L’amore di questo mondo è il nemico di Dio.

Rus Cassiciacum

Una breve analisi dell’eresia “material-formalista”

[un Sacerdote Cattolico]

“Adulteri, nescitis quia amicitia hujus mundi inimica est Dei? quicumque ergo voluerit amicus esse saeculi hujus, inimicus Dei constituitur” – [o gente adultera! Non sapete che amare il mondo è odiare Dio? Chi dunque vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio] (Giac. IV- 4). –

“Nolite diligere mundum, neque ea quæ in mundo sunt. Si quis diligit mundum, non est caritas Patris in eo” – [Non amate né il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui] (1 Giov. II: 15)

Il tema di questa breve analisi è l’attività di cospirazione anticattolica dei “material-formalisti”. In questo caso il termine biblico “adulteri” può essere applicato in senso figurativo o spirituale. – Innanzitutto sarà bene spendere poche parole sui c. d. “Lefebvriani” e sui “Sedevacantisti”, le cui dottrine “eretiche” sono molto facili da capire e non hanno bisogno di molte spiegazioni. A) – I “lefebvriani” asseriscono che la “chiesa” del Vaticano II sia la “vera chiesa” temporaneamente in crisi, che tutti gli antipapi di questa “chiesa” sono veri Papi che “a volte” insegnano errori ed eresie, e tutti i Cattolici hanno il “diritto” di resistere ai “Papi” quando i “papi” insegnano errori e eresie. Tutti i “sacramenti” gestiti dai “sacerdoti” della “chiesa” del Vaticano II sono riconosciuti validi dai “Lefebvriani”. B) – I “sedevacantisti” affermano invece che la “chiesa” del Vaticano II sia una falsa “chiesa” che non ha il Papa, per cui la Chiesa Cattolica stessa si trovi in un periodo di Sede Vacante che dal 1958 perdura fino ai giorni nostri. I “sedevacantisti” non hanno una risposta sul come la Chiesa Cattolica possa ripristinare il vero Papato. I “sacramenti” dell’Ordine, dell’Eucaristia, della Confessione, dell’Unzione e della Confermazione, che vengono amministrati dai “sacerdoti” della “chiesa” del Vaticano II, non sono riconosciuti validi dai “sedevacantisti”.

E veniamo ai “material-formalisti“, che sono i propagatori della eresia più sottile, subdola e malvagia, che deve essere pertanto spiegata. – Uno dei propagandisti molto attivi del “material-formalismo” è Donald Sanborn, autoproclamatosi rettore del “Seminario della Santissima Trinità” in Florida, fondato autonomamente con l’aiuto di generose donazioni dei seguaci della sua eresia, buona parte ex “lefebvriani”. Anche se il personaggio in causa definisce il suo seminario: “cattolico”, di fatto questa “scuola” è sulla falsa riga dei numerosi seminari fasulli del Vaticano II. Lo riteniamo essere il propagandista più attivo dell’eresia “material-formalista” poiché insegna ai suoi seminaristi ed ai laici suoi “fedeli”, ad essere “amici di questo mondo” insieme ai “papi” del Vaticano II. – L’eresia diffusa da Donald Sanborn è conosciuta come “Material-formalismo” (“Sedeprivazionismo” è un altro nome dell’eresia in causa). L’idea principale dell’eresia è che tutti gli antipapi della “chiesa” del Vaticano II siano eletti legalmente e che ogni antipapa sia un “papa materiale”, che “conserva l’autorità di nominare gli elettori (cardinali) al Papato, per il motivo stesso che i cardinali hanno il potere di eleggere”. D. Sanborn insegna che, secondo la tesi “material-formalista”, il Novus Ordo mantiene il potere di nominare le persone che ricevono così il potere di designazione nella Chiesa”. – Questa tesi eretica non è in realtà sua. L’autore di questa falsa tesi, [antimotistica in contraddizione evidente con la XVI Tesi del tomismo -ndr. -] è il teologo domenicano francese Fr. Michel Louis Guerard des Lauriers (1898 – 27 febbraio 1988), un sacerdote validamente consacrato il 29 luglio del 1931. – Dopo il “concilio” Vaticano II, p. Guerard des Lauriers diviene professore e docente al seminario San Pio X di Marcel Lefebvre a Ecône, in Svizzera [pseudo-seminario mai autorizzato secondo le leggi della Chiesa da alcuna autorità che ne avesse facoltà, neanche la fasulla! –ndr.-]. È a questo punto che il domenicano ha dato alla luce, con parto distocico, la sua “creatura”: la sua tesi [c.d. tesi di Cassiciacum, il cui pomposo nome latino è quello della località, oggi Cassago Brianza, in cui Sant’Agostino d’Ippona nel 387 si ritirò in ben altra meditazione e preghiera prima di ricevere il Battesimo –ndr. -], secondo la quale il soglio di Pietro sarebbe stato vacante perché l’antipapa Paolo VI era colpevole di eresia. A causa di questa concezione, Marcel Lefebvre rimosse Guerard des Lauriers dal suo insegnamento nel seminario della “fraternità” fin dal 1977. – Fr. Guerard des Lautiers morì ad Etiolles, Francia, nel 1988 all’età di 90 anni. – Guerard des Lauriers credeva tra l’altro che i nuovi riti dell’ordinazione e della consacrazione episcopale (quelli recentemente promulgati nel “Pontificale Romanum” del 18 giugno 1968) approvati dall’antipapa Paolo VI fossero dubbiosamente validi o addirittura totalmente invalidi: pertanto era necessario intervenire per garantire una “valida” successione apostolica di vescovi per la conservazione della Chiesa Cattolica Romana (latina). Avviò quindi confronti e discussioni con il dottor Eberhard Heller e il dottor Hiller, attivisti sedevacantisti tedeschi che all’epoca ospitavano il vescovo Pierre Martin Ngo Dinh Thuc (1897-1984); il p. Guerard des Lauriers accettò di abbandonare il suo “material-formalismo” e di aderire ai principi teorici del “sedevacantismo”, e in tale sede fu convenuto pure che il vescovo emerito Ngo Dinh Thuc lo avrebbe consacrato vescovo [senza giurisdizione, naturalmente –ndr.-]. – Il 7 maggio 1981, p. Guerard des Lauriers venne infatti consacrato vescovo dal vescovo Ngo Dinh Thuc a Tolone, in Francia. Ma poco dopo la consacrazione, p. Guerard des Lauriers rispolvera il suo “Sedeprivazionismo”, iniziando una feroce polemica con i “Sedevacantisti”, non escludendo neanche il vescovo Ngo Dinh Thuc.

Brevemente sulle “allegre” consacrazioni amministrate dal vescovo Ngo Dinh Thuc.

Alcune tra queste consacrazioni possono essere trattate come dubbiosamente valide o addirittura non valide, perché il vescovo Ngo Dinh Thuc ha affermato egli stesso che, almeno in dieci “consacrazioni”, ha ritenuto l’intenzione sacramentale, cioè ha eseguito una “parodia” sacramentale senza intenzione che invalida il Sacramento stesso. In molti casi era in uno stato di amnesia nel “consacrare” un vescovo tanto che poco dopo, e per diverse ore dopo, non si ricordava di quello che aveva fatto e di ciò che aveva detto, né chi fosse stato il recente “consacrato”. Qualcuno dice che soffrisse di una demenza senile o, allegoricamente, che fosse come “inebriato”, “folle” o “in un’aura soporosa”. Questo significa che probabilmente il vescovo Ngo Dinh Thuc abbia simulato la “consacrazione” di p. Michel Louis Guerard des Lauriers, e che comunque, della stessa, si possano avere sospetti legittimi e seri dubbi. – Dopo una panoramica dei casi delle “consacrazioni”, amministrate dal vescovo Ngo Dinh Thuc, ritorniamo alla eretica tesi del “Material-formalismo”. Secondo la tesi del Des Lauriers, gli antipapi Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco erano o sono “papi difettosi” in quanto, a causa della supposta adesione alla “eresia modernista”, il loro consenso nel diventare Papa è difettoso e, pur essendo “potenzialmente” Papi, non hanno raggiunto la “pienezza del papato”. – Questa falsa idea si può anche descrivere in altro modo dicendo che: ogni antipapa del Vaticano II sia diventato “papa materialmente”, ma non formalmente (“papa materialiter non formaliter”).

Due conseguenze di questa tesi eretica

 Secondo la tesi Cassiciacum, [mai nemmeno lontanamente ipotizzata dal Magistero Cattolico –ndr-] ne deriva che:

1.- Non esiste una Sede Vacante reale, in quanto un “uomo” ha assunto il ruolo di “papa materiale”;

2. – Che il “papa materiale” (Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI o Francesco), recedendo dal modernismo e tornando alla fede cattolica, possa completare il processo di “maturazione” raggiungendo la “pienezza del papato”. – Oltre al p. Michel Guerard des Lauriers, i “tradizionalisti” fasulli che difendono questa visione sono: i “vescovi” Robert McKenna (deceduto) e Donald Sanborn negli Stati Uniti e Francesco Ricossa in Italia con il suo “Istituto Mater Boni Consilii”, il cui “vescovo” Jan Stuyver Geert “operante” nelle Fiandre, è una “emanazione” del McKenna, a sua volta consacrato (?!?), guarda caso, proprio dal Des Lauriers. – Ma torniamo all’”insegnamento” di Donald Sanborn, che rimane in contatto con l’Istituto Mater Bonii Consilii in Italia e visita l’”Istituto” abitualmente. L’araldo della tesi in questione, è stato [non-] ordinato da Marcel Lefebvre, il cui sacerdozio deriva dalla “linea” di un alto membro dell’associazione Massonica, p. Achille Lienart. – Fr. Achille Lienart, nato a Lille, in Francia (7 febbraio 1884), ordinato sacerdote validamente (29 giugno 1907) entrò, come tutti sanno, nella loggia di Cambrai (1912), diventando “visitatore” in massoneria – 18° grado Rosa+croce (1919), quindi 30° grado “cavaliere Kadosh” [grado di consapevolezza luciferina –ndt-], e poi “consacrato” Vescovo (8 dicembre 1928). – Secondo l’infallibile bolla “Cum ex Apostolatus Officio” (1) di papa Paolo IV, p. Achille Lienart, a partire dal 15 ottobre 1912, essendo membro di una notissima associazione che opera contro la Chiesa, non era idoneo ad essere elevato ad alcun ufficio ecclesiastico, oltre che scomunicato “ipso facto” latæ sententiæ.

[. (1) – … 6: “Aggiungiamo che, se mai dovesse accadere in qualche tempo che un vescovo, anche se agisce in qualità di arcivescovo o di patriarca o primate od un cardinale di Romana Chiesa, come detto, od un legato, oppure lo stesso Romano Pontefice, che prima della sua promozione a cardinale od alla sua elevazione a Romano Pontefice, avesse deviato dalla fede cattolica o fosse caduto in qualche eresia (o fosse incorso in uno scisma o abbia questo suscitato), sia nulla, non valida e senza alcun valore, la sua promozione od elevazione, anche se avvenuta con la concordanza e l’unanime consenso di tutti i cardinali; neppure si potrà dire che essa è convalidata col ricevimento della carica, della consacrazione o del possesso o quasi possesso susseguente del governo e dell’amministrazione, ovvero per l’intronizzazione o adorazione dello stesso Romano Pontefice o per l’obbedienza a lui prestata da tutti e per il decorso di qualsiasi durata di tempo nel detto esercizio della sua carica, né essa potrebbe in alcuna sua parte essere ritenuta legittima, e si giudichi aver attribuito od attribuire una facoltà nulla, per amministrare a tali persone promosse come vescovi od arcivescovi o patriarchi o primati od assunte come cardinali o come Romano Pontefice, in cose spirituali o temporali; ma difettino di qualsiasi forza tutte e ciascuna di qualsivoglia loro parola, azione, opera di amministrazione o ad esse conseguenti, non possano conferire nessuna fermezza di diritto, e le persone stesse che fossero state così promosse od elevate, siano per il fatto stesso e senza bisogno di una ulteriore dichiarazione, private di ogni dignità, posto, onore, titolo, autorità, carica e potere ...” (Paolo IV: Bolla Papale “Cum ex Apostolatus Officio”,1559, confermata in toto da una bolla successiva di S. Pio V, INTER MULTIPLICES CURAS del 21.12.1566).

