GREGORIO XVII – IL MAGISTERO IMPEDITO: 1° corso di ESERCIZI SPIRITUALI “LA PERFEZIONE” (13)

GREGORIO XVII:

IL MAGISTERO IMPEDITO

1° corso di ESERCIZI SPIRITUALI

LA PERFEZIONE

(13)

15. L’obbedienza

L’amore di Dio, quello d’acciaio, cioè serio, domanda l’obbedienza. Parliamone, partendo dall’esempio di Nostro Signore Gesù Cristo. Perché è stato l’esempio di Lui più marcato, quello della obbedienza. S. Paolo, riassumendo tutta la figura di Nostro Signore, gli pone sulle labbra queste parole: « In capite libri scriptum est de me ut faciam, Deus, voluntatem tuam»; in testa al libro (Salmo XL, 8-9) sta scritto che io faccia, Signore, la tua volontà (Ebrei X, 7). In realtà Nostro Signore si è sempre difeso contro gli attacchi dei suoi nemici dicendo due cose, cioè che Egli non cercava la propria gloria, che Egli faceva la volontà del Padre. Quando stava al pozzo di Samaria discorrendo con la samaritana, sopraggiunsero i discepoli che erano andati a cercare qualche cosa da mangiare, e gli parlavano del cibo; ma egli rispose: « Il mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato ». E anche nel momento supremo della passione lasciò che la natura che aveva assunta agisse nel senso che le era proprio, cioè paventasse il male: « Padre, se è possibile, passi da me questo calice. Tuttavia faccio non la mia ma la tua volontà ». – Nostro Signore ha dato prova di obbedienza. Come Dio, Egli non poteva obbedire; come uomo, sì, Egli poteva obbedire; era nella sua natura umana di poter obbedire, e per questo ha potuto obbedire. Se non ci fosse stata l’umana natura, a Lui non sarebbe stato possibile obbedire; ma è la divina Persona responsabile giuridicamente della sua obbedienza. È qui dove si vede che l’Incarnazione e l’obbedienza sono essenzialmente legate. Vi ho voluto ricordare questo perché l’esempio di quello su cui ora dobbiamo accuratamente meditare viene dall’alto; c’è stata l’Incarnazione del Verbo per poter dare tale esempio. – Il fatto che viene così dall’alto e che vi sia stata l’Incarnazione del Verbo per potere far sì che noi avessimo questo esempio vi dice l’importanza dell’argomento. – Questa obbedienza l’ha chiesta Nostro Signore. Egli l’ha chiesta ai discepoli, agli Apostoli, a tutti. Egli ha chiesto semplicemente di seguirlo; non ha chiesto soltanto l’obbedienza esecutiva, ossia che noi piegassimo la volontà nostra alla sua, ha comandato anche l’obbedienza intellettuale, che noi piegassimo la nostra mente alla sua parola. Quando si parla di obbedienza, bisogna sempre ricordare questo particolare, perché la forma più sottile della disobbedienza obbediente è quella di mancare nel campo dell’intelletto; si eseguisce, ma si giudica al contrario di quello che si eseguisce e si compie pertanto una continua distorsione, una innaturale divisione; e questo mina essenzialmente l’ordine che l’obbedienza, come tale, dovrebbe conservare, costituire, ricomporre. Nostro Signore ha chiesto l’obbedienza intellettuale e l’obbedienza intellettuale consiste nell’accettare la verità, quella che è sulla parola, sulla testimonianza, sulla autorità. L’obbedienza intellettuale è quella che raddrizza, se c’è bisogno, che costituisce, valorizza l’obbedienza puramente esecutiva. Generalmente Nostro Signore Gesù Cristo, quando doveva operare un miracolo, prima chiedeva un atto di obbedienza: « Credi nel Figlio di Dio? », cioè accetti, pieghi la tua intelligenza alla verità che io ti propongo e che è questa: che Io, che tu vedi uomo, sono il Figlio di Dio? Egli ha chiesto sempre questa obbedienza intellettuale. È qui dove voi potete vedere che l’atto di fede di cui abbiamo parlato non è altro che una forma di obbedienza intellettuale. – Si direbbe che della sua obbedienza