DOMENICA I DI QUARESIMA [2018]

Incipit

In nómine Patris,  et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus Ps XC:15; XC:16

Invocábit me, et ego exáudiam eum: erípiam eum, et glorificábo eum: longitúdine diérum adimplébo eum. [Mi invocherà e io lo esaudirò: lo libererò e lo glorificherò: lo sazierò di lunghi giorni.]

Ps XC:1 Qui hábitat in adjutório Altíssimi, in protectióne Dei cœli commorábitur. [Chi àbita sotto l’égida dell’Altissimo dimorerà sotto la protezione del cielo].

Invocábit me, et ego exáudiam eum: erípiam eum, et glorificábo eum: longitúdine diérum adimplébo eum. [Mi invocherà e io lo esaudirò: lo libererò e lo glorificherò: lo sazierò di lunghi giorni.]

Oratio

Orémus.

Deus, qui Ecclésiam tuam ánnua quadragesimáli observatióne puríficas: præsta famíliæ tuæ; ut, quod a te obtinére abstinéndo nítitur, hoc bonis opéribus exsequátur. [O Dio, che purífichi la tua Chiesa con l’ànnua osservanza della quaresima, concedi alla tua famiglia che quanto si sforza di ottenere da Te con l’astinenza, lo compia con le opere buone.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios. 2 Cor VI:1-10.

“Fratres: Exhortámur vos, ne in vácuum grátiam Dei recipiátis. Ait enim: Témpore accépto exaudívi te, et in die salútis adjúvi te. Ecce, nunc tempus acceptábile, ecce, nunc dies salútis. Némini dantes ullam offensiónem, ut non vituperétur ministérium nostrum: sed in ómnibus exhibeámus nosmetípsos sicut Dei minístros, in multa patiéntia, in tribulatiónibus, in necessitátibus, in angústiis, in plagis, in carcéribus, in seditiónibus, in labóribus, in vigíliis, in jejúniis, in castitáte, in sciéntia, in longanimitáte, in suavitáte, in Spíritu Sancto, in caritáte non ficta, in verbo veritátis, in virtúte Dei, per arma justítiæ a dextris et a sinístris: per glóriam et ignobilitátem: per infámiam et bonam famam: ut seductóres et veráces: sicut qui ignóti et cógniti: quasi moriéntes et ecce, vívimus: ut castigáti et non mortificáti: quasi tristes, semper autem gaudéntes: sicut egéntes, multos autem locupletántes: tamquam nihil habéntes et ómnia possidéntes.” –  Deo gratias.

OMELIA I

[Mons. G. Bonomelli, “Nuovi saggi di Omelie”; Marietti ed. vol. II, Omelia I1899 imprim.]

“Essendo noi cooperatori (suoi), vi esortiamo a non ricevere indarno la grazia di Dio; perché egli dice: A tempo propizio ti ho esaudito, e ti ho aiutato nel giorno della salute. Non rechiamo offesa alcuna a chicchessia, acciocché non sia disonorato il nostro ministero. Anzi in ogni cosa ci diportiamo come ministri di Dio, in grande pazienza, in afflizioni, in bisogni, in angustie, in battiture, in prigionie, in sommosse, in travagli, in vigilie, in digiuni, in purezza, in scienza, in longanimità, in benignità, in Spirito santo, in carità non finta, in parlare verace, in potenza di Dio, con le armi di giustizia a destra e a sinistra; in mezzo alla gloria ed alla ignominia, all’infamia e alla buona fama: come seduttori, eppure veraci; come ignoti, eppure notissimi; come morenti, eppure ecco che viviamo; come puniti, ma non a morte; come attristati, eppure sempre allegri; come poveri, eppure arricchendo molti; come nulla aventi, eppure possedendo ogni cosa „ (II ai Corinti, capo VI, 1-10).

