IL DEMONIO CAUSA E PRINCIPIO DELLE MALATTIE -2-

CAUSA E PRINCIPIO DELLE MALATTIE.

MEZZI PER GUARIRLE. -2-

DI

UN PRETE DEL CLERO DI PARIGI

CAPITOLO III

POTENZA DEL SEGNO DELLA CROCE, DEL SANTO NOME DI GESU’, E DELL’ACQUA BENEDETTA.

Il lettore noterà indubbiamente che i segni della Croce sono moltiplicati nelle preghiere che noi inseriamo alla fine di questo libro. La ragione è che tutti i beni ci vengono dalla Croce. I santi di tutti i secoli e di rutti i paesi, si sono sempre serviti del segno della Croce per operare i loro miracoli e guarire i malati, e come insegna San Doroteo, abate d’Egitto, del IV secolo: « Il demonio perde tutta il suo potere alla presenza della Croce di Gesù-Cristo. » Ecco perché si legge nelle preghiere del breviario questa invocazione indirizzata a Dio: « Signore, con il segno della Croce liberateci dai nostri nemici – Per signum crucis, de inimicis nostris libéra nos, Deus noster. » Ed ancora: « Ecco la croce di Gesù-Cristo, fuggite parti avverse. – Ecce crucem Domini, fugite partes adversæ. » – È dunque vero che il segno della Croce fatto con fede può cacciare i demoni. L’invocazione del santo Nome di Gesù ha la stessa potenza. La storia ecclesiastica ne riporta un gran numero di esempi. Noi ne citiamo qualcuno che si leggerà con interesse. È la voce dei martiri e degli apologisti che noi ascoltiamo: San Giustino, filosofo cristiano, martirizzato nel II secolo, afferma positivamente nel libro delle “Antichità giudaiche” che il demonio obbedisce a coloro che lo scacciano pronunciando il santo Nome di Gesù. Minuzio Felice, oratore latino del II secolo, non è meno esplicito.« Voi sapete bene – egli dice nell’Octavius – che questi demoni sono costretti a confessare ciò che sono, quando tormentandoli, noi li facciamo uscire dai corpi con parole che li torturano e con preghiere che li bruciano. » San Cipriano, vescovo di Cartagine, martirizzato nel 258, diceva che: « egli cacciava i demoni dai corpi che essi ossessionavano, intimando loro di uscire nel Nome di Gesù-Cristo, e per la virtù del segno “della Croce”. Oh, se volete vedere -egli diceva- come i demoni sono tormentati, torturati dalle parole sante e sacre che noi pronunciamo, quando li comandiamo e li cacciamo nel Nome di Gesù-Cristo dai corpi che ossessionano ». Lattanzio, celebre filosofo ed apologista cristiano del II secolo, è anche egli positivo. Egli dice che « i discepoli di Gesù-Cristo cacciano i demoni nel Nome del loro Maestro, e con il segno della Passione: « Questo mostrerà quanto il segno della Croce sia terribile per i demoni e si vedrà come, costretti dal Nome di Cristo, essi escano dai corpi che ossessionano. Allora egli racconta questo episodioo storico. Egli dice che il demonio, consultato dall’imperatore Diocleziano, non aveva osato rispondere in presenza di un cristiano che aveva fatto il segno della croce. Tertulliano, uno dei dottori più illustri della Chiesa di Cartagine, nel III secolo, portava questa audace sfida ai pagani dei suoi tempi: « che si porti davanti ai tribunali, davanti a tutto il mondo, e non in un luogo chiuso, qualcuno che sia veramente posseduto dal demonio “quem agi dæmone constet”, ed un cristiano, chiunque esso sia, il primo venuto “a quolibet cristiano”, comandi a questo spirito di parlare: questo spirito maledetto confesserà che non è che un demonio e che, mentre altrove si dice falsamente Dio, egli non oserà mentire ad un cristiano. Se non lo confessa subito, spargete sul luogo stesso, senza indugio, senza alcuna nuova procedura il sangue di questo cristiano temerario (Apologetica, 23). Che sicurezza! Quale fede eroica in questa sfida! Chi può credere che Tertulliano possa compromettere con tanta leggerezza la vita di un cristiano! È per questa ragione, ed ispirato dalla stessa fede, che Bossuet, che noi amiamo citare, dice ancora che, forzato dalla parola di un fedele, il demonio depose la sua impudenza. Un’altra volta, Tertulliano, indirizzandosi al proconsole d’Africa, Scapula, cita i nomi propri dei posseduti liberati da lui, e dice che essi sono pronti a rendere omaggio alla verità. Anche i vostri ufficiali e consiglieri potrebbero istruirvi in essa, il segretario di uno di essi, il figlio di un altro, senza contare un gran numero di uomini di qualità, e gente comune che sono state liberate da noi e dalla malattia e dal demonio”. Egli racconta nella sua opera intitolata “gli spettacoli” che una dama romana andò in buona salute al teatro e ne tornò posseduta dal demonio: “Theatrum adiitet cum dæmonio rediit”; esso, evocato e biasimato per aver osato attentare ad una matrona cristiana, rispose difendendosi: “io ho colto l’occasione, e non penso di aver fatto torto a nessuno. Tutto ciò che trovo sulle mie terre mi appartieneConstanter et justissime feci quia in meo eam inveni…”, se l’avessi trovata in chiesa io non avrei mai osato avvicinarla, ma io l’ho trovata nella mia assemblea, tra le danze ed i piaceri, e l’ho presa come cosa che si trovava nel mio feudo e quindi mia proprietà”. Quale insegnamento in queste parole! Quale soggetto di meditazione per coloro che sono al mattino in chiesa, e la sera in riunioni pericolse!!! Non si può ignorare l’influenza perniciosa che eserciti il teatro su tutta una categoria di figli del popolo che vi si introducono, riportandone una spaventosa precocità di vizio. Per un gran numero il teatro è il vestibolo della prigione; come per molti ricchi, è l’abisso ove sprofondano l’onore e la fortuna. So bene che si dice che il teatro sia entrato nei nostri costumi; che bisogna andare per non singolarizzarsi, diventare asociali; e poi esso non fa alcuna cattiva impressione, né allo spirito, né ai sensi. Illusione!!! In effetti, anche se i soggetti rappresentati non sono sempre cattivi, il luogo è sempre pericoloso. Se noi citassimo tutte le testimonianze dei pagani, greci o romani, contro il teatro, si vedrebbe che essi lo consideravano come una scuola di vizio. Tertulliano dice che il teatro è un “luogo infame” e “chiesa del diavolo”. Si dice che a Roma nessun attore fosse ammesso né a corte, né al tribunale, né al senato, e che era escluso da tutti gli onori militari e civili. San Giovanni Crisostomo lo chiama “l’impuro cibo di satana”. Sant’Agostino si domanda come possa un cristiano pregare al mattino in chiesa e correre poi in teatro per applaudire satana e le suo opere. Salviano, questo celebre prete che viveva a Marsiglia nel IV secolo dice: “… che ritorno al diavolo, e che rinuncia alle promesse battesimali quando si va a teatro!”. Del resto tutti i padri della Chiesa, tutte le decisioni dei Concili, dicono che un cristiano che abbia rinunciato, col suo Battesimo, a satana, alle sue pompe ed alle sue opere, non debba più frequentare il teatro che chiamano con diversi nomi, come “scuola del vizio”, “focolaio di corruzione”, “perdita di innocenza”, “mare in cui la virtù fa spesso naufragio”. Il teatro non è dunque una scuola di moralità ed un innocente piacere. Non restiamo stupefatti quindi dalla severità della Chiesa su questo soggetto. È in questi luoghi, sempre pericolosi, che il demonio va a cercare numerose vittime; anche tra le persone che si credono pie e che corrono a frotte. satana ha osato attaccare Nostro Signore stesso mentre pregava e digiunava nel deserto. Gli sembra dunque naturale tendere insidie alle anime che vanno “da lui”. È allora che egli introduce il peccato nella loro anima, e dei germi patogeni nei loro corpi. Felice ancora quando non porta egli stesso la torcia incendiaria nella “propria casa”, per far bruciare tutti coloro che vi si trovano!!! Lo abbiamo visto spesso, quanti teatri sono stati bruciati e quanti bruceranno ancora!!! Ciò che sto dicendo, lo so, è opposto a tutto quello che si chiama lo spirito dei tempi moderni. Gli increduli, i cristiani indifferenti, riverseranno su questo soggetto il loro sarcasmo ed i loro ghigni beffardi. Compiangiamoli e preghiamo per essi che sono nelle tenebre e nell’errore, mentre noi siamo nella luce e nella verità. E poi ci meravigliamo se il demonio agisce così, attaccando dei semplici cristiani, egli che ha osato attaccare nostro Signore stesso. Noi abbiamo ricordato più in alto gli assalti furiosi che satana ha portato a Giovanni M. Vianney, questo santo curato d’Ars, che ha reso illustre il clero francese per la sua carità e per le sue ammirevoli virtù. Ed egli non ci attaccherebbe? È inammissibile! Origene, questo gran dottore della Chiesa che teneva la celebre scuola di Alessandria, assicura che « il più piccolo, il più infimo tra i Cristiani ha tra le mani questo ammirabile ed infallibile potere di espellere i demoni là dove essi sono. » Ora, se il più piccolo e più infimo tra i Cristiani ha questo mirabile ed infallibile potere, cosa non potrà un Prete [cioè un “vero” Prete, oggi introvabile – ndr. -], che è un altro Gesù Cristo, “sacerdos alter Christus” e che ha ricevuto missione e potere, per la sua dignità di esorcista, di espellere e cacciare i demoni? S. Gregorio Nazianzeno (IV secolo) esclama: « quante volte questo mi è successo! ». In ultimo luogo citiamo il poeta latino cristiano Prudenzio, che viveva nel IV secolo, e che afferma nel suo libro di Apoteosi contro i Giudei che « il demonio è cacciato e torturato dal nome di Gesù-Cristo. » Si legge ancora la recita di più miracoli operati dal segno della Croce, ed invocando il Nome di Gesù, in San Gerolamo, in Teodoreto, in San Sulpizio severo, in San Agostino, in Vittorio de Vita ed altri scrittori ecclesiastici. Queste autorità della prima antichità, questi miracoli riportati da Santi il cui nome è venerato pure tra i protestanti, rendono molto credibili ciò che gli autori dei secoli successivi scrivono dei miracoli operati dal segno della Croce. Sarebbe troppo lungo il catalogo. Penetrato da questa credenza, ed appoggiato a testimonianze storiche sì incontestabili, mons. Gaume ha pubblicato un libro intitolato: “Il segno della croce nel XIX secolo” [pubblicato anche su questo blog –ndr. -], nel quale enumera la potenza, l’efficacia di questo segno divino nell’ordine temporale, e dice: «il segno della Croce ridona la salute e guarisce tutte le malattie; calma le tempeste, spegne il fuoco, protegge dagli incidenti, arresta le onde, fa rientrare le acque nel suo alveo, allontana le bestie feroci, preserva dal veleno, dal fulmine; esso purifica l’aria, l’acqua, il fuoco e ne caccia il demonio ». Infine ricordiamo queste ultime parole: « esso fa dei Cristiani degli strumenti di prodigi. » Lo storico Fleury ci dice che nei primi secoli, i Cristiani guarivano le malattie, cacciavano i demoni, non solo dagli uomini, ma pure dagli animali e dai luoghi che gli erano dedicati. Essi pregavano, facevano dei segni di Croce sui malati pronunciando il Nome di Nostro Signore Gesù-Cristo. « E questo Nome da solo aveva tanta forza da cacciare i demoni anche se pronunciato dai malvagi. » Imitiamo questi grandi e valorosi Cristiani. satana non è più forte oggi di quanto non lo fosse nei primi secoli. Io affermo che un malato, avendo la fede, può guarire, o almeno alleviarsi considerevolmente da sé, facendo il segno della Croce sul suo male, ed ingiungendogli di sparire nel nome di Gesù-Cristo. Potrei citare tanti esempi. Ne riporto uno solo: « una signora, ancor giovane, aveva un reumatismo gottoso che la teneva a letto da diverse settimane. Uno dei suoi ginocchi si era gonfiato considerevolmente, ed il minimo movimento le era impossibile. Conoscendo la sua fede viva e la sua grande pietà le suggerii il pensiero di fare da se stessa dei segni di Croce sul suo male invocando il Santo Nome di Gesù. La sera stessa ella si mise in raccoglimento e pregò Dio, cominciò a fare col suo pollice dei segni di Croce sull’area malata. Ella seguì il consiglio che le avevo dato di comandare al male di sparire nel nome di Gesù-Cristo, e per la potenza del segno della Croce. Era appena passato un minuto che già vedeva diminuire il gonfiore sotto i segni della Croce che ella moltiplicava. Sbalordita ed entusiasta, chiamò sua sorella che era nella camera accanto e che fu testimone di questa guarigione; perché in effetti questa era avvenuta. Il male era sparito nel giro di qualche minuto, e all’indomani ella poteva camminare senza sofferenza e senza dolore. Dunque, poveri malati, abbiate fede e fiducia in Dio, imitate questo esempio, ed il Signore vi guarirà! È dunque certo che il segno della Croce ed il Nome sacro di Gesù irritino e abbattano i demoni che fuggono tremanti … Contremiscunt. Lo si può notare molto spesso quando si fa una novena per ottenere la guarigione di un malato. Quasi sempre, durante il corso di questa novena, le sofferenze sono più acute, più intense, le crisi più violente. Si potrebbe supporre che le preghiere siano inutili, ed il malato stia per morire, tanto che si raddoppiano i dolori. È il demonio, spirito di malattia che è tormentato, torturato, irritato dalle preghiere che si indirizzano al cielo, e che lo scacciano dal corpo che rendeva malato. Invitato ad uscire nel nome di Gesù-Cristo, egli fugge; ma fa soffrire colui che egli tormentava, e … conseguentemente ha luogo la guarigione. Si vedono anche tutti i giorni, dei poveri moribondi che resistono alle più pressanti ed affettuose esortazioni di persone che le circondano, e che lo scongiurano, nel nome della loro eterna salvezza, di ricevere i soccorsi della Religione, per riconciliarsi con Dio. Si prega, si piange, ci si dispera, si crede che il povero malato stia per morire nella sua empietà. Quando improvvisamente chiede un prete e muore con i sentimenti della più grande pietà. A chi attribuire questo cambiamento sì repentino? Oltre le preghiere, molto spesso, sono di ausilio anche una medaglia della Santissima Vergine, o quella di San Benedetto, un Crocifisso od altri oggetti di pietà posti sul malato, anche a sua insaputa. Questo oggetto benedetto mette in fuga il demonio che era là, al capezzale del morente, per impadronirsi della sua anima. Per sottrarsi alle influenze diaboliche, San Agostino giungeva a desiderare che i Cristiani fossero esorcizzati tutti i giorni. E San Crisostomo consigliava ai Cristiani del suo tempo di dire ogni mattino, con la bocca o con il cuore. “Abrenuntio tibi satana, et coniungor tibi, Christe”. Era come dire di impegnarsi a non far più parte delle schiere comandate da satana, ma di appartenere alla milizia di Gesù-Cristo. La storia ci riporta che un santo Prete, nominato Gassner, che viveva in Germania nel 1752, guariva i malati con la preghiera, il segno della Croce, l’imposizione delle mani, e soprattutto con l’invocazione del sacro Nome di Nostro Signore Gesù-Cristo. Egli affermava che un terzo delle malattie era provocato dal demonio. Migliaia di malati lo circondavano incessantemente. Egli era approvato dal grande Papa Benedetto XIV, allora regnante. Circa sessanta anni orsono si parlava molto di un altro santo Prete che viveva pure in Germania, il principe Hohenlohe, che guariva allo stesso modo tutti i malati che si presentavano a lui. Egli guariva pure da lontano coloro che si raccomandavano alle sue preghiere, dirigendo il suo pensiero verso di essi. – In una seconda opera che ha fatto pubblicare mons. Gaume e che ha come titolo: “l’acqua benedetta nel XIX secolo”, si leggono delle pagine toccanti sulla potenza e l’efficacia dell’acqua benedetta per cacciare il demonio, pulire le piaghe e guarirle. Questa potenza dell’acqua benedetta è stata insegnata fin dalla culla del Cristianesimo. Le costituzioni apostoliche riportano le formule di questa benedizione, che noi riportiamo qui. « Sanctifica, Domine, hanc aquam, tribue ei juvandi et repellendi morbum, fugandi dæmonies, expellendi insidias ». Signore, santificate questa’acqua; fate che per essa le malattie siano risanate e spariscano, che metta in fuga i demoni e preservi dalle sue insidie ». [diciamo solo per inciso che queste formule di benedizione vanno usate solo da “veri” sacerdoti, aderenti alla “vera” Chiesa Cattolica, quella di Papa Gregorio, altrimenti è meglio evitare accuratamente quella che sarebbe purtroppo un’acqua maledetta! – ndr. -]. Hincmar, arcivescovo di Reims, tenne un sinodo il 1 novembre 852, ed in uno degli articoli si esprime così: « ogni domenica, ogni prete, prima della Messa, farà dell’acqua benedetta con cui si aspergerà il popolo entrante nella chiesa, e coloro che vorranno ne riporteranno per aspergere le loro case, le loro terre, le loro bestie, il cibo degli uomini e delle bestie. » Ci sono numerose prove storiche dell’efficacia dell’acqua benedetta che sarebbe troppo lungo riportare qui. – Per riassumere, ricordiamo dunque gli effetti salutari che produce questa acqua santa, quando se ne serve con fede e pietà. Essa caccia i demoni dai luoghi che occupa, fa cessare i mali che egli causa; serve a guarire le malattie; essa purifica le case o altri luoghi in cui si trovano i fedeli; allontana le insidie del nemico, che essa respinge e blocca; essa protegge i campi ed i raccolti; allontana l’aria pestilenziale e corrotta, e tutto ciò che potrebbe essere nocivo all’anima ed al corpo. Questi effetti dell’acqua benedetta dipendono dal grado di fede con la quale se ne impiega. Più questa fede sarà viva, tanto più velocemente saremo esauditi!

CAPITOLO IV

L’IMPOSIZIONE DELLE MANI E LA SUA

POTENZA

Fino allo stabilirsi del protestantesimo nel XVI secolo, tutti i Cristiani, vescovi, preti e laici, che venivano chiamati presso un malato, pregavano, invocavano il nome di Gesù-Cristo e, quando possibile e conveniente, facevano dei segni di Croce e stendevano le mani soccorrenti sulle parti del corpo che erano affette; e molto spesso si rendeva la salute a questi ammalati che avevano fede. Imponendo le mani, questi Cristiani, imitavano nostro Signore Gesù-Cristo, che fece sì spesso questa azione per guarire i malati che venivano a Lui. Questa azione di Nostro Signore non deve essere assimilata a quella che facevano i saggi dell’India, i sacerdoti egiziani e greci. I riti del paganesimo prescrivono l’estensione o imposizione delle mani per guarire i malati; ma questa non era che un’azione magnetica. Mentre nei Cristiani è un’azione santa che conferisce ai malati che abbiano fede, un dono spirituale che è la grazia della santità: “Gratia sanitatum”, come dice San Paolo ai Corinti (I, 12-29). L’imposizione delle mani era praticata nella legge giudaica. Noi vediamo il sommo sacerdote stendere le sue mani sul popolo di Israele per benedirlo da parte di Dio. Giosuè non fu riempito dello Spirito di saggezza, se non perché Mosè impose le sue mani su di lui (Deut. XXXIV, 9). Si tratta quindi ben veramente di un’azione santa nella Religione Cattolica. E con questa azione, la Santa Chiesa stende le sue mani materne su di noi, ci copre come uno scudo. Essa si occupa dei nostri corpi e dell’anima. Essa ci preserva e ci garantisce contro i colpi del demonio; Essa gli dice: non toccare questa creatura, ella è mia. Indietro, dunque, satana! Con questa azione ancora, la santa Chiesa ci benedice ed attira sulle nostre teste la grazia di Dio. È con l’imposizione delle mani che gli Apostoli comunicano lo Spirito Santo ai Cristiani del loro tempo. È con l’imposizione delle mani e pronunciando il santo Nome di Gesù, che essi guariscono i malati (Atti c. V). – Ancora e sempre con l’imposizione delle mani, ripetute e moltiplicate, che nel Battesimo, si caccia il demonio. – È con l’imposizione delle mani che i Vescovi [quelli veri con Giurisdizione! –ndr. -] danno il Sacramento della Confermazione. Quando i sacerdoti sono ordinati e consacrati a Dio, si impongono loro le mani. – La santa assoluzione, nel Sacramento della Penitenza, è data al peccatore alzando e stendendo le mani verso di lui. Nel Sacramento del Matrimonio, si dà la benedizione nuziale stendendo la mano verso i giovani sposi. Leggiamo questa prescrizione nella lettera di San Giacomo sul soggetto della Estrema Unzione; « Se qualcuno è malato, faccia chiamare i preti della Chiesa, affinché impongano le mani facendo unzioni di olio in nome del Signore; e la preghiera, unita alla fede, salverà il malato. » È come conseguenza di questa prescrizione che la preghiera, amministrando questo Sacramento si pronunziano queste parole, con la mano stesa sul malato: « Che ogni potenza del demonio sia annientata in te, nel nome del Padre, del Figlio e dello spirito Santo, ed anche per l’imposizione delle nostre mani “Extinguatur in te omnis virtus Diaboli, per impositionem manuum nostrarum”.» La Chiesa ci insegna dunque, con queste ultime parole, che il demonio può provocare la malattia, ma anche, che può essere scacciato con la preghiera e l’imposizione delle mani. È a causa dell’efficacia e della potenza di questo Sacramento sullo spirito del male che lo si riceveva tutti i giorni nel IX secolo, come il Santo viatico, quando si era pericolosamente malati. Lo storico Fleury ce lo dice, parlandoci del vescovo S. Ramberto, morto l’ 11 giugno 888. Egli aggiunge che era l’uso in quei tempi. Le sante vedove della Chiesa primitiva erano elevate alla dignità di diaconesse con l’imposizione delle mani.”Suscipientes manûs impositionem”. (Concilio di Calcedonia.), non c’è dunque alcuna cerimonia di Culto Cattolico senza l’imposizione delle mani. Essa è un segno di protezione e di amore da parte di Dio. Un morente benedice la sua famiglia stendendo e ponendo la sua mano debole sulla testa di coloro che sta per lasciare: è un’azione istintiva e che risiede in natura. Il reverendo Padre Valuy, della Compagnia di Gesù, nel suo mirabile libro intitolato: “Le Directoire du Prêtre”, raccomanda di insegnare ai genitori a presentare i propri figli al curato, al prete, quando passa, affinché li possa benedire, toccarli, ed imporre loro le mani. Così faceva il divino Maestro. Gli si presentavano i fanciulli affinché li toccasse (S. Luca XVIII, 15). Non si dovrebbe forse sempre chiamare un prete presso un bambino malato, anche per colui che è nella culla? Non sarebbe come per lui comunicargli la grazia della salute “Gratia sanitatum”, anche quando la malattia non fosse causata dal demonio; l’esperienza prova che spesso, una preghiera, una benedizione, un segno di Croce, una imposizione delle mani guarisce questi cari piccoli ammalati; perché il demonio attacca sia l’innocente che il colpevole; e la prova ci viene data da S. Agostino che ci parla “dei mille insulti che il demonio fa sopportare ai piccoli bimbi battezzati ed innocenti” (Città di Dio, lib. 22). Quali sono questi insulti se non questa serie di malattie che affliggono l’infanzia? Nella cattolica Irlanda esiste da tempo immemore, l’uso di andare dal Prete per farsi imporre le mani e toccare con segni di croce quando si è sofferenti. È una traccia dell’antica fede. Gli infermi ed i malati trovano il loro sollievo e spesso pure la guarigione nell’imposizione delle mani, nei segni della Croce accompagnati dalla preghiera mentale od orale. Nelle nostre campagne noi troviamo ancora questo costume nella espressione popolare rimasta: “Far toccare un malato”, vale a dire stendere la mano su di lui, recitare delle preghiere, e fare dei segni di Croce sul suo male. “Io ti tocco, si diceva, che Dio ti guarisca”. E Ambrogio Paré, questo celebre chirurgo del XVI secolo (1517-1590), diceva anche queste parole: “io l’ho curato, ma Dio lo ha guarito”. Purtroppo ai nostri giorni i Preti stessi considerano a torto come una superstizione questa azione che Nostro Signore Gesù-Cristo ha fatto così spesso, ed ha raccomandato ad i suoi Apostoli e discepoli di praticare; non solo essi se ne astengono, ma addirittura la vietano! Da questo deriva che invece di avere soccorso dal loro santo ministero, ci si indirizza a persone che mancano quasi sempre di una fede chiara e di una vera pietà. Sono questi i Cristiani infimi ed abietti agli occhi del mondo di cui parla Origene, ma non di meno superiori ai Giudei e temuti dai demoni a causa della loro fede, qualunque essa sia, a causa del loro glorioso titolo di Cristiano, e per i segni di Croce di cui si servono recitando sui malati le loro semplici preghiere. Se i Giudei, anche coloro che non erano per Gesù-Cristo, cacciavano nel suo Nome i demoni dai corpi, guarivano i malati con l’imposizione delle mani (S. Matt. VII, v. 22; XII, v. 27), perché dunque i Cristiani, anche i più umili non ne avrebbero il potere? perché il demonio li teme, come dice Bossuet? Ma soprattutto, se i Preti, che sono altri Gesù-Cristo: Sacerdos alter Christus, e di conseguenza le personalità più alte della terra, si ricordassero della potenza e della santità delle loro mani consacrate, essi farebbero tante meraviglie che ben presto la fede rinascerebbe nelle anime che porterebbero ad una reazione religiosa. Si crederebbe allora al sovrannaturale; i fatti avrebbero più logica ed eloquenza degli scritti più sublimi e dei discorsi più magnifici. – Qualunque sia il rango nella gerarchia della Chiesa, il Prete è la permanenza di Gesù-Cristo quaggiù, e quand’anche fosse un umile servitore dell’ultima borgata, egli ha ricevuto la missione ed il potere di cacciare il demonio con la dignità dell’esorcista, di cui è investito; non potrà guarire i malati ossessi? La visita di un prete porta sempre gioia, egli è sempre stimato, ricercato dalle famiglie veramente cristiane per le quali egli è il Santo di Dio (S. Luca IV-34). Il demonio trema e fugge davanti al Nome santo di Gesù; egli trema e fa altrettanto davanti al ministro di Dio. I miei benamati confratelli hanno dovuto rimarcarlo nel corso del loro santo Ministero. O voi tutti, chiunque voi siate; voi che satana carica di mali, di dolori ed infermità, andate dunque a presentarvi ai Preti [superfluo sottolineare: ai Preti Cattolici “veri” –ndr.-], come un tempo Nostro Signore lo ordinò ai lebbrosi: “ostendite vos sacerdotibus” (S. Luca, XVII, 14), e se avete una fede ardente, essi vi libereranno e vi guariranno. Se voi non potete andare verso di loro, chiamateli, ed essi vi risponderanno come faceva Gesù-Cristo nella sua vita mortale: “ego veniam et curabo eum” [io verrò e lo guarirò] (S. Matteo, VIII, 7). Preti di Gesù-Cristo, usate dunque questa potenza per la gloria di Dio e per il sollievo di tutti coloro che soffrono. Le vostre mani sacerdotali, mani sante e venerabili, poiché impregnate di divinità per l’onore che esse hanno di toccare ogni mattina, al santo Sacrificio della Messa, Nostro Signore Gesù-Cristo in Persona: le vostre mani io dico, saranno così potenti quando le imporrete sui malati, esse saranno come le mani di Gesù-Cristo stesso, come il dito di Dio “digitus Dei”. Da esse uscirà, come un tempo da quelle del Signore, una virtù che guarirà tutti coloro che sono oppressi dal demonio: “oppressos a diabolo” (S. Marco, III, 10 – S. Luc. VI, 19). All’opera dunque! Ci sono in Francia 50.000 preti e milioni di veri fedeli. Noi siamo un’armata formidabile ed invincibile; noi non possiamo essere vinti dal demonio. Quando Gesù-Cristo era sulla terra, la fede in Lui era così viva e così ardente che tutti coloro che avevano bisogno di essere soccorsi, si precipitavano su di Lui per toccare il bordo del suo vestito, e venivano guariti (S. Marco VI, 56). Andiamo dunque verso di Lui nella persona del suo Prete, e saremo guariti dalle nostre infermità spirituali e corporali. Il marchese de Mirville assicura, nel suo libro sugli spiriti, che il demonio ha paura e fugge davanti ad una punta acuminata: chissà che non abbia paura anche di questo contatto umano-cristiano: l’imposizione delle mani, quella soprattutto del Prete? Se Gesù-Cristo, la verità stessa, che non può né ingannarsi né ingannare, non avesse dato grande importanza a questa azione, l’avrebbe mai potuta praticare, insegnare e consigliare? È a causa di questo insegnamento del Salvatore che i Vescovi dei primi secoli, riuniti nel Concilio di Milevi tenuto nell’anno 416, volevano che l’imposizione delle mani fosse fatta in tutto il mondo nella Chiesa. “Manuum impositiones ab omnibus celebrentur in Ecclesia”. Molto spesso i Santi pregavano ed imponevano le mani per più giorni di seguito sui malati che erano stati loro presentati. La storia ce ne riporta numerosi esempi. Gesù-Cristo stesso impose le sue divine mani in un due riprese diverse su di un cieco per rendergli la vista (S. Marco XVVV-22). Si legge nella vita di S. Agostino (354-430) che si recava senza indugio presso i malati che lo facevano chiamare affinché imponesse loro le mani. “Cumque ab ægrotantibus peteretur, ut ipsis manus imponeret, ad eos, sine mora, pergebat”. San Fiacrio (670), questo Santo sì conosciuto e popolare, aveva una reputazione tale di santità, che da ogni parte gli recavano dei malati che egli riportava in salute con la sola imposizione delle mani. Gli si chiedeva soprattutto la guarigione delle ulcere: “Cum, autem virtutum ejus fama longe diffunderetur, undequaque ad eum adducebantur infirmi quod sola manus impositione sanitati restituebat”. San Germano d’Auxerre (IV secolo), guarì con l’imposizione delle mani, un giovane gentiluomo chiamato Elipius, che era gravemente malato. Il re Childeberto era malato senza speranze per i medici; San Germano, vescovo do Parigi (VI secolo), gli impose le mani e d’un colpo si ritrovò guarito. Childeberto riporta egli stesso il miracolo nelle lettere da lui inviate con le quali dona, riconoscente, alla Chiesa di Parigi ed al Vescovo Germano, la terra di Celles ove egli aveva recuperato la salute in modo sovrannaturale (Godes-carde). E quasi ai giorni nostri il santo Curato di Ars non si comportava diversamente: egli pregava imponendo le mani sui malati che ricorrevano a lui, e noi sappiamo che li guariva quasi sempre. – Uno degli storici di Pio IX (Ville-frange, 6 édit., pag. 431), ci dice che un giorno Pio IX si recò in ospedale. Tra i malati gliene segnalarono dieci il cui stato era disperato, … un giovane canadese, tra l’altro, agonizzava. Egli non aveva se non il Prete al suo capezzale. Il Papa si avvicinò a questi malati, impose loro le mani, li toccò, pregò ed essi guarirono tutti. Pio IX agì in questa circostanza come agirono tutti i Santi per lunghi secoli. Malgrado la nostra profonda indegnità, non esitiamo mai ad invocare Dio perché Egli guarisca i malati con la nostre preghiere. Dio si serve spesso degli strumenti più deboli per operare guarigioni veramente straordinarie. (Ep. Cor. I.) è quello che S. Paolo chiama « il dono di guarire i malati. » “gratia curationum”. (Ep. Cor. l. XII-28.). Concludiamo dicendo che se Gesù-Cristo non avesse voluto che si facesse l’imposizione delle mani sui malati, non avrebbe dato questo potere a tutti coloro che credono in Lui.

 

IL DEMONIO CAUSA E PRINCIPIO DELLE MALATTIE -1-

 

Iniziamo oggi la pubblicazione di un anonimo libricino francese [però cattolico con tanto di nihil obstat ed “imprimatur] del secolo XIX che ai nostri tempi SEMBREREBBE affatto fuori luogo, e questo soprattutto agli apostati modernisti, sia del “novus ordo”, che dei falsi ipocriti tradizionalisti sede- e cerebro-vacantisti o cerebro-privazionisti vari, oltre che ai soliti tromboni [senza offesa per tromboni, flicorni, o basso-tuba!] atei, pagani, e “diversamente” massonizzati. Ma poiché noi ci rivolgiamo esclusivamente ai Cattolici “veri” [quelli di Papa Gregorio] ancora superstiti nonostante tutto e nonostante tutti gli sforzi dei “nemici di tutti gli uomini e di Dio”, lo proponiamo ai nostri sparuti lettori, avendolo suddiviso, per una più comoda lettura, in tre capitoletti. Buona e fruttuosa lettura!

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IL DEMONIO, CAUSA E PRINCIPIO DELLE MALATTIE.

MEZZI PER GUARIRLE.

[DI UN PRETE DEL CLERO DI PARIGI]

SECONDA EDIZIONE Rivista, corretta ed ampliata.

PARIGI

LOUIS CARRÉ, LIBRAIRE-ÉDITEUR,

 RUE DE SÈVRES, 15 – 189O [imprim.]