al Padre Gesù abbia voluto lasciare un’impronta in tutta quanta la vita della Chiesa, perché a rinfrescarne l’esempio tutti i giorni Egli, in un certo senso, obbedisce alla voce dei sacerdoti. Perché quando noi sacerdoti consacriamo, Egli ritorna presente sotto le apparenze del pane e del vino, e siamo noi liberamente a decidere di pronunciare quelle parole divine, siamo noi a decidere liberamente di mettere quella intenzione senza la quale a niente varrebbe pronunciare le parole della Consacrazione. Quando noi pronunciamo quelle parole Egli diventa presente. Ed è così che la stessa SS. Eucaristia, nella quale è continua, reale, vera, personale, sostanziale la presenza del nostro divin Salvatore, in fondo è sempre come una potente eco di quel primo atto di obbedienza col quale Gesù si piegò per primo al Padre facendosi uomo e col quale, nella veste e nella sostanza di uomo, Egli non ha fatto altro che eseguire la volontà del Padre suo che è nei Cieli. Questo è l’esempio, questa è la volontà di Nostro Signore Gesù Cristo. – Ora però noi dobbiamo leggere più a fondo nel mistero dell’obbedienza. E la ragione è questa. Se vi insisto è perché nel mistero dell’obbedienza c’è tutto il mistero della perfezione. Questi Santi Esercizi sono stati condotti sotto questa insegna: noi dobbiamo aspirare alla perfezione. Ora guardate che l’obbedienza è il grande segreto della perfezione appunto perché è l’elemento condizionante l’amore di Dio che è il culmine della perfezione. Noi dobbiamo ragionare sulla intima essenza della obbedienza. Vi prego di osservare. Noi siamo piccoli, siamo solo parzialissimamente potenti. Nel più di quanto ci si presenta come oggetto di considerazione, noi siamo incapaci e impotenti. Noi siamo dei piccoli che vivono in un grandissimo ordine: non dimentichiamolo mai. L’ordine non è fatto soltanto dal cosmo, con la luna, col sole, con le lontane galassie, quell’ordine spaziale, spazialmente immenso, ma pure infinitamente piccolo. Viviamo in un altro ordine fatto di cose spirituali, che supera tutti i confini dello spazio. Noi siamo piccoli chiamati a vivere in un ordine immenso, ma noi riceviamo tutto da quest’ordine, tutto da Dio, anche l’ordine cosmico che viene così a condizionare la nostra vita. Noi non solo siamo dei piccoli, ma siamo dei condizionati. Dobbiamo accettare quello che siamo; non accettare ciò che siamo sarebbe non solo rivolta sciocca, ma insipienza tragica, contraddizione dolorosa e dannosa; non ci farebbe nessun onore, non darebbe corpo a nessuna fierezza, ci renderebbe semplicemente ridicoli. Noi siamo i piccoli, siamo i condizionati del grande ordine. È evidente l’ontologica necessità d’inserirci in questo ordine che è prima di noi e del quale abbiamo bisogno per continuare a vivere. È ovvio che noi ci inseriamo nell’ordine. Come si chiama l’atto così logico, così ovvio, così naturale, d’inserimento? Si chiama obbedienza. Se volete potete anche cambiare nome; questo non ha importanza; ma noi dobbiamo accettare qualche cosa, perché siamo condizionati nell’essere, restii a sopravvivere a quest’ordine. È della nostra natura che vi sia un’obbedienza. Perché è della nostra natura, che vi sia un’obbedienza? Perché è della nostra natura l’essere piccola e il dover ricevere. Pertanto l’atto del ricevere completo, dignitoso, si chiama obbedire. È il cosmo stesso che ci attesta questo, è la struttura stessa dell’essere, dell’esistere, della vita che ci dà contezza piena di tutto questo. Noi non possiamo fare diversamente. Perché il fare diversamente diventerebbe atto violento contro di noi, sarebbe un assassinio fatto contro noi stessi. Tutto io devo dire, perché non crediate che l’obbedire sia qualche cosa di aggiunto alla nostra