DOMENICA XXIII dopo PENTECOSTE

DOMENICA XXIII dopo PENTECOSTE

Incipit
In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus
Jer XXIX:11; 12; 14
Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis. [Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.]
Ps LXXXIV:2
Benedixísti, Dómine, terram tuam: avertísti captivitátem Jacob.
[Hai benedetta la tua terra, o Signore: hai distrutta la schiavitú di Giacobbe.]

Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis. [Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.]

Oratio
Orémus.
Absólve, quǽsumus, Dómine, tuórum delícta populórum: ut a peccatórum néxibus, quæ pro nostra fraglitáte contráximus, tua benignitáte liberémur.
[Perdona, o Signore, Te ne preghiamo, i delitti del tuo popolo: affinché dai vincoli del peccato, contratti per lo nostra fragilità, siamo liberati per la tua misericordia.]

Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Philippénses.
Phil III:17-21; IV:1-3
Fratres: Imitatóres mei estóte, et observáte eos, qui ita ámbulant, sicut habétis formam nostram. Multi enim ámbulant, quos sæpe dicébam vobis – nunc autem et flens dico – inimícos Crucis Christi: quorum finis intéritus: quorum Deus venter est: et glória in confusióne ipsórum, qui terréna sápiunt. Nostra autem conversátio in cœlis est: unde etiam Salvatórem exspectámus, Dóminum nostrum Jesum Christum, qui reformábit corpus humilitátis nostræ, configurátum córpori claritátis suæ, secúndum operatiónem, qua étiam possit subjícere sibi ómnia. Itaque, fratres mei caríssimi et desideratíssimi, gáudium meum et coróna mea: sic state in Dómino, caríssimi. Evódiam rogo et Sýntychen déprecor idípsum sápere in Dómino. Etiam rogo et te, germáne compar, ádjuva illas, quæ mecum laboravérunt in Evangélio cum Cleménte et céteris adjutóribus meis, quorum nómina sunt in libro vitæ.

OMELIA I

[Mons. Bonomelli: Nuovo saggio di Omelie; vol. IV – Omelia XXI– Torino 1899]

 

“Fratelli, siate imitatori miei, e riguardate quelli che procedono nel modo, del qual- avete l’esempio in noi. Perché molti, dei quali spesso vi parlavo, ed ora ve lo ripeto piangendo, operano da nemici della croce di Cristo; fine dei quali è la perdizione, il cui Dio è il ventre, e la gloria è a loro ignominia, che non amano che le cose terrene. Ma noi siamo cittadini del cielo, donde anche aspettiamo il Salvatore, Signor nostro Gesù Cristo; il quale trasformerà l’abbiettissimo nostro corpo, modellandolo sul suo corpo gloriosissimo con quella operazione, con la quale può anche sottomettere a sé ogni cosa. Il perché, o fratelli carissimi e desideratissimi, mia gioia e mia corona, tenetevi così saldi nel Signore, o carissimi! Esorto Evodia e prego anche Sintiche a sentire lo stesso nel Signore. Prego te pure, compagno leale, le soccorri, come quelle che hanno combattuto per il Vangelo insieme con me e con Clemente e gli altri miei cooperatori, i nomi dei quali sono nel libro della vita „ (Ai Filippesi, c. III, 17-21; c. IV, 1-3).