 

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PREFAZIONE

Un buon prete mosso a compassione verso i malati, e desiderando alleviarne le sofferenze e guarirli, ha scritto questo libricino pieno di erudizione e completamente nuovo. La fede deborda da ciascuna delle sue pagine: è fede sincera e capace di portare consolazione e speranza nel cuore di tutti coloro che soffrono. Le preghiere aggiunte alla fine di questo libro, sono semplici ed ingenue nella loro forma e nelle parole che le compongono, dando un profumo medioevale, di questo tempo in cui la fede in Dio era viva, ardente, scuotente, riscaldante i cuori, e donava alla vita dell’uomo questa grandezza, questa purezza virile e religiosa dei primi secoli. Queste pagine possono essere lette con frutto dai preti, così come dai fedeli. Noi crediamo che nel loro laconismo, esse richiudano degli insegnamenti molto seri. Ecco perché le pubblichiamo. Ricordando ciò che facevano gli uomini di fede in altra epoca, l’autore ha voluto incoraggiare i Cristiani dei giorni nostri ad imitarli, eccitandoli a pregare Dio ed a mettere la loro fiducia in Lui, quando sono provati dalla malattia. È in questo l’unico suo desiderio. Nell’indirizzare questo piccolo libro ai veri credenti, l’autore ha la convinzione di aver fatto una buona azione.

CAPITOLO I°

L’INFLUENZA DIABOLICA SUI CORPI, CAUSA MOLTO FREQUENTE DELLE NOSTRE MALATTIE.

Dalla culla del Cristianesimo, la Chiesa ispirata dallo Spirito Santo, ha sempre insegnato che il demonio era ed è il nemico dell’uomo, principalmente del cristiano, e che cercava di nuocergli in ogni modo; che egli era inoltre l’autore del male morale e spesso, pure, del male fisico. Il male morale è il peccato, che fa così gran danno nelle anime. Il male fisico è la malattia del corpo, e tutti i flagelli che sono scatenati sulla terra dall’azione e dalla malizia degli angeli cattivi. – Il demonio è dappertutto: tutte le creature sono l’oggetto del suo odio. L’Apostolo san Pietro ce lo rappresenta come un leone ruggente, che gira intorno a noi cercando le brecce della nostra anima, alfine di sorprenderci e nuocerci, sia nella nostra persona, sia nei nostri beni; egli vuole divorarci, “circuit quærens quem devoret” [I Piet. V, 8], è il nostro avversario, egli dice, “adversarius”, cioè il nemico ed il perturbatore. Egli si trova nell’aria; San Paolo ce lo dice molto positivamente nella sua epistola agli Efesini, cap. V, 12, quando ci dichiara che noi dobbiamo combattere contro le malizie spirituali “spiritualia nequitiæ”, sparse nell’aria; invisibili, di conseguenza, come ci insegna il simbolo della Fede Cattolica, quando ci dice che Dio ha creato gli esseri visibili ed invisibili, “visibilium et invisibilium, perché, come insegna pure la scienza moderna, che ci sono nell’aria, ed in tutta la natura fisica, degli esseri animati che noi non vediamo anche con l’aiuto di un microscopio, e che si vengono chiamati con nomi diversi: microbi, bacilli, virus, batteri od altro, e che provocano delle malattie epidemiche e contagiose che affliggono l’umanità; così ugualmente nel mondo soprannaturale esistono degli esseri incorporei, puri spiriti, buoni e cattivi, che si attaccano a noi per farci del bene, o per farci del male. – Come conseguenza di questo insegnamento, S. Giovanni Crisostomo ci dichiara che Nostro Signore Gesù-Cristo è stato sospeso alla croce, affinché purificasse la natura dell’aria: “ut aeris naturam purgaret”, cioè al fine di distruggere queste tenebrose potenze di cui parla l’Apostolo. Penetrato da questa medesima credenza, il Papa Pio IX, di gloriosa e santa memoria, diceva nella domenica di Passione, il 3 aprile 1870, benedicendo gli Agnus-Dei: “Io li benedico affinché essi abbiano la virtù di “scacciare i demoni, perché essi non sono tutti nell’inferno; ce ne sono molti in “questo momento sulla terra e non dei meno malvagi e dei meno terribili” (Rosier de Marie). – Ed il Papa Leone XIII, suo degno successore, giunge a prescrivere a tutti i Sacerdoti Cattolici, di dire al termine della santa Messa una preghiera per difenderci contro la malizia e i tranelli del demonio e degli altri spiriti cattivi che si diffondono in tutto il mondo per la perdita delle anime … “satanam aliosque spiritus malignos, qui ad perditionem animarum pervagantur in mundo …” – Questa credenza nel demonio e nella sua perniciosa influenza, è dunque nuovamente affermata da questi due grandi ed illustri Sovrani Pontefici. Il demonio è nell’aria, nell’acqua, in seno alla terra, e nel fuoco. Un gran numero di filosofi dei primi secoli insegnavano che « esseri incorporei » si trovano in questi quattro elementi. I nostri missionari trovano questa stessa credenza nei selvaggi delle quattro parti del mondo. Ed i Padri della Chiesa confermano tutti unanimemente questo insegnamento. Il grave Tertulliano, tra gli altri, ci dice che, in generale, le acque devono essere sospette, perché gli spiriti immondi vi risiedono, principalmente, egli dice, nelle fontane nascoste, nei laghi e ruscelli sotterranei. È la il soggiorno di questi spiriti di perdizione. Ecco perché la Chiesa esorcizza la acque di cui si serve nelle sue cerimonie. Benché queste parole appaiano strane, esse devono tuttavia ispirarci il più grande rispetto perché sono riportate pure dall’immortale Vescovo di Meaux [Bossuet], nel suo sermone sui demoni (I di quaresima). Noi leggiamo nell’Apocalisse che c’è l’Angelo delle acque e del fuoco, che facevano dire ad Origene che gli Angeli presiedono alla terra, all’acqua, al fuoco. E Sant’Agostino aggiunge che, in questo mondo, ad ogni cosa e ad ogni elemento è preposta una virtù angelica. In effetti, la Santa Chiesa, depositaria infallibile della verità, ci insegna formalmente che il demonio si trova nell’acqua, poiché nelle magnifiche preghiere liturgiche che essa recita per benedirla, sia nella veglia di Pasqua che di Pentecoste, o meglio ancora la Domenica mattina con l’aspersione che precede la Messa parrocchiale, Essa scongiura e forza il demonio, con preghiere e segni di croce multipli, ad uscire dall’acqua che sta per santificare per l’uso proprio e dei fedeli. Il Sabato-Santo soprattutto Essa si esprime così: « Comandate o Signore che ogni spirito impuro si ritiri da qui; ed eliminate da questo elemento tutta la malizia e gli artifici del demonio; ché alcuna potenza nemica possa mischiarsi a quest’acqua, né girare intorno ad essa e scivolarvi in segreto per infettarla e corromperla. » la Chiesa insegna ancora che, sovente, gli animali che servono all’uso dell’uomo e che vivono nelle stalle, nelle scuderie, nelle pastorizie, gabbie e pollai, sono malati per azione del demonio, e la prova ne è nelle preghiere che Essa recita per guarirli; Essa chiede a Dio che « la potenza di satana si allontani da essi “recedat ab eis omnis potestas diabolica”. » Lo stesso è per i beni della terra: la Chiesa ha delle suppliche indirizzate al cielo, affinché sia purgata e preservata dagli insetti che divorano le semenze, le radici, i frutti ed i raccolti che speriamo da esse. Sarebbe dunque illogico credere che, se il demonio fa nascere delle malattie nel seno della terra, o nei corpi di esseri privi di ragione, non possa farne nascere nel corpo dell’uomo, e soprattutto in quello dei Cristiani, che costituiscono l’oggetto particolare del suo odio. Non abbiamo noi forse come esempio il sant’uomo Giobbe, questo re di dolore sì crudelmente afflitto dal demonio, nei suoi affetti, nei suoi beni e nel suo corpo? E noi pertanto dobbiamo credere che da questa epoca in poi satana si ne stia tranquillo, e cessi di affliggere l’umanità intera? Stolti, ma niente affatto! E la prova ne è ciò che leggiamo nella vita dei Santi di tutti i secoli che essi guarivano i malati, e tutti coloro che erano tormentati dal demonio: « lnfirmi et a dæmonibus vexati sanarentur. » Dunque il demonio in tutti i tempi ha sempre tormentato il corpo dell’uomo, del quale si serve «come di un giocattolo turbandone i sensi », secondo l’espressione di Sant’Agostino nel suo libro della “Città di Dio” (Cap. 22). Noi lo ripeteremo ancora più avanti. La sua attività diabolica è sì grande che si manifesta ogni giorno in una molteplicità di flagelli e calamità, sia pubbliche che private e personali, che noi solitamente attribuiamo al caso o ad una cattiva fortuna; ma che in realtà, non provengono che dalla malizia dello spirito malvagio, di cui il padre Ravignan diceva: « il suo capolavoro è quello di essersi fatto negare nell’epoca nostra. » E non poteva dire nulla di più vero: “satana, ecco il nemico!” È denunciato a tutti i cristiani; perché negare la sua esistenza, non lo distrugge, anzi! – Abbiamo talvolta riflettuto su questa misteriosa parola che Nostro Signore Gesù-Cristo diceva a San Pietro: « satana mi ha chiesto di vagliarvi come si vaglia il grano » (S. Luc. XXII, 31). Il demonio è qui che domanda e supplica Dio di lasciarlo agire contro gli uomini, e di vagliare le anime ed i corpi mediante le pene, le malattie e le angosce della vita!!! C’è qualcosa che fa paura, soprattutto quando Dio lo permette. Sembra di ascoltare Nostro Signore dire ad un’anima: “Io voglio provarti e riempire i tuoi giorni di amarezza, voglio associarti ai dolori della mia Passione e della mia Croce, e staccarti dalle cose di quaggiù affinché tu faccia penitenza. È per questo che ho permesso a satana, come un tempo per Giobbe, di tenersi al tuo fianco “Diabolus stet à dextris ejus” (Ps. CVIII), per compiere la missione che gli ho affidato. Ma sii paziente, sottomesso e rassegnato, ed Io « ti ricompenserò. » – Ma dicevamo bene sopra che per l’uso che si fa del libero arbitrio, l’uomo più spesso, si dispone a ricevere delle influenze di virtù dagli angeli o di vizi e malattie dal demonio, secondo che la sua vita sarà cristiana o empia; e noi affermiamo che un gran numero di malattie sono il frutto di queste influenze che l’uomo si attira dall’inferno a causa delle sue passioni sregolate, e l’abbandono dei suoi doveri cristiani. Infatti i santi Libri ce lo dicono con queste parole: « Dio invia sui peccatori la sua collera, la sua indignazione e delle amare tribolazioni per mezzo delle influenze dei cattivi angeli “Misit in eos iram indignationis suæ: indignatiónem, et iram, et tribulatiónem: immissiónes per ángelos malos.” (Ps. LXXVII, v. 49.). ecco perché, nelle antiche preghiere del Battesimo, il Prete diceva al demonio: “esci da questo spirito, da questo cuore, da quest’anima, da questa testa, da questi capelli, da questi polmoni, da queste membra; esci, fuggi, scivola via come l’acqua”, tanto è vero che il demonio può attaccare e rendere malate tutte le parti e tutti gli organi del corpo umano. Lo spirito che influenza la carne è lo spirito di malattia che esiste come lo spirito d’orgoglio, lo spirito di menzogna, lo spirito di odio, e lo spirito di discordia che semina la divisione nelle famiglie e sconvolge le esistenze; lo spirito di avarizia e di cupidigia, lo spirito di maldicenza e di calunnia, lo spirito che altera le facoltà mentali. E così per le altre passioni. – Si usano ancora ogni giorno, nel linguaggio familiare, queste parole così profondamente cristiane, e che ricordano l’antica fede dei nostri padri: «Che una persona è animata da un cattivo spirito », per significare gli istinti cattivi, le inclinazioni sregolate e perverse che lo animano e che i demoni gli ispirano. I demoni dunque fanno il male al corpo ed all’anima, facendo germogliare le malattie nell’uno, e le peggiori passioni nell’altra. Non preghiamo nostro Signore nelle litanie che Gli sono consacrate, di liberarci dalle insidie del demonio e dello spirito contrario alla santa ed angelica purezza? Ed il santo Vangelo non ci parla anche dello spirito impuro che si era impossessato di un uomo e che, scacciato da Gesù-Cristo, va a cercare altri sette spiriti più malvagi di lui per rientrarvi? (S. Luca c. II, 23). Pertanto dunque si potrà mai avere una fede sincera nella divinità di Gesù-Cristo, senza credere nel contempo al demonio? Se satana non è che un mito, cioè un essere immaginario, Nostro Signore lo avrebbe cacciato dal corpo dei malati? Non sarebbe dunque Egli allora che un allucinato, per non dire peggio? La recita dei Santi Vangeli non sarebbe dunque che una favola? E tuttavia noi leggiamo in San Matteo, cap. VIII, v. 29, ed in San Marco cap. I v. 24, che gli stessi demoni si rivolgono a Gesù-Cristo dicendoGli: « noi sappiamo chi Tu sei: Tu sei il Santo di Dio “Sanctus Dei” », ed ancora : « Tu sei il Figlio di Dio, “Filius Dei”. Perché vieni per torturarci e perderci, “torquere nos?” » Gli Evangelisti che ci ricordano queste parole, possono ingannarsi ed ingannarci? Evidentemente no! E allora, il demonio esiste! È “de fide” che sotto mille forme, in mille maniere, egli cerca di nuocerci, di esercitare la sua azione malefica sull’uomo, e si è eretici se ci si rifiuta di credere questa verità. Fare il male, questa è la sua unica occupazione: nelle anime, quando vi entra, genera il peccato; nei corpi è spesso la causa e la permanenza delle nostre malattie, così come si esprime a questo riguardo, con molti altri, il celebre Dom Guéranger stesso nel suo libro sulla medaglia di San Benedetto. – mons, De Segur insegna la stessa dottrina, nelle sue “Istruzioni familiari sulla religione”. – Prima di essi, il grande Bossuet, dicendoci che l’esistenza del demonio è attestata dal consenso unanime di tutti i popoli, aggiunge, « in questi spiriti incorporei, tutto è attivo, tutto vi è nervoso; e se Dio non trattenesse il loro furore, essi agiterebbero il mondo intero con grande facilità. » Questa credenza nelle influenze diaboliche è dunque tanto antica quanto il mondo. I Giudei attribuivano loro tutte le malattie (Vita di G. C. del dott. Sepp.) – Lutero, questo grande eresiarca del XVI secolo, parla nei suoi scritti, delle difficoltà che aveva con satana che – egli diceva – « veniva a spegnere le sue candele » quando lavorava; o ancora, “veniva a svegliarlo per discutere con lui sul soggetto della Messa”… egli confessa così che trae la sua dottrina da satana. – Se ai giorni nostri questa credenza è alterata, negata da un sì gran numero di Cristiani, accusata anche di superstizione, non ne cercheremo forse la causa nella negligenza che si pone nell’istruirsi alle verità di Religione? E poi si combatte questa credenza perché si riduce l’effetto che potrebbe produrre su una società scettica e beffarda come la nostra, la riapparizione di una potenza dimenticata o fuori moda, e che si vuole rinviare all’antica credulità dei nostri padri. È dunque a giusta ragione che il Dizionario delle scienze mediche ci dice (articolo: uomo): « Occorre ben confessarlo, la dottrina degli “angeli e demoni” è troppo rifiutata ai nostri giorni. » che confessione! – In effetti, se esiste un ricordo dei demoni, non è manifestato il più spesso che da parole oltraggiose rimaste nel linguaggio popolare, e pronunciate in un momento di vivacità e di cattivo umore: “vattene al diavolo”… “che il diavolo ti porti” … “è il diavolo che ci mette la coda” … “egli ha il diavolo in corpo” … ed altre amenità del genere. Si noti in un gran numero di diocesi, che i rituali riediti, rivisti, corretti, dopo l’epoca della restaurazione, non fanno quasi menzione a preghiere o benedizioni impiegate contro il demonio in altra epoca. Ma quelle che non hanno subito correzioni riportano preghiere contro gli spiriti. Un antichissimo rituale di Parigi, tra gli altri, ne riporta contro gli spiriti battenti, chiamati anche “spiriti martelli” ; « spiritus percutientes, spiritus maliens, » e si può leggere nella vita del curato d’Ars, il racconto dei rumori infernali che i demoni venivano a produrre nella sua casa. Tutti gli abitanti del villaggio possono attestarlo, poiché tutti hanno ascoltato gli “spiriti battenti”. Del resto non è raro apprendere, ai nostri giorni, che questi stessi spiriti battenti manifestano la loro presenza in abitazioni particolari. Le prove più autentiche sovrabbondano su questo soggetto. In altre diocesi, gli antichi rituali hanno preghiere contro i temporali, le tempeste, le nubi cariche di grandine. Si scongiura in queste preghiere, lo spirito dell’uragano e della tormenta «spiritus procellarum», e si prega per allontanarlo e paralizzarne gli effetti sempre disastrosi. – Nella preghiera della sera, noi supplichiamo il Signore di visitare la nostra dimora alfine di allontanare le insidie del demonio. Noi Gli domandiamo di conservarci in pace. Ciò che vuol dire: che il demonio essendo dappertutto, ed in particolare in certe case, in certe famiglie, ove apporta turbe, la disunione ed il malore, noi preghiamo Dio di liberarcene. Si dirà forse che queste pie credenze non siano altro che superstizioni; ma se la fede fosse più viva e più chiara, si crederebbe all’incessante attività ed alla potenza del demonio, combattendolo con la preghiera, il digiuno, la penitenza, come facevano i nostri padri, che ne erano ben lungi. Ai giorni nostri, se non se ne nega interamente la sua esistenza, si ride delle sue manovre e delle trappole con le quali semina i nostri passi; egli ci trova quindi disarmati. Noi siamo allora come in una città senza difesa ed aperta agli attacchi del nemico. È per questa ragione che ci ossessiona e ci divora così facilmente. – Sant’Agostino, questa grande autorità della Chiesa, ci parla nel suo trattato “de Divinitate” lib. 3 cap. 11, della potenza degli angeli cattivi, della scienza meravigliosa che essi possiedono e che non hanno perso nella loro caduta, essi « abusano – ci dice il gran Dottore – della nostra carne, ingannando i nostri sensi, turbando i nostri pensieri, oltraggiando i nostri corpi, “mischiandosi al nostro sangue, generando malattie ». Non si potrebbe parlare più chiaramente. Vi fu un’epoca in cui i medici più celebri credevano all’intervento ed all’azione del demonio in tante malattie. Noi potremmo citare a questo proposito l’opinione di un gran numero di essi. Uno tra essi, Thomas Willis, medico inglese, sapiente di primo ordine del XVII secolo, ed i cui scritti di materia medica saranno sempre apprezzati, dice: che ci sono molte malattie guaribili solo con le preghiere, « perché il demonio può, entro certi limiti, introdurre dei veleni sottili nell’organismo e produrvi delle lesioni molto gravi. » Molto prima di lui Ippocrate, il padre della Medicina, aveva insegnato che bisognava distinguere due grandi categorie di malattie: le malattie tutte “naturali”, e quelle che avevano un carattere esclusivamente “divino”. L’importanza di queste parole, la confessione e l’insegnamento che esse racchiudono, si impongono all’attenzione del lettore. Non si può dunque mettere in dubbio l’azione dello spirito cattivo sul corpo degli uomini, più che della sua anima; e la scienza medica, sempre troppo materialista, ammette che vi sia qualcosa di inesplicabile oltre a quello che essa sa, di ciò che insegna, di ciò che pratica. Se essa è così inefficace in un sì gran numero di casi, è perché essa non vede molto spesso che una causa naturale che provoca la malattia, e considera il corpo dell’uomo malato come una materia disorganizzata che occorre restaurare con rimedi materiali, mentre che la fede vede sovente l’azione del demonio, cioè una causa soprannaturale diabolica. Non bisogna stupirsene, poiché la santa Scrittura, i Padri della Chiesa, e tutti gli Scrittori ecclesiastici sono unanimi nel dirci che i demoni, prima della venuta di Gesù-Cristo, erano i maestri del mondo, e che tutti i mali erano opera loro, perché il loro impero si estendeva a tutta la terra. Pure il Re-Propfeta lo annunciava, dicendo che tutti gli dei del paganesimo erano demoni (Ps. XCV). Molto spesso ancora ai giorni nostri gli Annali della propagazione della fede o quelli della Santa-Infanzia, ci parlano dell’azione del demonio sulle persone e sulle cose, in quelle regioni dove non essendo Gesù-Cristo ancora conosciuto, lo spirito delle tenebre si fa adorare al suo posto. I missionari, uomini istruiti, seri e prudenti, raccontano dei fatti sorprendenti, al di sopra dell’ordine naturale e che mostrano, fino all’estrema evidenza, l’intervento del demonio. Noi leggiamo negli Annali dell’Arciconfraternita di N.-D. delle Vittorie del mese di febbraio 1888, il fatto seguente, raccontato dall’alto del pulpito dal padre Buotelant, missionario al Maduré [parte sud-est dell’India –ndt.-]. « Da oltre sei mesi, una giovane donna apprese da un mago del paese a mettersi in comunicazione con il demonio. Ella vedeva perfettamente ciò che succedeva a grande distanza e, quando veniva commesso un furto, ella indicava il luogo dove si trovavano gli oggetti rubati, e non si sbagliava mai. A forza di mettersi in contatto con il demonio, divenne una posseduta; e questa possessione si manifestava con segni esteriori dei quali erano testimoni novemila persone, i Padri, io stesso. Questa donna non aveva mai imparato a leggere, e si metteva a parlare diverse lingue. Ma a lato di questi aspetti trionfali, subiva numerose umiliazioni; talvolta era obbligata a restare in silenzio per cinque o sei giorni, veniva gettata a terra, riceveva affronti dei quali conservava il segno; o si ascoltavano dei rumori senza che si vedesse nessuno. Cosa sorprendente: questa donna faceva cuocere il suo riso in un vaso; esso era perfettamente bianco, puro. Anche quando ne faceva cuocere per il marito esso era perfettamente bianco e puro. Ma ecco che nel suo piatto, o piuttosto nella foglia di palma ove si serviva, numerosi vermi rapidamente vi brulicavano intorno; se suo marito cambiava piatto con lei per affetto, i vermi andavano verso di lei. « Stanca di essere preda di satana ella si rivolse ad un Catechista Cattolico che, dandole uno Scapolare ed un Rosario, le consigliò di recitare tutti i giorni questa preghiera: “io rinuncio a satana per legarmi a Gesù-Cristo”. Venne poi istruita nella Dottrina Cattolica ed un mese dopo riceveva il Battesimo. Tutti gli astanti notarono che al momento in cui iniziava la cerimonia, la sua figura era contratta ed una schiuma bianca le usciva dalla bocca, ma quando le cerimonie terminarono, la sua figura si illuminò, divenne radiosa; ella ringraziava Dio e la sua Santa Madre dicendo: “Grazie, Madre mia, Voi mi avete liberato. Io vi consacro il resto della mia vita”. satana era vinto. – Monsignor Pineau, vicario Apostolico del Tong-King meridionale, scrive anche negli Annali della Propaganda della fede nel mese di agosto del 1889, che un miserabile pagano aveva fatto massacrare, bruciare, annegare mille e cento neofiti durante la persecuzione del 1885, egli si dichiarava nemico della Francia e del nome Cristiano. Egli aveva trovato il mezzo di avvelenare la sorgente che alimentava un avamposto di soldati francesi e ben quattro ne morirono. L’ora del castigo arrivò. Cadde malato ed il demonio gli fece vedere che lo considerava come appartenergli. Per un mese fece un baccano infernale attorno alla sua casa; una grandinata di pietre e zolle di terra cadeva quasi in continuazione sia sul tetto che negli appartamenti. Questo mostro morì tra orribili sofferenze. Tutti gli abitanti erano terrificati e molti tra essi si convertirono. Sottolineiamo che questi fatti, come tanti altri che potremmo citare, sono riportati da questi eroici missionari che non si ingannano. Ma tutte queste divinità infernali devono sparire davanti a Nostro Signore Gesù-Cristo. Il Profeta Habacuc (Cap. III) aveva annunciato che il regno di satana avrebbe avuto fine, perché era atteso il Messia promesso ed atteso che lo avrebbe atterrato e fatto fuggire davanti ai suoi passi: « Egredietur Diabolus ante pedes ejus », egli dice: è questa una prova che il demonio regnava su tutta la terra prima di Gesù-Cristo. Ecco perché Nostro Signore stesso chiama satana “il principe di questo mondo”, « Princeps hujus mundi » (S. Luc. XI, 21). E sul suo esempio San Paolo lo nomina “il dio di questo secolo” – «Deus hujus sæculi» (Ef. VI, 13). E con San Paolo, san Giovanni ci dice che “il mondo intero è sotto l’impero di satana” « Mundus totus in maligno positus est. » [Efes. V, 19]. Egli è il “forte armato”, « Fortis armatus» (San Luca, XI- 21). E queste sono parole di una gravità eccezionale, poiché sono uscite dalle labbra di Gesù-Cristo stesso e da quelle dei suoi Apostoli ispirati. E con tutte queste sante e divine autorità, il grave Tertulliano ci dichiara che satana e le sue bande sono “i magistrati del mondo” « Dæmones sunt magistratus sæculi » (de IdoL, n° 18, page 106). Io non voglio tuttavia dire che satana si trova nello spirito e nel cuore di tutti i magistrati. Noi ne abbiamo prova contraria tutti i giorni. Ecco dunque il regno di satana ben affermato. In effetti è lui che ispira tutte le infamie dei governi atei, scismatici, eretici, persecutori della vera Religione. È lui che ispira questa pretesa giustizia degli uomini che lascia tanto a desiderare, è ancora lui che ispira questa letteratura malsana, nemica di ogni credenza, di ogni morale, di ogni pudore. In verità, si è portati a chiedersi se è Dio che regni quaggiù nelle società, nelle famiglie, come nello spirito e nel cuore di ogni persona. Quanti regni Cattolici vi sono nel mondo? Non formano l’eresia, lo scisma, il maomettanesimo, il buddismo, il feticismo la maggioranza delle religioni? Abbiamo pertanto questa convinzione che il regno di satana sia passato, malgrado la lentezza con la quale procede l’opera di Gesù-Cristo, e malgrado ancora la persecuzione che dura ancora dopo 1900 anni – Questa è una delle numerose prove della divinità della Religione Cattolica. Tutte le altre religioni sono opera di satana: ecco perché esse si stagliano al sole, onorate, rispettate, sostenute e sovvenzionate. Ma esse cadranno nella rete che San Pietro ha gettato sul mondo per avvolgerlo e convertirlo. Gesù-Cristo ha vinto il mondo! E la sua Chiesa, sostenuta ed assistita da Lui, persegue satana dappertutto, fin nei suoi estremi nascondigli, alfine di imbrigliare e paralizzare i suoi sforzi. Sia che si impadronisca degli uomini e delle cose; che vizi l’aria per desolare la terra con la peste o altre malattie contagiose; che avveleni le acque affinché trasportino nei loro percorsi dei germi morbiferi; sia che attacchi le radici delle vigne o quelle di altre piante con insetti che la scienza umana non sa e non può distruggere; sia che faccia altre devastazioni, la Chiesa è là, armata con la sue preghiere e soprattutto con il Santo Sacrificio della Messa; e se si fa appello alla sua potenza essa abbatte questo nemico infernale e lo mette in fuga col solo nome di Gesù-Cristo. – Pochi sanno che la Phyllossera, questo insetto che divora le nostre vigne, non è un castigo nuovo – perché è un castigo – ma che è chiaramente indicato nella Bibbia (Deuteronomio, cap. XXVI, v. 39). Dio vi fa dire al popolo di Israele, così spesso prevaricatore: « voi pianterete una vigna, la lavorerete; ma non berrete del vino non ne raccoglierete perché essa sarà divorata dai vermi ». Quali sono questi vermi? È da credersi che sia la Phyllossera. Dei veri fedeli si chiedono perché i preti non percorrono le vigne per benedirle e scacciarne la phyllossera o altre malattie, con le potenti ed efficaci preghiere della Chiesa. È da credersi che i nostri vignaioli ne troverebbero beneficio. Ne abbiamo una prova recente (1886) nel pellegrinaggio che hanno fatto a Nostra Signora di Lourdes cinquecento vignaioli di M… (Aveyron). Le loro vigne erano distrutte dalla phyllossera. Essi avevano impiegato senza successo tutti i mezzi indicati dalla scienza. Essi allora hanno pregato Dio ed invocato la Santissima Vergine, e questo insetto distruttore è sparito istantaneamente. Essi sono venuti a Lourdes per ringraziare di un sì grande beneficio. Perché non si segue questo santo esempio?

 

CAPITOLO II

GUARIGIONE DELLE MALATTIE CON LA PREGHIERA — NECESSITA’ DELLA FEDE.

 

Essendo dunque ammessa la credenza del demonio e della sua perniciosa influenza, chi dunque caccerà questi cattivi spiriti dai corpi che egli tormenta? Chi gli dirà, come altre volte Gesù-Cristo: « Vade retro satana! » “via satana, fuggi via da qui”. Tutti i Cristiani sanno che con la potenza di un segno di croce fatto su di sé, con una preghiera, anche mentale, indirizzata a Dio in un momento di tentazione e di debolezza, il nemico della salvezza viene messo in fuga. Il male morale non esiste dunque se non quando si trascura la preghiera ed il compimento dei propri doveri religiosi. Se dunque il ricorso a Dio distrugge e scaccia il male dall’anima sempre causato dal demonio, perché non potrebbe essere lo stesso per il male fisico che pure produce satana? Perché non potrebbe essere scacciato dal corpo dell’uomo, dai corpi degli animali, espulso dalle case, come da ogni altra cosa, con il Nome santo di Gesù, con il segno della Croce, l’acqua benedetta, la preghiera e l’imposizione delle mani? – Il Salvatore Gesù, dopo la sua ascensione, ha lasciato agli uomini questo potere? Sì, senza alcun dubbio. In primo luogo il santi Evangelisti ce lo dicono nella maniera più certa. Poi la pratica costante di tutti gli uomini di fede, preti, religiosi e semplici fedeli lo prova sovrabbondantemente. Noi leggiamo in San Matteo (Cap. X, v. 1 e segg.), che Gesù-Cristo avendo convocato i suoi dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e di infermità. Guarite i malati , « resuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni ». [v. 8]. Ecco il potere che Nostro Signore dà ai suoi discepoli ed ai loro successori. Cioè ai Vescovi e Preti, poiché dichiara che li assisterà fino alla consumazione dei secoli. Perché dunque i Vescovi ed i Preti non esercitano questo potere? E non solo Nostro Signore ha dato questo potere ai Vescovi ed ai Preti, ma lo da pure ai semplici fedeli che credono in Lui. San Marco ce lo dice e ce lo afferma al capitoli XVI, v. 18. Egli riporta le parole dello stesso Gesù, « chiunque crede in me e sarà battezzato, costui scaccerà i demoni, e guarirà i malati imponendo loro le mani. » Il divino Maestro dice una parola ancora più stupefacente; e affinché sia creduto afferma solennemente, in riprese diverse, che ciò che dice è vero. AscoltiamoLo: « In verità, in verità vi dico, colui che crede in me, costui farà le opere che Io faccio e ne farà di più grandi, “Majora” (S. Giov., XIV-22). » ora, cosa faceva Egli? Cacciava i demoni dal corpo dei malati ed i malati erano guariti. Nostro Signore non può parlare più chiaramente. Dunque ogni cristiano, chiunque esso sia, animato da grande fede, può scacciare il demonio e guarire le malattie. Citiamo solo una pagina, tra le altre, del Vangelo secondo Marco, cap. IX, v. 22: « Un giorno, un padre di famiglia molto afflitto venne a trovare Nostro Signore Gesù-Cristo, per confidargli la sua pena e la sua angoscia. Suo figlio era posseduto da un demonio che lo gettava a terra, facendolo bavare e digrignare i denti. In più esso lo faceva cadere sia nell’acqua che nel fuoco e lo irrigidiva procurandogli i più crudeli tormenti rendendolo insensibile. E questo buon padre, nel suo dolore, dice a Gesù: “Signore, se Voi volete, Voi potete guarire mio figlio; abbiate pietà di noi e soccorreteci”. Gesù gli risponde: “Se voi credete in me, questo si farà”, perché « tutto è possibile a colui che crede ». Ed il povero padre subito gridò, con le lacrime agli occhi: “io credo, Signore, ma aumentate ancora la mia fede”. E subito, il buon Gesù minaccia lo spirito immondo e gli dice : “spirito sordo e muto esci dal corpo di questo fanciullo e non entrarci più; Io te lo comando”. Il demonio ne esce subito gettando alte grida, e agitando il fanciullo con tanta violenza che cadde a terra come morto. Ma Gesù, presolo per mano lo aiutò a rialzarsi e lo consegnò ai suoi genitori. Notate, una volta per tutte, che Nostro Signore, pone cura nel chiedere se si ha fede in Lui, prima di accordare quel che Gli si domanda. “Creditis quia hoc possum facere vobis?” Credete che Io possa fare ciò che mi chiedete? (Matth. IX, 18). Andate, diceva ai malati che Egli guariva, che vi sia fatto secondo la vostra fede: « secundum fidem vestram fiat vobis » (S. Math., IX-29). È per questo che il Nazareno, dove era passato per la maggior parte della sua vita terrena, non poté fare alcun miracolo, se non guarire un piccolo numero di malati imponendo loro le mani, perché non si credeva nella sua divinità né nella sua potenza (Marco VI, 6). Si sarebbe portati a credere che l’incredulità gli legasse le mani privandolo del potere di fare miracoli ed operare prodigi. In effetti, Dio non fa nulla per la salvezza degli uomini senza la loro cooperazione. La potenza della fede in Nostro Signore Gesù-Cristo risplende in ogni pagina del Vangelo e si può dire che il successo delle preghiere che noi Gli indirizziamo, dipenda dal grado di fiducia che abbiamo in Lui. San Marco ce lo dice con queste parole sì piene di incoraggiamento (XI, 22): « Abbiate fede in Dio; Io ve lo dico, in verità, tutto quello che chiedete nella preghiera, credetelo che lo otterrete. Non esitate nel vostro cuore, e vi sarà accordato ciò che domandate. » San Matteo ci insegna la stessa cosa, dicendo che. « se avete fede nulla vi sarà impossibile … Nihil impossibile erit nobis » (17-19). » E per farci comprendere la sua potenza e le opere meravigliose che possiamo compiere con essa, Nostro Signore impiega la similitudine di una montagna che può essere sollevata dalla base e gettata in mare. Non moltiplichiamo più queste citazioni. Tutte le pagine del Vangelo e gli insegnamenti degli Apostoli offrono delle istruzioni simili. È sufficiente dunque essere un vero Cristiano e non cancellare, né esitare nella fede per operare tutte le sue meraviglie. Credere!!! Con questa parola si fanno prodigi qualunque sia lo stato di abiezione nel quale si è agli occhi degli uomini. Da qui deriva un assioma sì profondamente cristiano: “non c’è che la fede che salvi!” M. Dupont, morto a Tours, in odore di santità il 18 marzo 1876, e conosciuto dal mondo intero per la sua devozione al Volto Santo di Nostro Signore, non voleva che pregando, per ottenere anche un miracolo, si esprimesse un dubbio, una diffidenza, un timore qualsiasi. Se la grazia richiesta non era ottenuta, egli la attribuiva sempre all’imperfezione della fede. E Mosè non fu escluso dalla terra santa perché aveva avuto un sentimento di diffidenza nella potenza di Dio, battendo la roccia due volte, invece di una parola che egli le doveva dire? Gli Apostoli, che i giudei consideravano come il rifiuto del mondo, secondo l’espressione di San Paolo, provavano e giustificavano la loro missione tutta divina operando delle cose straordinarie, e che sovvertivano tutte le leggi della natura, al punto che l’ombra di San Pietro, passando per le strade, guariva i malati che avevano fede in lui (Act. V, 15; II-43). – Questo stesso potere, noi lo diciamo ancora, è stato dato da Gesù-Cristo a chiunque creda in Lui, senza distinzione di persona né posizione sociale, senza restrizione di tempo né di luogo; sia alle persone del mondo che ai Preti. Le sue promesse sono formali, e non si può avere alcun dubbio a questo riguardo. Tuttavia non si può affermare che le guarigioni saranno istantanee come quelle che faceva Nostro Signore stesso o i suoi Apostoli; né come quelle che hanno luogo a Nostra Signore delle Vittorie, a Lourdes, a la Salette o in altri Santuari celebri e venerati. La, la Santa Vergine è invocata contro la potenza del demonio. I fedeli lanciano questo grido di allarme: « Tu nos ab hoste protège, », O Maria, proteggeteci dal male che ci fa satana. Ma se queste guarigioni entrano nei disegni della misericordia divina, esse avranno luogo in un breve spazio di tempo, e tanto più breve quanto più saranno unite a Dio da una fede viva, una pietà sincera, una vita pura ed esente da gravi colpe. Il Santo curato di Ars ce lo da ad intendere quando afferma che quando si è servitore di Dio, Dio obbedisce al suo servitore. ServiamoLo fedelmente, e la nostra azione sul suo cuore sarà potente, e potente anche sullo spirito di malattia. Non bisognerà scoraggiarci né perdere fiducia, se Dio mette la nostra fede alla prova, differendo, per qualche tempo, nell’accordarci ciò che Gli domandiamo. Ci sono degli spiriti che non si cacciano se non con la preghiera e col digiuno (S. Marc. IX- 28). Preghiamo dunque e digiuniamo, se questo ci è possibile, e noi saremo esauditi. Per millecinquecento anni tutti gli uomini di fede, Preti e laici, hanno fatto ciò che il Signore ha raccomandato di fare, e i malati si sono trovati bene … “et bene habebunt”. – imitiamoli dunque, e lo spirito maligno non ci toccherà. « Malignus non tangit eum » (Ep. San. Giov., V-19).

