IL VERME RODITORE delle SOCIETA’ MODERNE (9)

CAPITOLO XIX

INFLUSSO DEL PAGANESIMO CLASSICO SULLA RELIGIONE

Allorquando il nemico vuol impadronirsi d’una fortezza, ei comincia dal prendere una posizione favorevole e dal distruggere le opere avanzate che proteggono il cuore della fortezza. Tale è la tattica seguita dal paganesimo, bramoso di pigliare la sua rivincita sul Cristianesimo. Stabilito sul terreno il più favorevole, l’educazione, noi lo vedemmo battere in breccia la letteratura, le arti, la filosofia, le scienze; poscia, sotto colore di rigenerazione, animarle del suo spirito, arruolarle sotto le sue bandiere, e con loro procedere contro il Cristianesimo stesso, il quale è il cuore della piazza ed il vero punto di mira di tutti i suoi attacchi. Dimostrare a questo riguardo i progressi del nemico e provare ai più ciechi che il paganesimo classico tende all’intera rovina del Cristianesimo, tale è il grave argomento che ci occuperà. Ora il paganesimo classico rovina il Cristianesimo perché lo condanna all’oblio, al disprezzo, all’alterazione.

All’oblio. Pigliamo le cose quali esse sono. Uscito da una famiglia in cui, generalmente parlando, non riceve oggidì che un’istruzione cristiana molto superficiale, il fanciullo giunge in uno stabilimento di pubblica istruzione: quivi rimane sette od otto anni. Se non il primo, almeno il secondo libro latino o greco che gli si pone in mano, è un libro pagano; il terzo è un libro pagano; il quarto è un libro pagano; sempre libri pagani, sino alla fine dei suoi studi. La sua occupazione d’ogni giorno, d’ogni ora è di leggerli, di tradurli, d’impararli a memoria, e d’imparare in egual tempo tutti i fatti del paganesimo, dalle azioni degli Dei sino a quelle dei guerrieri, degli oratori, e dei filosofi di Roma e di Atene. – Nelle scuole non sente risuonare che i nomi dei Romani e dei Cartaginesi. Per identificarlo meglio coi suoi modelli, si divide la scuola in due campi, ed egli è Romano o Cartaginese, Scipione od Annibale. Le spiegazioni del professore non gli somministrano mai o quasi mai nozioni cristiane. Egli vive frammezzo al paganesimo, il suo orizzonte non si estende, se non per circostanza, al di là dei limiti della Grecia e dell’Italia. Il Monte Sacro, il Palatino, Sparta, Tebe, Maratona, le Termopili, la tribuna delle arringhe, il Campidoglio, l’Aeropago, il Foro, sono i soli luoghi abitati dal suo pensiero, dalla sua immaginazione, dalla sua memoria. Ma nei collegi, come nei piccoli seminari, nelle case tenute dai secolari, come nelle case tenute dai religiosi e dagli ecclesiastici, non vi sono cappellani e maestri che insegnino la religione? Lo so, la religione figura come ogni altra scienza nei programmi di studio. So che ogni collegio ha un cappellano incaricato di dire la Messa e di fare il catechismo; so che questo cappellano dice Messa due volte per settimana, e che altrettante volte, forse più spesso, fa un catechismo più o meno ragionato, più o men filosofico. Con questo corredo di cui si mena gran vanto, la religione è essa insegnata? È essa salvata dalla indifferenza e dalla dimenticanza? Niente affatto. Prima di dirne il motivo, mi affretto di dire che gli uomini non ne hanno colpa, ma bensì il sistema. Saturato di deismo, per nulla dire di più, l’attuale sistema d’insegnamento non ravvisa nella religione che una scienza a parte, circoscritta in una sfera determinata, e non già, come dovrebbe essere, e come non sarà mai con classici pagani, una scienza universale, la scienza delle scienze che, trovandosi ogni giorno, ogni ora in tutti i libri che il fanciullo studia, ne deve uscire naturalmente, come l’aroma si esala dal fiore. Infatti, non è solo da un libro, ma da tutti i libri, non è solo dalla bocca d’un maestro, ma da tutti i maestri che la religione deve uscire, ora per raccontare uno dei fatti della sua storia, una virtù dei suoi grandi uomini, una massima dell’Evangelio; ora per formare il cuore del fanciullo, correggere un errore della sua giovine intelligenza, sviluppare il germe nascente di una nobile disposizione; ora per rivelargli il motivo nascosto d’una rivoluzione o d’un avvenimento importante; e sempre per mostrargli ch’essa è la sorgente unica del bello, del