PECCATO ORIGINALE

PECCATO ORIGINALE

[G. Bertetti:  “I tesori di S. Tommaso D’Aquino”. S.E.I. Ed. 1918]

1. Il peccato dei nostri primi padri. — 2. Sue conseguenze. — 3. La riparazione (Comp. Theol., 189-200).

1. Il peccato dei nostri primi padri. — Il diavolo, che già aveva peccato, vedendo l’uomo nella condizione di poter giungere a quell’eterna felicità da cui esso era caduto, e in pari tempo nella condizione di poter peccare, cercò di stornarlo dalla rettitudine della giustizia, assalendolo dalla parte più debole, col tentar la donna in cui era men vigoroso il dono e il lume della sapienza. E per inclinarlo più facilmente nella trasgressione del precetto, escluse, con la menzogna il timore della morte e gli promise ciò che l’uomo desidera naturalmente: lo scanso dell’ignoranza (« s’apriranno i vostri occhi »), l’eccellenza della dignità (« sarete come dei »), la perfezione della scienza (« sapendo il bene e il male »). L’uomo infatti da parte dell’intelletto fugge naturalmente l’ignoranza e desidera la scienza; da parte della volontà, che è naturalmente libera, desidera tale altezza e perfezione da essere soggetto a nessuno o almeno a più pochi che può. a donna adunque desiderò nello stesso tempo l’altezza promessale e la perfezione della scienza. Vi s’aggiunse ancora la bellezza e soavità del frutto che attiravala a cibarsene: e così, disprezzando il timore della morte, trasgredì il precetto di Dio col mangiare il frutto proibito. Cinque peccati ella commise pertanto: — 1° di superbia, col desiderio disordinato d’eccellenza; — 2° di curiosità, desiderando la scienza oltre i termini prefissi; — 3° di gola lasciandosi attirare dalla soavità del cibo a mangiarne; — 4° d’infedeltà, con un falso concetto di Dio, mentre credette alle parole del diavolo contro a quelle di Dio; — 5° di disubbidienza, trasgredendo il comando di Dio. Dalla persuasione della donna il peccato giunse fino all’uomo, il quale tuttavia, come dice l’Apostolo, non fu sedotto come la donna, non avendo egli creduto alle parole del diavolo contro quelle di Dio: egli non poteva supporre che Dio avesse fatto una minaccia menzognera o l’avesse inutilmente proibito da una cosa utile. Fu però attirato dalla promessa del diavolo, desiderando indebitamente l’eccellenza e la scienza; quindi la sua volontà s’allontanò dalla rettitudine della giustizia, volle contentar la donna, la seguì nella trasgressione del precetto di Dio e mangiò il frutto proibito.

Conseguenze del peccato originale. — L’integrità così ben ordinata dei nostri primi padri era tutta causata dalla soggezione dell’umana volontà a Dio: perciò, sottratta l’umana volontà alla soggezione divina, ebbe fine necessariamente quella perfetta soggezione delle inferiori forze alla ragione e del corpo all’anima. Per conseguenza l’uomo sentì nell’inferiore appetito sensibile i moti disordinati della concupiscenza e dell’ira e delle altre passioni: non più secondo l’ordine della ragione, ma ad essa ribelli, ma ottenebranti e quasi sconvolgenti nel maggior numero di volte. Quest’è la ripugnanza della carne verso lo spirito, della quale parla la Scrittura. Infatti, poiché l’appetito sensitivo, come anche le altre forze sensitive, opera per mezzo d’organi corporei, mentre la ragione opera senz’alcun organo corporeo, convenientemente s’imputa alla carne ciò che appartiene all’appetito sensitivo: s’attribuisce allo spirito ciò che appartiene alla ragione, come sogliono chiamarsi sostanze spirituali quelle che son separate dai corpi. Ne seguì pure che il corpo sentisse i difetti della corruzione e che perciò l’uomo incorresse nella necessità di morire, non avendo più la forza di mantenere in perpetuo il corpo animato con dargli la vita. L’uomo divenne dunque passibile e mortale: non solo potendo patire e morire come prima, ma avendo quasi una necessità di patire e di morire. Molti altri difetti derivarono per conseguenza all’uomo. Abbondando nell’appetito inferiore i moti disordinati delle passioni, e mancando anche nello stesso tempo alla ragione quel lume di sapienza che divinamente illustrava la volontà mentre era soggetta a Dio, l’uomo sottomise il suo affetto alle cose sensibili, fra le quali, allontanandosi da Dio, peccò in molti modi; inoltre l’uomo si rese schiavo degli spiriti immondi ripromettendosene l’aiuto nelle sue imprese. Di qui nel genere umano l’idolatria e molti altri peccati: e quanto più l’uomo vi rimase corrotto, tanto più s’allontanò dalla conoscenza e dal desiderio dei beni spirituali e divini. – Al genere umano era stato attribuito da Dio nel primo padre il bene della giustizia originale in modo che derivasse ai posteri. Privato di questo bene il primo uomo per propria colpa, dovettero pure esserne privati tutti i discendenti, i quali dopo il peccato del primo padre nacquero tutti senza giustizia originale e coi difetti che ne derivano. Né questo è contro l’ordine della giustizia, quasi che Dio punisca nei figli la colpa del primo padre: perché questa pena non è altro che la sottrazione di quello che sovrannaturalmente f u concesso da Dio al primo uomo e che per mezzo del primo uomo doveva derivare ad altri. Agli altri pertanto ciò non era dovuto, se non come eredità del primo padre. Se un sovrano desse a un suo soldato un feudo da trasmettere poi in eredità agli eredi, e se il soldato mancasse contro il sovrano in modo da perdere il feudo, anche gli eredi ne sarebbero giustamente privati.