In queste sentenze, o Fratelli carissimi, vi ho messo innanzi fedelmente volgarizzati i primi dieci versetti del capo VI della seconda lettera di S. Paolo ai Corinti, che la Chiesa ci fa leggere nella Messa di questa prima Domenica di Quaresima, e della quale vi debbo dare la spiegazione. Ma perché possiate intenderla a dovere, torna necessario che vi dica la ragione che indusse l’Apostolo a parlare di sé ed a fare questa eloquentissima difesa del suo apostolato. – Come è manifesto dalle sue lettere e dal libro degli Atti apostolici, scritto da S. Luca, l’Apostolo ebbe due sorta di nemici: i Gentili, e più gli Ebrei, suoi connazionali, e questi senza confronto più feroci di quelli. E ciò che fa anche maggior meraviglia, è che san Paolo ebbe nemici accaniti non solo gli Ebrei rimasti ostinatamente Ebrei, ma anche buon numero di quegli Ebrei, che avevano accolto la fede e si professavano cristiani. Presso alcuni di costoro (e dovevano essere non pochi e assai potenti) S. Paolo era caduto in sospetto di rinnegare e disprezzare tutta la legge antica; di non essere un vero apostolo, o d’essere da meno degli altri Apostoli e quasi da loro disconosciuto. Era cosa affatto naturale, che, vedendo messa in dubbio la sua missione apostolica, S. Paolo fosse costretto a mostrarne i titoli e a darne le prove di fatto, se non voleva, come dice egli stesso, correre, ossia lavorare indarno (Gal. II, 2). Ecco perché in tanti luoghi delle sue lettere, massime nelle due ai Corinti e più ancora in quella ai Galati, parla di se stesso, ricorda la sua conversione e la missione apostolica avuta da Gesù Cristo medesimo, narra le opere sue in guisa da sembrare quasi che faccia il panegirico di se stesso. Ma pensate voi, o carissimi, se quell’anima sì umile, tutta amore di Gesù Cristo, che non cercava che la gloria di Lui e la salvezza dei fratelli, che non voleva altro vanto di quello in fuori della croce e menava trionfo degli obbrobri, ond’era satollato per il Vangelo, pensate, dico, se Paolo poteva mai neppure per un istante aprir l’animo alla povera vanità di magnificare l’opera sua ed averne in compenso un po’ di ventosa lode! – Se l’Apostolo dunque parla di sé in questo luogo e tocca a rapidi cenni la sua dignità e le incredibili fatiche sostenute, egli lo fa unicamente per tener alta la sua autorità combattuta, e tenerla alta a bene dei fratelli: era un dovere che aveva in faccia a Gesù Cristo e in faccia alla Chiesa. Del resto, nelle opere che S. Paolo enumera come compiute, noi tutti, sacerdoti e laici, abbiamo un luminoso esempio da imitare. – Ed ora alla spiegazione. “ Essendo noi cooperatori (di Dio), vi esortiamo a non ricevere indarno la grazia di Dio. ,, Dio, o carissimi, può far tutto da sé, in ogni ordine di cose, perché per Lui il volere è veramente potere: ma, nella sua sapienza e nella sua bontà, ama servirsi delle cause seconde ed associarle a sé affine di elevarle, di congiungerle tra loro e, se sono libere, offrir loro occasione di spiegare la loro attività e, mercé l’esercizio del libero arbitrio, meritare. – In tutta la scala sterminata degli esseri creati, non ne trovate pur uno, che non operi sugli altri e che con le sue forze non concorra all’armonia universale voluta da Dio. Così Iddio nelle acque, nell’aria e sulla terra conserva e propaga costantemente la vita sia degli animali, sia degli uomini, mediante il concorso degli animali e degli uomini stessi. La stessa legge Gesù Cristo ha stabilito quanto al modo di comunicare la vita divina della grazia: Egli domanda sempre il concorso di coloro che ha scelti per continuare l’opera sua sulla terra, che sono gli Apostoli ed i loro successori. Questi sono gli strumenti di Gesù Cristo, i suoi aiutatori o cooperatori nell’opera altissima e divina di santificare gli uomini. Non dimenticate mai, o dilettissimi, questa grande verità: come voi ricevete la vita naturale da Dio per mezzo dei vostri genitori, così ricevete la vita sovrannaturale della grazia per mezzo della Chiesa, o del Sacerdozio, in cui si concreta e piglia corpo la Chiesa; e come quelli che vi diedero la vita del corpo chiamano col dolce e santo nome di padri e loro rendete onore ed obbedienza, così e più ancora dovete chiamar padri, e come padri onorare ed ubbidire quelli che vi diedero e vi danno la vita della grazia. – Noi, esclama S. Paolo, chiamati all’ufficio di Apostoli e cooperatori di Gesù Cristo, gridiamo a tutti: “Badate di non ricevere la grazia di Dio invano. „  È grazia di Dio la vita del corpo: è grazia di Dio l’intelligenza e la volontà: è grazia di Dio l’aria che respiriamo, la luce che ci rallegra: è grazia di Dio il pane che ci nutre, l’acqua che ci disseta: tutto che siamo, che abbiamo, che ne circonda sulla terra, è dono, è grazia di Dio, perché non avevamo diritto alcuno a ricevere questi beni: ma non è di questi beni, di questi doni dell’ordine naturale, che qui parla l’Apostolo, ancorché non li escluda, anzi li supponga: egli parla di quella grazia, che è la verità e che illumina la mente, che eccita la volontà, che trasforma povere creature in figli adottivi di Dio: grazia portata sulla terra da Gesù Cristo e per mezzo degli Apostoli a tutti largamente offerta. Ma perché questa grazia, della quale Gesù Cristo è fonte inesauribile, produca i suoi effetti, basta che sia offerta? No, no, o cari. Sarebbe come dire che per vedere basti che il sole splenda in cielo, e per nutrirci basti avere innanzi una mensa lautamente imbandita: per vedere bisogna aprire gli occhi, per nutrirci è necessario pigliare il cibo. Dio ci offre sempre, dovunque e abbondantemente la grazia: a noi aprire la mente ed il cuore per riceverla e farla fruttare: se noi non rispondiamo al suo invito, essa cadrà inutilmente e sarà la nostra condanna, perché respingere il dono è far onta al donatore. Io grido a voi, come Paolo ai Corinti: “Sono, benché immeritamente, cooperatore di Dio: e come tale, vi esorto, vi scongiuro di non ricevere invano la grazia di Dio, „ che in più larga copia vi è largita in questo tempo della sacra Quaresima. “Poiché Dio dice: “A tempo propizio ti ho esaudito, e ti ho aiutato nel giorno della salute.„ Queste parole si leggono nel profeta Isaia, che le mette in bocca del Padre, e sono rivolte al Figlio fatto uomo e rappresentante tutta l’umanità. Vero è che queste parole del profeta sembrano riferirsi ad un tempo passato, mentre riguardano il futuro; ma ciò non deve fare difficoltà alcuna, giacché dovete sapere che Iddio, parlando per bocca dei profeti, assai volte mette il futuro come presente, anzi come passato, perché dinanzi a Lui il futuro è presente e come già fatto. “Ricevete, è questo il senso, ricevete la grazia di Dio, perché questo è il tempo propizio, questo è il tempo della salute. „ Anche prima di questo tempo, cioè prima che venisse il Figliuolo di Dio, il nostro Capo e supremo Mediatore, non si rifiutava la grazia a chi era disposto a riceverla; ma si concedeva in misura più scarsa: era simile a quella luce che il sole sparge per il cielo prima di spuntare sull’orizzonte: ma ora dopo la venuta di Gesù Cristo, la grazia sovrabbonda, come sovrabbonda la luce allorché il sole sfolgoreggia in mezzo al cielo: “È questo il tempo propizio, il tempo per eccellenza della salute, ed io, dice l’Apostolo, ve l’annunzio: usatene. „ Questo tempo che S. Paolo chiamava propizio e di salute, non è ristretto a quello in cui egli viveva: esso comincia da Cristo e si estende fino al termine dei secoli, tutto egualmente tempo di salute e di misericordia per chi vuole debitamente valersene. E voi, o cari, senza dubbio ve ne varrete. –  Seguitiamo il nostro commento. “Non rechiamo offesa a chicchessia, acciocché non sia disonorato il nostro ministero. „ Quale ammaestramento per noi sacerdoti direttamente e indirettamente anche per voi, o laici! Noi tutti, sacerdoti, chiamati ai vari uffici del sacro ministero, dobbiamo porre ogni studio in cessare qualunque atto o parola od anche solo omissione, che in qualsiasi modo possa offendere alcuno e recare disonore o danno alla Religione, della quale siamo rappresentanti e ministri. Ciò che predichiamo a voi, lo dobbiamo predicare prima e più fortemente a noi stessi, obbligati come siamo a precedervi in ogni cosa con l’esempio di una vita illibata e santa. Voi, o laici, avete il sacro diritto, che, fin dove le forze ce lo consentono, vi ammaestriamo più con le opere che con le parole, e noi, da questo luogo, dovremmo sempre poter ripetere la sentenza dell’Apostolo: ” Figliuoli, imitate noi, come noi imitiamo Gesù Cristo — Imitatores mei estote sicut et ego Christi. „ Nondimeno due cose vorrei che non dimenticaste mai. In primo luogo vogliate ricordarvi, che se noi, ministri del Vangelo, dobbiamo presentare in noi stessi la copia fedele di Gesù Cristo, siamo pur sempre uomini, figli di Adamo, come voi, travagliati come voi dalle stesse passioni, soggetti alle stesse prove ed alle stesse debolezze. Il perché se talvolta scorgete in noi ciò che male risponde all’alta nostra vocazione, non dovete pigliarne scandalo; anzi dovete compatirci e coprire noi pure con quel manto della carità cristiana, che non esclude alcuno dei vostri fratelli, e in ogni modo non sia mai che facciate ricadere sulla Religione le conseguenze dei nostri falli, o che si attribuiscano a tutti i ministri della Religione quei falli che sono di alcuni soltanto. – La Religione è santa nella sua dottrina e nelle sue leggi, ed è ingiustizia somma imputare a lei ciò che è colpa degli uomini e dei ministri suoi. Chi mai griderebbe contro il codice perché talvolta i giudici stessi, che lo devono applicare, lo trasgrediscono? Chi oserebbe pigliarsela con la ragione e con la giustizia perché vi sono filosofi e magistrati, che la disonorano? Come le nubi non tolgono nulla alla luce del sole, così i falli degli uomini di Chiesa non scemano la santità della Religione. L’oro che vedete nella polvere, il diamante che è coperto di terra, è sempre oro e diamante: così la Religione non deve perdere nulla della sua santità