bene, del vero, l’anima, l’occhio, la regola, il profumo di tutte le scienze ch’essa vivifica, che essa nobilita, ch’essa coordina, ch’essa spiega e guida allo scopo finale d’ogni cosa: la gloria di Dio e la salute dell’uomo. – Ecco ciò che deve essere, ed ecco ciò che non è. Si può egli allora sconoscere il vizio radicale che condanna, e che condannerà sempre la religione alla dimenticanza nel nostro sistema pagano di educazione? II catechismo del cappellano non vi cangerà nulla. Le sue istruzioni saranno lezioni che si ascolteranno come altre lezioni, forse con un po’ meno di attenzione e con un poco più di ripugnanza. Agli occhi del fanciullo la religione continuerà ad essere una scienza astratta, isolata dagli altri suoi studi, e che si è liberi d’imparare o di dimenticare, senz’altra conseguenza che il merito d’esser più istrutto, o il demerito di esserlo meno. Ciò vuol dire che ei conoscerà la religione quasi come l’inglese od il tedesco, di cui ogni settimana gli si danno una o due lezioni, senza essere, dopo cinque anni di studio, nel caso di leggere un libro, ed ancor meno di sostenere una conversazione in inglese od in tedesco. La prova palpabile di quanto asserisco si è che le generazioni universitarie e le classi della società ch’esse alimentano, conoscono molto meno la religione, e ne ragionano molto peggio delle donne e delle classi popolari. In ogni caso, l’insegnamento religioso di alcune ore per settimana, in concorrenza con un insegnamento pagano di ogni giorno e d’ogni ora del giorno, non sarà mai capace di formare generazioni solidamente religiose. Che sono mai alcune gocce di vino puro, grida il padre Possevino, per addolcire una botte di aceto? (Quanto vi pare che quadri che in una botte sincera s’infonda un bicchier di vino dolce, puro, defecato, cioè un poco di catechismo la settimana, e ad un tempo vi si versino dentro i barili interi d’aceto, di liquore, di muffa ed ogni altra sorte di vino putrido? Cioè ogni giorno i Terenzi e l’altre empietà! Tale è oggi il costume del mondo. Ragion., p. 2 ]. Oltre l’esperienza dell’Europa da tre secoli, me ne appello, sul valore di un tale insegnamento, al giudizio di un uomo, la cui opinione non è sospetta. « Non dobbiamo ingannarci, dice il signor Kératry; non è certo la presenza nelle scuole, a giorno fisso, di un ecclesiastico, per quanto rispettabile sia supposto, quella che inculcherà ai giovinetti uno spirito religioso di qualche durata. Questo non si acquista se non colla continuità di un insegnamento, in cui la legge divina si trovi come infusa. Gli studi, fossero anche meramente letterari, se ne devono risentire. Che cosa sarebbe se il dogma diventasse mai un oggetto di dubbio? Bisognano alla gioventù verità non contestate in fatto di religione; per essa ogni fede posta in controversia è ben tosto una fede morta ». – Queste osservazioni sull’insegnamento della religione negli stabilimenti secolari si applicano, lo dico con dispiacere, con alcune restrizioni tuttavia, alle case tenute da religiosi o da ecclesiastici, e nelle quali il paganesimo classico regna. Qui ancora la religione non esce naturalmente, direttamente, come il profumo dal fiore, né dai libri, né dai doveri, né dagli studi ordinari del giovinetto, né dalle spiegazioni del professore. Farla talvolta scaturire da ciò indirettamente, penosamente, e per così dire pervia di contrasto e di antitesi, ecco quanto può fare un maestro pio ed abile. Quindi ne viene questo fatale rovescio, che il paganesimo compone il festino di cui il Cristianesimo non è se non il dessert. Quindi ne viene ancora una conoscenza più o meno avanzata del paganesimo, ed un’ignoranza molto più grande che non si crede, del Cristianesimo. – Rendendo piena giustizia allo zelo ed alla virtù dei nostri maestri, noi non possiamo qui trattenerci dal protestare con energia contro il sistema d’insegnamento pagano che formò la nostra infanzia, e dal deplorare l’ignoranza in tatto di religione, che ne fu conseguenza obbligata. Uscendo di collegio noi sapevamo sulle dita i nomi, la storia, gli attributi, le avventure degli dei e delle Dee della favola; noi conoscevamo le Danaidi e le Parche, Isione e la sua ruota, Tantalo ed il suo supplizio, le