ERESIA

Nelle attuali foschie/follie dottrinali, comuni alle diatribe inutili e ridicole tra gruppi o corpuscoli settari filo-modernisti o filo-[pseudo-] tradizionalisti, si può rilevare, specie tra laici autoreferenziati “teologi-fai-da-te”, l’ignoranza abissale delle più elementari definizioni teologiche, oltre che delle verità dogmatiche e magisteriali, per cui si usano impropriamente termini e locuzioni, senza comprenderne il reale significato ed usandole a sproposito tale, da non sapere se ridere o piangere, specie se utilizzate nei confronti della Chiesa Eclissata o del Papa “impedito” Gregorio XVII, già Cardinal Siri. Si è così sentito il bisogno di compensare almeno approssimativamente qualche lacuna tra le più marcate. Parliamo oggi di:

ERESIA

[Da: Enciclopedia cattolica vol. V, coll. 487-490]

ERESIA. – Parola greca, che significa « scelta », « elezione ».

SOMMARIO: I. Nozioni generali. – II. Nella dogmatica : l’e.-dottrina. – III. Nella morale: l’e.-peccato. – IV. Nel diritto canonico : l’e.-delitto. –

I. NOZIONI GENERALI. – Il termine assai frequente nell’uso profano, originariamente serviva soprattutto a indicare la preferenza per una data dottrina religiosa, filosofica o politica, poi i seguaci di tale dottrina e infine la dottrina stessa, senza però includere alcuna nota di biasimo o di condanna. Nel Nuovo Testamento, dove ricorre per 9 volte, è usata in senso di setta o dottrina da riprovarsi: così S. Paolo respinge il titolo di e. applicato dai Giudei al Cristianesimo nascente (Act. XXIV, 14).

I Padri Apostolici, gli apologisti e specialmente Tertulliano (De Præscr.., 6) ne precisano ulteriormente il significato, qualificando per eretici quanti vogliono introdurre una variazione personale in seno al Cristianesimo in contrasto con l’insegnamento tradizionale della Chiesa. Finalmente con S. Girolamo il termine fu usato solo per indicare gruppi separati dalla Chiesa per false dottrine, mentre si chamò scisma il distacco per rifiuto di obbedienza  alla gerarchia: « Inter hæresim et Schisma, hoc arbitror interesse, quod hæresis perversum dogma habeat, schisma autem quod ab Ecclesia separet » (In Epist. Ad Titum: PL 26, 598). Resta  così ormai fissato che nell’eresia prevale un dissenso dottrinale, nello scisma un dissenso disciplinare. Termini e concetto, elaborati in tal modo dai Padri, passarono nell’uso ecclesiastico successivo. L’e. presenta molteplici problemi per la teologia, da esaminare considerandone l’aspetto dogmatico, morale, canonico e storico.

II. NELLA DOGMATICA: L’E.-DOTTRINA. – Oggettivamente considerata, l’e. può definirsi « una dottrina che contraddice direttamente a una verità rivelata e come tale proposta dalla Chiesa ai fedeli ». Un triplice elemento viene dunque a comporla: 1. Una verità rivelata, contenuta cioè implicitamente esplicitamente, ma formalmente in una almeno delle due fonti della Rivelazione. Non potranno costituire materia di e. né le verità dedotte da principi rivelati mediante una premessa di naturale (conclusioni teologiche), né quelle verità filosofiche o quei fatti che sono intimamente e necessariamente connessi con la dichiarazione e la sicurezza della Rivelazione stessa. Tali verità e fatti rientrano bensì nell’orbita dell’infallibilità della Chiesa, da cui potrebbero ricevere anche certezza e immutabilità assoluta, non per questo però diventano rivelati, da credersi cioè sull’autorità di Dio, o come si suol dire, con fede divina. 2. Un intervento del magistero infallibile della Chiesa che attesti il carattere rivelato della dottrina, per cui ciò che prima era solo oggetto di fede divina viene ad assumere la qualifica di verità da credersi per fede divina e cattolica. 3. Un’opposizione alla verità rivelata; e tale opposizione deve essere immediata, diretta e contraddittoria. Mancando uno di tali elementi, una proposizione non potrà dirsi propriamente eretica, ma, secondo i casi, si chiamerà: prossima all’e., se contraddice a una dottrina prossima alla fede, cioè a quella che, pur non essendo ancora definita, è considerata dai teologi come definibile; erronea, se nega una conclusione teologica o in genere una verità intimamente connessa con il dogma; sapiens hæresim, se la forma dell’espressione in certe circostanze genera sospetto di e. .