 Ma continuiamo l’analisi dell’insegnamento di Donald Sanborn. – Leggiamo un “illuminante” estratto dell’articolo dello stesso Donald Sanborn: “SPIEGAZIONE DELLA TESI DEL VESCOVO GUÉRARD DES LAURIERS”, che si può trovare sul sito del suo non-cattolico “Most Holy Trinity Seminary” [Seminario della Santissima Trinità].

– “III” … I papi “del “Novus Ordo” hanno una successione materiale, e credo che alcuno possa negare che i “papi” del “Novus Ordo” siano almeno nella stessa condizione dei Vescovi scismatici greci nella prospettiva Apostolica. Il nucleo della questione è: se la nomina di esponenti del “Novus Ordus” ai posti di autorità sia legale e legittima o meno. Tutti direbbero che non sono in condizioni migliori rispetto agli scismatici greci, cioè che essi hanno una successione materiale, ma senza possedere una designazione legittima. I material-formalisti dicono che essi materialmente hanno una successione, ma non una designazione legale e legittima.

D. – Come possiamo avere veri cardinali, se Ratzinger non è il Papa? Non sarebbero essi dei cardinali fasulli?

R. – Possono essere cardinali fasulli, ma non sono elettori falsi. Ratzinger ha l’autorità di nominare elettori al Papato per la stessa ragione che i Cardinali stessi hanno il potere di eleggere. Tutto questo riguarda l’ordine di designazione e non l’ordine di giurisdizione. Ma è il potere di competenza (potere delle regole) che rende Papa un Papa, e non il potere della designazione. La tesi sostiene che il Novus Ordo mantiene il potere di designare le persone per ricevere il potere di competenza nella Chiesa. È una realtà sfortunata, ma è la realtà.

D. – Qual è la soluzione per il problema della Chiesa che la tesi offre?

R. – Ci sono molte soluzioni possibili. .- 1) Ratzinger si converte alla fede cattolica, ripudia il Vaticano II e le sue riforme, e riceve la giurisdizione per governare e diventa così il Papa.

(2) Alcuni cardinali (anche uno sarebbe sufficiente) si convertono, rifiutano il Vaticano II e dichiarano pubblicamente la “vacanza” della sede, chiedendo la convocazione di un nuovo conclave. Questo atto rimuoverà da Ratzinger il titolo ottenuto con elezioni valide. È anche probabile che l’ipotesi 2) si possa applicare ai Vescovi diocesani del “Novus Ordo”, che accederebbero alla vera giurisdizione rifiutando il Vaticano II. È anche vero, secondo la tesi, che queste possibilità sussisterebbero indefinitamente, anche oltre la morte di Ratzinger “.

Questa menzogna molto perniciosa che Donald Sanborn insegna ai suoi seguaci, è nascosta nella sua falsa formula: “Tutto questo riguarda l’ordine di designazione e non l’ordine di giurisdizione, ma è proprio il potere di competenza (potere di regolare) che rende Papa un Papa, e non il potere della designazione”. – Non c’è bisogno di essere un grande teologo per capire che il potere di designazione è parte integrante del potere di giurisdizione. Solo una persona che possiede la pienezza del potere, cioè il potere di competenza, ha anche il potere di designare, perché il potere di designare è parte integrante del potere di regolare. Una persona che non possiede il potere di competenza (potere delle regole) non ha il potere di designazione. – In altre parole, Donald Sanborn mette nella mente dei suoi seguaci l’idea eretica che gli antipapi della “chiesa” del Vaticano II posseggano il potere di giurisdizione perché possiedono il potere della designazione. – Anche la seguente frase di Donald Sanborn è completamente falsa: “Non credo che alcuno possa negare che i” papi “di Novus Ordo si trovino almeno nella stessa condizione dei vescovi scismatici greci nella prospettiva Apostolica». Anche se non pensa che qualcuno lo possa negare, io lo nego totalmente! I vescovi scismatici greci sono almeno validi, anche se illegittimi, perché consacrati, ma i “papi” del “Novus Ordo” sono eretici e scismatici “non consacrati”, e quindi non possono essere “nella stessa condizione dei vescovi scismatici greci”. – Dopo aver letto queste “perle” di Donald Sanborn, si può giungere alla conclusione unica che, in modo molto sofisticato, D. Sanborn insegni a tutti di essere “amico di questo mondo” condizione per cui “si diventa nemico di Dio”.

Vediamo un altro brillante “insegnamento” di Donald Sanborn, quando “critica” l’Amoris Lætitia di Bergoglio. Egli afferma che i “cardinali conservatori” del Vaticano II che hanno protestato contro l’Amoris Lætitia di Bergoglio, possano diventare “salvatori della Chiesa Cattolica”. [Seminary Newsletter, December 2016″]. – Sulla base del citato “insegnamento” di Donald Sanborn, l’antipapa George M. Bergoglio (il sedicente “Francesco”) sarebbe stato il vero papa fino alla pubblicazione dell’Amoris Lætitia. Dall’”insegnamento” di Donald Sanborn quindi, si può concludere che: tranne che in Amoris Lætitia, tutti gli “insegnamenti” di Bergoglio siano assolutamente cattolici e che “… non sia Bergoglio il problema, bensì il Vaticano II stesso”, – che Bergoglio stesso e tutti i “cardinali” siano validamente ordinati e consacrati “vescovi” e che i “cardinali” abbiano solo il compito “di scegliere un uomo che abbia l’intenzione di rifiutare il Vaticano II e le sue riforme” e tutto sarà Ok [il tutto finisce a … tarallucci e vino! ndt.]

Ma leggiamo ancora alcune “preziose” citazioni dalla “DIREZIONE TEOLOGICA DELL’ISTITUTTO CATTOLICO ROMANO”, recentemente fondato da Donald Sanborn: “Inoltre ritengo che i membri della gerarchia di Novus Ordo costituiscano solo la materia gerarchica cattolica, vale a dire che sono in possesso di designazioni legalmente valide per ricevere la giurisdizione, anche se rimangono privati di questa giurisdizione fino a quando non neghino l’apostasia Del Vaticano II e delle sue riforme”. – “Ritengo che i promulgatori modernisti del Vaticano II e delle sue riforme siano spogliati di qualsiasi autorità ecclesiastica a motivo della loro intenzione di comminare alla Chiesa cattolica romana la trasformazione sostanziale delle sue dottrine, della liturgia e delle discipline essenziali, e coloro che sono eletti o nominati nelle posizioni di autorità, per quanto legittime, debbano essere considerati falsi papi e falsi vescovi “. Le citazioni sono tratte dal sito del “Seminario della Santissima Trinità” di Donald Sanborn (APRILE 2017 SUPPLEMENTO de: “L’Istituto Cattolico Romano”). – Si può vedere che Donald Sanborn riconosce che la “gerarchia” del “Novus Ordo”, “sia in possesso di nomine legalmente valide per ricevere la giurisdizione” e che … la “gerarchia” del “Novus Ordo” eletta o designata in posizioni di autorità, sia tuttavia legittima”. – Allo stesso tempo si può notare che c’è una proposta molto strana e illogica – 1) “la gerarchia eletta o nominata in posizioni di autorità, è tuttavia legittima”, 2) ” … debbano essere considerati falsi papi e falsi vescovi”. – Chi sono legittimamente eletti e nominati in posizioni di autorità? E se legittimamente eletti e nominati in posizioni di autorità, perché devono essere considerati falsi papi e falsi vescovi? È un insegnamento molto strano, illogico e non cattolico “. – Quindi, la definizione dell’attività di Donald Sanborn scaturisce dal suo “insegnamento”: egli è un propagandista del Vaticano II, la cui “vocazione” è quella di mantenere le persone legate a cerimonie esterne tradizionali, all’interno del falso sistema anti-cattolico del Vaticano II. Curiose poi sono le sue parole: “È una realtà sfortunata, ma è la realtà”. Lo stesso si può dire proprio di tutti i rappresentanti del “formalismo materiale”.

Alcune conclusioni:

1) Innanzitutto, i “formal-materialisti” (o “Sedeprivazionisti” o “Tesisti”) non riconoscono né la Chiesa cattolica, la Chiesa di Cristo, né il Vicario di Cristo perché al contrario ritengono vera la gerarchia materiale del “Novus Ordo”. I “papi” del Vaticano II, “legittimamente” eletti dai cardinali “falsi” diventano “papi materiali” [e per questo fatto stesso sono dunque fuori della Chiesa cattolica]. Questo significa oltretutto che “i material-formalisti” e tutte le loro strutture sono parte integrante della falsa chiesa del Vaticano II.

2) L’insegnamento di “material-formalisti”: “Se il “papa materiale” (Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI o Francesco) ripudia il modernismo e torna alla fede cattolica, raggiunge la “pienezza del papato”, è una asserzione che “rimane in totale contraddizione con la Fede cristiano-Cattolica“. Essi propongono pertanto una “soluzione” molto facile per gli antipapi onde sfuggire alla loro punizione e conducono così milioni di anime all’inferno per mezzo di insegnamenti eretici ed attività sacrileghe.

Ci sono qui da considerare due sottopunti:

2-a) Se si parla della cosiddetta “gerarchia” del Novus Ordo alla luce del Sacramento del Sacerdozio, la gerarchia del Novus Ordo può essere solo formata da “laici in gonnella”, perché essendo stati insediati secondo il “nuovo rito” invalido promulgato dall’antipapa Paolo VI nel 1968, non possono costituire una gerarchia neanche materialmente. Se qualcuno di loro ancora fosse stato validamente ordinato e consacrato secondo il rito romano valido, sarebbe oramai già deceduto, o in età pensionabile di estrema vecchiaia, e quindi non più appartenente in modo attivo alla gerarchia del Novus Ordo.

2-b) Nostro Signore Gesù Cristo dice: “È impossibile che gli scandali non debbano arrivare: ma guai a colui attraverso il quale questi avvengono. È meglio per lui che gli sia messa al collo una pietra da mulino e venga gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli” (S. Luca XVII: 1-2). Quindi tutti quegli antipapi e la gerarchia del “Novus Ordo” che hanno scandalizzato centinaia di milioni di piccoli e non si sono pentiti per questo, andranno direttamente all’inferno. Se gli antipapi Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II non si sono pentiti prima della loro morte, hanno già raggiunto l’inferno; ma gli antipapi Benedetto XVI e Francesco hanno ancora la possibilità di evitare tale punizione e la dannazione eterna, ma in ogni caso non hanno alcuna possibilità di essere Papi. Entrambi hanno la possibilità della conversione e della penitenza ridotti allo stato laicale, fino alla loro morte. Dopo la morte: Giudizio, Inferno o il cielo attraverso il Purgatorio.

3) Riconoscendo “papi materiali”, infatti, antipapi e demolitori della Fede Cattolica e della morale, tutti i “material-formalisti” (“sedeprivazionisti” o “tesisti”), sia propagandisti che seguaci ordinari, sono caricati di tutti i peccati degli antipapi e di tutte le conseguenze dei loro peccati.

E allora cosa fare?

