IL MATRIMONIO CATTOLICO – 5 –

IL MATRIMONIO (5)

[ENCICLOPEDIA CATTOLICA, vol. VIII, Coll. 407 e segg.  – Ente per l’Enciclopedia Cattolica e per il libro cattolico – Città del VATICANO – impr. 1952]

VIII. USO DEL M.

1. Principi. – L’uso del M., anche dopo il peccato originale, nonostante il fervore della concupiscenza che ad esso si accompagna, è del tutto onesto (cf. Gen. 1, 28; cann. 1111, 1081 § 2, 1015 § 1). La rettitudine obiettiva di tale uso è necessariamente subordinata alle finalità intrinseche del M. e alla gerarchia degli stessi fini. Pertanto, essendo la procreazione e l’educazione della prole alla base dell’ordine da Dio stabilito per l’incontro dei due sessi, tutto ciò che si dimostra a quest’ordine direttamente contrario, privando l’atto coniugale della sua naturale tendenza alla generazione, è intrinsecamente illecito, e quindi per nessun motivo giustificabile. Al contrario, ove quest’ordine sia rispettato, l’atto non è illecito, anche se infecondo, potendo egualmente raggiungere le altre finalità che lo giustificano. È infatti da tener presente, a tale riguardo, che all’uomo è imposta l’osservanza dell’ordine, non già il raggiungimento del fine cui esso tende: ciò infatti non dipende solo dall’azione dell’uomo, ma anche da quella della natura, la quale non solo non è sottoposta all’arbitrio dell’individuo, ma sfugge molte volte alla sua stessa conoscenza. – La considerazione obiettiva non è la sola sulla valutazione etica concreta dell’uso del M. nei casisingoli: come in tutte le altre attività dell’uomo, è necessario tener presenti le circostanze dell’atto; sotto l’aspetto soggettivo è preminente la considerazione del fine.

2. Alcune applicazioni. – A richiesta dell’altro coniuge si è obbligati alla prestazione del debito coniugale sotto pena di peccato grave (1 Cor. 7, 3); il rifiuto è si tanto peccato veniale (a meno che l’altro coniuge venga esposto al pericolo di incontinenza), quando la parte richiedente rinuncia facilmente alla sua domanda o la prestazione è soltanto differita per breve tempo, oppure il rifiuto avviene di rado. Di più, a volte, il rifiuto può essere legittimo, data l’esistenza di determinate cause scusanti, quali l’adulterio volontario e non condonato dal richiedente, la grave trascuratezza negli obblighi di mantenimento della famiglia, la mancanza anche temporanea dell’uso di ragione, l’esagerazione nelle richieste. – Nell’uso del M. non si può non tener conto, anche in ragione della sua finalità primaria, della sanità fisica della prole futura e dei diritti della prole concepita. Il giudizio nei singoli casi va fatto tenuto conto di tutte le circostanze. – Si può, in genere, dire che quanto più grave è il pericolo ed il danno che si teme, tanto più grave deve essere la causa che ne giustifichi la permissione. Così a parità di condizioni, il probabile danno della prole già concepita pesa di più sulla valutazione etica dell’atto che non il probabile danno del futuro prodotto del concepimento; e ciò sia per la stessa incertezza di questo, sia perché non si può parlare di lesioni di diritti di chi ancora non esiste; che anzi, se si dovesse tener conto unicamente di un tale futuro soggetto, si potrebbe, nei suoi confronti applicare il principio melius est esse quam non esse. Senonché c’è anche da tener conto della sanità della stirpe, ossia del bene comune; e qualora alla prole futura si possa provvedere in maniera migliore, la stessa primaria finalità del M. impone che a ciò si badi. – Altra circostanza da valutare per il retto uso del M. è il pericolo di danno per la salute di uno dei due coniugi. Anche in questo caso, in cui non urge il diritto derivante dalla mutua traditio propria del M., la soluzione concreta delle innumerevoli situazioni che possono crearsi va ricercata nella prudente applicazione dei principi, che disciplinano l’attività umana e ne definiscono la responsabilità. Soprattutto è necessario non perder mai di vista la gerarchia dei valori e l’ordine della carità. – Una questione assai dibattuta in questi ultimi tempi è quella relativa alla liceità della cosiddetta continenza periodica, ossia all’uso del M. riservato ai periodi o cicli che, secondo alcuni calcoli e particolari teorie, si prevedono infecondi (tempo agenesiaco). Di natura assai diversa è la continenza temporanea suggerita dal concorde desiderio degli sposi di dedicarsi più liberamente alla preghiera, cui si riferisce il discreto consiglio dell’Apostolo, seguito, però, immediatamente dal prudente richiamo alla concreta ed ordinata realtà della vita (« ma poi di nuovo siate come prima »), affinché non si muti in tentazione ciò che era ordinato al perfezionamento dello spirito (I Cor. 3-6).