Un’altra questione: — Ci è imputato a colpa un male, quando è in nostra potestà il farlo e il non farlo; ora non è in nostra potestà il nascere con la giustizia originale o senza di essa: dunque l’esser nati privi della giustizia originale non dovrebbe aver ragione di colpa. — Questa difficoltà si risolve agevolmente, distinguendo fra persona e natura. Come in una sola persona ci sono molte membra, così in una sola umana natura ci son molte persone, sicché per la partecipazione della specie i molti uomini si comprendono quasi come un sol uomo. Or bene, nel peccato d’un sol uomo si fanno con diverse membra diversi peccati, e affinché ci sia colpa non si richiede che ciascuno di questi peccati siano volontari per la volontà del membro che fa il peccato: basta che siano volontari per la volontà di ciò che nell’uomo è principale, cioè la parte intellettiva, perché al comando della volontà intellettiva non può la mano non percuotere, non può il piede non camminare. Appunto in questo modo il difetto dell’originale giustizia è peccato di natura: perché deriva dalla volontà disordinata del primo principio nella natura umana, ossia il primo padre. Essendo volontario per rispetto alla natura, passa in tutti quelli che dal primo principio ricevono la natura umana, vi passa come in membra del primo principio: e si dice peccato originale, perché è derivato per origine dal primo padre nei posteri. Gli altri peccati, cioè gli attuali, riguardano immediatamente la persona che pecca: il peccato originale riguarda direttamente la natura, che, infestata dal peccato del primo padre, infetta la persona dei figli.

3. La riparazione. — Quantunque il peccato del primo padre abbia infettato tutta la natura umana, questa non poté esser riparata dalla penitenza del primo padre né da qualsiasi altro suo merito. È manifesto che la penitenza d’Adamo o qualsiasi altro suo merito fu un atto individuale, che non poteva redintegrare tutta la natura umana. Adamo con la penitenza riacquistò la grazia, non la pristina innocenza: anche qui è manifesto che lo stato di giustizia originale fu un dono speciale di grazia; ora, la grazia non s’acquista per meriti, ma si dà gratuitamente da Dio. Come dunque il primo uomo ebbe da principio l’originale giustizia non per merito ma per dono di Dio: così, e molto meno, poté dopo il peccato meritarsela con la penitenza o con qualsiasi altra opera. Eppure, bisognava che l’umana natura così infetta fosse riparata dalla divina provvidenza. Se non si fosse tolta questa infezione, l’uomo non avrebbe potuto giungere alla perfetta beatitudine: perché la beatitudine, essendo il bene perfetto, non tollera alcun difetto, e massimamente quello che è peccato, che è contrario alla virtù e alla via della beatitudine. Dunque, se non fosse stata riparata l’umana natura, l’uomo non avrebbe giammai raggiunto il suo ultimo fine, e sarebbe così rimasta frustrata l’opera di Dio in una creatura tanto nobile. — Inoltre l’uomo, fin quando si trova in questa vita mortale, non può esser né confermato irremovibilmente nel bene, né ostinato irremovibilmente nel male. Non conveniva dunque che la divina bontà, tanto superiore alla potenza della creatura nel fare il bene, lasciasse vana del tutto la possibilità che ha l’umana natura d’esser purgata dall’infezione del peccato. – Ma l’umana natura, come s’è dimostrato, non poteva esser riparata né per mezzo d’Adamo né per mezzo di qualsiasi semplice uomo: sia perché nessun uomo da solo sopravanzava tutta la natura, sia perché nessun semplice uomo può esser causa di grazia. E per la medesima ragione l’umana natura non poteva esser riparata da un Angelo: sia perché un Angelo non può esser causa di grazia, sia perché un Angelo non può esser premio dell’uomo quanto all’ultima beatitudine perfetta, a cui doveva l’uomo esser revocato, e in cui l’uomo e l’Angelo son pari. – Dio dunque soltanto poteva riparare l’umana natura. Ma s’Egli l’avesse riparata con la sola sua volontà e virtù, non sarebbe stato conservato l’ordine della giustizia, la quale esige per il peccato una soddisfazione. Ma in Dio non può esserci né soddisfazione né merito: perché la soddisfazione e il merito son cose proprie di chi dipende da un altro. Non competendo a Dio soddisfare per il peccato di tutta la natura umana, e non potendolo un semplice uomo, fu conveniente che Dio si facesse uomo, affinché così fosse un solo e il medesimo chi potesse e riparare e soddisfare. Quest’è la causa che l’Apostolo assegna della divina incarnazione: « Venne Cristo Gesù in questo mondo a salvare i peccatori » (I Tim., I, 15).