Mons. J.- J. GAUME: STORIA DEL BUON LADRONE (5), cap. VII

CAPITOLO VII.

PRELUDI DELL’ESECUZIONE.

Anno, giorno ed ora dell’esecuzione.— Numerosi passi dei Padri, e degli Storici; tra gli altri di Tertulliano, di S. Agostino, di S. Giovanni Crisostomo, di Petavio, di Marianov, di Baronio. — Luogo ove fu emanata la sentenza: il Pretorio. — Descrizione del Pretorio. — Condotta dei condannati al luogo della esecuzione. — Descrizione della ina dolorosa. — La Porta giudiziaria. — Perché gli antichi rendevano giustizia presso le porte della città.

Era il venerdì, 25 marzo, il trigesimoquarto anno dell’èra cristiana, e il diciottesimo del regno di Tiberio, sotto il consolato di Rubellio Gemino e di Rufio Gemino, tra la quinta e la sesta ora del giorno, vaie a dire tra le ore undici e il mezzodì, come lo dimostreremo. Sono le date precise, che la Scrittura e gli antichi Padri, più che noi a portata di conoscere l’epoca degli avvenimenti, assegnano alla crocifissione di Nostro Signore, e per conseguenza del buon Ladrone. – « La passione, dice Tertulliano, o secondo l’espressione del profeta, lo sterminio del Signore, ebbe luogo nel corso delle 72 settimane di Daniele, sotto Tiberio Cesare, essendo consoli Rubellio Gemino, e Rufio Gemino, nel mese di marzo, ricorrendo la Pasqua il giorno otto avanti le calende di aprile, primo degli azzimi. » – S. Agostino tiene Io stesso linguaggio di Tertulliano. « Nostro Signore soffrì, nessuno lo pone in dubbio il sesto giorno avanti il sabato; ed è perciò che il sesto giorno è consacrato al digiuno. La tradizione degli antichi tenuta dall’autorità della Chiesa, ci fa sapere che Nostro Signore fu concepito il 25 di marzo, e che nel medesimo giorno fu crocifisso. Nostro Signore è dunque morto sotto il consolato dei due Gemini, il 25 di marzo » [De Civ. ei, cap. XVIII, c. LIV] – La medesima testimonianza si ha da s. Giovanni Crisostomo. « Nostro Signore, egli dice, ha sofferto l’ottavo giorno avanti le calende di aprile, nel mese di marzo, che è il giorno della Pasqua della Passione del Signore, come del suo concepimento; perché egli morì lo stesso giorno in cui fu concepito 8 [Ser. de S. Joan. Bapt.]. – Riassumendo l’ antica tradizione, a sostegno della quale sarebbe assai facile allegare altre testimonianze, Beda si esprime così: « Nostro Signore fu crocifisso e seppellito il venerdì. . . Ch’Egli fosse crocifisso il giorno ottavo avanti le calende di aprile, e che risuscitasse il sesto giorno prima delle stesse calende è un sentimento divenuto volgare per l’autorità di un gran numero di dottori della Chiesa. » [De rat. Temp. c. XIV]. Termineremo aggiungendo che questa data venne consacrata nel martirologio Romano, ed è talmente rispettata nella Chiesa, che Ruggiero Bacone alla fine del secolo decimoterzo, e Alfonso Tostato nel secolo appresso, avendo osato rivocarla in dubbio, furono severamente rimproverati dalle autorità competenti. – A questa venerabile tradizione, alcuni si avvisarono di opporre non so quali tavole astronomiche. « Nelle sue Regole sull’uso della critica, il dotto Onorato di santa Maria dimostrò, che quelle tavole non eran punto d’accordo fra loro; ed il dottissimo P. Petavio, dopo averle accuratamente esaminate, ne rilevò i molti difetti. » – Passiamo all’ ora della crocifissione. È noto che gli Ebrei dividevano il giorno e la notte in quattro parti eguali che chiamavano ore. Ciascuna ora giudaica equivaleva a tre delle nostre. Le ore del giorno avevano dei nomi, che la nostra Chiesa, in memoria delle varie scene della Passione, ha religiosamente conservati nel divino officio. Quella che cominciava