.1) Se i propagandisti ed i seguaci della eresia “material-formalista” vogliono essere salvati e non vogliono andare all’inferno insieme agli antipapi come ribelli impenitenti contro Cristo stesso, contro i Vicari di Cristo e la Chiesa Cattolica fondata da Cristo, devono “resettare”, cancellare le loro idee eretiche, onde arrestare tutto il sostegno verbale e spirituale ai “papi materiali” del Vaticano II ed alla gerarchia del “Novus Ordo” ed aderire alla Chiesa Cattolica. Devono poi riconoscere e prestare obbedienza al Papa Gregorio XVIII, il vero Successore di Papa Gregorio XVII e di San Pietro Apostolo. Praticamente devono rivolgersi ai sacerdoti ed ai Vescovi validamente ordinati e consacrati in unione con il Papa Gregorio XVIII e, per quanto possibile, ricevere i Sacramenti della Confessione, della Santa Eucarestia, della Confermazione. Se sospettano che il loro battesimo sia invalido o dubbiosamente valido, devono ricevere un Battesimo valido, o incondizionatamente o nella forma condizionata.

Secondo l’insegnamento infallibile della Sacra Scrittura e della Santa Tradizione non esistono altre opzioni!

Un Sacerdote Cattolico.

 

UN’ENCICLICA al giorno toglie il MODERNISTA e l’APOSTATA di torno: “Cum primum”.

In questa enciclica il Santo Padre Clemente XIII deplora l’operato di tanti chierici rosi dalla bramosia del possesso di beni materiali che cercano avidamente non curandosi dello scandalo della corruzione e degli abusi perpetrati, per cui diventano oltretutto “litigiosi e pronti a confondere tutto, per non perdere un vile profitto”. Qualcuno potrebbe pensare che questa lettera sia stata scritta proprio oggi, ma in realtà la situazione si delineava già all’epoca tra i chierici della Chiesa Cattolica. Oggi questo problema non esiste per la Chesa, perché i residui rappresentanti della Gerarchia Cattolica vivono esiliati “in sotterranei”, anfratti, grotte, catacombe, mentre tutti gli abusi e le corruzioni, comprese quelle ben più gravi della sodomia e della pedofilia sono appannaggio della – 1) falsa chiesa conciliare, quindi ben fuori dalla Chiesa Cattolica, l’unica fondata da Cristo nella quale c’è salvezza, oggi “in eclissi”, come ben profetato dalla Vergine Maria alle apparizioni approvate di La Salette, e – 2) delle false chiesuole e posticci istituti, pittoreschi monasteri, fratellanze paramassoniche e marrane, che puntellano la precedente nel convogliare le anime, ingannate con le eresie del a) “papa eretico ed ecumenico”, b) il “papa a mezzo servizio”, per adesso materiale, ma in attesa di maturazione “formale” stagionale, c) il “papa in vacanza”, verso il fuoco eterno. La situazione dell’epoca richiedeva interventi umani, come quelli avanzati da Clemente XIII che ribadiva le sanzioni dei Santi Padri di “felice memoria” a lui antecedenti; la situazione di attuale corruzione spirituale a tutti i livelli richiede “solo” l’intervento divino! Intervento al quale sfuggire unicamente rifugiandosi nell’Arca della Chiesa Cattolica, oggi piccola e fragile barchetta evitata da tutti i clandestini della ecumenica “organizzazione delle religioni unite”, tutti saliti sulle comode e luccicanti navi da crociere del baphomet-lucifero! Che Dio ci salvi!

S. S. Clemente XIII

“Cum primum”

[17 settembre 1759]

“1. Dal momento in cui, per incomprensibile volontà del Pastore eterno fummo collocati sulla Cattedra di San Pietro e accettammo la cura del gregge del Signore, abbiamo udito che molti, ferventi di zelo ecclesiastico, particolarmente pastori di anime e annunziatori della Parola di Dio, percorrono Città e Regioni predicando pentimento al popolo ed emendazione dei costumi. Da parte loro nel compimento del loro ufficio, fu generale il lamento per gli abusi e le corruzioni riscontrati. Con tutte le loro forze essi cercarono di consolidare le tendenze riformatrici e dissero di aver dovuto frequentemente rimproverare l’avarizia e il desiderio di possedere proprio di certi ecclesiastici. Poiché questo vizio è chiamato dallo Spirito Santo radice di ogni male, non stupisce che tutti coloro che ne sono stati posseduti una volta siano indotti comunque a più orribili delitti. Il vizio li rende pigri nell’affrontare gl’impegni della loro vocazione; li avvicina ai desideri secolari; li destina a faccende ed occupazioni mondane, alle quali peraltro rinunziarono pubblicamente quando professarono, nel momento della loro iniziazione sacra, di eleggere Dio quale unico partecipe della loro eredità. Per questo diventano necessariamente anche litigiosi e pronti a confondere tutto, per non perdere un vile profitto, sia sperato, sia già posseduto. Perciò non si vergognano di abbassarsi a qualsiasi depravato impegno e ministero, con disonore della loro dignità. – A causa di questo, capita che molti laici condannano non soltanto coloro che così si comportano, ma spesso tutto il ceto degli ecclesiastici; anzi, con spirito amaro ed ostile, guardano verso questo gruppo di persone delle quali sono costretti a sopportare discordie e controversie per affari terrestri, o dalle quali vedono sottratti mezzi onesti, con cui avrebbero potuto provvedere al sostentamento di se stessi e dei loro parenti.

2. Da queste relazioni, che giudichiamo sufficientemente fondate sulla verità (e dalle quali pensiamo che siano anche indicati alcuni religiosi che talvolta si preoccupano dei profitti temporali delle proprie Comunità e si lasciano trasportare oltre i limiti della moderazione Ecclesiastica) abbiamo compreso che con la Nostra Apostolica autorità, di cui immeritatamente disponiamo, dobbiamo preoccuparci di togliere di mezzo questo tipo di corruzione, dalla quale derivano scandalo ed altri danni al popolo fedele.

3. Veramente, già dalle origini della Chiesa fino al nostro tempo, niente si legge in modo più chiaro e più severo, nei decreti dei Concili o nelle Costituzioni dei Pontefici Romani Nostri predecessori, niente appare più frequentemente o più insistentemente inculcato dai Santi Padri e dai Pastori della Chiesa, che i ministri della Chiesa, sia preti secolari, sia monaci, si debbano astenere dal desiderio di guadagni temporali e tenere lontani dalla sollecitudine di occupazioni mondane. Sono state sancite non solo censure di carattere spirituale, ma anche gravissime pene temporali contro coloro che presumessero di indebolire o violare le regole canoniche in questa materia. – Considerate attentamente tutte queste cose, giudicammo che nient’altro Ci rimanesse, Venerabili Fratelli, se non, dopo avervi informati della costante nostra volontà e della mente dei Nostri Predecessori, aderendo in tutto allo spirito della Chiesa, esortarvi con paterne e fraterne insistenze perché cerchiate di esigere e riusciate ad ottenere la dovuta osservanza delle sacre leggi da tutti gli Ecclesiastici soggetti sia alla vostra ordinaria che delegata giurisdizione, a norma dei sacri Canoni e dei decreti della Sede Apostolica, e rispettivamente degli Statuti Sinodali di ciascuna diocesi.

4. Perché più chiaramente sia manifesto lo zelo Nostro e della Apostolica Sede per la religiosa osservanza delle suddette leggi, ed insieme venga sottratta ogni forza a qualsiasi uso, stile o consuetudine in senso contrario (elementi che, salva la legittima proprietà dei vocaboli, devono essere chiamati piuttosto corruzioni o abusi), mediante i quali gli Ecclesiastici cercassero di proteggere o scusare la loro criminosa interferenza in attività o cure secolari, Noi, per mezzo di questo Documento, approviamo, confermiamo e rinnoviamo tutte e singole le leggi Canoniche e le Costituzioni dei Romani Pontefici Nostri Predecessori contro i Chierici negoziatori e che si immischiano in affari secolari, specialmente quelle emanate da Pio IV, Urbano VIII e Clemente IX, fino all’ultima che la santa memoria del Predecessore Nostro Benedetto XIV divulgò il 25 febbraio 1741, anno primo del suo Pontificato, con tutte parimenti le singole pene e censure per loro mezzo comminate, come se tutti i Decreti in esse contenuti e le loro sanzioni penali fossero inseriti parola per parole in questo Nostro presente Documento. Decretiamo e dichiariamo che a tutte le suddette leggi e pene sono sottoposte, e devono essere ritenute sottoposte, tutte e singole le persone Ecclesiastiche, non solo del Clero secolare, ma anche di quello regolare, di qualsiasi Ordine, Congregazione, Società e Istituto, benché munite di amplissimi e singolari Indulti, Privilegi ed Esenzioni, e dei quali sarebbe necessario fosse fatta anche espressa e particolare menzione: in modo che chiunque abbia a mancare contro simili leggi, incorra nelle pene ivi contenute, e specificamente in quelle di particolare pertinenza, secondo la distinzione dei casi ed il modo di procedere prescritto altre volte dal Concilio di Trento o dall’Apostolica Sede, quando debbano essere multate e punite le azioni. Ciò nonostante qualsiasi uso, stile o consuetudine contrari, anche immemorabili, che siano stati introdotti in qualsiasi Luogo, Diocesi o Regione; in forza delle presenti lettere noi li condanniamo, proscriviamo e con tutte le forze li rendiamo nulli, come usi da condannare e corruzioni da proscrivere.

5. Quindi, Venerabili Fratelli, esortiamo e scongiuriamo Voi tutti nel Signore perché vigilando per l’integrità della Disciplina Ecclesiastica e per la salute delle Anime, indaghiate con zelo circa il modo di comportarsi di tutti i Chierici, soggetti di diritto all’Ordinario od al Delegato; se eventualmente troverete che qualcuno, infetto di tale macchia di avarizia, abbia mancato contro i Canoni e le Costituzioni Apostoliche, a tenore dei medesimi Canoni e Costituzioni, non tralasciate di procedere contro di loro con ogni severità ed anche d’ufficio.

6. In questo, pertanto, dovete badare sommamente a due cose: anzitutto cioè di non permettere che la vostra diligenza sia elusa dalle subdole arti dei delinquenti. Capita infatti spesso che coloro che non ignorano le prescrizioni delle leggi, concordano così fraudolentemente il loro operato, che per quanto la loro mancanza venga portata in giudizio possano sostenere di non aver commesso nulla contro le leggi stesse. Infatti, interposta un’altra persona che pensi a se stessa ed alla propria cupidigia, o col nome altrui iscritto nell’albo e nei libri contabili, sosterranno che l’azienda, o l’appalto di cui si tratta, non appartiene affatto a loro. Ora invece, sapendo entro quali limiti sia contenuta la censura piuttosto severa delle leggi, cercheranno di comportarsi in modo che, qualora siano rimproverati dal Superiore di traffici lucrosi, possano difendersi dicendo che sono stati principalmente indotti a percepire il guadagno non da turpe avidità, ma perché, provvidenzialmente preoccupati di evitare un danno, hanno ricavato insperato profitto per casuale beneficio del tempo. Diranno anche talvolta di prendersi cura dei beni non propri, ma appartenenti a parenti o congiunti per vincolo di sangue e di amicizia: beni ai quali sono annesse negoziazioni compiute per il sostentamento di tali persone, per dovere di carità ed a titolo di direzione.