 

TEMPO DOPO LA PENTECOSTE

[dom Guéranger. L’Anno liturgico, vol. II]

Capitolo I

STORIA DEL TEMPO DOPO LA PENTECOSTE

Carattere di questo periodo.

Dopo la solennità della Pentecoste e la sua Ottava, il corso dell’Anno liturgico ci introduce in un nuovo periodo, che differisce completamente da quelli che abbiamo percorso finora. Dall’inizio dell’Avvento, che è il preludio alla festa di Natale, fino all’anniversario della discesa dello Spirito Santo, abbiamo visto svolgersi tutto il seguito dei misteri della nostra salvezza. La serie dei tempi e delle solennità narrava un dramma sublime che ci teneva sospesi e che ora si è compiuto. Tuttavia, siamo appena giunti alla metà dell’anno. Quest’ultima parte del tempo non è comunque sprovvista di misteri; ma invece di attrarre la nostra attenzione con l’interesse sempre crescente d’una azione che si precipita verso lo scioglimento, la sacra Liturgia ci offrirà una successione quasi continua di episodi diversi, gli uni gloriosi gli altri commoventi, che arrecano ciascuno un elemento speciale per lo sviluppo dei dogmi della fede o per il progresso della vita cristiana. Fino a quando, terminato il Ciclo, esso svanisce, per far posto a uno nuovo, che narrerà gli stessi avvenimenti ed effonderà le stesse grazie sul corpo mistico di Cristo. –

Sua durata.

Questo periodo dell’Anno liturgico, che abbraccia talora un po’ più talora un po’ meno di sei mesi secondo la data della Pasqua, ha sempre conservato la forma che presenta oggi. Ma, per quanto non ammetta solennità e feste distaccate, l’influsso del Ciclo mobile vi si fa tuttavia ancora sentire. Il numero delle settimane che lo compongono può elevarsi fino a ventotto, e scendere fino a ventitré. Il punto di partenza è determinato dalla festa di Pasqua, che oscilla tra il 22 marzo e il 25 aprile; e il punto di conclusione dalla prima Domenica di Avvento, che apre un nuovo Ciclo e che è sempre la Domenica più vicina alle calende di dicembre.

Le Domeniche.

Nella Liturgia romana, le Domeniche di cui si compone questa serie sono indicate con il nome di Domeniche dopo Pentecoste. Questa denominazione è la più conveniente, come noteremo nel capitolo seguente, ed è basata sui più antichi Sacramentari ed Antifonari; ma si è stabilita solo progressivamente nelle Chiese in seno alle quali regnava la Liturgia romana. È così che vediamo nel Comes di Alenino, il quale ci riporta all’VIII secolo, la prima serie di queste Domeniche designata con il nome di Domeniche dopo la Pentecoste; la seconda denominata Settimane dopo la festa degli Apostoli (post Natale Apostolorum); la terza chiamata Settimane dopo san Lorenzo {post sancti Laurentii); la quarta indicata con il nome di Settimane del settimo mese (settembre) e infine la quinta, che porta il nome di Settimane dopo San Michele (post sancti Angeli) e che va fino all’Avvento. Molti Messali delle Chiese d’Occidente presentano, fino al secolo XVI, queste diverse suddivisioni del Tempo dopo la Pentecoste espresse in modo diverso secondo le feste dei Santi che servivano come di data nelle diverse diocesi in questa parte dell’anno. Il Messale romano pubblicato da san Pio V e diffusosi nelle Chiese latine, ha finito per ristabilire l’antica denominazione, e il tempo dell’Anno liturgico al quale siamo giunti è ormai designato solo con il nome di Tempo dopo la Pentecoste (post Pentecosten).

Capitolo II

MISTICA DEL TEMPO DOPO LA PENTECOSTE

Scopo di questo periodo.

Per comprendere bene l’intento e l’importanza di questa stagione dell’Anno liturgico alla quale siamo giunti, è necessario rendersi conto di tutta la serie dei misteri che la santa Chiesa ha celebrati dinanzi a noi e con noi. La celebrazione di questi misteri non è stata un vano spettacolo posto sotto i nostri occhi. Essi hanno apportato con sé ciascuno una grazia speciale che produceva nelle anime nostre ciò che significavano i riti della Liturgia. A Natale, Cristo nasceva in noi; nel tempo della Passione, ci incorporava alle sue sofferenze e ai suoi meriti; nella Pasqua, ci comunicava la sua vita gloriosa; nell’Ascensione, ci trascinava al suo seguito fino al cielo; in una parola, per usare l’espressione dell’Apostolo, « Cristo si formava in noi » (Gal. IV, 19). – Ma la venuta dello Spirito Santo era necessaria per accrescere la luce, per riscaldare le anime con un fuoco permanente, per rafforzare e mantenere in noi l’immagine di Cristo. Il Paraclito è disceso, si è dato a noi, e vuol risiedere nelle anime nostre e dominare la nostra vita rigenerata. Ora, questa vita, che deve svolgersi conforme a quella di Cristo e sotto la guida del suo Spirito, è raffigurata ed espressa dal periodo che la Liturgia designa con il nome di Tempo dopo la Pentecoste.

La Chiesa.

A questo punto, ci si presentano due oggetti di considerazione: la santa Chiesa e l’anima cristiana. Ripiena del divino Spinto che si è effuso in essa e che d’ora in poi la anima, la Sposa di Cristo avanza nella sua vita militante, e vi deve camminare fino alla seconda venuta del suo celeste Sposo. Essa possiede i doni della verità e della santità. Munita dell’infallibilità della fede, dell’autorità del governo, pasce il gregge di Cristo, ora nella libertà e nella tranquillità, ora in mezzo alle persecuzioni e alle prove. Il suo Sposo divino rimane, è con lei fino alla consumazione dei secoli con la sua grazia e con l’efficacia delle sue promesse; essa è in possesso di tutti i favori che Egli le ha elargiti, e lo Spirito Santo rimane in lei e con lei per sempre. È quanto esprime questa prima parte dell’Anno liturgico, in cui ritroveremo i grandi eventi che hanno segnalato la preparazione e il compimento dell’opera divina. In cambio la Chiesa vi raccoglie i frutti di santità e di dottrina che quei misteri hanno prodotto e produrranno nel suo cammino attraverso i secoli. Si vedono così prepararsi e giungere nel tempo stabilito gli ultimi eventi che trasformeranno la sua vita militante in una vita trionfante nei cieli. Questo è, per quanto riguarda la santa Chiesa, il significato della parte del Ciclo liturgico in cui entriamo.

L’anima cristiana.

Quanto all’anima fedele, il cui destino è come il compendio di quello della Chiesa, il suo cammino nel periodo che si apre per lei dopo le feste della Pentecoste deve essere analogo a quello della nostra madre comune. Deve vivere e agire secondo Cristo che si è unito a lei nella serie dei suoi misteri e sotto l’azione dello Spinto divino che ha ricevuto. Gli episodi che segneranno questa nuova fase accresceranno in lei la luce e la vita. Essa riporterà all’unità i raggi sparsi di uno stesso centro, ed elevandosi di luce in luce (II Cor. III, 18), aspirerà alla consumazione in Colui che ormai conosce e la cui morte deve metterla in possesso. Se poi il Signore non giudica opportuno trarla ancora a Lui, ricomincerà un nuovo Ciclo e ripasserà attraverso gli elementi che ha sperimentati nella prima metà dell’Anno liturgico; dopodiché si ritroverà ancora nel periodo che si compie sotto la guida dello Spirito Santo; infine il Signore la chiamerà nel giorno e nell’ora fissata da tutta l’eternità. Fra la santa Chiesa e l’anima cristiana nel periodo che si stende dalla prima Pentecoste fino alla consumazione vi è dunque questa differenza: che la Chiesa non lo percorrerà se non una volta, mentre l’anima cristiana lo ritrova ogni anno al suo tempo giusto. A parte tale differenza, l’analogia è completa. Dobbiamo dunque benedire Dio che viene in aiuto della nostra debolezza rinnovando in noi di volta in volta, per mezzo della Liturgia, gli aiuti con i quali siamo messi in grado di raggiungere il fine beato al quale siamo stati destinati.

L’insegnamento scritturistico.

La santa Chiesa nel periodo attuale ha disposto la lettura dei libri della sacra Scrittura in modo da esprimere tutto ciò che avviene nel suo corso, sia nella Chiesa stessa sia nell’anima cristiana. Dalla prima Domenica dopo la Pentecoste fino al mese di agosto, ci fa leggere i quattro libri dei Re. È il compendio profetico degli annali della Chiesa. Vi si vede la monarchia d’Israele inaugurata da David, figura di Cristo vittorioso nelle battaglie, e da Salomone, il re pacifico, che eleva il tempio alla gloria di Dio. Il male lotta contro il bene in questo scorrere dei secoli. Vi sono dei grandi e santi re come Asa, Ezechia, Giosia, e re infedeli come Manasse. A Samaria si dichiara lo scisma, e le genti infedeli riuniscono le loro forze contro la città di Dio. Il popolo santo, troppo spesso sordo alla voce dei profeti, si dà al culto di falsi dèi e ai vizi della gentilità, e la giustizia di Dio annienta in una comune rovina il tempio e la città infedele. Immagine della distruzione di questo mondo allorché la fede vi farà difetto a tal punto che il Figlio dell’uomo, nel suo secondo avvento, ne troverà appena la traccia (Lc. XVIII, 8). – Nel mese di agosto leggiamo i libri Sapienziali, così chiamati perché contengono gli insegnamenti della Sapienza divina. Questa Sapienza è il Verbo di Dio che si manifesta agli uomini attraverso l’insegnamento della Chiesa resa infallibile nella verità, grazie all’assistenza dello Spirito Santo che risiede in lei in modo permanente. La verità soprannaturale produce la santità, che non potrebbe sussistere né fruttificare senza di essa. Onde esprimere questo legame che esiste fra l’una e l’altra, la Chiesa legge nel mese di settembre i libri chiamati Agiografi, Tobia, Giuditta, Ester e Giobbe, nei quali si vede la Sapienza in azione. Siccome la Chiesa, verso la fine della sua durata in questo mondo, deve essere sottoposta a violente battaglie, si leggono lungo il mese di ottobre i libri dei Maccabei, in cui sono descritti il coraggio e la generosità dei difensori della legge divina che soccombono con gloria, come appunto accadrà negli ultimi tempi, quando sarà concesso alla bestia di far guerra ai santi c di vincerli (Apoc. XIII, 7). – Il mese di novembre è occupato dalla lettura dei profeti che annunciano i giudizi di Dio che si appresta a finirla con il mondo. Si vedono passare di volta in volta: Ezechiele, Daniele e i Profeti minori, che annunciano per lo più le vendette divine, mentre gli ultimi proclamano pure la prossima venuta del Figlio di Dio. – Questa è la Mistica del tempo dopo la Pentecoste. Essa è completata dall’uso del colore verde per i paramenti sacri. Questo colore esprime la speranza della Sposa la quale sa che la sua sorte è stata affidata dallo Sposo allo Spirito Santo, sotto la cui guida essa compie con sicurezza il proprio pellegrinaggio. San Giovanni esprime tutto con una sola frase: «Lo Spirito e la Sposa dicono: Vieni! » (Apoc. XXII, 17).

Capitolo III

PRATICA DEL TEMPO DOPO LA PENTECOSTE

Scopo dell’Anno Liturgico.

Lo scopo della santa Chiesa nell’Anno liturgico è di condurre l’anima cristiana all’unione con Cristo mediante lo Spirito Santo. Lo scopo che Dio stesso si è proposto dandoci il proprio Figlio perché fosse nostro mediatore, nostro dottore e nostro redentore, e inviandoci lo Spirito Santo perché restasse in noi. Questo è il fine verso cui tende quell’insieme di riti e di preghiere che abbiamo seguito, e che non è soltanto la commemorazione dei misteri operanti dalla bontà divina per la nostra salvezza, ma porta con sé le grazie corrispondenti a ciascuno di essi, onde farci pervenire, come dice l’Apostolo, « all’età della pienezza di Cristo » (Ef. IV, 13). – L’unione ai misteri di Cristo opera nel cristiano ciò che la teologia mistica chiama la Vita illuminativa, nella quale l’anima si illumina sempre più della luce del Verbo incarnato che, con i suoi esempi e i suoi insegnamenti, la rinnova in tutte le sue potenze, e la abitua a non avere se non il punto di vista di Dio in ogni cosa. Questa preparazione la dispone ad unirsi a Dio, non più soltanto in modo imperfetto e più o meno effimero, ma in quel modo intimo e permanente che è chiamato Vita unitiva. Questa vita è l’opera propria dello Spirito Santo che è stato inviato all’anima per mantenerla nel possesso di Cristo e per sviluppare in essa l’amore mediante il quale si unisce a Dio.

Le feste del tempo dopo la Pentecoste.

In questo stato, l’anima è preparata per gustare e assimilare tutto ciò che i numerosi episodi di cui abbonda il Tempo dopo la Pentecoste offrono di sostanziale e di nutritivo. Il mistero della Trinità, quello del Santissimo Sacramento, la misericordia e la potenza del Cuore di Gesù, le grandezze di Maria e la sua azione sulla Chiesa e sulle anime, le sono manifestati con maggior pienezza, e producono in lei effetti nuovi. Essa sente più intimamente nelle feste dei Santi, così varie e così ricche in questo tempo, il legame che l’unisce ad essi in Gesù Cristo mediante lo Spirito Santo. La felicità eterna, alla quale questa vita di prova deve far posto, le si rivela nella festa di Ognissanti, e penetra così più addentro l’essenza di quella misteriosa beatitudine che consiste nella luce e nell’amore. Unita sempre più strettamente alla Chiesa, segue tutte le fasi della sua esistenza nella durata dei tempi, si unisce alle sue sofferenze, prende parte ai suoi trionfi, vede senza venir meno questo mondo andare verso il proprio declino, poiché sa che il Signore è vicino. Per quanto riguarda lei, sente senza rimpianto la sua vita corporea cedere lentamente, il muro che la isola ancora dalla visione e dal possesso immutabile del sommo Bene crollare a poco a poco, poiché non vive più in questo mondo e il suo cuore si trova già là dove è il suo tesoro (Mt. VI, 21). Così illuminata, così attratta, così fissata dall’incorporazione dei misteri di cui la sacra Liturgia l’ha nutrita, e dai doni che lo Spirito Santo ha sparsi in lei, l’anima si affida senza sforzo al soffio di questo divino motore. Il bene le é diventato tanto più facile in quanto essa aspira di per sé a ciò che é più perfetto; il sacrificio che una volta la spaventava oggi l’attira; usa di questo mondo come se non ne usasse (I Cor. VII, 31), poiché le vere realtà per essa sono fuori di questo mondo; e infine aspira tanto più al possesso imperituro di quello che ama in quanto fin da questa vita, come insegna l’Apostolo, per il fatto stesso che é unita col cuore a Dio, é già un solo spirito con lui (ibid. VI, 17).

Il rinnovamento annuale della Liturgia.

Questo é il risultato che é chiamato a produrre nell’anima l’infusso dolce e sicuro della sacra Liturgia. Se, dopo averne seguito le fasi successive, ci sembra che questo stato di distacco e di aspirazione non sia ancora il nostro, che la vita di Cristo non abbia ancora assorbito in noi la vita personale, guardiamoci bene dall’esserne scoraggiati. Il Ciclo della Liturgia, con i suoi raggi di luce e le grazie che effonde nelle anime, non appare una volta sola nel cielo della santa Chiesa; ogni anno che viene lo vede rinnovarsi. Questa é l’intenzione di Colui « che ha tanto amato il mondo da dargli il suo Figliuolo unigenito» (Gv. III, 16); di Colui «che è venuto, non per giudicare il mondo, ma affinché per Lui il mondo fosse salvo » (ibid. III, 17): intenzione alla quale la santa Chiesa non fa che conformarsi, mettendo continuamente a nostra disposizione, nella sua previdenza materna, i mezzi più potenti per ricondurre l’uomo a Dio e per unirlo a lui. Il cristiano che la prima metà del Ciclo non ha ancora condotto al termine che abbiamo ora esposto, troverà tuttavia nella seconda preziose risorse per sviluppare la sua fede e per accrescere il suo amore. Lo Spirito Santo, che regna in modo speciale su questa parte dell’anno, non mancherà di agire sul suo intelletto e sul suo cuore, e quando si aprirà un nuovo Ciclo liturgico, l’opera già abbozzata dalla grazia potrà ricevere il complemento che la debolezza umana aveva sospeso.

 

Prima DOMENICA dopo PENTECOSTE – FESTA DELLA SANTISSIMA TRINITA’

Introitus

Tob XII:6. Benedícta sit sancta Trínitas atque indivísa Unitas: confitébimur ei, quia fecit nobíscum misericórdiam suam [Sia benedetta la Santa Trinità e indivisa Unità: glorifichiamola, perché ha fatto brillare in noi la sua misericordia.]

Ps VIII:2

Dómine, Dóminus noster, quam admirábile est nomen tuum in univérsa terra! [O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!]

V. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto. R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in sæcula sæculórum. Amen Benedícta sit sancta Trínitas atque indivísa Unitas: confitébimur ei, quia fecit nobíscum misericórdiam suam [Sia benedetta la Santa Trinità e indivisa Unità: glorifichiamola, perché ha fatto brillare in noi la sua misericordia.].

Oratio

V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spiritu tuo.

Orémus.

Omnípotens sempitérne Deus, qui dedísti fámulis tuis in confessióne veræ fídei, ætérnæ Trinitátis glóriam agnóscere, et in poténtia majestátis adoráre Unitátem: quaesumus; ut, ejúsdem fídei firmitáte, ab ómnibus semper muniámur advérsis. [O Dio onnipotente e sempiterno, che concedesti ai tuoi servi, mediante la vera fede, di conoscere la gloria dell’eterna Trinità e di adorarne l’Unità nella sovrana potenza, Ti preghiamo, affinché rimanendo fermi nella stessa fede, siamo tetragoni contro ogni avversità.]

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum. R. Amen.

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános. Rom XI:33-36.

“O altitúdo divitiárum sapiéntiæ et sciéntiæ Dei: quam incomprehensibília sunt judícia ejus, et investigábiles viæ ejus! Quis enim cognovit sensum Dómini? Aut quis consiliárius ejus fuit? Aut quis prior dedit illi, et retribuétur ei? Quóniam ex ipso et per ipsum et in ipso sunt ómnia: ipsi glória in sæcula. Amen”. [O incommensurabile ricchezza della sapienza e della scienza di Dio: come imperscrutabili sono i suoi giudizii e come nascoste le sue vie! Chi infatti ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi gli fu mai consigliere? O chi per primo dette a lui, sí da meritarne ricompensa? Poiché da Lui, per mezzo di Lui e in Lui sono tutte le cose: a Lui gloria nei secoli. Amen.] R. Deo gratias.

Graduale Dan III:55-56. Benedíctus es, Dómine, qui intuéris abýssos, et sedes super Chérubim, [Tu, o Signore, che scruti gli abissi e hai per trono i Cherubini.] Alleluja

Benedíctus es, Dómine, in firmaménto cæli, et laudábilis in sæcula. Allelúja, [V. Benedetto sei Tu, o Signore, nel firmamento del cielo, e degno di lode nei secoli. Allelúia, alleluia.]

Dan III:52 V. Benedíctus es, Dómine, Deus patrum nostrórum, et laudábilis in sæcula. Allelúja. . [V. Benedetto sei Tu, o Signore, nel firmamento del cielo, e degno di lode nei secoli. Allelúia, allelúia]

Evangelium

V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo. Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthaeum. R. Gloria tibi, Domine! Matt XXVIII:18-20

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Data est mihi omnis potéstas in coelo et in terra. Eúntes ergo docéte omnes gentes, baptizántes eos in nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti: docéntes eos serváre ómnia, quæcúmque mandávi vobis. Et ecce, ego vobíscum sum ómnibus diébus usque ad consummatiónem sæculi”. [In quel tempo: Gesú disse ai suoi discepoli: Mi è dato ogni potere in cielo e in terra. Andate, dunque, e istruite tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito Santo, e insegnando loro ad osservare tutto quello che vi ho comandato. Ed ecco che io sarò con voi tutti i giorni fino alla consumazione dei secoli.]

R. Laus tibi, Christe! S. Per Evangelica dicta, deleantur nostra delicta.

Credo

Offertorium

V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo.

Orémus Tob XII:6. Benedíctus sit Deus Pater, unigenitúsque Dei Fílius, Sanctus quoque Spíritus: quia fecit nobíscum misericórdiam suam. [Benedetto sia Dio Padre, e l’unigenito Figlio di Dio, e lo Spirito Santo: poiché fece brillare su di noi la sua misericordia.]

Secreta

Sanctífica, quæsumus, Dómine, Deus noster, per tui sancti nóminis invocatiónem, hujus oblatiónis hóstiam: et per eam nosmetípsos tibi pérfice munus ætérnum. [Santífica, Te ne preghiamo, o Signore Dio nostro, per l’invocazione del tuo santo nome, l’ostia che Ti offriamo: e per mezzo di essa fai che noi stessi Ti siamo eterna oblazione.] Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum. R. Amen.

Communio Tob XII:6. Benedícimus Deum coeli et coram ómnibus vivéntibus confitébimur ei: quia fecit nobíscum misericórdiam suam. [Benediciamo il Dio dei cieli e confessiamolo davanti a tutti i viventi: poiché fece brillare su di noi la sua misericordia.]

Postcommunio S. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo.

Orémus. Profíciat nobis ad salútem córporis et ánimæ, Dómine, Deus noster, hujus sacraménti suscéptio: et sempitérnæ sanctæ Trinitátis ejusdémque indivíduæ Unitátis conféssio. Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum. R. Amen.

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MESSA I DOMENICA DI PENTECOSTE

Antifona

Domine, in tua misericordia speràvi: esultavi cor meum in salutari tuo: cantabo Dómine, qui bona tribuit mihi. [0 Signore, io spero nella tua misericordia; il mio cuore esulta per la tua salvezza: canterò al Signore, poiché mi ha beneficato.]

Sal. Usquequo, Domine, oblivisceris me In finem? Usquequo avertis faciem tuum a me? [Fino a quando, o Signore, mi vorrai dimenticare? Fino a quando mi terrai celato il tuo volto?]

Oremus

Deus, in te speràntium Fortitudo, adesto propitius invocationibus nostris: et quia sine te nihil potest mortalis infirmitas, presta auxilium gratiæ tuæ exsequendis mandàtis tuis, un voluntate tibi et actióne placeamus. Per Dominum nostrum Iesum Christum. [O Dio, fortezza di chi spera in Te, sii propizio alle nostre suppliche, e poiché senza di Te nulla può l’umana debolezza, concedici l’aiuto della tua grazia affinché, nel compiere i tuoi comandamenti, possiamo piacerti nel volere e nell’agire. Per nostro Signore Gesù Cristo] 

Lectio

Léctio I Epístolæ beáti Joánnis Apóstoli IV, 8-21

“Carissimi, Deus Deus caritas est. In hoc apparuit caritas Dei in nobis, quoniam Filium suum unigenitum misit Deus in mundum, ut vivamus per eum. In hoc est caritas : non quasi nos dilexerimus Deum, sed quoniam ipse prior dilexit nos, et misit Filium suum propitiationem pro peccatis nostris. Carissimi, si sic Deus dilexit nos: et nos debemus alterutrum diligere. Deum nemo vidit umquam. Si diligamus invicem, Deus in nobis manet, et caritas ejus in nobis perfecta est. In hoc cognoscimus quoniam in eo manemus, et ipse in nobis: quoniam de Spiritu suo dedit nobis. Et nos vidimus, et testificamur quoniam Pater misit Filium suum Salvatorem mundi. Quisquis confessus fuerit quoniam Jesus est Filius Dei, Deus in eo manet, et ipse in Deo. Et nos cognovimus, et credidimus caritati, quam habet Deus in nobis. Deus caritas est : et qui manet in caritate, in Deo manet, et Deus in eo. In hoc perfecta est caritas Dei nobiscum, ut fiduciam habeamus in die judicii: quia sicut ille est, et nos sumus in hoc mundo. Timor non est in caritate : sed perfecta caritas foras mittit timorem, quoniam timor poenam habet : qui autem timet, non est perfectus in caritate. Nos ergo diligamus Deum, quoniam Deus prior dilexit nos. Si quis dixerit, Quoniam diligo Deum, et fratrem suum oderit, mendax est. Qui enim non diligit fratrem suum quem vidit, Deum, quem non vidit, quomodo potest diligere? Et hoc mandatum habemus a Deo : ut qui diligit Deum, diligat et fratrem suum.”  

Omelia

di mons. Bonomelli [da Omelie: vol. III, om. III, Torino -1899]

“Carissimi, Dio è carità. Ed in questo rifulse la carità di Dio verso di noi, ch’egli mandò l’unigenito suo Figliuolo nel mondo, perché vivessimo per Lui. La carità sta riposta in questo, non che noi avessimo amato Dio, ma che Egli pel primo ha amato noi ed ha mandato il Figliuol suo, propiziazione pei nostri peccati. Carissimi, se così Dio ci ha amati, noi pure dobbiamo amarci tra noi. Nessuno ha mai veduto Dio; se ci amiamo tra noi, Dio dimora in noi e la sua carità resta in noi e in noi è perfetta. Da ciò conosciamo, che noi siamo in Lui ed Egli in noi, perché ci ha dato del suo Spirito. E noi abbiamo veduto ed attestiamo, che il Padre ha mandato il Figlio, Salvatore del mondo. Chi avrà confessato, che Gesù è il Figlio di Dio, Dio rimane in Lui ed Egli in Dio. E noi abbiamo conosciuta e creduta la carità, che Dio ha verso di noi. Dio è carità, e chi rimane nella carità, rimane in Dio e Dio in lui. La carità si perfeziona in noi in ciò, che noi abbiamo sicurezza pel dì del giudizio, perché, come egli è, cosi siamo anche noi in questo mondo. Nella carità non è timore, ma la perfetta carità scaccia il timore, perché il timore è penoso, onde chi teme, non è perfetto nella carità. Dunque facciamo di amare Dio, perché Dio pel primo ha amato noi. Se alcuno dice di amare Dio ed odia il fratello, è bugiardo; perché se non ama il suo fratello, che vede, come potrà amare Dio che non vede? Ora questo precetto noi abbiamo da Dio, che chi ama Dio ama ancora il fratello suo „ (I. Gio. IV, 8-21).

