GREGORIO XVII: IL MAGISTERO IMPEDITO COME ORIENTARSI? -3-

GREGORIO XVII:

IL MAGISTERO IMPEDITO

COME ORIENTARSI? -3-

— Ortodossia

[lettera pastorale scritta l’11 febbraio 1968; «Rivista Diocesana Genovese», 1968, pag. 175-212.]

La sirena della socialità male intesa

La sirena sta nel far credere che, prima di redimere le anime per la vita eterna, noi dobbiamo redimerle dalle ristrettezze materiali e che pertanto possiamo e dobbiamo accettare per il momento delle dottrine materialistiche per compiere la più immediata parte del nostro dovere. Redento il mondo dalla miseria vedremo di redimerlo per la eternità. Così da qualche tempo ragionano non pochi. – La nostra espressione è cruda e pertanto il suo contenuto è repellente. Il guaio è che molte conclusioni, prassi, entusiasmi, non dicono chiaro che derivano da concetti materialistici legati con una apostasia dalla fede; si attardano in sfumature, in insistenze, in ammennicoli che in verità derivano solo da principi materialistici, pur tacendoli. È così che il paradiso in terra diventa molto più importante di quello del Cielo. E così che si proteggono i sistemi e i miraggi assurdi. Ci fermiamo qui. – E certo che taluni scrittori hanno assolto il ruolo qualificato sopra e che talune iniziative ne sono logiche conseguenze. Ripetiamo: dei principi netti molti avrebbero paura, ma scivolano sulle conseguenze e sulle loro sfumature. E probabile non se ne rendano conto. Ma molte volte accade a noi di sentire qualificare come autentici materialisti dei sacerdoti e dei laici, che non lo sono affatto; essi, senza accorgersene, scivolano sulle sfumature e sulle questioni di margine o su certe affermazioni, ritenute sociali ed invece solo «politiche», di un determinato indirizzo. Le «sfumature» hanno invaso molta stampa che si professa cattolica o che per ragione della etichetta vorrebbe essere cattolica. In conclusione, molti sono disorientati. – Ecco quello che qui riassumiamo per un giusto e cristiano orientamento.

1) Noi sacerdoti dobbiamo starcene lealmente e intimamente fuori della politica. E essa che può in noi fuorviare tutto, senza tener conto che essa non ci riguarda. Qualche volta, allorché le competenti autorità lo stabiliscono, potremmo dover ricordare al popolo talune obbligazioni che riguardano la sua coscienza cristiana. Ma in quel caso si obbedisce e si eseguisce. Il Concilio Vaticano II [Le citazioni a cui è costretto il Sommo Pontefice, sono con tutta evidenza forzose e di mera propaganda indotta: anche qui non c’era alcun motivo di citare il falso concilio, visto che si parla di dottrina cattolica antica e ribadita da sempre –ndr.] insegnato con chiarezza che, nelle questioni meramente terrene, dobbiamo lasciare ai laici tutta la responsabilità di quello che fanno. E un fatto che le idee sociali si allontanano dalla linea evangelica in quei ministri dell’altare, che hanno in verità il cuore nella politica.

2) Qualunque concezione materialistica deve essere rifiutata. Infatti è una questione di fede. Accettare anche solo nelle applicazioni o nei dettagli delle dottrine materialistiche è o rinnegare la fede o mettersi in pericolo di rinnegarla! [Il riferimento è implicito a tutti i marrani e traditori di Cristo in combutta con politici comunisti e massoni –ndr. -].

3) Noi non siamo mandati da Cristo per mettere a posto il mondo nelle sue questioni, nei suoi metodi, nei suoi problemi. Potremo, come ci ha insegnato il concilio, occuparci di questo per l’esercizio della carità verso il mondo, siccome la Chiesa ha fatto sempre. Ma non è là l’essenza del nostro ministero [altra stoccata alla falsa chiesa dell’uomo Montini-conciliare – ndr. -]. Dobbiamo stare con la giustizia, con la equità, con la solidarietà, ma con la dignità e misura proprie di quelli che sono sempre sulla pedana dell’altare di Dio.