7. Benché poi, per esperienza acquisita nell’affrontare gl’impegni dell’attività propria del Vescovo, siamo sufficientemente edotti su quanto sia difficile emettere un giudizio in certi casi, nei quali la buona o cattiva fede di colui che è accusato di illecita negoziazione gioca la parte più forte, non per questo dovete pensare che la vostra diligenza sarà priva di ogni effetto, quando almeno gli Ecclesiastici avvertono che voi non siete affatto conniventi riguardo alla violazione di questo importantissimo capitolo della Disciplina Ecclesiastica. Ricaverete infatti grande frutto dal fatto stesso che testimonierete più frequentemente che la vostra e la mente della Chiesa aborriscono dalle loro oscure trame; ai medesimi poi, offrendosi l’opportunità, denuncerete gravemente che Dio non può essere preso in giro (Lui che scruta le reni e i cuori!) e che a nulla serviranno un giorno davanti al suo Supremo Tribunale i cavilli con i quali cercano ora di ingannare il Presule della Chiesa ed evitare le pene inflitte dalle leggi. Del resto non sarà del tutto impossibile conoscere la verità latente della situazione e scoprire il crimine occulto, se con la dovuta cura e la solerzia si scrutano i costumi degli uomini, quali appaiono da tutto il loro tenore di vita, le circostanze delle situazioni e dei casi, che inducono più probabilmente ad accettare o rigettare le scuse addotte. Questo lo potremmo facilmente dimostrare con esempi, se non avessimo fiducia nel Signore, nella saggezza e nell’esperienza delle Vostre Fraternità, come è giusto.

8. Seconda cosa che egualmente dovete evitare, è di non lasciare in alcuna maniera che prevalgano presso di Voi le false interpretazioni delle leggi Canoniche: false interpretazioni dalle quali viene indebolito il loro vigore o deriva un’indulgenza estesa oltre il lecito, contro la mente e lo spirito della Chiesa; interpretazioni derivate da private opinioni e senza il consenso del legittimo Superiore, adattate secondo l’opportunità ai singoli casi di ciascuno, quando la mercatura dei Chierici Regolari o Secolari viene esaminata essendo voi Giudici. Se infatti si tratta della stessa natura del contratto, che in qualche Diocesi suole essere fatta da Ecclesiastici, se cioè da loro debba essere ritenuto lecito o interdetto, non sarà giusto prendere come norma di giudizio o la frequenza degli atti stessi, sulla natura dei quali si inquisisce, o l’opinione stessa dei contraenti; ma per togliere i dubbi, e reprimere la licenza e l’audacia degli opinanti, sarà via sicurissima quella di ricorrere a questa Sede Apostolica, la quale non tralascerà di decidere, come per molte altre simili questioni, per mezzo soprattutto della Congregazione dei Cardinali interpreti del Concilio di Trento, indicando anche per il futuro che cosa si debba pensare dei quesiti presentati: verranno date idonee risposte, dalle quali si potrà ricavare la norma di agire e di giudicare.

9. A proposito di questi argomenti, abbiamo appreso che si attende una dichiarazione esplicita Nostra e della Santa Sede, se sia lecito ai Chierici contrarre Cambio attivo. Benché riteniamo che quasi nessun’altra cosa sia in forma minore soggetto di dubbio, tuttavia per troncare ogni occasione di discussione, in forza della presente lettera dichiariamo e definiamo che il Cambio attivo, per la sua stessa natura, è un atto di vera e propria negoziazione: perciò si deve ritenere vietato a tutti gli Ecclesiastici, sia che venga esercitato in nome proprio come per interposta persona; chiunque perciò del Clero Secolare o Regolare avrà esercitato Cambio attivo, incorre in tutte le pene e censure che sono comminate contro i Chierici negozianti.

10. Se qualche Ecclesiastico, per scusare se stesso per il fatto che è immischiato in affari secolari, adduce la necessità dell’indigenza, non proprio sua (dal momento che a ciascun Chierico il titolo canonico dell’ordinazione deve fornire almeno un sufficiente congruo patrimonio con il quale sostentarsi; mancando poi questo, egli deve provvedere alle proprie necessità con mezzi più onesti e conformi alla sua professione), ma dei Parenti, o delle Sorelle e di altre Persone, alle quali sia tenuto, per debito di dovere naturale, portare aiuto: vogliamo anzitutto e decidiamo che tale scusa non sia accettata mai dal Superiore Ecclesiastico, e che al medesimo Chierico non sia dato credito; in base al prescritto della legge Canonica, sia punito a modo di colpa, se non avrà comunicato in precedenza le predette necessità alla Apostolica Sede (se dimora in Italia o nelle isole adiacenti) o all’Ordinario del luogo (se abita in regioni più remote) ed in considerazione di ciò avrà ottenuto opportuna dispensa dalla medesima Sede Apostolica o dall’Ordinario, e la facoltà di aiutare col suo lavoro le persone suddette.

11. Infine, per quanto riguarda i compiti di questa Nostra Curia, facciamo sapere che è Nostra intenzione e volontà che simili dispense e facoltà non vengano mai concesse, se non a condizione che si basino sulla verità del motivo addotto e non consti che le predette indigenze non si possano risolvere in nessuna altra maniera. Anche in questo caso non sia mai concesso agli Ecclesiastici di trattare alcun genere di negoziazione la cui amministrazione risulti sconveniente con la stato ed il carattere Clericale; anzi, negli stessi Rescritti e Lettere di indulti siano indicate e prescritte ai Chierici le vie più oneste, per mezzo delle quali il Chierico, rispettando la giusta moderazione e nei limiti della vera indigenza, possa portare aiuto ai consanguinei poveri. Anche gli Ordinari, per quanto loro compete, dovranno rispettare tali norme nel concedere dispense e facoltà. Tenendo inoltre presente che ciò che da loro, o dall’Apostolica Sede, talvolta viene riconosciuto a certi singoli Chierici come indulto, concorrendo giuste cause (per esempio, come i fondi delle Chiese, da curare e gestire per una determinata pensione annuale convenuta) non sia rivendicato senza giusta causa dagli altri Ecclesiastici, come cosa concessa generalmente a tutti.

12. Per altro decretiamo che anche le facoltà ottenute come detto siano ritenute sempre, per quanto riguarda il tempo, soggette a revoca, così che siano considerate irrite e revocate “ipso iure”, ogni qualvolta vengano a cessare le annesse indigenze dei Congiunti, o si presenti altra via legittima di provvedere loro opportunamente. Circa l’esecuzione e l’osservanza di tutto ciò, vogliamo che gli Ordinari locali se ne facciano carico con vigile coscienza: e di fatto così stabiliamo.

13. Per la verità, non si deve attribuire unicamente alla mercatura l’abbassamento della Dignità Ecclesiastica che si vede ai nostri giorni. Ci sono altri specifici abusi, a causa dei quali gli uomini Ecclesiastici riducono più frequentemente il proprio decoro e la stima del loro ceto e ordine, perché sanno di non poter contestare apertamente la lettera dei Sacri Canoni e delle Costituzioni emanate dalla Sede Apostolica: pertanto confidano di non incorrere affatto nelle censure e pene ivi contenute. Moltissimi infatti, come venimmo a conoscere dalla relazione dei suddetti, nella stessa amministrazione dei loro beni, nella cultura, nella divisione degli animali, dei frutti e delle altre cose che derivano o sono alimentate nei fondi loro o della Chiesa, o nel procurare le cose che sono necessarie per il proprio uso o per sostenere i predetti fondi, manifestano se stessi talmente immersi in atti di indecenza, talmente dediti totalmente alle cure e sollecitudini di questo secolo, e si mostrano anelanti di lucri temporali, che, pur essendo giustamente ritenuti innalzati per la prestanza della sacra dignità sopra la situazione della condizione umana, abbassano se stessi tra le persone dello stato più abbietto; coloro che dovrebbero essere e apparire figli della luce, sembrano superare i figli del secolo per ansia di terrena avidità. Le relazioni dicevano che costoro si recavano a tutti i mercati e luoghi di commercio in atteggiamento più o meno laicale, e presentavano un esempio assolutamente inferiore a quello Clericale di moderazione, di modestia, di ecclesiastico decoro e gravità.

14. A costoro Noi apertamente dichiariamo che, da parte Nostra, non è minimamente interdetto ciò che a loro è riconosciuto come permesso per la retta e provvida amministrazione del Patrimonio Ecclesiastico, per quanto riguarda la natura stessa dell’atto, oppure è loro raccomandato anche dai Santi Padri e dai Fondatori delle Leggi Ecclesiastiche. In verità come esistono moltissime altre cose che, pur non essendo proibite ai Chierici per la sostanza della cosa, tuttavia a loro ne è permesso l’uso soltanto sotto determinati aspetti e modalità, al punto che a coloro che avranno superato la modalità prescritta, e violato la formalità stabilita della disciplina ecclesiastica, vengono inflitte dai sacri Canoni pene temporali ed anche spirituali censure. Di simili obblighi si trovano innumerevoli esempi nelle leggi generali del diritto Canonico ed anche in speciali statuti delle Diocesi, che prescrivono molti doveri circa la vita, l’onestà, il vestito e la tonsura dei Chierici; così è necessario che voi, Venerabili Fratelli, osservando il modo di agire, conforme a quanto detto prima, di tutti gli Ecclesiastici che si trovano nelle vostre Diocesi, se vi accorgerete che da loro piuttosto frequentemente è accettato ciò che è sconveniente per lo stato clericale, non solo li ammaestriate con opportune istruzioni, di modo che, riflettendo sulla nobiltà della dignità loro conferita, ricordino non essere loro lecito deturparla con atti indecorosi, e neppure togliere dall’animo dei laici la giusta stima e il rispetto verso l’Ordine ecclesiastico, che moltissimo giova anche alle spirituali utilità dei popoli; e perché memori di essere chiamati alla eredità del Signore, cerchino e sviluppino non le cose proprie, ma quelle di Gesù Cristo. Ma per quanto conoscerete essere necessario, con opportuni Decreti già vigenti o con Editti più severi da preparare, vogliate affrontare simile turpitudine e cupidigia dei Chierici; vogliate correggere e punire le colpe dei delinquenti, tenuto conto dello scandalo maggiore o minore, ora rimproverando, ora castigando con salutari penitenze, ora infine con la spada sguainata delle pene ed anche delle censure. Ciò a titolo d’esempio per gli altri.

15. E pari, se non maggiore, sollecitudine del vostro zelo e costanza richiede un altro tipo di corruzione, che abbiamo saputo inficiare molti Ecclesiastici, trascinati alle preoccupazioni del secolo perché sottratti ai servizi della Chiesa. Vi sono infatti degli Ecclesiastici che non ricusano di prestare – per una ricompensa temporale ed abbastanza vile – la loro attività e opera, che per legge di carità dovrebbero dedicare integralmente al culto divino ed in utilità del prossimo: si abbandonano a compiti abietti e servili a favore dei Laici, talvolta anche per amministrare e curare i loro affari. In tale faccenda è difficile giudicare se sia da compiangere maggiormente la cecità di coloro che calpestano, essi stessi, la dignità del loro grado, o piuttosto da riprendere la presunzione dei Laici che disprezzano talmente i Ministri del Santuario, dai quali dovrebbero chiedere testimonianze di vita e sussidi di salute eterna, da non vergognarsi di utilizzarli come addetti ad affari domestici per compiti servili.

16. In verità, più profondamente preoccupa il Nostro animo il pensiero che tale malanno derivi forse da un altro abuso non meno detestabile: che cioè ad alcuni, che temerariamente aspirano allo stato clericale, non capiti talvolta di ingannare il loro Ordinario con documenti falsi e corrotti, e assicuratisi un patrimonio i cui frutti non appartengono a nessuno o non sono di loro competenza, siano promossi agli Ordini Sacri senza un reddito sufficiente per l’onesto sostentamento della loro vita. – Perciò nessuno di voi si meravigli, Venerabili Fratelli, se, approfittando dell’occasione, Vi esortiamo e ammoniamo fortemente, tutti e singoli, perché vi dimostriate più cauti e oculati in questa materia, perché a nessuno dei vostri sudditi sia dato di accostarsi alla Sacra Ordinazione senza che dal Beneficio Ecclesiastico, o dalla Pensione Ecclesiastica o dal Patrimonio da lui stesso preparato (secondo i casi permessi dal diritto, rimossa ogni collusione e frode) percepisca realmente quel reddito annuo che è riconosciuto dagli Statuti sinodali di ciascuna Diocesi o da una legittima, determinata consuetudine.