3. Peccati dei coniugi. – Tutto ciò che non è effettivamente ordinato o non è obiettivamente ordinabile al fine primario stabilito da Dio per l’unione dei due sessi, costituisce una violazione sostanziale dell’ordine ed è quindi peccato. Trattandosi, d’altra parte, di ordine essenziale per l’uomo, dato che dipende dal medesimo la coservazione e propagazione del genere umano, il peccato è grave, perché direttamente ed essenzialmente opposto alla carità. – L’ordine può essere violato sia nell’ambito della vita coniugale ed in contrasto con i suoi diritti e le sue leggi, o al di fuori di essa. Nell’ambito della vita coniugale costituiscono colpa grave tutte le pratiche anticoncezionali, malthusiane, qualunque sia il mezzo o il modo usato per rendere sterile l’unione. La loro diretta opposizione al fine primario del M., le rende intrinsecamente illecite, e quindi ingiustificabili, qualunque sia il motivo che le suggerisca. – Quanto poi al coniuge innocente, il quale non di rado soffre il peccato piuttosto che esserne causa, egli non commette colpa, se, per ragione veramente grave, permetta la perversione dell’ordine dovuto, purché l’atto non sia fin dal principio intrinsecamente corrotto, ma ripeta la sua malizia dalla successiva frode dell’altro coniuge, e purché, memore anche in tal caso delle leggi della carità, non trascuri di dissuadere il coniuge dal peccato. Che se, invece, l’atto fosse fin dal principio intrinsecamente viziato, è dovere opporvisi positivamente e respingere l’inedia non altrimenti che qualsiasi altro attentato alla virtù. – Qualunque esperienza extra-coniugale da parte di uno dei due coniugi, anche se incompleta, è colpa grave e costituisce il peccato specifico di adulterio. E siccome non può considerarsi estraneo al M., ossia alla mutua traditio, l’affetto, che anzi esso ne è l’elemento spirituale ed in un certo senso principe, la fedeltà coniugale può essere tradita anche solo spiritualmente, mediante relazioni affettive di ordine non sessuale con altre persone (adulterio spirituale). [BIBL.] – Pietro Palazzini.

