SCUDO DELLA FEDE -III- : LA DIVINA RIVELAZIONE

III.

LA DIVINA RIVELAZIONE.

[Da: A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede” S.E.I. Ed. Torino, 1927 -impr.]

La divina rivelazione è possibile. — Fu per noi necessaria. — Esiste.

— È possibile che Iddio abbia parlato agli uomini per rivelar loro delle verità da credere?

Non solo è possibile, ma indubitato. Forse che tu non possa, ogni qual volta lo voglia, parlare con gli altri uomini per rivelar loro i pensieri della tua mente? E se ciò puoi farlo tu, perché non avrà potuto farlo Iddio, che è onnipotente?

— Ma Iddio nel parlare agli uomini non si sarebbe abbassato, avvilito?

Si sarebbe abbassato, avvilito, se avesse fatto cosa indegna di Lui. Ma si può dire forse che il parlar, che egli fece agli uomini, sia stato indegno della sua divina bontà? Tutt’altro. Se fosse così si dovrebbe dire che si è pure abbassato nel creare gli uomini e che continuamente si abbassa nel conservarli. No, la divina rivelazione non è un avvilimento della divina maestà: essa anzi è la cosa più conforme alla stessa, la cosa più degna e conveniente. E non ti pare che se Iddio, dopo aver creati gli uomini, non si fosse loro rivelato, fatto conoscere, la sua Provvidenza verso di noi apparirebbe monca ed imperfetta? Non dovremmo dire che Egli si è curato poco di noi, che poco gli preme il nostro culto e la nostra felicità.

— Ciò è verissimo. Ma gli uomini avranno potuto intendere Iddio a parlare?

Perché no? Se Iddio si è espresso in modo da farsi intendere (e dal momento che

egli voleva rivelare agli uomini delle verità da credere, non poteva far diversamente), era più che naturale che gli uomini, benché con una intelligenza finita, lo abbiamo potuto intendere.

— Ma non capisco, perché Iddio avendoci data la intelligenza, con la quale possiamo noi conoscere le cose, abbia poi ancora voluto Egli parlare agli uomini per apprendere loro le verità da credere.

Caro mio, non bisogna dimenticare che vi sono due sorta di verità: di quelle che con la nostra intelligenza possiamo comprendere e di quelle alla nostra intelligenza affatto incomprensibili, ossia misteri. Ora poiché Iddio volle che noi, ad essere salvi, credessimo non solo alle prime verità, ma eziandio alle seconde, non era assolutamente necessario, che ce le manifestasse? Anzi era pur necessario, non assolutamente, ma moralmente, la manifestazione o rivelazione di quelle stesse verità che con la nostra intelligenza possiamo comprendere. Dimmi, se tu vuoi imparar bene una scienza od arte, hai bisogno, sì o no del maestro?

— Senza dubbio, perché capisco bene che assolutamente parlando potrei imparare una scienza od un’arte anche da me, come han fatto taluni, ma ordinariamente no, perché allora mi ci vorrebbe chi sa quanto tempo.

Benissimo. Così le verità, che la nostra stessa intelligenza può comprendere, assolutamente parlando, dagli uomini si potevano venir a conoscere, come ad esempio che Dio esiste, che Egli è giusto, che l’anima è spirituale ed immortale, che vi ha. una vita futura, che i buoni han da essere premiati e i cattivi castigati: che perciò bisogna onorare quel Dio che esiste, fare il bene, evitare il male, combattere le nostre cattive inclinazioni, amare il nostro prossimo, essere giusti con tutti, fedeli ai propri doveri, prudenti nelle difficoltà, forti in mezzo ai pericoli, e simili. Ma a questa cognizione potevano pervenire tosto, di per sé, con sicurezza e in modo chiaro tutti quanti gli uomini?

— Eh! si sa, gli uomini dotati di bell’ingegno e di facile intendimento sono pochi.

Aggiungi che tra gli stessi uomini di grandi forze intellettuali ve ne sono moltissimi che per la loro bassa condizione, per il lavoro manuale, cui devono continuamente attendere affine di guadagnarsi il pane, non avrebbero potuto applicarsi a tale studio. E posto pure che un gran numero di uomini avessero avuto tale agiatezza da potervisi applicare, l’esperienza non dimostra forse che costoro, in parte abbastanza grande, avrebbero avuto ben poca voglia di farlo? Epperò che cosa sarebbe stato dei più?

— Non avrebbero neppure conosciute quelle verità, che pure, assolutamente parlando, sono all’umana intelligenza accessibili.

Certamente. E così solamente alcuni filosofi privilegiati sarebbero pervenuti al conoscimento di dette verità, e ben s’intende dopo un lungo e non facile studio.

— Ebbene, non avrebbero poi potuto questi filosofi insegnare essi tali verità agli uomini?

L’esperienza dimostra chiaramente che no. Siccome anche, i grandi sapienti hanno le loro passioni, e se ne lasciano pur troppo dominare, perciò o dalla loro superbia, o dalla loro invidia, o dall’amore ai malvagi piaceri, o da altra simile causa si lasciano traviare assai facilmente, sia nella ricerca delle verità, sia nel dedurne delle applicazioni pratiche. Difatti se tu getti lo sguardo sugli stessi più celebri filosofi antichi, ne troverai forse uno solo che non sia caduto in vari e gravissimi errori? – Per citarti qualche esempio, il famoso Socrate, benché ammettesse un Dio supremo, non negava la pluralità degli dei, e in quanto all’immortalità dell’anima la riteneva solo probabile. Il celebre Platone, che per la sua scienza fu chiamato addirittura divino, non ostante l’altezza dei suoi concetti, e il soffio poetico, e la dolce eloquenza, con cui li esprime, ribocca ancor esso di errori. Egli insegna fra le altre cose, che Dio e la materia hanno un’esistenza esattamente parallela ed infinita, e che quello si è giovato di questa per formare il mondo; che l’uomo ha tre anime diverse, una ragionevole, che è esistita prima di lui, un’altra virile, che è il principio del volere, dell’avere coraggio e forza, l’altra femminile, che è la fonte delle passioni sensuali; che il matrimonio deve essere abolito come istituzione costante; che gli schiavi non sono uomini ma cosa. – Così pure errò gravissimamente Aristotile, che arrivò al punto da negare la Provvidenza e da asserire che solamente gli uomini liberi hanno diritti, mentre gli schiavi sono naturalmente animali bipedi destinati a servire gli altri. Or ti pare che questi filosofi sarebbero stati buoni maestri degli altri uomini?