17. Non tollerate poi che i Chierici ed i Sacerdoti addetti nelle case dei Laici a simili compiti, che sono sconvenienti con la loro dignità e professione, siano trasferiti dal culto divino e dall’esercizio della propria perfezione all’esercizio di lavori servili e ad attività secolari, benché si sforzino talvolta di nascondere il tipo di servizio intrapreso con l’apparenza di modalità più oneste. Non permettete che avviliscano tranquilli nel loro disonore, oppure forse, caparbi, si vantino impunemente della loro defezione dall’ambito della Chiesa, ma con ogni attenzione della vostra sollecitudine pastorale e, per quanto sia necessario, con tutta l’autorità della giurisdizione ordinaria o delegata, rispettando ciò che deve essere rispettato, procurate di richiamarli alle istituzioni della vita Ecclesiastica ed agli impegni della Milizia Clericale.

18. Queste sono le cose, Venerabili Fratelli, che giudicammo opportuno suggerire alla vostra sollecitudine e fermamente raccomandare in forza dell’impegno del Nostro Ministero Apostolico, per difendere e rivendicare l’onestà e la dignità dell’Ordine Ecclesiastico. In questo affare, che dipende sommamente da particolari circostanze di azioni, è necessario che Voi siate assolutamente protagonisti, per il fatto che Voi potete meglio conoscere e giudicare più sicuramente le azioni dei vostri sudditi e le relative circostanze, le necessità delle regioni, i costumi delle persone, tutto ciò che presso uomini prudenti e probi abbia l’apparenza di onesto o di indecoroso e debba essere stabilito nei singoli luoghi. Perché poi Vi sia dato, in questo genere di cose, maggiore libertà di correggere e riformare tutto ciò che è disordinato, permettiamo che sia determinato dal vostro prudente giudizio qualsiasi indulto di dispensa o facoltà (circa quanto precedentemente detto) finora concesso da qualsiasi Ufficio della Curia Romana; e vogliamo che in seguito non ne sia concesso alcuno se non dopo aver sentito prima le Vostre relazioni e i Vostri voti, con aggiunte al medesimo indulto quelle formule e condizioni, mediante le quali sia lasciato a Voi l’intero potere di dare informazioni sulla loro esecuzione e sull’esito, in modo che a nessun Ecclesiastico sia lecito, con un pretesto, assumere alcun lavoro o servizio meno onesto, o ritenerlo e prolungarlo contro la Vostra proibizione. – Frattanto, confidando nel Vostro zelo pastorale, impartiamo di cuore alle Fraternità Vostre l’Apostolica Benedizione.”

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 17 settembre 1759, nell’anno secondo del Nostro Pontificato.

 

IV DOMENICA dopo PENTECOSTE

Introitus

Ps XXVI:1; XXVI:2 Dóminus illuminátio mea et salus mea, quem timebo? Dóminus defensor vitæ meæ, a quo trepidábo? qui tríbulant me inimíci mei, ipsi infirmáti sunt, et cecidérunt. [Il Signore è mia luce e mia salvezza, chi temerò? Il Signore è baluardo della mia vita, cosa temerò? Questi miei nemici che mi perséguitano, essi stessi vacillano e stramazzano.] Ps XXVI:3

Si consístant advérsum me castra: non timébit cor meum. [Se anche un esercito si schierasse contro di me: non temerà il mio cuore.]

Dóminus illuminátio mea et salus mea, quem timebo? Dóminus defensor vitæ meæ, a quo trepidábo? qui tríbulant me inimíci mei, ipsi infirmáti sunt, et cecidérunt. [Il Signore è mia luce e mia salvezza, chi temerò? Il Signore è baluardo della mia vita, cosa temerò? Questi miei nemici che mi perséguitano, essi stessi vacillano e stramazzano.]

Orémus. Da nobis, quæsumus, Dómine: ut et mundi cursus pacífice nobis tuo órdine dirigátur; et Ecclésia tua tranquílla devotióne lætétur. [Concedici, Te ne preghiamo, o Signore, che le vicende del mondo, per tua disposizione, si svolgano per noi pacificamente, e la tua Chiesa possa allietarsi d’una tranquilla devozione.]

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum. R. Amen.

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános. Rom VIII:18-23. Fratres: Exístimo, quod non sunt condígnæ passiónes hujus témporis ad futúram glóriam, quæ revelábitur in nobis. Nam exspectátio creatúræ revelatiónem filiórum Dei exspéctat. Vanitáti enim creatúra subjécta est, non volens, sed propter eum, qui subjécit eam in spe: quia et ipsa creatúra liberábitur a servitúte corruptiónis, in libertátem glóriæ filiórum Dei. Scimus enim, quod omnis creatúra ingemíscit et párturit usque adhuc. Non solum autem illa, sed et nos ipsi primítias spíritus habéntes: et ipsi intra nos gémimus, adoptiónem filiórum Dei exspectántes, redemptiónem córporis nostri: in Christo Jesu, Dómino nostro. [Fratelli: Penso che le sofferenze presenti non sono paragonabili alla gloria futura che si manifesterà in noi. Poiché l’attesa del creato si rivolge tutta alla rivelazione dei figli di Dio. Infatti il creato è stato assoggettato alla vanità, non per suo volere, ma da colui che lo ha assoggettato con la speranza che lo stesso creato sarà liberato dalla schiavitú della corruzione nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutto il creato è unito nei gémiti e nelle doglie del parto fino ad ora. E non solo il creato, ma anche noi, che abbiamo le primizie dello Spirito, gemiamo in noi stessi aspettando, dopo l’adozione a figli di Dio, la redenzione del nostro corpo: in Gesù Cristo nostro Signore.]

Omelia I

[Mons. G. Bonomelli [*], “Nuovo saggio di OMELIE per tutto l’anno”, Vol. III, Torino 1899 –imprim.]- Om. IX.