Anche queste sentenze sì piene d’affetto paterno si trovano nella Epistola di S. Paolo ai fedeli della Chiesa di Filippi. Ormai quella lettera quasi per intero nel corso dell’anno ecclesiastico è passata sotto i nostri occhi. Il metodo che noi teniamo di spiegare parola per parola le sentenze delle Lettere apostoliche, ha lo sconcio di dover ripetere non poche volte le stesse verità; ma ha pure dei vantaggi non lievi, tra gli altri quello di seguire passo passo l’Apostolo nelle sue esortazioni sì belle e sì eloquenti, di conoscere i bisogni, i mali ed i beni di quelle cristianità appena nate, che di poco si differenziano dai nostri, e di sentire, direi quasi, ad uno ad uno i battiti di quel cuore tutto zelo per la salvezza delle anime, e di addentrarci in ogni pensiero, anche minimo, di quell’altissima mente. Fu detto, ed a ragione, che il mezzo più facile e sicuro per conoscere un uomo, è quello di leggere le sue lettere: ciò si avvera singolarmente quanto all’Apostolo: la lettura e lo studio, anche ad intervalli, di queste lettere ammirabili, ci fanno entrare nei penetrali di quell’anima incomparabile e ce ne fanno sentire tutta la grandezza. Ma lasciamo da banda qualunque esordio, veniamo alla chiosa degli otto versetti che vi ho riportati. –  Il muratore, che costruisce il muro, prima di porre una nuova pietra, con la mano si assicura che quella già posta sia salda; così anch’io, prima di spiegarvi la lezione dell’odierna Epistola, debbo vedere alcune sentenze che le stanno innanzi, affinché apparisca il legame tra loro e l’armonia delle parti. S. Paolo, dopo aver esortati i Filippesi ad una santa letizia, e messili in guardia contro i giudaizzanti, i quali volevano legare il cristianesimo alla legge mosaica; dopo aver detto che i veri circoncisi, i veri Israeliti sono i cristiani, che hanno la circoncisione dello spirito, non quella inutile della carne; dopo aver detto che anch’egli fu addetto al giudaismo, ma che ora lo reputa fango per seguir Cristo, che lo ha tirato a sè, prosegue esortando tutti a fare lo stesso, e scrive: ” Fratelli, siate imitatori miei — Irnitatores mei estote, fratres. ,, Grande, o cari, è l’efficacia dell’esempio sugli animi nostri, e ben maggiore che non sia la efficacia della parola. Allorché noi vediamo un alto personaggio, il capo nostro affrontare pel primo i pericoli e superare i maggiori sacrifici, quasi nostro malgrado ci sentiamo spinti a seguirlo, e talvolta i codardi diventano eroi. Simone Maccabeo giunse coll’esercito sulla riva d’un torrente impetuoso: bisognava guadarlo: i soldati esitavano dinanzi al pericolo: Simone pel primo gittossi nel torrente e passò, e dietro a lui, pieno di entusiasmo, passò tutto l’esercito. Sulle rive della Beresina si accalcavano a migliaia i miserabili avanzi del grande esercito di Russia: il ponte era distrutto : i cosacchi incalzavano alle spalle: il fiume mezzo agghiacciato: i soldati, intirizziti dal freddo, atterriti, non avevano sotto le palle nemiche ricostruire il ponte: un disastro irreparabile era imminente. Un generale si lancia nel fiume fino alle spalle: l’acqua gli gelava intorno alla persona, e vi stette alcune ore, di là incoraggiando i soldati e dirigendo i lavoranti alla ricostruzione del ponte, e salvò le reliquie dell’esercito (Il fatto è narrato coi colori più vivi dal Thiers nella sua storia dell’Impero; quell’intrepido generale del Genio francese era Eblé, che poco dopo morì). – L’esempio fa prodigi. Noi, uomini di Chiesa, dobbiamo camminare innanzi a voi, o laici, e guai se non lo faremo; ne renderemo conto strettissimo a questo Duce supremo; ma voi pure, o padri e madri, voi, o padroni, voi che tenete un’autorità qualunque, dovete precedere col buon esempio i vostri figli, i vostri dipendenti, i vostri soggetti in guisa da poter loro indirizzare le parole dell’Apostolo : “Fratelli, siate miei imitatori. „ – E non è questo orgoglio, o grande Apostolo? Pòrti innanzi come esempio di perfezione? Perché non dire piuttosto: Siate imitatori di Gesù Cristo? — No, non è orgoglio quello dell’Apostolo, che nelle sue lettere in faccia al mondo confessò tante volte le sue colpe; tre righe più sopra di queste parole egli confessa d’essere stato giudeo, ostinato persecutore della Chiesa: poi, il dire la verità, quando torni a bene altrui, benché ridondi a proprio onore, non è orgoglio, purché retta sia l’intenzione. Finalmente, se qui l’Apostolo propone se stesso in esempio, si associa tosto gli altri, scrivendo: ” E riguardate a quelli che procedono nel modo, del quale avete l’esempio in noi; „ vedete cioè e seguite tutti quelli che tengono con me la stessa via: onde l’Apostolo conforta i fedeli ad imitare non solo sé, ma tutti quelli in genere che corrono la via della verità e della virtù. E d’avere buoni esempi, e seguirli animosamente, avevano bisogno anche i Filippesi, perché pur troppo avevano sotto gli occhi uomini, e non pochi, di scandalo. Udiamo S. Paolo. “Molti, dei quali spesso vi parlava, ed ora ve lo ripeto con le lacrime, operano da nemici della croce di Cristo. „ State sull’avviso, così l’Apostolo; se molti tra voi seguono la via retta, e potete e dovete imitarli, molti camminano per vie torte, e dovete fuggirli. E chi sono? Sono uomini che vi additai quando ero in mezzo a voi, e li conoscete: uomini, che con le perverse loro dottrine e prava loro condotta mi colmano di dolore e mi fanno versare lacrime amarissime; ve lo dico con una sola parola: ” Sono nemici della croce di Cristo — Inimicos crucis Christi. „ Non dovete credere che con la parola croce l’Apostolo intenda significare la croce materiale: con la parola croce indubbiamente vuole indicare la dottrina di Cristo, come noi pure siamo soliti fare nel nostro linguaggio. Nondimeno vi deve essere una ragione speciale, per cui S. Paolo in questo luogo volle usare questa forma di dire, che non gli è famigliare, e deve essere questa: I giudaizzanti, che seguivano e perseguitavano da per tutto l’Apostolo con una rabbia implacabile, insegnavano doversi osservare la circoncisione e tutte le prescrizioni mosaiche, m a non si curavano gran fatto della mortificazione della carne e delle passioni: volevano tutto il bagaglio materiale della legge, ma del culto interno, della vita dello spirito, della crocifissione delle passioni, nulla o quasi nulla. Questi uomini S. Paolo li designa con la frase energica e felice di nemici della croce di Cristo; son gente, secondo san Paolo, che non vogliono patire, che non vogliono rinnegare se stessi, che non vogliono crocifiggere le malnate loro cupidigie, che respingono e combattono la dottrina di Cristo, che si compendia nella croce. – E di questi nemici della croce di Cristo quanti ne abbiamo noi pure, o carissimi! Nemici della croce di Cristo sono coloro che recitano, se volete, lunghe orazioni, che intervengono alle sacre funzioni, che ascoltano la S. Messa, che accettano tutto il simbolo, si dicono cattolici, ma non vogliono rompere quella tresca nefanda, non vogliono restituire il mal tolto, ricusano di dar pace all’offensore, tengono mano a contratti usurai, si abbandonano all’ubriachezza ed ai bagordi, sonieni d’orgoglio, e se fosse possibile convertirebbero in oro le gocce di sudore dei loro operai, avidi solo di arricchire: ecco i nemici della croce di Cristo. Ricordino costoro la sentenza dell’Apostolo: “Quelli soltanto appartengono a Cristo, i quali hanno messo in croce la loro carne colle sue cupidigie e coi suoi vizi. ,, – E quale sarà la fine di questi nemici della croce di Cristo? Risponde l’Apostolo: “La perdizione eterna — Quorum finis interitus. Non ingannatevi, così nel vigoroso suo linguaggio S. Paolo: se fuggite la croce di Cristo, se l’odiate, se accarezzate la vostra carne, finirete nell’eterna perdizione. — Qui l’Apostolo, quasi sfavillante di nobile sdegno contro questi nemici della croce di Cristo, della quale sola egli si gloriava, ch’era tutta la sua sapienza, come protesta altrove, usa una frase piena di forza, ed esclama: ” Questi uomini, il Dio dei quali è il ventre — Quorum Deus venter est. „ – Non vi è dubbio, la frase rovente cade su coloro, che per servire alla gola, col mangiare e col bere, a guisa d’esseri irragionevoli, non curano le leggi sante della temperanza, dimenticano e calpestano ogni dovere, e tutto sacrificano al ventre. Gran cosa! Grande è l’amore degli uomini al denaro, più grande forse ancora alla propria stima, all’onore: sommo poi è l’amore alla sanità ed alla vita del corpo; eppure, per saziare le voglie della gola si consuma il patrimonio, si disprezza il proprio onore e la stima del pubblico, e si fa getto persino della sanità del corpo e si accorcia la vita, tanta è la tirannia di questa passione animalesca. Che dico animalesca! Peggio che animalesca; perché non troverete animale, che, lasciato in balia a se stesso, ecceda i limiti del necessario e del conveniente: poiché ha spento il bisogno naturale di cibo, s’acqueta e cessa di nutrirsi, dove ché l’uomo già satollo ed ebro, ancora domanda cibo, ancora desidera il vino! Aveva ragione Crisostomo di scrivere, che ad alcuni fa più danno il ventre, cioè la gola sregolata, che il mare, allorché uscito dai suoi confini, inonda i campi vicini. Voi lo sapete, o cari, se il valicare alcun poco i confini della cristiana temperanza non è colpa grave, lo è sempre allorché si nuoce (e spesso ciò accade) alla salute del corpo, si perde la ragione, si reca scandalo e si fa soffrire la fame ai figli e alla moglie, e si corre pericolo di proferire bestemmie ed oscenità, e appiccar risse. È vergogna e somma per noi uomini e cristiani, chiamati a servir Dio, servire al ventre! – Un’altra espressione aggiunge l’Apostolo per folgorare questi nemici della croce di Cristo: ” E l a gloria è a loro ignominia; „ e vuol dire: Costoro si fanno un vanto, una gloria di ciò che li dovrebbe far arrossire e vergognare: si vantano delle loro crapule, delle loro immondezze, dei loro vizi, mentre dovrebbero sentire la loro ignominia. È male il darsi in braccio alle passioni, quali che siano; ma il gloriarsi d’essere schiavi delle passioni e menarne quasi trionfo, è cosa intollerabile, è l’essere caduti in fondo al degradamento morale; e a tanta abbiettezza e vergogna si giunge per alcuni cristiani, i quali vanno con la fronte alta e portano in trionfo: i loro viz.! Quorum gloria in confusione est, grida S. Paolo. Davvero costoro, così continua l’Apostolo. “non amano, non gustano che le cose terrene — Qui terrena sapiunt. „ Vedeteli questi uomini, che non han gusto che per le cose materiali; parlate loro di Dio, della vita avvenire, della virtù, delle gioie della buona coscienza, della pace del giusto, della serenità dell’uomo, signore delle proprie passioni; essi si annoiano, si stancano, si offendono: essi non parlano che di passatempi, di affari, di teatri, di conviti, di balli, di piaceri sensuali; han perduto il senso delle cose dell’anima, e non gustano che le cose della terra: Terrena sapiunt. Ci vorrà un miracolo della grazia perché questi, tutto sensi e carne, si riducano ancora sulla via del cielo. A questi uomini, nemici della croce di Cristo, schiavi della gola, che non hanno gusto se non per le cose della terra, S. Paolo, con felice passaggio, contrappone la vita dei veri cristiani, dicendo: ” Noi siamo cittadini del cielo, „ ossia, noi viviamo qui sulla terra come se già fossimo in cielo: Nostra autem conversatio in cœlis est. Codesti uomini dei quali vi ho parlato, son sempre fitti col pensiero e con l’affetto, con la mente e col cuore nelle cose misere e caduche di quaggiù: Terrena sapiunt; noi illuminati dalla fede, sorretti dalla speranza, portati sulle ali della carità, ci solleviamo in alto, viviamo in cielo. Come ciò si intende? Con tutta facilità. Noi abbiamo questo corpo, e finché viviamo, esso non può dimorare che sulla terra. Ma in questo corpo vive l’anima nostra: essa pensa ed ama, e non può non pensare ed amare, come il corpo non può non respirare. Il pensiero e l’amore sono le due perenni manifestazioni dell’anima nostra, sono le due ali, con cui vola là dove le aggrada. Dov’è l’anima nostra? Là dove è il suo pensiero e dove la ferma il suo affetto: il corpo è sempre qui sulla terra, ma l’anima è là dove vuole e come vuole e quando vuole la sua mente e il suo cuore. Mirate l’astronomo: col suo corpo è là sul suo osservatorio, forse seduto sopra la sua sedia: appunta il suo telescopio, e l’anima sua viaggia nei campi del cielo, passeggia d’astro in astro, contempla quelle stelle, la cui luce percorrendo pure 300,000 chilometri ogni minuto secondo, impiega cinque, dieci, dodici anni per giungere su questo atomo della terra! Il corpo è qui, e l’anima va pellegrina più rapida della luce per gli spazi sterminati del cielo. Vedete l’esule ebreo sulle sponde dell’Eufrate: il corpo  è là, l’anima sua s’aggira sui colli della sua Gerusalemme. Quante volte voi, che mi ascoltate, col corpo vi trovate lungi dalla patria, dal focolare domestico! E quante volte sorprendete il vostro pensiero e il vostro affetto che vagheggia le colline che circondano la patria, vi trovate in mezzo ai vostri cari! Si vive in un luogo col corpo, si può vivere altrove coll’anima, e si vive con essa là dove si pensa e si ama. Or bene, dilettissimi: noi siamo condannati a vivere col corpo qui sulla terra quanto piacerà a Dio: ma coll’anima possiamo e dobbiamo vivere là dove è la vera e stabile nostra patria, là dove sono i Santi, là dove è Dio, il Padre nostro, che ci aspetta, là dove staremo eternamente. Quando solleviamo la mente e il cuore a Dio, quando detestiamo il vizio ed amiamo la virtù, quando preghiamo, quando meditiamo le eterne verità, quando disprezziamo le cose della terra e sospiriamo quelle del cielo, allora noi viviamo in cielo, siamo cittadini del cielo: Nostra eonversatìo in cœlis est. Quale felicità, o carissimi! Allora non si sentono, o si sentono più lievemente i mali della terra, e si pregustano le delizie, onde si saziano senza mai saziarsi i beati. In alto adunque, o cari, i nostri pensieri, in alto i nostri affetti e desiderii: Sursum corda! Cominciamo ora a vivere lassù, dove eternamente vivremo, ponendovi, come scrive S. Agostino, le primizie del nostro spirito. Seguitiamo l’Apostolo, il quale, dopo averci esortato a vivere fin d’ora in cielo, coglie l’occasione di rammentare un’altra verità fondamentale, che alla accennata si lega come l’effetto alla causa. Viviamo in cielo, ” donde aspettiamo il Salvatore Signor nostro Gesù Cristo. „ Gesù Cristo risorto e glorioso regna in tutta la sua divina maestà in cielo; nostro capo e modello lassù ci ha preceduto, di lassù guida i nostri passi con la fede, avvalora la nostra debolezza con la sua grazia, e di lassù alla fine dei tempi verrà a coronare i nostri sforzi e a compiere le nostre speranze. Come? “Trasformando l’abbiettissimo nostro corpo, conformandolo o modellandolo sul suo gloriosissimo. „ Rallegratevi, gioite, esclama il nostro Paolo, riguardando il cielo: verrà giorno, nel quale Gesù Cristo, nella sua umanità, raggiante di luce, si mostrerà su questa terra: e come il sole, con la sua luce, riscaldando la terra, fa rigermogliare le piante e copre d’un verde ammanto tutta la natura, richiamandola ad una seconda vita, così Gesù Cristo, mostrando il suo corpo, quasi sole versante luce e calore di vita divina, farà risorgere dalla loro polvere i nostri corpi, li rivestirà di gloria, li riempirà d’una giovinezza fiorente ed immortale. Come doveva essere bello, sfavillante di luce e di gloria il corpo di Gesù Cristo, allorché l’anima sua fu ad esso ricongiunta e apparve alla madre e agli Apostoli! Ebbene: i nostri corpi in quel gran dì saranno foggiati sul corpo stesso di Gesù Cristo, come qui dichiara l’Apostolo, e “risplenderanno come il sole — Fulgebunt sicut sol.,, – ” A che ti lamenti, così S. Bernardo parlava al suo corpo, a che ti lamenti? A che ricalcitri? A che combatti lo spirito? Se lo spirito ti umilia, ti castiga, ti assoggetta, lo fa Per il suo e per il tuo meglio… Pensa, che Colui, che ti ha fatto, ti trasformerà. „ Come potrà egli, Gesù, trasformare il nostro corpo? ” Con quella operazione o con quella forza, con la quale può assoggettarsi ogni cosa, „ vale a dire, usando quella forza stessa, con la quale risuscitò il suo corpo, e con la quale signoreggerà a suo tempo ogni cosa. Gesù Cristo è uomo, ma anche Dio, e come Dio tutto può, e come con la sua parola trasse l’universo dal nulla, così con la stessa parola,  molto più facilmente, richiamerà alla seconda ed eterna vita i nostri corpi. – Ricordate queste sì alte verità, S. Paolo ad un tratto si rivolge ai suoi figliuoli spirituali, e scrive: ” Perciò, o carissimi e desideratissimi fratelli, mia gioia e mia corona, tenetevi così saldi nel Signore, o carissimi! „ In queste affettuosissime parole si sente palpitare il cuore dell’Apostolo e del padre tutto tenerezza per i suoi figli. Uomo veramente ammirabile è il nostro Paolo! Scorrendo la sua vita e leggendo le sue lettere, noi troviamo in lui l’apostolo intrepido, la tempra d’acciaio, il martire: ha pagine d’un vigore, d’una eloquenza irresistibile, rimproveri acerbi, parole di fuoco contro gli scandalosi, i seduttori, i corruttori della verità; e poi ad un  tratto il suo stile si muta, diventa dolce, insinuante, festivo, amabile, lo si direbbe il linguaggio, non d’un padre, ma d’una madre la più tenera. Egli riunisce in sé gli estremi, com’ è dei grandi uomini, e la sua parola veste tutte le forme con una rapidità e facilità singolare. Egli vuole raffermare nella verità insegnata i suoi Filippesi, e nella foga del suo dire per stringerli a sé e quindi a Dio, li chiama “sua gioia — gaudium meum; corona del suo apostolato — corona mea, desideratissimi; „ e quasi non trovasse più altre parole per versare la piena del suo affetto, ripete due volte la parola carissimi. Sembra di vedere questo uomo, già innanzi negli anni, logoro dalle fatiche e dai patimenti, carico di catene in fondo alla sua carcere di Roma, stringere al suo seno l’uno dopo l’altro i suoi neofiti e bagnarli delle sue lacrime. Un uomo, che con sì affocato affetto amava i suoi figli, doveva essere con eguale affetto da loro riamato, ed i Filippesi gliene diedero prova, mandandogli Epafrodito fino a Roma per consolarlo e soccorrerlo nella sua prigione e nei suoi bisogni. L’affetto vivissimo che legava Paolo ai suoi figli di Filippi, e questi a lui, dovrebbe essere il modello dell’affetto che deve stringere ogni pastore al suo gregge e il gregge al pastore. – La vera virtù è sempre graziosa, e non  manca mai di usare quei modi che sono voluti dalla buona educazione, e S. Paolo 1i osserva perfettamente nelle sue lettere, che si chiudono con molti saluti e cordialissimi auguri: “Io esorto Evodia e prego anche Sintiche a sentire lo stesso nel Signore. „ Evodia e Sintiche erano due ragguardevoli donne, e fors’anche signore, di Filippi, convertite probabilmente dallo stesso Apostolo, che avevano resi grandi servigi alla causa della fede, come tosto si dice; in qual modo lo ignoriamo; ma. secondo ogni verosimiglianza, con la parola e con i soccorsi materiali. S. Paolo non le dimentica, e poiché sembra che tra loro fosse sorto qualche dissidio (e dove non vi sono dissidi anche tra persone buone e virtuose?), soggiunge destramente : ” Io le prego ambedue a sentire lo stesso nel Signore, „ che è quanto dire a ristabilire quella concordia, quella pace che deve sempre regnare tra le persone che servono al Signore, che camminano per le sue vie e sono informate dallo spirito di Gesù Cristo. Anche dissentendo tra loro in ciò che è lecito, non devesi mai rompere il vincolo della carità, a talché devesi sempre per amor di Dio avere un solo cuore. Poi, rivolgendo direttamente la parola ad un uomo, che doveva essere notissimo in Filippi, e che era stato suo leale compagno nell’apostolato, S. Paolo scrive: ” E prego ancor te, o leale compagno, aiutale (cioè Evodia e Sintiche), come quelle che hanno faticato nel Vangelo con Clemente e cogli altri miei cooperatori. „ S. Paolo, come Apostolo, poteva certamente comandare; in quella vece prega, insegnandoci che è più conforme allo spirito cristiano, anche in quelli che tengono autorità, il pregare che il comandare, e meglio rispecchia la fratellanza e l’umiltà sì spesso e sì fortemente inculcata nel Vangelo. S. Paolo, tra gli altri suoi cooperatori, nomina Clemente, che può essere quello stesso, che poi tenne la cattedra di S. Pietro e scrisse le due magnifiche lettere ai Corinti, continuando l’opera pacificatrice del suo maestro, S. Paolo stesso. “I nomi di costoro, dice S. Paolo, sono scritti nel libro della vita. „ Certo nessuno di voi, o cari, penserà che Iddio tenga un libro, sia della vita, sia della morte, sul quale siano scritti i nomi, volete degli eletti, volete dei reprobi. Dio non ha bisogno di libri, Dio che tutto vede e conosce perfettamente: è un modo di dire che dobbiamo usare noi, uomini, parlando di Dio. Il libro di Dio è la sua scienza infinita, a cui nulla può sottrarsi, né in cielo, né in terra: e Dio conosce quelli che lo servono e lo amano, e questi sono chiamati alla vita eterna, e perciò si dicono scritti nel libro della vita. Carissimi! Viviamo in modo che i nostri nomi tutti siano scritti su quel libro della vita, a cui aspiriamo, libro che si scrive da ciascuno di noi con le opere sue, e dal quale nulla si scancellerà mai per tutti i secoli dei secoli.

