GNOSI: TEOLOGIA DI sATANA (15) – GNOSI E BUDDISMO -3-

GNOSI: TEOLOGIA di Satana (15)

“omnes dii gentium dæmonia”

GNOSI E BUDDISMO –3-

Un mondo seduto all’ombra della morte

Per tutto l’esposto che precede vediamo bene che l’Asia ha ricevuto la sua ispirazione religiosa del Cristianesimo, un Cristianesimo però sfigurato dalla gnosi manichea. René Grousset, per esempio, nel suo “Bilancio della Storia” ha ben ragione di mostrare le numerose e suggestive interferenze tra l’arte religiosa dell’India e quella del nostro Medio-Evo cristiano. Egli ci trascrive le parole attribuite al Buddha che sembrano ispirate dai Vangeli: « Fare un po’ di bene vale più che compiere delle opere difficili. – Se si vogliono comprendere i frutti dell’elemosine, non si mangerebbe il proprio ultimo boccone di cibo senza averne donato. – L’uomo perfetto non è niente se non diffonde benefici sulle creature, se non consola gli abbandonati. – La mia dottrina è una dottrina di misericordia, ecco perché i felici del mondo la trovano difficile. – C’è un sacrificio più felice del latte, dell’olio, del miele: è l’elemosina. – Invece di immolare gli animali, lasciateli andare … ». Ma non possiamo seguire René Grousset quando ci spiega che queste parole sono un “progresso evangelico” e che esse segnano una posizione di attesa, un presagio della carità cristiana. Se possiamo affermare che il Buddha, l’illuminato non era altri che Mani, è evidente che il suo insegnamento è in parte ispirato ai Vangeli. L’appello di Gesù-Cristo è stato inteso fino in fondo alla Cina. Si legge nella “Storia universale” di Cantu che Confucio stesso disse ad un ministro dell’imperatore della Cina: « Io ho saputo che nei paesi dell’Occidente nascerà un uomo santo senza esercitare alcuna carica di governo, che farà discorsi senza parlare, attirerà una fiducia universale, senza operare sconvolgimenti, produrrà un oceano di azioni. Nessuno può dire il suo nome, ma io ho sentito dire che egli sarà il vero santo ». Conformemente a questa credenza e sessantacinque anni dopo la nascita di Cristo, l’imperatore Ming-Ti, colpito dalle parole di Confucio, inviò due grandi del suo regno in Occidente, con l’ordine di non tornare finché non avessero trovato il “Santo” che il cielo aveva fatto conoscere, e finché non avessero appreso la legge che insegnava. Malauguratamente, gli inviati, affranti dai pericoli e dalle fatiche del viaggio, si fermarono in India, si istruirono nella religione buddhista  e riportarono la statua del suo fondatore, sotto il nome di Fa. Fu così che il buddhismo venne introdotto in Cina. Così dunque, e se si può accordare una parte di verità a questa legenda, l’insegnamento di Buddha si è sostituito a quello di Gesù-Cristo in tutta l’Asia. Ora il Buddha insegnava una gnosi dualista e panteista. Un missionario dell’ultimo secolo, il padre Leboucq, riassume così l’insegnamento orale di Confucio.

1° Dio è l’essere degli esseri, il principio universale, il tronco di tutto ciò che esiste. È la “grande anima” dell’universo, e presiede all’armonia del mondo.

2° l’anima umana e le sue facoltà intellettuali sono una derivazione della grande anima, dell’anima universale.

3° La morte è una separazione, una decomposizione delle due sostanze che l’essere degli esseri ha unito nell’uomo. La sostanza materiale ricade nella massa degli esseri fisici. La sostanza spirituale risale al grande essere e si riunisce a lui. » –