oche del Campidoglio e le galline di Claudio. Senza il più piccolo sbaglio noi avremmo potuto fare la biografia di Minosse, di Baco e di Radamanto, di Codro e di Tarquinio, d’Epaminonda, di Scipione e di Annibale, di Cicerone e di Demostene, senza contare quella d’Alessandro, di Cesare, di Ovidio, di Sallustio, di Virgilio e di Omero. Noi conoscevamo Licurgo, Socrate, Platone, i Flamini, i Giuochi del Circo e dell’Anfiteatro, i sacrifici, le feste, i comizii del popolo-re. In una parola, noi possedevamo tutto il sapere desiderevole in onesti giovani di Roma e di Atene, rampolli dei Bruti o dei Gracchi, candidati delle glorie del Foro, adoratori o sacerdoti futuri di Giove e di Saturno. Ma se per disgrazia fossimo stati trasportati sul terreno del Cristianesimo, e se fossimo stati pregati di dire il nome dei dodici Apostoli, il numero delle loro Epistole; se fossimo stati interrogati sui nostri Santi e sui nostri Martiri, sui nostri eroi e sulle nostre glorie, sui Crisostomi, sugli Agostini, sugli Atanasi, sugli Ambrogi, sui re dell’eloquenza e della filosofia cristiana; sui Padri del mondo moderno, sui nostri maestri nella scienza della vita; se a noi, loro figliuoli, figliuoli della Chiesa e dei Martiri, fosse stato chiesto quale fu il tempo di loro nascita, quali combattimenti essi ebbero a sostenere, quali opere composero, quali azioni meritarono loro l’ammirazione dei secoli ed il culto dell’ universo, ci si sarebbe parlato un linguaggio sconosciuto. Il rossore della nostra fronte e l’umiliante immobilità delle nostre labbra, eccitando la pietà dell’uomo sensato, avrebbero posto a nudo il controsenso mostruoso dei classici nostri studi. Tale si è la nostra storia e quella forse di molti altri. – Si dirà forse che questa ignoranza deplorabile in fatto di religione sarà dissipata più tardi? Davvero! Quanti giovani, quanti uomini di matura età, nelle differenti cognizioni della vita, conoscete voi, i quali dopo la loro uscita di collegio abbiano seriamente consacrato ventiquattr’ore allo studio della religione? Quanti, all’ opposto, non se ne potrebbero citare, i quali, lungi dallo sviluppare le religiose loro cognizioni, perdettero (e da gran tempo) le più elementari nozioni del catechismo! Il paganesimo classico condanna dunque fatalmente l’immensa maggioranza delle persone istruite ad una eterna ignoranza in fatto di religione.

CAPITOLO XX

SEGUITO DEL PRECEDENTE

Al disprezzo! Condannare la religione alla dimenticanza, lasciandola ignorare alla gioventù, tale si è il primo effetto del paganesimo nell’educazione. Esso ne produce un altro molto più grave: abbandona la religione al disprezzo. Non ci dimentichiamo di quanto abbiamo detto, che la religione è la scienza universale, l’alfa e l’omega d’ogni cosa. Ad essa si applicano letteralmente le parole di san Tommaso parlando della teologia. « La scienza della religione, egli dice, comanda a tutte le altre scienze, perché essa è la più alta di tutte: essa le fa tutte lavorare sotto i suoi ordini, le tiene tutte al suo servizio, perché è incaricata di adoprarle; talché il fine, lo scopo, 1’oggetto di ogni scienza, essendo contenuti nel fine della religione e coordinati per relazione a questo fine, la scienza della religione dee dominare tutte le altre scienze e mettere in opera tutti i loro insegnamenti. Ne segue che la religione non può avere nel pensiero, nello studio, nella stima, nell’ammirazione d’alcun uomo né un superiore, né un rivale; che le sue ispirazioni, i suoi insegnamenti, i suoi fatti, i suoi combattimenti, i suoi trionfi, i suoi uomini, le sue glorie, i suoi capi d’opera sono al disopra d’ogni paragone. Solo una parte sovrana a lei si confà: qualunque altra parte la degrada. Essa è regina o è nulla : aut nihil, aut Cæsar. Ora, porre il paganesimo ed il Cristianesimo letterario, artistico, storico, scientifico e filosofico sulla stessa linea, egli è un dividere fra loro il regno delle idee e collocarli nello stesso grado nell’estimazione della gioventù. Porre il paganesimo letterario, artistico, storico, scientifico, filosofico al disopra del Cristianesimo, si è un dargli lo scettro delle idee e collocarlo nel posto d’onore, nella estimazione della gioventù: si è un degradare