IL VERME RODITORE delle SOCIETA’ MODERNE (3)

IL VERME RODITORE delle SOCIETA’ MODERNE

ovvero IL PAGANESIMO NELL’EDUCAZIONE

(3)

[Mons. J. J. Gaume, trad. dal francese di A.V. – Napoli 1854]

Cap. VI

SECONDA EPOCA.

Abbiamo veduto quale fu il sistema di letteraria educazione seguito dai cristiani durante la prima epoca, cioè durante i primi cinque secoli della Chiesa. Noi lo studieremo nella seconda epoca, che comprende tutta la durata del medio-evo. – Interrogando ben bene i monumenti che ci rimangono, noi troviamo lo stesso metodo, se non che gli autori pagani sono ancor meno letti, se non che eglino spariscono anche interamente dal novero dei classici. Difatti, il motivo di studiarli, non ha più, a gran pezza, lo stesso valore. – Il paganesimo greco-romano è vinto, vinto nei suoi tiranni e nei suoi filosofi, vinto nelle idee e nei fatti. Il motivo cristiano di leggere i suoi autori è sparito: il mondano pretesto di studiarli non è peranco inventato. Padrona del campo di battaglia, la Chiesa può oramai adempiere in tutta la sua pienezza la grande missione che le fu assegnata, di rinnovare la faccia del mondo. Intorno ad essa si stringono i robusti figliuoli del settentrione, vincitori semi-selvaggi del vecchio mondo. Bisogna tagliare e pulire questo duro granito: bisogna rendere pieghevoli ed incivilire quei fieri Sicambri: tale si è la sua unica cura, tale sarà la sua gloria. – Ora, essa sa che lo incivilimento non è se non il Cristianesimo applicato alle società; essa sa che tale applicazione, acciò sia reale e duratura, deve prima raggiungere l’infanzia; sa che l’infanzia è segnata o piuttosto formata, irrevocabilmente formata dall’educazione; sa che l’educazione dipende dallo stampo in cui sono gittate le generazioni, le quali sono pagane o cristiane, secondo che lo stampo stesso è pagano o cristiano; sa finalmente che il rozzo elemento a cui essa deve dar forma noi può essere se non per l’azione esclusiva, cioè forte e costante del Cristianesimo. – Il pensiero dominante in quei grandi secoli trovasi per intero nelle notevoli parole di un santo che esercitò grande influenza sul procedere degli animi: si direbbe una nuova promulgazione delle costituzioni apostoliche. Nella vita di Sant’Eligio, il suo collega nell’episcopato, Sant’Oven, vescovo di Roano, così dice: « Qual profitto ricaviamo noi, ve lo chiedo, dalla lettura dei vari grammatici, i quali sembrano piuttosto rovesciare che fabbricare? A che cosa ci servono, in filosofia, Pitagora, Socrate, Platone ed Aristotele? Di qual utile sono ai lettori i tristi canti dei poeti colpevoli, come Omero, Virgilio e Menandro? Quale vantaggio può egli ridondare alla cristiana famiglia da quei facitori di storie pagane, Sallustio, Erodoto e Livio? Qual’arte oratoria di Lisia, di Gracco, di Demostene e di Tullio può essere paragonata alle pure e belle dottrine del Cristo? Di quale utile ci sarà mai l’abilità di Fiacco, di Solino, di Varrone, di Democrito, di Plauto, di Cicerone e d’altri che credo inutile di qui enumerare? » [Vit. B. Elig. Prol. vers. fin.] Durante questa seconda epoca, tutti i classici sono cristiani. Si pensa, così poco a negare questo fatto importante, ch’esso servì d’eterno testo agli innumerevoli rimproveri che si fanno da tre secoli agli avi nostri. Cotal testo sarà esaminato più tardi: prosieguo. – La lingua latina rimase, almeno durante una parte del medio-evo la lingua volgare degli antichi abitanti d’Europa; nel nono secolo, il greco stesso sembra stato generalmente conosciuto.Grazie a questa felice circostanza, l’infanzia poté essere custodita all’ombra del tetto paterno molto più a lungo che non ai dì nostri. Colà, come nei primi secoli, essa veniva sodamente nutrita dalla lettura dei Libri Sacri, degli Atti de martiri, delle opere dei Padri, dalle leggende dei santi, dei racconti a volte così ingenui e così perfettamente epici delle grandi azioni dei cavalieri, dei crociati, dei pellegrini, degli illustri fondatori di tutti gli ordini religiosi, il cui nome era così popolare come le loro opere sono sublimi. Ecco quanto consta da tutti i monumenti contemporanei; ecco ciò che prova il religioso