 Graduale
Ps 43:8-9
Liberásti nos, Dómine, ex affligéntibus nos: et eos, qui nos odérunt, confudísti.
[Ci liberasti da coloro che ci affliggevano, o Signore, e confondesti quelli che ci odiavano.]
In Deo laudábimur tota die, et in nómine tuo confitébimur in saecula. Allelúja, allelúja. [In Dio ci glorieremo tutto il giorno e celebreremo il suo nome in eterno..]

Alleluja

Allelúia, allelúia

Ps CXXIX:1-2
De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam. Allelúja. [Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera. Allelúia.]

Evangelium
Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthǽum.
Matt IX:18-26
In illo témpore: Loquénte Jesu ad turbas, ecce, princeps unus accéssit et adorábat eum, dicens: Dómine, fília mea modo defúncta est: sed veni, impóne manum tuam super eam, et vivet. Et surgens Jesus sequebátur eum et discípuli ejus. Et ecce múlier, quæ sánguinis fluxum patiebátur duódecim annis, accéssit retro et tétigit fímbriam vestiménti ejus. Dicébat enim intra se: Si tetígero tantum vestiméntum ejus, salva ero. At Jesus convérsus et videns eam, dixit: Confíde, fília, fides tua te salvam fecit. Et salva facta est múlier ex illa hora. Et cum venísset Jesus in domum príncipis, et vidísset tibícines et turbam tumultuántem, dicebat: Recédite: non est enim mórtua puélla, sed dormit. Et deridébant eum. Et cum ejécta esset turba, intrávit et ténuit manum ejus. Et surréxit puélla. Et éxiit fama hæc in univérsam terram illam. [In quel tempo: Mentre Gesù parlava alle turbe, ecco che uno dei capi gli si accostò e lo adorò, dicendo: Signore, or ora mia figlia è morta: ma vieni, imponi la tua mano su di essa, e vivrà. Gesú, alzatosi, gli andò dietro con i suoi discepoli. Quand’ecco una donna, che da dodici anni pativa una perdita di sangue, gli si accostò da dietro, e toccò il lembo della sua veste. Diceva infatti tra sé: Solo che io tocchi la sua veste e sarò guarita. E Gesù, rivoltosi e miratala, le disse: Abbi fiducia, o figlia, la tua fede ti ha salvata. E da quel momento la donna fu salva. Giunto che fu alla casa del capo, vedendo dei suonatori e una turba di gente rumoreggiante, disse: Ritiratevi, poiché la fanciulla non è morta, ma dorme. E lo deridevano. Ma dopo che la gente venne fatta sgombrare, Egli entrò, prese la giovane per mano ed ella si alzò. E la fama di ciò si diffuse per tutto quel paese.]

OMELIA II

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. III -1851-]

Pietà.