il Cristianesimo, si è un annientarlo, per quanto si può, per le generazioni nascenti, le cui prime impressioni costituiscono 1’essere morale sino alla morte. Posti tali principi, entrate con me in qualsiasi scuola di qualsiasi collegio d’Europa, dal secolo XVI sino a questo giorno. Qualunque sia la sua veste, il professore, dall’alto della sua cattedra, così parla ai suoi giovani uditori: « Miei amici, vi furono nell’antichità due contrade privilegiate, nelle quali il genio dell’ eloquenza, della poesia, della storia, della filosofia, dell’ architettura, della scultura, di tutte le arti e di tutte le scienze pose lungo tempo ed esclusivamente il suo soggiorno. In quei paesi nacquero i più grandi uomini che il mondo abbia mai conosciuto. Roma ed Atene furono la patria degli eroi i più celebri; la Grecia e l’Italia furono il doppio teatro dei fatti i più memorabili e i più degni del vostro studio: qui, uomini e cose, tutto è meraviglia. « Per citarvi solo alcuni nomi: Omero, Sofocle, Pindaro, Senofonte, Tucidide, Esopo, Demostene, Socrate, Platone, Aristotele, Epaminonda, Alessandro, Virgilio, Orazio, Tito Livio, Ovidio, Svetonio, Sallustio, Cicerone, Seneca, Plinio, Scipione, Fabio, Mario, Cesare, Pompeo, Augusto e una folla di altri sono i re del genio, della scienza, del valore e della gloria. Al loro confronto impallidiscono tutti gli altri uomini che li precedettero o che li seguirono. Ecco qui le loro opere e le loro azioni: voi avrete la fortuna di studiare le une; voi vi farete un dovere d’imitare le altre. Imparate a pensare, a sentire, a parlar come quelli, se volete pensar bene, sentir bene e parlar bene. Debbo solo avvisarvi che quei grandi uomini non erano cristiani: ma ciò nulla toglie ai loro capi d’ opera, né alle loro leggiadre azioni ». – Ed i giovinetti sbalorditi credono alla parola del maestro, ammirano perché 1’ha detto il maestro, e, sempre stando alla parola del maestro, cominciano tosto a sdegnare quanto nella letteratura, nella poesia, nella filosofia, nella storia, nelle scienze e nelle arti non ha il conio pagano. Tale è, meno un gran numero di lodi iperboliche, il modo con cui il paganesimo nella educazione viene applicato alla mente del fanciullo, cotanto impressionabile. E siffatta applicazione entusiasta si ripete ciascun giorno, per sette anni! E questi sette anni sono quelli in cui si forma l’uomo per la vita! Quale può mai essere, rispetto alla religione, i l risultato di un simile sistema? Sentiamo la risposta di un dotto vescovo: « Noi non giudichiamo e soprattutto noi non condanniamo alcuno; noi gemiamo sui traviamenti dell’umano spirito, e facilmente crediamo che se fossimo vissuti un secolo prima, avremmo sgraziatamente partecipato per sempre noi pure ai traviamenti che ora deploriamo. Ma noi vogliamo, o signori, farvi notare quanto avvenne allora, pur troppo! E quanto avviene ancora quasi dappertutto. « Durante quasi trecento anni fu detto a tutta la gioventù studiosa, cioè a quella che governare doveva la società: « Formate il vostro gusto collo studio dei buoni modelli; ora, i buoni modelli greci e latini sono esclusivamente gli autori pagani di Roma e d’Atene. Quanto ai Padri, ai Dottori ed a tutti gli scrittori della Chiesa, il loro stile è difettoso ed il loro gusto è alterato: uopo è dunque guardarsi ben bene dal formarsi alla loro scuola ». Ecco ciò che fu detto e specialmente ciò che si fece praticare a tutti gli studiosi in quella età, in cui è rigorosamente vero che le abitudini diventano una seconda natura. « Quindi, o signori, che ne avvenne? Quello che di necessità doveva avvenire: dapprima tutta quella gioventù si appassionò per lo studio delle produzioni del paganesimo, e dall’ammirazione delle parole giunse a quella dei pensieri e delle azioni. « Infatti, non fu forse allora che si cominciò ad inchinarsi innanzi ai sette saggi della Grecia, quasi altrettanto quanto innanzi ai quattro Evangelisti? Ad andare in estasi pei pensieri di un Marco Aurelio e per gli scritti filosofici di un Seneca, in modo da lasciar credere che nulla vi fosse di più profondo nei libri sacri? finalmente a vantare le virtù di Sparta e di Roma a segno da far quasi impallidire le virtù cristiane? – « Credete voi, o signori, che somiglianti insegnamenti, diventati unanimi e continui, non dovessero alla fin fine indebolire il sentimento della fede e far crescere fuori modo l’orgoglio dell’umana ragione? E sarebbe forse una temerità il dire che facendo così spiccare da per tutto le opere dell’uomo a gran detrimento della rivelazione, che è l’opera di Dio per eccellenza, si preparavano le vie al regno di questo razionalismo sfrontato che giunse pubblicamente a non adorar che se stesso (Lettera di monsignor vescovo di Langres al superiore ed ai direttori del suo piccolo seminario.)