natura e che persino la contrasti obbligandola a deporre la sua naturale fierezza. No, è una parte della nostra natura l’obbedire, come la bocca, il naso, le orecchie; come i nostri capelli, come le ossa delle quali è strutturata la nostra forza, la nostra situazione nella statica, come qualunque altra parte della nostra natura. Noi siamo fatti di obbedienza. E’ vero che possiamo disobbedire; Dio ci ha lasciati liberi; ma allora non siamo più completi, non siamo più nell’ordine, non siamo più quello che dobbiamo essere e non prepariamo più quello che dobbiamo essere. È così. Questa è la prima ovvia ragione, ontologica, che fa capire l’obbedienza. Io non ho detto ora a chi dobbiamo obbedire, parlo dell’obbedire e basta, senza affatto riferirmi, in questo momento, a chiunque. Non accettare l’obbedienza vuol dire non accettare quello che si ama. Traducete: vuol dire rinnegare noi stessi. Questa è la prima ragione.

– Ce n’è poi un’altra, una ragione ontologica per cui dobbiamo obbedire e per cui si vede la ragione intima della obbedienza intellettuale, quella con la quale si piega la nostra facoltà emotiva, la volontà, la nostra facoltà esecutiva, ma si piega anche il colmo dell’essere nostro, l’intelletto. Si avrà l’obbedienza più vera, la più meritoria, quella che innerva l’altra e senza la quale l’altra obbedienza diventa facilmente ipocrita. Osservate, siamo forse noi gli autori della verità? Noi non siamo gli autori della verità; la verità è obbiettiva e pertanto viene dal di fuori. Noi non abbiamo fatto la realtà dell’uomo: che l’uomo sia così fatto di anima e di corpo, con quelle potenze, con quelle caratteristiche, con quelle qualificazioni, non l’abbiamo fatto noi. Pertanto non possiamo creare noi la definizione dell’uomo. Non vi pare che sarebbe ridicolo se tentassimo di farlo? Noi possiamo semplicemente accettare la definizione dell’uomo, cioè obbedire a una regola di verità che è fuori di noi. Noi non dobbiamo creare il mondo; il mondo è quello che è. Noi non possiamo forgiare la realtà e dire: il mondo è un triangolo. No, nel mondo ci sono dei triangoli e cose riducibili a triangoli, dato che il triangolo è una figura geometrica perfetta; ma il mondo non è un triangolo, anche se io lo dico. Io debbo obbedire, lo vedete. Io ho gli anni che ho; è inutile che dica che ne ho trenta di meno. Il mio stato anagrafico è quello che è, io non lo posso alterare; dirvi una bugia, farei una commedia. Io debbo dipendere dalla realtà, debbo obbedire alla realtà: la realtà che s’identifica con la verità perché « ens et verum convertuntur » come « ens et bonum convertuntur » come « verum et bonum convertuntur ». La realtà è quella che è. Io devo dipendere dalla realtà, la debbo accettare intellettualmente. Io non posso dire che l’essenza è distinta dalla esistenza, se è vero invece che l’essenza è identica all’esistenza. Perché la realtà è quella che è. Io posso blaterare quanto voglio, ma la realtà resisterà sempre al mio blaterare. Io devo obbedire alla realtà. Guardate come l’obbedire è nella nostra costituzione di essere creati: perché noi non siamo il principio di noi stessi né il principio di nessuna cosa. La verità per noi è una derivazione. La ragione per cui dobbiamo dipendere è perché siamo stati creati, perché se fossimo il principio delle cose, saremmo anche il principio della verità; e questo non è. Pertanto noi dobbiamo dipendere. – Agli uomini, in quel margine in cui gli uomini sono lasciati liberi da Dio, Dio ha detto: arrangiatevela a fare come volete. Ed è in questo piccolo margine che noi possiamo fare della democrazia, ma solo in questo piccolo margine. Il cosmo è gerarchico, non è democratico. L’ordine religioso ha la dipendenza della