4) È erroneo e greve di conseguenze nefaste il credere che noi non possiamo pensare al bene eterno se prima non abbiamo sistemato il benessere terreno. Ripetiamo: il benessere terreno non è l’oggetto proprio e necessario del nostro mandato apostolico. Cristo non ci ha mandati ad insegnare agli uomini di mirare al cielo solo quando trovano la vita sgombra di croci, ma ad insegnare che si deve prendere coraggiosamente la via della Croce.

5) La vera socialità sta nel ricordarsi che ci sono anche gli altri oltre noi e che dobbiamo agli altri l’onesto spazio di vita, anche se questo può rappresentare qualche limite per noi. È qui dove si vede che la socialità autentica si riduce alla carità e non sussiste, se non come ipocrisia, al di fuori della carità.

6) Fa parte del nostro ministero favorire la concordia, l’incontro tra le categorie, la comprensione tra gli uomini, tutelare quell’ordine, nel quale soltanto si custodiscono pace e libertà. Ma sarebbe vera degenerazione del nostro ufficio il fomentare odi, demagogie, contrapposizioni od anche assorbire la mentalità di parte contro un’altra parte. Dove la «parte» prende il carattere della immoralità o della eresia o addirittura della apostasia, noi combatteremo gli errori e le depravazioni, mai i singoli uomini e i singoli peccatori. Si favorisce il Regno di Dio solo quando si sa stare veramente e lealmente fuori del regno di questo mondo. E solo allora si mantiene intatta la dignità e l’autorità per parlargli.

7) La socialità non è fatta di tecnica, bensì di virtù. Con questo il campo è nettamente delimitato, per quanto ci concerne. Soprattutto, in questa prospettiva, eviteremo di parlare troppo di socialità, smentendola con egoismi, con maneggi, con faziosità, con spirito mormoratore, quali farebbero vergogna anche ai laici.

8) Ai fedeli dobbiamo dare una istruzione catechistica ed ascetica tale che, senza alcun bisogno di diventare noi dei direttori politici, crei in essi un indirizzo di perfetta coerenza nel campo umano, tra la foro fede vissuta e la loro azione civile. Noi mettiamo una causa; l’effetto verrà naturalmente da sé. E ovvio che in tanta confusione di idee e di indirizzi, l’imperativo di una fede e morale comune porti naturalmente ad una unità dei fedeli anche nel campo civile. Diciamo è ovvio di per sé e pertanto non deve meravigliare nessuno che recentemente la Conferenza episcopale d’Italia abbia richiamato, con accenti tanto delicati e prudenti, quanto indubbi, questa unità dei fedeli nel campo civile. Il nostro mandato spirituale sposta tutto anzitutto nel campo catechistico ed ascetico.

La riforma liturgica

Ci troviamo dinnanzi ad un fatto che va trattato colla venerazione Con la quale si tratta la legge legittima. Ma ci troviamo anche dinnanzi a fermenti di confusione, importati soprattutto d’oltralpe, rispetto ai quali dobbiamo difendere lo spazio della legge da quello della anarchia. Ecco pertanto alcuni principi sicuri:

1) Quello che è stato fatto per legge – e per legge qui intendiamo ogni atto valevole emanato da una autorità competente [cioè dal Magistero autentico di Papi canonicamente e validamente eletti, o da Vescovi in unione con il Santo Padre – ndr. -] – non può essere discusso in alcun modo, deve essere puntualmente e sinceramente attuato. Chi discute la riforma liturgica, là ove essa è decisa dalla legge, evidentemente non ha il senso della Chiesa. Quando essa comanda, si ubbidisce.

2) La legge (e ci rifacciamo alla accezione data sopra) può lasciare qualche scelta direttamente al celebrante della azione liturgica, senza che gli occorra la conferma di qualcuno. In tal caso il celebrante è libero.

3) Vi sono dei casi nei quali la legge generale lascia delle scelte, che evidentemente non sono rimesse semplicemente al celebrante o al rettore di una chiesa. È, ad esempio, il caso delle diverse possibilità per l’altare e il tabernacolo. In tal caso – se non è debitamente facoltizzato un organo superiore ai singoli Vescovi – sono arbitri delle scelte i singoli Vescovi. E d anche i vescovi faranno le loro scelte, avendo dinnanzi la particolare sensibilità del loro popolo e la necessità di essere uniformi nell’ambito di una stessa diocesi.