? » – Se tale risposta vi pare insufficiente, me ne appello a voi stessi. Io suppongo che nei giorni della Chiesa primitiva, i pagani, non ascoltando se non un preteso zelo per la letteratura, per la scienza e per le arti, avessero preso i nostri libri cristiani per base dell’istruzione dei loro figliuoli; che avessero pagato migliaia d’abili maestri per eccitare ogni giorno durante sette anni il loro entusiasmo pei nostri apostoli, pei nostri martiri, pei nostri oratori, pei nostri storici, pei nostri artisti, pei nostri filosofi, dicendo loro su tutti i tuoni ch’essi sono i re dell’eloquenza e del genio; che nulla fra i pagani può esser loro paragonato; che le nostre istituzioni e le nostre leggi sono il capo d’opera della sapienza e dell’equità. L’uomo fornito del più volgare buonsenso non avrebbe forse detto, e con ragione, che i pagani avevano perduto il cervello? Che essi distruggevano con le proprie loro mani i loro templi ed i loro altari? che lo spirito cristiano penetrerebbe di necessità nella letteratura, nella filosofia, nelle scienze, nelle arti, nei costumi, nelle credenze, nella società tutta quanta? che, ammiratori esclusivi degli uomini e delle cose del Cristianesimo, i loro figliuoli disprezzerebbero senza fallo gli uomini e le cose pagane? che abbraccerebbero tosto o tardi la religione del genio, e volgerebbero per sempre le spalle a quella che non aveva prodotto se non mediocri uomini e mediocri cose? Se più tardi i pagani avessero gemuto; se meravigliati si fossero del dispregio dei loro figliuoli pel culto paterno e della loro propensione al Cristianesimo, quale nome avreste voi dato ai loro lagni ed al loro stupore? Ebbene, questa è la nostra storia. Da tre secoli il paganesimo è nell’educazione, e voi vi meravigliate che si trovi nelle idee e nei costumi! Voi gemete oggidì più amaramente che mai nel veder la religione abbandonata, spregiata, e nel vedere con essa sparire l’ultimo argine opposto al torrente che minaccia di lutto trascinar via, l’ultima colonna della libertà umana, l’ultimo limite dei vostri campi, l’ultimo chiavistello dei vostri cofani. – Se i vostri lamenti sono sinceri, aiutateci a mutare sistema: chi respinge l’effetto deve far sparire la cagione. Il disprezzo della religione, conseguenza inevitabile del paganesimo classico, non aspetta gli anni della età matura per prodursi. Lo si scorge manifestarsi nel collegio stesso colla totale mancanza di pietà, colla profonda nausea per i dov’eri del Cristianesimo e della istruzione religiosa, colla incredulità e colla corruzione: doppia lebbra che divora insino alle midolle le generazioni imbevute del latte pagano. Si manifesta specialmente nelle disposizioni dei maestri e dei discepoli verso l’uomo, nel quale la religione si personifica. Ai loro occhi il cappellano, quali si siano le sue virtù ed il suo ingegno, non è più l’uomo necessario, l’uomo le cui lezioni devono eccitare il massimo ardore, la cui parola deve ottenere il massimo rispetto ed il massimo amore. Egli è un non so che, senza nome nel linguaggio dell’ammirazione, ancor meno nel linguaggio del cuore, poiché l’idea stessa, della quale è il rappresentante, non tiene se non un posto assai secondario nella stima e nessun posto nell’affetto di coloro che lo circondano. Per gli uni il cappellano è un mercenario che istruisce a tanto per giorno; per gli altri, è un professore di religione, ufficiale di morale che ne dà lezioni ad ore fisse, e che si prova di generare negli animi, non già la fede delle verità sante, ma non so quale convinzione secca e sterile, quasi come quella che genera un professore di algebra dimostrando problemi.