V. LITURGIA DEL M.

Nella Chiesa cristiana antica non esisteva un rito speciale per la celebrazione del M. Gli sponsali e le cerimonie nuziali si svolgevano senza l’intervento attivo di un sacerdote, in famiglia, con il rito usato nella vita civile. Soltanto, in sostituzione del sacrificio pagano, si aggiunsero in presenza dei fedeli la Messa e la benedizione solenne nuziale. Più tardi, il contratto matrimoniale si fece con l’intervento del sacerdote, prima fuori, poi dentro la chiesa, la quale innovazione si traeva dietro gli antichi riti nuziali. Nel rito attuale dunque si distinguono due parti: la prima è costituita dai riti che accompagnano e solennizzano la manifestazione del consenso, la seconda, complementare, si compone della Messa e della benedizione. Già s. Ignazio martire desidera che il M. dei cristiani si faccia con il consiglio del vescovo (secondo H. Lietzmann, anche con l’intervento attivo di lui). Tertulliano (Ad uxor., 11, 8) distingue bene l’approvazione del M. da parte della Chiesa (« Ecclesia conciliat »), l’offerta degli sposi (« confirmat oblatio ») e la loro benedizione (« obsignat benedictio »), cioè gli sponsali familiari approvati dalla Chiesa, e la Messa con la speciale benedizione nuziale; accenna all’anello pronubo, al bacio degli sposi, alla coronazione e all’accompagnamento nella casa dello sposo. S. Ambrogio parla del velo (flammeum) che si impone alla sposa. Da questo velo, l’azione vien denominata « velario nuptialis », ed anche la voce « nuptialis » sembra derivarsi da questa azione « nubere » (« obnubilatio »). I Sacramentari offrono non i riti, ma le preghiere della Messa nuziale e della benedizione; ad es., il cosiddetto Sacramentario Leoniano, il Gelasiano antico, contenuto nel cod. Reginensis 316 della Biblioteca Vaticana. La prima descrizione dei riti si trova nella risposta del papa Niccolò I (m. nel 867) ai Bulgari (Responsa ad consulta Bulgarorum, 3). Si distinguono gli atti preliminari e gli atti complementari. Gli atti preliminari che si facevano a casa contengono tre cose: a) gli sponsali, cioè la promessa mutua del futuro M., la manifestazione del consenso dei fidanzati e dei genitori, b) la consegna delle arre, ossia dell’anello dello sposo alla sposa, c) la sottoscrizione dei patti in presenza dei testi, la consegna delle tavole nuziali o assegnazione della dote. Gli atti complementari o le parti propriamente nuziali sono: a) la celebrazione della Messa davanti ai fidanzati che prendono parte alla offerta ed alla Comunione, b) la benedizione congiunta con la velazione, c) all’uscita di chiesa, la coronazione. – Tutti questi riti corrispondono bene ai riti degli antichi Romani, cioè ai riti degli sponsali, della preparazione al M. ed ai riti del M. stesso. La Chiesa ha accettato i costumi già in uso, purificandoli da ciò che era sconveniente e rendendoli più augusti. Ma questi riti erano soltanto la solennità del M., la solennizzazione del M. contratto fuori della chiesa per « il solo consenso reciproco » (Niccolò I). – Questi riti si osservano anche oggi nella celebrazione del M., con questa differenza che il rito del M. oggi comprende tanto i riti degli sponsali quanto quelli nuziali. Particolare rilievo ha la manifestazione del consenso, l’unico elemento sostanziale del M. Nei tempi antichi, sia precristiani che cristiani (ad es., da Papa Niccolò I), il consenso si dava tra le cerimonie degli sponsali, non tra quelle delle nozze. Ma dopo il 1000 (non si sa precisare quando), si incominciò ad introdurre la manifestazione esplicita del consenso nell’atto del M. stesso, con una certa varietà: o i contraenti pronunciavano (o da soli o insieme con