4) Vi sono finalmente i pareri privati. I pareri di chiunque, non espressi con forza normativa, restano privati e nessuno è obbligato a seguirli. – Aggiungiamo chiaramente per il nostro clero: è bene che non vengano seguiti. E ciò per varie ragioni. Anzitutto: tanto meno si osservano le leggi, quanto più si attendono i pareri privati. In secondo luogo, poiché i pareri possono essere diversi, confusionari e contradditori, in uno stesso territorio si andrebbe certamente incontro ad una anarchia della quale il popolo soffrirebbe. Si tenga presente che il più piccolo particolare nell’ambito delle chiese tiene, rallenta e disorienta la fede del popolo. Se qualcuno ha sentito o letto qualche parere, che gli molce il cuore, si rivolga alle autorità competenti, dalle quali ordinariamente dipende, chieda il da farsi e stia alle conclusioni ottenute. Dove ci si è allontanati da questo semplice criterio sono accadute, con grande scandalo dei fedeli, cose addirittura pazzesche.

5) Nell’ambito delle cose certe si eseguisca tutto con vera e fervida precisione, aiutando colla propria evidente convinzione il popolo ad essere ossequiente alla Chiesa, che ha voluto una riforma liturgica. Dio non ci chiederà di essere stati più intelligenti degli altri, ma di avere umilmente e intimamente obbedito.

L’influenza del laicismo

Il laicismo imperante può avere una presa sui sacerdoti e in diversi sensi. Bisogna anche qui dire una parola di orientamento. Il laicismo è pienamente rientrato sulla scena. Vediamone i caratteri. Esso consiste – come abbiamo lungamente spiegato a suo tempo in una apposita pastorale – nel negare un posto alla religione e soprattutto alla Chiesa, nella vita pubblica umana. Ha un infinità di sfumature. Spesso nasce dall’illuminismo, che vorrebbe confinare Dio in chissà quali cieli appartati, ma nasce anche da motivi sentimentali, da sedimentazioni e rancori e, spesso, dalla negazione o dalla poca cognizione della soprannaturalità della Chiesa. – Questi motivi ricorrenti sono vecchi, ma oggi se ne hanno dei nuovi. Nel concilio e dopo il concilio si sono avute discussioni e anche disparità di pareri. Non è detto che manchino coloro i quali si arrestano, probabilmente in buona fede, ad arricchire tale spettacolo disorientante. Dello spettacolo si approfittano così: parlano di cose di Chiesa senza fine, esaltano tutti quelli che cambiano qualcosa e solo quelli, non perché possono avere o non avere ragioni di cambiare, ma solo perché cambiano, spostando in partenza e per sistema le cose dal piano sostanziale a quello accidentale. Godono di dire che la Chiesa cambia, per trovar modo di negare la sua permanenza divina; confondendo naturalmente quello in cui può cambiare, con quello che non può cambiare. Tutte le colpe in tutta la storia furono dei preti e della Chiesa. Noi stiamo assistendo alla completa alterazione di fatti, tanto che coloro che ne furono spettatori e onesti testimoni hanno raccapriccio di come si possa alterare la verità. Ci sono figure che senza alcun rispetto alla verità corica vengono rivestite da fantocci di comodo per sostenere tesi infondate. Lo sfruttamento della confusione regnante in un certo numero di Cattolici è continuo, magistrale ed evidentemente collegato in un solo disegno dalle molte fila. Una volta l’anticlericalismo lo si faceva dal di fuori, oggi lo si fa sfruttando quanto bene o male serve alla bisogna dal di dentro.