All’alterazione. Il paganesimo classico non solo ha per effetto di condannare la religione all’oblio ed al dispregio; ma il suo influsso è più fatale ancora, giacché l’altera profondamente. Che cosa è il Cristianesimo? È la religione dello spirito, la religione della eternità. Timore, disprezzo, distacco dalle ricchezze, dagli onori, dai piaceri della terra; abnegazione di se stesso, mortificazione della carne, con lo scopo di rendere all’anima il legittimo suo dominio: ecco ciò che il Cristianesimo predica dalla culla sino al Calvario, dalle fasce sino alla tomba, dalla prima pagina all’ultima dell’Evangelio. Beati gli umili, beati i poveri, beati quelli che soffrono; guai ai ricchi, guai ai potenti, guai ai felici di questo mondo! Tali sono le sue massime. Di nuovo, che cos’è il Cristianesimo? È una religione sovrannaturale che rigetta come insufficienti tutte le ragioni umane, tutte le intenzioni puramente naturali, e per conseguente tutte le virtù che non sono inspirate da vedute attinte all’ordine della grazia. « Non fate le vostre buone opere, le vostre belle azioni innanzi agli uomini per essere notato da loro; altrimenti voi non riceverete alcuna ricompensa dal vostro Padre che è nel Cielo. Rimanete congiunti con la carità al divin vostro Mediatore, come il tralcio della vite è congiunto col ceppo che la nutrisce e la sostiene; altrimenti i vostri meriti saranno nulli; voi sarete alberi sterili, servi inutili che sarete gettati con i piedi e con le mani legate nelle tenebre esteriori. » La purezza d’intenzione e la grazia santificante, ecco pel Cristianesimo le due condizioni indispensabili delle vere virtù: senza di esse, il Cristianesimo non ne conosce, non ne remunera alcuno. – Che cos’è finalmente il Cristianesimo? La religione della carità; per conseguenza è la religione della libertà e della vera eguaglianza fra tutti gli uomini; è la religione della abnegazione affettuosa del ricco al povero e del povero al ricco; è il rispetto religioso dell’uomo per l’uomo, e specialmente per l’essere debole, per il fanciullo, per la donna, per il povero, per l’infermo, per il prigioniero, per il servo. «Voi amerete il vostro prossimo come voi stesso. Si riconoscerà che voi siete miei discepoli se vi amate gli uni gli altri, non solo di bocca ed a parole,”ma in verità e con opere reali. » Tale è lo spirito del Cristianesimo.