allorché alcuni dei suoi ministri vengono meno all’alto loro ufficio. La Religione è sempre santa ancorché non sempre santi siano coloro che la predicano. Ed è pure da guardarvi da un’altra ingiustizia che non raramente si commette contro gli uomini di Chiesa: uno di loro cade in un fallo e subito si grida ai quattro venti: Vedete chi sono i preti! Vedete come fanno i religiosi! — È giustizia attribuire a tutti la colpa di uno? Ditelo voi. E perché poi l’opera buona d’uno non è egualmente attribuita a tutti? Pur troppo il male che si fa da un prete è male di tutti, e il bene è di quell’uno che lo fa, se pure non si tace. – In secondo luogo vi piaccia considerare, che se noi, ministri della Chiesa, dobbiamo onorare la nostra dignità e il Capo divino che ci manda, con la bontà e santità della vita; ancor voi, come Cristiani, dovete modellarvi sullo stesso esemplare e mostrarvi degni della vostra vocazione all’eccelso onore di figli di Dio. E in che cosa ci mostreremo noi veri ministri di Dio? Risponde l’Apostolo con una lunga ed eloquente enumerazione, che è in pari tempo una stupenda apologia della sua condotta. “Noi in tutto ci diportiamo come ministri di Dio in grande pazienza, in afflizioni, in bisogni, in angustie, „ cioè, sopportando le afflizioni, che ci vengono dal di fuori, i bisogni, ossia le privazioni d’ogni guisa, le angustie, ossia le distrette e gli affanni della vita sempre agitata. Non basta: l’Apostolo prosegue: “Ci diportiamo come ministri di Dio nelle battiture, nelle prigionie, nelle sommosse; „ manifestamente allude alle parecchie flagellazioni, a cui fu sottoposto (tre volte, come dice più innanzi), alle prigionie sostenute ripetutamente, alle sommosse, nelle quali si trovò involto, come apparisce dagli Atti apostolici. Non basta ancora e continua: “Nei travagli, nelle vigilie, nei digiuni, „ sono le opere che l’Apostolo aggiungeva alle persecuzioni esterne, quasiché queste non bastassero, e segue ancora: “Nella purezza, nella scienza, nella longanimità. — Io ho adempito il mio ufficio di apostolo, cosi S. Paolo, non ricevendo doni da chicchessia, non recando carico a persona, perché ai miei bisogni, come protesta altrove, provvidero queste mani; ho servito al Vangelo e non ho voluto essere di peso a nessuno: è questa la mia gloria. „ L’ho adempito quest’alto ufficio nella scienza, svelandovi i misteri della fede, della sapienza e della carità di Gesù Cristo: l’ho adempito nella longanimità, agli insulti, alle calunnie, all’odio, alle persecuzioni dei miei nemici opponendo costantemente la pazienza, il perdono più generoso, la mitezza del linguaggio, la soavità dei modi. E tutto questo, continua nella foga del suo dire l’Apostolo, e tutto questo non è mio merito, non è frutto delle mie industrie, dei miei sforzi, no; è tutto dono di Dio, dal quale discende ogni cosa buona; è dono dello Spirito santo, in Spiritu sancto, che spande nelle anime la carità vera, che risplende nelle opere, in charitate non ficta. Noi potremmo credere che le cose sin qui dette dall’Apostolo per mostrare qual fu l’esercizio del suo ministero dal giorno che sulla via di Damasco udì la voce di Cristo, fossero bastevoli e più che bastevoli: ma non così parve al grande Apostolo: trasportato dall’impeto del suo zelo, dalla carità, che lo strugge; piena l’anima di un entusiasmo divino per l’altezza della missione apostolica ricevuta da Cristo, quando sembra aver esauriti i concetti e le espressioni, allora ripiglia nuova lena e forza e trova nuove idee, nuove e più gagliarde forme per esprimerle. Uditelo: “Sì, io ho adempito il mio ministero, e l’ho adempito con una parola verace, in verbo veritatis; la verità, la sola verità e sempre la sola verità fu, è e sarà sempre sulle mie labbra, come si conviene a chi è apostolo di Colui che disse: Io sono la verità; e l’ho predicata nella potenza di Dio, il quale con lo splendore dei miracoli l’ha confermata e suggellata. Sono queste le prove del mio apostolato, prove che vengono non dagli uomini, ma da Dio, e che non ammettono ombra di dubbio. „ E qui, Paolo, quell’Apostolo incomparabile, quell’uomo dalla tempra d’acciaio e dal cuore di madre, si apre una nuova via e versa tutta l’anima sua: “Ho adempito il mio ministero, usando le armi della giustizia, ossia tutti i mezzi leciti per far trionfare la giustizia, per santificare le anime, a destra ed a sinistra, nelle prospere cose come nelle avverse, in mezzo agli applausi ed alla gloria, che talora raccolsi, e in mezzo alle ignominie, onde più spesso fui coperto, per gloriam et ignobilitatem; ora accolto con il nome di falso ed ora di vero apostolo, per infamiam et bonam famam; ora tenuto in conto di seduttore, mentre ho coscienza di annunziare la verità, ut seductores et veraces; considerato come uomo ignoto, eppure sono notissimo per quelli che mi ascoltano e più ancora per quelli che non mi lasciano in pace, sicut qui ignoti et cogniti: sono come un uomo continuamente in pericolo della vita, cercato a morte, eppure, per divina provvidenza, sempre vivo e robusto, quasi morientes, et ecce vivimus; ogni giorno sono fatto bersaglio agli assalti dei miei nemici, battuto, vergheggiato, eppure non muoio, ut castigati, et non mortificati: le cause di dolore e di tristezza si addensano sopra di me e dovrei esserne sopraffatto, totalmente oppresso, eppure sono sempre lieto e sono colmo di gioia in mezzo alle mie tribolazioni, quasi tristes, semper autem gaudentes; superabundo gaudio in omni tribulatione nostra: sono povero, miserabile, non ho che le mani per campare la vita, e nondimeno non manco di nulla e posso largheggiare con altri, sicut egentes, multos autem locupletantes: tamquam nihil habentes, et omnia possidentes. „ Qui ha termine il tratto dell’Epistola, che m’ero proposto di spiegarvi. Chiudendo questo breve commento, non posso fare a meno di richiamare la mia e la vostra attenzione sopra tre cose che mi paiono troppo degne di attenzione: la prima è comune a me ed a voi; la seconda riguarda me e i fratelli miei nel sacerdozio, e la terza riguarda voi, o laici fedeli. Queste sentenze dell’Apostolo, piene di forza, di maschia eloquenza, e direi quasi d’un santo orgoglio, ci mettono sott’occhio la sua vita, le sue opere e l’ardore del suo zelo, che non dice mai: “Basta”. Esse ci mostrano come la grazia di Dio possa trasformare un’anima e renderla atta, pronta ai maggiori sacrifici: si direbbe ch’essa non vede più che due cose sole, la gloria di Dio e la salvezza delle anime: tutto il resto per essa è nulla e meno che nulla. Queste sentenze dell’Apostolo ci insegnano quanto sia sublime e degna di riverenza la dignità sacerdotale in tutti i suoi gradi, e come la si debba mantenere in onore presso tutti e difenderla, se è necessario, contro i calunniatori ed oltraggiatori, perché caduta questa in disprezzo e mala voce presso il popolo, l’opera sua è impedita o resa inutile o fors’anche tramutata in iscandalo. Ogni autorità naturale, cominciando dalla paterna fino alla suprema, la reale, ha bisogno di stima e di rispetto per poter produrre i suoi benefici effetti nella famiglia e nella società civile: più assai dell’autorità naturale l’autorità sovrannaturale del Sacerdozio ha bisogno di stima, di rispetto e di venerazione, perché destituita del presidio umano della forza, perché più alto senza confronto è il suo fine e più difficile il conseguirlo. Circondiamo adunque l’autorità sacerdotale del nostro rispetto più sincero, della nostra venerazione più profonda; onoriamola, al bisogno difendiamola, e se qualcuno, che ne è adorno, se ne mostra men degno con la sua condotta, non confondiamo lui con l’autorità che rappresenta, e ricordiamoci che i figli devono sempre rispettare ed onorare il padre anche errante e colpevole. – La seconda cosa riguarda me e i fratelli miei nel sacerdozio. Noi, ammaestrati da san Paolo, porremo ogni studio in non recare offesa di sorta a chicchessia, affinché non sia disonorato il nostro ministero: saremo pazienti nelle afflizioni, nei bisogni, nelle angustie, nelle vicende più amare della vita; praticheremo il disinteresse, vi daremo la scienza di Dio, saremo longanimi, benigni, caritatevoli, sempre eguali nei casi avversi e nei prosperi; non curando la guerra che ci fa il mondo, adempiremo il nostro dovere, e ai sofferenti, ai poverelli saranno rivolte le nostre più amorose sollecitudini, seguendo l’esempio dell’Apostolo. – La terza cosa riguarda voi, laici fedeli. Il principe degli Apostoli, S. Pietro, scrivendo ai fedeli, diceva loro: ” Voi siete la generazione eletta, il regale sacerdozio, la gente santa, il popolo di conquista „ (I Petri, II, 9). Certamente S. Pietro non volle attribuire a voi. laici, la dignità ed il potere sacerdotale nel senso rigoroso della parola, quasiché voi pur possiate amministrare i Sacramenti, offrire il Sacrifìcio, ammaestrare autorevolmente fedeli e reggere e governare la Chiesa: intese soltanto di dire, che voi pure col santo Battesimo e con la Confermazione siete consacrati a Dio, e potete essere elevati alla dignità sacerdotale e come membra di Cristo potete offrire sacrifici spirituali (capo II, 5): intese soltanto di dire, che voi pure, o laici, massime se avete la dignità e l’autorità di padri, di padroni o qualsiasi altra dignità od autorità, in qualche modo partecipate della dignità ed autorità sacerdotale, quella di reggere e governare i figli, i dipendenti, e per questo titolo vi corre l’obbligo di far tesoro di quelle stesse virtù, che dobbiamo esercitar noi sacerdoti, e farne tesoro in quella misura che è richiesta dal vostro stato, affinché non veniate meno ai vostri doveri. Perciò ancor voi dovete armarvi di pazienza nelle afflizioni, nei bisogni, nelle distrette, nelle tribolazioni d’ogni maniera, che troverete sul vostro cammino: ancor voi avete bisogno della scienza opportuna, della longanimità, della benignità, della carità schietta e della fortezza d’animo, alle quali è riserbata la vittoria nelle prove della vita e la corona a chi adempie fedelmente i propri doveri.