via gerarchica. Proviamoci a imporre una costituzione a Dio! – Ci si è provato l’illuminismo, ci si è provato l’enciclopedismo. L’illuminismo, l’enciclopedismo, il voltairianesimo, che cosa sono? Non sono altro che una costituzione ridicolmente imposta a Dio. Naturalmente è una costituzione rimasta lettera morta, perché a Dio non se ne impongono di costituzioni. L’ordine tra creatura e Creatore, cioè l’ordine religioso, è essenzialmente gerarchico. Stiamo attenti a non fare delle sciocchezze, a non lasciarci entrare nell’anima l’idea che bisogna fare anche qui un po’ di democrazia. Mettiamo ai voti il primo, il secondo e soprattutto il sesto comandamento e cerchiamo di aggiustarli come ci piace. Non diciamo sciocchezze! Perché noi potremmo provarci a far passare in Parlamento la legge che non si muore più. Beh, facciamola, vediamo che cosa succede. Ricordate il famoso decreto del Sindaco di Peretola? C’erano troppi gobbi a Peretola, e un bel giorno il Sindaco ha fatto il decreto che non dovessero nascere più gobbi. I gobbi sono continuati a nascere e forse nascono ancora a Peretola. Io non lo so. Comunque il decreto del Sindaco di Peretola è rimasto l’elemento proverbiale per parlare della commedia dell’impossibile e dell’incredibile. Ricordiamo bene che la democrazia sta in quel piccolo campo che Dio ha lasciato agli uomini perché agiscano a loro modo. Ma, al di là e al di sopra di quel piccolo campo, non esiste più. Questa è la ragione per cui la Chiesa, che è la realizzazione sociale dell’ordine religioso nel mondo, per divina volontà e positiva costituzione divina è essenzialmente gerarchica; e il portare qualunque elemento che volesse toccare la disposizione gerarchica della Chiesa sarebbe rovinare perfettamente il disegno di Gesù Cristo, contaminare essenzialmente la Chiesa e rendersi ridicoli nel voler portare là dove Dio ha segnato un ordine un altro ordine fatto sulla misura delle nostre grettezze. – La Chiesa, la quale imita Dio, in taluni punti della sua vita lascia degli ordinamenti democratici, ma li lascia entro determinati limiti. Voi vedete che negli Ordini religiosi in genere la costituzione è sempre democratica, perché in tutti gli Ordini religiosi sono gli inferiori che eleggono i loro superiori. In modo diverso avviene per qualche Ordine, come ad es. per i Gesuiti, per le Congregazioni monastiche, per i Benedettini dove l’Abate una volta eletto è sempre Abate. Così è della Chiesa. La Chiesa non può far niente, non può mutare niente. Il Papa non può diventare un sovrano costituzionale, il Vescovo, che è definito nella sua caratteristica dalla divina istituzione, non può diventare un principe di carattere costituzionale, perché questo altererebbe la costituzione della Chiesa. E non sarà mai che i fedeli possano discutere gli ordini del loro Vescovo; non sarà mai che i fedeli e i Vescovi possano discutere gli ordini del Romano Pontefice. Ricordiamoci bene quanto ho richiamato spiegando questa seconda ragione ontologica dell’obbedienza, perché dobbiamo essere convinti, in questa universale visione, che noi non siamo il principio dell’ordine. Ecco perché l’ordine è gerarchico. Noi non siamo il principio dell’essere, della verità e del bene. Ecco perché l’ordine religioso è gerarchico, ecco perché la Chiesa che, per costituzione divina, è la traduzione sociale dell’ordine religioso del mondo, è gerarchica. – Vedete le grandi ragioni dell’obbedienza? Ma vi prego di osservarne una terza, una ragione ontologica. L’obbedienza diventa il più grande sussidio che abbiano gli uomini nella vita morale. Cioè, in quell’ordine in cui gli uomini sono liberi, — perché nell’ordine in cui sono liberi e possono fare in un modo o in un altro, incide talmente