al levar del sole era detta prima; e trovandoci all’equinozio di primavera, il giorno della morte di Dima, essa era incominciata alle ore sei. La seconda chiamata tertia durava dalle nove al mezzo dì. La terza chiamata sexta correva da mezzo giorno alle tre pomeridiane. La quarta detta nona si svolgeva dalle tre alle sei pomeridiane. Il buon Ladrone fu crocifisso all’ora medesima di Nostro Signore; ma qui si presenta una difficoltà. S. Marco dice che Gesù fu crocifìsso all’ora terza [« Erat autem hora tertia et crucifìxerunt eum. » XV, 25]. S. Giovanni, testimonio oculare, scrisse: « Ed era la Parasceve della Pasqua, e circa la sesta ora, e Pilato disse ai Giudei: Ecco il vostro Re. Ma essi gridavano: togli, togli, crocifiggilo. Allora dunque lo diede nelle loro mani, perché fosse crocifisso. Presero pertanto Gesù, e lo menarono via. » [XIX, 14, 15, 16]. – Non ci vuol molto a conciliare i due Evangelisti, e dimostrare che entrambi dicono la precisa verità. Con s. Marco i Padri della Chiesa affermano, che Nostro Signore e i due compagni furono affissi alla croce verso il fine dell’ora terza, ciò è dire poco innanzi al mezzodì; e con s. Giovanni dicono che fossero crocifissi verso il cominciar dell’ora sesia. In altri termini vogliono dire che la crocifissione ebbe luogo nel preciso momento, che univa la fine dell’ora terza col principio della sesta. « All’ora sesta, dicono le Costituzioni apostoliche, lo attaccavano alla croce; alla terza avevano ottenuta la sentenza che lo condannava. » La sentenza della crocifissione, pronunziata nel corso dell’ora terza, era il principio della crocifissione, la cui materiale esecuzione avvenne sul finire di detta ora ed al principiar della seguente, cioè dalla sesta (quasi hora sexta come disse s. Giovanni. « Quindi è, prosegue s. Ignazio di Antiochia, che la vigilia di Pasqua, all’ora terza, Pilato, permettendolo l’Eterno Padre, condannava Gesù, ed immediatamente all’ora sesta Gesù fu crocifisso. [Epist. ad Trallens.] Ora conosciamo l’ora della condanna, tra le undici ore cioè ed il mezzogiorno; ma dove fu emanata? Essa lo fu nel Pretorio di Pilato. E che cosa era mai questo luogo divenuto sì tristemente e sì gloriosamente celebre? Si chiamava Pretorio la residenza del Pretore. Presso i Romani il Pretore era un magistrato incaricato di rendere giustizia. Siccome i grandi magistrati civili e militari inviati in missione erano rivestiti del potere giudiziario, erano perciò chiamati Pretori, e la loro abitazione era detta Pretorio. Nella residenza poi il Pretorio propriamente detto era una sala del palazzo pretoriale. ove il magistrato rendeva giustizia. In campagna la stessa tenda del generale diveniva il Pretorio. A fine d’ispirare maggior rispetto all’autorità e dignità dei capi, quella tenda collocavasi nel luogo più eminente, dal quale si potesse scorgere tutto il campo, ed in mezzo ad un quadrato, ciascun lato del quale si discostava di cento passi dalla tenda; nei quattro angoli di un tal quadrato, erano le tende destinate alle guardie del generale. Quando egli voleva dar l’ordine del combattimento, spiegava in cima alla sua tenda un rosso vessillo, acciò potessero ben vederlo i soldati. Così parimente in quella tenda si raccoglievano gli ufficiali per ricevere gli ordini del capo, il quale quando doveva far le parti di giudice, assidevasi sopra un palco circolare. – A Gerusalemme il Pretorio di Pilato era l’antico palazzo del re Erode I, il qual palazzo era a piè del colle, su cui elevavasi la torre o fortezza Antonia. Anche oggigiorno se ne vedono i ruderi, ed il palazzo è divenuto una caserma dei Turchi. A