precipizio sopra una corda tenuta da un’altra persona. Sicuramente griderebbe costantemente alla persona che lo sostiene: tieni duro, tieni duro; per l’amor di Dio, non lasciarti andare. Siamo tutti in pericolo di cadere nell’abisso di ogni crimine, se Dio non ci sostiene. Quindi dovremmo costantemente implorarlo di tenere le sue mani su di noi e aiutarci in tutti i pericoli.

4. Alzandosi dal letto, san Filippo Neri soleva dire ogni mattina: “O Signore, tieni la tua mano oggi su Filippo; se non lo fai, Filippo ti tradirà”. E un giorno, mentre camminava per la città, riflettendo sulla propria infelicità, spesso diceva: “Io dispero, mi dispero”. Un certo religioso che lo ascoltò, credendo che il santo fosse davvero tentato dalla disperazione, lo corresse e lo incoraggiò a sperare nella divina misericordia. Ma il santo rispose: “Io dispero di me stesso, ma confido in Dio”; quindi, durante questa vita in cui siamo esposti a tanti pericoli di perdere Dio, è necessario per noi non vivere sempre con grande sfiducia in noi stessi, ma pieni di fiducia in Dio.

Secondo mezzo: fiducia in Dio.

5. San Francesco di Sales afferma che la sola attenzione all’autodifesa, a causa della nostra debolezza, ci renderebbe solo pusillanimi e ci esporrebbe al grande pericolo di abbandonarci ad una vita tiepida o addirittura alla disperazione. Più diffidiamo delle nostre forze, più dovremmo confidare nella misericordia divina.Questo è un equilibrio, dice lo stesso Santo, in cui più si alza il livello di fiducia in Dio, più scende il livello di diffidenza in noi stessi.

6. Ascoltatemi, o peccatori che avete avuto la disgrazia di aver offeso finora Dio, e di essere condannati all’inferno: se il diavolo vi dice che rimane poca speranza per la vostra salvezza eterna, rispondete con le parole della Scrittura: “Nessuno che ha sperato nel Signore, è stato confuso” – Eccl.II:11.Nessun peccatore che ha sempre creduto in Dio è mai andato perso.Fate, quindi, un fermo proposito di non peccare più; abbandonatevi nelle braccia della divina bontà; e state certi che Dio avrà pietà di voi e vi salverà dall’inferno. “Getta le tue cure sul Signore, ed Egli ti sosterrà” – Sal.XLIV:23.Il Signore, come leggiamo in Blosius, un giorno disse a santa Gertrude: “Chi confida in me, mi fa talmente violenza che non posso che ascoltare tutte le sue suppliche”.

7. “Ma”, dice il profeta Isaia, “ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi” – XL: 31. Coloro che ripongono la loro fiducia in Dio rinnoveranno la loro forza; essi metteranno da parte la propria debolezza e acquisiranno la forza di Dio; voleranno come aquile sulla via del Signore, senza fatiche e senza mai mancare. Davide dice che “la misericordia comprenderà colui che spera nel Signore” – Sal.XXI: 10. Colui che spera nel Signore sarà circondato dalla sua misericordia, così che non sarà mai abbandonato da essa.

8. San Cipriano dice che la divina misericordia è una fonte inesauribile. Coloro che ne portano la fiducia più grande, ne traggono le più grandi grazie. Quindi, il Profeta Reale ha detto: “La tua grazia, Signore, sia sopra di noi, ché abbiamo sperato in Te” – Sal.XXXII: 22. Ogni volta che il Diavolo ci terrorizza ponendo sotto i nostri occhi la grande difficoltà di perseverare nella grazia di Dio, nonostante tutti i pericoli e le occasioni peccaminose di questa vita, lasciate che, senza rispondergli, eleviamo gli occhi a Dio, e sperando che bella sua bontà ci invierà certamente un aiuto per resistere ad ogni attacco. “Ho alzato gli occhi verso le montagne, da dove mi verrà l’aiuto? ” – Sal.CXX: 1. E quando il nemico ci rappresenta la nostra debolezza, diciamo con l’Apostolo: “Posso fare tutto in Colui che mi da forza” – Fil.IV:13. Da me stesso non posso fare nulla; ma confido in Dio così che, per sua grazia, sarò in grado di fare tutte le cose.