 Graduale Ps XC,11-12

Angelis suis Deus mandávit de te, ut custódiant te in ómnibus viis tuis.

In mánibus portábunt te, ne umquam offéndas ad lápidem pedem tuum.

[Dio ha mandato gli Ángeli presso di te, affinché ti custodíscano in tutti i tuoi passi. Essi ti porteranno in palmo di mano, ché il tuo piede non inciampi nella pietra.]

Tractus. Ps XC:1-7; XC:11-16

Qui hábitat in adjutório Altíssimi, in protectióne Dei cœli commorántur.

V. Dicet Dómino: Suscéptor meus es tu et refúgium meum: Deus meus, sperábo in eum.

V. Quóniam ipse liberávit me de láqueo venántium et a verbo áspero.

V. Scápulis suis obumbrábit tibi, et sub pennis ejus sperábis.

V. Scuto circúmdabit te véritas ejus: non timébis a timóre noctúrno.

V. A sagitta volánte per diem, a negótio perambulánte in ténebris, a ruína et dæmónio meridiáno.

V. Cadent a látere tuo mille, et decem mília a dextris tuis: tibi autem non appropinquábit.

V. Quóniam Angelis suis mandávit de te, ut custódiant te in ómnibus viis tuis.

V. In mánibus portábunt te, ne umquam offéndas ad lápidem pedem tuum,

V. Super áspidem et basilíscum ambulábis, et conculcábis leónem et dracónem.

V. Quóniam in me sperávit, liberábo eum: prótegam eum, quóniam cognóvit nomen meum,

V. Invocábit me, et ego exáudiam eum: cum ipso sum in tribulatióne,

V. Erípiam eum et glorificábo eum: longitúdine diérum adimplébo eum, et osténdam illi salutáre meum.

[Chi abita sotto l’égida dell’Altissimo, e si ricovera sotto la protezione di Dio.