Nel linguaggio comune della Chiesa S. Paolo è chiamato l’Apostolo per eccellenza, l’Apostolo delle genti, e S. Giovanni è detto l’Apostolo della carità. Questo titolo sì glorioso di Apostolo della carità troppo bene compete a S. Giovanni, sia che si consideri il suo carattere personale, sia che si consideri l’indole della sua dottrina, quale risulta dai suoi scritti, in essi si respira un profumo di soavità e di carità verso Dio e verso il prossimo, che penetra tutta l’anima, che dolcemente la inebria e le fa sentire, che chi dettò quelle pagine divine, è veramente il discepolo diletto e posò il capo sul cuore d i Gesù. Il tratto, che vi ho recitato, anche solo, sarebbe più che bastevole a confermargli questo titolo sì bello di Apostolo della carità. Noi lo verremo meditando insieme colla maggior brevità possibile, perché è alquanto lungo: io mi permetto soltanto di avvertirvi, che le verità che vi si racchiudono sono di quelle, che si apprendono più col cuore, che colla mente. L’apostolo S. Giovanni, dopo aver esortato i fedeli a non prestar fede a tutti gli spiriti, ossia maestri, e dato loro il criterio per distinguere allora i buoni dai rei, e che quelli che sono da Dio non ascoltano i rei, discende a raccomandare l’amore scambievole, e dice: ” Dio è carità ; „ Deus charitas est.”. Percorrendo i Libri ispirati, troviamo tre definizioni di Dio: Dio è colui che è, cioè l’Essere assoluto; è la prima definizione data nell’antico Testamento: Dio è la Verità, data da Cristo nel Vangelo, è la seconda: la terza l’abbiamo qui: Dio è amore, o carità. Questa compie le altre due definizioni e rivela la vita intima, di Dio. Dio è amore o carità, tutto amore e carità, come è tutto essere e tutto verità, senza mescolanza di non essere e di errore. Tutto l’Essere divino, in ogni sua parte, in ogni sua fibra, se è lecito così dire, è amore, come il fuoco in ogni sua parte è caldo e luminosa la luce e fragrante il balsamo. Dio Padre ama con infinito amore il Figliuol suo, e tutto a Lui si dona, e il Figlio riama con infinito amore il Padre e a Lui tutto si ridona, e questo amore che quinci e quindi spira è sì perfetto, che si appunta in una Persona, che è lo Spirito Santo. Dio, nell’essere suo, conosce di poter dare l’esistenza ad innumerevoli esseri, e l’amor suo, che tende a parteciparsi, lo muove a crearli, e li crea e lancia fuori di sé l’universo, lo ama, come l’opera delle sue mani, e lo ricolma di beni. Che è l’amore di tutti gli animali, di tutti gli uomini, degli amici, dei padri, delle madri, dei santi, degli angeli tutti, se non uno sprazzo dell’amore divino, che si riverbera variamente nelle creature, come la luce ed il sole si spandono sovra di esse? Sì, amore, non altro che amore, ed anche quando punisce è amore, amore della giustizia. Ma verso quali creature singolarmente apparve l’amore di Dio? “Verso di noi, uomin” risponde l’Apostolo: “In hoc apparuit charitas Dei in nobis”. Ed in qual opera particolarmente?” In questo, ch’Egli mandò l’unigenito suo Figliuolo nel mondo: „ Quoniam Filium suum unigenitum misìt in mundum. Questa è la prova più magnifica, questo il monumento eterno della carità di Dio verso di noi, il dono del Figliuol suo, il mistero della Incarnazione. E per qual fine ci ha dato il Figliuol suo nella Incarnazione? “Perché vivessimo per Lui: „ Ut vivamus per eum; cioè fossimo riconciliati con Dio, ricevessimo quella grazia, che è la vita dell’anima, partecipazione della vita stessa di Dio. S. Giovanni qui spiega la natura di questa carità di Dio verso di noi, frutto precipuo della quale è l’Incarnazione e tutto ciò che colla Incarnazione è congiunto. Dio ci ha amato e ci ama teneramente: e perché? Forse perché noi prima abbiamo amato Lui? No, no, risponde l’Apostolo; anzi Egli prima ha amato noi e prima ci ha dato il massimo dei benefici, l’incarnazione, e prima ci ha condonati i nostri peccati.. L’amore, disse bene il poeta filosofo, muove l’amato ad amare: “Amor che nullo amato amar perdona”. – Il mezzo più efficace per ottenere l’amore è mostrare che amiamo; e quegli tiene il primo luogo nell’amore, che previene. Ora tra Dio e l’uomo chi è colui che previene? È Dio: Ipse prior dilexit nos. Egli, Iddio, la stessa grandezza, è il primo che si china verso l’uomo, l’ama e lo stringe al suo seno, e dell’amor suo gli porge le prove più splendide, sì nell’ordine naturale, come nell’ordine sovrannaturale. Questa è infinita degnazione di Dio, è vero, ma in pari tempo è anche una necessità. Noi, povere creature, non possiamo dare nulla a Dio del nostro, perché nulla abbiamo di nostro e siamo veramente nulla: noi non possiamo dare a Dio che quello che riceviamo da Dio nel doppio ordine della natura e della grazia. Perché possiamo amarlo bisogna che prima ci dia la intelligenza per conoscerlo e il cuore per amarlo: non basta: bisogna che presenti a questa intelligenza la verità e versi in questo cuore l’amore, che riverseremo a Lui, tantoché quando amiamo Dio, noi Lo amiamo con lo stesso amore, che prima riceviamo da Lui medesimo. Allorché l’albero vi presenta il suo frutto, esso non fa che dare a voi ciò che voi prima avete dato ad esso, piantandolo ed innestandolo: allorché lo specchio vi mostra il vostro volto, esso vi rende ciò che voi gli date, presentandogli il vostro volto; allorché i figli vi amano, o genitori, essi vi restituiscono un po’ di quell’amore, che voi spargeste nel loro cuore, amandoli e ricolmandoli di benefici. Dio ci ama pel primo e noi Lo riamiamo col suo stesso amore, né potremmo fare altrimenti. Ponete uno specchio lucido e pulito sotto i raggi del sole: che vedete voi? Quei raggi rimbalzano dritti pur su verso del sole; così i nostri cuori dovrebbero essere specchi tesissimi che rimandano a Dio i raggi dell’amor suo. E in quella vece assai volte che facciamo noi, o cari? Simili a quei corpi oscuri che ricevono e spengono in se stessi i raggi del sole, riceviamo l’amore di Dio in noi, lo soffochiamo in noi stessi o bruttamente lo rivolgiamo sopra le creature, profanando il massimo dei suoi doni. Ah! Carissimi figliuoli: Dio ci ama pel primo, Egli sì grande, sì santo, sì perfetto, sì buono: e noi riamiamolo, e allora il caldo raggio, che da Dio discende in noi, ritornerà a Lui e con esso ritorneremo noi pure e a Lui ci uniremo. Natura dell’amore è di legare gli amanti e di farne uno solo: ora come Dio e l’uomo si unirebbero insieme, se l’uomo ricevendo la fune dell’amore da Dio, che gliela porge, non la restituisse, tenendosi stretto ad essa? Dio pel primo ama noi e noi dobbiamo amare Lui: ma basta far questo? No, risponde ancora S. Giovanni: ” Carissimi, esclama il Santo con accento di tenerezza, se Dio ci ha amati così, noi pure dobbiamo amarci tra noi. „ L’amore di Dio verso di noi è infinito, perché è amore d’un essere infinito: ora l’amore nostro è necessariamente finito, come è finita la nostra natura, e S. Giovanni non intese per fermo che noi amiamo i fratelli nostri nella misura e perfezione, che Dio ama noi. L’Apostolo volle dire soltanto: Se Dio ama noi con tanto, sì cocente e sì operoso amore, Dio, che è sì grande, molto più noi, sì piccoli, dobbiamo amare i fratelli nostri, coi quali abbiamo comune la natura! Dio ama noi e qual sia l’amor suo per noi, lo provano gli innumerevoli benefici, dei quali ci ha ricolmati: ad amore dobbiamo amore, a benefici si risponde con benefici. Ma Dio non ha bisogno di noi: a Lui non possiamo fare beneficio di sorta: Egli li fa, non li riceve: non di meno, in qualche modo Dio ha bisogno di noi, e possiamo far benefici anche a Lui. Come? Non a Lui propriamente, ma a quelli, nella persona dei quali ama collocare se stesso, e sono i fratelli nostri, portando la sua immagine. Ecco perché S. Giovanni dice: ” Se Dio ci ha amati così, noi pure dobbiamo amarci tra noi: „ amando e beneficando i fratelli nostri, amiamo e benefichiamo Dio stesso, perché Gesù Cristo disse: “Ciò che farete ad uno di questi miei piccoli, l’avrò per fatto a me stesso. „ Gran cosa! o fratelli miei. Voi dite: Dio è padrone d’ogni cosa, di nulla abbisogna: è l’Essere assoluto: Egli dà e non riceve. Eppure Dio ha bisogno e grande, e noi possiamo aiutarlo e benericarlo. Come ciò? Egli si mette nella persona dei sofferenti e dei bisognosi e vi stende in essi le mani e vi chiede il soccorso: Gesù Cristo si fa povero nel povero, infermo nell’infermo, affamato nell’affamato: amando e soccorrendo questo, lo disse Egli stesso, amate e soccorrete Lui. Chi di voi rifiuterà di soccorere Gesù Cristo? Vi può esser onore e gloria maggiore che soccorrere l’Uomo-Dio? – E questo senso è chiaramente confermato dalla sentenza che segue: “Nessuno ha mai veduto Dio. „ Come se Giovanni dicesse: Noi non possiamo in modo esterno e visibile mostrare la nostra gratitudine e l’amor nostro a Dio, perché Egli non si vede, né si può vedere in terra, perché purissimo spirito: eppure abbiamo bisogno di mostrare esternante a Dio il nostro amore e la nostra riconoscenza. Ebbene: eccovi il modo facile e spedito per tutti: Dio si rende visibile negli uomini, sue immagini vive sulla terra: a questi prestiamo quegli uffici di carità che non possiamo prestare a Dio invisibile, e allora ameremo Lui e seconderemo il bisogno del nostro cuore; allora ameremo Dio e i fratelli, Dio invisibile nei fratelli visibili, Dio sarà con noi, la carità regnerà nelle anime nostre e sarà perfetta: Si diligìmus invicem, Deus in noìbis manet, et charìtas ejus in nobis manet et chiarita ejus in nobis perfecta est. Questa idea della carità, per la quale noi dimoriamo in Dio e Dio dimora in noi, sì famigliare a S. Giovanni, si ripete nel versetto seguente, quasi con le identiche parole. E qui non sarà fuori di proposito farvi intendere alcun poco questa verità, seguendo S. Tommaso. Per la carità Dio rimane in noi e noi in Dio: come ciò, o carissimi? Udite. Quando noi conosciamo una cosa qualunque, ponete, un albero, un monte, l’albero e il monte sono nella nostra mente e nell’anima nostra come la cosa conosciuta può stare nel conoscente: l’immagine, l’idea dell’albero e del monte sta nella nostra mente, non già l’albero e il monte stesso, che sarebbe cosa ridicola ed impossibile; e vista per modo, che noi diciamo: quell’albero, quel monte, li vedo, li tengo qui nella mente, benché forse siano lontanissimi. Le cose tutte, che conosciamo, si dicono nella nostra mente in quanto ché nella mente nostra sta la loro immagine ed idea. Ma noi possiamo avere nella mente l’idea o l’immagine d’una cosa senza averla nella nostra volontà, nel nostro amore. Noi possiamo avere nella mente l’immagine o l’idea, per ragione d’esempio, d’un serpente, del peccato, del demonio, ma certo noi non amiamo queste cose: ma più spesso quelle cose che conosciamo e perciò le abbiamo nella mente, se le apprendiamo come belle e buone, le amiamo. E allora che avviene? Quelle cose dalla mente discendono al cuore, dalla intelligenza passano nella volontà, ed essa, a cosi esprimermi, colle braccia dell’amore, quasi con dolci funi, le stringhe, le fa sue e con esse forma una sola cosa. Allora le cose non sono soltanto nella mente, ma sono altresì nella volontà o nell’amore, come possono essere nel volente e nell’amante. E perciò sono piene di verità e sapienza quelle espressioni delle persone amanti, che dicono alla persona amata: Io vi tengo qui, nel mio cuore: voi avete qui il vostro posto, qui voi regnate, ed altre somiglianti. Datemi due persone, che si amino davvero; io vi dico che l’una vive nell’altra, una nell’altra dimora, e questa dimora vicendevole è tanto più intima, profonda e durevole quanto è più intima, profonda e durevole la fiamma d’amore che le scalda. È un mistero, se volete, del cuore umano, dirò meglio, è un mistero d’amore, ma indubitato, evidente. Ora ciò avviene, o dilettissimi, tra Dio e l’anima che Lo ama. Dio ama l’anima, l’adorna della sua grazia, la tiene in sé, la vagheggia, la stringe al suo seno: l’anima dal suo canto lo tiene nella sua mente, lo tiene nel suo cuore, tutto a Lui si unisce, e così Dio dimora in essa ed essa in Lui, e a nostro modo d’intendere, di due si forma un solo spirito, una sola vita, come più volte insegna S. Paolo: ” Chi si unisce a Dio, fa un solo spirito: Vivo io, non più io, ma vive Cristo in me. „ E noi, soggiunge S. Giovanni, abbiamo un segno, una prova di questa dimora di Dio in noi, e di noi in Dio, ed è ” ch’Egli ci ha donato del suo spirito. „ Quando? Forse alla venuta visibile dello Spirito Santo, e forse intende parlare dello spirito di carità vicendevole, che si manifestava tra i cristiani in tutti i modi, spettacolo affatto nuovo sulla terra e prova innegabile, che lo Spirito di Dio era stato diffuso nei loro cuori. Alla mente dell’Apostolo, che ricorda la comunicazione dello Spirito Santo, fonte della carità, si affaccia naturalmente la prova massima dell’amore di Dio, e a costo di ripetere ciò che sopra (vers. 8) ha detto, scrive: ” E noi abbiamo visto e attestiamo, che il Padre ha mandato il Figlio, Salvatore del mondo. „ E questo il prodigio della carità di Dio, l’essere Egli stesso, il Figliuol suo, venuto in mezzo a noi, fatto uomo per salvarci: ” e noi, grida l’Apostolo quasi rapito in un’estasi di amore, noi l’abbiamo veduto, noi l’abbiamo udito, noi l’abbiamo toccato e lo annunziamo a voi. „ – Ricordato l’argomento fra tutti massimo dell’amore di Dio verso di noi, qual è l’Incarnazione, S. Giovanni coglie il destro di inculcare la fede nel grande mistero, e dice: ” Chi avrà confessato, che Gesù è il Figliuolo di Dio, Dio dimora in lui ed egli in Dio. „ E a sapere, che a quei tempi erano già sorti parecchi eretici, come i Cerintiani, gli Ebioniti ed altri, che negavano la divinità di Gesù Cristo, e affermavano, Lui non essere che un uomo, ricolmo dei doni celesti, sì, ma uomo: per combattere costoro, o prima, o dopo questa lettera, Giovanni scrisse il suo Vangelo. Sappiatelo bene, grida l’Apostolo, Gesù è il Figlio dell’eterno Padre, il Salvatore del mondo e dovete francamente e pubblicamente confessare questa verità colla lingua e colle in questa confessione avrete anche una prova d i quella carità, che vi inculco e unisce Dio a voi e voi a Dio. – Uno dei caratteri degli scritti di S. Giovanni è questo di ripetere sotto varie forme e talora con le stesse parole la stessa verità. Si direbbe che è un padre, tutto amore per i suoi figli, e che non si sazia di inculcare ad essi quelle cose, che maggiormente gli stanno a cuore, e perciò anche nel versetto che segue il santo apostolo ripete la sua frase prediletta: ” E noi abbiamo conosciuta e creduta la carità, che Dio ha verso di noi. Dio è carità, e chi rimane nella carità, rimane in Dio e Dio in lui. „ – Passando sopra questa sentenza, già spiegata, fermiamo la nostra attenzione sui due versetti che seguono e nei quali S. Giovanni tocca una delle doti proprie della carità perfetta: “La carità di Dio si perfeziona in noi, per questo, che noi pigliamo sicurezza pel dì del giudizio, perché, com’Egli è, così noi pure siamo in questo mondo. „ Sentenza questa alquanto oscura, ma che si rischiara se la intendiamo in questo modo: A questo fine Iddio perfezionò, ossia diede fondo alla sua carità verso di noi, perché potessimo avere piena fiducia di esito felice nel giorno del giudizio: ossia, Dio fece tanto per noi, versò in noi senza misura i benefici della sua carità, perché nel gran dì del giudizio fossimo affrancati da ogni timore, e perché Egli, Gesù Cristo, è in questo mondo, cioè fu in questo mondo e vi è colle opere della sua carità, e spande su tutti le sue beneficenze, e noi pure siamo in questo mondo ed abbiamo bisogno di Lui e della sua carità continua; carità, che ci liberi dal timore del divino giudizio, perché “nella carità, così S. Giovanni, non è timore, ma la carità perfetta scaccia fuori il timore, poiché il timore è penoso, e perciò chi teme non è perfetto nella carità. „ La carità verso Dio ispira fiducia ed esclude il timore: ma è mestieri determinare il timore, che non si può comporre coll’amore. Quel timore, che ci porta alla diffidenza, che ci tiene sempre inquieti ed ansiosi sul perdono delle nostre colpe; quel timore, che guarda più al castigo, che al male del peccato, che reca pena: Timor pænam habet; questo timore non può stare colla perfetta carità: esso è una prova, che siamo più servi che figli di Dio. Ma quel timore che ha il figliuolo di offendere il padre ; quel timore, che viene dalla coscienza della propria debolezza e che porta a riporre ogni fiducia in Dio, questo è buono e santo, e può stare e deve stare con la carità perfetta e ne è parte, perché è figlio della ragione e dello stesso amore, e in questo senso S. Agostino diceva: ” Impari a temere chi non vuol temere. „ Dìscat timere qui non vult timere. Il timore di offendere Dio ci conduce a servirLo ed amarLo, e più lo ameremo e meno lo temeremo, ed amandolo perfettamente, più non lo temeremo: Signum perfectionis, nullus timor. San Giovanni, conchiudendo, dice: ” Facciamo dunque di amare Dio, perché Dio pel primo ha amato noi. „ Motivo questo bellissimo e più sopra i mplicitamente toccato e sul quale perciò non spendo parole, ricordandovi solo, .. che un amore non corrisposto è una ferita crudele per chi ama, e che quaggiù sulla terra troppo spesso si tramuta in odio feroce e si lava talora col sangue, e Dio punisce coll’abbandono. Punizione giustissima e tremenda! – Ma S. Giovanni ricorre ancora una volta a quella verità, che sopra ha accennata, ed è l’unione inseparabile dell’amore di Dio dall’amore del prossimo, e prima di por fine alla sua dottrina ed esortazione sulla carità, la ribadisce con queste parole: ” Se alcuno dice di amare Dio ed odia il fratello, è bugiardo, perché se non ama il suo fratello, che vede, come mai potrà amare Dio che non vede? „ – L’amore porta a fare la volontà della persona amata, e chi la viola e calpesta, mostra di non amarla: ora Dio vuole che amiamo il prossimo, il fratello nostro: se noi non l’amiamo, calpestiamo la volontà di Dio, e perciò col fatto mostriamo di non amare Iddio. Perciò, chi ama una persona, ha cara la sua immagine e le cose tutte amate da quella: gli uomini sono immagini vive ed immortali di Dio, e Dio li ama fino a dar se stesso per loro: dunque non amare il prossimo è non amare Iddio, e chi crede di poter amare Dio, non amando il prossimo, inganna se stesso. Volete voi dunque, o carissimi, conoscere con tutta certezza, se amate Iddio, se siete suoi figli? Esaminatevi se amate colle parole e più colle opere i vostri fratelli: la prova infallibile dell’amore di Dio è l’a more del prossimo. E qui il pensiero corre naturalmente ad un fatto, che vorrei fosse raro. Accade di veder persone, che han fama di religiose, che usano spesso ai Sacramenti, che fanno lunghe orazioni, che osservano le leggi della Chiesa, che compiono opere di pietà non imposte, ma solo consigliate; persone insomma che si direbbero esemplari, ma che pel prossimo non sanno fare un lieve sacrificio, non sanno privarsi d’un passatempo, d’un obolo. È questa la carità comandata da Cristo e proclamata dall’apostolo Giovanni? Meno preghiere, meno pratiche di pietà e più carità verso del prossimo. Volete sapere con certezza se voi amate Dio? Vedete se amate il prossimo, e se lo amate, non colle parole e colla lingua, ma colle opere. 

Graduale

Salmo XL: Ego dixi: Domine, miserere mei: sana animam meam , quia peccavi tibi.

V. Beatus qui intellegit sper egenum et pauperem. In die mala liberabit eum Dominus. [Io esclamai: Signore, pietà di me, guarisci l’anima mia, perché ho peccato contro di Te. V. Beato colui che ha pietà del bisognoso e del povero, poiché nel giorno della sventura il Signore lo libererà.]

Alleluja

Alleluia, alleluia. V. Verba mea auribus percipe, Domine: intellege clamorem meum. Alleluia. [Alleluia, alleluia. Signore, ascolta le mie parole, intendi le mie grida. Alleluia.]

Evangelium

V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo. Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam.VI; 36-42 R. Gloria tibi, Domine!

“In illo tempore dixit Iesus discipulis suis: estote ergo misericordes sicut et Pater vester misericors est. Nolite judicare, et non judicabimini : nolite condemnare, et non condemnabimini. Dimitte, et dimittemini. Date, et dabitur vobis: mensuram bonam, et confertam, et coagitatam, et supereffluentem dabunt in sinum vestrum. Eadem quippe mensura, qua mensi fueritis, remetietur vobis. Dicebat autem illis et similitudinem: Numquid potest caecus caecum ducere? nonne ambo in foveam cadunt? Non est discipulus super magistrum : perfectus autem omnis erit, si sit sicut magister ejus. Quid autem vides festucam in oculo fratris tui, trabem autem, quae in oculo tuo est, non consideras? aut quomodo potes dicere fratri tuo: Frater, sine ejiciam festucam de oculo tuo: ipse in oculo tuo trabem non videns? Hypocrita, ejice primum trabem de oculo tuo: et tunc perspicies ut educas festucam de oculo fratris tui. [In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: <« Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, scossa, traboccante, vi sarà versata nel seno, poiché con la misura con la quale avrete misurato sarà rimisurato a voi ». Egli disse loro anche questa parabola: « Può un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno entrambi in un fosso? Non c’è discepolo che sia da più del suo maestro, ma ogni discepolo, giunto a perfezione, sarà come il suo maestro. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non noti la trave che è nel tuo proprio occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio ” tu che non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello ».]

Omelia

 Omelia della Domenica I dopo Pentecoste

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. II -1851-]

Luc. VI, 36-42

-Giudizi temerari-

Siate imitatori, dice a tutti noi nell’odierno Vangelo il divino Salvatore, siate imitatori della misericordia del vostro Padre celeste, con esser misericordiosi ancor voi. Per essere tali, astenetevi dal giudicare i vostri fratelli con giudizio e non sarete giudicati, non condannate e non sarete condannati: “Nolite iudicare, et non iudicabimini, nolite condemnare, et non condemnabimini”. Se un cieco guida un altro cieco, cadono ambedue nella fossa. La vostra volontà è una potenza cieca, la sua guida è l’intelletto. L’intelletto che non può conoscere il pensiero, l’intenzione dell’altrui mente, né l’interno del cuore altrui, anch’esso in questa parte è cieco. Se egli dunque si porti a formar sinistro giudizio de’ prossimi suoi, un cieco guiderà l’altro cieco, e cadranno entrambi in colpe di temerari giudizi e d’ingiuste condanne. “Numquid potest caecus caecum ducere? Nonne ambo in foveam cadunt? E poi con che coraggio scoprite negli occhi altrui una tenua festuca e non vi accorgete della grossa trave che sta negli occhi vostri? Ipocriti, il vostro zelo è una ingiustizia. Togliete prima dai vostri la trave, e penserete poi a togliere la pagliucola dall’occhio del vostro fratello. Ecco con quali energiche forme si esprime contro i giudizi temerari il nostro legislatore Cristo Gesù. A secondare i suoi divini comandi, i suoi amorevoli avvisi, diretti a preservarci da tanto male, io passo ancor più a dimostrarvi quanto sono fallaci, quanto sono ingiusti i giudizi degli uomini che temerari ardiscono erigersi in giudici degli altri uomini. La grazia di Dio e la vostra attenzione, o signori, renda profittevole la presente spiegazione.

I . “Mendaces Jilii hominum in stateris”. Bugiardi, dice il re Profeta, sono i figliuoli degli uomini nelle loro bilance. Queste bilance sono i giudizi che l’uomo fa dei suoi simili. Chi adopra queste bilance non è per l’ordinario la giustizia e la ragione, ma o un genio naturale o una viziosa passione. Il genio è un cristallo che fa vedere tutti gli oggetti tinti dello stesso colore. La passione è un peso che prepondera ad ogni buon senso, è un fumo che offusca la mente, è una benda che toglie la vista. Agli occhi di Gionata David, perché amico, è un oggetto di amore, agli occhi di Saul, perché lo teme suo successore nel regno, è un oggetto d’invidia e d’odio mortale. Giuditta,, che tutta spirante pompa e bellezza si porta al campo Assiro, desta in Ozia principe di Betulia stima, ammirazione e rispetto: eccita per l’opposto in Oloferne pensieri e sentimenti oltraggiosi alla di lei onestà. Tanto è vero che la disposizione dell’animo è la molla che agisce sui nostri concetti, e dà movimento ed impulso ai nostri giudizi. Ond’è che dall’altrui genio, e dall’altrui passione dipende il giudizio che si forma in noi. Ex alienis affectibus iudicainur (D. Anton. Ep.). Così la ragion persuade, così mostra l’esperienza. Guidato dunque da queste scorte ingannevoli, non può essere se non fallace il giudizio degli uomini. – Fallaci sono altresì gli umani giudizi, perché per lo più fondati sull’apparenza; perciò Gesù ci proibisce il giudicare secondo l’esteriore aspetto delle cose che si appresentano al nostro sguardo o alla nostra mente, “nolite judicare secundum faciem” (Jo. VII, 24). Chi avesse veduto il giovane Giuseppe fuggir dalla stanza della sua padrona, che col di lui mantello fra le mani gridava forte, tacciandolo di tentatore, l’avrebbe creduto colpevole, e si sarebbe ingannato. Chi avesse veduto Abramo alzar la spada in atto di uccidere l’innocente suo figlio, “padre crudele” avrebbe gridato tra sdegno e pietà, padre crudele! … e si sarebbe ingannato. E non si ingannò Eli credendo Anna, madre del Profeta Samuele ebbra, agitata dal vino, perché pregava con affannoso trasporto e straordinario fervore? E non s’ingannarono gl’isolani di Malta nel riputare S. Paolo uomo malvagio, perseguitato dall’ira di Dio in terra ed in mare, perché appena salvato dal naufragio lo videro morsicato da vipera velenosa? L’apparenza dunque non è regola di buon giudizio, ella anzi è la via dell’inganno. Lo disse anche un gentile, decipimur specie recti (Horat.). – Se dunque, io dico a voi, l’apparenza è un’ingannatrice, se non vorreste che altri formassero giudizio di voi dalla sola apparenza perché vi fate lecito per leggieri indizi dar corpo all’ombre, ammettere dubbi, fomentar sospetti, precipitar giudizi? Perché un saluto di convenienza, un sorriso d’urbanità stimarlo un segno di turpe amicizia? Perché la nuova veste di quella figlia che sarà frutto dei suoi lavori, o risparmio del suo sostentamento, la credete regalo di qualche seduttore ? Perché la pallidezza di quell’altra v’ingerisce sospetti ingiuriosi alla sua onestà? Perché coloro che coll’industria e col sudore si avanzano in acquisti ed in possessi, li giudicate ladri od usurai? Se non fate senno, se non cangiate costume, arriverà a voi ciò che si legge dei Moabiti. Il sole appena alzato all’orizzonte con i rossicci vapori coloriva l’acque stagnanti nel campo dei collegati col re d’Israele. Quel rosseggiante riverbero lo credettero sangue uscito dalle ferite dei loro nemici trucidati tra di loro; perciò ingannati si avvicinano al campo per rapirne le spoglie. Si avvidero dell’errore, ma troppo tardi, onde restarono vittime del proprio inganno, e pagarono col sangue vero un sangue apparente. Giudici per mere apparenze, i vostri giudizi sanguinosi dell’onore, della condotta, della fama dei vostri fratelli ricadranno sopra di voi. Giudicate? Sarete giudicati. Condannate? sarete condannati!

II. Né solamente sono fallaci gli umani giudizi perché basati sull’apparenza, ma ingiusti, perché mancanti d’autorità. Chi siete voi, v’interroga l’apostolo, che vi arrogate l’autorità di giudicare il vostro fratello? “Tu quis es, qui judicas fratrem tuum?” (Ad. Rom. XIV). Siete voi superiori, maestri, padri di famiglia? Se tali siete, dovete credere che quei vostri figli, quei vostri discepoli sieno morigerati, che vostra figlia sia cauta, sia costumata; ma per regola di buon governo invigilate sui loro andamenti, indagando, informandovi, con chi trattano, con chi si accompagnano, non vi fidate, temete, il cuor sempre vi batta su la loro condotta. Fuor di questo grado di superiorità, che vi autorizza ad ammetter dubbi e ragionevoli sospetti per impedire il male de’ vostri sudditi, non vi è permesso formar giudizi dei vostri eguali. A Dio soltanto supremo padrone delle sue creature, a Dio scrutatore dei cuori, cui nulla può esser celato, a Dio appartiene il giudicare di noi. Io, dic’Egli, sono il giudice e il testimonio di tutte le vostre azioni. “Ego sum iudex et testis, dicit Dominus(Sem. XXIX, 23). Ella è dunque un intollerabile temerità che l’uomo si usurpi quel che a Dio solo compete. – Ingiusti sono altresì i nostri giudizi, perché formati senza cognizione di causa. Sapeva il sommo Iddio il peccato de’ nostri progenitori, ciò non di meno per nostra istruzione istituisce una forma di giudizio. Chiama a sé Adamo, interroga Eva, domanda il perché hanno trasgredito il suo precetto. Più: l’infame delitto di Sodoma, oltre la scandalosa pubblicità nei suoi contorni, era, secondo l’espressione del sacro Testo, salito fino al cielo a provocare la divina vendetta; pure, prima di venire alla condanna udite come Dio parlò: “discenderò dall’alto: ed in persona mi porterò sul luogo a vedere e a riconoscere di presenza il corpo di quel nefando misfatto. “Descendam, et videbo utrum clamorem, qui venit ad me, opere compleverint(Gen. XVIII, 21). Aveva forse bisogno il Signore di una informazione locale a foggia umana? Tutto ciò sta così espresso per dare a noi lezione ed avviso; a noi che al primo indizio, ad una semplice ombra, subito fabbrichiamo sospetti e giudizi sul dorso dei nostri prossimi, e con tutta franchezza si taglia, si decide, si pronunzia prepotente quel ricco, usuraio quel mercante, sedotta quella figlia, infedele quella maritata, ipocrita quel divoto, ingiusto quel giudice, bugiardo quel povero uomo, strega quella povera vecchia. – Eh mio Dio! Sapete donde derivano siffatti giudizi che uccidono la carità e la giustizia? Dal cuore hanno la loro sorgente, e partono dal cuore, de corde exeunt, dice Gesù Cristo, “de corde exeunt cogitationes malæ( Matt. XV, 19). Un cuor maligno, un cuore infetto manda queste nere esalazioni alla mente, e i mali pensieri si accordano colle cattive affezioni del cuore. Datemi un cuor retto, in un cuor retto abita la carità, e la carità non ammette pensieri malvagi, “charitas non cogitat malum(1 Ad Cor., XIII). Retto, rettissimo era il cuore di S. Giuseppe, e benché avesse sott’occhio la pregnezza della sua sposa, ben lontano dal concepirne sinistra idea, l’ammirava come uno specchio della più illibata onestà, e voleva ritirarsi per lasciarne a Dio il pensiero. Retto era il cuore di Valentiniano imperatore, che al riferir di S. Ambrogio, non sapeva pensar male de’ suoi sudditi, tuttoché delinquenti. Se giovani attribuiva la colpa all’ardor del sangue in quell’inesperta età, se vecchi, alla debolezza della mente, se poveri, alla necessità e alla miseria, se ricchi, alla forza della tentazione. In somma separava sempre l’intenzione dall’azion cattiva, e voleva più tosto ingannarsi col pensar bene, che far violenza al suo cuore pensando male. Così è un cuor ben fatto, un cuor innocente sarà la vittima dell’altrui malizia, piuttosto che pensar male dell’altrui condotta. – Tutto l’opposto per chi ha in seno un cuor mal affetto: per la rea sua disposizione vede colla fantasia quel che non si presenta alla vista, tutto interpreta in senso obliquo, studia, macchina sull’altrui conto, esamina, critica parole, azioni, costumi senza eccezion di persone, cerca il nodo nel giunco, e trova il suo gusto in pascersi di dubbi immaginari, idee chimeriche, d’aerei supposti, di temerari sospetti, di sinistri giudizi . Che occupazione pessima è questa mai! Quanto di danno all’anima, quanto d’ingiuria al prossimo, quanto di offesa a Dio! – Miei dilettissimi questi disordini son troppo contrari alla virtù non solo e alla divina legge, ma alla ragione pur anche ed al buon senso. Volete evitarli? Togliete dall’occhio vostro la trave, togliete cioè dal vostro animo la passione, la malignità, l’avversione, l’invidia che fan vedere negli occhi altrui le festuche, e le fan comparire legnami da fabbriche. Non giudicate dall’apparenza. La Maddalena appariva a Simone il lebbroso tuttavia peccatrice, ed era già giustificata e santa. Non giudicate sugli altrui rapporti quasi sempre falsi e calunniosi. Per questi la casta Susanna, creduta colpevole, fu prossima ad essere lapidata, se Dio pel profeta Daniele non avesse difesa la sua innocenza. Non giudicate in modo veruno, perché ignorando l’intenzione dell’operante, non potete avere cognizione di causa, né pur la Chiesa dell’interno. Non giudicate perché non avete autorità; a Dio solo spetta il giudizio, e non a voi. Il giudizio che farete del vostro prossimo formerà il processo del giudizio vostro al tribunale di Cristo giudice. La stessa misura che adopererete per gli altri, sarà quella con cui sarete voi misurati. “Eadem quippe mensura, qua mensi fueritis, remitietur vobis”. Non giudicate, miei cari, e non sarete giudicati, “nolite iudicare et non iudicabimini”: non condannate, e non sarete condannati, “nolite condemnare, et non condemnabimini

Offertorium V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo.

Orémus – Intende voci orationis meæ, Rex meus; quotiamo ad te orabo, Domine. [Ascolta la voce della mia preghiera, o mio Re e mio Dio, perché a Te io rivolgo la mia supplica, o Signore.]

Secreta
Hostias nostras, quæsumus, Domine, tibi dicatas placatus assume:et ad perpetuum nobis tribue prevenire sunsidium. Per …[Accetta rappacificato, o Signore, questo sacrificio a Te consacrato e concedi divenga che per noi un aiuto indefettibile. Per nostro Signore.]

 

Communio

Sal. IX; 2,3 Narrabo omnia mirabilia tua: lætabor et exsultabo in te: psallam nomini tuo, Altissime.[Racconterò tutte le tue meraviglie, gioirò ed esulterò in Te ; inneggerò al tuo nome, o Altissimo.]

Postcommunio

S. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo. Orémus.

Tantis, Domine, repleti muneribus; præsta, quæsumus; ut et salutaria dona capiamus, et a tua numquam laude cessemus, per.. [Tu, o Signore, ci hai ricolmati di inestimabili favori, fa’ che ne traiamo frutti di salvezza e mai desistiamo dal lodarti. Per nostro Signore.]

 

FESTA DELLA SANTISSIMA TRINITA’

[J.-J. Gaume: “Catechismo di Perseveranza”- Torino, 1881]

Trinità! Di tutte le feste religiose ecco la più antica, sebbene in un certo senso sia essa una delle più nuove. Nel creare il mondo, Dio si è edificato un tempio, e nel formare i secoli Ei si è consacrato una festa; perché il « Signore ha fatto tutte le cose per sé medesimo». La creatura non può non appartenere al suo Creatore e non essere consacrata alla gloria di Lui. Ora Dio in tre Persone è il Creatore di tutti gli enti e di tutti i tempi. È dunque vero che tutte le religioni non hanno potuto avere in sostanza altro scopo tranne il culto del Creatore dell’universo, e per conseguenza del Dio, in tre Persone, che è questo Creatore. La consacrazione del mondo e del tempo alla gloria dell’augusta Trinità era stata violata, profanata dal Paganesimo. Restauratore universale, Gesù Cristo venne sulla terra per rimediare a tutti gli effetti del male e per richiamare tutte le cose alla loro istituzione primitiva alla gloria dell’augusta Trinità.