Si ritrovano le medesime formule panteiste negli scritti di Lao-Tseu, ed è il Taoismo. Il Tao, cioè la “via”, è una sorta di potenza impersonale, indefinibile, indifferente e vuota, che si è diffusa dappertutto ed è considerata come “il principio immanente dell’universale spontaneità”, ci dice Marcel Granet nel suo libro sul “Pensiero cinese”. L’uomo deve unirsi a questa potenza per possedere il sapere ed il potere e godere di una lunga vita. Egli vi perverrà immergendosi nella natura, fuggendo i contrasti sociali, allontanandosi dalle sterili agitazioni del mondo, evitando ogni attaccamento agli esseri ed alle cose, soprattutto ricorrendo all’estasi che gli procura un « saggio esercizio, e che solo può conservargli intatto l’essenza della vita. » Questa estasi gli appare come « una luce diffusa che è quella dell’alba, la visione di una indipendenza solitaria ». « Egli entra in ciò che non è né vivere né morire », lasciando cadere corpo e membra, bandendo vista ed udito, separandosi da ogni apparenza corporea ed eliminando ogni scienza », « egli si unisce a ciò che penetra tutto e dà continuità all’universo ». Egli così aderisce al Tao: si tratta quindi dell’unione mistica con un infinito immanente. Si riconosce in questa dottrina sia la gnosi dei primi secoli, sia lo yoga ed il nirvana dei buddhisti.  – Un dottore buddhista, Bodhidarma aveva per dieci anni insegnato in Cina verso l’anno 535 della nostra era. Nel 1050 comparve in Cina, sotto la firma di un monaco buddhista, il « Fondamento della religione » che sviluppava il pensiero corrente nel buddhismo cinese, che Buddha, Lao-Tse e Confucio non hanno predicato che un’unica e medesima dottrina. Si posero allora nei templi buddhisi le statue di Confucio e di Lao-Tse ai lati di quelle di Buddha, Lao-Tse alla sua sinistra, che è il posto d’onore in Cina, e Confucio alla sua destra. Poi il buddhismo cinese penetrò in Tibet dove divenne lamaismo; si diffuse poi in Mongolia, poi nel nord della Cina, in Corea, e da qui in Giappone. Grazie a Shinto, si trasformò e si adattò all’affermazione del mondo. Shinto è come il Lutero del buddhismo. Egli nega l’utilità delle opere per ottenere la salvezza, rigetta i pellegrinaggi, la penitenza, il digiuno, il celibato dei sacerdoti, dei monaci e delle suore. I missionari gesuiti che penetrarono in Giappone verso la metà del XVI secolo, sottolinearono immediatamente la parentela spirituale dello Shintoismo con l’eresia luterana. – Questa invasione della gnosi buddhista fu una catastrofe per l’Asia. Il ciclo delle trasmigrazioni – nascere, soffrire, rinascere per soffrire eternamente e piombare nel nulla – fu come una “tunica di Nesso” imposta al mondo asiatico. René Grousset ha ragione nel mostrarne il carattere suicida. Esso giunge alla sparizione della personalità in una totale vacuità, nell’evanescenza del nirvana. La pratica dello Yoga, il “giogo”, implica una fusione con il principio supremo, con l’anima cosmica. È un ascetismo spersonalizzante, che provoca una quantità di abusi sociali, e le pratiche più assurde della magia! – La metempsicosi non ha nulla a che vedere con un Dio caritatevole e salvatore. È piuttosto uno strumento di terrore; essa fa pesare su milioni di esseri la spaventosa fatalità con cui ottenebrerà il mondo asiatico. Nel corso della reincarnazione la salvezza non è che apparente, perché al termine non c’è più nulla, non l’uomo, non l’amore, solo un oceano immenso e senza rive. Il riassorbimento finale nel gran-tutto-pleroma, nel nirvana, che ne è la traduzione in sanscrito, è il trionfo del niente sull’essere: pertanto non vale la pena cominciare il gioco del mondo e dell’uomo se poi ci si deve annientare ancora e ricominciare incessantemente nello stesso senso in circolo. Sarebbe stato inutile fare l’essere per poi ricondurlo al non-essere. Non c’è che il demonio ad interessarsi di questo! La penetrazione gnostica in Asia, sotto la sola forma buddhista, non ha incontrato una resistenza energica e sostenuta da parte di spiriti sensati. Talvolta tuttavia si notano reazioni intelligenti e piene di buon senso contro questa depersonalizzazione degli individui. Il pio letterato confuciano, Fou-Yi, aveva in orrore il buddhismo. Nel 626 della nostra era, rimetteva all’imperatore Li-Yuan una memoria in cui enumerava le sue proteste: « La dottrina buddhista è piena di stravaganze ed assurdità. La fedeltà dei soggetti al suo principe e la pietà filiale sono dei doveri che questa setta non riconosce. I suoi discepoli passano la loro vita nell’ozio, senza darsi alcuna pena. Se essi portano un abito diverso dal nostro, fanno sì che i semplici corrano dietro ad una felicità chimerica ed ispirano loro il disprezzo per le nostre leggi e le sagge istruzioni degli anziani. Questa setta, aggiunge, conta oggi più di centomila bonzi e tanti bonzi vivono nel celibato. Sarebbe nell’interesse dello stato obbligarli a maritarsi … attualmente queste persone sono a carico della società, e per il loro oziare, vivono a sue spese. Rendendoli membri di questa stessa società, li si farebbe concorrere al bene generale e cesserebbero di togliere allo Stato delle braccia che potrebbero servire alla sua difesa. » Ecco una diatriba severa ed in parte giustificata. Se si elimina la preoccupazione politica che anima Fou-Yi, si comprende che i rimproveri fondamentali che indirizza ai buddhisti sono identici ai rimproveri che faranno, in Occidente, alcuni secoli dopo, gli inquisitori agli Albigesi. In effetti, gli Albigesi erano gli eredi dei manichei in Occidente, come i buddisti in Oriente. Si rimprovera loro il rifiuto del giuramento alle autorità, il rifiuto della vita e della procreazione, il desiderio di evadere dal mondo per raggiungere il “pleroma”. Dai due lati, princîpi identici hanno provocato attitudini simili nei confronti della vita e dei princîpi similari, differenziati solo dalle circostanze e dalle contingenze proprie a ciascuno dei due mondi. – Infine è interessante studiare la ripresa del contatto tra l’Occidente cristiano e l’Oriente buddhista, nel XVI secolo all’arrivo dei missionari cattolici in Asia. Questo incontro provocò reazioni importanti. Dapprima un grande stupore alla vista di pratiche religiose che sembravano ricopiate sulla liturgia cristiana. In seguito una evangelizzazione difficile ed audace quando questi missionari, soprattutto i Gesuiti, ebbero compreso la perversione intrinseca delle dottrine. – San Francesco Saverio attendeva a Singapore un battello per evangelizzare il Giappone. Egli aveva battezzato un giapponese chiamato Henjiro con il nome di Paolo.  Questi gli spiegò che nel suo paese si praticava già la religione cristiana. C’erano dei monaci celibatari che vivevano in conventi, digiunavano frequentemente e pregavano di notte. Parlavano tra di loro una lingua sconosciuta dal popolo, credevano in un Dio unico, obbedivano ad un abate e conducevano una vita edificante. Essi insegnavano l’inferno, il purgatorio, il cielo e veneravano numerosi santi pregandoli di intervenire per Dio unico ed Onnipotente, come fanno i cristiani. Francesco Saverio scrive: « Secondo la comunicazione che mi ha fatto Paolo, la Cina, il Giappone, la Tartaria obbediscono ad una legge religiosa comune che si insegna in una città chiamata Chynopinquo. Paolo, con comprendendo la lingua nella quale è redatta questa legge religiosa: è, egli dice, una lingua che, come da noi il latino, si usa per la composizione dei libri sacri. Egli non ha saputo darmi altre delucidazioni sul contenuto di questi libri ». Si trattava del buddhismo, e questa lingua era il sanscrito! Francesco Saverio ne concluse che questi paesi senza dubbio erano stati evangelizzati in un passato lontano e si chiese se la fede dei giapponesi non fosse una sorta di Cristianesimo alterato da tradizioni pagane. Su consiglio di Hanjiro, egli denominò Dio con il nome conosciuto in Giappone, di “Dainitschi”, che vuol dire: Creatore di tutte le cose. I bonzi soddisfatti, dichiararono che il Dio dei “Barbari del sud” non era altri che il loro Dio e che il Cristianesimo era una setta buddhista!!!  « Tra voi e noi, dicevano a Saverio, non c’è che differenza di linguaggio; la nostra fede è a stessa ». Essi accolsero questo fratello “straniero” nel modo più amabile. Lo invitarono nei loro conventi e gli fecero dei solenni ricevimenti. Alcuni bonzi passarono al Cristianesimo e si fecero battezzare da Saverio. Pericolosa illusione! Le somiglianze del culto e della liturgia nascondevano l’« opposizione fondamentale che esisterà sempre tra la vera fede cristiana e la sua contraffazione satanica, la gnosi panteista ».  È quanto aveva ben compreso un altro gesuita, il padre de Nobili (1577-1650), che, nel secolo seguente, si sforzò di riconquistare i brahmani delle Indie al Cristianesimo. Per fare questo, si presentò egli stesso come brahmano, adottando il loro costume ed i loro modi di vivere, studiando i loro libri e decifrando il sanscrito. Il padre de Nobili, religioso romano formato dalla Scolastica più tradizionale, ci racconta come sia entrato in contatto con i primi brahmani che vennero a rendergli visita e ci riferisce del dialogo ammirevole che intraprese con essi. La sua prima conquista « … fu un uomo distinto per la sua nobiltà ed i suoi talenti, già promosso al grado di “guru” (sacerdote indù): io disputai con lui per una ventina di giorni, quattro o cinque ore al giorno ». – Il padre de Nobili illustra ai suoi superori romani le diverse tappe del suo dialogo: « Il primo giorno la conversazione ruotò su due punti: la moltitudine degli dei e la creazione. Io convinsi facilmente il mio dottore dell’unità di Dio con gli argomenti riguardanti la perfezione e l’indipendenza assoluta della natura divina. Quanto alla creazione la cosa fu più penosa. I sapienti di questo paese, partendo dal principio che niente si fa dal niente, ammettono tre cose eterne: padi, paju, passam (in sanscrito: pali, pasu e pasâm). Pali è Dio, paju è la materia dalla quale Dio produce le anime, passam è la materia con la quale forma i corpi. Io gli opposi gli argomenti ordinari della filosofia per provare che se paju non era creato, questa sarebbe Dio; poi mostrai che se padi non poteva creare o estrarre dal nulla, non era Onnipotente e di conseguenza non era Dio, poiché la sua azione, simile a quella delle cause seconde, si limitava a modificare le forme. Io sviluppai questo argomento con applicazioni e comparazione ed egli sembrò convinto. Il secondo giorno, parlammo della trasmigrazione delle anime. Egli si appoggiava fortemente sulla varietà delle condizioni dell’uomo che non potrebbero spiegarsi, egli diceva, se non ammettendo i meriti ed i demeriti anteriori alla vita presente. Egli diceva, con i platonici, che l’anima non è la forma del corpo, ma che si trova chiusa come l’uccello in una gabbia o il pulcino nel guscio dell’uovo. Io risposi: 1° che il corpo e l’anima costituiscono un composto che è l’uomo, che vive, si modifica, opera in maniera che le sue azioni non sono né del solo corpo né della sola anima, mentre l’uccello e la gabbia non hanno tra loro alcun rapporto naturale (quando un uomo abita in una casa, forse che la casa cresce con lui?); 2°) che avendo il peccato una infinita malizia, la differenza delle condizioni e le miserie passeggere della vita, non possono essere di per sé l’espiazione del peccato, 3°) che le differenze tra gli uomini, ricchi o poveri, brahmi o parias, gioiose o tristi, felici o infelici, provengono dalle cause secondarie delle quali Dio non è obbligato a sospendere l’azione, perché Egli vuole mostrarci con ciò quanto disprezzabili siano le grandezze, le ricchezze e le gioie di questo mondo in confronto a quelle che Egli ci ha riservato nell’altro e che possiamo meritare per il buon uso dei beni e con la pazienza nei mali. – Aggiunsi poi che in ogni società ben regolata c’è bisogno di una subordinazione; se tutti fossero re, sarebbero dei re fantasma, senza sudditi, dei generali senza soldati. Nel corpo umano, se tutte le membra fossero la testa, che mostro sarebbe! Infine conclusi con un argomento “ad hominem”: voi dite che Brahma estrae il primo uomo dalla sua testa, il primo rajah dalle sue spalle, il primo paria dai suoi piedi, etc., ora il primo uomo, il primo rajah, il primo paria, non possono avere alcun merito o demerito anteriore alla loro prima produzione, dunque … etc., ometto tutte le altre discussioni troppo lunghe e noiose. Dopo venti giorni di dispute, il guru si dichiarò vinto, si fece pienamente istruire nelle verità della religione, ricevette il Battesimo e prese nome di Alberto. Questa prima conversione ne produsse molte altre … ». Questo dialogo è molto interessante. Quando l’intelligenza umana non è legata al reale mediante il buon senso, quando non è più o non ancora perfezionata e consolidata dalla rivelazione cristiana, pende, come per naturale deficienza, ma che possiamo definire satanica, verso il panteismo. In effetti quando si tratta di capire il senso ultimo della natura, del mondo, delle cose che ci circondano e del nostro posto all’interno del mondo, il nostro spirito non ha molte soluzioni di ricambio al di fuori della verità. È questo che fa che tutte le eresie abbiano il loro punto comune nella gnosi panteista. –  Il padre de Nobili non ebbe meraviglia nel ritrovare nelle Indie nella bocca del brahmano, tutti gli errori che i suoi studi di scolastica gli avevano insegnato nel confutare gli eretici d’Occidente: l’idea di un dio demiurgo e fabbricatore, che estrae le forme dell’essere da una materia preesistente: è la tesi dei moderni evoluzionisti; l’idea di un’anima divina imprigionata in un carapace, la gabbia dell’uccello e il guscio d’uovo del pulcino: è ciò che ancora oggi insegnano i nostri esoteristi che si dichiarano cristiani; l’idea che la nascita è l’espiazione di una colpa anteriore nel mondo divino, è la base della credenza della trasmigrazione delle anime. Il padre de Nobili ha ritrovato in India la filosofia di Platone. Lo dice lui stesso. Ma se avesse saputo che Mani citava tra le fonti del suo insegnamento Platone ed Ermete Trismegisto e che era “egli” il vero Buddha, non sarebbe stato meravigliato di ritrovare Platone attraverso la dottrina buddhista. – Infine il padre de Nobili, nel corso delle sue ricerche sulle origini della religione indù, ha notato il vago ricordo di una rivelazione cristiana affondata sotto le elucubrazioni dei brahmani: « Una cosa che mi aiuta molto a fare delle conversioni, egli scrive, è la conoscenza che ho dei loro libri più segreti. Io ritrovo il constatare che si possedeva anticamente in questi paesi, quattro leggi o vedas, che tre di queste leggi sono quelle che i brahmani insegnano ancora oggi, e che la quarta era una legge tutta spirituale, in virtù della quale si poteva ottenere la salvezza dell’anima. Ora, egli aggiungeva, questa quarta legge è confusa in parte con le tre prime, ma la gran parte si è perduta interamente, e mai si è trovato un uomo così saggio e santo per ritrovarla. Essi assicurano di più, ed è parallelamente scritto negli stessi libri, che nessuna delle tre leggi che restano può dare la salvezza  e da ciò qualcuno conclude che non c’è salvezza da attendersi, e di conseguenza, che non c’è vita futura.»