2) L’anticlericalismo è perfettamente aiutato da un certo numero di sedicenti cattolici e di pubblicazioni che vorrebbero avere veste cattolica. – È così che la «demitizzazione», fino al limite in cui può lasciare l’apparenza di evitare la eresia formale, viene accolta con entusiasmo. E così che si vanno moltiplicando le autocritiche inconsistenti. E così che, in fatto di Storia, di colpo non esiste più alcuna benemerenza ecclesiastica e tutto è sempre stato mal fatto. Nessuno può negare che spesso la storia sia stata fatta con puro intento agiografico, con criteri unilaterali, con semplici scopi apologetici. Ma questo è accaduto su qualunque sponda: si veda ad esempio la letteratura risorgimentale. Gli sciocchi laudatori non possono prendere mai il posto dei fatti obbiettivi ed è a questi che si deve guardare. L’anticlericalesimo di taluni cattolici, che appaiono zittire, quando si parla contro il divorzio, non conosce o dimentica tutta un’impostazione teologica della quale parleremo subito. La stessa opportunissima riforma liturgica viene presentata come una rivoluzione ed una negazione, come se la Chiesa avesse solo oggi incominciato ad esistere. Il punto nel quale in questo momento appare più decisa la fobia anticlericale è quella della presenza nella politica, nella vita civile, in qualsivoglia rapporto umano.

3) La questione deve avere una inquadratura teologica. Eccola. La Chiesa consta di un elemento divino e di un elemento umano. Il primo sta nella fondazione, finalità, dottrina, struttura, poteri, garanzie; in questo non può venir meno. Il secondo sta negli uomini e nel loro contegno o nei loro rapporti. Entrambi questi elementi hanno tutte le loro conseguenze: nessuna forza maligna può inaridire il primo, nessun miracolo interviene ordinariamente a fermare il secondo. Questa natura umana e divina, con tutte le sue conseguenze, spiega tutto nella Chiesa e perché resista e risorga sempre e perché abbia nel suo seno uomini peccatori, ottusi, dannosi [oggi sappiamo bene a chi si riferisse il Santo Padre, ne abbiamo visto e ne vediamo i frutti –ndr. –]. Non c’è dunque posto per delle meraviglie a proposito del contegno umano di uomini ed istituzioni nella Chiesa. Neppure è cavalleresco esagerare nei valutarli, dal momento che la umanità a qualunque livello non ecclesiastico manifesta i suoi difetti, anzi li manifesta di più. – La cosa grande è che l’elemento divino non inibisce quello umano e l’elemento umano non scalfisce l’elemento divino. In questa coesistenza la Chiesa porta con sé il segno di Dio ed una sua singolarissima documentazione. La conseguenza è che non si possono menomare gli elementi divini a causa dei difetti umani e che il rispetto verso le cose divine deve impedire molti giudizi negativi, a proposito delle manifestazioni umane. Nella stessa persona l’ufficio può avere la forza di essere, non mallevadore, ma esigenza di rispetto per la persona stessa. La ragione del bene comune sopravvanza quella della situazione individuale.

4) L’anticlericalismo di taluni sedicenti cattolici si enuclea nel rifiuto della autorità della Chiesa e nella parità assoluta tra gerarchia e fedeli. Giunge talvolta a fare della autorità della Chiesa una semplice mandataria dei fedeli. Tutte queste affermazioni dal punto di vista teologico costituiscono errori veri e propri e mettono fuori della ortodossia. Manifestano però, ed è quello che qui interessa, l’accanimento dell’astio, grave e profondo contro ciò che è sacro, religioso, ecclesiastico. Ci si appella al concilio Vaticano II. Questo venerando concilio non ha detto nulla di tutto questo. Le costituzioni Lumen Gentium, Apostolicam Actuositatem, Gaudium et Spes, se mai, dicono il contrario. Sarebbe ora di finirla con l’indegno e menzognero sfruttamento di un sacrosanto atto del magistero ecclesiastico. Non occorre dire che con certi bei principi in poco tempo si arriverebbe allo sfaldamento di ogni associazione e bisognerebbe ricominciare da capo la evangelizzazione dei fedeli. Non è meno ovvio che su questo baluardo della autorità della Chiesa deve essere condotta la difesa più tempestiva e più ferma.