suggello cosi profondamente improntato nel linguaggio, e perfino nei più semplici usi degli abitanti di campagne, del pari che degli abitanti di città. – Né solo presso il domestico focolare il fanciullo leggeva quei classici meravigliosi. Ei li trovava scritti in caratteri fiammeggianti nelle vetrate di tutte le chiese e nei dipinti che ne coprivano le pareti Sicché come i quei dì tutti andavano in chiesa, e spesso; così cotale lettura era veramente la lettura classica e popolare. Quindi, l’usanza consacrata anche ai dì nostri in un gran numero di famiglie d’insegnare a leggere ai fanciulli nella Bibbia a figure. Quindi ancora l’altra usanza non meno religiosamente conservata in certe parti di Francia e d’Europa di leggere, ogni sera almeno nell’inverno, gli Atti dei martiri e le Vite dei santi, in presenza della famiglia adunata. Lasciando la famiglia, la gioventù destinata alla chieresia entrava nelle pubbliche scuole. Si sa infatti che in quel tempo, preteso barbaro, il suolo d’Europa, la Francia, la Spagna, l’Inghilterra, l’Irlanda, l’Italia, era coperto di scuole poste vuoi nei presbiterii di contado, vuoi nei monasteri, vuoi nelle cattedrali, vuoi nelle case episcopali. Ivi riunivansi spesso in un’età ancor tenera i ragazzi delle varie classi della società; tutti vi ricevevano una educazione comune, quale si fosse la differenza delle carriere ch’eglino intendevano abbracciare. Volete conoscere i libri che loro ponevansi fra mano? Leggete le belle lettere di San Gerolamo a Leta e ad Eustachio: esse erano il direttorio degli studi, e voi vedrete con quale ammirabile fedeltà il medio-evo conservasse le regole pedagogiche deprimi secoli della Chiesa. Si cominciava, o piuttosto si proseguiva l’educazione cominciata presso il domestico focolare, colla letteratura ecclesiastica, cioè con quanto spetta alla religione, alla sua storia, alle sue glorie, alla sua dottrina. I principali classici erano gli Atti dei martiri, o, come allora dicevasi, il Libro delle passioni, liber passionum; libro più alto di alcun altro a sviluppare energicamente nell’anima dei giovinetti tutti i nobili sensi di fede, di distacco, di generosità, di coraggio, che formano i grandi caratteri ed i grandi popoli. Quindi quell’ aureo libro si procurava a grandi spese e collocavasi in capo alle più ricche biblioteche. Questa testimonianza di rispetto era una conformità di più all’usanza de’primi cristiani, i quali non si sgomentavano per spesa di sorta, per pericolo alcuno, affine di ottenere gli Atti dei martiri, di cui essi facevano la loro assidua lettura. Una delle glorie della Gran-Brettagna, Acca, successore dell’illustre Wilfrido, arcivescovo di Canterbury, si rese celebre per la magnifica biblioteca da lui composta. Sapete voi qual è il primo libro citato dall’immortale suo storico? Gli Atti de’martiri. Al Libro delle passioni aggiungevasi la Sacra Scrittura, e sovrattutio i Salmi, che in generale si facevano imparare a menadito, come si usa fra di noi le favole di Fedro o l’Arte poetica di Orazio. La storia minuta di certe educazioni non lascia verun dubbio sulla universalità del sistema. Limitiamoci a qualche esempio, preso a caso fra i vari popoli di Europa. San Bonifacio, scrivendo la vita e il martirio di San Livino, così narra il modo col quale ci fu educato nei suoi primi anni: « Codesto fanciullo, dice, dotato di egregie disposizioni, scelse la vita contemplativa e visse con San Benigno, sacerdote scozzese, uomo di nascita illustre. Volendo essere istruito da tale sacerdote nella melodia dei Salmi, nella dolce lettura dei santi Evangeli ed in altri divini esercizi, la sua tenera età trascorse secondo i suoi desideri, in guisa, che, come se stato egli fosse in un immenso giardino di una bellezza tutta celestiale, procedeva innanzi ogni di più, passando per tutti i gradi della virtù. La sottigliezza del suo intelletto era mirabilmente sviluppata, e, colla cooperazione alla grazia, ei non rinveniva difficoltà veruna nello studio di tante cose divine, né nella pratica degli esempli de giusti (Vita B. Livio) ». Narrasi di San Patrizio, che la madre del giovine Lanano, avendogli condotto il