Il boomerang dall’Oriente: la gnosi di “andata e ritorno”:

La Franco-massoneria, abbiamo detto già altra volta, è la « congregazione militante della gnosi ». Essa rivendica come suo grande ancestre, Mani, ed ha conservato i simboli manichei. I “fratelli” si chiamano tra loro «i figli della vedova ». L’acacia è un altro simbolo massonico; esso gioca un ruolo importante nella vita di Mani e di Buddha. L’abate Augustin Barruel ha sviluppato questo punto nelle sue “Memorie per servire alla storia del Giacobinismo”. Si sta tentando ora di riattualizzare la gnosi nel nostro mondo occidentale riportando gli insegnamenti religiosi dell’Asia. È quel che abbiamo chiamato « l’Induismo occidentalizzato ».  Con istinto molto sicuro, i franco-massoni hanno riconosciuto nel corso dei loro studi sul buddhismo, nel bramanismo e nelle tesi del pensiero orientale, i loro princîpi. Quale buona occasione per servirsene sotto gli abiti di forme esotiche e bizzarre in modo da renderla più venerabile! – Dopo l’inizio dell’ultimo secolo le mode orientali hanno invaso l’Occidente. Segniamo le tappe di questa nuova conquista che ha consentito un gran ritorno della gnosi universale. Essa è lanciata all’inizio del XIX secolo dai franco-massoni “illuminati” che si convertirono al Cattolicesimo , … essi dicevano, ma in effetti erano adepti della gnosi orientale. Essi sono alla radice del Romanticismo francese, come mostreremo in un successivo capitolo su “la gnosi ed il Romanticismo”. Goerres, un antico giacobino francese, si convertì alla nuova fede. D’accordo con la scienza, egli dice, i Germani diverranno i brahmani ed i salvatori dell’Europa. Goerres cerca in tutti i popoli dell’antichità le tracce di una rivelazione primitiva e la ritrova in Asia. Egli pubblica nel 1809 una “Storia dei miti del mondo asiatico”, ed annuncia la nascita di una religione germanica, miscuglio di scienze moderne, Cattolicesimo e protestantesimo. Il suo amico Arnim, scrive a Clemente Brentano, l’autore reale delle visioni di Anne Marie Emmerich: “ È un miracolo che Goerres, venuto da tanto lontano, si sia rapidamente convertito!” Ma si trattava in realtà di una conversione ad un germanesimo indo-europeo. Si percepiscono già in lui i primi elementi di ciò che sarà più tardi il nazismo. Guerre è impregnato di platonismo e di panteismo, segue Jacob Boehme, Novalis e frédéric Schlegel che sognano di fondare una religione universale comprendete e completante tutte le altre. – Un altro seminatore di idee orientali in Francia, fu il barone di Eckstein, un giudeo svedese convertito al Cattolicesimo … ma occorre vedere, anche qui, a quale cattolicesimo! Egli aveva ricevuto una formazione occultista presso il duca Pierre d’Oldenbourg, fratello dell’antica regina di Svezia, che gli insegnò la cabala, la negromanzia e l’arte di evocare gli spiriti. Poi aderì ai gruppi degli Illuminati di Weishaupt, ancora molto attivi, anche dopo lo smacco della rivoluzione francese, poi ai giovani terroristi del “Tugendbund”. Cominciava poi ad insegnare in Francia. Per questo, ad imitazione del suo amico Goerres che aveva fondato in Germania un giornale, il “Katholik”, fonda anche in Francia il “Catholique”. “Questa collezione, scriveva nel 1827 il “Globe”, giornale liberale, è come un canale aperto dalla Germania alla Francia. Esso puo’ darci delle idee, delle vedute, delle domande, dei materiali dei quali, con lo spirito che ci è proprio, sapremo approfittarne. La Germania è una miniera che non conosciamo abbastanza, e dalla quale non prendiamo abbastanza. Essa racchiude dei tesori di erudizione e di scienza che noi dobbiamo provare ad esplorare”. Il suo amico Goerres, esclama con ammirazione: « È dunque il più autentico spirito tedesco che si trova trapiantato in Francia. Il “Catholique” è uscito dalle scuole germaniche, ha compiuto i suoi studi presso i maestri tedeschi, ha assimilato le loro caratteristiche ed è con la loro mentalità che tratta gli oggetti di cui si occupa.  Ci si stupisce che una testa così completamente organizzata alla tedesca, sia riuscita così perfettamente a pensare in tedesco ed esprimersi in francese ». Eckstein si è vantato di essere unito a Frédéric Schlegel da una comunanza dottrinale: “la sua amicizia mi è stata accordata fin dalla giovinezza, egli precisa, ed egli non si è mai lamentato che io abbia saccheggiato le sue opere!” – Ora quale è questo pensiero tedesco che il barone di Eckstein trascrive in francese? È nientemeno che … il buddhismo. Lo si chiamava infatti il barone sanscrito. Egli parlava di Buddha continuamente nei saloni del sobborgo di Saint-Germain, dimostrava con prolissità che ci sono due buddha. Spiegava pure come il dogma della Trinità si trovi già nella Trimourti indiana. Cita il Ramayana, il Mahabaratin, le Uprekat, la vacca Sabala ed il re Wiswamitra. Si finì col chiamarlo il barone-buddha. Nel suo insegnamento si trovano delle formule di sincretismo religioso, del neoplatonismo, ma tutto mescolato in salsa buddhista. Impiega delle metafore riprese dai canti dei Veda. Con i suoi amici Goerres, Arnim, Frédéric Schlegel, costituisce la “Banda indo-cristiana”. Siamo qui all’inizio del Romanticismo. È quindi del tutto naturale che i grandi scrittori di questa scuola, siano impregnati di buddhismo: Lamennais, Lamartine, V. Hugo, etc., come vedremo nel lavoro sul Romanticismo. In Germania Fichte, Hegel, Schelling insegnano in “panteismo indiano”. Emerson e Carlyle includono il culto degli eroi nel senso dei buddhisti e degli adoratori di Vischnu. Hartman adora l’incoscio. I suoi due libri sulla “Coscienza religiosa dell’umanità”, e la “religione dello spirito” richiamano il Mahayana. Nietzche crede al superuomo, cioè a Buddha. Tutto l’inizio del suo “Zarathoustra” sembra ispirato dalle Pitakas. Richard Wagner è convertito al buddhismo dalla lettura del conte Gobineau, come visto in altri studi. Gli orientali, ci dice Gobineau, sono incuriositi soprattutto da Spinoza ed Hegel. “Vengono compresi senza difficoltà, diceva un filosofo persiano: questi due spiriti sono spiriti asiatici e le loro teorie combaciano in ogni punto con le dottrine conosciute e professate nel paese del sole”. – Shopenauer ha mostrato la filiazione della filosofia kantiana e del pensiero asiatico. Egli stesso copia alla filosofia di Buddha la dottrina del voler vivere, la morale dell’ascetismo e della pietà: « Se volessi vedere, egli scrive, nella mia filosofia la misura della Verità, dovrei mettere il buddhismo al di sopra di tutte le religioni. In ogni caso io mi riduco a constatare un accordo così profondo tra la mia dottrina, la filosofia ed una religione che sulla terra, ha la maggioranza per essa, poiché essa conta più adepti ». Egli si indigna nel vedere che i missionari europei vogliono convertire i brahmani. « La nostra religione, egli dice, non  attecchisce né attecchirà nell’India. La saggezza umana non si lascerà allontanare dal suo corso da un’avventura giunta dalla Galilea. No, ma la saggezza indiana refluirà ancora sull’Europa e trasformerà da cima a fondo il nostro sapere ed il nostro pensiero » (Il mondo come volontà). Ecco una “profezia” che si realizza oggi sotto i nostri occhi! – La moda del Bergsonnismo è stata pure un ritorno alle metafisiche orientali. Con il suo divenire assoluto, con il suo slancio vitale, con il suo intuizionismo, con il disprezzo della ragione, con il suo mobilismo permanente, il bergsonnismo ci sembra un’attitudine spirituale degna di quella di uno yoghi indiano. Quando Rabindranath Tagore venne in Francia e quando gli si parlò della filosofia bergsonniana, egli rispose con sufficienza, che da tanto tempo l’India era passata per li là! In effetti, all’epoca di Carlo Magno, un pensatore buddhista, Çankara aveva già insegnato il monismo spiritualista e panteista a Maissora, sotto il nome di Vedanta. Bergson stesso ha riconosciuto questa ispirazione buddhista della sua filosofia. – Le dottrine dei teosofi sono penetrate in Russia, importate dalla Germania e dalla Svezia. Caterina II aveva reagito severamente contro questa invasione di Illuminismo. Ma Alessandro I, amico della folle M.me de Krüdner, lanciò la moda mistica nella società intellettuale di San Pietroburgo. Il suo ministro, Speransky, raccomandava al suo amico Zar: « la contemplazione mistica fissando un punto, piuttosto che l’ombelico » … già il mondo dello Yoga! Tolstoi è un profeta d’Asia. Egli vuole rinnovare la faccia della terra, instaurare quaggiù il regno di Dio « la pace tra gli uomini ». Con il suo pessimismo e con la sua indifferenza verso ogni progresso, con la sua dottrina di rinuncia, negatrice della personalità, con la sua carità senza Dio, questo strano cristiano somiglia molto a Buddha. La Russia, egli dice, deve giocare il ruolo di mediatore tra l’Occidente e l’Oriente. – Protestanti, teosofi, occultisti, devoti di Annie Besant, sostengono le imprese della penetrazione dell’Asia in Occidente. Si è potuto vedere sui muri di New York e delle grandi città americane degli enormi manifesti rappresentanti Gandhi accovacciato come un Buddha sul globo terrestre portando un epigrafe « the greast man in the world ». – Più di recente Romain Rolland ha lanciato in Francia la moda di Gandhi, ne ha voluto fare il “santo”, il “Messia” della sua religione induista. Egli ce lo presenta come un nuovo “S. Francesco d’Assisi”, una madre come “una Santa Elisabetta”. Egli vede in lui l’uomo che ha inaugurato nella politica umana il più potente movimento da due mila anni, e lo compara a Cristo stesso. Gandhi si dichiara ammiratore di Tolstoi, di Ruskin. La sua formazione intellettuale è tutta occidentale. Le sue idee sono impregnate di esoterismo occultista dell’Occidente. – In Italia ovviamente la moda è stata seguita, indottrinati dal celebre film sul soggetto e dalla letteratura da “stazioni ferroviarie” e chioschi volanti. – Alla base di questa invasione buddhista o induista, bisogna mettere in causa le vecchie eresie gnostiche; dei falsi profeti indù, dei teosofi, tra i quali pure noti falsi-chierici di alto bordo [leggi Woitiła], dei professori di storia religiosa, certi filosofi tedeschi, tutti formati in seno alle logge massoniche, hanno rinnovato l’interesse per le loro elucubrazioni rivestite da un bell’abito esotico, ricamato con i miti dell’India e della Cina, con accenti pieni di mistero e di poesia. Essi hanno rinnovato la potenza di seduzione dei loro errori, trasducendo gli antichi testi “sacri” dell’Asia nel loro linguaggio. Ma la riuscita della loro impresa non ha potuto essere così totale essendo il pensiero orientale già pieno di questa gnosi primitiva germinata in Asia, seminata dai Manichei attraverso la via della seta. Così è stata preparata pure ad Assisi la sceneggiata “ecumenica” del teosofo orientalista Woitiła, che ha incontrato cordialmente bonzi e brahmani, togliendo dall’altare della chiesa Madonna e Crocifisso, e ponendo un bel Buddha sghignazzante con addome cirrotico al loro posto in bella vista! … abominio della desolazione!!! Usquequo, usquequo Domine! –  Come dice Chesterton: « C’è in Asia un grande demonio che tenta di fondere tutto nello stesso crogiuolo e che si presenta immerso in un immenso stagno ». Il nostro Occidente è oggi questo crogiuolo. La conquista è iniziata: noi pratichiamo lo yoga, lo Zen, la meditazione dell’ombelico. Ben presto la « new age » ci farà vibrare all’unisono con i falsi profeti dell’Asia e questo sarà il più grande trionfo della gnosi eterna e satanica.