5) Dir male di casa propria sta diventando una moda; appare persino una generosità, mentre è solo cosa inumana e per lo più menzognera. Tutto questo può accadere anche in Chiesa per poca intelligenza, per lo zelo malinteso, per invidia, astio e persino odio, l’odio autentico ha più porte di quanto non si creda, specialmente se si paraventa dietro una ipocrita carità. È il momento in cui il clero deve dimenticare tutto per essere unito nella difesa, nella carità fraterna, nel rispetto alla sacra autorità della Chiesa. Non lasciamoci ingannare in casa nostra!

Dobbiamo riformare qualcosa dei nostri metodi pastorali?

Questa domanda un uomo se la deve porre di tanto in tanto in vita e canto più frequentemente quando avanza negli anni. La stessa domanda se la deve porre ogni tanto qualsiasi comunità ecclesiastica, la Chiesa stessa. Non si tratta delle verità e dei principi, che non cambiano; ma dei metodi che possono cambiare e di fatto cambiano incessantemente, con fretta maggiore e allucinante nel momento presente. È dunque logico che anche voi, cari confratelli, vi poniate, come vi siete posti, questa domanda. – Non pretendiamo qui rispondere a tutte le questioni possibili, sia perché le risposte non si danno mai tutte in una volta, sia perché non possiamo presumere e dobbiamo (come tutti) chiedere pazientemente, prendendo tempo, dei responsi allo studio, alla esperienza, alla altrui saggezza; sia perché qui è sufficiente trattare di qualche indirizzo fondamentale.

1) Traiamo la indicazione da quello che è sotto i nostri occhi. E pertanto facciamo alcune constatazioni orientative.

— Il problema più difficile è posto o dal declinare del senso cristiano cattolico o dal pericolo di questo declino. Noi sappiamo che la Chiesa è indefettibile, ma nessuno l’ha esentata dalle tempeste. Anzi! Pertanto il problema va posto con estrema chiarezza e profondo realismo. Il perdersi troppo a cantare peana alla civiltà ed alla cultura moderna, non è troppo utile a tale realismo. Che cos’è il senso cristiano? E una somma di fede vera, di dirittura morale assolutamente basata sulle massime evangeliche, di presenza continua del soprannaturale nella vita. Non si possono assolutamente dissociare fede e morale, fede, morale e soprannaturale. La associazione di queste cose crea la civiltà cristiana, dà un mondo umano e pronto ai più elevati imperativi; costruisce, simbolo di tutto, le meravigliose cattedrali. Non illudiamoci: tutto questo è insidiato ed il tentativo materialista è di capovolgerlo. Probabilmente esiste un piano mondiale per arrivare a questo. L’importante è vedere, non illudersi, non credere di tener buona con delle carezze la bestia della Apocalisse.