“Tengo per certo, che le sofferenze del tempo presente non hanno punto proporzione colla gloria che sarà manifestata in noi. Perché la stessa creatura irragionevole aspetta ansiosamente la manifestazione dei figliuoli di Dio: perché la stessa creatura suo malgrado fu sottomessa alla vanità da colui che ad essa l’ha sottoposta nella speranza. Perché anch’essa creatura sarà francata dalla servitù della corruzione e messa nella libertà gloriosa dei figliuoli di Dio. Sappiamo difatti, che fino ad ora ogni creatura geme ed è in travaglio quasi di parto. Né solamente essa, ma noi ancora, che abbiamo le primizie dello spirito e gemiamo in noi stessi, anelando all’adozione a figliuoli di Dio, alla redenzione del nostro corpo „ (Ad Rom. VIII, 18– Paolo ci lasciò quattordici lettere e prima di tutte nella Scrittura è posta quella ai Romani, dalla quale sono tolti i pochi versetti, che avete uditi e che si leggono nella Messa odierna. Questa tiene meritamente il primo posto tra le lettere di S. Paolo, non già perché sia stata scritta prima delle altre, ma perché è indirizzata alla Chiesa di Roma, madre di tutte le altre Chiese, sede del Primato, ed anche perché è la più lunga e per ragione della dottrina dogmatica in essa sviluppata sopra le altre importantissima. Questa lettera fu scritta da S. Paolo in Corinto, allorché era sulle mosse per Gerusalemme, l’anno 58, al più tardi, il 59 dell’era nostra. – Il tratto che devo chiosare si legge nel capo ottavo della lettera, ed è una miniera d’altissime verità teoriche e pratiche. L’Apostolo comincia il capo, toccando la felice condizione dei rigenerati in Cristo, e afferma ch’essi sono sciolti dalla legge del peccato; poi accenna alla misera condizione di coloro che vivono secondando la carne. Insegna che nei rigenerati in Cristo abita lo Spirito santo, come devono seguirne la legge e come nell’intimo della coscienza abbiano la testimonianza d’esser figli di Dio. A quali condizioni potranno riceverne la mercede? A condizione di patire con Cristo; soffrendo con Lui, con Lui saranno anche glorificati. E qui comincia la lezione che devo spiegare. – « Tengo per certo, che le sofferenze del tempo presente non hanno proporzione con la gloria, che sarà manifestata in noi. „ È questa una verità, che troviamo, starei per dire, ad ogni pagina nelle lettere dell’Apostolo, ma che pure non è mai abbastanza ripetuta, perché di questa abbiamo bisogno continuo. La nostra vita quaggiù è una serie di afflizioni interne ed esterne raramente interrotte: il fardello del dolore ci sta sempre sulle spalle e l’ombra della croce ci segue dovunque. Ora in mezzo a tante tribolazioni, a tanti e sì crudeli affanni, che ci accompagnano nel cammino della vita, la verità più consolante, che possiamo avere, è questa: “Siamo certi, che le sofferenze del tempo presente non hanno proporzione colla gloria, che sarà manifestata in noi” —. Quali sofferenze? Forse quelle soltanto che ci vengono direttamente dal professare la fede di Gesù Cristo e dalla osservanza fedele dei suoi precetti? Indubbiamente queste ci meritano la gloria divina; ma l’Apostolo non parla di queste solamente, ma di tutte le sofferenze della presente vita: Hujus temporis —, come sono quelle del lavoro, delle infermità, dell’inclemenza delle stagioni, dei timori, delle contraddizioni, della povertà e andate discorrendo; anche queste, quantunque comuni a tutti gli uomini, patite con spirito di fede, per amore di Gesù Cristo, ci fruttano per il cielo. Quale conforto il cristiano può attingere in questo insegnamento di S. Paolo! Egli può e deve dire a se stesso: io soffro, ma il mio soffrire è seme, che frutterà il godere e godere eterno; tra il soffrire presente e il godere futuro non vi è proporzione alcuna; il soffrire lieve, immenso il godere; il soffrire è breve, pochi giorni, pochi anni; il godere interminabile; la ricompensa, Dio stesso. Io affido alla terra un granellino, che l’occhio appena discerne; questo, dopo alcuni giorni, qualche mese o qualche anno, mi dà un fiore bello a vedersi, soave a odorarsi, un albero che curva i rami sotto il peso dei suoi frutti moltiplicati. Ecco l’immagine del mio soffrire quaggiù sulla terra e del mio godere su in cielo. Questo pensiero deve essere un balsamo versato sulle ferite del mio povero cuore e deve mitigarne e raddolcirne il dolore, come la speranza della messe copiosa rallegra il contadino, che suda sull’aratro e sparge la semente nel solco aperto. – S. Paolo dice: “Tengo per certo „ existimo che le sofferenze presenti mi daranno una gloria senza confronto maggiore del merito. „ Quale certezza abbiamo noi di ricevere il premio del nostro patire? La nostra certezza non è, né può essere di fede, perché la Chiesa ha definito contro gli eretici, che nessun cristiano, senza una speciale rivelazione, può essere certo di fede d’aver ottenuto la grazia, senza la quale non si può ottenere la vita eterna (Conc. di Trento, sess. VI, can. XIII, XLI); ma la nostra certezza può essere una certezza umana, che viene dalla coscienza di adempiere i propri doveri, di fare ciò che possiamo per pacere a Dio, per fuggire il peccato, simile a quella certezza che abbiamo d’essere amati dall’amico, dal padre, dalla madre, ai quali ci studiamo di mostrarci fedeli e ubbidienti. Questa gloria, che deve essere il frutto delle presenti sofferenze, sarà manifestata in noi, dice l’Apostolo, e a ragione. La gloria e la gioia, che avremo in cielo, non è altra cosa che la esplicazione e la fioritura della grazia, che possediamo sulla terra, come i fiori ed i frutti dell’albero non sono che la esplicazione e la fioritura di quel piccolo seme, che avete affidato alla terra; ondechè, possedendo la grazia, possediamo in potenza o in germe la gloria, e soffrendo in pace i dolori della vita, portiamo in noi stessi la gioia, che un dì sgorgherà dal fondo dell’anima nostra: Revelabitur in nobis. – Poiché noi tutti siamo fatti per la felicità e ad essa tendiamo necessariamente, come la pietra tende al suo centro, ne conseguita che i nostri cuori con ardente brama sospirano questa ricompensa delle nostre sofferenze e la gloria onde saremo vestiti. – Ma vi è di più, continua l’Apostolo: non pure noi, noi esseri deboli di ragione, sollevati e mossi dalla grazia aspettiamo col desiderio più acceso questa futura trasformazione, “ma la stessa natura irrazionale aspetta con ansia che siano manifestati i figliuoli di Dio, „ ossia che apparisca il giorno della loro manifestazione o gloria celeste. – Che è dessa quella creatura, che dicesi aspettare con ansia la rivelazione? Alcuni vi ravvisarono indicati gli angeli, ma a torto: perché questa creatura la si dice tosto nel versetto seguente soggetta alla vanità, e per fermo gli angeli non possono essere soggetti alla vanità. D’altra parte non possono essere gli uomini giusti, perché si dice, che questa creatura aspetta la rivelazione dei figli di Dio, cioè dei giusti, onde è manifesto, che la creatura che aspetta non si può confondere coi giusti: non possono essere nemmeno i tristi o peccatori, perché questi né aspettano, né possono aspettare questa rivelazione, che non conoscono, disprezzano od odiano. Resta dunque che quella parola creatura significhi la natura tutta irragionevole, ossia l’universo. S. Paolo, uomo orientale e nutrito nello studio dei Profeti, con un volo arditissimo di fantasia, ci rappresenta non solo le anime cristiane, ma le creature tutte anche irragionevoli, che si uniscono a quelle in desiderare ardentemente il compimento della speranza mercé la manifestazione della gloria eterna. Ma come mai e perché la natura irragionevole può unirsi alle anime credenti in questo affocato desiderio della futura trasformazione? Questo modo di parlare è veramente poetico, attribuendo 1′ aspettazione ansiosa a esseri destituiti di ragione e di volontà e perciò incapaci di desiderio; ma vi si nasconde un senso profondo, che mi studierò di spiegare alla meglio. Tutte e le cose materiali sono create per l’uomo e debbono servire a lui in tutti i modi, e in gran parte per via di evoluzioni meravigliose e perenni debbono entrare nell’organismo dell’uomo stesso, diventare successivamente parte del suo corpo ed essere assunte all’altissimo onore di strumento del suo pensiero e della sua volontà. Il perché tutte le creature materiali, a nostro modo di dire, aspirano alla loro unione con l’uomo, perché in esso e con esso si nobilitano, partecipano alla sua vita fisica e spirituale e sentono che la loro sorte è legata indissolubilmente alla sorte dell’uomo. Ecco perché tutte queste creature irragionevoli, a loro modo anch’esse, come formanti il corteggio, l’appendice dell’uomo, formanti anzi qualche parte dell’uomo insieme con lui sospirano che venga il giorno dell’umana trasformazione e risplenda agli occhi di tutti la gloria degli eletti e dei figli di Dio. E qui S. Paolo sviluppa più ampiamente il suo pensiero. Seguitiamolo. “La stessa creatura è soggetta alla vanità. „ Tutte le creature, che esistono sulla terra che direttamente o indirettamente servono l’uomo, giusta il volere del Creatore, nell’ordine presente, subiscono incessanti trasformazioni ed alterazioni: ora passano dalla natura in organica all’organica vegetale od animale e fino all’umana e poi ritornano all’inorganica. Osservate ciò che avviene intorno a noi e nel nostro corpo e troverete un movimento incessante, un farsi e disfarsi perpetuo delle creature, or lento, or rapido, tantoché la morte è la condizione della vita e la vita la condizione della morte: non vi è una sola creatura visibile che sfugga alla legge, che tutto fa vivere e morire e dalla morte trae gli elementi di una, vita novella e getta nella vita i germi della morte. Tutte queste creature non solo sono sottoposte a questa trasformazione che non cessa un solo istante, ma devono servire (ahi quante volte!) di strumento al disordine, all’offesa del Creatore, contro il loro fine. L’aria, la luce, l’acqua, la terra, le sue produzioni più belle e più preziose, tutto il regno vegetale, animale ed universale, per opera dell’uomo sono forzati a deviare dal loro fine e a diventare strumento di peccato. Inquantoché sono sottomesse al lavoro della trasformazione senza tregua ed alla necessità di essere soventi volte costrette ad un uso contrario al loro fine naturale, queste creature sono dette da S. Paolo ” sottoposte alla vanità: „ Vanitati creatura subjecta est. Espressione sublime, che rappresenta il mondo tutto in uno stato di prova e di violenza, come 1’uomo, del quale segue necessariamente la sorte, perché ad esso è ordinato, come mezzo al fine. Questo mondo visibile, continua S. Paolo, non vorrebbe questa legge di continue mutazioni, di alternative di morte e di lotta e rivolta contro il Creatore, alla quale è costretto dall’uomo: Non volens; ma vi si acconcia, perché così vuole il Creatore; vi si acconcia, ma con la speranza che verrà pure quel giorno, nel quale cesserà questa lotta, che lo affatica, nel quale saranno cieli nuovi e terra nuova e tutto sarà composto in una pace inalterabile e perfetta. “La stessa creatura è sommessa alla vanità, non volente, ma da Colui, che a questa l’ha sottoposta nella speranza. „ Sì, la natura tutta irrazionale, nel suo linguaggio domanda al pari di noi, uomini e cristiani, il cessare del suo stato presente, al quale istintivamente rilutta: il suo grido, eco lontana del nostro, è questo: Quando, Signore, porrete fine al mio travaglio? Quando mi darete la pace ? Quando, anch’io, come l’uomo e per l’uomo, sarò rinnovata e secondo la mia natura non servirò che a Lui solo? E giusto, risponde l’Apostolo: “anch’essa, questa natura irrazionale sarà affrancata dal servaggio della corruzione, nella libertà della gloria dei figliuoli di Dio. „ Non è facile intendere questo luogo del sacro testo, ma sembra fuor di dubbio, essere, non altrimenti del seguente, una spiegazione dell’antecedente. La natura tutta irrazionale, quasi culla, reggia e nutrice dell’uomo, suo re, al termine dei secoli, quando egli ripiglierà, rifiorente di vita immortale, il suo corpo, anch’essa si rinnovellerà, quasi per fare più bella la gloria dell’uomo, e ad imitazione dell’uomo stesso: Et ipsa creatura liberabitur a servitute corruptionis, in libertatem gloria filiorum Dei. Quale sarà questo rinnovellamento della natura irrazionale, riflesso del rinnovellamento dell’uomo? Come finirà il suo servaggio e quale sarà la libertà sua, di cui qui favella l’Apostolo? Sappiamo che avverrà, ma quale sarà lo ignoriamo, e solo per una cotale induzione possiamo formarcene un’idea. Saranno cieli nuovi e terra nuova, l’uno e l’altra abitazione degna dell’uomo glorificato, sottratta interamente all’impero e all’influenza di ogni male morale e fisico, e saper questo ci basti. – Da questa dottrina sì alta e sì bella dell’Apostolo si fa manifesto che il fine delle creature tutte irragionevoli è legato al fine proprio dell’uomo e da questo dipende tantoché, se così posso esprimermi, anch’esse saranno felici o infelici della sua felicità od infelicità: ed è giusto perché le creature irragionevoli sono create per l’uomo e a lui debbono servire e per conseguenza la sorte del principale tira seco la sorte del secondario. Gli elementi, onde risulta il nostro corpo, accompagneranno e per sempre l’anima o beata in cielo, o straziata nell’inferno, perché l’unione sarà sempiterna, e perciò siamo noi che determiniamo la sorte eterna del mondo materiale. Il linguaggio dunque dell’Apostolo in questo luogo è poetico e ad un tempo altamente filosofico e vero. Questa idea dell’aspettazione ansiosa della natura irrazionale è ribadita e con più forte tinta rilevata in questo altro versetto: “Sappiamo di fatto che ogni creatura finora geme ed è come nel travaglio del parto. „ Questo gemere e quasi soffrire i dolori del parto di tutte le creature irragionevoli, aspettanti la loro liberazione e trasformazione finale, ci fa sentire la loro solidarietà coll’uomo e com’esse fremono nello stato di disordine e di violenza, in cui al presente troppo spesso si trovano. Questa frase dell’Apostolo ci riduce alla memoria quell’altra frase non meno energica del libro della Sapienza, in cui si dice, che Dio armerà tutte le creature contro gli stolti, cioè i peccatori. Ah! ricordiamola sempre, o dilettissimi, questa verità. Ogni volta che noi abusiamo delle creature, peccando, rivolgendole contro il Creatore, esse, per così dire, si sdegnano contro di noi, soffrono, gemono e sospirano il momento, nel quale spezzeranno il giogo della corruzione, che loro imponiamo: strumento nostro quaggiù al peccato, al piacere colpevole, diventeranno allora strumento di Dio a nostra punizione. S. Paolo, dopo questa breve e brillante digressione sulle creature tutte irrazionali, che con sì affocato desiderio aspettano e invocano la propria libertà e rinnovazione, ritorna a sé, ai credenti, e prosegue: “E non solo essa, cioè la creatura irrazionale, ma noi ancora, che abbiamo le primizie dello spirito, gemiamo in noi stessi, anelando alla adozione dei figliuoli di Dio, alla redenzione del nostro corpo. „ Sì, l’universo sospira e geme, ma con esso e ben più di esso, noi, cristiani, primizie del giardino di Cristo, la Chiesa, o meglio, noi cristiani, che abbiamo ricevuto i primi e più copiosi doni dello Spirito, sospiriamo e gemiamo nel fondo delle anime nostre. Travagliati da sollecitudini ed affanni interni, fatti segno di calunnie e di persecuzioni, sbandeggiati, flagellati, gettati in carcere, trascinati dinanzi ai tribunali, divenuti il rifiuto del mondo, ci viene a noia la vita, ita ut tæderet nos etiam vivere, volgiamo lacrimosi gli occhi al giorno, in cui la grazia, o l’adozione di fìgli di Dio ci schiuderà le porte del cielo e saremo liberati da questo corpo mortale e rivestiti del corpo impassibile e glorioso: Adoptionem filiorum Dei, expectantes redemptionem corporis nostri. Questo grido affannoso dell’Apostolo, che guarda, aspetta ed invoca la gloria della risurrezione del corpo, risponde al grido di Giobbe, che, straziato e disfatto dalla lebbra esclama: ” So che il mio redentore vive, e ch’io alla fine dei tempi risorgerò dalla polvere e rivestirò questa carne, e in essa vedrò il mio Dio e mio Salvatore. „ È questo il grido, che erompe dal cuore d’ogni credente, che attraversa questa terra d’esilio, che sente la miseria della vita presente, che cammina verso la vera patria, al possesso di Dio. Sia pur questo il grido che esce dai nostri cuori, disillusi della terra e anelanti al cielo!

