INDULGENZE

INDULGENZE

[G. Bertotti: I Tesori di S. Tommaso d’Aquino; S.E.I. Ed. Torino, 1918

1- Valore delle indulgenze. — 2. Chi può concederle. — 3. Condizioni per lucrarle (Sent, 4, dist. 20, q. 1).

1 . Valore delle indulgenze. — Tutti ammettono un valore nelle indulgenze: sarebbe empio il dire che la Chiesa fa opere inutili. Ma alcuni dicono ch’esse non valgono ad assolvere dal reato di pena che si possa secondo il giudizio di Dio meritare in purgatorio: ma che valgono soltanto ad assolvere dall’obbligo della penitenza imposta dal confessore o dalle disposizioni canoniche. Ma contro questa opinione sta anzi tutto il privilegio dato a Pietro che sia rimesso in cielo ciò ch’egli rimette in terra: quindi la remissione fatta innanzi alla Chiesa vale anche innanzi a Dio. Oltre a ciò la Chiesa concedendo le indulgenze arrecherebbe un danno maggiore dell’utilità, perché, assolvendo dalle penitenze ingiunte, ci riserberebbe a più gravi pene da scontarsi in purgatorio. – Le indulgenze valgono, e di fronte alla Chiesa e di fronte al giudizio di Dio, per la remissione della pena che rimane dopo la contrizione, la confessione e l’assoluzione sacramentale. La ragione poi per cui le indulgenze possono valere è quell’unità del corpo mistico, nella quale molti fecero opere di penitenza oltre la misura dei loro debiti e sostennero anche molte tribolazioni innocentemente e pazientemente, che avrebbero potuto servir d’espiazione a una moltitudine di pene, se loro fossero dovute. Tant’è l’abbondanza di questi meriti. che eccedono tutte le pene dovute ai viventi: sovra ogni altro merito, il merito di Gesù Cristo: merito, che, lungi dall’esaurirsi nei Sacramenti, sopravanza con la sua infinità l’efficacia esercitata nei Sacramenti. Ora si sa che uno può soddisfare per un altro. Ebbene i Santi, in cui si riscontra sovrabbondanza d’opere satisfattorie, compirono queste opere non a determinato vantaggio di chi avesse bisogno di remissione (la quale in tal caso s’otterrebbe senza bisogno d’alcuna indulgenza), ma le compirono a vantaggio comune di tutta la Chiesa, come l’Apostolo (Coloss., 1, 24) dice d’adempire nel suo corpo ciò che manca alla passione di Cristo a beneficio della Chiesa a cui scrive. Dunque tali meriti sono comuni a tutta la Chiesa. Le cose comuni a tutta una moltitudine son distribuite a ciascuno degli individui a piacimento di chi presiede alla moltitudine: perciò, come noi conseguiremmo la remissione della pena se un altro soddisfacesse per noi, altrettanto ci accadrà se la soddisfazione di un altro ci sarà distribuita da chi ne ha il potere. Le indulgenze dunque non tolgono la quantità della pena dovuta alla colpa, ma applicano la soddisfazione d’un altro che spontaneamente sostenne la pena dovuta alla nostra colpa. Chi riceve le indulgenze non è assolto, a rigor di termini, dal debito di pena, ma gli è dato di che pagare il suo debito. Benché le indulgenze molto valgano per la remissione della pena, tuttavia le altre opere di soddisfazione sono più meritorie rispetto al premio essenziale: il che è infinitamente meglio che la remissione della pena temporale. Nel conceder le indulgenze i ministri della Chiesa esercitano la loro potestà, non a distruzione, ma ad edificazione dei fedeli. Certo, ad evitare i peccati, la grazia ci presenta un maggior rimedio di quello che ne possa derivare dalla consuetudine delle buone opere. Ma acquistando le indulgenze, noi ci sentiamo portati con l’affetto verso la causa per cui furono concesse: perciò le indulgenze ci dispongono alla grazia e in tal modo riescono anche di rimedio per evitare i peccati. È tuttavia da consigliar sia quei che lucrano le indulgenze, che non s’astengano per questo dalle opere ingiunte di penitenza, trovando così anche in esse il rimedio per evitare i peccati, posto pure che si sia immuni dal debito di pena:, tanto più che talvolta s’è debitori più di quanto si creda. Nelle indulgenze, causa di remissione di pena non è altro che l’abbondanza dei meriti della Chiesa: abbondanza ch’è sufficiente a espiare tutta la pena. – Perciò la quantità di remissione non vuol essere proporzionata né alla divozione di chi acquista l’indulgenza né alla causa estrinseca per cui l’indulgenza fu accordata: ma ai meriti della Chiesa che sempre sovrabbondano. La remissione sarà conforme alla misura onde questi meriti sono applicati. Le indulgenze valgono senz’altro tantum quantum prædicantur, purché ci sia l’autorità in chi le concede, ci sia la carità in chi le riceve, ci sia nella causa la pietà che comprende l’onor di Dio e l’utilità del prossimo. – Essendo l’effetto dei Sacramenti determinato non dall’uomo, ma da Dio, il sacerdote non può in confessione tassare con la chiave dell’ordine quanto s’abbia a rimettere di pena dovuta, la quale invece si condona nella misura voluta da Dio. Ma la chiave di giurisdizione non è cosa sacramentale; soggiace all’arbitrio dell’uomo il suo effetto, ch’è la remissione per mezzo delle indulgenze: sta dunque all’arbitrio di chi concede delle indulgenze il determinare quanto si rimetta di pena.