– Lo squilibrio, che interessa e la Chiesa e il mondo civile, è dato dal peso eccessivo che il mondo della tecnica prende su tutto. Essa applica la scienza a quello che può essere il benessere materiale dell’uomo. Indirettamente può servire anche al bene spirituale. Questo predominio meccanicizza tutto, rende l’uomo schiavo impotente di quello che ha creato con le sue mani, ne diminuisce e persino ne paralizza talune capacità spirituali. Persino il diritto, lo stesso diritto costituzionale degli Stati, è in pericolo di venire modellato sui disegni di una macchina. La ipnosi di quello che è comodo od agio materiale nella vita impedisce di accorgersi degli errori strategici nel campo della cultura ed in genere delle attività spirituali. – Tutto questo, in quanto spegne energie superiori e favorisce la materializzazione con l’edonismo, pone semplicemente alla Chiesa il problema di riconvertire continuamente il mondo. Battezzare, dare l’educazione, offrire ai superstiti fedeli una meravigliosa liturgia, non bastano più. La lotta si è spostata con tutta la sua linea di guerra al punto in cui materia e spirito si contrappongono. E la forma pratica, non capita dai più, di riproporre la sterile esperienza manichea [Anche qui il Sommo Pomtefice allude alla gnosi, il vero cancro che da sempre affligge la Chiesa ed il Cristianesimo tutto – ndr.]. – Sarebbe irriverente per Cristo, divino Fondatore della Chiesa,  proporre revisioni di strutture nella costituzione della Chiesa. Essa, [per quel che riguarda gli uomini, il piano della storia, il metodo della Provvidenza, ha un capo in Pietro ed ha le sue cellule vitali in organismi particolari che sono le diocesi sotto la guida dei singoli Vescovi. La gerarchia di ordine si espande enormemente al basso, come è logico, perché in molti occorre essere a servire, in pochi a comandare. Non parliamo dunque di questo che è stabilito immutabilmente da una preveggenza divina. Ma di molte altre forme organizzative il discorso resta aperto, anche se noi non lo affrontiamo affatto, perché eccede l’ambito di nostra competenza. – Di una sola cosa vogliamo fermamente parlare. Storicamente, a poco a poco, le diocesi si sono organizzate in parrocchie. Chiediamoci: è oggi sufficiente la organizzazione parrocchiale? Rispondiamo francamente: no. È organizzazione sempre necessaria, ma non più sufficiente. La ragione è chiara: la parrocchia suppone una base territoriale e resta legata alla topografia. La attuale vita urbana (i monti si spopolano) è legata in genere alla «categoria» e ad un complesso di rapporti sociali, nuovo, che non ha più per base la ristretta topografia. La parrocchia forse potrebbe fare tutto, se i suoi fedeli continuassero come un tempo a nascere, vivere, lavorare e morire in essa. Questo non è più. I fedeli, che avranno sempre un punto netto di riferimento alla loro parrocchia e che tanto più rinforzeranno quanto più sarà in atto la vita associativa, hanno bisogno di essere assistiti con qualcosa che è oltre la parrocchia. Quando si è provveduto alle parrocchie, probabilmente, anche nella più ottimistica ipotesi, non si tocca neppure il cinquanta per cento del fabbisogno. E tempo di dire, anzi di ripetere questo ben chiaro. L’abbiamo fatto molti anni innanzi, ma ora dobbiamo rifarlo, perché spinti dalla impellente travolgenza dei fatti.

3) Il fenomeno, che per entrare nella sfera delle attività spirituali e persino religiose è sconcertante, sta nella educazione collettivistica e nel sistema di comunicazioni sociali che fanno educazione di massa e, quanto la fanno, altrettanto distruggono dell’uomo e molto del suo divenire. Gli uomini sono insufficienti da mane a sera. Pochi sono coloro che hanno in mano gli strumenti di questa insufflazione. Questi pochi è molto facile non abbiano idee giuste e intenzioni sante, perché generalmente servono le mire del potere e l’interesse finanziario. Però la massa vive e vivrà di quello che i «pochi» vogliono. – La Chiesa ha davanti questo fenomeno e ne deve sopportare le condizioni, che sono spesso condizioni di guerra e di contraddizione. Ci fermiamo qui: ce n’è abbastanza.

4) Quali gli orientamenti?