Ed ora, che cos’è il paganesimo? È l’antipode del Cristianesimo, è la religione dei sensi, la religione del tempo, è l’adorazione della materia, l’amore delle ricchezze, 1’amore degli onori, l’amore dei piaceri. Beati i ricchi, beati i potenti, beati coloro che nuotano in seno ai godimenti: ecco ciò che il paganesimo canta, ciò ch’egli ama, ciò ch’ei preconizza coll’esempio dei suoi uomini e dei suoi dei, con lla voce dei suoi storici, dei suoi poeti, dei suoi oratori, dei suoi artisti, di tutti coloro che sono dati per modelli ai nostri figliuoli. Di nuovo, che cos’è i l paganesimo? È il naturalismo in fatto di virtù. Virtù ispirate da viste umane, dal desiderio di farsi una rinomanza, dall’umore, dal carattere, dal temperamento; virtù senza la grazia santificante che sola può renderle vantaggiose al fine eterno dell’uomo; virtù di mostra, delle quali si ha poi cura d’indennizzarsi segretamente. Quindi ne vengono storici, oratori, moralisti, i Sallusti, i Senechi, i Ciceroni, che parlano eloquentemente della temperanza, che declamano contro l’ambizione e contro l’immoralità, ed i quali nel segreto di loro particolare condotta non rifiniscono dall’oltraggiare il pudore, la temperanza e tutte quante le virtù. Che cos’è finalmente il paganesimo? È la religione dell’odio universale, la religione della schiavitù e del profondo disprezzo per l’umanità: disprezzo dell’uomo per l’uomo e soprattutto per l’essere debole, ch’essa calpesta sotto i piedi, o di cui fa lo strumento dei più brutali godimenti; pel fanciullo, ch’essa lascia uccidere, vendere, esporre; per la donna, di cui consacra la vergognosa schiavitù; pel povero, ch’essa perseguita col suo disprezzo e che chiama un animale immondo; per l’ammalalo, ch’essa abbandona sul suo letto di dolore alle cure immaginarie di Esculapio; per il prigioniero, che scanna; per lo schiavo, di cui fa minor conto che non del cane che trastulla il suo padrone o della bestia da soma che trasporta i suoi pesi. Ecco il paganesimo nelle sue massime, nel suo spirito, nei suoi atti. In due parole, il Cristianesimo è la glorificazione dello spirito; il paganesimo è la glorificazione della carne; spiritualismo da un lato, sensualismo dall’altro: ecco il fondo opposto delle due religioni. Ora, egli è il paganesimo che educa i nostri figliuoli. – Il suo insegnamento è altrettanto più efficace in quanto parla su tutti i tuoni, riveste tutte le forme, s’insinua di per sé; poiché esala per natura, come il profumo dal fiore, da ogni libro, da ogni pagina, da ogni frase; che il giovinetto è obbligato ad ammirare, a leggere, a studiare, a capire, a tradurre, ad imparare sulle dita, in una parola, a mutare in sua propria sostanza, e questo in ogni dì ed in ogni ora del giorno, durante sette anni! Sotto somigliante influsso, che mai può diventare lo spirito cristiano? Pur troppo! esso si altera, s’indebolisce, si estingue. L’ordine soprannaturale dispare, il naturalismo solo rimane. L’uomo diventa quale l’educazione lo forma; diventa carne, diventa pagano. Osservale piuttosto: non è egli vero che il sensualismo e l’egoismo straripano sull’Europa? Non è egli vero ch’essi penetrano più o meno in tutte le anime, in tutte le arti, in tutte le scienze, in tutte le vite, da quella che comincia a quella che termina? Ascoltiamo un uomo che non sarà punto sospetto. « La è una ingrata cosa l’educazione della gioventù borghese. Terreno logoro, arido, sterile, in cui più non germoglia altra cosa, tranne i consigli dell’interesse. Io li conosco questi figliuoli della borghesia; la giovinezza è sul loro viso, ma non nel loro cuore. Speculano ancor collegiali. Quello che cercano meno è il bello e il vero; poco sensibili ci sono alle attrattive delle amene lettere ed alla luce delle scienze. La loro ambizione prossima si concentra tutta nell’ottenere un grado universitario, che aprirà loro ciò che si suole chiamare una carriera; la loro ambizione la più lontana non giunge al di là d’uno studio di notaio o di procuratore, d’un diploma d’avvocato o di medico, d’una spallina o d’un abito gallonato; e sotto queste forme diverse ciò che tutti scorgono e bramano, si è il ben essere materiale, sì è una buona mensa, begli abiti, buon letto ed il rimanente in proporzione. La loro virtù dominante è la virtù dei vecchi, la prudenza. La gloria è per essi un vano fumo, cui gli sciocchi soltanto vanno dietro; il merito è un lusso che non vale gli sforzi che costa; ben minchione chi gli