Dica al Signore: Tu sei il mio difensore e il mio asilo: il mio Dio nel quale ho fiducia.

Egli mi ha liberato dal laccio dei cacciatori e da un caso funesto.

Con le sue penne ti farà schermo, e sotto le sue ali sarai tranquillo.

La sua fedeltà ti sarà di scudo: non dovrai temere i pericoli notturni.

Né saetta spiccata di giorno, né peste che serpeggia nelle tenebre, né morbo che fa strage al meriggio.

Mille cadranno al tuo fianco e dieci mila alla tua destra: ma nessun male ti raggiungerà. V. Poiché ha mandato gli Angeli presso di te, perché ti custodiscano in tutti i tuoi passi.

Ti porteranno in palma di mano, affinché il tuo piede non inciampi nella pietra.

Camminerai sull’aspide e sul basilisco, e calpesterai il leone e il dragone.

«Poiché sperò in me, lo libererò: lo proteggerò, perché riconosce il mio nome.

Appena mi invocherà, lo esaudirò: sarò con lui nella tribolazione.

Lo libererò e lo glorificherò: lo sazierò di lunghi giorni, e lo farò partécipe della mia salvezza».]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthaeum.

Matt IV:1-11

“In illo témpore: Ductus est Jesus in desértum a Spíritu, ut tentarétur a diábolo. Et cum jejunásset quadragínta diébus et quadragínta nóctibus, postea esúriit. Et accédens tentátor, dixit ei: Si Fílius Dei es, dic, ut lápides isti panes fiant. Qui respóndens, dixit: Scriptum est: Non in solo pane vivit homo, sed in omni verbo, quod procédit de ore Dei. Tunc assúmpsit eum diábolus in sanctam civitátem, et státuit eum super pinnáculum templi, et dixit ei: Si Fílius Dei es, mitte te deórsum. Scriptum est enim: Quia Angelis suis mandávit de te, et in mánibus tollent te, ne forte offéndas ad lápidem pedem tuum. Ait illi Jesus: Rursum scriptum est: Non tentábis Dóminum, Deum tuum. Iterum assúmpsit eum diábolus in montem excélsum valde: et ostendit ei ómnia regna mundi et glóriam eórum, et dixit ei: Hæc ómnia tibi dabo, si cadens adoráveris me. Tunc dicit ei Jesus: Vade, Sátana; scriptum est enim: Dóminum, Deum tuum, adorábis, et illi soli sérvies. Tunc relíquit eum diábolus: et ecce, Angeli accessérunt et ministrábant ei.”

Omelia II

[Idem, OmeliaII]

“Gesù fu condotto dallo spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. E poiché ebbe digiunato quaranta giorni e quaranta notti, infine sentì fame. E il tentatore, appressatosi a lui, gli disse: Se sei Figliuolo di Dio, comanda che queste pietre divengano pani. Ma egli rispondendo, disse: Sta scritto: Non di solo pane vive l’uomo, ma d’ogni parola, che procede dalla bocca di Dio. Allora il diavolo lo trasportò nella santa città, e lo pose sopra l’orlo del tetto del tempio, e gli disse: Se sei Figlio di Dio, gettati giù, perciocché sta scritto, ch’egli “ha dato la cura di te ai suoi angeli, ed essi ti terranno nelle loro mani, affinché non intoppi del piede in alcuna pietra”. Gesù gli disse: “Sta scritto altresì: Non tenterai il Signore Iddio tuo”. Da capo il diavolo lo trasportò sopra un monte altissimo, e gli mostrò tutti i regni della terra e la loro magnificenza, e gli disse: Io ti darò tutte queste cose, se, gettandoti in terra, mi adorerai. Allora Gesù gli disse: Via di qua, satana perché sta scritto: Adorerai il Signore Iddio tuo, e a lui solo servirai. Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco gli angeli vennero a lui, e lo servivano „ (Matteo, capo IV, 1-11).

