SCUDO DELLA FEDE: II. I MISTERI

II.- I MISTERI.

[Da: A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede” S.E.I. Ed. Torino, 1927]

Si deve credere anche a ciò che non si vede. — Si devono credere anche i misteri, — A che cosa essi servono.

— Se la Chiesa si contentasse di farci credere a certe verità più ovvie! Ma quel volerci far credere a tanti misteri…

La Chiesa non vuole altro se non quello che vuole Iddio e la proprietà essenziale di

Lui, che è l’essere Egli incomprensibile, perché infinito.

— Ma io ho inteso dire che non bisogna credere se non a quello che si vede.

Se è così dovresti uscire dalla società, rifugiarti in un deserto e là solo con la tua intelligenza, isolato da Dio, da tutti gli uomini, scavarti una tomba e badar bene che sia ben profonda, perché non vengano a scoperchiarla i demoni, che anch’essi credono e tremano.

— E per qual ragione?

Perché volendo credere soltanto a quello che vedi, tutta la vita di società è distrutta.

— Non capisco.

Ascoltami: Tu siedi a mensa e mangi del pane, e mangiandolo fai un atto di fede, cioè credi senza vedere, perché non potrebb’essere, che in quel pane, da cui credi di avere il sostentamento, il panettiere abbia mescolato un veleno, che ti dia la morte? Tu sei ammalato e il medico ti prescrive una medicina e il farmacista te la prepara. E tu pigliandola fai un atto di fede, perché senza vedere credi che il medico ti ha prescritto e il farmacista ti ha preparato ciò che ti farà guarire, mentre potrebbe anche essere il contrario. Tu dici padre ad un uomo e madre ad una donna, e sai tu che quell’uomo è tuo padre e quella donna è tua madre? Te lo dicono essi, te lo dicono altri, e tu credi sulla loro parola. Ma non potrebb’essere anche diversamente? Potrei moltiplicarti gli esempi all’infinito e per loro mezzo farti conoscere, che la tua vita pratica nella società è contraria a quello che tu asserisci, di credere soltanto a quello che vedi.

— Sì, è vero, ma in tutti questi fatti, sebbene non veda tutto chiaro, qualche cosa posso vedere.

E sia pure che tu veda qualche cosa, ma come tu stesso affermi tutto chiaro non puoi vedere. E poi non ci sarebbero millanta altre cose, che co’ tuoi occhi materiali non potresti vedere affatto? Stando tu qui in Italia vedi Calcutta nelle Indie e Pechino nella Cina? E vivendo tu adesso sul principio del secolo XX, hai tu visto Napoleone I, l’imperatore Cesare Augusto, il celebre Alessandro Magno?

— No, certamente.

Dunque secondo te, che non vuoi credere se non a quello che vedi, Calcutta e Pechino non esisterebbero sulla faccia della terra, e Napoleone, e Cesare Augusto, e Alessandro Magno sarebbero personaggi immaginari.

— Ma io credo benissimo e a Calcutta e a Pechino, e a Napoleone, e a Cesare Augusto, e ad Alessandro Magno, perché se non ho veduto proprio io tali città e tali personaggi, li han veduti altri, e questi altri, che li han veduti, mi attestano naturalmente, che vi è Calcutta nelle Indie, Pechino in Cina, e che esistettero Napoleone, Cesare Augusto ed Alessandro Magno.

Va bene. Dunque, anche senza vedere, sulla testimonianza di altri uomini tu credi alle cose sovradette. E così devi fare, se con la tua intelligenza vuoi vedere qualche cosa di più del tuo paese, della tua città e di ciò che ti cade sotto gli occhi durante quel breve spazio di tempo, che corre dal tuo nascere fino al tuo morire. E così fanno praticamente tutti gli uomini, senza eccezione di sorta, i quali credono a mille, a centomila cose, che non hanno vedute mai; e le credono sulla testimonianza di coloro, che avendole vedute hanno poi asserito o a voce o per iscritto, che sono esistite e che esistettero in questo o in quell’altro modo, e via dicendo. Or bene quello che fai con gli uomini, perché non vuoi farlo con Dio? Dio nella sua sapienza vede tutto, conosce, sa tutto, ed Egli ti dice per mezzo della sua Chiesa, che le cose a suo riguardo stanno così e così, e tu perché non vedi con i tuoi occhi materiali, non gli vuoi credere? Ti par giusto? Ti par ragionevole?

— Capisco ora, che chi dice di non voler credere se non a quello che vede, dice una grande buaggine.