il sacerdote benedicente) il consenso, o il sacerdote interrogava (una o tre volte) i contraenti ed essi rispondevano. All’interrogazione e risposta dei contraenti il sacerdote aggiungeva una formola solenne di ratifica in nome di Dio: « Ego coniungo vos in matrimonium in nomine… » ( E . Martène, Ordo Rotomag. sec. XIII, in Antiquæ Ecclesiæ ritus, II, p. 367). – Un rito usato già dagli antichi, non ricordato da papa Niccolò I, era la congiunzione delle destre. In Tob. 7, 15 Raguel congiunge le mani di Tobia e Sara; presso i Romani nel giorno della solennità del m., la « pronuba » diceva agli sposi di darsi le mani. Anche oggi, nella Chiesa, alla manifestazione del consenso, il sacerdote dice agli sposi di darsi la destra; poi, secondo alcuni riti, egli li avvolge con la stola, pronuncia le solenni parole della ratifica ed asperge con l’acqua benedetta. La consegna dell’anello, presso i Romani ed anche sotto papa Niccolò I, facendo parte degli sponsali, passò tra le cerimonie del M., prima o dopo il consenso; il sacerdote benediceva l’anello, lo consegnava allo sposo per infilarlo al dito della sposa e poi ratificava il consenso. In alcune regioni non solo lo sposo mette l’anello alla sposa, ma anche la sposa allo sposo. – L’intervento della Chiesa alla celebrazione del M. cominciò quando cessò il M. tutorio, ossia quando la sposa stessa poteva darsi in M. senza l’intervento del tutore nato, cioè del padre. Una triplice fase si deve rilevare: il M. davanti o fuori della chiesa in presenza di un sacerdote che recitava un’orazione, poi con l’intervento del sacerdote come tutore eletto invece del tutore nato, e finalmente con l’intervento del sacerdote per constatare e domandare la manifestazione del consenso. Dal sec. XII sinodi o concili locali (Treviri 1227, Praga 1350, Magdeburgo 1370) proibiscono i M. laicali senza l’intervento della Chiesa. Finalmente il Concilio Tridentino prescrive l’assistenza del parroco; il nuovo CIC (can. 1095 § 1 ad 3) ordina che il parroco domandi e riceva il consenso (« requirant excipiantque contrahentium consensum »). L’atto di M. si compone di due parti : a) dell’interrogazione del sacerdote in ordine alla manifestazione del consenso, b) del consenso stesso degli sposi. L’anello sponsalizio è divenuto anello nuziale o coniugale. Seguono le parti religiose e complementari, la Messa e la benedizione solenne nuziale. Prima si diceva la Messa votiva, ad es., della S.ma Trinità, aggiungendovi le orazioni proprie per gli sposi, poi la Messa votiva prò sponsis. La benedizione nuziale, prerogativa delle prime nozze della sposa, si trova già negli antichissimi Sacramentari; si faceva dopo il Pater noster. Durante la benedizione s’imponeva alla sposa il velo, la cerimonia più appariscente del M. presso gli antichi Romani, ritenuta anche dagli sposi cristiani, mentre poi andò cedendo il primo posto alla consegna dell’anello. Ed anche la cerimonia, assai antica, dell’incoronazione degli sposi con fiori scomparve; si compiva dopo la Messa, quando gli sposi uscivano di chiesa. Oggi vive nei fiori, con cui si suole adornare la sposa nel presentarsi alla chiesa. Dopo il Benedicamus Domino, il sacerdote pronuncia di nuovo una benedizione speciale agli sposi per la loro felicità terrena ed eterna. Dove si sono conservati riti speciali o locali nel contrarre il M., si possono adoperare. – Un rito antico è la benedizione e l’uso della bevanda nuziale, presentata agli sposi come simbolo della carità cristiana. Alla sera del giorno nuziale vien poi benedetto il loro talamo, usando fin dal sec. X una formola che si trova già nel Messale di Bobbio (sec. VIII). [BIBL.] Pietro Siffrin.