Il fatto che si racchiude in questo Vangelo della prima Domenica di Quaresima e che vi ho riportato parola per parola nella nostra lingua, è della più alta importanza. Esso apre la vita pubblica di Gesù Cristo e dà principio a quel terribile duello ch’Egli volle sostenere a nostra istruzione e salvezza col suo e nostro giurato nemico, il demonio. E prima di cominciare la interpretazione del testo evangelico, non vi sia grave, che mandi innanzi alcune avvertenze, che mi paiono convenienti. Anzitutto osservate che Gesù Cristo è, come insegna S. Paolo, il secondo Adamo, l’Adamo celeste, il Capo della nuova generazione dei figli di Dio, il Riparatore del fallo commesso dal primo Adamo; come il primo Adamo, a principio, nel luogo di delizie, fu messo alla prova, affinché con la vittoria meritasse il possesso e la conferma dei doni ricevuti, così doveva essere messo alla prova il secondo Adamo, nel deserto: il primo con la sua caduta, divenne schiavo del nemico e schiava fece tutta la sua progenie: il secondo, Gesù Cristo, con la sua vittoria comincia la riscossa, la liberazione dell’umanità peccatrice e insegna a tutti il modo di combattere e vincere il comune nemico. E qui è pur anche da avvertire che i demoni, benché per acume di mente, di gran lunga superiori agli uomini, non conoscono, né possono conoscere i nostri pensieri ed affetti: questi son noti soltanto a Dio, se non li manifestiamo. Possono argomentarli da segni esterni e con maggiore o minore probabilità supporli, ma conoscerli con certezza, giammai. – Gesù Cristo è il Santo per eccellenza: in Lui, nell’anima sua, nel suo corpo non vi è ombra della funesta eredità di Adamo, non tendenze, non passioni incomposte: tutto in Lui è ordine, armonia, santità; la tentazione pertanto viene a Gesù di fuori, e in Lui non trova punto d’appoggio, non porta dischiusa: Egli è come la luce circondata dalle tenebre: queste non hanno, né possono avere accesso nella natura della luce. Questa tentazione, che Gesù permise, narrata da tre Evangelisti, avvenne subito dopo il suo battesimo nel Giordano e la divina manifestazione, che colà ebbe luogo, e la solenne testimonianza a Lui resa dal Precursore. – Ora veniamo alla spiegazione delle singole parti di questo fatto sì straordinario e sì istruttivo. “Gesù fu condotto dallo spirito nel deserto. „ Il deserto ebbe sempre un’attrattiva potente sulle anime religiose: esso è la soglia della vita attiva dei grandi personaggi. Il deserto separa dal consorzio umano, raccoglie la mente, la solleva a Dio, la purifica, matura le grandi risoluzioni, tempra le anime virili e le prepara alle più ardue lotte. Mosè, Elia, Giovanni Battista si formarono nella solitudine. Gesù, lasciato il Giordano dopo il suo Battesimo, è condotto dal suo spirito nel deserto. Questo luogo è poco lungi dal Giordano, presso la via che mette a Gerusalemme, in mezzo a monti dirupati, e che anche al giorno d’oggi si chiamano i monti della tentazione, a pochi chilometri da Gerico. E perché Gesù Cristo si riduce nel deserto? Aveva forse bisogno della solitudine, del silenzio dei boschi per pregare, meditare, immergersi nella contemplazione, e prepararsi alla vita pubblica, alla missione, per la quale era venuto? Sarebbe bestemmia pure il pensarlo! Egli era Dio e l’occhio della sua mente era perennemente fisso nella luce divina di cui si beava, il suo cuore sempre immerso nell’oceano della divina Essenza. Che andava adunque a cercare nel deserto? Non la pace, ma la lotta, la prova per vincerla e dare a tutti i futuri credenti due lezioni indimenticabili che sono la necessità della preghiera, del digiuno, della mortificazione, e il modo di vincere il nemico. Lo dice l’Evangelista: ” Gesù fu condotto dallo spirito nel deserto per essere tentato. „ Tentato da chi? Dal diavolo. Non sono pochi oggidì coloro, che all’udire questa parola “il diavolo”, sorridono e mettono la sua esistenza tra le favole e compatiscono come menti inferme e ancora schiave di vecchi pregiudizi quanti vi credono. Per noi basti il sapere che la S. Scrittura, dal principio del primo libro della Genesi, fino alle ultime linee dell’Apocalisse, parla di angeli buoni e cattivi, o demoni; basti il sapere che tutto il gran dramma della rivelazione divina, che comincia in cielo, poi si porta sulla terra e sulla terra si scioglierà alla fine dei secoli, non è che lo svolgimento d’una lotta colossale tra Cristo, i suoi Angeli e i suoi eletti, e satana o il diavolo, e i suoi seguaci. Non è qui il luogo di mostrare l’esistenza degli spiriti malvagi e l’origine del male; vi basti sapere, che, piaccia o non piaccia al mondo ed alla miscredenza, la fede insegna che il demonio esiste e che tutta quanta l’umanità, in tutti i tempi e in tutti i luoghi credette e crede alla sua esistenza. Quanto tempo Gesù stette in quell’orrido deserto? Lo dice in termini il Vangelo: ” Quaranta giorni e quaranta notti. „ E che fece colà in sì lungo periodo di tempo? Certo pregò, contemplò la maestà del Padre suo, lo adorò; ma il Vangelo ci dice soltanto “che digiunò. „ Sembra che il suo fosse un digiuno assoluto, senza pigliar cibo o bevanda di sorta: Egli ripete in sé ciò che avevano fatto Mosè ed Elia, e consacra il digiuno quadragesimale. Il digiuno è una espiazione dei peccati commessi ed è uno dei modi più comuni nei quali si esplica la gran legge del Vangelo, che è la mortificazione. Il digiuno raffrena la carne, rintuzza le passioni, solleva la mente, la rende atta a conoscere la verità, è l’amico, il compagno della virtù. – In capo ai quaranta giorni di sì austero digiuno, Gesù, permettendolo Lui stesso, sentì la fame e il bisogno di cibo, Esuriit, e ciò dovette apparire a segni esterni, quali che fossero. Allora “Il tentatore, appressatosi a luì, gli disse: Se sei il Figliuolo di Dio, comanda che queste pietre divengano pani. „ Il tentatore! – Chi è questo che è chiamato, non semplicemente tentatore, ma “IL TENTATORE”, secondo il testo greco? Evidentemente quel medesimo, che sopra è chiamato diavolo. E perché si chiamava tentatore? Perché tentò i primi padri e li sedusse, e perché continua e continuerà l’opera sua scellerata fino al termine dei secoli. E perché l’angelo caduto, ossia il diavolo, coi suoi seguaci incessantemente insidia e si studia di sedurre tutti gli uomini? Qual motivo, quale interesse ha egli in questa non so ben dire se più empia o più stupida impresa? Egli odia Dio, che l’ha punito, e più ancora, se si può dire, Cristo, l’Uomo-Dio. Secondo ogni verosimiglianza, a principio, Dio agli angeli tutti, appena li ebbe creati, mostrò il mistero dell’Incarnazione, che sarebbesi compiuto nella pienezza dei tempi e impose loro di riconoscerlo loro Capo e loro Signore, secondochè si legge nel salmo: “Allorché introdusse il suo primogenito nel mondo, Dio disse: Lo adorino i suoi angeli. „ Buon numero di essi, per superbia disdegnarono di riconoscere il loro Capo e Signore in chi, fatto uomo, pareva loro inferiore, si ribellarono e furono precipitati nell’inferno. Di qui l’odio ferocissimo del demonio contro Cristo e gli uomini, coi quali ha comune la natura assunta, e di qui il fare ogni sforzo per perdere gli uomini e rapirli a Cristo. Benché non tutte le tentazioni vengano direttamente dal demonio, ma molte vengano dalle nostre passioni, si può dire che indirettamente tutte vengano da lui in quantochè egli corruppe la nostra natura in Adamo e introdusse il peccato, onde a ragione si chiama il tentatore. E come si presentò a Cristo? Il Vangelo non lo dice, ma sembra che ciò facesse sotto forma sensibile, probabilmente sotto forma umana. – Uno dei più acuti dolori che l’uomo retto e santo possa soffrire, è la vista del male, è la compagnia, il contatto dei tristi, delle anime corrotte e depravate: è un cruccio, un supplizio ineffabile. Gesù Cristo, che doveva bere al torrente di tutti i dolori, volle pure soffrire questo: volle vedersi vicino l’autore del male, il perverso, che fu cacciato dal cielo, l’omicida, colui che tutto odia, che vuole il male per il male, “Che contro il suo Fattore alzò le ciglia.” Chi è desso quest’Uomo, che prega e digiuna nel deserto, sul capo del quale pochi giorni fa si sono aperti i cieli, che l’Eterno ha chiamato suo Figlio diletto? Chi è quest’Uomo, sì virtuoso e sì santo, ma sì povero e sì spregiato, che non ha dove posare la testa? È un profeta? E figlio adottivo di Dio? E forse il Messia, lo stesso Uomo-Dio, che ha da venire? Il tentatore non lo sa e il dubbio tormenta quel superbo. Dovete sapere che il demonio non conobbe mai con certezza chi era Gesù Cristo, se un gran profeta, un figlio di Dio per adozione, o il Figlio di Dio per natura, fatto uomo; lo conobbe solo in quell’istante in cui fu compiuta la redenzione. Dio gli nascose questo mistero per fiaccare il suo orgoglio e perché egli stesso, il demonio, non conoscendolo, cooperasse, suo malgrado, alla propria disfatta e alla salvezza degli uomini. E ciò che insegnano S. Girolamo, S. Ambrogio, S. Ignazio M., S. Leone e che apparisce da questo luogo del Vangelo. Il demonio vuol liberarsi da questo dubbio angoscioso, affine di regolarsi nella guerra che gli deve muovere, e perciò, appressatosi, vistolo sofferente e quasi rifinito dal digiuno, gli dice: Se tu sei il Figlio di Dio. Notate quel — Se tu sei —, in cui confessa a suo gran dispetto la sua ignoranza: Se tu sei il Figlio di Dio, tu puoi fare ogni cosa: tutto obbedisce all’impero della tua voce: muta in pani questi sassi del deserto. Se Gesù lo faceva, affermava sé essere veramente il Figliuolo di Dio, e il demonio usciva dal suo dubbio: se Gesù rispondeva : “Far questo non è in mio potere”, dichiarava di non essere Dio. Oltrecché la proposta era empia, perché imponeva di fare un miracolo per poter conoscere i disegni di Dio, né v’era necessità alcuna di operar un miracolo, potendo Gesù Cristo soddisfare ai bisogni