la loro piccolezza che li espone a non avere saggezza — l’obbedienza è il più grande ausilio che abbiano. Con l’obbedienza io acquisto quello che non ho. Se sono disobbediente, sono incompleto; con la obbedienza acquisto tutto quello che non ho. Si devono osservare le leggi, almeno quelle che sono passate al vaglio della esperienza e sono veramente la saggezza dei popoli; quelle fondamentali, quelle tradizionali, quelle istituzionali, quelle ben fatte, uguali in tutti i codici: nel codice Napoleonico come nel codice di Giustiniano. Sono sempre le stesse, e se si cambiano quelle, Dio ce ne guardi e liberi, allora sì che la politica salta; ma quelle per fortuna non cambiano; fino adesso in genere nessuno ha avuto il coraggio di toccarle, per grazia di Dio. – Ora, che cosa acquisto io, osservando le leggi? Quando io obbedisco alle leggi, mi completo. Supponiamo che io non abbia mai avuto tempo di studiare diritto. Il diritto supremo è lo strumento umano regolatore fra gli uomini; è molto più importante sapere il diritto che non la fisica, perché è il diritto che regola gli uomini. Se ne sanno anche un po’ meno di certe cose, state tranquilli che campano lo stesso; ma se il diritto lo sanno un po’ meno e lo applicano meno, non campano. Se io obbedisco alle leggi, mi completo come se avessi studiato il diritto. Io obbedisco al medico: è come se io mi fossi laureato in medicina. Io obbedisco all’architetto: è come se avessi studiato architettura. Vorrei che vedeste questo: io obbedisco; bene, è come se conoscessi tutto l’ordine nel quale vivo. Io obbedisco a una legge: mi completo; è come se io sapessi tutto il passato, tutte le prospettive, tutto l’avvenire, tutta la situazione presente di questa legge. E’ necessario che noi vediamo questo aspetto ontologico della obbedienza. Noi ci completiamo. Noi diciamo: i bambini debbono obbedire, anche i giovani debbono dar retta ai vecchi. Perché? Ma perché così si completano, non possono sapere tutto. Si completano nella volontà, perché alle volte la volontà è debole, non ce la fa; è soltanto con l’obbedienza che riescono a ingranarsi e a prendere la buona strada. – Potrei continuare fino a domani, ma debbo finire. Badate che la obbedienza è la nostra ricchezza. Ecco, forse bisogna trovarsi al punto in cui non si ha più da obbedire a nessuno per capire che cosa voglia dire l’obbedienza. Credetelo pure. Quando si ha solo da comandare e quasi sempre solo da comandare, allora si capisce che cosa sia il « bonum obœdientiæ », come sia tranquilla l’anima quando si ha soltanto da obbedire e come difficilmente riesce ad esserlo quando ha solo da comandare. Vi ho detto tutto questo perché capiate che obbedire non è una vergogna, è semplicemente una grande furbizia, oltre a essere una grande tranquillità, condizione della santità e dell’amore di Dio. È veramente il fondamento della pace la obbedienza. Il nostro orgoglio dice di no; ma non crediamo al nostro orgoglio. Il nostro orgoglio è la causa del 99% degli inutili dolori della nostra vita. Non diamo retta al nostro assassino che è il nostro orgoglio. – Ma a chi si obbedisce? A tutti, ma a uno solo, a Dio. Perché io obbedisco alle leggi? Perché è Dio che dà la forza alle leggi, a qualunque legge civile e morale. Perché obbedisco ai superiori? Perché è Dio che ha voluto che al mondo ci fossero dei superiori costituendo la Chiesa, la società civile, volendo la società; e società non esiste senza autorità e senza legge. Pertanto Dio ha voluto l’autorità e la legge. Obbedire ai genitori in quello che a loro compete, perché è Dio che li ha costituiti tali. Obbedendo alle tradizioni e ai regolamenti, io obbedisco a Dio. Perché a un uomo, a qualunque uomo, da solo, non ci sarebbe