[Continua]

GNOSI: TEOLOGIA DI sATANA (14) – GNOSI E BUDDISMO -2-

GNOSI: TEOLOGIA di Satana (14)

“omnes dii gentium dæmonia”

GNOSI E BUDDISMO

Sulla strada della seta.

Il buddhismo è nato nel III secolo della nostra era nei reami greco-sciti e parti della Bactriana, nel nord dell’India. San Tommaso Apostolo aveva evangelizzato questa regione, Mani vi ha insegnato la sua dottrina gnostica e da questo III secolo il buddhismo si diffonde in tutta l’Asia centrale lungo le due strade della seta che collegano questa regione alla Cina, l’una circondante il nord del deserto centrale e del deserto del Gobi, l’altra che si snoda lungo la parte meridionale della catena dell’Himalaya ed il Tibet. – Ciò che occorre rimarcare innanzitutto è che nelle città di accesso da cui si dipartono queste due strade, sorgono monasteri costruiti in questa epoca. Lo stile, gli ornamenti, i bassorilievi, le pitture di questi edifici sono state ritrovate nel XI secolo tra le rovine. Si rileva l’impronta di un’arte iraniana, che ha subito l’influenza greca e romana. Gli artisti sono venuti dalla Siria, il Buddha vi conserva i caratteri dell’arte di Gandhara. – A Miran, nel sud del Lobnor, un antico santuario buddhista ci ha conservato degli affreschi degni di Pompei. Abbiamo la sorpresa di scoprirvi un Buddha accompagnato dai suoi monaci, personaggi imberbi con un copricapo frigio, geni alati, quadrighe. Il nome del pittore è Tita. Lo stile è romano e siriaco: « Bisogna concluderne – dice Victor Goluobov, che il pittore sia un artista formato in qualche laboratorio di Antiochia o di Bactriana? » – Gli apostoli del buddhismo che penetrano in Cina sono dei Parti o ancora degli indo-Sciti, di cultura iraniana e greca, venuti dall’Afganistan. La prima comunità buddhista installata a Lao-Yang (Ho-nan-fou), la capitale dell’impero cinese, è stata fondato da un Parto. Scoperte ancora più sensazionali vengono ancora a mostrare, in un gran numero di monasteri buddhisti dell’Asia centrale le prove della loro origine manichea. – A. Von le Coq, all’inizio del novecento, ha percorso la strada della seta a nord del deserto, nella regione del Tourfan. Questo paese era occupato nel VII ed VIII secolo da un popolo misto di elementi sciti, iraniani, turchi, gli Uiguri. La loro capitale Chotcho, oggi chiamata Kao-Tchang, o Karakhoja, fu visitata da Albert Von le Coq che passava da sorpresa in sorpresa. Egli trovò un’alta piramide a tre piani, comprendente sei nicchie che riparavano dei Buddha dipinti e dorati. Uno di essi giaceva più lontano, privo di testa. Von le Coq vi notò gli stessi caratteri trovati sui monumenti di Gandhara. Più distante, verso il centro della città, c’è una immensa costruzione  composta da tre sale rettangolari circondate da una serie di ambienti più piccoli a volte. Sul muro della parete settentrionale, dopo aver abbattuto un moro più recente, apparve un affresco maestoso. Un gran sacerdote in piedi, rivestito da ornamenti sacerdotali, circondato da un clero tutto vestito di bianco. Ogni personaggio porta il suo nome scritto sul petto, in caratteri uiguri, ma i nomi sono iraniani. Il più grande è Mani, il profeta supremo. « Nell’edificio a cupola della parte sud, facemmo una terribile scoperta –scrive Von le Coq, gli stessi personaggi, nei loro bianchi vestiti, al naturale, non più in piedi, in un bell’ordine processoniale, ma coricati, ammassati in un impressionante disordine, in una caterva di un centinaio di corpi mummificati: tutta la comunità di monaci buddhisti là sorpresi da una morte violenta, un massacro generalizzato abbattutosi su di essi. Von le Coq attribuisce questo massacro alle persecuzioni religiose provocate dalle autorità cinesi. – Infine, fuori dalle muraglia della città, una piccola chiesa nestoriana contenente le vestigia di pitture murali bizantine raffiguranti un sacerdote ed altri personaggi portanti dei rami. All’interno della città tutti gli scritti buddhisti ridotti in brandelli potevano raccogliersi con la pala. In questa regione si trovò un altro santuario contenente una biblioteca di manoscritti manichei irrimediabilmente danneggiati dalle acque fangose di un sistema di irrigazione, ed all’entrata di questa biblioteca il cadavere di un monaco buddhista assassinato, restato avvolto nella sua bianca veste macchiata di sangue. Von le Coq  dichiarava alla fine della sua vita che questa era la scoperta più sensazionale che egli aveva fatto nel corso della sua carriera di ricercatore. – Continuiamo questa esplorazione, essa ci riserverà ancora delle straordinarie sorprese. Lungo la via meridionale della seta si trova la città cinese di Touen-Houang, nel Kan-Sou. È la città dei “mille buddha”. Essa contiene un monastero buddista ben conservato con delle sale dipinte e scolpite nella roccia. In una di esse, due ricercatori, sir. Aurel Stein e M. Pelliot, francese, si fecero aprire un armadio murato nel quale trovarono migliaia di manoscritti antichi che il buon monaco era incapace di decifrare. Essi riuscirono a comprarne diversi importanti gruppi. Quale sorpresa! In mezzo ai manoscritti buddhisti essi trovarono un gran numero di manoscritti manichei. Innanzitutto un Catechismo della religione del “Buddha di luce, Mani”, tradotto dall’iranico in cinese nel 731 su ordine imperiale. Vi si apprende che il Buddha di luce, Mani, è nato nell’ottavo giorno di una seconda linea nel reame di Sou-Lin, che designa presso i cinesi l’Asia occidentale, dunque la Siria o la Babilonia, secondo la traduzione di Pelliot. Un altro frammento dello stesso catechismo, chiamato frammento Stein, è riprodotto in una delle compilazioni cinesi del XVIII secolo in cui il Buddha è chiamato Mani. Poi essi decifrarono dei manoscritti in pehlvi, in sogdiano, in turco antico, in uiguro e in cinese, nei quali si predicava la “religione della luce, dei due principi e dei tre movimenti.” Si è trovato una raccolta di inni e di preghiere con le loro notazioni musicali – “ciò che richiama i manichei, al dire di Sant’Agostino, è che essi amano molto la musica” -, un formulario di Confessione ricostruito frammento per frammento grazie alle scoperte di  M. Radloff, identico a quello che si pratica presso i buddhisti; una regola della comunità che ci fa conoscere quali sono le condizioni a cui deve adempiere colui che vuole entrare nell’ordine, come deve essere il tempio, etc.; un frammento di vangelo apocrifo; un altro frammento della vita di Buddha; un “libro santo incompleto di una religione della Persia” pubblicato a Perkin e trovato anche a Touen-Houang [è un trattato manicheo datante il 900 circa]; raccolte di pezzi cinesi ispirati alle diverse opere di Mani stesso che, seduto in mezzo ai suoi fedeli, è reputato rispondere alle domande che gli pone il suo discepolo preferito Addo, o Addas. – Messo in presenza di una scoperta così prodigiosa di manoscritti manichei in gran numero in diversi monasteri buddhisti dell’Asia centrale, gli storici non hanno compreso che l’insegnamento di questi manoscritti era identico a quello del buddhismo, che il Buddha del quale seguivano le lezioni, era Mani stesso, perché bisogna comprendere che mai i discepoli del Buddha-Mani si sono chiamati manichei. È il termine che fu loro dato dagli storici greci  latini. Essi erano soltanto i “figli della luce”, i discepoli del Buddha, l’illuminato. Questi storici, ingannati dalla certezza che avevano di un buddhismo anteriore al Cristianesimo, hanno tentato di collegare questi documenti manichei alla religione del Buddha con l’idea di una ricopiatura.  I manichei, essi dicevano, hanno praticato un sincretismo sistematico. Altri dicono che il buddhismo sembra essere stato coevo del manicheismo presso gli uiguri. Henri-Charles Puech, nel suo libro sui manichei, ci dice che essi tentavano un avvicinamento al fine di applicare a Mani testi buddhisti, supposti anteriori. Egli precisa che, nel “catechismo cinese”, detto frammento Stein, di cui abbiamo parlato, si fondono taoismo, buddhismo e manicheismo. In effetti questo catechismo cinese ha, come precursori di Mani, Buddha e Lao-Tseu. Nel frammento di Tourfan si è trovata la successione degli ancestri di Mani e di Buddha: “Lista dei profeti dell’umanità: Sem, Shem, Enosh, Nicoteo, Henoch, Gesù”. “L’apostolo di luce, che viene cinque volte nel suo tempo, si riveste della chiesa di carne d’umanità e diviene capo in seno alla “chiesa di giustizia”. Egli è l’emanazione di Nous-Luce, padre di tutti gli apostoli”. È già l’idea gnostica dei grandi iniziati. – “Mescolanza, sincretismo, coesistenza”? Ancora bisognerebbe spiegare il perché di questo incontro tra questi due sistemi religiosi, il perché dell’identità dei personaggi: monaci buddhisti o manichei? Buddha o Mani? Chi ha copiato dall’altro? Quando noi leggiamo ad esempio i riferimenti fatti al Cristianesimo nella biografia del Buddha, noi siamo portati a pensare che l’uno abbia preceduto l’altro. Se vogliamo pure esaminare le cose più da vicino, vediamo che il buddhismo ha operato una cernita nei suoi “assorbimenti” e ci accorgiamo che ha rigettato dal Cristianesimo gli stessi elementi già rigettati dagli gnostici manichei: il culto della croce, la nozione del Sacrificio, i sacramenti, etc. … e che gli elementi che gli sono pervenuti, sono stati copiati dai vangeli apocrifi gnostici … – In conclusione, sembra che il buddhismo dell’Asia centrale non sia venuto dall’India, ma dalla Persia e dai regni Sciti, ciò che lascia pensare che il buddhismo sia penetrato tardivamente nell’India e che non vi si sia tenuto se non provvisoriamente, perché si scontrava con l’ostilità dichiarata dei brahmani. Ma vi torneremo.

Da Mani a Buddha.