III. NELLA MORALE: L’E. – PECCATO. – S. Tommaso la riduce ad una specie di infedeltà positiva (Sum. Theol., 2a – 2æ, q. 11, a. 1). Quindi come peccato si suole definire: « l’errore volontario e pertinace di un cristiano contro una verità divino-cattolica ». Si dice: Errore volontario. Il peccato di e., infatti, corrispondendo in senso contrario all’atto di fede, è anzitutto un atto dell’intelletto costituito da un giudizio erroneo contro la regola della fede. Esso può manifestarsi in una negazione oppure anche in un dubbio positivo che riduca la certezza a semplice opinione. Il dubbio negativo che si limita a una sospensione di giudizio, quantunque possa essere gravemente peccaminoso, non si oppone ancora direttamente alla fede. Il dubbio positivo invece, appunto perché infirma l’adesione all’insegnamento della Chiesa, è già una rivolta formale contro la fede stessa, che importa un assenso fermo e incrollabile. Oltre l’elemento intellettuale, nella genesi dell’e. interviene pure un impulso da parte della volontà, analogamente a quanto avviene per l’atto di fede: solo per mezzo di tale influsso infatti si spiega come l’intelletto possa liberamente determinarsi a dare il suo assenso erroneo circa la Rivelazione. 2. Pertinace. Questa pertinacia costituisce l’elemento specifico della sua colpevolezza morale. – Non consiste in una ostinazione speciale, ma nella consapevolezza che uno ha di opporsi alla regola della fede, per cui, mancando questa, l’e. sarà puramente materiale, non formale. 3. Di un cristiano, per cui il soggetto capace può essere solo chi per mezzo del Battesimo è entrato a far parte della società ecclesiastica: il catecumeno quindi, o chi è stato invalidamente battezzato, potrà commettere peccato di infedeltà, non di e. 4. Contro una verità, ecc. Queste parole si riferiscono all’elemento oggettivo già sopra trattato. Il peccato di e. si suddivide in: 1. formale e materiale, se è congiunto o meno con la pertinacia; 2. Interno ed esterno, se risiede solo nell’animo oppure si manifesta anche esteriormente; 3. occulto e pubblico, se viene manifestato o a nessuno o a pochi e in segreto, oppure davanti ad un numero considerevole di persone. Tra i peccati di infedeltà è il più grave, perché più di ogni altro si oppone alla virtù della fede: anzi per tale opposizione supera la gravità di qualsiasi peccato, ad eccezione dell’odio contro Dio. Tale gravità si riflette nelle molteplici conseguenze che vengono a colpire l’eretico nei rapporti con la vita interiore cristiana e con la società ecclesiastica. Le più importanti sono : 1. la perdita della vita della Grazia; 2. la distruzione della virtù infusa della fede; 3. la separazione dal corpo della Chiesa nel caso di e. pubblica, per cui l’eretico viene a costituirsi membro avulso e separato, anche se, come vuole la dottrina più comune, aderisce all’è, solo materialmente. Non è certo che altrettanto possa dirsi dell’eretico occulto, di chi cioè ancora non si è professato tale ufficialmente.

IV. NEL DIRITTO CANONICO: L’E.- DELITTO. – L’e., in quanto rompe l’unità della Chiesa, è per sua natura un fatto eminentemente antisociale: non può quindi sottrarsi al potere coercitivo della medesima. Per quanto grave però sia nei confronti della dottrina e della morale, il peccato di e., se rimane un fatto puramente interno, non costituisce ancora un delitto nel senso giuridico della parola, passibile quindi di sanzioni canoniche. Per divenire tale, è necessario che l’e. rivesta anche un carattere esterno, pubblico od occulto che sia. Tale manifestazione esterna può esprimersi in qualsiasi maniera, con segni, scritti, parole e azioni, purché risulti sufficientemente che si tratta di un’adesione vera e propria e per di più pienamente deliberata, cioè formale. Vario fu il modo usato lungo i secoli dalla Chiesa nella repressione dell’e. Severissima da principio, più tardi temperò alquanto il primitivo rigore, pur riservando a tale delitto penitenze molto gravose. Divenuto cristiano l’Impero, alle pene ecclesiastiche si aggiunsero ancora sanzioni civili come l’esilio, la confisca dei beni e anche la morte. Particolarmente aspra fu la lotta contro gli eretici dopo il Mille, per l’insorgere di nuovi movimenti ereticali. Rimonta a quest’epoca l’istituzione dell’Inquisizione. – Le pene oggi in vigore sono le seguenti (can. 2314 del CIC): 1. Gli eretici incorrono ipso facto nella scomunica. – 2. Se ammoniti non si ravvedono, saranno privati dei benefìci, dignità, pensioni, uffici e altri incarichi ecclesiastici; saranno dichiarati infami e, se chierici, dopo una seconda ammonizione, deposti. – 3. Gli ascritti o aderenti pubblicamente a sètte acattoliche sono per ciò stesso infami, e, se chierici, dopo essere stati ammoniti inutilmente, devono esser degradati. – A chi è sospetto di e., inutilmente ammonito, saranno proibiti gli atti legittimi ecclesiastici, e, se chierico, sarà sospeso a divinis; se entro 6 mesi non si emenda, sarà considerato eretico (can. 2315). – L’assoluzione dalla scomunica è riservata alla Sede apostolica; se però il delitto fu deferito all’Ordinario in foro esterno, anche per libera confessione, questi, previa abiura, può assolvere il delinquente in foro esterno; questi quindi potrà dal confessore ricevere l’assoluzione dal peccato (can. 2314 § 2). …

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

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