figliuol suo acciocché egli lo ammaestrasse nelle lettere, il santo uomo lo affidasse al beato Cassano, ed il giovinetto apprendesse in poco tempo tutto quanto il Salterio, e diventasse poscia uomo di una vita edificantissima. Parlando del giovine Leobardo, d’una illustre famiglia, San Gregorio di Tours dice che, giunto il tempo, ei fu inviato a scuola, ove apprese a memoria tutto il Salterio. Lo stesso raccontasi di San Nizerio, vescovo di Lione, il quale rese il servigio medesimo ad altri giovinetti. Nello studio dei Libri Sacri adopravasi quella saggia prudenza di cui San Gerolamo dà le regole scrivendo a Leta. Piena di reverenza pel fanciullo , laChiesa allontanava da esso, anche nei Libri Sacri, quanto avrebbe potuto porre in pericolo la sua innocenza o stancare la sua immaginazione; le opere dei padri servivano ad un tempo di modelli d’eloquenza e di commenti ai Libri Sacri. Qui pure v’era lo stesso metodo che nei primi secoli della Chiesa, in cui lettura delle lettere dei supremi pontefici e dei Vescovi era il cibo dei fedeli. – I trattati delle scienze e delle arti si spiegavano poscia. Ma secondo quel gran principio di ordine e di luce, che la religione è nel mondo ciò eh’è il sole nel firmamento, il centro intorno a cui tutto gravita, le scienze e le arti si studiavano non già come scopo, ma sì come mezzo, non già di benessere, ma di perfezionamento spirituale e temporale, e di utilità per la religione. Perciò vediamo che nelle dotte scuole d’Inghilterra, stabilite dall’illustre Teodoro, arcivescovo di Cantorbery, la geometria, l’astronomia, le matematiche in generale, erano per tal guisa insegnate sotto il riguardo religioso, ch’elleno portano il nome di geometria, d’astronomia di matematiche ecclesiastiche. Lo stesso avveniva della pittura, della scultura, dell’architettura, della poesia; poiché tutte codeste cose furono stabilite per servire alla gloria del loro Autore. Insegnavano pure le lingue straniere, sia per trarre profitto dai tesori di scienza religiosa dei vari popoli, sia per poter predicare l’Evangelio all’Oriente ed all’Occidente. Erano esse, per questa doppia cagione, cosa di cura speciale. Infatti noi reggiamo che un gran numero le parlavano come loro lingua materna. La storia consegnò questo fatto, che il re Gontrano fu ricevuto in Orleans da una compagnia di persone che cantavano le sue lodi gli uni in siriaco, gli altri in latino, e parecchi in ebraico. – Il latino si parlava in Roma soprattutto, nel palazzo di San Gregorio, con ammirabile perfezione. Vedremo più tardi il concilio di Vienna ordinare solennemente l’erezione delle cattedre di tutte le orientali nelle varie università dell’Europa. Nulla dico delle scienze morali e della filosofia soprattutto, poiché è cosa troppo evidente ch’esse erano tutte considerate come serve della teologia. Così le chiama San Tommaso, le cui opere, non meno di quelle dei dottori del medio-evo, sono una prova solenne di quella magnifica definizione. Ecco del resto il programma degli studi in quei secoli che vogliono barbari. Scritto da Marciano Capella, retore africano del quinto secolo, e venendo dalle più alte tradizioni dell’antichità, siffatto programma rimase invariabile per dodici secoli. « A dieci anni cominciavano gli studi in regola; essi si dividevano in due periodi di cinque anni ciascheduno. Durante il primo, si percorreva il Trivium, che corrispondeva la grammatica, la Dialettica, e la Retorica. Per assai tempo cotali studi non arrossivano di essere modestamente chiamati Triviali. Alla grammatica apparteneva lo studio delle lingue. Si trovano sulle rive della Loira, in Angers, in Orléans, in Poitiers, tutte le lingue dotte coltivate, senza eccettuare le lingue orientali. La dialettica precedeva saggiamente la retorica, la quale quindi non era più ciò che poscia diventò, un fuor d’opera tra la grammatica e la filosofia, un’arte di esprimere pensieri che si avranno più tardi. – « Secondo l’attitudine e i progressi dei discepoli succedeva al Trivium il Quadrivium, il quale li iniziava alle nozioni più alte dell’aritmetica, della geometria, dell’astronomia e della musica. Ora, tutti siffatti