Le creature intelligenti. Infatti il Verbo fatto carne ordinò che tutti i popoli fossero rigenerati in nome della Trinità; « Andate, ammaestrate, battezzate tutte le nazioni in nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo ». Da questo momento la Chiesa Cattolica non ha cessato di battezzare in nome delle tre auguste Persone. – E quante volte dalla cuna alla tomba ella fa sopra di noi il segno adorabile della Trinità! Siamo noi rigenerati nelle acque del Battesimo? Ciò avviene in nome dell’adorabile Trinità. Siamo noi fortificati dalla grazia della Confermazione? Ciò è pure in nome della santa Trinità. Ci sono cancellati i nostri peccati nel Sacramento della penitenza? Ed è questo parimente in nome dell’adorabile Trinità. Ci sono dati per cibo il corpo e il sangue del Salvatore? Ciò accade col segno della Trinità. Il malato è egli fortificato dall’olio santo, è egli consacrato il sacerdote, sono eglino uniti i coniugi? Ciò si fa sempre in nome dell’augusta Trinità. Se noi riceviamo le benedizioni dei Pastori e dei Pontefici, se incominciamo gli uffizi santi, se la Chiesa rivolge preghiere all’Altissimo, ciò si fa sempre invocando le tre persone dell’adorabile Trinità. Se ella intona cantici di allegrezza, se pronunzia inni di mestizia, essa li finisce sempre con render grazie al Padre, al Figliuolo e allo Spirito Santo. Questo per le creature intelligenti.

Le creature irragionevoli. Anche tutte le creature prive di ragione sono santificate in nome della santa Trinità. Da una estremità all’altra dell’universo cattolico voi vedete il segno della croce consacrare l’acqua, il fuoco, l’aria, la terra, il sale, la pietra, il legno, il ferro, i lini, tutto, tutto ciò che la Chiesa vuol purificare e sceverare dalla massa comune; e il segno della croce richiama tutte queste cose alla primitiva loro santità e le libera dai maligni influssi del demonio, con imprimer loro di nuovo il suggello dell’augusta Trinità. Ah! quanti profondi misteri sono nel segno della croce, di cui la sola Chiesa cattolica ha sempre mantenuto l’uso frequente! – In essa si racchiude tutta la storia del mondo, la di cui creazione in uno stato di santità, la di lui profanazione per mezzo del male, la di lui riabilitazione per mezzo di Gesù Cristo e della santa Trinità. Questo per le creature prive di ragione.

Il tempo. Per mezzo del Battesimo gli uomini diventano i figli, i loro corpi il tempio; il loro spirito il sacerdote della Trinità, e la loro vita intera ne è la festa. Ora la successione di tutte le vite individuali col formare la vita del genere umano, compone la durata ossia il tempo. Dunque per mezzo del Battesimo dell’uomo, il tempo si trova già in un senso consacrato alla gloria della santa Trinità; perciò tutti i nostri pensieri, parole, azioni debbono riferirsi alla gloria delle tre Persone auguste, e formare inno continuo a loro lode. Ma esso gli appartiene in senso anche più diretto, perché la Chiesa Cattolica consacra alla santa Trinità tutti gli istanti della durata, non vi è infatti giorno dell’anno, nè ora del giorno in cui ella non renda testimonianza in ogni sua preghiera alla Trinità. Essa ha persino prescritta una formula d’omaggio, chiamata Dossologia, per onorare ad ogni momento e celebrare distintamente le adorabili Persone del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo; formula sacra con che finisce regolarmente i suoi salmi, i suoi responsori e i suoi inni. – Che diremo delle sue feste? Osservate con quale sfoggio le nostre solennità, la cui successione costituisce la durata del tempo, dimostrano questa verità, essere cioè la Triade augusta lo scopo di tutto il culto cattolico. Potrebbe mai questo avere un più nobile oggetto? Così le feste dei santi e dell’augusta Maria si riferiscono a Gesù Cristo di cui tutti i beati sono i membri; e noi gli onoriamo a riguardo di Gesù Cristo. Egualmente a riguardo della divina Trinità noi veneriamo Gesù Cristo medesimo, che vi è essenzialmente unito, o a meglio dire è uno in sostanza col Padre e con lo Spirito Santo. Le Persone divine sono inseparabili le une dalle altre, anche nelle nostre devozioni e nel nostro culto. – E per rischiarare questa sublime dottrina con qualche esempio: se noi veneriamo Gesù Cristo che s’incarna nel seno di Maria, noi vediamo tosti il Padre e lo Spirito Santo che concorrono al compimento di questo mistero. Se veneriamo Gesù Cristo soffrente, noi vediamo ben tosto il Padre che Lo abbandona alla morte e lo Spirito Santo che, come un fuoco divino, consuma quella vittima innocente. Se veneriamo Gesù Cristo risorto, noi vediamo il Padre che Lo resuscita e lo Spirito Santo che Lo fa entrare una vita nuova Se veneriamo Gesù Cristo che sale al cielo, noi vediamo il Padre nella gloria del quale Ei si riposa, e lo Spirito Santo che Egli invia. In fine se veneriamo Gesù Cristo che si rinchiude e si fa adorare nell’Eucarestia, noi non vediamo altro in Lui che una vittima che non può onorarsi, se non unendosi a lei e con lei immolandosi al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. – Che cos’altro abbisogna per farvi comprendere, non essere nella religione cristiana veruna festa che non sia veramente festa della Trinità, poiché tutte le altre non sono che mezzi per onorare la medesima e come gradini per innalzarci a lei, come al vero ed unico termine del nostro culto?

Festa particolare della Trinità. — Avvenne pertanto che quando si trattò di istituire una festa particolare della santa Trinità, per appagare la devozione di quelli che la sollecitavano, grandi dottori e grandi santi fecero udire i proprii reclami. Tutte le feste dell’anno, dicevano essi, non erano che frazioni della festa generale e perpetua della Trinità: essere quindi superfluo instituirne una speciale e soggetta all’annua rivoluzione delle altre. Non era forse da temere che una festa particolare conducesse all’oblio di quella festa generale e perpetua che deve occupare incessantemente la mente e il cuore dei cristiani? Non era ciò forse un voler limitare quello che non ammette limiti, e ridurre il medesimo Dio alla condizione dei Santi, cioè delle sue proprie creature con lo stabilirgli una festa a parte? Non era ciò forse un ignorare che non vi ha né feste, né templi, né altari che non appartengano unicamente alla santa Trinità? Per tutti questi motivi la Chiesa romana, operando con quella prudenza consumata che la contrassegna, stette fungo tempo senza ammettere la festa speciale della santa Trinità. Il Pontefice Alessandro III, che occupava la santa Sede verso la metà del duodecimo secolo, scriveva: « La festa della Trinità è diversamente osservata in diverse Chiese; ma la Chiesa romana non ha festa speciale della Trinità, perché ella la venera ogni giorno e ogni ora del giorno, poiché tutti i suoi uffici contengono le lodi e terminano con gloria alla Trinità ». Tuttavia poiché la Chiesa della città eterna, la madre e maestra di tutte le altre non biasimava la festa speciale della Trinità, quelle sue figlie che l’avevano introdotta continuarono a celebrarla. Si crede che sia ella stata istituita nel nono secolo da alcuni vescovi, che non la progettarono in principio, se non per dare un nuovo alimento alla devozione dei loro popoli. In questa intenzione Stefano vescovo di Liegi ne fece comporre un uffizio verso l’anno 920. Alcune Chiese vicine l’ammisero, e la festa della santa Trinità, si diffuse di luogo in luogo, tanto che l’abate Ruperto che viveva a principio del dodicesimo secolo, ne parla come di una festa adottata a tempo suo, e impiega un intero libro per, spiegarne il mistero [Lib. II, div offic.]. La celebrazione, lasciata fino allora alla devozione delle chiese particolari, fu fissata alla domenica nell’ottava di Pentecoste, presso a poco nel decimoterzo secolo. Fu volentieri destinata quella domenica per due motivi. Il primo, perché essa era vacante, cioè non aveva uffizio proprio. Infatti l’ordinazione che si faceva il sabato precedente, non cominciava che dopo l’uffizio del vespro, e durava molto spazio della notte, specialmente quando vi erano molti chierici da ordinare. Spesso anche veniva prolungata l’ordinazione fino al far del giorno, perché sembrasse fatta nella domenica stessa, e perché la domenica potesse aver qualche specie di uffizio che la impedisse a rimaner vacante. Ma siccome le persone devote domandavano un sacrificio per quel giorno, vi fu collocato l’uffizio e la festa della santa Trinità. L’altro motivo per cui fu posta nell’ottavario della Pentecoste si è per rammentare ai fedeli che la Trinità è la fine e la consumazione di tutte le feste e misteri medesimi di Gesù Cristo [Tomass., lib. II, Delle feste, etc.]. Finalmente la Chiesa romana vedendo che la festa particolare della Trinità nulla toglieva alla festa generale e perpetua delle tre Persone adorabili, si decise ella medesima ad adottarla, ma ciò non fu che nel decimoquarto secolo sotto il Pontificato di Giovanni XII. Questo Papa la decretò irrevocabilmente alla domenica dopo la Pentecoste, e ne fece sostituire l’uffizio a quello dell’ottava che allora si terminò il sabato dei quattro tempi a nona. La Chiesa non assegna alla festa particolare della santa Trinità che un posto secondario tra le feste dell’anno, forse per nuocere alla festa generale, e per mostrare l’impotenza in cui siamo di celebrare degnamente quest’augusto mistero. Esso è talmente al di sopra dei nostri pensieri, che il capitolo generale dei religiosi cisterciensi dell’anno 1230, sebbene ordinasse che la festa della Trinità fosse generale in tutte le case del loro ordine, proibì la predica a cagione della difficoltà del soggetto.

III. Influenza del ministero della augustissima Trinità. — Tuttavia, comunque incomprensibile sia il mistero della Trinità, esso non è né impugnabile né ineficace per la regola dei nostri costumi. Simile al sole che l’occhio non può fissare, ma la cui luce ci abbaglia e la cui esistenza visibile, il domma della Santa Trinità ci presenta da ogni lato dei segni evidenti della propria esistenza. Senza parlare qui della menzione che ricorre spesso nella Scrittura, né delle numerose figure sotto le quali Dio lo fece travedere agli antichi, noi vediamo intorno a noi, portiamo in noi stessi delle immagini di questo mistero. Il sole, a cagion d’esempio, vi appresta la luce, i raggi e i1 calore; queste tre cose sono distinte e tuttavia sono la sostanza medesima, e antiche al pari del sole. Creato a similitudine di Dio, l’uomo ei pure porta in se stesso l’immagine della santa Trinità. L’anima nostra possiede tre facoltà distinte, la memoria, l’intelletto e la volontà; tuttavia queste tre facoltà appartengono alla stessa sostanza ed ebbero esistenza con lei. – Abbiamo pur detto che il mistero della santa Trinità non si deve guardar qui qual soggetto sterile per la regola della nostra vita. O uomini, intendetelo quanto questo domma vi nobiliti. Creati a similitudine dell’augusta Trinità, voi dovete formarvi su di Lei modello, ed è questo un dovere sacro per voi. Voi adorate una Trinità il cui carattere essenziale è la santità, e non vi è santità si eminente, alla quale voi non possiate giungere per la grazia dello Spirito santificatore, amore sostanziale del Padre e. del Figlio. Per adorare degnamente l’augusta Trinità voi dovete dunque, per quanto è possibile a deboli creature umane, esser santi al pari di Lei. Dio è santo in sé stesso, vale a dire che non è in Lui né peccato, né ombra di peccato; siate santi in voi stessi. Dio è santo nelle sue creature: vale a dire che a tutto imprime il suggello della propria santità, né tollera in veruna il male o il peccato, che perseguita con zelo immanchevole, a vicenda severo e dolce, sempre però in modo paterno. Noi dunque dobbiamo essere santi nelle opere nostre e santi nelle persone altrui evitando cioè di scandalizzare i nostri fratelli, sforzandoci pel contrario a preservarli o liberarli dal peccato. – Siate santi, egli dice, perché Io sono santo [Lev. XI, 44]. E altrove: Siate perfetti come il Padre celeste è perfetto; fate del bene a tutti, come ne fa a tutti Egli stesso, facendo che il sole splenda sopra i buoni e i malvagi, e facendo che la pioggia cada sul campo del giusto, come su quello del peccatore [Matt. V, 48]. – Modello di santità, cioè dei nostri doveri verso Dio, L’augusta Trinità è anche il modello della nostra carità, cioè dei nostri doveri verso i nostri fratelli. Noi dobbiamo amarci gli uni gli altri come si amano le tre Persone divine. Gesù Cristo medesimo ce lo comanda, e questa mirabile unione fu lo scopo degli ultimi voti che Ei rivolse al Padre suo, dopo l’istituzione della santa Eucarestia. Egli chiede che siamo uno tra noi, come Egli stesso è uno col Padre suo. A questa santa unione, frutto della grazia, Ei vuole che sia riconosciuto suo Padre che lo ha inviato sopra la terra, e che si distinguono quelli che Gli appartengono. Siano essi uno, Egli prega, affinché il mondo sappia che Tu mi hai inviato. Si conoscerà che voi siete miei discepoli, se vi amate gli uni gli altri [Giov. XVI]. « Che cosa domandate da noi, divino Maestro, esclama sant’Agostino, se non che siamo perfettamente uniti di cuore e di volontà? Voi volete che diveniamo per grazia e per imitazione ciò che le tre Persone divine sono per la necessità dell’esser loro, e che come tutto è comune tra esse, così la carità del Cristianesimo ci spogli di ogni interesse personale ». – Come esprimere l’efficacia onnipotente di questo mistero? In virtù di esso, in mezzo alla società pagana, società di odio e di egoismo si videro i primi cristiani con gli occhi fissi sopra questo divino esemplare non formare che un cuore ed un’anima, e si udirono i pagani stupefatti esclamare: « Vedete come i cristiani si amano, come son pronti a morire gli uni per gli altri! » Se scorre tuttavia qualche goccia di sangue cristiano per le nostre vene, imitiamo gli avi nostri, siamo uniti per mezzo della carità, abbiamo una medesima fede, uno stesso battesimo, un medesimo Padre [Ephes. IV]. 1 nostri cuori, le nostre sostanze siano comuni per la carità: e in tal guisa la santa società, che abbiamo con Dio e in Dio con i nostri fratelli, si perfezionerà sulla terra fino a che venga a consumarsi in cielo. – Noi troviamo nella santa Trinità anche il modello dei nostri doveri verso noi stessi. Tutti questi doveri hanno per scopo di ristabilire fra noi l’ordine distrutto dal peccato con sottomettere la carne allo spirito e lo spirito a Dio; in altri termini, di far rivivere in noi l’armonia e la santità che caratterizzano le tre auguste Persone, e ciascuno di noi deve dire a se stesso: Io sono l’immagine di un Dio tre volte santo! Chi dunque sarà più nobile di me! Qual rispetto debbo io aver per me stesso! Qual timore di sfigurare in me o in altri questa immagine augusta! Qual premura a ripararla, a perfezionarla ognor più! Sì, questa sola parola, io sono l’immagine di Dio, ha inspirato maggiori virtù, impedito maggiori delitti, che non tutte le pompose massime dei filosofi. Osservate Francesco Saverio. Come è sublime quella parola ch’ei ripeteva ad ogni momento: Oh! santissima Trinità! Oh! Santissima Trinità! Per più di dieci anni le regioni dell’Oriente risuonarono di questa parola misteriosa, che era come il grido di guerra del san Paolo dei tempi moderni. Per animarsi alla lotta gigantesca ch’egli aveva intrapresa contro il paganesimo Indiano, Francesco Saverio considerava l’immagine augusta della santa Trinità sfigurata in tanti milioni di uomini, e la sua bocca pronunziava questa esclamazione: Oh! santissima Trinità! Allora un fuoco divino s’impossessava di lui, il suo petto si gonfiava, le lacrime scorrevano dai suoi occhi scintillanti, e con la rapidità del lampo ei si scagliava verso mondi sconosciuti, e rovesciava gl’idoli, e seminava i prodigi; e sopra migliaia di fronti faceva scorrere l’acqua rigeneratrice, e ristabiliva l’immagine sfigurata della santa Trinità, e né la morte, né la fame, né la sete, né gli uomini, né l’inferno potevano arrestare o intepidire il suo zelo nel riparare l’immagine alterata delle tre auguste Persone. Oh! santissima Trinità! – Che diremo noi dei sentimenti di riconoscenza che la contemplazione di questo gran mistero ci sveglia nel cuore? Il Padre che ci ha creati, il Figlio che ci ha redenti, lo Spirito Santo che ci ha santificati; conoscete voi cosa alcuna più idonea a sublimare i nostri affetti, a purificarli, e a dare vera dignità a tutta la nostra condotta? Oh! nazioni moderne, al mistero dell’augusta Trinità voi andate debitrici di non esser più prostrate ai piedi degl’idoli! Osereste voi dire, che non le siete debitrici di cosa alcuna?

Mezzi di celebrare degnamente la festa della Trinità. — Quanto a noi cristiani, veneriamo la santa Trinità con tutti gli omaggi di cui siamo capaci; recitiamo spesso la bella preghiera: Gloria al Padre e Figlio e allo Spiriti Santo, com’era al principio, ora e nei secoli dei secoli. [Questa preghiera è di tradizione apostolica. Bened. XIV] Formare società fra tre Persone, e recitare ogni giorno, o insieme o separatamente, la mattina, a mezzo giorno e la sera, sette Gloria Patri con una sola Ave Maria in onore della santa Trinità, è una devozione autorizzata dalla Chiesa ed arricchita di grandi indulgenze, tra le quali una plenaria da acquistarsi in due domeniche d’ogni mese [Raccolta di Indulgenze. Roma 1841, pag. 5]. Oltre di che è questo un mezzo eccellente di riparazione alle bestemmie degli empi. Celebriamo con fervore speciale la festa che la Chiesa ha consacrato alle tre adorabili Persone; ma rammentiamoci che la nostra vita intera deve essere una festa continua ad onore loro. Adoriamo nel silenzio del nosro nulla questo sto incomprensibile mistero; imitiamo con la nostra carità e santità le tre Persone divine, rimanendo penetrati di riconoscenza per i beni di cui siamo loro debitori. Rinnoviamo in questo giorno le promesse fatte nel nostro battesimo: eccitiamoci allo zelo per la nostra perfezione e per la nostra santificazione prossimo. Così noi ci conformeremo allo spirito della Chiesa, così adempiremo al dovere d’una creatura verso il Creatore, così conserveremo in noi l’immagine augusta della santa Trinità.

Preghiera

O mio Dio, che siete tutto amore, io vi ringrazio che ci abbiate rivelato il mistero della Santissima Trinità; penetrateci di riconoscenza pel Padre che ci ha creati, pel Figlio che ci ha redenti e per lo Spirito Santo che ci ha santificati. – Mi propongo di amar Dio sopra tutte le cose, e il prossimo come me stesso, per amor di Dio per amor di Dio, ed in prova di questo amore io domanderò spesso a me stesso: di chi sono io l’immagine?

 

MORTE AL CLERICALISMO O RESURREZIONE DEL SACRIFICIO UMANO -XI- di mons. J.-J. Gaume [capp. XXXIV-XXXV]

CAPITOLO XXXIV

CONCLUSIONE.

I.

Abbiamo da una parte ricordato il grido di morte, emesso nello stesso tempo, nell’antico e nel nuovo mondo, contro il Clericalismo; abbiamo dall’altra annunziate le conseguenze di quest’odio ignoto negli annali dei popoli battezzati. Se Dio non ha pietà dell’uman genere, queste conseguenze saranno, fra le altre, la risurrezione del sacrificio umano diretto o indiretto, siccome s’è spiegato.

II.

Or ripieni di spavento, domandiamo: in qual modo, dopo diciannove secoli di Cristianesimo, il mondo è giunto al punto in cui lo vediamo? Non v’ha effetto senza causa. L’uomo è un essere ammaestrato. L’uomo forma la società, a lei comunicando tutto ciò che ha ricevuto. A coloro che la condannano, la società attuale può rispondere: « Egli è vero, io son ben colpevole ed infelice. Ma di chi è la colpa? Non sono già io che mi son fatta qual sono; io sono quale m’han fatto. »

III.

La società attuale essendo, nel suo complesso, satolla di odio contro il Cattolicesimo, ha dunque ricevuto in copia l’odio del Cattolicesimo. Dove lo ha essa ricevuto? Nell’insegnamento. Dapprima nell’insegnamento delle lettere e della filosofia; poscia nell’insegnamento della stampa che n’è la derivazione. La causa principale e tuttodì operativa dei presenti mali è dunque l’insegnamento della gioventù, sopratutto della gioventù letterata, che, per la sua superiorità, fa il popolo a sua immagine. Il rimedio del male, se pur ce n’è uno nelle mani dell’uomo, sarebbe la riforma radicalmente cristiana dell’educazione.

IV.

Predicate in tutti i modi, da più di quaranta anni, queste verità che abbagliano, tanto son luminose, non sono state dal maggior numero né considerate, né ricevute, né, a più forte ragione, praticate, come dovevano esserlo. Questa cecità, o meglio ostinazione, inconsapevolmente forse presso gli uni, ma consapevolissimamente presso gli altri, ha prodotto ciò che vediamo. Che vediamo?

V.

Malgrado il risveglio del Cattolicesimo su alcuni punti, e in una certa parte della società; risveglio che si manifesta nei frequenti e numerosi pellegrinaggi, nella creazione di circoli cattolici d’operai e di militari, e d’altre buone opere di fede e di carità: non ci daremo già a credere che il mondo è salvo. Quando trattasi di delitti nazionali, Dio non si lascia disarmare per alcune particolari preghiere, o per alcuni pellegrinaggi, nei quali il suo occhio non ha giammai scorto un solo di quei grandi colpevoli che eccitano la sua collera e provocano le sue vendette. Il fatto di Sodoma che poteva andar salva per dieci giusti non è una legge. La legge delle nazioni colpevoli sì, è Ninive penitente. – D’altronde da alcune manifestazioni cristiane, non segue che la maggior parte delle popolazioni non addivenga ognora vieppiù materialista, indifferente ed anche ostile alla religione; che fino le migliori provincie, città e campagne, non siano invase dallo spirito rivoluzionario; che questo spirito non faccia ogni giorno rapidi progressi, come testificato, fra le altre, in cinque anni d’intervallo, la formazione delle due camere legislative del 1871 e del 1876. Gli è dunque doloroso, ma vero il dirlo: andiamo di male in peggio; le nazioni han deviato; ed insorgendo contro il Cattolicesimo, che è la vera vita, si precipitano verso la morte.

VI.

Saremmo noi in tale stato, se si fosse compreso che faceva mestieri, sotto pericolo di gettar polvere al vento, apprestar il rimedio al male, salvando, mercé un’educazione cristiana, le generazioni ancora vergini dall’errore e dal vizio; che, fatte poche eccezioni, le generazioni già formate batteranno ostinatamente la loro strada, atteso che non si raddrizzino le querce vecchie, e non si fan ritornare i fiumi alla loro sorgente? In luogo di tutto questo, che si è fatto?

VII.

Si sono consumati dei monti di carta, rivi d’inchiostro; molto tempo, molte fatiche e fin molto talento e molto genio. Si è inondato il mondo d’apologie, di dimostrazioni, di polemiche, di critiche, di confutazioni, di lamentazioni, di discussioni. Notte e giorno si è battagliato contro i rivoluzionari e i miscredenti; cento volte sono stati convinti di stoltezza, di calunnia, di cattiva fede; li han creduti sconfitti, ed essi stanno in piedi meglio di prima.

VIII.

Sono essi intanto in tutta Europa padroni della posizione. I loro empii libri, i loro osceni romanzi vanno in voga, e vendonsi a migliaia; mentre la più parte dei libri buoni non ha che una ristretta pubblicità, se pur non rimangono tutti sepolti nei magazzini. I loro giornali si moltiplicano; e molti abbondano d’associati; mentre i buoni giornali, in picciolissimo numero, o chiudono il loro ufficio, o vivono a stento, come meglio possono, giorno per giorno.

IX.

Le loro dottrine han prodotto i loro frutti. Di vittoria in vittoria sono giunti alla disorganizzazione universale, alla negazione radicale d’ogni verità e d’ogni diritto; alla mostruosa invasione dell’immoralità e del suicidio; alla completa spoliazione della Chiesa; all’imprigionamento del Papa; all’impianto dell’eresia nel cuore stesso della cattolicità [il “modernismo” è oramai la setta dominante nei palazzi e nei templi un tempo cattolici ove la massoneria ecclesiastica si è “impiantata” radicalmente –ndr.-]; al bestiale dell’essere umano ed alla riabilitazione di satana. – Sino ad ora veruna corporazione aveva assistito ufficialmente ad un seppellimento civile. Era riservato all’Accademia di medicina di Parigi il dare, per la prima, un simile scandalo. Presentato dai medici, che sono stimati meglio di ogni altro per conoscere la natura dell’uomo, e da medici incaricati di ammaestrare la gioventù, questo scandalo inqualificabile per sè stesso è spaventevole nelle sue conseguenze. Il fatto è questo. Un certo Sig. Axenfeld, professore alla Scuola di medicina di Parigi, è stato seppellito civilmente, senza che l’avesse chiesto. Ciò che è più particolarmente scandaloso si è la pompa che ha accompagnato le sue esequie, a cui non ebbe già parte il prete. Dieci professori e undici dottori collegiali, in veste rossa, condotti dai signori Gosselin e Bouchardat assessori, preceduti dal mazziere e dai bidelli, hanno accompagnato il feretro del Sig. Axenfeld. Cosi la Facoltà medica, ufficialmente, con tutto l’apparato, bidelli e mazzieri, ha assistito a un seppellimento civile. Questo è progresso! [chissà cosa direbbe il povero mons. Gaume davanti al “progresso” delle “unioni” omosessuali di politici, passato in prima serata televisiva? –ndr.-]. Ancora un altro progresso: si legge nei Droits de l’homme, settembre 1876: « Ieri sera, racconta l’Egalitè di Marsiglia, ba avuto luogo la cerimonia civile, per la quale il nostro amico cittadino Malaucène, ha voluto surrogare, pel suo neonato, il battesimo religioso. Il nostro collaboratore Clodoveo Hugues è stato il compare, e la signorina Luisa Tardif la comare. Questa piccola festa di famiglia s’è compita maravigliosamente. Il poeta dell’Egalitè, come dice la Gazette du Midi, ha poeticamente battezzato il figlioccio con questo quadernario, che val bene il latino della Chiesa:

PERCHÈ SE RITORNASSE IN TERRA IL CRISTO NON SAREBBE PIÙ CRISTIANO, IN NOME DELLA NATURA AUSTERA IO TI BATTEZZO CITTADINO. [Puisque, s’il revonait sur terre, Le Christ ne serait plus chrètien, An nom de la Nature austère, Je te baptise citoyen.]

II giornale les Droits de l’Homme qualifica come “filosofica” questa parodia. Noi ci prendiamo la libertà di dirla abominevole e buffonesca, ma d’altronde perfettamente degna della mandria d’Epicuro. Per coloro infatti che 1’han composta, il battesimo della natura deve aprire la vita dell’ uomo, come la sepoltura deve chiuderla. [chissà in quale tugurio dell’inferno si trovano ora il “battezzato”, i compari e gli assistenti! Chissà se ancora stanno brindando … o forse sì, con oro fuso con calice infuocato insieme al loro padrino generale: lucifero – ndr.-].

CAPITOLO XXXV.

(Continuazione del precedente.)

I.

Perché tante vittorie dalla parte dei malvagi, e tante disfatte dalla parte dei buoni? Perché invece di portare risolutamente la scure alla radice dell’albero avvelenatore, s’è portata soltanto ai rami; invece di concentrar le nostre forze e dirigere tutti i nostri sforzi contro la cittadella del nemico, ci siamo divisi e ci siamo fatti battere. Non poteva essere altrimenti, e sino a tanto che non cambieremo tattica, andremo di disfatta in disfatta. Lasciamo parlare qui 1’esperienza.

II.

Nei primordi di questo secolo, allorché la Francia era ancora grondante del sangue versato dalla Rivoluzione, la quale non era che una scena degli studi del collegio, la Provvidenza suscitò alcuni gran geni per esserle di faro e ritrarla dalla via ov’erasi perduta : il Sig. de Chateubriand, nella letteratura; il Sig. de Bonald, nella filosofia; il Sig. de Maistre, nella scienza sociale; il Sig. de la Mennais, nella scienza religiosa. Questi uomini illustri han lasciate opere piene di salutari dottrine, la cui pratica avrebbe rigenerata la Francia, e colla Francia forse tutta Europa.

III.

Perché mai questi grandi maestri non ebbero discepoli, ad eccezione de la Mennais, che lo deve all’educazione particolare del clero? Perché mai nell’uscir di collegio la gioventù francese, arrivando a Parigi, in luogo di nutrirsi delle dottrine insegnate da quegli uomini grandi, le ha poste da banda per frequentar le scuole del Royer-Collard, del Beniamini Costant, del Cousin, del Quinet, del Michelet e d’altri anticlericali?

IV.

Non v’ha cosa men difficile a comprendere. Queste giovani generazioni erano state gettate, dai loro studi classici, in una corrente d’idee affatto differenti dalle cattoliche; e correvano ai maestri il cui insegnamento era lo sviluppo continuato della loro prima educazione. Non v’ha dubbio, che a questa cagione principalmente debba attribuirsi l’anticristianismo che, sotto il nome di liberalismo e di razionalismo ha da un mezzo secolo invaso la gioventù francese.

V.

Da tale gioventù è costituita oggi la Francia. Addivenuta padrona di ogni posizione: nella magistratura, nella milizia, nell’accademie, nelle camere legislative, nella diplomazia, in tutte le grandi amministrazioni, essa trasmette ciò che ha ricevuto, e trasmettendolo forma la società a sua immagine: lebbrosa dalla testa ai piedi, quale la vediamo.

VI.

Se l’educazione continua ad essere quel che è, mezzo cristiana e mezzo pagana, ed anche più pagana che cristiana, non verranno su che ibride e tristi generazioni, incapaci di resistere al male. L’invasione che noi deploriamo non pure continuerà; ma a ragion dell’acquistata forza, si accelererà sempre più. Che sarà mai se l’istruzione, addivenuta laica, non è più una madre, ma una matrigna; non una nutrice, ma un’avvelenatrice patentata?

VII.

Riforma dunque dell’educazione. Riforma pronta; riforma radicale; riforma interamente cristiana nei libri come negli uomini: poiché la salute del mondo dipende da ciò. Senza questo, con tutte le opere nostre di rigenerazione, noi che faremo? Tutt’al più una pesca con l’amo; mentre gli anticlericali la faranno colla rete. Noi continueremo a dar dei colpi di spada all’acqua, o, come dice la Scrittura, getteremo le nostre mercanzie in un sacco sfondato. – Ma chi opererà tale riforma? Vescovi, preti, religiosi, padri di famiglia, tutti vi pongano mano. Tuttavia, riconosciamo umilmente la nostra impotenza. [Oggi proprio i vescovi, falsi e sacrileghi, oltre che intruppati in varie obbedienze massoniche, sono i veicoli di eresie e dottrine grondanti apostasia, ed ancor peggio i preti ed i religiosi, falsamente consacrati e quindi sacrileghi e blasfemi, i padri di famiglia devono pensare alle concubine, alle adultere loro compagne ed agli illegittimi frutti del peccato … solo la Vergine Santissima ci salverà! –ndr.-]. Iddio solo, cambiando gli uomini, può operare questa necessaria riforma. Gridino dunque tutte le lingue e tutti i cuori verso il Padre delle misericordie, come fecero gli apostoli, presso a naufragare: Signore, salvateci! Noi periamo:

Domine salva nos, perimus.

FINE

MORTE AL CLERICALISMO O RESURREZIONE DEL SACRIFICIO UMANO -X- di mons. J. J. Gaume [capp. XXXII-XXXIII]

CAPITOLO XXXII.

GIUSTIFICAZIONE DI QUEST’OPERA.

I.

Lucifero è il nemico personale ed implacabile del Verbo incarnato. Il suo odio non ha che uno scopo, quello di rendere impossibile la credenza nel domma dell’Incarnazione. Perciò, i tre grandi errori che riassumono tutti gli altri, e che han dominato il mondo antico, e tendono a dominare il mondo moderno [e la falsa chiesa dell’uomo dei marrani usurpanti attuali -ndr.-]:

Il Panteismo; se tutto è Dio, non vi è incarnazione;

Il Materialismo; se tutto è materia, non v’è incarnazione;

Il Razionalismo; se ogni verità è racchiusa nei limiti della ragione, non vi è mistero, e quindi non v’è incarnazione.

II.

Esaminati accuratamente tutti gli errori moderni, figli de precedenti, non hanno altro obietto che la negazione della divinità di Nostro Signore. Ammesso questo solo domma, essi svaniscono, come la notte in faccia al giorno; rigettato questo solo domma, tutte le verità senza base e senza coesione cadono le une dopo le altre, e l’ umanità ricade nel caos. Ora, cosa inaudita, la grande negazione è oggi stampata, predicata, accolta con un ardore che fa vergogna, e riempie l’anima di spavento pel presente, e più ancora per l’avvenire: quest’ è un segno de’tempi. – Infatti, se Nostro Signor Gesù Cristo, autore della grande rivoluzione che ha trasformato il mondo, non è Dio, ei bisogna ripudiare il Vangelo con tutte le sue conseguenze, ritornare al paganesimo e rifoggiar dèi secondo il capriccio delle passioni. E non è già il mondo ripieno di questi nuovi, o meglio, di questi antichi idoli di lussuria e di crudeltà?

III.