La pietà, dice l’Apostolo, per ogni cosa per ogni modo è utile e, vantaggiosa , “pietas ad omnia utilis” (Ad Rom. XIII, 17). Quest’eccellente virtù, prosegue lo stesso, contiene in sé una sicura promessa d’ogni bene per la vita presente e per la futura, “promissionem habens vitæ, quæ mens est futuræ”. Il Vangelo di questa domenica in due esempi ce ne dà la più autentica prova. Ad un Principe della Sinagoga era morta l’unica figlia; privo d’ ogni umano rimedio s’accosta a Gesù e, “Signore, Gli dice nella più umile e rispettosa maniera, la mia figlia non vive più ma se voi vi degnate venire a porre la vostra mano sopra la stessa, io son sicuro che tornerà in vita”. Sorge il pietoso Salvatore, e lo segue accompagnato da’ suoi discepoli. Facendo strada, ecco  una donna da dodici anni languente per un ostinato flusso di sangue, che tra sé va dicendo:se mi riesce toccargli soltanto l’orlo della sua veste, io son sanata.” Così avvenne: toccò la fimbria della sua veste, e guarì sull’istante. Giunto poi Gesù alla casa del Principe, che tutta era in lutto e mestizia, “non è morta., dice Egli, questa fanciulla, ella dorme”. Certi di sua morte gli astanti, presero a scherno le sue parole. Indi entrato nella camera della defunta, la prende per mano, e viva e sana la rende ai suoi genitori. Ecco quanto fu giovevole por quel Principe e per l’emorroissa quella pietà che la fece ricorrere al Salvatore. “Pietas ad omnia utilis”… Di questa pietà, da cui, al dir di S. Agostino, derivano tutte le pratiche d’un retto vivere, “pietas, unde omnia recte vivendi ducuntur officia” (Ep. 25), io vengo a parlarvi; potrei mostrarvi di quanto vantaggio sia alla vita umana, alla vita civile, alla vita sociale, alla vita spirituale, alla vita eterna; ma per adattarmi alle strettezze del tempo , e non abusarmi della vostra sofferenza, ve ne darò un piccolo saggio, onde allettati dall’utilità che apporta, vi risolviate abbracciare cosi bella virtù. – Agli occhi del mondo, agli amatori del secolo suole comparire la cristiana pietà in aspetto d’un mostro, che divora i suoi seguaci. A disinganno di costoro, ed a nostra istruzione, eccovi un ritratto dì questa virtù, madre d’ogni retto operare, in quel che avvenne al giovane Tobia (Tob. VI). Giunto questi alle sponde del Tigri, mentre sta lavandosi i piedi, ecco venirgli incontro a bocca spalancata un pesce enorme. Ohimè, Signore, grida spaventato Tobia, aita, m’inghiotte! L’Arcangelo Raffaele sotto le sembianze d’Azaria gli fa cuore, e, “prendilo, gli dice, per una branca e trascinalo in sull’asciutto”. Ubbidisce Tobia, e trattolo in sull’arena, lo vede, dopo alquanto dibattersi, palpitante ai suoi piedi. “Dov’è, Tobia, il tuo spavento”? dovette dirgli l’Arcangelo, “tu non sai quanto sia per giovarti quel che tanto ti sbigottì. Sventralo orsù, e metti da parte il fiele: sarà questo l’opportuno rimedio a guarire la cecità del tuo buon genitore: fa altrettanto del fégato e del cuore; una porzione di questi posta sopra accesi carboni ha virtù di scacciare il demonio, e lo scaccerà infatti da Sara tua futura sposa: l’altre parti condite con sale ci serviranno per nutrimento nel nostro viaggio”. Tanto disse l’Angelo a Tobia, lo stesso io dico a voi riguardò alla pietà, alla vita devota. Sembra questa un mostro che divori per le apparenti e mal supposte difficoltà ed asprezze, che v’apprendono i mondani, ma non è così. Appigliatevi alla pietà soda e vera, ad un tenore di cristiana e costante devozione, e una dolce esperienza vi farà conoscere quanto sian vani i timori di chi si lascia sedurre dall’apparenza, vedrete in pratica di quanti beni vi sarà apportatrice. Essa v’aprirà gli occhi a conoscere la vanità delle cose terrene e la grandezza dell’eterne, vi scoprirà la bellezza della virtù e la deformità del vizio, la preziosità dell’anima, l’importanza dell’eterna salute, passerete come il vecchio Tobia dalle tenebre di cecità alla luce d’un nuovo giorno. Essa scaccerà da voi il demonio tentatore, vi farà schivar i suoi lacci, ributtar lo sue suggestioni, vincere i suoi assalti. Essa in fine sarà per voi una sorgente di benedizioni, un mezzo ond’essere provveduti di temporale sostentamento nel viaggio di questa vita mortale. Ve n’assicura in più luoghi lo Spirito Santo: per chi teme Dio non v’è da temer povertà, “non est inopia timentibus eum” (Ps. XXXIII, 10-11): a chi cerca il Signore non verranno mai meno i sussidi d’ogni bene terreno, “inquirentes Dominum non minuentur omni bono”. Noi vediamo infatti nella divina Storia, che Iddio ha sempre avuta una cura tutta singolare di quei che camminano nelle vie della giustizia e della pietà, o si tratti di liberarli da generali castighi, o di versar sopra di essi le più generose beneficenze. – Se parliamo dei flagelli, la divina giustizia sommerge il mondo tutto nell’acqua di un universale diluvio: vuol salvare una famiglia per conservare l’umana specie. Si salva la famiglia d’un malvagio? No, voi lo sapete, bensì la famiglia del giusto, Noè e tre suoi figli con le rispettive consorti. La sempre giusta ira di Dio fa piover fuoco sulle infami città di Sodoma e di Gomorra. Si vuol liberare dall’incendio fatale un’altra famiglia; sarà quella d’un impudico o quella di un casto? Ognun lo sa, vien liberato Lot con le due sue figlie, perché nella comune corruzione si è mantenuto incorrotto. Se poi si tratti di spandere le sue larghe beneficenze, mirate di grazia su chi il buon Dio le diffonde; sopra i tanto rinomati Patriarchi Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe, tutti personaggi santissimi, e nel tempo stesso doviziosissimi, abbondanti d’ogni sorta di armenti, di possessioni , di servi, d’oro, d’argento, e di ogni bene più desiderabile. E giacché di Giuseppe si è fatta menzione, vi prego a condurvi col pensiero là in Egitto nella casa di Putifar a dargli un consiglio. Egli è nel fior dell’età giovanile, chi sa che non ne abbisogni. Si trova questi in terra straniera, in casa altrui, in qualità di schiavo. La sua padrona di esso invaghita gli ha chiesto più volte corrispondenza in amore. Accostatevi al suo orecchio, o politici, voi che sul fondamento della nequizia sperate innalzar la vostra fortuna. “E possibile (par di sentirvi) … possibile in te tanta ritrosia? Si vede bene che sei semplice ed inesperto: la tua sorte è fatta se tu sai profittarne. La padrona che t’ama è ricca e potente, se tu la disgusti per uno sciocco tuo scrupolo, tu sei perduto, tu non sai quanto sia da temersi quell’odio che comincia dall’amore; tu non sai che non v’è ira che possa somigliarsi all’ira della donna. Giuseppe non sa di tanta politica, ei teme Dio, ei non v’ascolta, lascia nelle mani dell’impudica padrona la sopravvesta, e fugge dicendo, “come posso far tanto male e tanta offesa al mio Dio”? Oh! questa volta, voi ripigliate, la pietà non l’indovina. Giuseppe calunniato come tentatore vien posto in ferri, condannato ad un’oscura prigione. La pietà non l’indovina? Aspettate in grazia, ed ammirate i tratti stupendi di quell’altissima provvidenza che protegge i suoi cari. Il Faraone fa sogni misteriosi, nessun si trova capace a interpretarli, dal fondo della sua carcere si chiama Giuseppe, spiega i sogni, provvede i popoli, salva l’Egitto, ed eccolo innalzato al primo grado del regno, eccolo assiso sopra cocchio reale, acclamato per le contrade di Menfi e di tutto l’impero Salvatore del mondo. Che dite ora, Signori miei? Avrebbe potuto Giuseppe sperar dal peccato un tanto innalzamento? Sarebbe ora egli tanto celebre nella divina storia, tanto a Dio accetto, e quel che il tutto importa eternamente beato? – E pure, voi replicate, più dell’uomo pio è sovente prosperato il malvagio. Chi fa fortuna al mondo? L’usuraio nascosto, il ladro civile, lo spergiuro sfacciato, il prepotente impunibile, il litigante animoso, il superbo fortunato. È vero, sono alle volte prosperati i malvagi, ma per l’ordinario non è durevole la loro prosperità. Io fui giovane, diceva il Reale Profeta, ed ora son vecchio, “iunior fui, etenim senui”, ed ho veduto l’empio esaltato come i cedri del Libano, “vidi impium superexaltatum sicut cedros Libani” (Ps. XXXVI), … fatti alcuni passi son ritornato per rivederlo, non v’era più, “transiti, et ecce non erat”, e ne ho potuto distinguere il luogo , ov’era piantato, “quæsivi eum, et non est inventus locus eius”. Per lo contrario non ho veduto mai l’uomo giusto abbandonato, né i figliuoli andar alla cerca del pane. “Et non vidi justum derelictum, nec semen eius quærens panem”. – Inoltre gli iniqui sono talvolta felicitati, non già perchè son tali, molto meno per difetto di provvidenza, ma perché Iddio premia in ossi l’atto, o l’abito di qualche naturale virtù. Il sentimento è di S. Agostino, che porta in esempio la Romana Repubblica, da Dio prosperata con tante vittorie fino ad estendere col valor della sue armi dall’Oriente all’Occidente il suo dominio.A tanta gloria innalzò Iddio quegli antichi eroi con lauta estensione d’impero, perché di lor natura erano sobri, temperanti, fedeli nelle promesse, zelatori della giustizia, umani coi popoli soggiogati. Queste virtù naturali non potevano avere né merito, né premio di vita eterna, perché opere morte di gente idolatra: ond’è che Dio, a Cui piace l’ombra eziandìo della virtù, li ricompensò con beni terreni, con onori mondani, con felicità temporali. – Applicate questa dottrina al caso nostro. Non v’è, come è da credere, al mondo uomo così scellerato che in vita sua non pratichi, o praticato non abbia qualche atto naturalmente buono, come sarebbe soccorrere un miserabile, proteggere un oppresso, assistere un infermo, impedir l’altrui danno, amar la verità, praticar la giustizia.Questi atti naturalmente virtuosi, fatti da chi è in disgrazia di Dio, non son certo meritevoli d’eterno premio, sono ombre, sono immagini, sono cortecce di virtù, quali Iddio, autore anche d’ogni naturale onestà, non vuol lasciare senza proporzionata ricompensa.A farvi meglio comprendere quest’importante verità, e adattarmi alla capacità di tutti, fatevi tornare a mente ciò che avrete più volte veduto. Allorché un omicida, un assassino vien condannato a morte, tutta la città è in movimento. Vanno a confortarlo in carcere sacerdoti, religiosi, e i più distinti signori, lo provvedono di cibi scelti, di vini preziosi, di squisiti liquori. Nell’uscir poi della sua prigione per andar al patibolo, se lo tolgono in mezzo, l’accompagnano con carità, con tutto rispetto, come personaggio di merito singolare. Ditemi ora, gli fanno queste attenzioni perché è un assassino, perché ha tolta la vita a tanti suoi simili? Non già, e voi lo sapete, così lo trattano, perché loro prossimo e fratello in Gesù Cristo. Laonde come uomo, come prossimo, come fratello riceve tante finezze, e come omicida, come sanguinario, assassino si sospende ad un infame patibolo. – Dite lo stesso degli empi prosperati; come uomini, come ragionevoli creature, che in atto o in abito han praticata qualche naturale virtù, sono da Dio rimuneratore trattati bene nel breve corso di questa vita; come malvagi poi, e come rei saranno dallo stesso Dio, giusto punitore dell’empio e dell’empietà, condannati all’eterno supplizio. Tanto avvenne precisamente al ricco Epulone: ebbe la sua mercede in questa terra, e poi il suo castigo nell’eternità, “recepisti bona in vita tua” (Luc. XVI), gli disse Abramo dal luogo del suo riposo, ove aspettava la risurrezione del Salvatore: “recepisti”, dunque aveva qualche merito nell’ordine di natura, “recepisti bona”, e furono vestir di bisso, o di porpora, seder quotidianamente a lauto banchetto; dopo ciò, perché stato crudele verso il povero Lazzaro, fu sepolto nell’abisso infernale, “mortuus est dives et sepultus est in inferno”. – Dal fin qui detto, discende questo consolante argomento. Se il nostro buon Dio tanto ama la virtù fino a premiarne la sola apparenza nella persona dei suoi nemici, quanto più largamente ricompenserà la virtù vera, la soda pietà nella persona dei suoi eletti? Così è, così sarà: “Beato l’uomo che teme il Signore, dice il Re Salmista (Ps. I), sarà come un albero piantato in riva a fresca sorgente, che a sua stagione s’arricchirà di frutti, e in tutte l’opere sue sarà prosperato; non così gli empi, non così; ma saranno come polvere, che il vento sbalza da terra, e disperde per l’aria”. Camminiamo dunque, fratelli carissimi, nelle vie della giustizia, della devozione vera, della pietà cristiana, e scenderà copiosa sopra di noi la benedizione dell’Altissimo, benedizione foriera di quella ch’Egli comparte ai beati nel suo eterno regno, ove Dio ci conduca.