9. Quindi, nel mezzo dei più grandi pericoli di perdizione ai quali siamo esposti, dovremmo continuamente rivolgerci a Gesù Cristo e gettarci nelle mani di Colui che ci ha redenti con la sua morte, e dovremmo dire: “Nelle tue mani io raccomando il mio spirito: Tu mi riscatti, o Signore, Dio verace “- Sal.XXX: 6. Questa preghiera dovrebbe essere detta con la grande sicurezza di ottenere la vita eterna, e ad essa dovremmo aggiungere: “In te, o Signore, ho sperato, non lasciarmi confuso per sempre” – Sal.XXX: 1

Terzo mezzo: resistenza alle tentazioni.

10. È vero che quando ricorriamo a Dio con fiducia, in pericolose tentazioni, Egli ci assiste; ma, in certe occasioni molto urgenti, il Signore a volte desidera che cooperiamo e facciamo violenza a noi stessi onde resistere alle tentazioni. In tali occasioni, non sarà sufficiente ricorrere a Dio una o due volte; sarà necessario moltiplicare le preghiere e spesso prostrarsi e sospirare davanti all’immagine della Beata Vergine e del Crocifisso, gridando nelle lacrime: Maria, Madre mia, aiutatemi; Gesù, mio ​​Salvatore, salvami, per la tua misericordia, non abbandonarmi, non permettere che io mi perda.

11. Teniamo presente le parole del Vangelo: “Quanto è stretta la porta e dritta è la via che conduce alla vita: e pochi sono quelli che la trovano” – Mat.VII:14. La via per il Cielo è diritta e stretta: coloro che desiderano arrivare in quel luogo di beatitudine camminando per le vie del piacere, saranno delusi; e quindi pochi lo raggiungono, perché pochi sono disposti ad usare la violenza per resistere alle tentazioni. “Il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono” – Matt.XI: 12. Nello spiegare questo passaggio, uno scrittore dice: “Vi quæritur, invaditur, occupatur”. Deve essere ricercato e ottenuto con la violenza: chi vuole ottenerlo senza inconvenienti, o conducendo una vita dolce e regolare, non lo acquisisce e ne sarà escluso.

12. Per salvare le loro anime, alcuni Santi si sono ritirati nel chiostro;alcuni si sono rinchiusi in una grotta; altri hanno abbracciato tormenti e morte. “I violenti se ne impadroniscono”. Alcuni lamentano la loro mancanza di fiducia in Dio; ma non percepiscono che la loro diffidenza deriva dalla debolezza della loro risoluzione di servire Dio. Santa Teresa soleva dire: “Di anime irresolute il Diavolo non ha paura”. E l’uomo saggio ha dichiarato che “i desideri uccidono i pigri” – Prov.XXI:25. Alcuni vorrebbero essere salvati e diventare santi, ma non risolveranno mai di adottare i mezzi della salvezza, come la meditazione, la frequentazione dei Sacramenti, il distacco dalle creature; oppure, se adottano questi mezzi, presto li abbandonano. In una parola, sono soddisfatti dei loro desideri infruttuosi, e così continuano a vivere nell’inimicizia con Dio, o almeno nella tiepidezza, che, alla fine, li conduce alla perdita di Dio. Così in loro sono verificate le parole dello Spirito Santo, “i desideri uccidono il pigro“.

13. Se, quindi, desideriamo salvare le nostre anime e diventare santi, dobbiamo prendere la decisione forte, non solo in generale di donarci a Dio, ma anche in particolare di adottare i mezzi adeguati, senza mai abbandonarli mai dopo averli presi una volta. Quindi non dobbiamo mai smettere di pregare Gesù Cristo e la sua Santissima Madre, per ottenere la santa perseveranza.