[*][NOTA: Un lettore ci ha fatto cortesemente notare come Mons. G. Bonomelli, ai suoi tempi, sia stato in “odore” di Modernismo, anche per le sue abituali frequentazioni con A. Fogazzaro. I volumi dai quali traiamo le omelie sulla lettura, sono tutti muniti di nihil obstat ed imprimatur, letti da “quelli” del Santo Uffizio e dell’Indice. Vigilare è sempre opportuno, e la prudenza non è mai troppa, per cui invitiamo i lettori Cattolici a segnalare eventuali “svarioni” modernisti, sui quali abbiano chiuso gli occhi o si siano addormentati i censori del Santo Uffizio. Grazie a tutti anticipatamente]

Graduale

 

Ps LXXVIII:9; LXXVIII:10 Propítius esto, Dómine, peccátis nostris: ne quando dicant gentes: Ubi est Deus eórum? V. Adjuva nos, Deus, salutáris noster: et propter honórem nóminis tui, Dómine, líbera nos. [Sii indulgente, o Signore, con i nostri peccati, affinché i popoli non dicano: Dov’è il loro Dio? V. Aiutaci, o Dio, nostra salvezza, e liberaci, o Signore, per la gloria del tuo nome.]

Allelúja

Alleluja, allelúja Ps IX:5; IX:10 Deus, qui sedes super thronum, et júdicas æquitátem: esto refúgium páuperum in tribulatióne. Allelúja [Dio, che siedi sul trono, e giudichi con equità: sii il rifugio dei miseri nelle tribolazioni. Allelúia.

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam. Luc. V:1-11

In illo témpore: Cum turbæ irrúerent in Jesum, ut audírent verbum Dei, et ipse stabat secus stagnum Genésareth. Et vidit duas naves stantes secus stagnum: piscatóres autem descénderant et lavábant rétia. Ascéndens autem in unam navim, quæ erat Simónis, rogávit eum a terra redúcere pusíllum. Et sedens docébat de navícula turbas. Ut cessávit autem loqui, dixit ad Simónem: Duc in altum, et laxáte rétia vestra in captúram. Et respóndens Simon, dixit illi: Præcéptor, per totam noctem laborántes, nihil cépimus: in verbo autem tuo laxábo rete. Et cum hoc fecíssent, conclusérunt píscium multitúdinem copiósam: rumpebátur autem rete eórum. Et annuérunt sóciis, qui erant in ália navi, ut venírent et adjuvárent eos. Et venérunt, et implevérunt ambas navículas, ita ut pæne mergeréntur. Quod cum vidéret Simon Petrus, prócidit ad génua Jesu, dicens: Exi a me, quia homo peccátor sum, Dómine. Stupor enim circumdéderat eum et omnes, qui cum illo erant, in captúra píscium, quam céperant: simíliter autem Jacóbum et Joánnem, fílios Zebedaei, qui erant sócii Simónis. Et ait ad Simónem Jesus: Noli timére: ex hoc jam hómines eris cápiens. Et subdúctis ad terram návibus, relictis ómnibus, secuti sunt eum”.

[In quel tempo: Affollàtesi le turbe attorno a Gesú per udire la parola di Dio, Egli si teneva sulla riva del lago di Genézareth. E vide due barche tirate a riva, poiché i pescatori erano discesi e lavavano le reti. Salendo in una barca, che era di Simone, lo pregò di allontanarlo un poco dalla spiaggia; e sedendo insegnava alle turbe dalla navicella. Quando finí di parlare, disse a Simone: va al largo, e getta le reti per la pesca. E rispondendogli, Simone disse: Maestro, per tutta la notte abbiamo lavorato senza prendere niente, tuttavia, sulla tua parola, getterò la rete. E fattolo, presero una cosí grande quantità di pesci che le reti si rompevano. E allora fecero segno ai compagni che erano nell’altra barca affinché venissero ad aiutarli. E vennero, e riempirono le due barche al punto che stavano per affondare. Visto questo, Simone Pietro si gettò ai piedi di Gesú, dicendo: Allontanati da me, o Signore, poiché sono un peccatore. Lo spavento infatti si era impadronito di lui e di quelli che erano con lui a causa della pesca: ed erano sbigottiti anche Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano compagni di Simone. E Gesú disse a Simone: Non temere: d’ora in poi sarai pescatore di uomini. E avendo tirato a secco le barche, lasciata ogni cosa, lo seguirono.]

Omelia della Domenica IV dopo Pentecoste

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. II -1851-]

Uomini come pesci-

Fa menzione l’odierno Evangelo d’una pesca miracolosa notturna tentata dai discepoli del Salvatore con esito infelicissimo; poiché passarono tutta la notte in fatiche continue, e non venne loro fatto di prendere un solo pesce: “tota nocte laborantes nihil cœpimus”; ma poi, gettata nuovamente la rete, raccolsero una tal copiosa moltitudine di pesci, che la rete minacciava di rompersi, e la navicella di affondarsi. Da questa evangelica narrazione di pescatori e di pesca io prendo motivo di assomigliare gli uomini ai pesci. Non vi sorprenda l’assunto, è S. Ambrogio che me ne porge l’idea. “Pisces enim sunt, dice egli, qui hanc enavigant vitam” (Lib. 4 in Luc.). E a questa similitudine fece allusione il divin Redentore allorché disse a Pietro e ad Andrea; venite, seguitemi, e di pescatori di muti animali farò che siate pescatori di uomini: “Venite post me, et faciam vos fieri piscatores hominum”. Ora siccome i pesci si lasciano ingannare dal pescatore per un poco d’esca lusinghiera, così una gran moltitudine d’uomini incauti si lasciano ingannare dal pescatore per quel poco di dolce con cui li alletta a peccare. Deploriamo, fedeli amatissimi, la stoltezza di quei peccatori, che per un misero gusto di soddisfazione brutale cadono nella rete del peccato e del demonio, e perdono miseramente la vita dell’anima e l’eterna vita. La proposta allegoria degli uomini simili ai pesci riuscirà per avventura più sensibile, più opportuna al disinganno, e allo spirituale vantaggio di tutti. Favoritemi della solita vostra graziosa attenzione. – Fingiamo ipotesi (anche le ipotesi impossibili giovano a meglio schiarire la verità), fingiamo che i pesci avessero intendimento e discorso, e tra di loro andassero dicendo così: mirate quanto è grande la bontà e l’amore, che gli uomini hanno per noi. Abbandonano le loro case, vengono sulla sponda del mare, o ascendono su qualche naviglio, passano le notti in vigilie, e i giorni sotto la sferza del sole, esposti ai venti, alle piogge e al rigore delle stagioni. E tutto ciò perché? Per recarci qualche scelto alimento, per gettarci i più squisiti bocconi. Un tal discorso farebbe pietà insieme, e moverebbe il riso. Stolti, insensati, voi potreste rispondere, gustate pure ed inghiottite quei cibi che gli uomini vi apportano, e mi saprete poi dire quanto è grande per voi la loro bontà. Quel che non dicono, né possono dire i pesci muti e irragionevoli, lo dicono tanti uomini del bel mondo, dediti al piacere e al libertinismo, descritti nel libro della Sapienza: “Venite fruantur bonis” [Cap. II, 6], si dicono essi a vicenda: non vedete quanti beni ci presentano le creature, il mondo, il senso, la gioventù? Venite adunque, godiamo di questi piaceri, faranno questi la nostra felicità: “venite ergo, et fruamur bonis . . . quoniam hæc est pars nostra” (V, 8). Ah gente senza consiglio, più insensati, più deplorabili che i pesci non sono! Sotto l’esca allettante dei mondani piaceri si nasconde un amo adunco, micidiale, che vi strapperà le viscere, che vi toglierà la pace, la vita di grazia, e, se non vomitate con vera penitenza il dolce boccone trangugiato, anche la vita eterna. È lo Spirito Santo, che precisamente descrive nell’Ecclesiaste la vostra insensatezza e la vostra disgrazia. Avviene agli uomini, dice egli, come ai pesci, di venir presi ed uccisi da un amo nascosto : “Sicut pisces capiuntur hamo .., sic capiuntur hómines” (Eccl. IX, 11). – Vediamolo in pratica. Quel giovane frequenta ridotti: il demonio, pescatore scaltrito, lo alletta al giuoco coll’esca del guadagno, colla speranza di accrescere il suo coll’altrui danaro, e di rifarsi delle sue perdite. Questa è l’esca lusinghevole, sotto di cui un amo crudele gli fa poi sentire le più vive punture, per le perdite di somme considerabili, per le discordie domestiche, minacce del padre adirato, lacrime dell’afflitta madre, rimproveri dei congiunti, amarezze, rancori, disperazioni. Oh povero pesce ingannato, quanto ti costa quell’esca traditrice! “Sint pisces capiuntur hamo, sic capiuntur homines”. Quell’altro è spinto a intavolare una lite. Il demonio per invilupparlo in una rete inestricabile muove la passione dell’interesse colla speranza della vittoria, muove quella dell’amor proprio, e gli fa credere forti, evidenti, insuperabili le sue ragioni, e di nessun peso quelle della parte avversa; muove l’irascibile e gli fa dire: quando anche dovessi restar mendico, non voglio che il mio emolo se ne rida. Tutte queste passioni compongono un’esca molto saporosa ed attraente: vediamo se chi l’ingozza l’indovina. S’incomincia la lite, incominciano gli affanni, si prosegue, si va avanti, e allo stesso passo corrono le spese; ma le lusinghe sono che presto sarà finita. Passano intanto i mesi, passano gli anni, ma non cessa il conturbamento dell’anima, ed il dolor della borsa: nascono incidenti che affliggono, sospetti che affannano: succedono bugie, che velate consolano, e scoperte amareggiano giorni tristi, notti inquiete: lunghe anticamere, accoglimenti poco graziosi: sommissioni che costano, raccomandazioni che non giovano, parole simulate, promesse non adempite, odi, inimicizie, decadenza di stato, rovina di famiglia. Ecco le fitte pungenti e crudeli dell’amo nascosto, a cui delusi da un falso bene vi siete appigliato. Così è: “sicut pisces capiuntur hamo, sic capiuntur homines”. – Voi, o donna, coltivate quell’amicizia: badate bene, colui che vi viene attorno vuole tradirvi. Le lodi, le adulazioni, i donativi, le promesse sono le solite vie dell’inganno e del tradimento, e sono esche lusinghevoli per tirarvi ai suoi malvagi disegni. Non mi credete? aspettate forse che vi obblighi a credermi la vostra luttuosa esperienza? Oh Dio! Già questa vostra amistà è divulgata, le visite troppo frequenti fan parlare i vicini, ne mormorano i lontani, tutto il paese ne bolle. Siete figlia? Contro di voi si allarmano i genitori, i fratelli, i congiunti, i veri amici. Siete maritata? Sorgono contro di voi le gelosie, i sospetti, le minacce, le percosse dell’offeso consorte. Chiunque voi siete, se non recidete il filo della rea corrispondenza, il vostro onore è perduto, non potete più mostrar faccia, e coll’onore perduta avete la grazia di Dio e dell’anima. Questo vuol dire lasciarsi ingannare come i pesci dall’esca: “Sicut pisces capiuntur hamo, sic capiuntur homines” – Non sempre, dirà qui un uomo di mondo, non sempre avvengono le da voi descritte disavventure. Quante volte i pesci senza lor danno portan via dall’amo la pasta, e troncano il filo o fuggono dalla rete, e liberi guizzanti lasciano deluso il pescatore? – Ho inteso. E da casi rari, fortuiti, volete dedurre una general conseguenza, che dunque l’esporvi al pericolo sia da uom ragionevole e da buon cristiano? Eh miei cari, pericolo di peccare, che si vuole, si cerca, si ama, è peccato, in morale non si distinguono, e in pratica il pericolo che non si teme si cangia in rovina: “Qui amat periculum, in illo peribit” (Eccl. III, 27). – Sansone, prodigio di fortezza , allettato dalle carezze di Dalida, e caduto nelle sue reti, rompe la prima, la seconda, la terza volta le grosse funi, i forti legami, con cui dalla traditrice è stato avvinto; sprezza il pericolo, si fida della sua forza, e finalmente dato in man dei nemici perde la libertà, perde gli occhi, e perde la vita. Ecco il tragico fine di questo grosso fortissimo pesce; ecco l’esito funesto dei dolci allettamenti, e del non curare i pericoli. Diciamolo ancor una volta: “Sicut pisces capiuntur hamo, sic capiuntur nomine”. – Un altro pesce stoltissimo fu Esaù. Voi stupite in sentire dalle divine Scritture ch’egli rinunziò alla sua primogenitura, e con essa al diritto di pingue eredità, per una vile minestra di lenticchie. E poi non vi fa specie, quando voi, per un sozzo piacere, per un vile interesse, per una momentanea soddisfazione rinunziate a Dio e all’eredità del regno eterno! Non basta; la rinunzia di un sommo bene, voi lo sapete, porta seco necessariamente l’incontro di un sommo male. Or ditemi di grazia se l’uomo non è più stolto di un pesce, qualora per un boccone di sensuale diletto si condanna ad un sempiterno supplizio? Nel corso delle umane cose, dice il Santo Giobbe, dove si troverà persona così insensata, che voglia gustar di un cibo, conoscendo che le darà la morte? “Potest aliquis gustare, quod gustatum offert mortem?” (Job. VI, 6). Sia pur dolce, dolcissima una bevanda, sia pur ardente la sete, se di certo si sa che in fondo a quel bicchiere brillante sta una goccia di veleno, niuno è così pazzo e nemico di se stesso da accostarvi le labbra. Giusto riguardo per non perdere la vita. E solo, solo per l’anima saremo ciechi, forsennati, indifferenti, insensibili? O Cristiani, dov’è la nostra fede, dov’è l’uso di nostra ragione, dov’è il naturale amore di noi stessi? – Non poteva darsi pace il povero Gionata, quando si vide condannato a morte per aver gustato una goccia di miele: “Gustans, gustavi paullulum mellis, et ecce morior” ( I Re XIV, 43). Da un più grande e doloroso rammarico saranno compresi ed agitati tutti coloro, che per una stilla d’animalesco piacere hanno segnata la sentenza della loro morte spirituale ed eterna. – Eh via, miei cari, fuggiamo una volta, fuggiamo per carità gli allettativi del demonio, del mondo e della carne, ai quali abbiamo solennemente rinunziato nel santo battesimo. – Il Signore per nostra istruzione ci manda ad imparare la sollecitudine dalla formica, la semplicità della colomba, la prudenza del serpente, ed io, per vostro bene, contentatevi che vi proponga l’esempio di alcuni pesci, che sembrano dotati di ragione, di senno e di consiglio. Vedono questi sovente andar ondeggiando tra’ flutti esche saporite, delicati bocconi; vedono accorrere a questi tanti altri pesciolini, ed essi? Oh! Essi, sebbene allettati dalla vista, sebbene spinti dalla fame, guai che si accostino, voltano la coda, li lasciano intatti, e deludono lo scaltro pescatore. Volete vedere un di questi pesci saggi, prudenti, giudiziosi? (Già vi dissi dal bel principio con S. Ambrogio: “pisces sunt, qui hanc enavigant vitam”). Vedetelo dunque in casa di Putifarre, egli è Giuseppe figliuolo di Giacobbe. Questo casto virtuosissimo giovane venne più volte tentato dall’impudica padrona; ma egli, occhi a terra, piedi in fuga e costanti rifiuti; e quando la sfacciata ardì tenerlo per la veste, gliel’abbandonò fra le mani, e si salvò con fuggire. Atto sì generoso, vittoria così segnalata meritò che Iddio l’esaltasse al grado di viceré dell’Egitto, e la gloria del suo nome immortale nei secoli, qual santo patriarca in terra, e beato comprensore nel cielo. Esempio così luminoso non ha bisogno di commento. Felice chi navigando fra i pericoli di questo mare tempestoso, che è il mondo, saprà fedelmente seguirlo. Più felice chi si avvicinerà al divino Redentore per esser preso dalle sue dolci attrattive. Egli, come abbiamo dall’odierno Vangelo, ascese sulla barca di Simon Pietro, per essere più facilmente inteso dalle turbe che stavano sul lido, e, come osserva S. Gregorio Nazianzeno, per far preda del cuor dell’uomo, per trarre dal profondo delle lor colpe i peccatori, come dal fondo del mare si traggono i pesci. “Ut a profundis extrahat. piscem hominem, natantem in amaris huius vitæ pericoli” (D. T. in Cat. aurea). – Conchiudiamo: Gesù Cristo rassomiglia la sua Chiesa ad una gran rete, che nel suo seno accoglie una moltitudine immensa di pesci di ogni genere, di ogni forma, di ogni colore: “Simile est regnum cœlorum sagenæ missæ in mare, et ex omni genere piscium congreganti” (Matth. XIII, 17). Tratta sul lido la rete si fà dai pescatori la scelta, i pesci buoni si ripongono in vasi opportuni, i cattivi si gettano a marcir sull’arena. Così avverrà alla fine del mondo nella gran valle; discenderanno gli angeli dal cielo a separare i buoni dai malvagi, i giusti dai riprovati. Quei che dagl’incentivi del senso, dalle lusinghe del mondo si sono lasciati sedurre saranno gettati all’eterna perdizione, quei che da saggi e prudenti han saputo disprezzare i vietati piaceri, fuggire i pericoli e mantenersi a Dio fedeli, saranno collocati negli eterni tabernacoli, ove Iddio ci conduca.