Credo…

Offertorium
Orémus
Ps CXXIX:1-2
De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam: de profúndis clamávi ad te, Dómine.
[Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera: dal profondo Ti invoco, o Signore.]

Secreta
Pro nostræ servitútis augménto sacrifícium tibi, Dómine, laudis offérimus: ut, quod imméritis contulísti, propítius exsequáris. [Ad incremento del nostro servizio, Ti offriamo, o Signore, questo sacrificio di lode: affinché, ciò che conferisti a noi immeritevoli, Ti degni, propizio, di condurlo a perfezione.]

Communio
Marc XI:24
Amen, dico vobis, quidquid orántes pétitis, crédite, quia accipiétis, et fiet vobis. [In verità vi dico: tutto quello che domandate, credete di ottenerlo e vi sarà dato.]

Postcommunio
Orémus.
Quǽsumus, omnípotens Deus: ut, quos divína tríbuis participatióne gaudére, humánis non sinas subjacére perículis.

GREGORIO XVII – IL MAGISTERO IMPEDITO: IDEALI SANTI – MODE – CELESTE PRESENZA (4)

GREGORIO XVII – IL MAGISTERO IMPEDITO: IDEALI SANTI – MODE – CELESTE PRESENZA (4)

  1. — Ortodossia

[Lettera pastorale scritta il 23 luglio 1963; «Rivista Diocesana Genovese», 1963, pp. 192-245.].

Parte terza: Celeste presenza

Il panorama del nostro piccolo mondo viene vivificato dagli ideali: senza di essi è deserto e deserta resta la vita. Per questo si è parlato di alcuni ideali. Il panorama del mondo vario, pur sempre nuovo e ricco come lo ha creato Dio, può venir guastato da artificiali e irrazionali rughe, quali determinano gli uomini, allo stesso modo con cui artisti senza umanità guastano i paesaggi. Per questo abbiamo parlato di qualche moda. Il panorama del mondo, per chi ha fede, può completarsi con realtà superiori, per nulla chimeriche, sempre operanti. Per questo parliamo qui dei santi. – La presenza dei santi ha sempre trasformato il mondo, che pare attenda la quotidiana visita di questi suoi intercessori, per non restare troppo solo. Ne parliamo perché è utile fare in proposito alcune precisazioni e perché un certo qual processo di disumanizzazione (non si tratta di altro!) pare che qualche volta investa anche i santi. Vorremmo precisare che, per quanto non sia qui oggetto diretto della nostra attenzione, quello che si dice dei santi va detto in forma assai più alta, ampia e singolare della santissima Vergine Madre di Dio. – Se qui, a proposito dei santi, ci interessa la espressione positiva, dobbiamo pure, come è nella natura e finalità di questa nostra lettera, occuparci di fatti (chiamati sopra «disumanizzazione») che possono presentarsi brevemente così: taluni, ossequenti all’andazzo esistenzialista, tendono a ridurre la valenza dei santi, mezzo eccellente per ridurre il culto, altri si direbbe che li considerino un velo frapposto tra noi e Cristo, tali dunque da desiderarne una certa rimozione quasi fossero danno al culto dovuto a Dio; altri finalmente hanno perduto la nozione della funzione complessa dei santi nella economia della salvezza. – Scriviamo perché tali mende non abbiano presa in voi e perché voi possiate educare nella serena tradizione cristiana i vostri fedeli, senza lasciarli in balìa tanto di entusiasmi vuoti che di dimenticanze offensive e dannose.