Se non fosse l’elemento cattolico che lotta ancora per mantenere, sul suo piedistallo divino, la persona del Verbo incarnato, il mondo moderno ricadrebbe nelle condizioni del mondo antico. Più questo elemento s’affievolisce, siccome noi vediamo ai nostri di, e più s’appiana la via al demonio per ritornare sopra gli antichi suoi altari. La ragione lo dice, e la storia lo conferma. L’uomo ha avuto, ha ed avrà sempre bisogno d’un Dio. Rovesciare il trono di Gesù Cristo, non é altro che innalzare il trono di Belial.

IV.

Al vedere dell’Europa attuale, che volta le spalle al Cristianesimo, e si sforza di sterminarlo; che dico io? al vedere uomini battezzati, intraprendere, dopo diciotto secoli di Cristianesimo, la riabilitazione di Satana e vantare il suo antico regno, come l’epoca più brillante della storia; era facile prevedere questa nuova caduta dell’umanità. E fu infatti preveduta, annunziata, dimostrata, or sono più di trenta anni. Ma i veggenti furono trattati da stravaganti. Che? il mondo ritornare al paganesimo nel secolo decimonono! Insensanto chi il dice; stupido chi il crede! Intanto il paganesimo ne’ suoi elementi costitutivi, particolarmente nella negazione del Verbo incarnato, ha continuato ad invadere la società: e già tutto è paganesimo.

V.

A render pagana un’epoca, una società, tutto il mondo, non vi bisognano idoli materiali. Il mondo anteriore all’incarnazione era pagano, prima che la mano dell’artefice offrisse alle sue adorazioni statue di marmo o di pietra. Il paganesimo è la negazione teorica e pratica del Verbo incarnato; la negazione del vero Dio, e, come conseguenza inevitabile, l’adorazione di ciò che non è il vero Dio. Ora, adorare ciò che non è il vero Dio, è adorare un falso Dio, è adorar satana, è esser pagano, ricadere nel gentilesimo, di cui tutti gli dèi erano demoni: omnes dii gentium dæmonia. [Ps. XCV]

VI.

Tuttavia, come l’anima ha bisogno del corpo, cosi il culto interiore ha bisogno del culto esteriore. Nell’antichità, satana godeva dell’uno e dell’altro: egli aveva le sue statue, i suoi templi, i suoi altari, i suoi sacerdoti. Tutto questo lo possiede anche oggi presso le nazioni idolatre. Or Satana non cambia, né invecchia. Ei vuol essere quel che fu; vuol avere quel che ebbe. Ei lo vuole tanto più che gli oracoli, le evocazioni, le apparizioni, i prestigi erano i principali strumenti del suo regno, di cui il sacrificio umano, fu e continua ad essere l’inevitabile compimento. Pare dunque logicamente infallibile che presto o tardi, se Dio non l’impedisce col più grande dei miracoli, satana tornerà con tutto il suo corteggio di pratiche vittoriose, sempre antiche e sempre nuove, ma destramente modificate secondo i tempi e le persone.

VII.

E forse non è già divenuto l’oracolo delle nazioni moderne, senza che esse vi pongano riparo? È egli satana, ovvero lo Spirito Santo che le inspira nelle leggi anticristiane che promulgano? nella guerra universale che fanno alla Chiesa? Che è mai lo spiritismo, il magnetismo, il sonnambolismo artificiale, se non la risurrezione, sotto nuovi nomi, delle antiche pratiche diaboliche di Delfo, di Delo, d’Àccaron, e di tutti i templi ed oracoli?

VIII.

Che cosa era mai la dea Ragione sugli altari della Francia del 93, se non l’impura Venere in carne ed ossa, vale a dire il Demonio stesso che si faceva adorare? – Ed alla stessa epoca, il tempio di Cibele, fabbricato ai Campi Elisi, che accoglieva nel suo recinto gli adoratori della madre degli dèi, con le offerte tradizionali esatte dal suo culto? – Il repubblicano Quinto Àuclerc non ha egli risuscitato materialmente il culto di Giove, di cui si diceva il sacerdote? E questo culto non s’è forse perpetuato fino al 1821? È vero, che il flamine non offriva vittime umane al dio, ma solamente incenso bruciato in uno scaldavivande di forma antica. Tuttavia, non c’illudiamo; mercè il progresso, dopo l’incenso, può venire il sangue. È dunque vero, il mondo anticristiano è un vaso pieno di paganesimo, che la minima goccia di acqua farà traboccare.

IX.

Ciò quanto al ritorno al paganesimo in generale; ma non basta. Per giustificare il titolo dell’opera, bisogna mostrare che la risurrezione del sacrificio umano non è punto impossibile. Il sacrificio umano si distingue, come abbiamo detto, in sacrificio indiretto, ed in sacrificio diretto. – Il primo s’è dappertutto e sempre più o meno compiuto. Dunque non deve risuscitare, non e morto! Ma, se gli effetti sono ognora in ragion diretta delle cause, si può affermare, salvo l’intervento divino, che in pena della generale insurrezione dei popoli moderni contro il Clericalismo, tal genere di sacrificio tornerà con proporzioni più terribili che mai.

X.

Guerre del carattere antico, guerre d’atrocità e di sterminio, guerre non più d’un’armata contro un’armata, ma guerre di nazioni, gens contra gentem, divenute campi armati, inonderanno la terra di sangue umano. Conseguenza della rivolta universale contro Dio, questo formidabile avvenire è penetrato nei presentimenti delle nazioni: onde l’attendono, e vi si preparano. Che si fa oggidì in tutta l’Europa? Due cose: si fa la guerra a Dio, e lavorasi con un’attività febbrile a preparare la guerra degli uomini gli uni contro gli altri. Ogni giorno s’inventano nuove macchine di distruzione. Le torpedini per esempio, che in pochi minuti possono far saltare in pezzi il più forte naviglio. Si perfezionan le armi, si perfeziona la polvere, si perfezionano i fucili, si perfezionano i cannoni. Affin di resistere a questi potenti mezzi di distruzione, si guerniscono le provincie di forti distaccamenti; si duplicano i ripari delle città; armansi le coste marittime di batterie formidabili; si costruiscono non più vascelli ordinari, ma colossali, capaci a distruggere in poco tempo le città più forti o di resistere agli attacchi di un’intera squadra.

XI.

Eccone una prova. Il 18 settembre ha avuto luogo a Lorient il varo del Redoutable, il più potente naviglio costruito finora in Francia. La sua costruzione ha costantemente impiegati, per lo spazio di tre anni, più di mille operai. La sua lunghezza totale sorpassa 100 metri. La sua larghezza è di 20 metri. La sua capacità, quasi di 9,000 tonnellate, è superiore d’un quarto a quella delle corazzate del tipo dell’ Oceano. – Il bastimento è a doppio scafo, e presso a poco completamente costrutto in acciaio. Quest’è la prima volta che l’acciaio entra, in una si grande proporzione, nella costruzione d’un gran naviglio, vuoi in Francia, vuoi in altri luoghi.

XII.

I fianchi del Redoutable sono ricoperti d’una corazza, la cui grossezza sarà superiore a tutto ciò che s’è fatto finora. Ciascuna delle piastre che la compongono peserà 24,000 chilogrammi. Il davanti sarà armato d’un formidabile sperone di ferro lavorato del peso di 30,000 chilogrammi. I ponti sono a prova di bomba. L’artiglieria, composta di pezzi del più forte calibro, sarà disposta in una nuova maniera, che darà modo al vascello d’utilizzare questi grossi pezzi in tutte le direzioni. Il Redoutable è una corazzata a grande celerità. La sua macchina ha la forza di 6,000 cavalli. Essa farà muovere un’elice in bronzo di m. 6,30 di diametro. L’Inghilterra segue il medesimo progresso. Essa ha costruito un cannone in bronzo del peso di 87,000 chilogrammi, il quale scarica delle palle del peso di 8,000 chilogrammi. Segnali di confidenza nella pace universale. (1)

XIII.

Perché mai questi potenti mezzi di difesa o, a dir meglio, di distruzione, non sono stati inventati cento anni fa? Perché da cento anni in qua? L’uomo s’agita e Dio lo conduce. La Provvidenza non opera mai ciecamente. Questi preparativi di guerre formidabili han la loro ragione d’essere proprio oggidì, né più presto né più tardi. Avviso a questo povero mondo attuale, che ostinasi a chiudere gli occhi per non vedere, le orecchie per non ascoltare; che fa della guerra a Dio un suo passatempo, che ride di tutto e che canta esser tutto per la meglio del migliore dei mondi.

(1) Oggi la descrizione di questi “potenti” armamenti, descritti dal Gaume, fa sorridere se paragonati alle armi atomiche, ai bombardieri supersonici, ai missili balistici intercontinentali, alle corazzate e portaerei più grandi di intere città, ai sottomarini con testate nucleari, alle armi chimiche o batteriologiche, etc. etc. Il Redoutable, così minuziosamente descritto, paragonato alle corazzate ed alle portaerei attuali, è poco più che una piroga di papiro armata di cerbottane! Ma il perché di questi potenziamenti bellici [solo gli Stati Uniti, per “esportare” e mantenere la pace hanno stanziato in questo anno la somma di un trilione di dollari … perdonatemi, non so neppure come si scrivere una tal cifra in termine numerici e con quanti zero!], ha la medesima motivazione di sempre: il sacrificio umano di uomini inerti, fatti ad immagine di Dio, quindi nemici personali di satana, e perciò da eliminare! [n.d.r.-].

CAPITOLO XXXIII

(Continuazione del precedente.)

I.

Può egli ricomparire il sacrificio umano diretto? Tale è la questione che ci resta ad esaminare. Il sacrificio umano diretto, è l’immolazione d’una persona a un idolo qualunque. Che quest’idolo sia una persona, una statua, o semplicemente un’idea, poco importa. Come l’idolatria medesima, il sacrificio può esistere senza statue. «In una certa epoca dell’antichità, dice Tertulliano, non v’erano idoli. Tuttavia l’idolatria esisteva, non sotto questo nome, ma nelle opere. Parimenti oggi può essa praticarsi senza templi e senza idoli. 1 » [De Idolat., c. III]. L’affermazione di Tertulliano è conforme a quelle parole di san Paolo: « Imperocché voi siete intesi, scrive agli Efesini, come nissun fornicatore, o impudico, o avaro, che vuol dire idolatra, sarà erede nel regno di Cristo, e di Dio. » [Eph. V, 5]

II.

Perchè v’abbia il sacrificio umano diretto, non sono assolutamente necessarii nè un tempio né una statua. Si è per questo, come dice Tertulliano, che prima della fabbricazione degli idoli, si praticava l’idolatria, di cui l’atto principale fu sempre il sacrificio umano. Prendevasi un fanciullo, un prigioniero, uno schiavo, e mettevasi a morte in onore d’un re defunto o d’una pretesa divinità, che non aveva né tempio né statua. Più tardi, allorquando il demonio volle avere un culto completamente esteriore, ispirò agli uomini d’edificarsi dei templi e d’erigergli delle statue.

III.

Che facevano allora i grandi sacrificatori, persecutori de’primi secoli? Arrestavano i nostri padri, i nostri fratelli e le nostre sorelle, li conducevano avanti la statua di qualche divinità immaginaria, e loro dicevano: Offrite ad essa l’incenso siccome ad un Dio vero. Se mai essi rifiutavano, erano messi a morte. Erano queste altrettante vittime umane. Bisogna accuratamente osservare, che non era propriamente alla statua che offrivasi l’incenso ed immolavasi la vittima; ma all’idea cui la statua rappresentava, o meglio allo spirito che credeasi l’abitasse. Per esempio, il sacrificio ordinato dinanzi alla statua di Giove, era in onore del demonio considerato siccome dio supremo; quello ordinato dinanzi alla statua di Marte, era in onore del demonio considerato siccome dio della guerra, e così degli altri.

IV.

E venendo ad un’epoca più vicina, che cosa faceva la Rivoluzione del 93, questa degna figlia degli antichi pagani di Roma e di Grecia? Afferrava un sacerdote, e gli diceva: Giura di riguardar come vere le mie dottrine e di farne la regola di tua condotta; adora la Dea-Nazione che le promulga. Se il sacerdote si rifiutava, era immolato: benché non vi fossero né templi né statue, il sacrificio non era meno diretto. Quanti altri, preti e laici, sospetti d’ostilità contro la Dea-Rivoluzione, contro la Dea-Libertà, contro la Dea-Eguaglianza, contro il Dio-Popolo, e fino contro il Dio-Robespierre non furono per sì fatto delitto arrestati, imprigionati e condotti al patibolo? Non furon’essi altrettante vittime umane, immolate agl’idoli?

V.

Se gli anticlericali d’oggidì, aiutati dai loro fratelli, i martiri di Nonmèa, riuscissero ad impadronirsi del potere, troverebbonsi mai imbarazzati a rinvenir qualche Dio, qualche dea, il Genio stesso di qualche divus Caesar; in una parola qualche idolo, al quale esigere, sotto pena di morte, il sacrificio della verità, dell’onore, della coscienza? Troppo semplice colui che si pascesse di una simile illusione. Quanto a ciò, il passato è la profezia dell’ avvenire.

VI.

Del resto, se il demonio vuole avere templi e statue, non avrà che a dirlo. È egli meno potente oggi che nel 93? Ora, gli anticléricali del 93 gli assegnarono per santuarii, non solo il duomo di Parigi, ma la più parte delle chiese di Francia. Nè si fermarono qui: gl’innalzarono un tempio nei Campi-Elisi, dove vennero solennemente ad offrirgli i loro omaggi.

VII.

Quanto alle statue, non avranno che a sceglierle. Forseché i nostri giardini pubblici, le strade, i musei, non sono ripieni di statue di tutti gli dèi del paganesimo? Basterà ai moderni pagani esporne alcune sulle nostre piazze e esigere, sotto pena di morte, da chiunque passerà render loro omaggio. Siccome nulla è nuovo sotto il sole, così sarebbe questa la copia di ciò che Diocleziano e Massimiliano, i due anticlericali incoronati, fecero a Nicomedia e nelle principali città del loro impero. V’ha di più, sarebbe il compimento dell’oracolo divino che annunzia ciò che avrà luogo verso la fine de’ tempi, durante il regno dell’Anticristo : « Egli farà metter a morte tutti quelli che non adoreranno l’immagine della Bestia. Vorrà che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, abbiano il carattere della Bestia, nella loro mano destra o sulla loro fronte; in guisa che nessuno possa comprare né vendere senza avere il carattere della Bestia. » [Apoc., XIII, 17, 16, 19. ]

VIII.

Intesa, come è stata spiegata, la risurrezione del sacrificio umano, non ha dunque nulla d’impossibile. Ciò non è tutto: sarebbe essa la necessaria conseguenza della morte del clericalismo. Io non dico niente di più; i ragionamenti ed i fatti che precedono sembrano bastevoli per giustificare questa mia operetta, dar materia di riflessione agli ottimisti, risvegliare i dormienti, scuotere i ciurmatori e qualificare gli anticlericali. [Continua…]

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[Nota redazionale: Il povero monsignor Gaume, impallidirebbe nel veder oggi il trionfo del paganesimo finanche nel tempio santo, nelle chiese una volta cattoliche, ove si sacrifica [incruentamente almeno per ora!] al “signore dell’universo”, cioè l’obbrobrio della massoneria clericale, il baphomet lucifero, acclamato pure nel trisagio da tanti ignari involontari adoratori del serpente primordiale! Ma satanasso è andato ancor più in là con il sacrificio umano. Se il dotto abate mostrava agli anticlericali i sacrifici di migliaia di poveri infelici presso i popoli dell’Africa, presso i druidi, l’antichità greca e romana, o l’ecatombe dei cardioprivati dell’America precolombiana, corredandoli con particolari raccapriccianti che avranno fatto inorridire tanti lettori disgustati dai banchetti con carni umane ancora palpitati e grondanti sangue, mai avrebbe immaginato che quelli erano numeri da bazzecola, un nonnulla in confronto a crimini ben più efferati e al sacrificio di milioni e milioni di esseri umani, immolati al demonio della “libertà sessuale”, del libero amore irresponsabile, al totem del paganesimo erotico, all’idolo del “culto fallico”, e questo in pieno XX secolo ed inizio del terzo millennio, dopo venti secoli di Cristianesimo! E sì che ci sono anche i templi satanici ed i sacerdoti sacrificatori, gli empi stregoni travestiti da rubicondi pasciuti professionisti con camice, cappellini e calzari sterili, con sonde aspiranti stritola membra, col tubo del respiratore automatico, assistiti da chierici in camice bianco e mascherina sterile, altri professionisti della morte. La sala dei sacrifici, addirittura sterilizzata con raggi u.v., è corredata da apparecchi elettronici sofisticati, scialitiche e lampade speciali, strumenti tecnologici, monitor con schermo piatto a cristalli liquidi, videocamere digitali  miniaturizzate e personale altamente specializzato, preparato per anni a queste orribili pratiche, come e più dei druidi! E non meno cruenta è la modalità di uccisione del povero uomo indifeso, immolato addirittura dai propri genitori e consegnato per finire in un contenitore di immondizia [i rifiuti “speciali”] o venduti all’industria dei cosmetici o ai laboratori delle cellule staminali [questo sì che è progresso scientifico!]. Le sonde aspiranti smembrano lentamente il povero sacrificato, braccio dopo braccio, gamba dopo gamba, e alfine viene staccata la testa, il segmento A, con “attenta” manovra, imparata dopo anni di “specializzazione” e perfezionamenti. Gli stregoni del Dahomey, i cannibali del Centro Africa, i sacerdoti strappacuori del Messico, sono dei dilettanti sprovveduti alle prime armi in confronto ai moderni sacrificatori che mietono, nella totale indifferenza, e … tutti lo sappiamo, milioni e milioni di uomini, esattamente uguali a tutti gli altri, immolati barbaramente, in modo più vile ed ipocrito ancora delle vittime delle tante guerre “democratiche” e di “liberazione”, le scibale sataniche della nostra epoca. L’altare del sacrificio, una volta in pietra o di legno, si è aggiornato, ed è diventato nientemeno che un tavolo “operatorio” snodabile, le cui funzioni sono regolate da comodi telecomandi ad infrarossi, onde permettere al boia sacrificatore-maciullatore … o pardon … volevo dire al “nobile” professionista I.Vu.Gista la posizione più idonea per fare un “buon lavoro”. Evviva la scienza medica! – Nel rileggere il libro dell’abate Gaume, avevamo avuto inizialmente un certo timore nel proporlo ai lettori, visto i contenuti che a prima vista potevano turbare la ipocrita tranquillità del benpensante; via via però ci siamo convinti che era assolutamente nostro dovere portare all’attenzione dei lettori Cattolici [quelli “veri” della Chiesa del Papa Gregorio!] questa piccola opera dell’abate Gaume, quanto mai profetica ed anticipatrice degli attuali abomini. Ora sappiamo meglio che il tutto non è casuale, ma fa parte di un piano da sempre operante, anche se con modalità cangianti con i tempi e le mode, un piano ben preciso dell’antico nemico dell’uomo, il serpente menzognero, ebbro di sangue umano fumante e divoratore di carne umana. Questo dimostra che è impellente il ricorso al nostro unico, vero Filantropo, a Colui che è morto nella carne per la nostra salvezza, al Redentore del genere umano, che spegnendo con il soffio della sua bocca l’opera dell’angelo malefico e dei suoi numerosissimi adepti, ci metta al riparo dal sacrificio umano, comunque effettuato.

MORTE AL CLERICALISMO O RESURREZIONE DEL SACRIFICIO UMANO -IX- di mons. J. J. Gaume [capp. XXX-XXXI]

CAPITOLO XXX

L’AMERICA DEL SUD. —PERÙ.

I.

All’epoca della scoperta spagnola, l’America del Sud presentava presso a poco, sotto il rapporto del sacrificio umano e dell’antropofagia, il medesimo spettacolo dell’America del Nord. Verso l’anno 1540, l’imperatore Carlo V volle dagl’indigeni, sottomessi al suo impero, che rinunziassero all’orribile uso di nutrirsi di carne umana.

II.

Il suo capitano generale, Don Alvaro riunì i carichi, e notificò loro l’ordine del principe: tutti promisero d’obbedire. Inoltre li costrinse a bruciare i loro idoli: la qual cosa fecero essi a malincuore, perché temevano di essere maltrattati dai demoni. Fatto questo, Don Alvaro, eresse una croce, e fabbricò una cappella, in cui fu cantata la messa con grande solennità, il che rassicurò d’assai gì’indigeni.

III.

Il pio e coraggioso capitano, dirìgendosi verso l’occidente, trovò, non lungi dalle frontiere del Perù, una borgata dove si contavano otto mila casupole, nel mezzo delle quali s’innalzava una torre costruita con grandi pezzi di legno, e terminata a piramide, il tutto ricoperto di scorze di palma. Questa torre, dice Charlevoix, era la dimora e il tempio d’un serpente mostruoso, di cui gli abitanti avevano fatto la loro divinità, e che nutrivano di carne umana. Esso era della grossezza d’un bue, ed aveva 27 piedi di lunghezza, la testa estremamente grossa, gli occhi piccoli di molto sfavillanti, e quando apriva la bocca, gli si vedevano due ordini di acuti denti. La pelle della sua coda era liscia; grandi scaglie rotonde coprivano il resto del corpo, e gl’Indiani vollero persuadere agli Spagnoli che rendesse oracoli. – « Egli è vero che alla prima vista di questo mostro, furono essi assaliti da spavento; che crebbe ancora quando un di loro, avendogli tirato un colpo d’archibugio, mise un grido simile al ruggito del leone, e con un movimento di coda, fece tremar la torre. Nondimeno l’ammazzarono facilmente. » [Hist. du Paraguay, t. I, p. 83]. Questo accadeva nel Perù prima della predicazione del clericalismo! E oggi vogliono sterminare il clericalismo! E dicon che tutte le religioni sono egualmente buone!

IV.

Circa un secolo fa, tutti i discepoli di Voltaire si sarebbero stretti nelle spalle, al racconto di Charlevoix, ed avrebbero trattato l’autore siccome impostore o visionario. La scienza attuale li ha convinti d’ignoranza. Le scoperte di Cuvier, di Zimmermann e d’altri naturalisti, han provata l’esistenza di questi giganteschi serpenti, i cui fossili si trovano in Francia, in Inghilterra, in Alemagna. Uno dei più mostruosi, poiché conta più di cento piedi di lunghezza, è stato recentemente scoperto nello scavare una fossa per la ferrovia, presso Saint-Lottin, nel Giura.

V.

Tali scoperte hanno questo d’importante, che esse giustificano non solamente il racconto del padre Charlevoix, ma ancora la storia dei nostri primi predicatori evangelici. Quando vennero la prima volta nelle nostre contrade pagane, dovettero molto combattere contro mostruosi dragoni, formidabili divinità degli abitanti. V’ha delle riviere, e perfino delle città che ne conservano il nome: come il Drac e il Draguignan.

VI.

Tutte le provincie dell’America del Sud si abbandonavano, come il Perù, ai sacrifìci umani ed all’antropofagia. Ne abbiamo una prova nella bolla di san Pio V, con la quale il Papa prescrive ai missionari d’obbligare gl’indigeni a vivere almeno secondo la legge naturale, evitando tutto ciò che degrada l’umanità, come i sacrifici sanguinosi di vittime umane, che si perpetuavano nelle contrade più recondite e meno conosciute, al di là della linea equinoziale [Touron, Hist, gen. de l’Amerique, t. X, p. 133].

VII.

Nel numero delle ricche contrade dell’America del Sud, conquistate dagli Spagnoli, risplende sopra tutte la Nuova Granata. Era molto tempo che questo bel paese gemeva sotto l’impero di satana, che l’inondava di sangue umano e lo bruttava d’indicibili turpitudini. Ma finalmente, nel mese di gennaio 1590, il demonio fu espulso dalla sua cittadella.

VIII.

La tribù di Ramiriqui, non ha guari evangelizzata dal domenicano Pietro Duran, era allora affidata alle cure del padre Diego Manura. Il buon missionario si lusingava d’avere ritratto questo popolo dalle favole dell’idolatria, quando riconobbe d’essersi ingannato. Gli venne infatti a notizia, che nei dintorni della città di Ramiriqui esisteva un luogo segreto, nel quale i principali indigeni si riunivano con non poca precauzione, continuando ad onorarvi i loro idoli con ricche offerte d’oro, di smeraldo, e d’ altri oggetti preziosi, e fino con vittime umane.

IX.

Il luogo dove queste abominazioni si praticavano, era nella cavità d’una gran roccia, il cui piccolo ingresso, chiuso ben bene da una pietra piana e quadrata, non permetteva all’occhio di veder dentro. Al fondo d’una sala spaziosissima era posto il grande idolo. Era un pezzo di legno tagliato in forma d’uccello, d’una grandezza smisurata e coperto di penne d’una varietà ammirabile. Da secoli gli schiavi del demonio adoravano questo simulacro, senza levare il minor dubbio sulla sua divinità, né sulla verità delle cose che, per suo organo, lo spirito delle tenebre annunziava. Si sacrificavano a lui de’fanciulli; giovani vergini consacrate al suo culto abitavano giorno e notte la caverna tenebrosa.

X.

Cristiani di nome, ma idolatri di fatto, una folla d’indigeni, che assistevano la mattina alle riunioni de’ fedeli nelle chiese, accorreva la sera a prender parte a sanguinari sacrifìci in questa grotta remota. Coloro che erano sinceramente convertiti non osavano denunziare l’apostasia segreta degli ipocriti. Tuttavia una vecchia indigena, coraggiosa serva di Gesù Cristo, n’avverti con pericolo della sua vita il padre Manura. Ella gl’indicò il luogo, l’ora delle radunanze, le abominazioni che vi si commettevano, fino il nome dei principali colpevoli.

XI.

Il missionario andò a consultare a Tunja il suo provinciale. Questi gli raccomandò di verificar da se stesso il mistero d’iniquità, e fece pregare tutta la comunità pel successo dell’impresa. Il missionario si veste da borghese, e recasi una notte in mezzo all’assemblea, pensando che col favore dell’oscurità e della folla, potrebbe ritirarsi senza essere riconosciuto. Già era stato testimone delle cerimonie, dei sacrifica umani e d’alcune altre abominazioni, allorché Iddio permise che il demonio, per la bocca dell’idolo, facesse udire queste parole: Cacciate di qui quel frate. Gl’indigeni, sorpresi e trasportati dalla collera, misero grandi grida, chiedendo dove fosse il religioso, affine d’immolarlo immantinente.

XII.

Il trambusto della riunione facilita al missionario il modo di fuggire. All’indomani, accompagnato da altri missionari e da una scorta armata, ritorna alla fatale rupe. I soldati s’impadroniscono del grande uccello e d’una parte dei piccoli idoli, posti in ordine attorno ad esso. Il padre Manura fa trasportare questi simulacri sulla piazza pubblica di Ramiriqui, dove un gran fuoco li consuma all’istante.

XIII.

In quel momento gli apostati montano in furore. Gli uni prorompono in minacce, altri corrono alle armi, ma la presenza delle truppe spagnole li ritiene. I ribelli impauriti si riservano di vendicare in segreto col sangue del missionario l’ingiuria fatta ai loro dèi. Il ministro di Gesù Cristo, lungi dal nascondersi, si presenta loro intrepidamente. Lo Spirito Santo mette nella sua bocca parole sì persuasive, che i più irritati prorompono in pianto e corrono alla grotta, donde tolgono via il resto dei piccoli idoli e li gettano nel fuoco, che aveva consumati i primi. Di più, indicano ai missionari altre caverne, nelle quali si trovavano ancora degl’idoli, e si commettevano somiglianti orrori [Hist. gen. des miss., t. Il, part. 1, p. 122]. Ecco quel che accadeva nel regno della Nuova Granata, prima della predicazione del Clericalismo! Ed oggi vogliono sterminarlo! E dicono che tutte le religioni sono egualmente buone!

CAPITOLO XXXI

L’AMERICA DEL SUD.

(Continuazione)

I.

Prima d’arrivare ai Mussi, popoli anch’essi dell’America meridionale, passiamo a Cartagena, dove nel 1589 fecesi un’importante scoperta. Avendo l’arcivescovo di questa nuova città permesso ai religiosi riformati di San Francesco ed agli eremiti di Sant’Agostino fondar dei conventi, il padre Alfonso, eremita di Sant’Agostino, desiderò che il suo fosse fabbricato in forma di romitaggio, sopra un’alta collina rivestita di alberi.

II.

Scavandosi le fondamenta dell’edificio si trovò un sotterraneo ripieno d’idoli, dove alcuni indigeni tenevano ancora delle riunioni clandestine, e offrivano vittime umane al demonio. Questi idoli furono quali bruciati quali ridotti in pezzi, e la cappella che il padre Alfonso innalzò sul luogo stesso, per tanto tempo profanato, divenne celebre pel concorso e la venerazione dei fedeli [Touron, Hist., t. XIII, p. 463].

III.

Dopo l’apparizione degli Spagnoli nel paese che più tardi formò il governo di Santa Marta, furono scoperti i Mussi, popoli quanto feroci altrettanto corrotti, i quali si nutrivano di carne umana cruda, sovente tagliata su di un uomo tuttora vivo. Questi esseri, sì profondamente corrotti, abitavano le foreste ed alcune montagne fra il paese di Venezuela, e l’estrema frontiera del nuovo regno di Granata.

IV.

Non si vedevano presso questi antropofagi né tempi, né altari, né idoli; due piramidi, molto discoste l’una dall’altra, erano l’unico oggetto del loro culto; piramidi sì alte che la loro sommità sembrava perdersi nelle nuvole, e la cui base occupava almeno un quarto di lega. Una di queste piramidi esisteva ancora intera al decimosettimo secolo; ma la sommità dell’ altra era stata portata via da un vento impetuoso. Quei popoli davano all’una il nome di Dea madre, ed all’altra quello di Dea figlia. Ai piedi di queste ridicole divinità sgozzavano vittime umane, di cui spargevano il sangue e divoravano i brani più grati al loro gusto, prima che tali vittime avessero dato l’ultimo respiro. [Tuuron, Hist. t. XIV, p. 241,].

V.

A somiglianza della maggior parte de’popoli dell’Europa pagana, i Mussi trattavano da nemici tutti gli stranieri che osavano associarsi agli omaggi resi alle loro piramidi, che chiamavano loro divinità tutelari. Alcuni dei più superstiziosi fra i loro vicini, azzardavano talora questo pericoloso pellegrinaggio; ma essi avevano cura di circondarsi di mistero; sapendo che, sorpresi nei loro tentativi, sarebbero mangiati vivi.

VI.

I Mussi erano particolarmente formidabili per le loro armi, le quali erano avvelenate col veleno mortale dell’aspide. Essi tuffavano in questo veleno micidiale non pure le frecce, ma anche le spine che spargevano ovunque traessero i loro avversari. Chiunque si trovava ferito, leggiera che si fosse la piaga, non tardava a vedere le sue carni cadere a brani.

VII.

L’orgoglio di questi cannibali eguagliava la loro ignoranza, la loro ferocia e la loro depravazione. Caduti nell’ultimo grado dell’umanità, si credevano essi i più saggi, i più nobili ed i più fortunati degli uomini. Di qui il loro grande disprezzo per ogni istruzione, e per chiunque volesse istruirli. Questa folle presunzione, congiunta alla più brutale ferocia, avrebbe fatto disperare di loro conversione, se la grazia divina non fosse stata capace di suscitar dalle pietre stesse figliuoli ad Abramo.

VIII.

Molti missionarii diedero la vita nella coraggiosa impresa di cacciar satana da questo covile, che pareva impenetrabile. Cosi il sangue de martiri fecondò questa terra ingrata, e dodici popoli che l’abitavano, richiamati dall’estremo della barbarie alla dignità umana, furono inalzati fino al carattere di cristiano [Touron, Hist. t. XIV, p. 241]. Ecco quel che accadeva presso i Mussi prima della predicazione del Clericalismo! Ed oggi vogliono sterminarlo! E dicono che tutte le religioni sono egualmente buone!

IX.

Per rapporto ai costumi, era vi molta analogia fra i Mussi e i Picaos loro vicini. Questi avevano pure un carattere particolare di ferocia. Usi a vivere da animali carnivori, si nutrivano di carne umana, di cui avevano pubblici macelli. Le loro frecce erano come quelle de’ Mussi avvelenate; e ne avevano altre che mettevano fuoco a qualunque combustibile toccassero. Armi funeste, con le quali portavano il terrore in tutte le tribù vicine. Allorché nel 1605, il presidente della Nuova Granata assali i Picaos nel proprio territorio, le frecce del nemico volarono fino al campo degli Spagnuoli, e ne bruciarono le tende, i bagagli e i viveri. Nondimeno, questi terribili selvaggi subirono l’influenza del Clericalismo e divennero dolci siccome agnelli. L’eccellente padre Mancera rallegravasi in Dio del successo che veniva ottenendo in una delle provincie del regno della Nuova Granata. Volando a nuove conquiste, arrivò nella provincia di Guacheta; vi predicò e vi guadagnò un certo numero di anime.

X.

Passeggiando un giorno per la campagna, incontrò un ecclesiastico che gli diede le seguenti informazioni: « In certe epoche dell’anno, gli disse, i Guachetani ed una tribù vicina si recano a truppa in un medesimo luogo, ed ivi si danno ad un preteso giuoco appellato mona, ma che è un vero combattimento dove i vincitori e i vinti spargono moltissimo sangue, e che termina con sacrifici umani. »

XI.

Il padre Mancera fu egli stesso testimone oculare della sanguinosa abominazione. Pregato d’andare a conferire il Battesimo ad un piccolo fanciullo in pericolo di morte, vi si portò con tutta fretta, accompagnato dal medesimo ecclesiastico. Amministrato il battesimo, i due missionari passeggiavano su di un’altura, donde scorsero le due popolazioni venire alle mani in una vasta pianura. Prendendo la via che menava al campo di battaglia, s’imbatterono in un idolo gigantesco e mostruoso, piantato sopra un piedistallo che era tutto insanguinato. E compresero essersi su quell’altare immolate vittime umane al demonio.