della natura in modo naturale, procurandosi, come ogni altro uomo, il cibo necessario. Perciò Gesù Cristo, lasciando sempre il demonio nella sua umiliante ignoranza, rispose: “Sta scritto: Non di solo pane vive l’uomo, ma d’ogni parola, che procede dalla bocca di Dio. „ Queste parole son tolte dal capo VIII, vers. 3 del Deuteronomio, dove Dio dice al popolo d’Israele, che si lagnava di non aver cibo nel deserto, che l’uomo non vive solamente del pane comune, ma può vivere di qualunque cibo, che a lui piaccia dargli, e gli diede la manna. Cristo adunque non rispose direttamente al tentatore quanto al miracolo domandato: Io sento il bisogno di cibo, è vero; ma Io mi nutrirò come piace al Padre mio: se è suo volere ch’io soffra ancora la fame, la soffrirò: se Egli vorrà con la sua parola vivificatrice, con la verità nutrire il mio spirito in guisa che il corpo istesso ne riceva alimento, come sin qui, Io lo benedirò: se vorrà fornirmi un altro cibo qualunque, Io lo riceverò: la sua volontà per me è legge sovrana. Gesù adunque respinge il tentatore, non discutendo, non promettendo, o negando, ma semplicemente rimettendosi al Padre suo quanto ai bisogni naturali del proprio corpo. E ciò che ciascuno di noi deve fare nelle tentazioni e prove sì svariate della vita: si faccia ciò che piace a Dio, che è Padre nostro, e che non può non volere e sempre il maggior nostro bene. – “Allora il diavolo lo trasportò nella santa città e lo pose sopra l’orlo del tetto del tempio, e gli disse: Se sei Figlio di Dio, gettati giù, perché sta scritto, ch’Egli ha dato la cura di te agli Angeli, ed essi ti terranno nelle loro mani, affinché non intoppi del piede in alcuna pietra. „ – Alcuni fecero le più alte meraviglie che Gesù Cristo, non solo permettesse d’essere tentato dal demonio, ma da lui trasportato qua e là, quasi a suo talento, e sembra loro cosa indegna da non potersi credere, e però cercarono di interpretare questo fatto come una visione fantastica. Ma se Gesù Cristo permise d’essere calunniato, schernito, schiaffeggiato, messo in croce ed ucciso da coloro che erano aizzati dal demonio, non vi è ragione che non tollerasse anche d’essere trasportato dal medesimo sopra il tempio. Vedete sottile tentazione! In fondo all’anima, nelle pieghe più intime dello spirito più puro e più santo vi è sempre un filo di egoismo, l’amore della propria eccellenza: esso non muore che con noi. Il demonio conta su quello e dice a Gesù: Vedi: se tu sei il Figlio di Dio, l’aspettato Salvatore del mondo, devi farti conoscere come tale: fa risplendere la tua potenza e la tua gloria. Gettandoti da questo luogo, non hai a temere di riportarne alcun danno: Dio ha dato a ciascun uomo un angelo, che lo custodisca in ogni pericolo: quanto più saranno pronti gli Angeli ai tuoi cenni (Gesù poco prima aveva rigettata la tentazione con le parole della Scrittura; il demonio, a sua volta, ricorre anch’egli ai Libri santi). Se tu ti getti da questa altezza, in questo luogo sì celebre, sotto gli occhi di tanto popolo, senza danno di sorta, tutta Gerusalemme, tutto Israele ti riconoscerà per il Figlio di Dio e ti seguirà: “l’opera tua sarà compiuta. „ Fine del tentatore era di spingere Gesù a farsi conoscere a suo modo, a mettere a servizio di sé la potenza divina, in altri termini, a tentar Dio. Gesù rispose, gettando in faccia al tentatore quella sentenza solenne dei Libri santi: ” Non tenterai il Signore Dio tuo. „ Le quali parole non si devono intendere dette da Gesù come se suonassero: “Non tenterai me, Signore e Dio tuo, „ che allora Gesù avrebbe fatto conoscere al maligno quello che non voleva fargli conoscere; ma si hanno da intendere in senso generale, come un precetto comune a tutti, come se avesse detto: “Tu sai il comando divino che abbiamo di non tentare Dio e pretendere da Lui miracoli a capriccio nostro: Io non lo tenterò, come tu mi consigli di fare. „ – Dio, o carissimi, veglia sempre sopra di noi, come un padre sui diletti suoi figli: stende loro la mano soccorrevole come e quando gli piace: Egli ha stabilito le vie, che ciascuno deve percorrere: a noi tocca camminare per esse e usare dei mezzi che ci offre: ora se volessimo che Dio prestasse la sua mano a quello che vogliamo noi e come vogliamo noi e che al bisogno mutasse per noi il corso naturale delle cose, operando anche miracoli, noi scambieremmo le parti, metteremmo Dio al luogo nostro e noi al luogo di Dio. Questo è tentar Dio ed offesa gravissima fatta alla sua Maestà. A Dio spetta guidarci per la sua via, a noi il seguirlo umilmente e docilmente. – Il tentatore non si diede per vinto, e servendosi della sua natura spirituale, padrona dello spazio, “trasportò Gesù sopra un monte altissimo, e gli mostrò tutti i regni della terra e la loro magnificenza, e gli disse: Io ti darò tutte queste cose, se, gettandoti in terra, mi adorerai. „ Qual sia questo monte altissimo, sul quale fu portato Gesù Cristo, è al tutto ignoto, né il Vangelo ce ne dà indizio benché minimo. Dalla vetta di quel monte il tentatore, accennando in qualche modo la direzione e la postura dei regni ed imperi della terra, e forse a rapidi tratti descrivendone le grandezze, “queste cose, disse, son mie e le posso dare a chi voglio. „ Questa padronanza, che il demonio si arroga su tutta la terra, è una millanteria degna di lui, che è il padre della menzogna. Egli, per sé, non è padrone di nulla, se non di quel tanto che Dio nei consigli della sua sapienza permette e che gli uomini consentono. Nondimeno, in qualche senso, quelle parole del superbo erano vere: tutto il mondo, fatta eccezione di poche anime elette, allora, in quel momento, si curvava dinanzi agli idoli, si ravvoltolava nel fango d’ogni bruttura, e il demonio poteva dire: “Tutti i regni della terra sono miei, „ e pur troppo in gran parte sono ancora suoi! Il tentatore sapeva benissimo, che il Figlio di Dio doveva venire e che venendo, avrebbe infranto il suo scettro tirannico e strappatagli di mano la gran preda, e questo Figlio di Dio poteva essere quel Gesù, che gli stava dinanzi. Invano aveva tentato di conoscerlo, di ottenere una prova, di avere una sola parola, che gli squarciasse il velo, che lo avvolgeva. – Allora tenta l’ultima prova: tenta di sedurlo o di atterrirlo: “Tu vedi l’ampiezza, la potenza, la grandezza del mio impero: tutto è mio: se lo vuoi, è tutto tuo, ecco la seduzione; se no, vedi le mie forze e comprendi, che non le potrai superare. Io ti do tutto, tutto, a questo solo patto, che, tu, prostrandoti, mi adori. „ L’angelo ribelle, divenuto demonio, porta sempre e dappertutto con sé quell’orgoglio indistruttibile, che un dì lo spinse a rifiutare l’omaggio dovuto a Dio nell’umana natura assunta: il Figlio di Dio fatto uomo è il suo rivale in cielo e in terra, e come già lassù tra gli Angeli, così quaggiù tra gli uomini gli contrasta palmo a palmo l’impero: egli vuole per sé il culto supremo, l’adorazione dovuta all’Uomo-Dio. Qual trionfo per lui, se potesse ottenere, che quest’Uomo-Dio (che può essere Gesù), per avere l’impero dell’universo, cada ai suoi piedi e l’adori! Egli avrebbe vinto Dio stesso e avrebbe piena vendetta del suo esilio eterno dal cielo. A lui premeva più avere le adorazioni di quell’uomo, che poteva essere il Messia, il suo nemico personale, che tutte le adorazioni di tutti gli uomini. – Gesù, insensibile all’ambizione, come al terrore, con accento di profonda indignazione, rispose: “Via di qua, satana! Perché sta scritto: Adorerai il Signore Dio tuo e servirai a Lui solo. „ “satana” vale quanto dire, nemico, avversario. Gesù, udita la esecrabile proposta, usando dell’impero sovrano della sua volontà, scaccia da sé il tentatore, ma senza appagare il desiderio cocente, che aveva di conoscere la sua persona. ” Via, gli grida, e sappi, che Dio solo si deve adorare, e tu stesso, miserabile caduto, lungi dal ricevere l’adorazione da chicchessia, la devi rendere piena e assoluta a Lui e Lui solo servire. „ Confuso, svergognato il tentatore si partì da Lui, “Ed ecco gli Angeli vennero a Lui e lo servirono. „ A Gesù, che esce dalla pugna vincitore del principe delle tenebre, quasi umili valletti muovono incontro gli Angeli ed offrono il conveniente ristoro all’affranta sua umanità e fanno plauso alla sua vittoria. Fugato l’angelo delle tenebre, si mostrano gli Angeli della luce e prestano l’opera loro a Colui, ch’essi riconoscono loro capo. In questa triplice tentazione si svolge la triplice concupiscenza: il demonio invita Gesù a secondare i desideri della natura e ad usare della sua potenza divina per appagarli; il demonio invita Gesù a confidare in sé, a sfidare temerariamente un pericolo, senza motivo, perché Dio lo libererà; il demonio infine lo invita a farsi signore della terra e a dare libero corso all’ambizione. Gesù sventa le arti del maligno e respinge le sue seduzioni ed i suoi assalti: Egli non discute mai col tentatore, non si cura delle sue promesse, perdura nel digiuno, ma gli getta alteramente in viso la parola di verità e tien sempre fissi gli occhi nella volontà del Padre suo, che è l’unica sua legge. Collocati su questo deserto della terra, ogni giorno alle prese con lo spirito malvagio, che tentò il nostro capo e modello, Gesù Cristo, vogliamo noi pure uscire trionfanti dalle nostre battaglie? Ecco il modo sicuro ed infallibile: combattiamo com’Egli ha combattuto; combattiamo cioè armati della fede e della fiducia in Dio, che non abbandona mai chi lo invoca con umiltà di cuore, non discutiamo col nemico, non curiamoci delle sue promesse e minacce, non porgiamo ascolto alle sue seduzioni: saldi per la fede a Dio, disprezziamo il tentatore e le tentazioni. – Il demonio, sollevando la tempesta nella nostra mente e nel nostro cuore, può bene travagliarci, molestarci, ma non può mai entrare nel nostro spirito, se noi con l’assenso nostro non gli apriamo la porta.