Ascolta in proposito questo fatto. Una donna celebre non meno per politiche peripezie, che per malvagi, intrighi, Anna Gonzaga, ebbe un sogno. Le pareva di camminare in una selva e imbattersi in una capanna, ov’era ricoverato un cieco. Interrogatolo se era tale dalla nascita o lo era divenuto poscia, si intese a rispondere: « Dalla nascita ». « Dunque non conosci quanto sia fulgido il sole, quanto smaglianti i fiori, quanto bella la natura tutta! » – « Ahimè! no, nulla conosco. Non posso neppure farmene un’idea. Tuttavia credo agli splendori, che mi narrate; e la mia cecità può far intendere, che vi hanno cose bellissime, che occhio umano mai non mirò, e sebbene non si vedano, però sono desiderabili assai ». Commossa, sorpresa, Anna abbracciò il cieco, che aveva mostrato a lei luce pia bella di quella, ond’egli era privo; pianse e si convertì.

— Ma io non voglio saperne di misteri.

Ciò che dici non è vero. Ammetti tu la parola, il suono, il colore, l’odore, la riproduzione delle piante e degli animali, la forza di attrazione, che vi ha nei corpi celesti, e cose simili?

— Senza dubbio, perché sono cose che vedo, sento e provo con i miei sensi.

Ma vedendole, sentendole o provandole altrimenti con i tuoi sensi, le capisci tu? Capisci in qual maniera il mio pensiero, che è cosa spirituale diventa parola sugli organi materiali della bocca? Capisci come la parola di uno che parla ad una grande moltitudine che l’ascolta, passa per le orecchie materiali e diventa di nuovo spirituale nella mente di quella moltitudine? Capisci come si producano le ondulazione sonore e come penetrino anche attraverso i muri? Capisci come da un piccolo seme possano venir fuori migliaia e migliaia di piante, di fiori e di frutti? Capisci che cosa è quella forza, che tiene in equilibrio gli astri del firmamento e impedisce che gli uni si precipitino sopra gli altri?

— Certamente tutte queste cose non le capisco. Di tutte si possono sino ad un certo punto dare delle spiegazioni. Ma poi si arriva ad un punto tale, in cui non è più possibile.

Il che vuol dire che anche in tutte queste cose vi è del mistero. E se pure tu queste cose le ammetti tutte, come osi dire di non volerne sapere di misteri?

— Ma non è di questi misteri che non voglio saperne: si è di quelli di religione.

E ciò ti par giusto? ammettere i misteri della natura e non volerne sapere di quelli di religione?

— Ma per accettare i misteri di religione bisogna sacrificare la propria ragione, ammettendo delle cose incredibili e assurde.

Sai tu quali siano le cose assurde, epperò incredibili?

— Quelle che sono contrarie alla ragione ed al buon senso, perché contengono una contraddizione nei loro termini, come ad esempio che due più due facciano tre, che il sole non risplenda, che un circolo sia quadrato.

Ottimamente. E si potrà dire che i misteri della fede siano contrari alla ragione ed abbiano contraddizioni nei loro termini?

— Dal momento che la ragione non li capisce

Ciò vorrà dire che siano superiori alla ragione ma non contrari. Ciò vuol dire che la ragione colle sole sue forze non arriva a capire le verità, che essi esprimono, ma non ne vede affatto la impossibilità. Ad esempio nel mistero dell’Unità e Trinità di Dio vi sarebbe assurdo, se si dicesse che tre persone fanno una sola persona; ma in quella vece quale assurdo vi è mai nel dire che tre persone distinte hanno la medesima unica natura divina, epperò non sono che un solo Dio? La ragione non comprende bene ciò, ma non vede assolutamente che ciò sia impossibile. E del resto se tu volessi chiamare assurdi i misteri della fede solo perché la ragione non li capisce, non dovresti chiamare assurdi anche i misteri della natura?

— Ma i misteri della natura me li attestano i testimoni irrefragabili dei miei sensi e del senso comune.

* E i misteri della fede sono attestati da un testimonio mille volte più irrefragabile che non siano i nostri sensi e il senso comune.

— E chi è questo testimonio.

È Iddio stesso.

— Come?

Come? Forse che i misteri che la Chiesa ci propone a credere sono stati inventati dagli uomini? o non è invece Iddio medesimo che si è degnato di rivelarceli? Ascolta:

Quando S. Romano, vicino a ricevere la corona del martirio, se ne stava davanti al tiranno Asclepiade: « Se non credi a me, gli disse, interroga quel bambino, che vedi là fra le braccia di sua madre, e udrai confermato dalla sua innocente bocca quanto ti ho predicato intorno alle verità della fede ». Era ivi presente una madre cristiana con in grembo il suo figlioletto ancor lattante. – Il prefetto rimirò il bambino e persuaso che per l’età sua fosse incapace di articolar parola, dissegli per ischerzo: « Sai tu dirmi chi sia il Cristo, che i Cristiani adorano? » Allora il bambino snodata miracolosamente la lingua ed alzata francamente la voce, forte gridò: « Gesù Cristo adorato dai Cristiani è il vero Dio ». « Chi ti disse questo? » ripigliò Asclepiade. Il bambino soggiunse: « Me lo ha detto mia madre, la Chiesa ». « E alla Chiesa chi l’ha detto? » – « Alla Chiesa lo ha detto Iddio ». Lo ha detto Iddio! Ecco il motivo, su cui si appoggia la nostra fede ai misteri della religione: la parola infallibile di Dio. Non occorre altro senonchè per mezzo della stessa ragione noi ci accertiamo di questo, che Dio abbia veramente parlato agli uomini, che Egli abbia realmente rivelate loro delle verità da credere. Constatata la rivelazione divina sarebbe veramente da uomo irragionevole il non voler credere.

— Non capisco perché Iddio abbia voluto rivelarci dei misteri. Non poteva fare a meno?

Senza dubbio che lo poteva, giacché Egli non era punto tenuto a rivelarceli. L a rivelazione delle verità soprannaturali, che Iddio fece agli uomini, è un dono affatto gratuito della sua bontà e generosità.

— Ma non ha recato in tal guisa un aggravio a noi, che così dobbiamo credere a ciò che non si capisce?

Tutt’altro. Egli ci ha fatto in tal guisa uno dei più segnalati benefizi. Se Dio non ci avesse fatto la rivelazione dei misteri, arriveremmo noi a conoscere con la sola nostra ragione le sue infinite grandezze e perfezioni? Certo anche senza rivelazione tu conosceresti che vi è un Dio e che questo Dio è grande è perfetto. Ma per mezzo della rivelazione sapendo tu e credendo che in Dio vi sono tre Persone realmente distinte, che la seconda di queste Persone si è incarnata e fatta uomo per salvare gli uomini, che perciò come uomo andò incontro alla morte e morte di croce, e simili verità, dimmi, Iddio non ti appare immensamente più grande, più giusto, più buono, più perfetto? Senza dubbio. E se così Dio ti ha fatto la grazia di poterlo conoscere assai meglio che con la sola ragione, non ti ha fatto un gran benefizio, non ti ha sollevato ad un grande onore?

— Ciò è vero. Ma a che serve la fede nei misteri?

Serve appunto a riconoscere che Iddio è infinitamente grande e che tu in suo paragone sei veramente piccolo. Serve a dimostrarti che la tua ragione è assai debole e limitata e che perciò devi umiliarti e tenerla soggetta a Dio. Serve a farti rendere a lui il primo degli omaggi che da te richiede, quale è appunto la fede nella sua divina parola, perché in sostanza col credere che tu dici a Dio: Io non capisco ora questi misteri, ma li tengo verissimi, perché lo dite Voi: ciò mi basta. Serve a farti acquistare dei meriti presso lo stesso Dio. Se tu dovessi ritenere soltanto delle cose che tutte capisci, la fede sarebbe ancor fede? e tu ne potresti cogliere merito alcuno? Per credere ai misteri si esige una determinazione energica della nostra volontà di inchinarsi ad abbracciare le verità proposteci a credere, benché incomprensibili, ed è così appunto che ci facciamo un grandissimo merito.

— Ho inteso. In conclusione dobbiamo dire per i misteri quel che dicevano certi antichi discepoli per le dottrine dei loro maestri: Magister dixit!

Noi dobbiamo dire Deus dixit: L’ha detto Iddio; e ritenere che quegli antichi discepoli nel fidarsi tanto dei loro maestri da dire a qualsiasi obbiezione o difficoltà mossa contro i loro insegnamenti : « L’ha detto il maestro, » potevano sbagliarsi e molte volte si sbagliavano davvero; ma noi invece nel dire « L’ha detto Iddio » non corriamo affatto questo rischio, perché Dio è di una scienza infallibile e di una veracità suprema, non può ingannarsi né ingannare.

— Così adunque nel credere ai misteri noi dobbiamo soggiacere alla divina autorità?

* E non ti par questa la cosa per noi più bella, più giusta e più nobile? Non è mille volte meglio soggiacere alla divina autorità che a quella dei falsi dottori del mondo, che pongono in dileggio i misteri della fede? Ah! Se c’è una servitù che ci onori, è certamente quella, per cui leghiamo a Dio tutto il nostro essere, epperò anche la nostra intelligenza; e se ce n’è una che ci avvilisca, è quella di legarci alle sciocchezze, che predicano i maestri dell’errore. Dunque…

— Ho inteso: e sempre preferirò l’autorità del magistero di Dio a quella del magistero degli uomini!