2. Chi può concedere le indulgenze. — Le indulgenze hanno effetto in quanto le opere satisfattorie di uno si computano a un altro, non solo per forza di carità, ma anche per l’intenzione dell’operante diretta in qualche modo a tale scopo. Ora in tre modi può esser l’intenzione d’uno diretta a un altro: in modo singolare, in modo speciale, in modo generale. In modo singolare, quando uno soddisfa determinatamente per un altro, e così ciascuno può comunicar le sue opere ad altri. In modo speciale, come quando si prega per la propria congregazione, per la propria famiglia, per i benefattori, e a tale scopo s’ordinano anche le proprie opere satisfattorie: e così chi presiede a una congregazione può comunicar ad altri le opere satisfattorie applicando direttamente le intenzioni di quei che appartengono alla congregazione. In generale, quando si coordinano le opere al bene della Chiesa in generale: e così quei che presiede alla Chiesa, può in generale, applicandovi la sua intenzione, comunicar le opere a questo o a quello. E poiché l’uomo è parte della congregazione, e la congregazione è parte della Chiesa, nell’intenzione del bene privato sta in chi usa l’intenzione del bene della congregazione e del bene di tutta la Chiesa; quindi chi presiede alla Chiesa può comunicare le opere degl’individui che vi appartengono: ma non viceversa. Né la prima comunicazione in modo individuale, né la seconda in misura speciale, si chiama indulgenza, ma solo la terza in modo generale. E ciò per due ragioni: — 1° perché con le due prime comunicazioni l’uomo, benché sia sciolto dal reato di pena quanto a Dio, non è sciolto però dal debito di compier la soddisfazione ingiunta dal precetto della Chiesa, mentre che è sciolto anche da quesito debito con la terza comunicazione; — 2° perché in una sola persona o in una sola congregazione non v’è indeficienza di meriti da poter valere anche per tutti gli altri: ma nella Chiesa v’è un’assoluta indeficienza di meriti, principalmente per il merito di Gesù Cristo: perciò solo chi è capo della Chiesa può largire indulgenze. – Il Papa ha la pienezza della potestà pontificale, come il re nel regno: perciò la potestà, d’accordare indulgenze risiede pienamente nel Papa. Ma il Papa si assume i Vescovi a partecipar della sua cura, come il re mette i suoi giudici in ogni città: perciò il Papa nelle sue lettere chiama i soli Vescovi col nome di fratelli, gli altri col nome di figli. Anche i Vescovi dunque possono dar indulgenze, ma solo secondo la misura determinata loro dal Papa. – Essendo cosa di giurisdizione il dare indulgenze, e non perdendosi col peccato la giurisdizione, le indulgenze accordate da chi fosse in peccato mortale hanno il medesimo valore che avrebbero se fossero accordate dal più santo fra gli uomini: perché chi concede le indulgenze non rimette la pena in forza dei suoi meriti, ma in forza dei meriti riposti nel tesoro della Chiesa.

  1. Per lucrare le indulgenze bisogna far quello per cui fu data l’indulgenza. Se non s’adempie la condizione, non s’ottiene ciò che si dà sotto condizione: dandosi l’indulgenza sotto la condizione che si faccia una qualche determinata cosa, se non la si fa, non s’acquista l’indulgenza. – E non s’acquista neppure quando si tralascia d’adempire la condizione, non perché non si voglia, ma perché non si può: come quando l’indulgenza è accordata per qualche elemosina che un povero non può fare e che pur farebbe volentieri. La buona intenzione gli sarà computata per il premio essenziale, come se avesse fatto l’elemosina, non per gli altri premi accidentali, come sarebbe la remissione della pena temporale, e simili. – Possiamo con l’intenzione applicare le opere nostre a chiunque vogliamo e perciò possiamo soddisfare per chiunque vogliamo. Ma l’indulgenza non si può applicare fuorché con l’intenzione di chi la concede: ora l’intenzione di chi la concede è che si applichi a chi fa una determinata cosa. Chi dunque fa l’opera prescritta riceve l’indulgenza, ma non può trasferire ad altri l’intenzione di chi la concede; dunque uno non può acquistare l’indulgenza per un altro: Tuttavia se l’indulgenza fosse esplicitamente accordata per colui che fa e per quello a cui vantaggio si fa, varrebbe anche per quest’ultimo: ma allora chi fa quella determinata opera non darebbe ad altri l’indulgenza: la dà chi concede l’indulgenza sotto tal forma (L’odierno Diritto Canonico -C.J.C., can. 630- stabilisce che « nessuno, acquistando indulgenze, le può applicare ad altri viventi; alle anime poi del Purgatorio sono applicabili tutte le indulgenze concesse dal Romano Pontefice, salvo che consti altrimenti). – Per chi si trova in peccato mortale le indulgenze non valgono alla remissione della pena, perché a nessuno può esser perdonato il castigo, se prima non gli è perdonata la colpa: poiché chi non ha ottenuto l’opera di Dio nella remissione della colpa, non può conseguire la remissione della pena dal ministro della Chiesa né nelle indulgenze né nel foro penitenziale. Valgono almeno per ottenere la grazia? Potrebbero valere a ottener la grazia per il peccatore quei meriti che gli si comunicano mediante le indulgenze, come potrebbero valere per ottenergli la grazia e molti altri beni i meriti applicatigli anche da un semplice fedele. Ma non per questo fine s’accordano le indulgenze, sebbene per la remissione della pena, perciò non hanno valore per quei che si trovano nel peccato mortale. Un membro morto non riceve l’influsso dagli altri membri vivi: chi si trova nel peccato mortale è un membro morto, dunque non può con le indulgenze ricevere l’influsso derivato dai meriti dei membri vivi.

 

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.