mai ragione di obbedire; non dobbiamo fare gli uomini più grandi di quel che sono, attribuendo alla loro persona, in quanto tale, ciò che non ha. E anche quando si accetta una preminenza magisteriale, si accetta quello che dice il maestro perché è maestro, si sa che sa. Questa non è la vera obbedienza, è l’accettazione libera, di cui liberamente ci si convince. Là c’è la saggezza, là c’è un tesoro, e allora si attinge a quel tesoro; e là si obbedisce a Dio. – Ma si deve obbedire in tutte le circostanze, perché le circostanze sono quelle che mi vengono dalla volontà di Dio. Se oggi mi dovessi trovare a fare 5 o 6 ore insieme con una persona fastidiosissima, potrei anche tentare di fare qualche sforzo per cercare di esimermi; questo è onesto; ma supposto che non ci si riesca, che cosa vuol dire? Vuol dire che Dio vuole che io mi subisca quella persona fastidiosa. Ed ecco che i fatti mi parlano della volontà di Dio. Se oggi piove, io devo accettare che piova; è inutile che stia a fare il muso perché piove. È la volontà di Dio che piova e basta, tutto finisce lì. I fatti. Voi credete che si obbedisca solo ai superiori? Si obbedisce a tutto, anche ai fatti. Io vado per la strada, sento uno che fa un gran rumore. Beh, cosa posso fare? Posso toccarlo con una bacchetta magica quel rumore, farlo scomparire? No. Il mio dovere è di stare lì; non posso toglierlo, è dunque la volontà di Dio che non vuole che lo tolga. C’è poco da fare. Io obbedisco a Dio accettando i fatti. Questa non è la stupida passività indiana. Io posso reagire contro i fatti fino a cercare di rimuovere l’ostacolo; ma quando non posso reagire o reagendo è lo stesso, vuol dire che Dio vuole che non lo smuova. Non ho niente da fare. – O si obbedisce a tutti o non si obbedisce a nessuno. Perché si obbedisce a uno solo che è Dio. Ai fatti, ai regolamenti, alle persone si obbedisce perché tutti, nella loro quota, sono rappresentanti della divina volontà, portatori della divina volontà. Ma siccome a Dio, Autore della divina volontà, si obbedisce con l’intelletto, perché principio della verità, voi capite perché occorre sempre che ci sia l’obbedienza intellettuale. Dio vuole che noi obbediamo perché così gli diamo una prova di amore. Nell’obbedienza Dio non ci ha dato l’incarico di misurare la ragionevolezza degli ordini, no, perché non è quello l’oggetto; l’oggetto sta nell’accettare con amore la sua volontà e non la ragionevolezza degli ordini. Pertanto non è giusto misurare la ragionevolezza degli ordini, salvo il caso in cui è ammesso discutere, come è ammesso in democrazia. La democrazia rivela sé stessa in questo, poiché lascia discutere intellettualmente, mentre esecutivamente deve essere obbedita, perché la legge accettata dal Parlamento io in coscienza la devo osservare anche se la posso criticare. La democrazia mi consente di dire : questa legge non va bene; però devo obbedire. Badate che, salvo l’ambito della democrazia, non si distingue la obbedienza esecutiva dalla obbedienza intellettuale. Naturalmente anche in democrazia la critica non deve essere sciocca. Criticherà chi può: una certa abituale e ristrettissima distinzione tra l’obbedienza intellettuale e quella esecutiva può essere soltanto in un limitato settore, per limitate persone della democrazia politica. Dunque non è umiliante obbedire, perché l’essenza dell’obbedire è che Dio vuole che facciamo la sua volontà. Non si può obbedire con riserva, perché l’essenziale è che io accetto Dio. Quando c’è di mezzo Dio, vogliamo stare a badare al resto? La via della santità passa di qui; non sperate che vi sia santità senza obbedienza.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

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