La dottrina sui Santi

Nella sua sessione XXV, il conciliò di Trento ha dedicato un notevole testo alla dottrina cattolica circa i santi, che è riassuntivo di tutta una tradizione cattolica. Vogliate leggerne qualche brano. «Mandat sancta Synodus omnibus episcopis et cœteris docendi munus curamque sustinentibus, ut iuxta catholicæ et apostolic ecclesiæ usum a primaevis christianæ religionis temporibus receptum sanctorumque Patrum consensionem et sacrorum concilio rum decreta, imprimis de sanctorum intercessione, invocatione, reliquarum honore et legitimo imaginum usu, fideles diligenter instruant, docentes eos sanctos una cum Christo regnantes orazione suas prò hominibus Deo offerre, bonum atque utile esse suppliciter eos invocare et ob beneficia impetranda a Deo per filium ejus Jesum Christum Dominum nostrum, qui solus noster Redemptor et Salvator est, ad eorum orationem opem auxiliumque confugere, illos vero qui negant sanctos æterna felicitate in cœlo fruentes invocandos esse, aut qui asserunt, vel illos prò hominibus non orare, vel eorum, ut prò nobis etiam singulis orent, invocationem esse idolatriam, vel pugnare cum verbo Dei, adversarique honori unius mediatoris Dei et hominum Jesu Christi, vel stultum esse in cœlo regnantibus voce vel mente supplicare, impie sentire» (DS. 984). [«Il Santo Concilio impone a tutti i vescovi e a tutti coloro che hanno l’obbligo d’insegnare, secondo la consuetudine della Chiesa cattolica e apostolica, ricevuta sin dai primi tempi della religione cristiana e secondo il sentimento unanime dei santi Padri e i decreti dei santi Concili, di istruire diligentemente i loro fedeli particolarmente riguardo all’intercessione dei Santi, la preghiera che viene loro indirizzata, gli onori resi alle reliquie e il legittimo uso delle immagini. Che insegnino loro che i Santi che regnano insieme a Cristo offrono a Dio le loro preghiere per gli uomini, che è buona cosa e utile invocarli umilmente e, onde ottenere i benefici di Dio per mezzo del Figlio Suo, nostro Signore Gesù Cristo, che solo è il nostro Redentore e Salvatore, di ricorrere alle loro preghiere, al loro aiuto, alla loro assistenza. Coloro i quali negano che si debbano invocare i Santi che godono in cielo l’eterna felicità; o che affermano che questi non pregano per gli uomini, o che le domande che a loro si indirizzano di pregare per ciascuno di noi sono idolatria; o che sia cosa contraria alla parola di Dio e opposta all’onore di Gesù Cristo, unico Mediatore tra Dio e gli uomini; o che sia stoltezza supplicare vocalmente o mentalmente coloro che regnano nei cieli; tutti costoro hanno pensieri empi. ».] – Il testo che segue è un’ampia conferma, anche nei particolari, circa il culto da rendere ai santi, alle loro reliquie, alle loro immagini. La Sacra Scrittura non è affatto equivoca, né avara per quel che riguarda il culto dei santi Angeli. La prassi ecclesiastica, fin dagli inizi testimone del pensiero rivelato e delle sue applicazioni, ha reso ai Santi un culto analogo a quello che la teologia biblica indica per gli Angeli. Tra questi Santi furono annoverati gli Apostoli, molti presentati o ritenuti sia discepoli del Signore, sia collaboratori degli Apostoli, i martiri. Dopo la sufficiente pace accordata alla Chiesa si diffuse, per lo stesso titolo, il culto reso ai santi non martiri, detti pertanto semplicemente confessori, nonché alle vergini e alle sante donne. – Dal secolo quarto e cioè dal momento in cui la Chiesa poté indisturbata elevare i suoi templi si direbbe che tutto si aggrappa ai Santi, alla loro memoria; e si accentua il bisogno di far passare attraverso i Santi molto di quello che deve salire a Cristo, a Dio. La comunità dei viventi, con questi non più tra i viventi, è un fatto reale, solenne, commovente, continuo. Fu specialmente al tempo della decadenza dell’impero e in tutto il medioevo come se, incombendo una solitudine sulla lenta e talvolta oscura incubazione della nuova civiltà, apparisse imperiosa ed insostituibile la ricerca di questa superna compagnia. La quale era, ancora in qualche modo, tanto umana da attrarre e non intimorire e restava sempre talmente superna da infondere fiducia, serenità e gioia. – La prassi dei secoli cristiani, a proposito dei Santi, è una prassi di compagnia continua con la città superna. Le orme impresse dalla loro vita diventavano travature per la vita pubblica e privata ed erano travature oneste, sagge, dignitose ed utili. Ancora oggi in Liguria tutto il percorso fatto al secolo ottavo dalla salma di sant’Agostino, portata a Pavia da Liutprando, è riconoscibile dalle memorie, mai estinte, che di lui vi sono scaglionate, come analoghe memorie costellano le strade per le quali passò san Bernardo. I Santi apparvero sempre come i felici e sicuri compagni di quelli che erano ancora a meritare, a penare e a combattere nel pellegrinaggio terreno. La storia del culto dei Santi, mentre attesta un dato di tradizione divina, è la storia di una singolare e vera compagnia tra viatori e beati. Resta un fatto pertinente alla vita ed alla sostanza della Chiesa, mentre non cessa di essere un fatto dei più umani e toccanti. – Naturalmente non mancarono le ingenuità, specialmente a proposito di reliquie, che furono contese e talvolta autenticate con fretta, senza indagine sufficiente a scoprire una dubbia e forse ingannevole origine. Ma questo resta un fatto marginale che attesta quanto abbiamo sopra scritto e che non viola la serietà del culto, perché le reliquie trasmettevano l’onore sempre, e per chiara intenzione, a coloro che vivevano in cielo, senza far ristagnare nulla  nei possibili errori della terra. Si trattava e si tratta, nel caso, di culto relativo. –  La liturgia visse sempre anche dei Santi e non li considerò mai ingombri o veli per quello che andava a Dio, ma piuttosto fautori di una comunità vibrante e fremente di vita, nonché strumenti di un maggiore onore reso a Cristo. E strano che molti non capiscano come talvolta sia giusto onorare Iddio, più che con quello che abbiamo fatto noi, con quello che ha fatto Lui. E sua la divina parola, è sua la certezza della verità consegnata alla Tradizione, ma i Santi sono pure opera sua. – Perché dunque qualcuno deve temere di onorarli, di collocarli sulle pareti delle chiese, di narrare la loro storia, di proporre i loro esempi, di leggere e far leggere le loro vite, di rivolgersi a loro con la semplicità dei bimbi bisognosi di fratelli maggiori? Non credano siano gran gloria di Dio quei patiti, i quali sempre hanno da rinfacciargli di aver fatto cose incomplete (quei che si lamentano sempre, e trovano tutto storto; quei che rimpiangono, come i rivoltosi ebrei davanti a Mose, i cibi d’Egitto ed hanno da accusare sempre la Chiesa appartengono a questa categoria); gloria di Dio sono quaggiù, dopo i fatti divini in se stessi, i Santi. La Redenzione trionfa nei Santi. Ma vorremmo che il concetto, sul quale si ritornerà, di questi accompagnatori sereni e caldi della solitudine terrena non vi abbandonasse mai più, e per la estimazione del fatto in se stesso e per il completamento della vita della Chiesa e per il sostegno della vita interiore dei singoli, ai quali tutto può risultare vuoto se nella loro anima non si affaccia la presenza dei Santi. La ragione più grande che ci ha deciso a prendere in mano la penna e scrivere dei Santi è qui. – Noi sentiamo ogni giorno intorno a noi il peso della solitudine cupa di gente che vive nel rumore della folla ondeggiante e nella vicenda frettolosa dei fatti, ed abbiamo pietà di questa solitudine. Con Dio non si è mai soli, ma è piaciuto a Dio, nostro Signore, che noi troviamo la compagnia dei nostri fratelli, ormai certamente sicuri. – L’avvenire degli uomini non è mai chiaro, perché tutti i loro peccati corrodono tutti i sentieri della storia e inducono una dialettica intricata di cause e di effetti, di errori e di nemesi, di esplosioni e di interrompimenti. La certezza che i Santi continueranno ad accompagnare gli uomini è una delle poche garanzie dell’avvenire. – La congiunzione con Cristo Signore e Redentore sta alla base di tutto. Questa congiunzione è affermata dalla verità per cui noi formiamo con Lui un solo Regno, una sola Chiesa, un solo Corpo. – l’ordine della grazia nella sua più larga accezione e la adesione della fede sono i nessi di questa singolare unità: communio sanctorum. La congiunzione rende, quanto è possibile a creatura, partecipabile dai redenti quello che è di Cristo Verbo Figlio di Dio: la vita divina, la reazione eterna, la gloria. La vita degli uomini non può mai essere oscura, dato che si può articolare tra questi termini. – I gradi della congiunzione a Cristo sono diversi, a seconda della grazia e del merito. Un grado netto distingue quelli che sono ormai fuori delle vicissitudini del tempo e regnano in eterno da quelli che sono ancora nella prova terrena. La sublime imitazione di Gesù Cristo può raggiungere il grado di una presentabilità agli uomini per la loro edificazione, garantita dall’intervento dei segni divini: in tal caso alcuni partecipano all’onore stesso di Gesù Cristo, anche in questo mondo: sono i Santi. Insomma i Santi sono lo stato logico e più vero della famiglia di Dio, di quella famiglia nella quale la Incarnazione del Figlio e la nostra assimilazione a Lui ci ha raccolti e nella quale possiamo chiamare Dio «Padre». – Per tale motivo i Santi non sono un’appendice della verità rivelata; essi sono inseriti nella sostanza rivelata e solo così si intende tutta la loro logica. – I Santi sono la parte più autentica della famiglia di Dio, del Regno, se così si preferisce dire, le membra migliori del Corpo Mistico di Cristo. Se noi li dovessimo depennare o trascurare noi toglieremmo al Corpo Mistico di Cristo qualcosa della sua realtà. I Santi partecipano alla gloria del Redentore, tanto quanto gli sono certamente e definitivamente congiunti. I Santi sono il grande e più completo frutto della Incarnazione e della Redenzione, preceduti in questo dalla grandezza unica della Madre del Signore. Ove se ne tacesse o si facesse nella Chiesa quello che equivale a «tacere» si presenterebbero i misteri divini come se fossero sterili. Quando i Santi appaiono nella santa Messa e vi si ricordano, o per merito delle loro azioni terrene edificanti si leggono i passi scelti dalle Sacre Scritture proprio per riferimento a tali meriti, si fa soprattutto questo: accanto al sacrificio che fu ed è causa della salute, si mettono i rappresentanti dei suoi infiniti frutti. Un’ombra sul volto dei Santi getta in ombra la fecondità della Redenzione. Essi intervengono nella storia, nella vita e nella liturgia come il grande autentico e glorioso corteggio di Cristo e della Redenzione, l’esigenza dei Santi deriva dalla realtà concreta della venuta di Cristo nel mondo. La trascuratezza nel confronto dei Santi non può essere che il frutto di una concezione meschina, incompleta e probabilmente erronea di Cristo e dell’opera sua. – Gesù Cristo non ha bisogno dei Santi, ma dal momento che come causa li ha legati a sé, non è più in poter nostro separare il Salvatore da coloro che Egli ha salvato nel più glorioso dei modi. Nella liturgia il «santorale» non è affatto un intruso, da sopportarsi per timore di sconfessare una tradizione. Il «santorale» è al suo posto anche se resta vero che le proposizioni debbono far cedere il passo al «proprio del tempo». – Il modo con cui la Chiesa nello svolgimento della sacra liturgia ha abbracciato i suoi Santi, in tutti i tempi, sotto tutti i cieli, è la attestazione di quanto sopra abbiamo detto. Concludiamo: i Santi sono inseparabili dalla pienezza del mistero di Cristo in concreto, come sono inseparabili dal mistero della Chiesa, santa, anche per la loro qualità di documento e trionfo delle sue divine sorgenti. – Per sottrarci decisamente alla ventata di esistenzialismo distruttore che educa al disprezzo ed al rinnegamento di tutto anche certi sedicenti cattolici è necessario vedere con cristallina chiarezza come i Santi siano inscindibilmente inseriti, e con quale forza, nel mistero stesso di Cristo. – La canonizzazione dei santi è, tra l’altro, atto solenne col quale si propone l’esempio delle loro virtù, autenticate in tal modo per esser guida dei fedeli e per allargare l’assortimento dei mezzi e delle applicazioni atte a rendere più intensa e vigorosa la vita spirituale dei fedeli stessi. Non si può dunque negare che le canonizzazioni includano un atto di Magistero. Questo Magistero riguarda la capacità di esempio di fatti, è vero; però questi fatti appartengono al materiale documentario col quale si dipana attraverso i secoli il deposito della tradizione divina. Errerebbe chi credesse di trovare questa soltanto nei testi di autore, magari scelti con preconcetti restrittivi: la Tradizione si ha attraverso tutto quello che accade nella Chiesa ed essa si ritrova nella unità e nel consenso legittimo. Non possiamo negare, e neppure nascondere, lo stupore col quale abbiamo osservato in autori recenti la piena dimenticanza del modo con cui cammina attraverso i tempi la divina tradizione, fonte della Rivelazione divina. – E dunque necessario vedere i collegamenti tra i Santi e il Magistero o la Tradizione, per comprendere la funzione teologica che compiono i Santi e che è del massimo interesse. La funzione teologica dei Santi è duplice: essi sono in maniera diversa dei testimoni, anzi dei mirabili «portatori» della divina tradizione; essi sono un’apologia perenne, un motivo di credibilità.