XII.

Invece di slanciarsi inutilmente in mezzo all’accanito combattimento, il padre Mancera, col cuore trafitto dal dolore, va diritto a Guacheta. Appena riunitisi come eran soliti attorno a lui quei cittadini, ei parla con fuoco su quanto aveva veduto. Commossi fino alle lacrime, i suoi uditori convengono non solo sulla realtà del delitto, ma aggiungono che in ciascuna settimana era scannnato sul piedistallo un innocente garzone di quattordici anni. Il missionario, profittando delle buone disposizioni dell’uditorio, ordina che coloro i quali vogliono essere riconosciuti per cristiani, lo seguano all’istante per eseguir quanto egli loro prescriverà. Si conduce dinanzi all’idolo, e lo fa rovesciare e trasportare sulla piazza pubblica di Guacheta.

XIII.

Intanto i combattenti nella pianura, informati del rapimento del loro dio, accorrono per riprenderlo e vendicarlo. Vedendoli approssimare accesi di collera, il padre non prova la minima emozione. La sua parola inspirata li rende immobili. Senza dire una parola, essi lo vedono sputare all’idolo, calpestarlo e ridurlo in fiamme. Confusi allora dall’impotenza della loro divinità, confessano altamente d’essere stati ingannati, siccome i padri loro, ed abbracciano sinceramente il Cristianesimo. Ecco quel che accadeva a Guacheta prima della predicazione del Clericalismo! Ed oggi vogliono sterminarlo! E dicono che tutte le religioni sono egualmente buone! [Continua …]

DONI DELLO SPIRITO SANTO

 

[Dom Guéranger: “Anno liturgico”, vol II]

Durante tutta questa settimana dovremo esporre le diverse operazioni dello Spirito Santo nella Chiesa e nelle anime dei fedeli; ma è necessario, fin da oggi, anticipare l’insegnamento che abbiamo a presentare. Ci sono dati sette giorni per conoscere e studiare il Dono supremo che il Padre e il Figlio hanno voluto inviarci, e lo Spirito, che procede dai due, si manifesta in sette modi nelle anime. È dunque giusto che ogni giorno di questa settimana sia consacrato ad onorare ed a raccogliere questo settenario di benefici, per mezzo dei quali dovrà operarsi la nostra salvezza e la nostra santificazione. I sette doni dello Spirito Santo sono sette fonti di energia che Egli degna deporre nelle nostre anime, quando vi penetra con la grazia santificante. Le grazie attuali mettono in movimento, simultaneamente o separatamente, quelle potenze divinamente infuse in noi, ed il bene soprannaturale e meritorio per la vita eterna si produce col consenso della nostra volontà. – Il Profeta Isaia, guidato dall’ispirazione divina, ci aveva fatto conoscere questi sette doni, nel brano in cui, descrivendo l’operazione dello Spirito Santo sull’anima del Figlio di Dio fatto uomo, che ci rappresenta come il fiore uscito dal ramo Verginale nato dal tronco di Jesse, ci dice: « Si poserà sopra di lui lo Spirito del Signore, Spirito di saviezza e discernimento. Spirito di consiglio e fortezza, Spirito di conoscenza e di pietà, e nel timore del Signore è la sua ispirazione » (Is. IX, 2-3). Niente di più misterioso che queste parole; ma si sente che ciò che esse esprimono non è una semplice enumerazione dei caratteri del divino Spirito, ma la descrizione degli effetti che opera nell’anima umana. Così l’ha compresa la tradizione cristiana, ed enunciata negli scritti degli antichi padri, e formulata con la teologia. – L’umanità sacra del Figlio di Dio incarnato è il tipo soprannaturale della nostra, e ciò che lo Spirito Santo ha operato in lei deve proporzionalmente aver luogo in noi. Egli ha deposto nel Figlio di Maria quelle sette forze che descrive il profeta; i medesimi doni sono stati preparati all’uomo rigenerato. Notiamo la successione che si manifesta nella loro serie. Isaia nomina prima lo Spirito di sapienza e finisce con quello del timor di Dio. La Sapienza è effettivamente, come vedremo, la più elevata delle prerogative alla quale possa giungere l’anima umana, mentre il Timor di Dio, secondo la profonda espressione del Salmista, non è che il principio e l’abbozzo di questa divina qualità. Si capisce facilmente che l’anima di Gesù chiamata a contrarre l’unione personale con il Verbo, sia stata trattata con una dignità particolare, in modo che il dono della Sapienza debba essere stato infuso in essa in una maniera primordiale, mentre il dono del Timor di Dio, qualità necessaria ad una natura creata, sia stata posta in lei soltanto come complemento. Per noi, al contrario, fragili e incostanti come siamo, il Timor di Dio è la base di tutto l’edificio ed è per mezzo suo che ci eleviamo di grado in grado fino a quella Sapienza che ci unisce a Dio. É dunque nell’ordine inverso di quello segnalato da Isaia nei riguardi del Figlio di Dio incarnato, che l’uomo s’innalza alla perfezione, per mezzo dei doni dello Spirito Santo, che gli sono stati conferiti nel Battesimo e che gli vengono resi nel Sacramento della riconciliazione, se ha avuto la sventura di perdere la grazia santificante per il peccato mortale. Ammiriamo con profondo rispetto l’augusto settenario, di cui troviamo l’impronta in tutta l’opera della nostra salvezza e della nostra santificazione. Sette sono le virtù che rendono l’anima gradita a Dio; per mezzo dei suoi sette Doni, lo Spirito Santo la conduce al suo fine; i sette Sacramenti le comunicano i frutti dell’Incarnazione e della Redenzione di Gesù Cristo; e, finalmente, dopo trascorse sette settimane dalla Pasqua, lo Spirito è mandato sulla terra per stabilirvi e consolidarvi il regno di Dio. Dopo tutto questo, noi non ci meraviglieremo che satana abbia cercato di fare una parodia sacrilega dell’opera divina, opponendole l’orribile settenario dei sette peccati capitali, per mezzo dei quali egli si sforza di perdere l’uomo che Dio vuole salvare.

IL DONO DEL TIMORE

L’orgoglio per noi è l’ostacolo al bene. È l’orgoglio che ci porta a resistere a Dio, a mettere il nostro fine in noi stessi; in una parola, a perderci. Solo l’umiltà può salvarci da un sì grande pericolo. Chi ce la darà? Lo Spirito Santo, infondendo in noi il dono del Timor di Dio. – Questo sentimento riposa sull’idea che la fede ci dà della maestà di Dio, in presenza del quale non siamo che un nulla; della sua Santità infinita, davanti alla quale non siamo che indegnità e sozzura; del giudizio sovranamente equo che dovrà esercitare su noi all’uscire da questa vita; e del pericolo di una caduta, sempre possibile, se non corrispondiamo alla grazia che non ci manca mai, ma alla quale possiamo resistere. – La salvezza dell’uomo si opera, dunque, « con timore e tremore », come c’insegna l’Apostolo (Fil. II, 12); ma questo timore, che è un dono dello Spirito Santo, non è un sentimento rudimentale che si limita a gettarci nello spavento al pensiero dei castighi eterni. Esso ci mantiene nella compunzione del cuore, anche quando i nostri peccati fossero da molto tempo perdonati; c’impedisce di dimenticare che siamo peccatori, che dobbiamo tutto alla misericordia divina, e che non siamo ancora salvi che in speranza (Rom. VIII, 24). – Questo timor di Dio non è dunque un timore servile, ma diviene, al contrario, la fonte dei sentimenti più delicati: può allearsi con l’amore, non essendo più che un sentimento filiale che teme il peccato a causa dell’oltraggio che reca a Dio. Ispirato dal rispetto della maestà divina, dal sentimento della sua santità infinita, colloca la creatura nel vero suo posto, e S. Paolo c’insegna che, purificandosi così, ci aiuta, « compiendo l’opera della nostra santificazione » (II Cor. IX, 27). È per questo che il grande Apostolo, che era stato rapito fino al terzo Cielo, ci confessa che è rigoroso verso se stesso « al fine di non essere condannato » (I Cor. IX, 27). – Lo spirito di indipendenza e di falsa libertà che regna oggi, contribuisce a rendere più raro il timor di Dio, ed è questa una delle piaghe del nostro tempo. La familiarità con Dio tiene troppo spesso il posto di questa disposizione fondamentale della vita cristiana, ed è allora che ogni progresso si arresta, l’illusione si introduce nell’anima, ed i sacramenti, che nel momento del ritorno a Dio avevano operato con tanta forza, divengono press’a poco sterili, E ciò accade perché il dono del timore è stato soffocato sotto la vana compiacenza dell’anima in se stessa. L’umiltà si è spenta; un orgoglio, segreto e universale, è venuto a paralizzare i movimenti di quell’anima, che arriva, senza accorgersene, a non conoscere più Iddio, per il fatto stesso che non trema più davanti a Lui. – Conservaci, dunque, o divino Spirito, il dono del timor di Dio, che hai diffuso in noi nel nostro Battesimo. Questo timore salutare ci assicurerà la perseveranza nel bene, arrestando il progresso dello spirito d’orgoglio. Che esso sia, dunque, come un dardo che attraversi la nostra anima da parte a parte, restandovi fissato sempre a nostra salvaguardia. Che esso abbassi la nostra alterigia, che ci strappi alla mollezza, rivelandoci, senza tregua, lo splendore e la santità di Colui che ci ha creati e che ci deve giudicare. Sappiamo, o divino Spirito, che questo beato timore non soffoca l’amore; ma, ben lungi da ciò, toglie, invece, gli ostacoli che impedirebbero il suo sviluppo. Le potenze celesti vedono ed amano ardentemente il Sommo Bene, e se ne sono inebriate per l’eternità; e, nondimeno, tremano di fronte a quella temibile maestà: « tremunt Potestates ». E noi, ricoperti dalle cicatrici del peccato, pieni d’imperfezione, esposti a mille insidie, obbligati a lottare contro tanti nemici, non sentiremo, forse, che dobbiamo stimolare con un forte timore filiale, nello stesso tempo, la nostra volontà che si addormenta così facilmente e il nostro spirito assediato da tante tenebre? Veglia sulla tua opera, o divino Spirito! Preserva in noi il dono prezioso che ti sei degnato di farci; insegnaci a conciliare la pace e la gioia del cuore con il timor di Dio, secondo questo avvertimento del Salmista: « Servite a Dio con timore e rendetegli omaggio con tremore» (Sai. II, 11).

PREGHIAMO

O Dio, che oggi hai ammaestrati i cuori dei fedeli con la luce dello Spirito Santo, donaci di gustare nello stesso Spirito la verità e di godere sempre della sua consolazione. 

IL DONO DELLA PIETÀ

Il Dono del Timor di Dio è destinato a guarire in noi la piaga dell’orgoglio; il dono della Pietà viene diffuso dallo Spirito Santo nelle nostre anime per combattere l’egoismo che è una delle cattive passioni dell’uomo decaduto, ed il secondo ostacolo alla sua unione con Dio. Il cuore del cristiano non deve essere né freddo né indifferente; bisogna che sia tenero e pronto alla dedizione; altrimenti non potrebbe elevarsi nella via nella quale Dio, che è amore, si è degnato di chiamarlo. Lo Spirito Santo produce, dunque, nell’uomo il dono della Pietà, ispirandogli una reciprocità filiale verso il suo Creatore. « Avete ricevuto lo Spirito d’adozione filiale, per il quale esclamiamo: Abba! o Padre! » (Rom. VIII, 15). Questa disposizione rende l’anima sensibile a tutto ciò che tocca l’onore di Dio. Fa sì che l’uomo coltivi in se stesso la compunzione dei peccati, vedendo l’infinita bontà di Colui che si è degnato di sopportarlo e perdonarlo, e pensando alle sofferenze ed alla morte del Redentore. L’anima iniziata al dono della Pietà desidera costantemente la gloria di Dio; vorrebbe condurre tutti gli uomini ai suoi piedi, e gli oltraggi che egli riceve sono particolarmente dolorosi per essa. La sua gioia è di vedere il progresso delle anime nell’amore, e gli atti di dedizione che esso ispira loro verso Colui che è il sommo bene. Piena di sottomissione filiale verso questo Padre universale che è nei Cieli, ella si tiene pronta per fare in tutto la sua volontà, e si rassegna di cuore a tutte le disposizioni della sua provvidenza. – La sua fede è semplice e viva. Ella resta amorosamente sottomessa alla Chiesa, sempre pronta a rinunciare anche alle sue idee più care, se dovessero scostarsi in qualche cosa dai suoi insegnamenti o dalle sue pratiche, avendo un orrore istintivo della novità e dell’indipendenza. Questo sentimento di dedizione a Dio che ispira il dono della Pietà, unendo l’anima al suo Creatore con affetto filiale, la unisce con affetto fraterno a tutte le creature, poiché esse sono l’opera della potenza di Dio e Gli appartengono. In prima linea, tra le affezioni del cristiano, animato dal dono della Pietà, si pongono quelle verso le creature glorificate, delle quali Dio gode eternamente e che, a loro volta, godono pure per sempre di Lui. Egli ama teneramente Maria, è geloso del suo onore; venera amorosamente i Santi; ammira con effusione il coraggio dei martiri, e gli atti eroici di virtù compiuti dagli amici di Dio; si diletta dei loro miracoli, e onora devotamente le loro sacre reliquie. Ma la sua affezione non si limita solamente alle creature già coronate nel cielo; quelle che sono ancora sulla terra tengono pure un gran posto nel suo cuore. Il dono della Pietà gli fa trovare in esse lo stesso Gesù. La sua benevolenza verso i fratelli è universale. Il suo cuore è disposto al perdono delle ingiurie, a sopportare le altrui imperfezioni, alla scusa verso i torti del prossimo. Egli è compassionevole verso i poveri, sollecito verso gli infermi. Una affettuosa dolcezza rivela il fondo del suo cuore; e nei rapporti con i suoi fratelli della terra lo si vede sempre disposto a piangere con quelli che piangono, a rallegrarsi con quelli che sono nella gioia. – Tali sono, o divino Spirito, le disposizioni di coloro che coltivano il dono della Pietà, che hai riversato nelle anime loro. Per mezzo di questo ineffabile favore, neutralizzi quel triste egoismo che sciuperebbe il loro cuore, li liberi da quell’odiosa aridità che rende l’uomo indifferente verso i suoi fratelli, e chiudi la sua anima all’invidia e all’odio. Per tutto ciò non è stata necessaria che questa pietà filiale verso il creatore; essa ha intenerito il suo cuore, ed il cuore si è impregnato di una viva affezione per tutto ciò che è uscito dalle mani di Dio. Fa’ fruttificare in noi un sì prezioso dono; non permettere che esso venga soffocato con l’amore di noi stessi. Gesù ci incoraggia dicendoci che il Padre celeste « fa sorgere il suo sole sopra cattivi e buoni » (Mt. V, 45). Non permettere, o divino Paracleto, che una tale paterna indulgenza sia un esempio perduto per noi, e degnati di sviluppare nelle anime nostre questo seme di dedizione, di benevolenza e di compassione che vi hai posto nello stesso momento in cui ne prendevi possesso per mezzo del Santo Battesimo.

IL DONO DELLA SCIENZA

L’anima che è stata distaccata dal male mediante il timor di Dio, ed aperta ai nobili affetti dal dono della pietà, sente il bisogno di sapere con quali mezzi eviterà ciò che forma l’oggetto della sua paura e potrà trovare ciò che deve amare. Lo Spirito Santo viene in suo aiuto; e le porta quanto desidera, diffondendo in essa il dono della scienza. Con questo dono prezioso, le appare chiaramente la verità, capisce ciò che Dio domanda e ciò che Dio riprova, ciò che deve cercare e ciò che deve fuggire. Senza la scienza divina, con la nostra vista corta, rischiamo di perderci, a causa delle tenebre che troppo spesso oscurano in tutto od in parte l’intelligenza dell’uomo. Queste tenebre, prima di tutto, provengono dal fondo di noi stessi, che portiamo ancora le tracce troppo reali della nostra decadenza. Esse hanno anche, come causa, i pregiudizi e le massime del mondo, le quali, ogni giorno, falsano spiriti, che pur si credevano fra i più retti. E finalmente l’azione di satana, il principe delle tenebre, esercitata in gran parte con lo scopo di circondare la nostra anima di oscurità, o di perderla coll’aiuto di falsi miraggi. La fede, che ci è stata infusa nel Battesimo, è la luce dell’anima nostra. Per mezzo del dono della scienza, lo Spirito Santo fa rilucere questa virtù di vividi raggi, atti a dissipare tutte le tenebre. – Si schiariscono allora i dubbi, svanisce l’errore, e la verità appare in tutto il suo splendore. Si vede ogni cosa sotto la vera luce, che è quella della fede. Si scoprono i deplorevoli errori che si diffondono per il mondo, che seducono un sì gran numero di anime, e dei quali, forse, noi stessi siamo stati a lungo le vittime. Il dono della scienza ci rivela il fine che Dio si è proposto nella creazione, quel fine, all’infuori del quale gli esseri non saprebbero trovare né il bene né il riposo. C’insegna l’uso che noi dobbiamo fare delle creature, che ci sono state date, non per essere uno scoglio, ma per aiutarci nel cammino verso Dio. Manifestandoci così il segreto della vita, la nostra strada diventa sicura, non esitiamo più; e ci sentiamo disposti a ritirarci da ogni via che non ci conduce verso tale fine. – È a questa scienza, dono dello Spirito Santo, che l’Apostolo si rivolge quando, parlando ai cristiani, dice loro: « Un tempo eravate tenebre, ora invece siete luce nel Signore: diportatevi da figlioli della luce » (Ef. V, 8). Da essa viene quella fermezza, quella sicurezza della condotta cristiana. L’esperienza può mancare qualche volta, e il mondo si meraviglia all’idea dei passi falsi che sono da temere; ma il mondo conta senza il dono della scienza. « Il Signore conduce il giusto per le vie rette, e per assicurare i suoi passi gli ha dato la scienza dei santi » (Sap. X, 10). – Questa lezione ci viene data ogni giorno. Il cristiano, per mezzo della luce soprannaturale, sfugge a tutti i pericoli, e, se non ha esperienza propria, ha quella di Dio. – Sii benedetto, divino Spirito, per questa luce che diffondi su di noi, che ci mantieni con sì amabile perseveranza. Non permettere che ne cerchiamo mai un’altra. Ella sola ci basta; e all’infuori di essa non vi sono che tenebre. Proteggici dalle tristi conseguenze, alle quali molti si lasciano andare imprudentemente, accettando oggi la tua guida e abbandonandosi l’indomani ai pregiudizi del mondo; camminando così in una doppia via che non soddisfa né il mondo né Te. Ci occorre, quindi, l’amore di questa scienza, che ci hai dato affinché fossimo salvi; questa scienza salutare rende geloso il nemico delle anime nostre, che vorrebbe sostituire le sue ombre. Non permettere, divino Spirito, che riesca nel suo perfido disegno, ed aiutaci sempre a discernere ciò che è vero da ciò che è falso, ciò che è giusto da ciò che è ingiusto. Che, secondo la parola di Gesù, il nostro occhio sia semplice, affinché il corpo, ossia l’insieme delle nostre azioni, dei nostri desideri e dei nostri pensieri, resti nella luce (Mt. VI, 23); e salvaci da quell’occhio che Gesù chiama cattivo e che rende tenebroso l’intero corpo.

IL DONO DELLA FORTEZZA

Il dono della scienza ci ha insegnato ciò che dobbiamo fare e ciò che dobbiamo evitare per essere conformi al disegno di Gesù Cristo, nostro divino Capo. Bisogna adesso che lo Spirito Santo stabilisca in noi il principio dal quale poter attingere l’energia che dovrà sostenerci nella via che ci ha indicato poco fa. Infatti noi sappiamo che incontreremo certamente degli ostacoli, ed il gran numero di quelli che soccombono basta a convincerci della necessità che abbiamo di essere aiutati. Questo soccorso ci viene dallo Spirito divino che ci comunica il dono della fortezza, per mezzo del quale, se noi saremo fedeli a servircene, ci sarà possibile, ed anche facile, trionfare di tutto ciò che potrebbe arrestare il nostro cammino. – Nelle difficoltà e nelle prove della vita, l’uomo ora è portato alla debolezza e all’abbattimento, ora è spinto da un ardore naturale che ha la sua sorgente nel temperamento o nella vanità. Questa doppia disposizione porterebbe raramente la vittoria nella lotta che l’anima deve combattere per la sua salvezza. Lo Spirito Santo ci porta dunque un elemento nuovo: questa forza soprannaturale, talmente propria in Lui, che il Salvatore, istituendo i sacramenti, ne ha stabilito uno che ha per oggetto speciale di darci questo divino Spirito come principio di energia. È fuori dubbio che, dovendo lottare durante questa vita contro il demonio, il mondo e noi stessi, ci occorre ben altro per resistere che la pusillanimità o l’audacia. Abbiamo bisogno di un dono che moderi in noi la paura, e, nello stesso tempo, che temperi la fiducia che noi saremmo portati a mettere in noi stessi. L’uomo, modificato così dallo Spirito Santo, vincerà sicuramente; poiché la grazia supplirà in lui alla debolezza della natura e, nel medesimo tempo, correggerà la sua foga. – Due necessità si incontrano nella vita del cristiano: egli deve saper resistere e deve saper sopportare. Che potrebbe opporre alle tentazioni di Satana, se la forza del divino Spirito non venisse a ricoprirlo di un’armatura celeste e ad agguerrire il suo braccio? Il mondo non è forse anche il suo avversario terribile, se si considera il numero delle vittime che fa ogni giorno con la tirannia delle sue massime e delle sue pretese? Quale deve essere, dunque, l’assistenza del divino Spirito, quando si tratta di rendere il cristiano invulnerabile ai dardi che uccidono e che fanno tante rovine intorno a lui? Le passioni del cuore dell’uomo non sono un ostacolo minore alla sua salvezza ed alla sua santificazione: ostacolo tanto più temibile in quanto è più intimo. Bisogna che lo Spirito Santo trasformi il cuore, che lo trascini anche a rinunziare a se stesso, quando la luce celeste c’indicherà una via diversa da quella verso la quale ci spinge l’amore della ricerca di noi stessi. Quale forza divina ci vuole, per « odiare la propria vita », quando Gesù Cristo lo esige (Gv. XII, 25), quando si tratta di fare la scelta tra due padroni il cui servizio è incompatibile? (Mt. VI, 24). Lo Spirito Santo fa ogni giorno questi prodigi per mezzo del dono che ha diffuso in noi, se noi non lo disprezziamo, se non lo soffochiamo nella nostra viltà e nella nostra imprudenza. Insegna al cristiano a dominate le passioni, a non lasciarsi condurre da queste cieche guide, a non cedere ai suoi istinti che quando essi sono conformi all’ordine che Dio ha stabilito. – Qualche volta questo divino Spirito non domanda solamente al cristiano di resistere interiormente ai nemici dell’anima, ma esige che protesti apertamente contro l’errore ed il male, se il dovere di stato o la sua posizione lo reclamano. È allora che bisogna affrontare quella specie d’impopolarità che spesso si riversa sul cristiano, e che non dovrà sorprenderlo, ricordandosi le parole dell’Apostolo: « Se io cercassi di piacere agli uomini non sarei servo di Cristo » (Gal. I, 10). Ma lo Spirito Santo non manca mai, e quando Egli trova un’anima risoluta ad usare della forza divina di cui Egli è la sorgente, non solamente le assicura il trionfo, ma ordinariamente la stabilisce in quella pace, piena di dolcezza e di coraggio, che ci porta la vittoria sulle passioni. – Tale è la maniera con la quale lo Spirito Santo applica il dono della fortezza nel cristiano, quando questi è obbligato alla resistenza. Abbiamo detto che questo prezioso dono ci dà nello stesso tempo l’energia necessaria per sopportare le prove che formano il prezzo della nostra salvezza. Vi sono degli spaventi che agghiacciano il coraggio e possono trascinare l’uomo alla perdizione. Il dono della fortezza li dissipa; li rimpiazza con una calma ed un senso di sicurezza sconcertanti per la natura. Guardate i martiri, e non solamente S. Maurizio, capo della legione Tebea, abituato alle lotte del campo di battaglia; ma una Felicita, madre di sette figli, una Perpetua, nobile dama di Cartagine, per la quale il mondo non aveva che favori; una Agnese, fanciulla di tredici anni, e tante altre migliaia, e dite se il dono della fortezza è sterile nei sacrifici. Dov’è andata la paura della morte, il cui solo pensiero qualche volta ci opprime? E quelle generose offerte di tutta una vita immolata nella rinuncia e nelle privazioni, per trovare unicamente Gesù e seguirne le tracce più da vicino! E tante esistenze nascoste agli sguardi distratti e superficiali degli uomini, esistenze in cui l’elemento principale è il sacrificio, in cui la serenità non si lascia mai vincere dalla prova, in cui la croce, che si moltiplica sempre, sempre viene accettata! Quali trofei per lo Spirito di fortezza! Quali atti di dedizione al dovere Egli sa generare! E se l’uomo, per se stesso è poca cosa, come cresce in dignità sotto l’azione dello Spirito Santo! È ancora Lui che aiuta il cristiano a superare la brutta tentazione del rispetto umano, elevandolo al di sopra delle considerazioni mondane che gli detterebbero un’altra condotta. È Lui che spinge l’uomo a preferire la gioia di non aver violato i comandamenti del suo Dio, a quella frivola di seguire gli onori del mondo. È questo Spirito di fortezza che fa accettare gli infortuni quali altrettanti disegni misericordiosi del Cielo; che sostiene il coraggio del cristiano nella perdita così dolorosa di esseri cari, nelle sofferenze fisiche che gli renderebbero la vita pesante, se non sapesse che esse sono le visite del Signore. È Lui, finalmente, come lo leggiamo nella vita dei Santi, che si serve delle stesse ripugnanze della natura, per provocare quegli atti eroici in cui la creatura umana sembra aver sorpassato il limite del suo essere per elevarsi al rango degli spiriti impassibili e glorificati. – Spirito di fortezza, resta sempre più in noi, e salvaci dalla mollezza di questo secolo. In nessun’altra epoca l’energia delle anime è stata più debole, lo spirito mondano ha maggiormente trionfato, il sensualismo si è fatto più insolente, l’orgoglio e l’indipendenza più pronunciati. Saper essere forti contro se stessi, è una rarità che eccita lo stupore in coloro che ne sono testimoni: tanto le massime del Vangelo hanno perduto terreno. Trattienici su questo pendio che, come tanti altri, ci trascinerebbe al male, o divino Spirito! Permetti che noi ti indirizziamo, in forma di domanda, quei voti che Paolo formulava per i cristiani di Efeso, e che noi osiamo reclamare dalla tua generosità, l’armatura di Dio che ci permetterà di tener duro nel giorno cattivo e di rimanere perfetti in tutte le cose. Cingi i nostri fianchi con la verità, rivestici della corazza della giustizia, e calzaci i piedi con l’alacrità che dà il Vangelo di pace. Armaci dello scudo della fede, col quale potremo estinguere i dardi infuocati del maligno; metti sul nostro capo l’elmo della speranza per la salvezza e nelle mani la spada dello Spirito, che è la parola di Dio (Cfr, Ef. VI, 11-17), con l’aiuto del quale, come il Signore nel deserto, noi possiamo riportare la vittoria su tutti i nostri avversari. Spirito di fortezza, fa’ che così sia.

IL DONO DEL CONSIGLIO

Il dono della fortezza di cui abbiamo riconosciuto la necessità nell’opera di santificazione del cristiano, non sarebbe sufficiente per assicurare questo grande risultato, se il divino Spirito non avesse preso cura di unirlo ad un altro dono che lo segue e che previene da ogni pericolo. Questo nuovo beneficio consiste nel dono del consiglio. – La fortezza non si potrebbe lasciare abbandonata a se stessa; le è necessario un elemento che la diriga. Il dono della scienza, non potrebbe esserlo, perché, se illumina l’anima sul suo fine e sulle regole generali della condotta che deve tenere, non porta una luce sufficiente sulle applicazioni speciali della legge di Dio e sulla direzione della vita. Nelle diverse situazioni in cui potremmo essere posti, nelle decisioni che potremmo aver bisogno di prendere, è necessario che sentiamo la voce dello Spirito Santo, ed è per mezzo del dono del consiglio che questa voce divina arriva fino a noi. Essa ci dice, se vogliamo ascoltarla, ciò che dobbiamo fare e ciò che dobbiamo evitare; ciò che dobbiamo dire e ciò che dobbiamo tacere; ciò che possiamo conservare e ciò cui dobbiamo rinunziare. Per mezzo del dono del consiglio, lo Spirito Santo agisce sulla nostra intelligenza, nello stesso modo che, col dono della fortezza, agisce sulla nostra volontà. Questo dono prezioso deve essere applicato durante tutta la nostra vita; perché continuamente ci dobbiamo decidere per un partito o per l’altro; e deve essere causa di una grande riconoscenza verso lo Spirito divino il pensiero che Egli non ci lascia mai abbandonati a noi stessi finché siamo disposti a seguire la direzione che ci imprime. Quanti agguati può farci evitare! quante illusioni può distruggere in noi! quante realtà ci fa scoprire! ma, per non perdere le sue ispirazioni, bisogna che ci salvaguardiamo dalle attrattive naturali che, troppo spesso, influiscono sulle nostre decisioni: dalla temerità che ci trascina secondo il piacere delle passioni; dalla precipitazione che ci rende troppo solleciti nel giudicare e nell’agire, anche quando non abbiamo ancora visto che un lato delle cose; e, finalmente, dall’indifferenza che fa sì che noi decidiamo a caso, per timore di affaticarci nella ricerca di ciò che sarebbe per il meglio. Lo Spirito Santo, col dono del consiglio, strappa l’uomo a tutti questi inconvenienti. Corregge la natura così spesso eccessiva, quando non è apatica. Mantiene l’anima attenta a ciò che é vero, a ciò che è buono, a ciò che le è veramente vantaggioso. Le insinua questa virtù, che è il complemento ed il nutrimento necessario per far sviluppare tutte le altre; intendiamo dire la discrezione, di cui ha il segreto, per mezzo della quale le virtù si conservano, si armonizzano e non degenerano in difetti. Sotto la direzione del dono del consiglio il cristiano non ha nulla da temere; lo Spirito Santo prende su di sé la responsabilità di tutto. Che importa, dunque, che il mondo condanni o critichi, che si stupisca o si scandalizzi? Il mondo si crede saggio; ma non ha il dono del consiglio. Per questo accade spesso che le risoluzioni prese sotto la sua ispirazione portano ad un fine ben diverso da quello che si era proposto. E doveva essere così; poiché è adesso che il Signore ha detto: « non quali i miei pensieri sono i pensieri vostri, né quale la vostra condotta è la mia » (Is. LV. 8).Domandiamo, dunque, con tutto l’ardore del nostro desiderio, il dono divino che ci preserverà dal pericolo di guidarci da noi stessi. Ma comprendiamo pure che questo dono non abita che in coloro che lo stimano abbastanza, per rinunciare a se medesimi in sua presenza. – Se lo Spirito Santo ci trova staccati dalle idee umane, convinti della nostra fragilità, si degnerà di essere il nostro Consiglio, mentre se ci credessimo savi di fronte ai nostri occhi, ritirerebbe la sua luce e ci lascerebbe a noi stessi. Non vogliamo che ci accada questo, o divino Spirito! Per esperienza sappiamo troppo che non ci è di vantaggio di correre i rischi della prudenza umana, e abdichiamo sinceramente, di fronte a Te, le pretese del nostro spirito, così pronto ad abbagliarsi e a farsi delle illusioni. Conserva e degnati di sviluppare in noi, in piena libertà, questo dono ineffabile che ci hai concesso nel Battesimo: sii per sempre il nostro consiglio: « Facci conoscere le tue vie, e insegnaci i tuoi sentieri. Dirigici nella Verità e ci istruisci; poiché è da te che ci verrà la salvezza, ed è per questo che noi ci attacchiamo alla tua condotta » (Sal. CXVIII). Noi sappiamo che saremo giudicati su tutte le nostre opere e su tutte le nostre intenzioni; ma sappiamo anche che non avremo niente da temere finché saremo fedeli alla tua guida. Staremo, dunque, attenti « ad ascoltare ciò che dice in noi il Signore nostro Dio » (Sal. LXXXIV, 9), lo Spirito del Consiglio, sia che egli ci parli direttamente sia che ci rimandi all’istrumento che avrà scelto per noi. Sii dunque benedetto. Gesù, che ci hai inviato lo Spirito per essere la nostra guida, e benedetto sia questo divino Spirito, che si degna di darci sempre la sua assistenza, e che le nostre resistenze passate non hanno allontanato da noi!