 Credo …

Offertorium

Orémus Ps XC:4-5:

Scápulis suis obumbrábit tibi Dóminus, et sub pennis ejus sperábis: scuto circúmdabit te véritas ejus. [Con le sue penne ti farà schermo, il Signore, e sotto le sue ali sarai tranquillo: la sua fedeltà ti sarà di scudo.]

Secreta

Sacrifícium quadragesimális inítii sollémniter immolámus, te, Dómine, deprecántes: ut, cum epulárum restrictióne carnálium, a noxiis quoque voluptátibus temperémus.

[Ti offriamo solennemente questo sacrificio all’inizio della quarésima, pregandoti, o Signore, perché non soltanto ci asteniamo dai cibi di carne, ma anche dai cattivi piaceri.]

Communio Ps XC:4-5

Scápulis suis obumbrábit tibi Dóminus, et sub pennis ejus sperábis: scuto circúmdabit te véritas ejus.

[Con le sue penne ti farà schermo, il Signore, e sotto le sue ali sarai tranquillo: la sua fedeltà ti sarà di scudo.]

Postcommunio

Orémus.

Qui nos, Dómine, sacraménti libátio sancta restáuret: et a vetustáte purgátos, in mystérii salutáris fáciat transíre consórtium. [Ci ristori, o Signore, la libazione del tuo sacramento, e, dopo averci liberati dall’uomo vecchio, ci conduca alla partecipazione del mistero della salvezza.]

 

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.