elementi sparsi si riunivano col mezzo di una possente ed armonica sintesi. Noi useremo, per esporla, i termini proprii degli antichi. Secondo essi, l’ educazione dell’uomo, come la formazione del mondo, a due cose si riduceva: alla parola ed al numero, e a due fini che tutto abbracciano, l’eloquenza e la sapienza. – « Tre vie menavano all’eloquenza: l’arte di parlare correttamente, di pensar giusto e di ben dire; ovvero, la parola elaborata dalla grammatica, aguzzata dalla dialettica, espressa ed abbellita dalla retorica: il verbo nella sua purezza, nella sua forza e nella sua bellezza, tale si era l’eloquenza. – « Era necessario un cammino più lungo e più arduo per giungere alla sapienza od alla scienza, cose identiche. Tuttavolta, tutto comprendevasi nel numero; ma v’era il numero che si moltiplicava o che si decomponeva in infinite combinazioni, l’aritmetica rappresentata dall’unità; v’era il ninnerò astratto assoluto, immutabile nell’ estensione ideale, ovvero la geometria, che aveva per emblema il binario; v’era il numero moventesi attraverso gli spazi creati, e recante seco i corpi celesti e il mondo nei giri di un immenso vertice; l’astronomia, di cui una sfera era il simbolo. Finalmente, alle sette corde della lira, una mancava ancora. Sicché quando tutti codesti accordi risuonavano insieme, l’armonia sveglia vasi nell’anima, la musica appariva, come quei concerti che Pitagora sentiva in lontananza dal mondo e nelle profondità del suo spirito. Questo era il compimento dell’uomo, la consumazione della sapienza. Così formavasi quella scala dell’umano sviluppo i cui due segni erano la parola e la saggezza; ed i sette gradini, quelle arti liberali che formavano 1’uomo innalzato al vero suo valore, il saggio eloquente: Vir bonus dicendi peritus. – Che sono essi mai, quanto a profondità e ad armonia, i moderni sistemi rispetto a quello? Tuttavolta, quello non era se non lo stampo uniforme in cui passavano tutti gli intelletti. Venivano poscia le cognizioni speciali ad ogni situazione della vita: esse davansi nelle università. Finalmente, perfino la letteratura pagana, conforme allo spirito dei Padri della Chiesa ed alle regole di prudenza dettate da quegli uomini immortali, era studiata nella età conveniente, acciò le spoglie d’Egitto servissero all’ornamento del Santuario. Così, da una parte, l’adolescenza, e mai l’infanzia, toccava quel vaso i cui orli sono dorati, ma la cui coppa contiene veleno. D’altra parte, l’adolescenza medesima, che dico! i maestri stessi nol toccavano se non di passaggio e colle maggiori precauzioni. Se in qualche luogo taluno si allontanava da queste regole, delle quali, i mali che noi soffriamo non permettono a nessuno di revocare in dubbio la grandissima sapienza, tosto lagni e grida di pericolo si fanno sentire. Il supremo pontefice, la grande scolta d’Israele, era avvisato: tutto rientrava nell’ordine, e l’Europa proseguiva ad attingere il bello alla stessa sorgente a cui attingeva il vero, il buono, il giusto. – Terminiamo con alcuni particolari utili a conoscersi specialmente ai dì nostri. Le persone di chiesa, i buoni monaci, dediti in generale all’educazione della gioventù, adempievano all’ufficio loro con un fervore che ne assicurava il buon esito ed al quale punto non rassomiglia la condotta degli uomini di mestiere che speculano sull’insegnamento ufficiale. Fervore nell’istruirsi. La vita dell’ ecclesiastico, ovvero del religioso destinato all’insegnamento, era vita di studi. Nessun pensiero di famiglia, nessuna cura dei bisogni del vivere, nessuna ansia per le agitazioni del di fuori distraeva il suo pensiero: pregare ed istruirsi per santificare ed ammaestrare i suoi discepoli, quest’esse erano tutte le sue sollecitudini. I sacri canoni, le regole dei monasteri glie ne facevano un dovere di coscienza. In mancanza di altre prove, ciò solo dimostrerebbe l’immensa superiorità del loro insegnamento. – Zelo nel conservar l’innocenza de’discepoli loro. Qui pure qual differenza tra la condotta dei religiosi d’allora e quella dei professori d’oggidì! Ai dì nostri, tutta l’educazione è abbandonata all’influsso dei maestri di studi. Altre