La funzione teologica dei Santi

l a divina tradizione va avanti nella Chiesa. Molte verità certe non possono sostenersi perentoriamente che con documenti presi dalla Tradizione. Sarebbe violenza far dire a certi testi biblici talune verità, a meno che non sia intervenuto un consenso od un atto del magistero circa il loro valore. Questa Tradizione non è attestata, ossia non ha i suoi testimoni esclusivamente in documenti scritti e reperibili presso scrittori ecclesiastici (oltre che presso i Padri), ma in tutto quello che è nella prassi e nel fatto ecclesiastico. L’umile parroco il quale insegna il catechismo secondo il testo approvato dall’autorità competente è testimone della Tradizione non meno di un teologo, e sovente lo è assai più per la semplice ragione che utilmente e reverentemente trasmette; il teologo può sentirsi invece in dovere di introdurre qualcosa di personale, di opinabile, di dubbio, di polemico. Le consuetudini di un monastero sono testimoni della Tradizione, quando naturalmente stanno nell’intonato concerto di vita della Chiesa, allo stesso modo. Gli scalpellini che su tante pietre delle antiche cattedrali italiane, inserite qua e là tra i conci, hanno scolpito, anche rozzamente, figure sognate dalla loro pietà sono testimoni. La più umile carta d’archivio, quando è, ripetiamo, in un concerto che è universale e che continua, è testimone di Tradizione. Insomma la «vita» di ogni tempo della Chiesa, colle infinite forme per le quali si rifrange, è testimone della verità che la Chiesa custodisce attraverso i secoli. Ed è soprattutto in questi Testimoni, si direbbe di minore e minimo rilievo, che si assiste ad una funzione di equilibrio, di buon senso, di perenne scelta tra quello che, dell’ardita indagine teologica, può passare e quello che deve andare a ristagnare tra le opinioni e le liti. E in questo che spesso si rifrange cristallino, selezionatore, rassicuratore il magistero ordinario della Chiesa. E in questo complesso documentario dalle immense sorgive che si ha il legame forse più autentico tra i vari tempi nella perennità della tradizione divina. – Abbiamo poi usato le due parole «testimoni e portatori», perché i testimoni richiamano piuttosto quello che «fu» (e ciò è certamente vero), mentre i «portatori» sono coloro che di fatto trasmettono, in questo divino alone dove gli uomini vengono assunti in un fatto divino, la verità. La divina tradizione non è fatta solo con le carte, ma con tutto quello che accade nella Chiesa, che è vivente, proprio perché  intimamente guidata e sorretta e difesa dallo Spirito Santo. I Santi, anche prescindendo da quello che hanno scritto (e i loro scritti hanno abitualmente pregi singolari), sono dei testimoni e portatori della divina tradizione. Essi ricevono dalla Chiesa nel periodo di loro formazione, e quante volte qui si incontrano umili genitori senza alcuna presunzione e con tanta scienza di Dio, appresa nel continuo contatto con la Chiesa, con la liturgia, con Cristo stesso, la Vergine e i Santi. Essi mantengono tutto quello che hanno ricevuto, fuori delle dispute e delle avventure di pensiero, in una luminosità di virtù, di orazione, d’amore. Essi riesprimono, con la ricchezza che la comunione con Cristo è capace di produrre, ed in infiniti modi, insegnamenti, applicazioni, risoluzioni chiarificatrici di princìpi, orientamenti spirituali fermi, sicuri, protesi ai secoli; sintesi e conseguenze di vera e altissima dottrina. Mentre fanno questo in vita spesso – non sempre – su di loro si fissa l’attenzione ammirata della stessa autorità che assiste, approva, incoraggia, giudica serenamente e pacificamente; realizzando così un consenso teologicamente valevole, o iniziando a concretare così un consenso teologicamente valevole. Per i Santi, che sono stati giuridicamente ed espressamente canonizzati, c’è una disamina intorno a loro, c’è una sanzione che aumenta assai il valore di quanto detto fin qui. Noi potremmo comporre tutta la tradizione divina affidata alla Chiesa, lasciando tutto da parte e guardando solamente ai Santi. – Che sia proprio questa la ragione per cui taluno guarda i Santi come fastidiosi? Quando si tratta di fare una teologia della orazione, santa Teresa, a parte il suo valore personale e il suo genio, con la riforma che fece, con le approvazioni implicite ed esplicite che ottenne, con quello che iniziò di duraturo nella prassi conventuale, ascetica e mistica, è certamente testimone della Tradizione assai più di molti teologi messi insieme, perché raramente le pagine di questi si sono fuse col respiro stesso della Chiesa, come invece è accaduto per santa Teresa di Gesù. – L’ufficio, anche inconscio, di testimoni e di portatori, è di tanto maggior rilievo nei Santi, in quanto essi sono tra gli uomini che più hanno allontanato le impurità e le scorie raggiungendo la vera e piena libertà dei figli di Dio attraverso il distacco del cuore da tutti i beni terreni. Poiché non avevano umani interessi, né impacci, si sono offerti alla grazia illuminante, all’azione dello Spirito Santo con una capacità potenziale maggiore di tutti gli altri: spesso coi miracoli Dio è intervenuto a porre il suggello diretto su quello che facevano od insegnavano. – Noi riteniamo di potere e dover attribuire ad una certa disattenzione verso questa loro singolarissima ed eminente funzione la minore stima e valutazione complessiva che i Santi godono presso certuni. Consideriamo pertanto del massimo interesse questa funzione teologica dei Santi. – I Santi hanno anzitutto un valore apologetico, ossia dimostrativo della verità della nostra fede e della santa Chiesa cattolica apostolica romana, perché concorrono anch’essi a realizzare in concreto la «nota» fondamentale della Chiesa, che è appunto «la santità». I Santi hanno un valore apologetico fortissimo per il carisma taumaturgico che si manifesta spesso nella loro vita e sempre – ciò consta almeno per i canonizzati nelle forme ordinarie – dopo la loro beata morte. – Non occorre noi illustriamo ai nostri confratelli, bene a giorno dell’argomento dai loro ordinari studi teologici, che quanto ricordato ha valore dimostrativo con obiettivo rigore logico. Una tale apologia, avente in sé reale capacità di generare logicamente una certezza, quando si tratta dei Santi, è del tutto popolare e cioè facile, intuitiva. Il popolo crede alla virtù vissuta nell’eroismo, crede soprattutto quando avverte il miracolo. E sa che i Santi significano «miracoli». Li conosce anzitutto come virtuosi, ma, non meno, come operatori di miracoli, od almeno come coloro che ne hanno fatti o ne possono fare. Il popolo ha una singolare facilità a credere al miracolo, tanto che bisogna stare attenti non s’inganni, vedendoli dove non sono; ma ha perfettamente ragione quando connette il fatto della santità al miracolo e quando a questo attribuisce la forza di divina inderogabile attestazione, ossia di prova. Ragiona molto semplicemente quando dice: la nostra fede è vera perché i Santi, questo, quel Santo, operano od hanno operato miracoli. – Ora riflettiamo bene. Molta gente non ha studiato nessuna apologetica e nessuno gliel’ha insegnata. Eppure ha esigenze logiche; ha in testa un rudimentale abbozzo di logica; si pone dei quesiti relativi alla fede e spesso non trova nessuno cui parlare dell’argomento per averne una soddisfacente risposta. Accade allora tante volte che sul suo orizzonte si affaccino i Santi. Meglio se ne ha sentito parlare molto, se ha sentito raccontare, se può evocare meraviglie già udite. Allora dice a se stesso: ci sono i Santi; andiamo avanti. È una logica od apologetica rudimentale; se è rudimentale nelle movenze semplificata, è tutt’altro che priva di contenuto logico. E intanto la fede è salva, senza che a salvarla sia intervenuto un inganno. – Spesso accade a noi, che abbiamo abbastanza studiato, di non porci il problema della logica dei poveri e degli ignoranti, che pure hanno, come tutti, bisogno di argomenti per conservare la saldezza della propria fede. Ma quando questo problema lo si pone, si capisce l’importanza dei Santi a sostegno della fede stessa. E vero che la ignoranza o la esiguità di esigenze logiche può dare valore dirimente in ordine alla fede, a esperienze o fatti per sé incapaci logicamente di dare una certezza circa il motivo della fede stessa. E ringraziamo Iddio, che prende da tutte le parti e convoglia al bene. Ma non si tratta di valori obiettivamente logici. Nel vecchio seminario di Genova si raccontava di un lattaio, annoso peccatore impenitente, il quale si intrufolò una volta, dopo aver lasciato i recipienti del latte al cancello, nella aula magna. Là si teneva una gran tornata accademica del Collegio teologico. Il Gran Cancelliere stava pronunciando un discorso in latino, di cui il povero lattaio non riusciva a capire assolutamente nulla: convinto da ciò di trovarsi sotto la maledizione divina per i suoi peccati, se ne spaventò, cominciò a piangere e ad accusarsi. Finì, quel momento stesso, con l’andare a confessarsi dopo quasi mezzo secolo di disprezzo della pratica religiosa. Evidentemente il buon Dio converte anche con prediche delle quali non si capisce nulla. Ma questo non accade tutti i giorni; soprattutto accade assai meno con persone dalle esigenze logiche. Claudel si convertì al canto del Magnificat a Natale in Notre Dame di Parigi. Non era un argomento logico, quello era solo la schiarita finale della grazia in un lungo processo interiore. – La questione dell’apologetica infantile, popolare, facile, adatta là ove la cultura non ha sedimento o dove ha sedimento una cultura al tutto pratica, in realtà e di fatto non può fare a meno dei Santi. Le conseguenze sono importanti e le vedremo. Ma, stando così le cose, che dire del sadismo dimostrato da taluni in nome della cultura, nell’annientare i Santi e nel cercar di dimostrare in loro dei difetti? La verità è la verità. Non parliamo di quella; parliamo del sadismo. Il godere di restituire la storia al posto della leggenda è sano e doveroso; ma il godere di abbattere e di calpestare è solamente patologia. E lo è perché, quando uno vuole annientare i miracoli, basta sia unilaterale, reticente, incompleto e ci può, apparentemente, riuscire; ma non ha affatto servito la verità. Tutti sappiamo che di miracoli ne basta uno, perché ci sia una certezza. Diminuire la fede in questo sovrano divino intervento, perché talvolta miracoli apocrifi hanno potuto entrare nella storia, non è servizio né alla verità (in ragione del latius), né all’apostolato, ossia alla salvezza delle anime. E vero che non manca chi vorrebbe abolire l’apologetica o si scandalizza, se si fa dell’apologetica od anche solo se se ne parla. Perché? Forse che non esistono persone che ne hanno bisogno? Ma ne hanno bisogno tutti! Forse perché non la chiedono? Ma questo è fuori della realtà. Forse perché è impossibile farla? Ma questo è razionalismo, se non modernismo!

La funzione educativa dei Santi

Teologicamente parlando, uno scopo della canonizzazione è la presentazione ufficiale dei Santi come esempi di vera vita cristiana. È ovvio che i santi compiono la parte educativa anzitutto con l’esempio che danno. Questo esempio mostra l’attuazione pratica dell’Evangelo; articola la norma evangelica secondo le diverse situazioni, capacità e congiunture; risolve problemi e dubbi; stimola alla perfezione; e infine, rianima contro lo sconforto. – Tuttavia la funzione educativa dei Santi si attua non solo con l’alto esempio della loro vita terrena, ma pure per il fatto che sono dei «santi» quali vengono concepiti e venerati nella tradizione cattolica. E questo un punto da non trascurare. – La funzione educativa è già apparsa là dove si è trattato dei Santi come perenne apologia e pertanto vero aiuto della fede. Se la fede è fondamento della vera educazione cristiana, noi rileviamo, anche solo in questo, una funzione educativa. Coll’aiuto della fede va in atto una presenza soprannaturale dei santi. Ne abbiamo già parlato. Questa presenza è fautrice di fiducia, coraggio e serenità. Se queste tre preziose risorse sono ideale di una educazione, bisogna concludere che per altro titolo la presenza dei Santi è educativa. – La presenza dei Santi è un richiamo continuo a cose supreme, al cielo, alla vita eterna, alla gloria data ai meriti. In tal modo, quanto più è viva, tanto più abitua ad un clima di elevatezza, adduce quella nobiltà di stile e di costume che è proprio di chi sta in compagnia di cose superiori. I Santi sono dei fratelli già arrivati alla casa del Padre, intorno a loro si costruisce l’alone della famiglia di Dio, della quale facciamo parte. In questa famiglia, ed in ragione della gloria raggiunta, i Santi sono dei fratelli maggiori, che restano a disposizione dei fratelli minori intercedendo per loro. Sono chiamati, in seno a questa soprannaturale famiglia, verso i deboli; mentre i loro meriti, senza nulla detrarre alla gloria loro dovuta, diventano ricchezza, risorsa e sussidio per la debolezza dei fratelli minori, ancora impegnati nella lotta o prova della vita. E così che i Santi fanno l’ambiente della famiglia di Dio. Al disopra dei Santi, la Vergine Madre di Dio completa con la maternità questo stupendo ambiente. – Se ne arenerà un influsso educativo permanente. Altra è la vita che scorre in una famiglia sentita, altra è la vita che si perde nella freddezza di cose materiali, quantitative, senza anima né suprema speranza. Vivere in una famiglia soprannaturale è impostare ad un livello più alto la propria esistenza. E l’influsso della presenza dei Santi. E difficile calcolare a dovere questo influsso attraverso la storia del Cristianesimo, tanto esso è grande e continuo. Il clima di famiglia, l’intercessione, l’apporto ai deboli costruiscono l’ambiente e l’esempio alla carità. – Naturalmente il realizzarsi di questa salutare azione educativa, questa suprema compagnia, è legato anche al modo con cui noi trattiamo i Santi. – Vediamo allora alcune risorse pratiche per rendere operante l’azione educativa dei Santi.