— Di fronte al primo fenomeno, la decadenza del senso cristiano, non c’è che una soluzione: quella di puntare sulla realizzazione massima della vita cristiana, senza badare a compromissioni, senza timori di quello che si dice o succede, senza concessioni a riprovevoli costumi mondani, senza riduzioni circa la fede e la morale. Un mondo in decadenza lo si prende di petto. Non c’è altro da fare. Del resto questo è il metodo del Vangelo ed è quello che balza fuori da tutte le lettere apostoliche. Ricordiamo che si può amplissimamente comprendere tutto, senza cedere nulla di quello che non si può cedere. Non dimentichiamo che le leggi della Storia e quelle della Provvidenza prevalgono sempre e ci dispensano dall’essere troppo timorosi o scioccamente rispettosi di quanto succede in questo mondo. La orazione, la penitenza, l’osservanza dei tempi sacri, il pudore, la modestia, la prudenza, il morigerato contegno, la carità, il perdono, la pratica eucaristica, la devozione alla santa Vergine, il Sacramento della Penitenza, piaccia o non piaccia, si scandalizzi o non si scandalizzi qualcuno, vanno riportati inflessibilmente al loro posto. – Nulla ci obbliga a fasciare questa fermezza cristiana con modi impropri, con musi duri e anatemi, ma non possiamo scambiare il nostro Cristianesimo con uno scherzo. — Lo squilibrio portato dall’esagerato ed indebito prevalere della tecnica deve spingerci a dilatare in maniera al tutto indipendente le migliori esercitazioni dello spirito, la ginnastica della volontà nella mortificazione. Il giudizio sullo stato del mondo per forza di questo squilibrio deve essere ben fermo nella nostra mente. Se il giudizio non sarà fermo, ben agguerrito contro ogni seduzione pseudoscientifìca, le esagerazioni della tecnica inghiottiranno anche noi. La prima e maggiormente taglieggiata dalla indebita prevalenza della tecnica è la umanità. Il nostro giudizio non è negativo sulla tecnica, ma sull’indebito prevalere di essa. Resti strumento e sarà benedetta; lasci il debito spazio allo spirito e troverà il suo stesso splendore. Non accodiamoci a coloro che con indebite lodi e insulse approvazioni facilitano il momento in cui la tecnica scaricherà le sue atomiche [di minacce atomiche il Santo Padre aveva esperienza diretta! –ndr]. – La incapacità della parrocchia a espletare tutto il suo compito nella attuale situazione urbana o urbanizzata è, come s’è detto, il punto sul quale va concentrata la massima attenzione all’interno della Chiesa. L’orientamento è verso i «complementi» della parrocchia. Non esiste altra via. Da molti anni abbiamo invitato il nostro clero ad adattarsi per tempo a questo modo di concepire l’avvenire; ma ora dobbiamo presentare la questione come di impellenza immediata. Al nostro Presbiterio abbiamo chiesto di studiare fino in fondo la questione, per darci i migliori consigli. Presto la stessa domanda rivolgeremo al nostro Consiglio pastorale. Si tratta di studiare i possibili complementi interparrocchiali, superparrocchiali e centrali. Ci si dovrà muovere in un terreno che non è più il nostro piccolo e spesso chiuso recinto; ora dobbiamo crearne la convinzione, approntando i disegni per le opere ed i metodi. La Azione Cattolica dei «rami» è stata fin qui essenzialmente parrocchiale: oggi ha dinnanzi un più lontano traguardo. Bisogna pensare a raccogliere intorno alla azione apostolica della Chiesa, nelle debite e sufficienti forme, gente che ha buona volontà, ma insofferenza delle forme associative ad impegno fisso. Ci dovremo abituare a modi di incontro e di collaborazione al tutto diversi da quelli nei quali è stata colata la esperienza della nostra vita. Ci si deve muovere. Tutto questo non può essere anarchico. Gli anarchici, riottosi al controllo, alla disciplina, ai piani generali, alle legittime programmazioni, possono solo appartenere al passato, non certo all’avvenire che, per combattere la battaglia di Dio, chiede a noi maggiore senso di dovere, di ordine, di gerarchia, di disciplina. È impensabile, senza un ordinamento strettamente diocesano, un «completamento» della vita parrocchiale, fattasi anemica sotto il peso del materialismo e dell’edonismo moderno. A tutti i nostri sacerdoti domandiamo di dare parte delle loro considerazioni a questo problema. Il quale si collega strettamente con quello delle vocazioni ecclesiastiche, perché l’avvenire domanderà sempre più sacerdoti impegnati al di là della figura giuridica del parroco e del vicario cooperatore, coi quali si è creduto troppo di risolvere ogni problema.