volte, i maestri non lasciavano i loro fanciulli né il dì né la notte. Nulla io conosco di più commovente e di più istruttivo delle seguenti prescrizioni dei concili di Tours e di Toledo: « I religiosi e i chierici, dicono essi, ai quali l’educazione dei giovanetti è affidata, abbiano cura che i giovani di quindici anni e più in là, dimorino insieme e dormano in una sala comune, senz’essere abbandonati, nemmeno un sol momento, dal loro direttore o dal loro maestro. Di notte uno succeda all’altro per fare una lettura, affinché le medesime precauzioni che si prendono per conservare la purezza del corpo loro servano eziandio a rischiarar le loro anime ». – Zelo nell’alleviare i loro bisogni. Di questi tempi non si può entrar nei luoghi d’insegnamento se non a prezzo di danaro. Nei secoli barbari del medio-evo, la scienza non costava nulla. Essa si impartiva gratis, e quei religiosi sì avidi davano ancora ai giovinetti poveri e libri e cibo corporale, senza di che quelli non avrebbero potuto proseguire i loro studi. – Uscendo dalle scuole poste nei presbiterii, nei monasteri, nelle cattedrali, nell’abitazione stessa dei vescovi, la gioventù portavasi alle università. In quei grandi centri di luce, dei quali la religione aveva cotanto dotato 1’antica Europa, lo spirito d’insegnamento era lo stesso che presso il focolare domestico e nelle scuole elementari: uomini e libri, tutto vi era cristiano. Aristotele solo, perdonatemi l’espressione, ebbe il diritto di venire ammesso a libera pratica, ed ottenne il privilegio d’una grande popolarità. Ma, da un lato, questo filosofo non era posto tra mano ai giovanetti; dall’ altro, nol si studiava né pel fondo dei pensieri, né per la forma oratoria dello stile suo; egli era letto soltanto a cagione del suo metodo dialettico. L’interesse della religione ispirava i nostri Padri, e nessuna persona sagace vorrà negare ch’ei fossero ben ispirati. A rischio di scandalizzarvi, dirovvi che la dialettica ha vari titoli alla mia speciale estimazione. Il primo si è il male che ne dissero gli eretici ed i novatori, e ne dissero molto. Il secondo, si è l’immenso servigio da quella reso all’ umano spirito ed alla verità. Lo spirito umano le deve quel cammino fermo e quella possanza di deduzione che lo rattiene dal perdersi nel vago, e che comunica alle moderne nostre lingue la più preziosa di loro doti, la precisione: immenso beneficio non mai posseduto dalle lingue antiche. Di vero, essa somministrò armi sicure, vuoi per respingere gli assalti dell’errore, vuoi per smascherare l’errore medesimo, ed irretirlo nei suoi propri lacci, riducendo le sue divagazioni e la sua ciancia alla forma chiara e inesorabile di un sillogismo. Tuttavolta le opere d’Aristotele non furono senza pericolo; esse diedero luogo a più errori giustamente condannati dal vescovo di Parigi, Stefano Tempier, nel 1277: « Abbiamo udito, ei dice, che alcuni studiosi delle arti (di filosofia) eccedendo i limiti della loro facoltà, osano sostenere errori manifesti, o piuttosto chimere stravaganti. Eglino trovano queste proposizioni nei libri dei pagani, e loro sembrano cotanto dimostrative, che non sanno rispondere alle stesse. Volendo palliarle, cadono in un altro scoglio; poiché dicono che sono vere, secondo il filósofo, cioè secondo Aristotile, ma non secondo la fede cattolica. Come se due verità che si contraddicono esistessero! ». – Ricapitoliamo brevemente quanto precede. Da questa concisa esposizione emana il fatto che noi vogliamo stabilire, cioè: che durante il periodo del medio-evo i libri classici furono esclusivamente cristiani. Dal principio della Chiesa sino al decimo sesto secolo, l’opinione invariabile dei Padri e dei saggi, fu che la letteratura pagana non si rifaceva né allo spirito, né all’indole della religione cristiana; che perciò era necessario di studiar quella che naturalmente nasceva dal Cristianesimo, che era la sua espressione e che respirava il suo spirito. « La nostra vera latinità, dice S. Prospero, si è, se male io non mi appomgo, quella la quale, ritenendo solo la proprietà dei termini dell’antica latinità, esprime le cose brevemente e semplicemente, e non