somiglianza dei Pretori militari, in prossimità e sotto il portico posto all’Occidente, e che prospettava il Calvario, era la guardia Romana, la quale ordinariamente era stabilita nel pian terreno del Pretorio, ove si rinchiudevano i prigionieri. La piazza, che si apriva innanzi a quella residenza, aveva un pavimento in mosaico, secondo il lusso di quella età; lusso portato allora tanto oltre, che Cesare fin nel campo faceva coprir di mosaico il luogo nel quale ergeva il suo tribunale. – Su questa piazza erano raccolti i sacerdoti, i seniori o tutto il popolo, quando chiesero la morte di Nostro Signore. Una loggia sul portico del Palazzo fu il luogo d’onde Pilato mostrò l’uomo Dio flagellato, dicendo: Ecce homo. Qual consolazione per il cristiano pensare che quel loggiato, mezzo rovinato, fu ai giorni nostri comprato dalle Religiose di Sion, e che nella Chiesa, in cui venne rinchiuso quel venerabile monumento, le Figlie d’Israele offrono le loro preghiere e le loro lacrime per espiare il delitto dei loro padri, ed ottenere la conversione dei loro fratelli! – Erano passate le ore undici quando Pilato fece un ultimo tentativo per salvar la vita del Giusto. In memoria della loro liberazione dall’ Egitto, i Giudei avevano conservato 1’uso di dare nelle feste di Pasqua la libertà ad un condannato. Pilato non propose loro la grazia né di Dima, né del suo compagno, forse perché non erano abbastanza odiosi al popolo; [Si noti che i due ladroni, come si disse più sopra, furono condannati in Gerico, e non in Gerusalemme; non potevano perciò essere tanto odiosi al popolo dì Gerusalemme, come lo era Barabba, che giaceva da qualche tempo nelle prigioni di questa Città, ed era un famoso assassino], ma pose loro innanzi Barabba sperando senza fallo che non 1’avrebbero preferito a Gesù. Vana speranza! Qui noi entriamo in una serie di profondi misteri, che andranno svolgendosi fino alla morte di Nostro Signore e dei suoi due compagni. Due uomini son posti a confronto: il novello Adamo tutto ricoperto di piaghe: il vecchio Adamo tutto ricoperto di delitti. Il novello Adamo rappresentato dall’Uomo-Dio, che si lascia condannare per la salvezza del vecchio Adamo: Barabba che rappresenta il vecchio Adamo, salvato per la condanna del nuovo. Siccome il Giusto per eccellenza raffigura tutta l’umanità rigenerata, il gran delinquente raffigura l’umanità degradata, e da quattro mila anni rea di delitti, di sedizioni, di assassinii e di furti. – La condanna del Giusto, appena pronunziata, apre le porte della prigione a Barabba. Così la morte del novello Adamo cava fuori tutta quanta l’umanità dal tenebroso carcere, nel quale gemeva da tanti secoli, e la rende alla libertà dei figli di Dio. Questo momento è il più solenne della storia, ed il più fecondo di conseguenze per il passato e per l’ avvenire. – Posposto il Giusto al colpevole, si traggono dalla loro prigione i due ladroni, e si riuniscono col Figliuolo di Dio. Tutti e tre hanno sugli omeri la loro croce. Gesù è coperto della sua veste inconsutile, i ladroni vanno ignudi. Una folla immensa, avida, affannata, fremente si porta sulla piazza del Pretorio, e tutte occupa le vie che debbono percorrere i condannati. La romana coorte di circa mille e duecento soldati basta appena a frenare i moti incomposti della moltitudine. Alle ore undici e mezzo fu dato il segno della partenza, e l’esecuzione ebbe luogo a mezzodì, poiché dal Pretorio alla sommità del Calvario v’ha poco più di un chilometro; e questa strada è quella che a giusto titolo è chiamata la Via dolorosa. – Il corteggio passò sotto il loggiato, dall’alto del quale