— No certamente. Ma i filosofi moderni però …

I filosofi moderni, che non han voluto prestar fede alla rivelazione, sono caduti in errori anche più grossolani. Figurati che hanno rigettata la creazione e l’esistenza di Dio, che hanno detto, che la virtù e il vizio sono nomi inventati dagli uomini, ma che in realtà non v’è distinzione di sorta tra il bene e il male. Ora ti sembra che i filosofi moderni potrebbero essere per l’umanità maestri migliori dei filosofi antichi? E poi, dimmi, la verità è, sì o no, una sola?

— Non vi può essere alcun dubbio.

E dunque da quale di questi maestri, vuoi antichi, vuoi moderni, gli uomini avrebbero appresa la verità, se quasi nessuno fra di loro è andato d’accordo con un altro nelle sue dottrine? Se anzi, come ha detto lo stesso Giangiacomo Rousseau, tutti per ragione del loro egoismo hanno messo il massimo studio per pensare diversamente dagli altri, preferendo ognuno la menzogna trovata da lui alla verità scoperta per altri?

— Capisco; questi maestri per difetto di unità dottrinale non avrebbero autorità di sorta.

E supponiamo pure per un momento che l’avessero, forse che la più parte degli uomini avrebbe la comodità e la voglia di andarli a sentire? Ti pare, a te, che i poveri, gli operai i contadini, le donne i fanciulli andrebbero alla loro scuola? Eh! caro mio, questa gente ha ben altro a fare per guadagnarsi il necessario sostentamento. Vedi adunque come la ragione stessa dimostra, che anche per la conoscenza sicura, pronta ed universale delle verità di ordine naturale era necessaria la rivelazione divina, che cioè Dio manifestasse Egli agli uomini tali verità. E questa necessità fu riconosciuta dagli stessi filosofi antichi e moderni, ancorché miscredenti.

— Dunque in realtà gli uomini tutti senza la rivelazione divina non possono conoscere nessuna verità, neppure d’ordine naturale.

Adagio a dir ciò. Questo pure è un errore, e grave; errore nel quale sono caduti ultimamente certi filosofi, che si chiamano tradizionalisti, i quali asserirono che senza la rivelazione, senza la tradizione primitiva, che ci viene con la parola, noi non possiamo conoscere nulla; il che come potrai riconoscere da quanto fu detto di sopra, è falso perché distrugge le forze della ragione e sconvolge ogni ordine

— In conclusione adunque la rivelazione divina è possibile ed è necessaria.

Sì nel senso che ti ho spiegato.

— Ora sarei curioso di sapere quando, dove e a chi Iddio ha fatto tale rivelazione.

Ottima curiosità, che subito ti soddisfo. Iddio ha cominciato la divina rivelazione delle verità, che si hanno a credere per essere salvi, al principio del mondo al nostro primo padre Adamo nel paradiso terrestre; in seguito continuò a far tale rivelazione ai patriarchi Abramo, Isacco, Giacobbe nelle pianure della Caldea; di poi al grande legislatore ebraico, Mosè, sulla vetta del Sinai, al re Davide, a Salomone, ai profeti, e per essi a tutto il popolo ebreo sia nella sua patria come nelle terre di esilio e di schiavitù. E da ultimo Egli la compì per mezzo del suo Divin Figlio, che mandò sulla terra nella Palestina, e che ammaestrò dodici uomini, che si chiamano Apostoli, ossia ambasciatori suoi all’umanità, e per essi la sua Chiesa, ora e sempre suo gran testimonio ed organo infallibile.

— Ma tutti costoro, come Adamo, Abramo Mosè, Davide, eccetera, i quali asserirono di aver inteso Iddio a parlare e manifestare loro delle verità da credersi da tutti, non potrebb’essere che siano stati furbi impostori, che abbiano detto ciò per ingannare gli uomini a seconda di qualche loro interesse, oppure poveri imbecilli, che si siano creduto nelle loro allucinazioni e nei loro sogni da matto, che Dio abbia loro parlato, mentre non era vero?

Questa obbiezione è giustissima. Ma io ti rispondo subito, che la nostra ragione nel

ricercare il fatto della divina rivelazione non solo trova per mezzo della storia i luoghi, i tempi e le persone, cui la divina rivelazione fu fatta, ma trova pure della medesima prove evidentissime e di tale forza, per cui, a meno di voler essere irragionevoli, bisogna ammettere assolutamente la verità di essa, e cioè la verità della fede cristiana, ossia di quel complesso di verità, che la Chiesa Cattolica insegna e che noi dobbiamo credere.

— E quali sono queste prove?

Sono due principali: le profezie e i miracoli. Ed una volta che tu abbia riconosciuto,

come realmente Iddio si sia servito di questi due mezzi per rendere certa presso di noi la fede che ci ha rivelato, avrai riconosciuto altresì, che per credere vi sono dei motivi, e motivi assoluti.