sacrificasse un piacere. – « Si occupano eglino, a caso, delle cose politiche? Sono conservatori sotto la monarchia e reazionari sotto la repubblica. Appartengono al gran partito dell’ordine; stimano che la religione sia necessaria per il popolo, sebbene non credano già più a nulla; difendono la famiglia in generale, salvo poi ad affliggere la loro colla loro pigrizia, ed a minarla più tardi con le loro prodigalità; difendono anche e soprattutto amano la proprietà, ma senza il lavoro. Vi sono delle eccezioni, lo so; esse d’ordinario non fanno nascere altro che il riso. Nella più alta scuola dell’Università, alla scuola Normale, l’insegnamento della filosofia era, ora sono quindici anni, l’oggetto di tutte le ambizioni; spregiato adesso, vien reclutato difficilmente e male. E d’onde questo? Altre volte simile insegnamento era scelto come altrettanto sicuro e più lucroso di un altro; eccolo pericoloso e perseguitato; se ne allontanano. Ah! miei giovani amici, è appunto per ciò che dovrebbe avere le vostre preferenze (Il signor Jacques, professore di filosofia in Parigi) ». – Questo dipinto colpisce per la sua rassomiglianza. Uscite di collegio, entrate nella società. Dove troverete voi oggi lo spirito cristiano di sacrificio e di abnegazione? Dov’è mai il disprezzo solenne e solido delle ricchezze, degli onori e dei piaceri? In qual tempo mai le tre grandi concupiscenze regnarono esse più dispoticamente, più universalmente sul mondo? Forse che l’oro non è il dio di questo secolo? Forse che il piacere non è l’unico paradiso che si ambisce? Forse che il dogma pagano della felicità sulla terra, della felicità mediante la ricchezza, non diventò la base delle selvagge teorie che di presente acquistano un sì formidabile favore? Che dirò di più? Il mondo attuale non è forse pieno d’oratori, di scrittori, d’uomini di tutte le classi letterate, i quali, ad esempio dei loro modelli classici, parlano eloquentemente della virtù, alla quale la loro sporca condotta fa testimonianza che punto non credono? Finalmente, per ultimo tratto di rassomiglianza, non giungiamo forse a vedere una società tutta quanta educarsi a noi d’intorno, e proclamare come facevano i pagani, che basta essere onest’uomo, e che si può essere virtuosi senza il Cristianesimo? Cercate ora da quale epoca cominciò in Europa quest’abbassamento spaventoso dello spirito cristiano? Ricordatevi che tutto deriva dall’educazione; e, ne sono persuaso, voi indicherete ad occhi chiusi l’epoca del Rinascimento del paganesimo classico. Né si dica, per attenuare la potenza accusatrice di questo fatto, che i classici pagani furono corretti e purgati; non si dica nemmeno, per negare la riforma che noi chiediamo, che si potrà correggerli ancora e purgarli con cifra più grande: vane pretese! Le correzioni, le espurgazioni, le soppressioni tolsero e toglieranno al più le immoralità grossolane, gli errori palpabili; ma non muteranno per nulla lo spirito pagano, che respira necessariamente, inevitabilmente nelle opere pagane. Ecco però dov’è il pericolo. – Ecco quello che i Padri della Chiesa e tutto quanto il medio-evo avevano benissimo capito. Quando i Gerolami, gli Agostini, i Gregorii proscrivevano con tanta energia il paganesimo classico; quando ne indicavano con tanta eloquenza l’immenso pericolo, credete voi sul serio ch’eglino fossero ispirati dalla tema di vedere il mondo cristiano ritornare al culto di Giove, di Venere o di Mercurio? No, gli Dei dell’Olimpo erano caduti dai loro altari per non più riascendervi. Il paganesimo nella sua forma materiale era morto, ben morto; ma esso viveva nel suo spirito, e questo spirito si conservava nei libri pagani; e questi libri pagani, messi in mano ai giovinetti, sono onnipotenti per infonderlo nel cuore delle generazioni cristiane, e per mezzo di esse nella società. Ivi era il pericolo, ivi è ancora, ivi sarà sempre. Vi si faccia bene attenzione; verrà un istante, se forse non è già venuto, in cui sarà impossibile lo scongiurarlo. « Dalla questione del Paganesimo o del Cristianesimo nell’ educazione dipende la salvezza del mondo ». Ecco quello che proclamava in faccia all’Europa uno dei veggenti del secolo XVI. Ora fa quindici anni, un uomo dei più notevoli per l’altezza del suo sapere e per la sicurezza del suo colpo d’occhio, ci scriveva: « Ancora trent’anni di paganesimo nella educazione, ed è finita per la religione in Europa ».

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.