Nostro Signore era stato mostrato al popolo. La via sulla quale Egli si trova, lunga quasi due cento passi, è a china, scende fin dove s’incontra con quella che vieti dalla porta di Damasco, altra volta detta di Efraim. – A sinistra scendendo, si trovava la Santissima Vergine, che in tutta quella crudele mattinata si era trattenuta nelle vicinanze del Pretorio. Volendo per l’ultima volta vedere il suo divino Figliuolo, Ella si pose sul luogo del di Lui passaggio, e alla sua vista cadde tramortita. – Uscendo da quella via i condannati passarono innanzi la casa del cattivo ricco, di cui parla il Vangelo, ed entrarono in un’altra via dritta, e di faticosa salita. Verso la metà di essa, a sinistra, era la casa di santa Veronica; e fu qui che la pia e coraggiosa donna, traversando il folto drappello dei soldati, giunse a portata di asciugare con un bianco lino, divenuto poi immortale, il volto del Salvatore, grondante di sudare e di sangue. Dima e il suo compagno furono testimoni di quest’atto eroico. E che mai pensar dovettero del loro compagno di supplizio, oggetto di sì ardente amore? E soprattutto qual dovette essere la loro meraviglia allorché sereno e pietoso lo videro volgersi alla moltitudine e alle donne, che lo seguivano piangendo, e dire ad esse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete sopra di me, ma piangete su di voi stesse, e sopra i vostri figliuoli! » Pare a noi che non sia mestieri di un grande acume, e di una grande intelligenza per ravvisare in questi fatti disposti dalla divina Provvidenza, altrettante operazioni preparatorie della miracolosa conversione, che ben tosto era per divenire un fatto. – All’estremità di quest’ultima via era la Porta giudiziaria, sotto la quale i condannati passar dovevano prima di giungere al luogo del supplizio. Qui finiva la città a quell’epoca, ed anche oggidì è facile di riconoscere che in quel luogo era un’antica porta. La porta giudiziaria trovavasi in tutte le città della Giudea, e le si dava un tal nome, perché i seniori ivi seduti rendevano giustizia. Nel Deuteronomio si legge: Se un uomo avrà generato un figliuolo contumace e protervo, che non ascolta i comandi del padre o della madre, e castigato ricusa dispettosamente di obbedire; ei lo prenderanno e lo condurranno davanti ai seniori di quella città, alla porta dove si tiene ragione, e diranno loro: questo nostro figliuolo è protervo e contumace, si fa beffe delle nostre ammonizioni, non pensa ad altro che a bagordi, dissolutezze, e conviti; allora il popolo della città lo lapiderà, ed ei morrà; affinché sia tolta di mezzo a voi l’iniquità. » [Deutcr., XXI, 18]. – Perché mai gli antichi popoli avevano fissato i loro tribunali o pretorii alle porte della città? Diverse sono le ragioni che se ne arrecano. In primo luogo, perché gli stranieri entrando nella città fossero compresi di rispetto alla vista dell’autorità costituita. Di ciò viene che appo i Giudei il vocabolo porta era sinonimo di potenza; ed è pur tale oggigiorno in quella frase che molti profferiscono senza comprenderla, la sublime porta, per indicare la potenza musulmana. È inutile aggiungere che il più solenne impiego di questa espressione ritrovasi nelle divine parole, che alla nostra Chiesa son arra della sua immortalità: Tu es Petrus, et super hanc petram ædificabo ecclesiam meam: et portæ inferi non prævalebunt adversus eam. La seconda ragione si era di conservare la tranquillità e l’ordine nella città, l’ingresso alla quale era interdetto ai litiganti prima del termine del loro processo, o di aver convenuto fra loro in un pacifico accomodamento.

(Continua ...)