M. NELLE LITURGIE ORIENTALI. –

Nei riti matrimoniali odierni si vedono ancora chiaramente distinte, sebbene congiunte, le due antiche parti che li compongono: la prima può chiamarsi fidanzamento, sposalizio ed è caratterizzata dalla tradizione dell’anello; la seconda sono le nozze con il rito particolare dell’incoronamento. Anticamente, e ancora recentemente nel mondo semitico, queste due parti erano celebrate separatamente e poteva intercorrere fra le due cerimonie un tempo assai lungo, anche di molti anni. E quel fidanzamento non era una promessa rescindibile di un futuro M., ma con quel rito si aveva l’inizio del M. già con la sua proprietà di indissolubilità, mentre il diritto di coabitazione si otteneva soltanto con il rito dell’incoronamento. Prima ancora di procedere al rito dell’anello, il sacerdote si assicurava del consenso degli sposi; in Occidente questa espressione del consenso seguito dal rito dell’anello diventò il rito sacramentale, perché il consenso di due cristiani costituisce il contratto elevato alla dignità di Sacramento, e la benedizione nuziale data durante la S. Messa fu considerata come un sacramentale non obbligatorio. – Al contrario in Oriente anche l’incoronamento è stato riguardato sempre almeno come una conditio sine qua non del Sacramento, e il nuovo Codice orientale (can. 85 § 2) tiene conto di questo concetto dove esige per la validità del M. l’intervento del sacerdote adsistentis ac benedicentis (cf. AAS, 41 [1949], p. 107). – Nel rito bizantino, secondo l’Eucologio dei Greci, la prima parte è composta dalla grande colletta con domande speciali seguita da due preghiere, poi dalla tradizione degli anelli con una formola, e da una preghiera finale. La seconda parte comincia anche con la grande colletta, con altre domande speciali, seguita da tre preghiere nuziali; allora il sacerdote impone le corone con una formola e dà una triplice benedizione; dopo questo si ha una specie di Messa dei presantificati, cioè: Epistola, Vangelo, Litanie, Pater Noster con preghiera d’inclinazione, anticamente l’ammonizione: « Præsantificata sanctis » con la S. Comunione, oggi la sunzione di una coppa di vino; segue la processione intorno alla tavola davanti alla quale si fa la cerimonia, poi la deposizione delle corone, ciò che anticamente si faceva l’ottavo giorno dopo il M ; ancora due preghiere, il bacio dei novelli sposi e il congedo. – L’Eucologio di Benedetto XIV (Roma 1754), nella rubrica iniziale, prescrive al Sacerdote di interrogare gli sposi sul loro libero consenso. Il Trebnik dei Russi e dei Serbi dà la formola di tale domanda ma la pone all’inizio della seconda parte (la prima volta nel Trebnik di Moghila, Kiev 1646). Nel Trebnik dei Ruteni (dall’edizione riformata di Leopoli 1720 in poi) la struttura del rito fu sconvolta (soppressione della prima parte; ma un rito abbreviato dell’anello è intercalato fra le preghiere nuziali e si aggiunge un giuramento sul libro del Vangelo prima dell’incoronamento); il Malii Trebnik di Roma (1946) ristabilì la netta divisione fra le due antiche parti. Negli altri riti orientali, sebbene molto diversi fra loro, si può osservare uno sviluppo, che sembra oggi esagerato, di preghiere e di inni nella cerimonia dell’incoronamento, ma che mette bene in rilievo la solennità di questo atto costitutivo della famiglia cristiana. [BIBL.] Alfonso Raes. –

 

Diamo ora un cenno al c. d. Privilegio Paolino, riservandoci una trattazione più particolareggiata in seguito. [ndr.]

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PRIVILEGIO PAOLINO

[Enc. Catt. vol IX COLL. 49-50]

 – Il p. p. è il caso di scioglimento di matrimonio legittimo, concesso a favore della fede dal diritto positivo divino; privilegio proclamato da s. Paolo (1 Cor. 7, 1 2 – 1 5 ) da cui perciò ha preso l’appellativo. È detto anche casus Apostoli, privilegium Christi, privilegium fidei. Il matrimonio degli infedeli (matrimonio legittimo, cui non si opponga nessun impedimento di diritto divino o naturale è valido e indissolubile e non si può sciogliere per l’arbitrario abbandono di una delle parti o per mutuo consenso e volontà dei coniugi ( S . Uffìzio, 18 sett. 1824 ad 3; S. Uffizio, 18 giugno 1866 ad 8). – Dai matrimoni misti, però, in nessuna maniera cautelati da previ accordi, possono derivare dei gravissimi inconvenienti, poiché spesso per la cattiva volontà di colui che rimane infedele non è più possibile la convivenza pacifica, la fede del neofita si trova in pericolo e i figli divengono oggetto di conquista dell’uno o dell’altro dei coniugi per essere attratti a diverse e opposte forme di educazione morale e religiosa. Allora, nel concorso di un bene di ordine superiore, il mantenimento dell’indissolubilità non rimane più obbiettivo principale, ma passa automaticamente in second’ordine; e lo stesso diritto naturale dà al neofita il diritto e il dovere di andarsene, piuttosto che perdere il dono della fede. Questa legge ha interpretato s. Paolo per far sì che l’uomo non fosse allontanato dalla fede o dal perseverare in essa dalla prospettiva di dover osservare la castità perfetta e per questo promulgò l’eccezione, in base alla quale il matrimonio degli infedeli, quando l’uno dei coniugi solamente si converta alla fede e non sia più possibile la pacifica convivenza, è solubile dall’esterno.