Mani aveva delle nozioni estese in pittura e scultura grazie alle quali aveva acquisito grande celebrità in Asia. Egli percorse l’Indostan ed il Turkestan. Un giorno, avendo scoperto nel deserto una montagna che comunicava mediante una vasta caverna con una pianura deliziosa e che non aveva altre uscite, si risolse segretamente a vivervi per un anno. Egli annunziò allora ai suoi discepoli che stava per risalire in cielo dal quale sarebbe ridisceso dopo un anno per portar loro gli ordini di Dio, che avrebbe loro portato vicino alla caverna di cui indicava la posizione. Vi si ritirò dunque e visse solo per un anno, occupato interamente a dipingere ed incidere figure straordinarie su una tavola chiamata ertankimany. Al tempo convenuto, riapparve nei paraggi della caverna aspettando i suoi discepoli. Mostrò loro le tavole che aveva riunito in un volume e dichiarò loro che questo grande libro proveniva dal cielo. Tutto il Turkestan abbracciò la sua “religione della luce”. Le comunità manichee si diffusero nei regni dell’Asia centrale sotto la protezione dei Parti e degli Sciti. Esse stabilirono delle “chiese-monastero”, sotto la direzione dei successori di Mani, i Buddha, i  Saravan, gli Imam, capi supremi della chiesa. Lo stesso Mani, dopo la sua gnostica “crocifissione”, è risalito fino alla “colonna di luce”, poi alla luna e al sole per giungere nel “paese del riposo e della gioia”, il “Nirvana”, “l’eterno regno di luce” che è la sua patria ritrovata. Egli è il sigillo dei profeti, l’apostolo dell’ultima generazione. Tutte queste espressioni si ritrovano nei manoscritti scoperti a Tourfan. – Nel corso dei suoi studi sul manicheismo, Henri-Charles Puech si è avvicinato poco a poco a queste stesse conclusioni. Egli aveva ben notato che, ad esempio, il tempio buddista di Bezelik, situato presso Tourfan, era incontestabilmente manicheo. Egli avrebbe potuto affermare lo stesso per tutti gli altri templi dell’Asia centrale. – Nel corso dei suoi studi sulle liturgie manichee, Puech ha egualmente notato progressivamente i loro rapporti con i riti buddhisti. Egli li ha collegati all’insegnamento di Mani. In effetti noi sappiamo che gli gnostici, e dunque i manichei, insegnano che il cosmo è animato da un principio universale, l’anima del mondo o “luce divina”; che questa anima luminosa percorre l’insieme degli esseri che costituiscono il mondo e dà la vita alle piante, agli animali, ad ogni essere vivente contiene, chiuso in esso, una scintilla luminosa dell’anima universale [panteismo gnostico]. Ciascuno di essi è dunque sensibile al dolore ed al piacere. Cuocere un frutto, tagliare un legume, sradicare un albero, sgozzare un animale, sono dei veri omicidi. L’agricoltura e l’allevamento degli animali sono attività criminali [sembra di riascoltare le stesse paranoie allucinanti dei vegani, gnostici-manichei … senza esserne ravvisati!]. Ugualmente il matrimonio e la procreazione sono condannate, perché costringono a rinchiudere queste particelle luminose, le parti migliori della “divinità universale”, nei corpi che le tengono prigioniere. Questa idea stravagante, ma logica nella sua assurdità è, con la reincarnazione, comune agli gnostici, ai manichei ed ai buddhisti, loro successori ed eredi. – A partire da questo si può comprendere l’attitudine del monaco buddhista, accovacciato a terra, con la sua ciotola di cibo in mano. – Gli “eletti”, i “puri”, i “catari”, prendono il loro pasto in comune, una volta al giorno. Prima di mangiare, si ritirano in disparte e rivolgono agli alimenti questa preghiera: “ non sono io che vi ho raccolto, che vi ho mondato, non vi ho impastato, non vi ho cotto. Così io sono innocente di tutti i mali che avete sofferto.” Si mettono in piedi o seduti con la ciotola del cibo, vaso sacro, in mano. Poi secondo un cerimoniale ben regolato, cominciano a mangiare. Essi pretendono che durante la digestione, l’anima divina racchiusa nella materia si liberi e vada dal loro stomaco per risalire in cielo e riunirsi alla sua “sorgente”. In tal modo, credono di liberare dalle tenebre della materia il “dio-luce” prigioniero. La loro masticazione è un altro atto sacro. Poi accordano il perdono ai caritatevoli catecumeni che hanno loro preparato la pietanza. La elemosina alimentare è in effetti una sacra offerta. – Henri-Charles Puech ha ugualmente comparato il manuale di confessione dei monaci buddhisti ai manoscritti scoperti nell’Asia centrale. Egli ha così concluso che questi erano calcati sullo stesso modello. Gli “eletti” manichei facevano confessione dei loro peccati davanti ai confratelli riuniti ogni lunedì. I monaci buddhisti lo fanno ogni quindici giorni, secondo lo stesso formulario, con la recita del Pâtimokka. Infatti i peccati dei monaci si riportano tutti al rifiuto della luce e della conoscenza (della gnosi!). – Infine la posizione accovacciata dei monaci si spiega con il desiderio di prendere la posizione fetale nel seno materno. Si tratta di raccogliersi in se stessi per preparasi al ritorno nella terra originale, nell’utero primitivo dal quale sono usciti tutti gli esseri, in modo da accelerare la morte che libererà l’anima luminosa chiusa nella materia del corpo. – Noi comprendiamo bene così che i principali riti della liturgia buddhista non hanno senso intellegibile se non ci si riferisce all’insegnamento di Mani. [Il religioso romano, p. Giorgi, amico del Papa Benedetto XIV, pubblicò nel 1762 una “enorme compilazione” sotto il titolo di “alfabeto tibetano”. Egli era in corrispondenza con i religiosi cappuccini in missione nel Tibet. Grazie agli insegnamenti dei suoi confratelli, egli descrive il buddhismo come una contraffazione del Cristianesimo dovuto all’azione perversa dei manichei. Il p. De Lubac, lo gnostico della “nuovelle thèologie” – del quale ci siamo occupati in un numero precedente – che cita quest’opera aggiunge:  “Una idea fissa che falsa il suo esposto. L’opera non è letta e la conoscenza del buddhismo non ha sofferto per niente di questo insuccesso”. Questa idea fissa, come la chiamava il noto fanta-teologo gnostico del concilio para-gnostico “Vaticano II”, era pertanto pura VERITA’, come è stato dimostrato inconfutabilmente dalle ricerche recenti. È ancora una volta verificato che è cosa non buona che un autore proponga una spiegazione nuova ed inattesa, seppur veritiera, quando le idee alla moda, seppur truffaldine, si trovano in contraddizione con quest’ultima!].