– La educazione di massa mette in questione tutta la civiltà e tutti i suoi strumenti. Questo non ci è certamente indifferente, dato che viviamo pur noi in questo mondo e non ce ne possiamo disinteressare. Tuttavia per noi la questione si pone specificamente nel sincero e pieno ritorno all’impiego di quei mezzi sacramentali ed extrasacramentali, per i quali le anime si formano, quanto possibile, ad una ad una. Esse, le anime, non avranno affatto da respingere sempre quello che viene da una educazione collettivistica, non sempre necessariamente cattiva; ma dovranno essere guidati dai sacri ministri con una cura, esemplata sulla cura con cui Dio ha creato, crea e creerà sempre le anime, una per una. – Noi ci guardiamo dal pronunciare un giudizio negativo ed indiscriminato sulla educazione di massa. Sappiamo che essa gode di una maggiore dilatazione diffusiva e può ridurre i margini negativi  della civiltà. Affermiamo solo che la educazione di massa è pericolosa nei confronti della personalità umana e che pertanto richiede attenzioni ben maggiori di quelle che di fatto ottiene; che lo sforzo deve essere svolto a corroborare tutte le energie operative nel campo della educazione individuale. La prima educazione può essere completiva della seconda, come la seconda è completiva della prima. È l’unilateralità che va condannata, non la cooperazione tra le forze che si dirigono al gran pubblico e quelle che, all’interno della famiglia, della Chiesa e della scuola possono curvarsi debitamente sulle singole vite, aperte alla esperienza, al dolore e al disinganno. Bisogna riprendere in mano tutto il patrimonio della Chiesa che ha sempre unito una sana e santa educazione di massa, con la sua liturgia e la sua predicazione, ad una educazione delicatissima dei singoli coll’epicentro in un impegno sacramentale od extrasacramentale di foro interno. Recentemente Noi abbiamo scritto una pastorale apposita sul sacramento della penitenza ed a quella rimandiamo, perché è tutta ispirata da questo netto concetto.

A chi credere?

A questo punto la domanda potrebbe sembrare superflua, ma non lo è, in quanto offre il destro di dare alcuni consigli semplici, pratici e conclusivi. In realtà la domanda è giustificata dai fatti seguenti:

1) Su argomenti che hanno avuto fino a pochi anni innanzi il consenso sereno dei teologi (e tale consenso è criterio certissimo di verità) scrittori e personaggi hanno espresso pareri diversi tra di loro (fuori pertanto di ogni consenso) e discrepati da quello che la teologia aveva fino ai nostri tempi tranquillamente insegnato. E parliamo di verità dottrinali quanto di norme morali, per nulla legate a disposizioni meramente positive. Infatti nessuno può negare che in materia puramente positiva la Chiesa ha indotto delle mutazioni. A Noi interessano solo gli oggetti che non sono disponibili per un intervento positivo della legge.

2) Le pubblicazioni sia periodiche che non periodiche danno una impressione notevolmente indipendente e divergente. Non sempre la richiesta «approvazione» costituisce criterio di tutto riposo.

3) Persone qualificate si esprimono in modi diversi e tali da lasciare perplessi. – Che fare adunque? I consigli pratici sono i seguenti:

a) Starsene a quello che si dice nei testi teologici accettati da tutti, comprese le scuole sulla cui attendibilità non ci può essere dubbio. Purtroppo il dubbio oggi pende anche su pubblicazioni un tempo ineccepibili.

b) Starsene con assoluta fedeltà a tutti i documenti sia personali del Sommo Pontefice, sia emanati da organi della Sede Apostolica sui quali si stende la garanzia dello stesso Sommo Pontefice.

c) Starsene alle direttive del proprio Vescovo, che, fino a prova contraria, si suppone essere in piena comunione colla Chiesa e col romano Pontefice. – Tali criteri applicati con assoluta severità, nel solo intento di salvaguardare, al di là di ogni personale simpatia od antipatia, il deposito affidatoci da Cristo, possono dare norme, tranquillità, certezza. – Cari confratelli, dobbiamo avere la forza di restare attaccati, senza rispetto umano, agli immutabili principi che la nostra fede ha incisi nel nostro animo; ma dobbiamo aprire l’animo stesso alla continua, diligente, impegnata adattazione dei nostri metodi. Vi guidi sempre la distinzione invalicabile tra principi e metodi: i primi sono intoccabili, i secondi vanno sempre opportunamente e tempestivamente rettificati. Abbiamo la impressione che molti vogliano mettere lo scompiglio nei principi, per essere esentati dall’impegnarsi al cambiamento dei metodi. E pigrizia! Su tutto questo non splenda una luce umana, ma solo la luce pura e genuina del santo Evangelo.

[Fine]

 

 

 

 

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.