I. NOZIONE. – In vista di questo p., dunque, il matrimonio dei non battezzati o infedeli, sebbene consumato, si può sciogliere nel caso in cui una parte, non battezzata, o non voglia coabitare con la parte convertita o non voglia coabitare pacificamente, cioè senza offesa al nome di Dio o disprezzo del Creatore. Il disprezzo del Creatore si può avere in vari modi, o trascinando la parte convertita al peccato mortale o impedendo l’educazione cattolica della prole (S. Uffizio, 14 diC. 1848) o perseverando nel concubinato (S. Uffizio, 4 luglio 1853 ed 11 luglio 1866), ecc. Né cessa il p., se i coniugi, dopo il Battesimo di uno di essi, coabitarono ancora ed in seguito la parte infedele (senza che il convertito però abbia dato ragionevole motivo di andarsene) non solo ricusi di convertirsi, ma inoltre, mancando alla parola data di coabitare pacificamente, si allontani o per odio alla religione o per altri motivi, o non voglia più stare insieme senza il disprezzo del Creatore, o abbia tentato di trascinare la parte fedele al peccato mortale o all’infedeltà. Ma questo p. non ha più ragione di essere, se tutti e due i coniugi convertiti e battezzati abbiano poi usato del matrimonio. Il p. vale per il matrimonio valido di due infedeli, uno dei quali si converta alla fede; non comprende però il matrimonio di due eretici, di cui uno abbracci la fede cattolica, perché il matrimonio di questi ultimi è rato (Sacramento), e perciò, una volta consumato, per nessun motivo si può più sciogliere. Il p. non si applica al matrimonio che un fedele, ottenuta regolare dispensa, contrae con un infedele, sebbene poi la parte infedele non voglia più coabitare pacificamente (can. 1120 § 2). Così pure non ha luogo il p. nel matrimonio contratto fra due parti battezzate, di cui una sia passata all’apostasia o all’infedeltà. Neppure si applica, se si tratta di un matrimonio invalido tra due infedeli. Quando si applica il p. p., il vincolo matrimoniale si scioglie, appena il convertito contragga un altro matrimonio valido (can. 1126)..

IL FONDAMENTO DEL P. – Il fondamento è nel testo scritturistico della 1 Cor., 7, 12 : «Agli altri poi dico io, non il Signore. Se un fratello ( = un cristiano cioè) ha una moglie infedele e questa è disposta a coabitare con lui, non la ripudi. E se una moglie fedele ha un marito infedele, che è contento di abitare con essa, non lo abbandoni. Che se l’infedele si separa (discedit), si separi (discedat): poiché non soggiace a servitù il fratello o la sorella in tal caso: ma Iddio ci ha chiamati alla pace ». Che con quest’ultimo versetto l’Apostolo permetta l’allontanamento della parte fedele o lo scioglimento del vincolo stesso, lo si prova: dal contesto della lettera ai Corinti, dalla comune interpretazione di Padri e teologi, dai decreti dei Romani Pontefici e dalla prassi della Chiesa.

1. Il contesto della lettera ai Corinti. – Mentre l’Apostolo nei versetti precedenti, parlando della separazione di coniugi cristiani, comanda che la moglie non sposi più, rimanga cioè senza sposare: in questi versetti invece permette che si allontani, senza più porre alcuna restrizione; e quindi senza neppur più porre la condizione che rimanga non sposata, altrimenti non ci sarebbe più nessuna differenza dal caso precedente. Questa interpretazione è confermata anche dalle parole che seguono, « perché in tal caso il fratello o la sorella non soggiace alla servitù ». La servitù in questione non è che il vincolo coniugale che legava i due coniugi. Se ora il coniuge fedele non soggiace più a servitù, vuol dire che non soggiace più al vincolo matrimoniale verso l’infedele che non voglia pacificamente coabitare. In altre parole il vincolo, in caso, è solubile. […] Pietro Palazzini.