Il buddismo tibetano

Secondo furto al Cristianesimo. Il padre Huc, nel corso del suo viaggio in Tartaria, in Tibet e Cina, non è stato affatto sorpreso di incontrare nel culto dei Lama, il pastorale, la mitra, la dalmatica, la cappa, il flagellum, la benedizione data stendendo la mano sulla testa dei fedeli, un servizio a due cori con sermone, salmodia, litanie, genuflessioni, il culto delle reliquie, l’uso dell’acqua benedetta, degli esorcismi, il rosario, la campanella, le campane, l’incensiere, gli altari decorati con i fiori, delle immagini, ad esempio una donna portante una corona sulla testa ed un bambino nelle braccia, che schiaccia con il piede un dragone. Egli ha riconosciuto ugualmente una descrizione figurata di un vero purgatorio, ove i demoni tormentano i defunti nei cerchi, che ricordano l’inferno di Dante (ancora un’altra fonte per Dante: dopo Ibn Arabi, il buddhismo!), le processioni all’interno ed all’esterno dei templi. I monaci iniziano con un apprendistato, poi ricevono un’ordinazione; essi fanno voto di obbedienza, di castità e povertà, praticano la confessione, si rasano la testa e vivono nei monasteri sotto la direzione dei superiori. Esistono pure dei conventi femminili. Alla testa della chiesa si trova un “papa”, il Dalai Lama, assistito dai cardinali, i Tchoutouktous. – Il padre Huc ci spiega che questi adattamenti sono venuti direttamente dalla Chiesa Romana, in seguito alle relazioni che si sono avute nel XIII secolo tra l’impero Mogol ed i Cristiani di Occidente. L’autore di queste copie sarebbe questo Tsong-Khapa, che fu forse pure il vero fondatore del lamaismo. – La somiglianza tra i riti Cristiani e buddhisti è stata segnalata in questa epoca, il XIII secolo, da Jean de Ruysbroeck che visitò gli stati del Gran Kahn. Egli stabilì nettamente la differenza tra i Saraceni, i nestoriani e gli idolatri, cioè i buddhisti. Entrando in un tempio buddhista degli Uiguri, esclamò: “ Quando entrai nel loro tempio mi sembrò di  vedere dei preti veri!”

Il culto di Krishna

Terza copia del Cristianesimo: il culto di Krishna. Il buddismo è penetrato fortemente dell’India nel corso del Medio-Evo. Ora, Buddha condannava le caste, proclamava l’uguaglianza tra gli uomini, accoglieva ugualmente il principe e il paria.: « il brahmano, o discepolo, è nato da una donna, così come il tchandala, l’ultimo degli umani, a cui chiude la porta della salvezza ». – I brahmani si opposero inizialmente al buddhismo che invadeva il culto sensuale e gioioso di Vischnù, già molto diffuso e lo resero ancor più popolare identificando il “dio” con gli eroi famosi delle grandi guerre, Krischna. Nel Rig-Veda, Krischna signifia “nero”, e designa i demoni, nemici di Indra (lo Zeus indiano). Poi Krischna fu rappresentato come l’eroe delle grandi guerre per simbolizzare di nuovo e rendere popolare la religione dei brahmani minacciata dall’invasione del buddhismo. Con questa strategia i brahmani tentarono di guadagnare alla loro causa la casta dei Kshatiyas, i guerrieri ed i re. Più tardi per ricondurre ad essi i buddhisti, misero Buddha nel Panthéon buddhista come un ultimo avatar di Vischnù. – Poi essi inviarono i loro “saggi” in Occidente a studiare la dottrina cristiana, come annota il Mahâbharata. Questa conoscenza del Cristianesimo dovette loro fornire nuovi concetti religiosi che sembrarono loro buoni per arginare i progressi del buddhismo e del Cristianesimo. Utilizzando la rassomiglianza dei nomi Krischna e Cristo, composero la Baghvad-Gita. Questo mito di Krischna prese sviluppo nel corso del Medio-Evo, poi nel XIII secolo fino al XVIII della nostra era. I Purânas sono i libri religiosi che descrivono le cerimonie ed i riti delle feste destinate a celebrare la nascita di Krischna. Vi si mostra Krischna nascente, portato sul seno di sua madre, in una capanna di pastori, circondato dai pastori, poi il viaggio di Nanda e del suo sposo Mathura per pagare il tributo, la presenza dei buoi ed altri animali domestici nella capanna della nascita, la guarigione della gobba, Koubja che aveva sparso profumo sul capo di Krischna; poi si aggiunge qualche episodio ispirato alla fuga di Bethlem, al massacro degli innocenti, ai miracoli dell’infanzia, una tentazione, una trasfigurazione. – I brahmani, introducendo questo culto di Krischna, hanno popolarizzato la teoria delle reincarnazioni divine. Krischna è il dio supremo che si incarna di tempo in tempo « ogni volta che la religione degenera e l’empietà trionfa ». Dopo il suo insegnamento, perisce di morte violenta, abbandonato dai suoi. – Egli pone al di sopra della scienza a dell’ascetismo, la « bhakti », l’amore. Ma il suo insegnamento è falsato da un senso panteista dalla Bhagavad-Gita. Gesù Cristo aveva detto: « Io sono la via, la verità e le vita ». Krischna traduce: « Io sono la vita di tutti gli esseri (dunque l’anima universale del mondo), il supporto del mondo, la sua via, il suo rifugio ». – Gesù Cristo aveva detto: « Io sono l’alfa e l’omega ». Krischna traduce: Io sono l’inizio, il centro e la fine delle cose, l’immortalità e la morte » (formula panteista). Gesù Cristo aveva detto: « Io so da dove vengo e dove vado. Ma voi non sapete né da dove vengo, né dove vado ». Krischna traduce: « Io sono passato per le nascite (metempsicosi), tu anche. Io le conosco tutte, tu non le conosci affatto » – Krischna insegna il rispetto delle caste e il finale assorbirsi nella divinità! Si vede dunque che i brahmani, nel rigettare il buddhismo, ne avevano conservato però l’essenziale: il panteismo e la reincarnazione, il dissolvimento finale nel nulla, il Nirvana. – Già gli specialisti dell’India avevano avvicinato nell’ultimo secolo i monumenti dell’India all’iconografia cristiana. Essi avevano constatato le numerose copie fatte dall’India all’Occidente cristiano. Il grande indianista Albrecht Weber aveva notato nella sua “Storia della letteratura sanscrita”: « il culto di Krischna come dio si è completato sotto un’influenza cristiana. Angelo de Gubernatis, indianista italiano, anch’egli così scriveva: « Nella mitologia brahmanica c’è una delle più belle trasformazioni della divinità alla quale ha contribuito la conoscenza del Cristo giunta fino all’India e che pareva, come già a Weber, aver fornito a Krischna, con una parte di dottrina, diversi episodi della sua vita » (Enciclopedia indiana). Lo si vede chiaramente, i veri sapienti vanno a cercare l’imitazione in India. È l’India che ha copiato il Vangelo e non il contrario! Krischna è una invenzione moderna dovuta alla preoccupazione che i brahmani hanno avuto di recuperare Buddha e Gesù-Cristo per restare i padroni delle basse caste, attirate dall’insegnamento dei missionari. – Infine si è recentemente preteso che gli Indù conoscessero la Trinità. Ora questa concezione è tardiva  presso i brahmani; essa risale solamente ai  Purânas, scritti nel corso del Medio-Evo, ed « imitazione del dogma cristiano sfigurato » come dice molto esattamente Angelo De Gubernatis. Essi hanno ammesso Vishnù e Civa in un gruppo supremo ove hanno introdotto il loro Bramha. Essi insegnarono ai loro discepoli che questi tre nomi non designano che delle forme o maniera d’essere della divinità. Essi hanno impiegato la parola Trimurti, « tripla forma », ma questo è un vocabolo recente, moderno, destinato a dare una colorazione di sapienza ed occidentale al loro insegnamento.

[Continua …]