 Credo…

 Offertorium

Orémus Ps XII:4-5 Illúmina óculos meos, ne umquam obdórmiam in morte: ne quando dicat inimícus meus: Præválui advérsus eum. [Illumina i miei occhi, affinché non mi addormenti nella morte: e il mio nemico non dica: ho prevalso su di lui.]

Secreta

Oblatiónibus nostris, quæsumus, Dómine, placáre suscéptis: et ad te nostras étiam rebélles compélle propítius voluntátes. [Dalle nostre oblazioni, o Signore, Te ne preghiamo, sii placato: e, propizio, attira a Te le nostre ribelli volontà.]

Communio

Ps XVII:3 Dóminus firmaméntum meum, et refúgium meum, et liberátor meus: Deus meus, adjútor meus. [Il Signore è la mia forza, il mio rifugio, il mio liberatore: mio Dio, mio aiuto.]

Postcommunio

Orémus. Mystéria nos, Dómine, quæsumus, sumpta puríficent: et suo múnere tueántur. Per … [Ci purifichino, o Signore, Te ne preghiamo, i misteri che abbiamo ricevuti e ci difendano con loro efficacia.]

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum.

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: LUGLIO

LUGLIO E’ IL MESE CHE LA CHIESA DEDICA AL

PREZIOSISSIMO SANGUE DI NOSTRO SIGNORE GESU’ CRISTO

“Non dobbiamo omettere di ricordare qui che questa festa è il memoriale di una fra le più splendide vittorie della Chiesa. Pio IX era stato scacciato da Roma, nel 1848, dalla Rivoluzione trionfante; in quegli stessi giorni, l’anno seguente, egli vedeva ristabilito il suo potere. Il 28, 29 e 30 giugno, sotto l’egida degli Apostoli, la figlia primogenita della Chiesa, fedele al suo glorioso passato, cacciava i nemici dalle mura della Città eterna; il 2 luglio, festa di Maria, terminava la conquista. Subito un duplice decreto notificava alla città e al mondo la gratitudine del Pontefice e il modo in cui egli intendeva perpetuare mediante la sacra Liturgia il ricordo di quegli eventi. – Il 10 agosto, da Gaeta, luogo del suo rifugio durante la burrasca, Pio IX, prima di tornare a riprendere il governo dei suoi Stati, si rivolgeva al Capo invisibile della Chiesa e Gliela affidava con l’istituzione dell’odierna festa, ricordandogli che, per quella Chiesa egli aveva versato tutto il suo Sangue. Poco dopo, rientrato nella capitale, si rivolgeva a Maria, come avevano fatto in altre circostanze san Pio V e Pio VII; il Vicario dell’Uomo-Dio attribuiva a Colei che è l’Aiuto dei cristiani l’onore della vittoria riportata nel giorno della sua gloriosa Visitazione, e stabiliva che la festa del 2 luglio fosse elevata dal rito doppio maggiore a quello di seconda classe per tutte le Chiese: preludio alla definizione del dogma dell’Immacolata Concezione, che l’immortale Pontefice fin d’allora aveva in mente, e che doveva schiacciare ancor più il capo del serpente. – Poi, nel corso del Giubileo indetto nel 1933 per commemorare il XIX centenario della Redenzione, Papa Pio XI, onde imprimere maggiormente nell’animo dei fedeli il ricordo e la venerazione del Sangue del Divino Agnello e per invocarne sulle anime nostre frutti più abbondanti, elevò la festa del Preziosissimo Sangue a doppio di prima classe” [Dom Gueranger, l’Anno Liturgico].

FESTE DEL MESE DI LUGLIO

1 luglio Pretiosissimi Sanguinis Domini Nostri Jesu Christi   Duplex I. classis *L1* Primo sabato.

2 luglio Dominica IV Post Pentecosten   In Visitatione B. Mariæ Virginis    Duplex II. classis

3 luglio S. Leonis Papæ et Confessoris    Semiduplex

4 luglio Sexta die infra Octavam Ss. Petri et Pauli.    Feria major

5 luglio S. Antonii Mariae Zaccaria Confessoris    Duplex

6 luglio In Octavam Ss. Petri et Pauli.    Duplex majus

7 luglio Ss. Cyrilli et Methodii Pont. et Conf.  Duplex – Primo Venerdì del mese.

8 luglio Sanctæ Mariæ Sabbato   Feriale –  S. Elisabeth Reg. Portugaliæ Viduæ    Semiduplex

9 luglio Dominica V Post Pentecosten    Semiduplex Dominica minor *I

10 luglio Ss. Septem Fratrum Martyrum, ac Rufinæ et Secundæ Virginum et Martyrum  Semiduplex

11 luglio S. Pii I. Papæ et Martyris    Simplex

12 luglio S. Joannis Gualberti Abbatis    Duplex

13 luglio S. Anacleti Papæ et Martyris    Semiduplex

14 luglio S. Bonaventuræ Episcopi Confessoris et Ecclesiae Doctoris    Duplex

15 luglio Sanctae Mariæ Sabbato   Ferial S. Henrici Imperatoris Confessoris    Semiduplex

16 luglio Dominica VI Post Pentecosten    Semiduplex Dominica minor

      In Commemoratione Beatæ Mariæ Virgine de Monte Carmelo  Simplex

18 luglio S. Camilli de Lellis Confessoris    Duplex

19 luglio S. Vincentii a Paulo Confessoris    Duplex

20 luglio S. Hieronymi Æmiliani Confessoris    Duplex

22 luglio S. Mariæ Magdalenæ Pœnitentis    Duplex *L1*

23 luglio Dominica VII Post Pentecosten    Semiduplex Dominica minor *I*

25 luglio S. Jacobi Apostoli    Duplex II. classis

26 luglio S. Annae Matris B.M.V.    Duplex II. classis

28 luglio Ss. Nazarii et Celsi Martyrum, Victoris I Papæ et Martyris ac Innocentii I Papæ et Confessoris    Duplex

29 luglio S. Marthæ Virginis    Duplex

30 luglio Dominica VIII Post Pentecosten Semiduplex Dominica minor *I*

31 luglio S. Ignatii Confessoris    Duplex majus