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Chi ha avuto la pazienza di consultare la voce MATRIMONIO dell’Enciclopedia Cattolica pubblicata sul blog, si è sicuramente reso conto della complessità della materia. Ma le domande più ovvie e frequenti che si pongono i residui Cattolici della Chiesa “eclissata”, che hanno a cuore la salvezza della propria anima innanzitutto, e dei loro cari familiari, e che in buona fede hanno aderito alla setta modernista del novus ordo, setta vaticana che si spaccia per Chiesa Cattolica [e sono la maggior parte], o alle sette scismatiche degli eretici fallibilisti-gallicani, sedevacantisti, sedeprivazionisti della tesi manichea, degli eretici Feyneisti, dei monasteri virtuali e via discorrendo, riguardano la validità e liceità del loro matrimonio. È evidente che, essendo il matrimonio contratto da due fedeli o infedeli, o addirittura pagani, che hanno avuto intenzione di sposarsi, con qualunque rito, pure laico, è sempre e comunque valido e quindi indissolubile, fatti salve le eccezioni già considerate. Il problema grave si pone per la sacralità e sacramentalità del matrimonio, che praticamente è, da 1958, sempre illecito e quindi senza che apporti la grazia santificante che ogni Sacramento valido e lecito comporta, in vista della eterna salvezza. Per rendere il Sacramento lecito ed operante, è sufficiente rientrare nella Chiesa Cattolica, quella “vera” guidata da Gregorio XVIII, legittimo successore di Gregorio XVII, canonicamente eletto il 26 ottobre del 1958. Importante è la distinzione tra i battezzati validamente da un prete cattolico, o illecitamente o invalidamente da un prete cattolico apostata delle setta scismatica roncallo-montiniana, o addirittura da un mai-prete, mai-ordinato da un mai-vescovo a sua volta mai-consacrato prima del 18 giugno del 1968, non tonsurato e senza che sia passato per gli ordini minori, come stabilito nel Sacrosanto Concilio tridentino. Ogni caso va quindi innanzitutto valutato su questo presupposto: una volta ricevuto validamente il Battesimo, in forma ordinaria o condizionale e rimosse le censure contratte per aver partecipato ad un culto acattolico, gli sposi automaticamente recuperano anche la grazia sacramentale del loro matrimonio, senza dover rinnovare il rito o le cerimonie prescritte. Del fatto che il matrimonio non conferisca alcuna grazia santificante, se contratto nella falsa chiesa dell’uomo, ne è prova il fallimento pressoché sistematico di tali unioni, la cui percentuale è anche superiore alle unioni laiche o di fatto, o ai pseudo-matrimoni contratti nelle sedi municipali. Il “recupero” del Sacramento, incide naturalmente su tutti i componenti del nucleo familiare e soprattutto sulla prole, che passa finalmente nello stato di legittimità canonica davanti a Dio. Sono infatti i giovani a pagare maggiormente questa situazione di illegittimità, oltre ad essere per la maggior parte non validamente battezzati, confessati, comunicati e cresimati. Si spiega così il deplorevole stato spirituale della gioventù dei Paesi un tempo cattolici oggi invasi da modernisti e scismatici! Tutte le altre questioni, soprattutto quelli inerenti alla solvibilità matrimoniale, restano immutate, non c’è spazio per “divorzi” o separazioni fuori dal “rato non consumato” o dal privilegio paolino, ed eventuali casi controversi devono essere sottoposti alla valutazione della Gerarchia Cattolica in esilio ed al Santo Padre a cui spetta unicamente la decisione finale..  –  [Nota redazionale].

 

 

 

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.