– Le loro immagini. Le sacre immagini sono il mezzo più diretto, semplice ed intuitivo per stimolare l’attenzione e dare il senso della presenza. Le chiese che si riducono ad un Crocifisso e tutt’al più ad una immagine della Vergine, rimanendo ferme a questo minimo indispensabile perché non c’è modo di fare di più, non meritano una condanna, ma lasciano un desiderio ed un bisogno insoddisfatti. Tali chiese non danno il senso della famiglia di Dio: mancano i veri fratelli maggiori, i Santi. – Oggi è difficile affrescare le chiese, per motivi più che evidenti. Ma resta vero che le storie dei Santi, anche ingenue, affrescate o riportate in bassorilievi, sono state parte notevole nella Biblia pauperum e lo stimolo ad imitazioni anche eroiche in generazioni intere. L’eliminazione non è una semplice dimenticanza, è un oscurarsi del senso di famiglia di Dio e dello stesso senso di umanità. Siamo ben lontani dal raccomandare l’intasamento delle chiese con immagini esposte al culto senza decoro di materia e di arte, senza piano architettonico, per generazione spontanea ossia per la richiesta, sovente capricciosa, di qualche devoto parrocchiano, con incoraggiamento a forme di devozione né serie, né equilibrate. Abbiamo anzi eliminato molte di tali immagini. Noi intendiamo parlare di quelle immagini la cui collocazione dipende da un criterio anzitutto educativo e poi logico, coerente con un insieme e con una tradizione, illuminato, architettonico. – Le sacre immagini dei Santi, oltre l’immagine crocifissa del Salvatore e quella della Vergine, trovano giusta ed utile collocazione anche nelle case dei fedeli. Saranno le immagini dei patroni personali, dei patroni della Chiesa, della città, i più conosciuti e venerati. Meglio le immagini dei duraturi Santi che degli effimeri «divi». Però questo ritorno delle immagini dei santi nelle case di fedeli deve attuarsi con un’adatta illuminazione catechistica, non abbandonato a una pura emotività, dalla quale la ignoranza può far arrivare anche dell’esagerazione e della superstizione. Le immagini dei Santi, anti, come, in grado minore, le immagini dei propri cari, portano calore nelle chiese e anche nei focolari domestici.

– Le sacre reliquie. Tutti sanno che sono oggetto di culto relativo e che il culto relativo può, entro certi limiti, tranquillizzare la coscienza rispetto alla incerta autenticità di reliquie sacre assai antiche che, accompagnate da notizie storiche talvolta dubbie o anche solamente dal sigillo di un’autorità competente. Ma, questo premesso, le reliquie sacre vanno rispettate. Il decoro, l’attenzione con cui vengono circondate, il culto, la stima, l’uso serio e diligente hanno parte grandissima nel rafforzare il culto dei Santi con quel desiderabile influsso formativo, di cui si è ora parlato. La sistemazione decorosa, evidenziata, rilevata delle reliquie sacre, specialmente se insigni, è per il sacerdote un impegno soprannaturale in cui egli si riconosce membro della famiglia vivente di Dio.

– La lettura della vita dei santi. Anzitutto occorre reagire al senso di disprezzo che viene facilmente diffuso per le mende in cui cadono senza dubbio scritti affrettati, troppo laudativi, retorici e persino stucchevoli. Censura per influire sugli scrittori, sì; disprezzo no. – Perché se c’è una forma, che può meritare rimproveri, resta una sostanza che domanda solo ammirazione. Purtroppo sono pochissimi oggi gli agiografi che meritano con serietà un tale nome e c’è da augurarsi che le stesse postulazioni si rivolgano, per redigere vite di servi di Dio, a persone di competenza scientifica che amino il soggetto, piuttosto che a qualche retore superficiale, facilmente reperibile sulla piazza. Ammettiamo dunque i difetti, che si biasimano, ma non dimentichiamo che una vita cristiana in cui manchi la lettura di biografie di Santi è una vita privata d’un soprannaturale fascino e d’una recondita forza. – Resta sempre vero che sono gli esempi a suscitare slanci generosi e dedizioni grandi. E poiché abbiamo menzionato la parola «esempio», vale la pena di sottolineare che la forza suggestiva sta proprio nell’episodio opportunamente inquadrato, mentre sta poco o nulla nelle considerazioni generali, anzi generiche, alle quali indulgono assai gli agiografi da strapazzo. L’episodio, su tutti, ma specialmente sui ragazzi e sui giovani, con quel suo stagliare concreto, con quella sua definizione rivelata di contorni, con quella singolarità netta anche se semplice, imbriglia attenzione e fantasia, stimola slanci del cuore, suscita energie. – È tempo che gli episodi dei Santi rientrino nella predicazione, che adesso si fa arida per il suo cerebralismo e inaccessibile perché priva di tradizione umana in fatti alla portata di tutti e capaci di portare le idee al livello delle logiche infantili. Per chi ha scarso sviluppo mentale, ogni membro del ragionamento deve essere dedotto da una rappresentazione concreta e descrittiva. Ed è tempo che non si abbia paura di raccontare miracoli veri e seriamente interpretati. Forse ha errato Gesù Cristo lasciando miracoli come segno della sua verità per tutti i tempi? (cfr. Mc. XVI,17 sgg.). Noi ci auguriamo una vera fioritura (e già qualcosa si delinea) dell’agiografia, priva dei pedaggi pagati al razionalismo ed al positivismo da coloro che hanno troppa paura della storia e, per averne troppa paura, la deformano o la snervano.

L’intercessione dei Santi

Fa parte della fede cattolica la dottrina sulla intercessione dei Santi che ha delle radici profonde e stupende: la loro partecipazione all’opera e alla gloria di Gesù Cristo; il valore imperituro dei loro meriti; la reversibilità degli stessi meriti. Non è questo il momento di spiegare a voi, bene edotti, tali solenni verità. Sia sufficiente l’averle richiamate. Sono le verità delle quali si sostanzia la fede nel Corpo Mistico di Gesù Cristo e nella sua ineffabile vita. Non dunque chimere o pie supposizioni, ma realtà. Per questa intercessione la Chiesa del cielo accompagna la Chiesa militante non solo moralmente, ma ontologicamente. Questa intercessione nei suoi effetti non è certamente da meno dell’effetto della fede propria dei pellegrini in terra, la quale può spostare le montagne. Anche per questa intercessione né la Chiesa, né i fedeli sono nella solitudine. I Santi in verità popolano la terra più dei viventi. L’intercessione dei Santi, per il modo con cui si attua e per gli effetti che opera, costituisce una delle pagine più interessanti della vita sotterranea della Chiesa. Con essa i Santi adempiono missioni postume, realizzano presenze specifiche, compiono cicli di straordinaria partecipazione alle vicende della Storia: la Chiesa con l’istituzione giuridica dei patroni asseconda questo fatto e la relativa fede. Se ne ha una varietà, una ricchezza di sfumature che solo i grandi storici cristiani e i grandi agiografi sono in grado di cogliere e di rendere. Per i Santi la primavera non cessa mai! La liturgia, la prassi, la devozione, la iconografia sono un tratteggio di questa storia. – Non si dimentichi che come la gloria segue i meriti, così la intercessione dei Santi segue anche la loro missione terrena e continua a compierla. È questa verità che richiama al culto particolare dei propri Santi. I Santi hanno dato la vita ad una terra, ad comunità, ad una missione; abbiamo il diritto di ritenere la loro intercessione fecondamente se non esclusivamente ancorata a quella terra, a quella comunità, a quella missione. Sono vicini. Non sempre indicati da una moda, hanno il diritto di essere particolarmente onorati da coloro che continuano a camminare sulla loro via. – Per questo noi intendiamo non risparmiarci per inculcare la devozione ai nostri Santi. Ne abbiamo nei nostri antecessori, ne abbiamo tra i fedeli dei due sessi, tra i religiosi. – Le loro memorie, le loro reliquie, la loro tradizione deve essere preziosa e noi dobbiamo mantenerle nel vivido calore di un affetto cosciente e profondo. La tradizione cristiana della nostra terra arriva al primo secolo: che i santi Nazario e Celso abbiano irrorato della loro predicazione la riviera ligure non è soltanto una leggenda. Noi speriamo di vedere presto restituita all’uso la cripta del Santuario di nostra Signora delle Grazie, rimontante al secolo IX, che consacra in tempo non sospetto la vivacità di questa tradizione, perché quella cripta è stata voluta prorio per ricordare i Santi Nazario e Celso, qui approdati verosimilmente dal mare. Tutte le chiese e tutti gli oratori dedicati ai martiri sull’arco ligure indicano la potenza e la vastità di una tradizione che, quanto più è potente e vasta, tanto più ha diritto di essere considerata elemento scientificamente valido per avvicinarci ad una verità storica. – Il mondo è solitario. Circondato dalle sue macchine e dai suoi ordigni esplosivi, intriso delle sue esperienze prevalentemente materiali, vede ridursi la letizia delle anime; ricco di fatti assordanti, a mala pena intende le voci che si levano irruenti dalla stessa natura. Ha bisogno di essere ripopolato spiritualmente. Per questo, nell’intendimento di tutelarne tra voi, contro pericolose deformazioni il giusto senso, abbiamo parlato di ideali santi e dei Santi stessi, dando ai due argomenti un qualche risalto per opposizione alla snervante esperienza di certe mode terrene. Voi avrete capito, cari confratelli, che abbiamo voluto invitarvi ad alzare lo sguardo verso la Terra Promessa che è e rimane l’unica prospettiva importante nella storia degli uomini, pur quando gli uomini rischiano di dimenticarsene, per propria colpa o anche solo per distrazione.

[Fine]