IL DONO DELL’INTELLETTO

Questo sesto dono dello Spirito Santo fa entrare l’anima in una via superiore a quella nella quale si è intrattenuta fin qui. I cinque primi doni tendono tutti all’azione. Il timor di Dio rimette l’uomo al suo posto, umiliandolo; la pietà apre il suo cuore agli affetti divini; la scienza gli fa discernere la via della salvezza dalla via della perdizione; la fortezza lo arma per la lotta; il consiglio lo dirige nei pensieri e nelle opere; egli dunque adesso può agire e proseguire nella sua strada con la speranza di arrivare al termine. Ma la bontà del divino Spirito gli riserva anche altri favori. Ha risolto di farlo godere, fin da questo mondo, di un preludio della felicità che gli riserva nell’altra vita. Sarà il mezzo per rendere sicuro il suo cammino, per animare il suo coraggio, per ricompensare i suoi sforzi. D’ora in avanti gli sarà dunque aperta la via della contemplazione, ed il divino Spirito ve lo introdurrà per mezzo dell’Intelletto. A questa parola di « contemplazione », forse molte persone si agiteranno, persuase, a torto, che l’elemento che significa non potrebbe incontrarsi che nelle rare condizioni di una vita passata nel ritiro e lontana dal commercio degli uomini. É un grave e pericoloso errore, che troppo spesso arresta lo slancio delle anime. La contemplazione è uno stato nel quale viene chiamata, in una certa misura, qualunque anima che cerchi Iddio. Essa non consiste nei fenomeni che lo Spirito Santo si compiace di manifestare in alcune persone privilegiate, e che destina a provare la realtà della vita soprannaturale. Essa è, semplicemente, quella relazione più intima che si stabilisce tra Dio e l’anima che gli è fedele nell’azione; a quest’anima, se non mette ostacoli, sono riservati due favori, di cui il primo è il dono dell’Intelletto, che consiste nell’illuminazione dello spirito rischiarato ormai da una luce superiore. Questa luce non toglie la fede, ma rischiara l’occhio dell’anima, fortificandola, dandole una più estesa visuale delle cose divine. Molte nubi svaniscono, perché provenivano dalla debolezza e dalla grossolanità dell’anima, non ancora iniziata. Si rivela la bellezza, piena d’incanto, di quei misteri che non si sentivano che vagamente; appariscono ineffabili armonie, che non si supponevano neppure esistere. Non è il vedere a faccia a faccia, cosa riservata per il giorno eterno; ma non è già più quel debole barlume che dirigeva i nostri passi. Un insieme di analogie, di convenienze, che successivamente si mostrano all’occhio dello spirito, vi portano una dolce certezza. L’anima si dilata a questo chiarore che arricchisce la fede, accresce la speranza e sviluppa l’amore. Tutto le sembra nuovo; e, quando essa volge indietro lo sguardo, fa il paragone, e vede chiaramente che la verità, sempre la stessa, è adesso da lei afferrata in una maniera incomparabilmente più completa. – La narrazione dei Vangeli l’impressiona assai più; trova un sapore per lei sconosciuto fino allora nelle parole del Salvatore. Comprende assai meglio il fine che si è proposto istituendo i sacramenti. La Sacra Liturgia la commuove con le sue formule così maestose ed i suoi riti così profondi. La lettura della Vita dei Santi l’attira, niente la meraviglia nei loro sentimenti e nei loro atti. Gusta i loro scritti più che tutti gli altri, e sente un accrescimento di benessere spirituale, avvicinando questi amici di Dio. Circondata dei più disparati doveri, la fiaccola divina la guida per adempierli tutti. Le virtù così diverse che deve praticare si conciliano nella sua condotta; l’una non è mai sacrificata all’altra, perché vede l’armonia che deve regnare fra di esse. Vive lontano dallo scrupolo, come dal rilassamento, ed è sempre pronta a riparare i falli che ha potuto commettere. Qualche volta il divino Spirito l’istruisce anche con una parola interiore che la sua anima comprende e che le serve a chiarire la sua situazione con una nuova luce. D’ora in avanti il mondo e i suoi vani errori vengono apprezzati per quel che valgono, e l’anima si purifica dai resti di quell’attaccamento e di quella compiacenza che poteva ancora conservare al riguardo. Ciò che è grande e bello secondo la natura, sembra vile e misero a quest’occhio che lo Spirito Santo ha aperto agli splendori ed alle bellezze divine ed eterne. Un solo lato riscatta ai suoi occhi questo mondo esteriore, che forma l’illusione dell’uomo sensuale: è che la creatura visibile, che porta la traccia della beltà di Dio, è suscettibile di servire alla gloria del suo Autore. L’anima impara ad usarne, unendovi atti di ringraziamento, rendendola soprannaturale, glorificando col Re-Profeta colui che ha lasciato l’impronta dei suoi tratti e della sua bellezza in questa moltitudine di esseri che servono così spesso alla perdita dell’uomo, mentre sono chiamati a divenire la scala che lo dovrebbe condurre a Dio. – Il dono dell’Intelletto diffonde anche nell’anima la conoscenza della propria via. Le fa comprendere quanto sono stati saggi e misericordiosi i disegni superni che, qualche volta, l’hanno spezzata e trasportata là, ove non contava di andare. Ella vede che, se fosse stata padrona di disporre della sua esistenza, avrebbe mancato al suo fine, e che Dio ve l’ha fatta arrivare nascondendole in principio i disegni della sua paterna sapienza. Adesso è felice, poiché gode la pace, ed il suo cuore non sa come ringraziare adeguatamente Iddio che l’ha condotta al termine, senza consultarla. Se capita che sia chiamata a dare consigli, ad esercitare una direzione, per dovere o per motivi caritatevoli, possiamo affidarci a lei; il dono dell’Intelletto l’illumina per gli altri come per se stessa. Non si ingerisce, però, a dare lezioni a coloro che non gliene domandano; ma se viene interrogata, risponde, e le sue risposte sono luminose come la fiaccola che la rischiara. Tale è il dono dell’Intelletto, vera illuminazione dell’anima cristiana, che si fa sentire ad essa in proporzione della fedeltà che ha nel far uso degli altri doni. Questo si conserva con l’umiltà, la moderazione dei desideri ed il raccoglimento interiore. Una condotta dissipata ne arresterebbe lo sviluppo e potrebbe anche soffocarlo. – Quest’anima fedele può conservarsi raccolta pure in una vita occupata e riempita da mille doveri, pure in mezzo a distrazioni obbligatorie, alle quali l’anima si presta senza abbandonarvisi. Che essa sia dunque semplice, che sia piccina ai suoi propri occhi e, quel che Dio nasconde ai superbi e rivela ai piccoli (Lc. X, 21), le sarà manifestato e dimorerà in essa. Nessun dubbio che un tale dono sia un aiuto immenso per la salvezza e la santificazione dell’anima. Noi dobbiamo dunque implorarlo dal divino Spirito con tutto l’ardore del nostro desiderio, essendo ben convinti che lo raggiungeremo più sicuramente con lo slancio del cuore, che non con lo sforzo dello spirito. È vero che la luce divina, che è l’oggetto di questo dono, si diffonde nell’intelligenza; ma la sua effusione proviene soprattutto dalla volontà, riscaldata dal fuoco della carità, secondo la parola di Isaia: « Credete, e voi avrete l’intelligenza » (3). Rivolgiamoci allo Spirito Santo e, servendoci delle parole di Davide, diciamogli: « Apri i nostri occhi, e noi contempleremo le meraviglie dei tuoi precetti; concedici l’intelligenza e avremo la Vita» (Sal. CXVIII). Istruiti dall’Apostolo, esporremo la nostra domanda in modo anche più insistente, facendo nostra la preghiera che egli rivolge al Padre Celeste in favore dei fedeli di Efeso, quando implora per essi lo « Spirito di Sapienza e di rivelazione col quale si conosce Iddio, mentre gli occhi del cuore, illuminati, scoprono l’oggetto della nostra speranza e le ricchezze della gloriosa eredità che Dio s’è preparata nei suoi Santi » (Ef. 1, 17-18).

IL DONO DELLA SAPIENZA

Il secondo favore che lo Spirito Santo ha destinato all’anima che Gli è fedele nell’azione, è il dono della sapienza, superiore anche a quello dell’intelletto. Tuttavia è legato a quest’ultimo, nel senso che l’oggetto mostrato nell’intelletto viene gustato e posseduto nel dono della sapienza. Il Salmista, invitando l’uomo ad avvicinarsi a Dio, gli raccomanda di assaporare il Sommo Bene: « Gustate e vedete come è buono il Signore » (Sal. XXXIII, 9). La Santa Chiesa, nel giorno della Pentecoste, domanda per noi a Dio il favore di gustare il bene, recta sapere, perché l’unione dell’anima con Dio è piuttosto l’esperimento fatto per mezzo del gusto che per mezzo della vista, ciò che sarebbe incompatibile col nostro stato presente. La luce data col dono dell’intelletto non è immediata, rallegra vivamente l’anima e dirige il suo senso verso la verità; ma tende a completarsi col dono della sapienza che ne è il fine. L’intelletto è dunque illuminazione, e la sapienza è unione. Ora, l’unione col Sommo Bene si compie per mezzo della volontà, ossia per l’amore che risiede in essa. Noi rimarchiamo questa progressione nelle gerarchie angeliche. Il Cherubino scintilla d’intelligenza, ma al di sopra di lui vi è ancora il Serafino fiammante. L’amore è ardente nei Cherubini, nello stesso modo che l’intelligenza rischiara con la sua viva luce il Serafino; ma l’uno si differenzia dall’altro per la qualità predominante, ed il più elevato è quello che raggiunge più intimamente la Divinità per mezzo dell’amore, quello che gusta il Sommo Bene. – Il settimo dono è decorato del bel nome di Sapienza, ed esso gli viene dalla Sapienza eterna alla quale tende di assomigliarsi con l’ardore dell’affetto. Questa Sapienza increata, che si degna di lasciarsi gustare dall’uomo in questa valle di lacrime, è il Verbo divino, quello stesso che l’Apostolo chiama « lo splendore della gloria del Padre e la forma della sua sostanza » (Ebr. I, 3). È lui che ci ha mandato lo Spirito per santificarci e ricondurci ad esso, di modo che l’operazione più elevata di questo divino Spirito è di procurare la nostra unione con chi, essendo Dio, si è fatto carne e si è reso per noi obbediente fino alla morte e alla morte di croce (Fil. II, 8). Per mezzo dei misteri compiuti nella sua umanità. Gesù ci ha fatto penetrare fino alla sua Divinità con la fede rischiarata dall’intelletto soprannaturale: « Noi fummo spettatori della sua gloria, gloria quale l’Unigenito ha dal Padre, pieno di grazia e di verità » (Gv. I, 14); e nello stesso modo che si è fatto partecipe della nostra umile natura umana, si dona fin da questo mondo per essere gustato. Lui, Sapienza increata, a questa sapienza creata che lo Spirito Santo forma in noi come il più sublime dei suoi doni. Felice dunque colui nel quale regna questa preziosa sapienza che rivela all’anima il gusto di Dio e di ciò che è di Dio! « L’uomo animale non gusta le cose dello Spirito di Dio », ci dice l’Apostolo (I Cor. II, 14); per godere di questo dono bisogna che divenga spirituale, si presti docilmente al desiderio dello Spirito, e allora vi arriverà, come hanno fatto altri che, dopo aver vissuto schiavi della vita sensuale, sono stati affrancati con la docilità verso lo Spirito divino che li ha cercati e ritrovati. Anche l’uomo meno rozzo, ma abbandonato allo spirito del mondo, è ugualmente impotente a comprendere ciò che forma l’oggetto del dono della sapienza e ciò che rivela quello dell’intelletto. Egli giudica coloro che hanno ricevuto questi doni e li critica; ed è una fortuna se non mette loro degli impedimenti, se non li perseguita! Gesù ce lo dice espressamente: « Il mondo non può ricevere lo Spirito di verità, perché non lo vede, né lo conosce » (Gv. XIV, 17). Che quelli, dunque, che hanno la felicità di desiderare il Sommo Bene, sappiano che è necessario essere completamente staccati dallo spirito profano, che è il nemico personale dello Spirito di Dio. Affrancati dalle sue catene, potranno elevarsi sino alla sapienza. È proprio di questo dono procurare un grande vigore all’anima e di fortificare le sue potenze. Tutta la vita ne viene risanata, come accade a coloro che fanno uso di alimenti adatti. Non vi è più contraddizione tra Dio e l’anima ed è questa la ragione per la quale l’unione si rende facile. « Dove è lo Spirito del Signore, ivi è libertà », dice l’Apostolo (II Cor. III, 17). Sotto l’azione dello Spirito di Sapienza, tutto diviene facile all’anima. Le cose che sembrano dure alla natura, ben lungi dallo stupire, sono rese dolci, ed il cuore non si spaventa più tanto della sofferenza. Non solamente si può dire che Dio non è lontano da un’anima che lo Spirito Santo ha messo in questa disposizione, ma è evidente che gli è unita. Che vegli tuttavia nell’umiltà; poiché l’orgoglio può ancora riaffacciarsi in lei, e allora la caduta sarebbe tanto più profonda quanto più la sua elevatezza era stata grande. – Insistiamo presso il. divino Spirito e preghiamolo di non rifiutarci questa preziosa sapienza che ci condurrà a Gesù, Sapienza infinita. Un savio dell’antica legge aspirava già a questo favore, quando scriveva le seguenti parole, di cui solo il cristiano può avere la perfetta intelligenza: « Ho pregato, e mi fu dato il senno; ho supplicato, e venne a me lo spirito di sapienza » (Sap. VII, 7). Bisogna dunque domandare con insistenza questo dono. Nella nuova Alleanza, l’Apostolo S. Giacomo ci sollecita con le sue esortazioni più fervorose: « Se poi tra voi vi è qualcuno che ha bisogno di sapienza, la chieda a Dio che dà a tutti abbondantemente e non rimprovera; e gli sarà data. Chieda però con fede, senza per nulla esitare» (Giac. 1, 5). Osiamo prendere per noi questo invito dell’Apostolo, o divino Spirito, e ti diciamo: « O Tu che procedi dalla Potenza e dalla Sapienza, concedici la sapienza. Colui che è Sapienza ti ha inviato a noi per riunirci a Lui. Toglici a noi stessi, e ci unisci a Colui che si è unito alla nostra debole natura. Sacro mezzo dell’Unità, sii il vincolo che ci legherà per sempre a Gesù, e Colui che è Potenza e Padre ci adotterà quali ” eredi di Dio, coeredi di Cristo ” » (Rom. VIII, 17).

 

SECONDA FESTA DI PENTECOSTE

SECONDA FESTA DI PENTECOSTE

[Mons. Bonomelli, “Nuovo saggio di OMELIE per tutto l’anno”, Vol. III, Torino 1899 –imprim.]

“Pietro disse: Fratelli, Gesù ci comandò di predicare al popolo e di attestare, ch’esso è costituito da Dio giudice dei vivi e dei morti. Di Lui attestano tutti i profeti, che nel suo nome si riceve la remissione dei peccati da quanti credono in Lui. Pietro ragionava ancora di queste cose e lo Spirito Santo discese sopra di tutti, che lo ascoltavano. E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, meravigliavano, che il dono dello Spirito Santo fosse effuso eziandio sopra i Gentili, perchè li udivano parlare diverse lingue e magnificare il Signore. Allora Pietro prese a dire: Forseché alcuno potrà vietar l’acqua, sicché non siano battezzati questi, che hanno ricevuto lo Spirito Santo come noi? E comandò che fossero battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora lo pregarono affinché rimanesse con loro alcuni giorni „ (Atti apost. cap. X, 42-48).

La Chiesa festeggia, come sapete, i grandi misteri della fede, e ordinariamente li fa seguire dalla ottava. È cosa affatto naturale, che nella Messa, e specialmente nella Epistola e nel Vangelo, faccia leggere quelle parti dei Libri santi, che si riferiscono agli stessi misteri. Egli è perciò, che in questa seconda festa della Pentecoste (Da noi, in Lombardia, è ancora festa di precetto la seconda della Pentecoste, come sono di precetto la seconda di Pasqua e di Natale, e perciò ho creduto bene dettare l’Omelia del Vangelo e della Epistola di questa seconda festa invece della Domenica di Pentecoste. Della Pentecoste ragionerò nel volume dei Misteri), nella Epistola della Messa troviamo un tratto, tolto dal capo decimo degli Atti apostolici, nel quale si narra una prodigiosa comunicazione dello Spirito Santo avvenuta sotto gli occhi di S. Pietro, nella casa del centurione Cornelio, somigliantissima a quella che avvenne nel cenacolo e che si leggeva nella Messa di ieri. Io qui non vi riferirò i particolari, che precedettero questa manifestazione miracolosa dello Spirito Santo, perché, se la memoria non mi inganna, ve ne dissi quel tanto che occorreva, nell’omelia della seconda festa di Pasqua. Anzi devo farvi osservare, che i primi due versetti, sopra riportati, sono i due ultimi che ebbi ad interpretare in quella omelia: il perché nella presente me ne passo per non ripetere cose già dette altrove, ed eccomi a spiegarvi i versetti seguenti. “Pietro ragionava ancora di queste cose e lo Spirito Santo discese sopra tutti, che lo ascoltavano. „ Come dissi, S. Pietro tenne un discorso a quel gruppo di Gentili radunati in casa del centurione Cornelio, compendiando in esso tutto l’insegnamento cristiano, e di questo discorso S. Luca ci dà un brevissimo sunto nel suo libro. L’Apostolo non aveva ancora posto fine al suo discorso, ed ecco discendere sopra tutti quei Gentili lo Spirito Santo. Come discese sopra di loro? A qual segno riconobbe dagli astanti questa comunicazione dello Spirito Santo? Forse la si conobbe dagli effetti straordinari, che il sacro scrittore accenna tosto; ma mi sembra più conforme a verità il dire che, quella effusione miracolosa dello Spirito Santo si conobbe da tutti a qualche segno esterno e tale da non lasciare ombra di dubbio: e probabilmente dovette essere come quello che avvenne nel cenacolo sopra gli Apostoli il giorno della Pentecoste, cioè sotto forma di lingue di fuoco. Ciò sembra insinuare il sacro testo, perché soggiunge, che appena ricevuto lo Spirito Santo parlavano diverse lingue e glorificavano Dio, precisamente come fecero gli Apostoli nel cenacolo: la medesimezza degli effetti sembra indicare la medesimezza del modo, col quale lo Spirito Santo discese sopra quei Gentili. – Domanderete: Come mai quei Gentili poterono ricevere lo Spirito Santo prima ancora d’essere lavati e rigenerati col battesimo? La risposta è facilissima: Pietro li aveva istruiti: la fede si era accesa nei loro cuori e colla fede dovettero concepire un dolore perfetto dei loro peccati con un desiderio ardente di ricevere il battesimo: questa fede, questo desiderio, questa contrizione perfetta giustificarono quei Gentili e li resero atti a ricevere la pienezza dei doni dello Spirito Santo. Avvenne ad essi ciò che avviene in quelli, che si accostano al Battesimo od alla Confessione con un dolore perfetto delle loro colpe: essi, anche prima del Battesimo o della assoluzione sacramentale, hanno ottenuto il perdono dei loro peccati e sono pienamente santificati dalla grazia abituale. » E perché mai Iddio volle operare quel miracolo visibile sopra quei Gentili, e mostrare ch’erano santificati prima del battesimo? Il miracolo è una derogazione alle leggi di natura, e benché Dio possa fare come gli piace, perché Signore assoluto, non vuole farlo che per ragioni gravi, che noi possiamo investigare con riverenza. – In quei primi anni della Chiesa fondata in Gerusalemme e nei vicini paesi della Giudea e della Samaria, era profondamente radicata l’idea in quasi tutti gli Ebrei convertiti al cristianesimo, che il Vangelo si dovesse annunziare ai soli Ebrei, e che nessun Gentile potesse venire accolto nella Chiesa e battezzato se prima non riceveva la circoncisione e non si sottoponeva alla legge mosaica. Era un errore manifesto, contrario alle profezie, al comando di Cristo, che aveva detto agli Apostoli: ” Andate, ammaestrate tutte le nazioni;” contrario al fine stesso della sua redenzione, che doveva estendersi a tutti indistintamente gli uomini. Ma in quei primi principi gli Apostoli, ancorché conoscessero perfettamente la verità e qual era il volere del divino Maestro, dovevano procedere con somma prudenza, per non urtare di fronte al pregiudizio ebraico e mettere a troppo dura prova la fede di molti Ebrei convertiti, ed impedire la conversione di molti altri. – Gli Apostoli sapevano benissimo, che i Gentili, non meno degli Ebrei erano chiamati al conoscimento del Vangelo ed al benefizio della redenzione: ma quando? Come? A quali condizioni in faccia alle leggi mosaiche? Gesù non aveva determinato nulla ed aveva lasciata la cosa in balia degli Apostoli, che dovevano pigliar consiglio dalla prudenza e dalla carità. Era quindi naturale che anche negli Apostoli apparisse una diversità di giudizi e di condotta, e non fa meraviglia, che gli stessi principi degli Apostoli, Pietro e Paolo, in Antiochia, non fossero perfettamente d’accordo, come rileviamo dalla lettera ai Galati. Dovete sapere, o carissimi, che l’ispirazione e l’assistenza divina anche negli stessi Apostoli non escludevano il diverso modo di vedere le cose, né si estendevano ai singoli atti della vita pratica. Da questo fatto apprendiamo che anche persone pie e sante possono talora operare diversamente tra loro e che noi non abbiamo diritto di argomentare che l’una o l’altra operi malamente. – Le maggiori molestie, dirò meglio, le maggiori persecuzioni, che Pietro e specialmente Paolo, ebbero a soffrire dai Giudei, erano una conseguenza di questo pregiudizio: basta leggere gli Atti apostolici e le lettere di san Paolo, massimamente ai Galati. Era dunque necessario dissipare questo pregiudizio ebraico, che in sostanza voleva restringere il beneficio della redenzione operata da Cristo nell’angusta cerchia dell’ebraismo, e legare il Vangelo alla legge mosaica, e circoscrivere la Chiesa universale entro i confini della Sinagoga. E il miracolo avvenuto in casa di Cornelio era divinamente ordinato a distruggere questo errore. Era un gruppo di Gentili, non circoncisi, non battezzati, che credevano al Vangelo, annunziato da S. Pietro, e che in modo al tutto prodigioso ricevevano lo Spirito Santo, e lo ricevevano sotto gli occhi dei fedeli stessi circoncisi, ossia ebrei: Fideles ex circumcisione, che avevano accompagnato Pietro nella casa di Cornelio. Quel miracolo solenne, innegabile, che rinnovava a favore dei Gentili il miracolo della Pentecoste, apriva la porta del Vangelo e della Chiesa a tutti i Gentili, e faceva cadere il velo dell’errore, che copriva gli occhi degli ebrei. Ciò che gli Apostoli non potevano ottenere con la parola, l’otteneva lo Spirito Santo col miracolo, e il muro di divisione tra Gentili e Giudei era atterrato. L’effetto di quel miracolo fu grandissimo e decisivo sugli Ebrei, come apparisce dal capo seguente degli Atti apostolici, e da questo versetto della nostra Epistola: “I fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, meravigliavano, che il dono dello Spirito Santo fosse effuso eziandio sopra i Gentili. „ La fiera opposizione degli Ebrei convertiti, è vero, non cessò d’un tratto dopo quel miracolo: essi non si arresero tosto e pienamente alla verità: ma la questione era risolta e a poco a poco gli uomini di buona fede smisero la loro opposizione, e la verità trovò sgombra la via delle loro menti e dei loro cuori. Dio aveva parlato e non era possibile resistere più a lungo. -Nel miracolo operato sopra Cornelio e i suoi congiunti ed amici insieme radunati (vers. 24), come in generale in tutti i mirali operati sopra gli uomini, si devono distinguere due cose, il fatto o segno esterno e visibile dell’azione divina, e l’effetto, che essa produce nell’ animo di coloro, nei quali si opera. Il fatto esterno, o segno visibile della venuta dello Spirito Santo sopra gli Apostoli nel cenacolo furono le lingue di fuoco, che si videro posarsi sopra ciascuno di loro; l’effetto fu la loro trasformazione interna ed il parlare che fecero ad un tratto diverse lingue. Similmente in questo miracolo; al fatto esterno e visibile, quale che fosse, rispose subito in quelli che ricevettero lo Spirito Santo l’effetto sovraumano, e fu il dono delle lingue e il magnificare e glorificare Dio in guisa, che appariva bene, lo Spirito Santo essere in loro. Questi doni straordinari, nominatamente quello di parlare in lingue ignote, in quei primordi della Chiesa, erano assai frequenti, come raccogliamo dagli Atti apostolici e dalle lettere di S. Paolo, e come in termini aveva promesso Gesù Cristo (Marco, XVI, 17), e non potevano tornar nuovi ai compagni di Pietro, né eccitare in essi quella gran meraviglia, di cui fa cenno il sacro testo; ma la loro meraviglia proveniva dal fatto per loro non solo nuovo, ma creduto impossibile, che quei doni celesti erano dati a Gentili, e mostravano loro con argomento irrecusabile, che anche ad essi veniva aperta la via della salute e che la legge di Mose cessava per essi. Alla vista di tanto miracolo, che dissipava ogni dubbio, S. Pietro, rivolgendosi, come io penso, ai suoi compagni ebrei, disse: “Forseché potrà alcuno vietar l’acqua, sicché non siano battezzati costoro, che han ricevuto lo Spirito Santo come noi? „ Voi lo vedete, così suonano le parole di S. Pietro: questi Gentili hanno ricevuto lo Spirito Santo come noi: l’opera sua è manifesta in loro; come volete che noi rifiutiamo loro il battesimo? Siamo noi da più di Dio? Possiamo noi opporci al voler suo sì chiaramente qui manifestato? Dunque, smettete i vostri pregiudizi: arrendetevi alla voce di Dio e comprendete una buona volta, che Gesù Cristo è morto per tutti, che a tutti è offerto il frutto della redenzione, a noi, Giudei, ed ai Gentili. Dette queste parole, S. Pietro “comandò che quei Gentili fossero battezzati nel nome del Signore Gesù Cristo, „ e così aggregati alla Chiesa. Apprendiamo da queste parole, che Pietro non battezzò quei nuovi credenti gentili, ma volle fossero battezzati da altri, probabilmente da quei medesimi, che lo accompagnavano, alcuni dei quali dovevano essere sacerdoti. Così faceva pure S. Paolo (I . Cor. I, 17), il quale diceva che era mandato a predicare, non a battezzare, seguendo 1’esempio di Cristo, del quale sappiamo che battezzava per mezzo degli Apostoli (S. Luca, IV, 18). – Da questo luogo si fa manifesto, che l’acqua è la materia del sacramento del Battesimo, come è definito dalla Chiesa, giacché la parola acqua in questo luogo non può significare altra cosa che l’acqua naturale. E qui alcuno di voi potrebbe domandare: Cornelio e gli altri Gentili, che erano con lui avevano ricevuto lo Spirito Santo e perciò erano giustificati; che bisogno dunque avevano essi di ricevere il battesimo? Non era esso inutile? No, non era inutile ed era necessario che fossero battezzati, sebbene già fossero giustificati. E vero: essi erano adorni della grazia di Dio per la contrizione perfetta dei loro peccati; ma appunto perché avevano la contrizione o la carità perfetta, dovevano anche adempire il precetto divino a tutti imposto di ricevere il battesimo. Forsechè quelli che hanno il dolore perfetto dei loro peccati sono affrancati dall’obbligo di confessarli e riceverne l’assoluzione? L’adempimento di questa legge divina è anzi incluso nel dolore perfetto e da quello è voluto, come 1’effetto è voluto dalla causa. Oltreché se quei Gentili avevano ricevuto il perdono dei peccati e la grazia santificante, certamente non avevano ricevuto il carattere proprio del sacramento del Battesimo, e questo pure essi dovevano ricevere, perché senza di questo non potevano ricevere gli altri sacramenti. Questo versetto fa sorgere un dubbio nella nostra mente, ed è prezzo dell’opera esaminarlo e scioglierlo, e il dubbio è questo: San Pietro comandò che quei Gentili fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo; ma è desso valido il battesimo amministrato nel nome di Gesù Cristo? Certamente se oggi il Battesimo fosse conferito nel solo nome di Gesù Cristo, e non nel nome delle tre Persone auguste della Ss. Trinità, come fa la Chiesa, sarebbe nullo. Parve ad alcuni di poter dire, che in quei primi anni della Chiesa, per speciale divina concessione e per mettere in tutto l’onor suo il nome di Gesù Cristo presso i fedeli, fosse valido il battesimo, ancorché dato nel solo nome di Gesù Cristo, e si appoggiavano a questo e ad alcuni altri luoghi simili dei Libri divini. Ma siffatta opinione di alcuni pochi non ha fondamento, né è punto necessaria per intendere a dovere questo versetto ed altri somiglianti. S. Pietro volle dire soltanto, che a quei Gentili si amministrasse il Battesimo di Gesù Cristo, ossia il Battesimo istituito da Gesù Cristo, pronunciando il nome di ciascuna delle divine Persone, com’Egli stesso aveva comandato di fare agli Apostoli (S. Matteo, XVIII, 19). E forse il senso migliore e più naturale di quelle parole di san Pietro è questo: Si dia il battesimo a questi Gentili; esso riceve la virtù di santificare le anime da Gesù Cristo, dai meriti della sua passione e della sua morte, ed è amministrato per suo comando e per l’autorità o potere che viene da Lui solo. – La conversione ed il Battesimo di Cornelio e dei suoi compagni eccitò meraviglia grande, nella Chiesa di Gerusalemme, composta tutta; di Ebrei convertiti, e se ne chiese la spiegazione allo stesso Pietro e per poco gliene fu mossa accusa (Atti apost. XI, 1 seg.). Come ciò? Erano forse quelli i primi Gentili, che si ricevevano nella Chiesa? No, sicuramente. Gesù! Cristo aveva encomiata la fede d’un altro centurione (Luca, VII, 2), e quella della Sirofenissa o Cananea (Luca, VII, 26): aveva accolto Zaccheo, che sembra fosse pur egli gentile: Filippo diacono aveva battezzato l’eunuco della regina Candace, di Etiopia ( Atti, VII, 26 seg.); non doveva dunque tornare sì nuova agli Ebrei cristiani la conversione del centurione e il suo battesimo. Come dunque si levò sì grande rumore fino a costringere S. Pietro a difendersi e spiegare e giustificare la sua condotta? Penso che ciò provenisse dall’importanza del fatto e dai particolari, che accompagnarono quel fatto e che urtarono di fronte il pregiudizio giudaico. – Noi vediamo, all’occasione del Battesimo di Cornelio, un numero considerevole di cristiani di Gerusalemme, e tra loro alcuni anche qualificati, elevarsi quasi giudici dello stesso S. Pietro e più tardi di S. Paolo e di S. Barnaba, e più o meno apertamente mostrare diffidenza ed esprimere biasimo della loro condotta. Inferiori che biasimano superiori, e quali superiori? Gli Apostoli e lo stesso principe degli Apostoli! Era cosa deplorevole! Era un disordine gravissimo! Era uno spirito di insubordinazione, che poteva essere la radice d’uno scisma. Quel fatto è una lezione per noi, e ci insegna che non dobbiamo meravigliarci, né scandalizzarci se anche ai giorni nostri qua e là vediamo nella Chiesa i discepoli voler farla da maestri, e quelli che devono ubbidire, hanno la pretensione e la presunzione di sedere a scranna e giudicare quelli che hanno l’ufficio e il diritto di comandare. E qui, o carissimi, non vi sia grave che tocchi un disordine, una violazione della legge ecclesiastica, che non è rara. S. Pietro comandò che quei Gentili, che avevano creduto e ricevuto lo Spirito Santo fossero tosto battezzati. Che vediamo noi al presente in alcune parrocchie, e specialmente nelle nostre città? Non senza dolore vediamo, che alcuni genitori non si curano di presentare i loro bambini al Battesimo entro gli otto giorni dalla nascita, come vuole la Chiesa, e differiscono le settimane ed i mesi senza motivi ragionevoli. Che dire di codesti genitori? Essi violano una legge gravissima della Chiesa, intesa unicamente a procurare ai loro figli il maggiore dei beni, la grazia del santo Battesimo. Chi di voi, o genitori tarderebbe pure un’ora sola a fare tutti quegli atti civili, che sono necessari per assicurare ai suoi bambini una pingue eredità, una grande fortuna, fosse pure con un disagio sommo? Ebbene: si tratta di procurare ai vostri bambini la grazia di Dio, il diritto al possesso di Dio medesimo, l’eterna felicità, e voi, senza motivo alcuno, indugerete i giorni e le settimane e forse i mesi? Ed è cosa, che non esige né fatica, né sacrificio di sorta! – Vogliate anche considerare che la vita di questi bambini va soggetta a molti e gravi pericoli, e talora si spegne senza che quasi ce ne accorgiamo. Perché dunque non affrettarvi nel tempo debito a procurar loro la vita dell’anima? Qual cruccio, qual rimorso per voi, o genitori, per voi specialmente, o madri, se per sventura il vostro bambino morisse senza aver ricevuto la grazia del Battesimo? Voi non mancate di osservare la legge civile, che vi impone di far registrare sugli atti civili la nascita del vostro bambino prima degli otto giorni, e fate bene: adempite il dovere di buoni cittadini: perché tanta diligenza in ubbidire alla legge degli uomini, e tanta trascuratezza in ubbidire alla legge della Chiesa, vostra madre? Dio col santo Battesimo entra nell’anima del vostro bambino e vi stabilisce il suo regno; e voi gliene ritarderete il possesso? Quale offesa a Dio e qual danno ai vostri innocenti bambini! No, no, che nessuno di voi si renda mai colpevole di sì brutto peccato ed offra lo scandalo di violare una legge della Chiesa sì facile ad osservarsi e apportatrice di tanto bene a quei cari bambini, che voi sì teneramente amate. – Chiudo l’omelia colle ultime parole del testo sacro riportato: “Allora (Cornelio e i suoi) pregarono Pietro di rimanere con loro alcuni giorni. „ Ancorché S. Luca non dica che Pietro aderì alla preghiera di quei Gentili battezzati, è chiaro da ciò che narra più innanzi, ch’egli fece paghi i loro pii e santi desideri e rimase con essi qualche tempo. Pietro sapeva bene che per i Giudei era colpa abominevole accettare l’ospitalità presso un Gentile: prevedeva lo scandalo, che ne avrebbero avuto alcuni; ma non dubitò di consolare con la sua presenza quei buoni Gentili divenuti cristiani, e stimò necessario con quella dimora di far palese a tutti, ch’era venuto il tempo di aprire le porte della Chiesa anche ai Gentili e di condannare pubblicamente il pregiudizio degli ebrei convertiti, e mostrare che tutti, indistintamente, Ebrei e Gentili, erano chiamati alla salvezza.