quella che si compiace della bellezza della forma.» – La gloria eterna di San Gregorio il Grande si è d’aver fissato con i suoi scritti quella lingua latina cristiana, della quale i Padri avevan posto le fondamenta; lingua sì ammirabile di lucidità, di ricchezza, di semplicità, d’ unzione, di eleganza, e così differente dalla lingua latina pagana quanto il giorno differisce dalla notte, od il cristianesimo stesso dal paganesimo. L’illustre pontefice non ristette a ciò; unendo i suoi sforzi a quelli di Sant’Isidoro di Siviglia, nulla omise acciò i giovinetti imparassero le lettere latine unicamente nei cristiani autori, la qual cosa ebbe luogo infatti, siccome vedemmo. In mancanza delle prove qui sopra riferite, si può questo evidentemente conchiudere dalla semplice osservazione seguente: nostro malgrado, noi conserviamo nell’età matura lo stile, i pensieri, l’elocuzione degli autori dei quali fummo nutriti nella infanzia; il vaso ritiene a lungo l’odore del primo liquore da esso ricevuto: quo semel est imbuto, recens servabit odorem testa diu. – Quindi ne viene che San Gerolamo e Sant’Agostino, benché ambedue abbiano efficacemente condannato i classici pagani, lasciano nel loro stile trasparire qualcosa del numero e del giro degli autori profani con i quali la loro infanzia aveva stretta famigliarità; all’opposto, da San Gregorio sino a San Bernardino da Siena, a Sant’Antonino da Firenze, ed a San Lorenzo Giustiniani, scrittori del quindicesimo secolo, egualmente celebri per la loro eloquenza e per la sapiente gravità delle opere loro, verun autore cristiano lascia scorgere nei suoi scritti cosa che senta lo stile, 1’eloquenza profana, la tazza dei pagani scrittori. La è questa la provala più evidente che tutti avevano appreso nella loro infanzia il latino, non già negli autori profani, ma negli autori cristiani. Quindi ne derivava quel gusto, quell’ardente amore per la Sacra Scrittura e per gli antichi Padri ch’ei conservavano tutta la loro vita, e che rinviensi non solo negli ecclesiastici, ma ancora nei laici ed anche nelle donne. Quanto alle opere pagane, essi non concedevano a quelle se non un’attenzione secondaria, e non le leggevano se non nell’età matura; questo non già per formarsi lo stile, ma unicamente, secondo 1’esempio dei primi cristiani, per cercare quanto servir potesse a confermare e ad illegiadrire la verità cristiana. – Cosiffatta fu l’economia degli studi dal principio della Chiesa, sino al finire del secolo decimo quinto. Per conseguenza la filosofia, la letteratura, le scienze, avendo lo stesso spirito della teologia, procedevano insieme sulla stessa via della verità cristiana, di cui essi continuavano lo sviluppo ciascuno a guisa sua e con mezzi esclusivamente cristiani. Infatti, noi vediamo che tutti i libri di quell’epoca, e soprattutto quelli che i Trecentisti han pubblicato (ad eccezione del Boccaccio), hanno per scopo storie cristiane od argomenti cristiani, poiché amare la propria patria, procurare la sua gloria è un dovere del Cristianesimo. – Le arti ci offrono il medesimo spettacolo. A mia saputa, non avvi pittore, non scultore di quell’età che abbia preso a trattare un soggetto mitologico, pagano, osceno o anche esclusivamente profano. Il viaggiatore attento che passa per Venezia può anche di presente acquistare con i suoi occhi la certezza di quanto io dico. Venezia può esser estimata come il più vasto museo dell’arte cristiana. Percorrendo gli innumerevoli suoi monumenti dei secoli decimoterzo, decimoquarto e decimoquinto, nulla vi si rinviene che si riferisca alla mitologia, né che abbia odore di paganesimo; nulla di osceno, né di turpe, né di profano. Che dico mai! Il bronzo, il marmo, i magnifici quadri che rammentano le grandi imprese dei Veneziani contro i Turchi, bastano soli per provare che quegli eroici fatti d’arme si compierono dai cristiani ed appartengono ad una repubblica cristiana. – Perciò, i moderatori e le guide di quell’età si indegnamente calunniata sapevano, come i Padri della Chiesa, che 1’unico mezzo di aver generazioni cristiane sì era di gettarle in uno stampo cristiano. Non già che quegli uomini, cui non si temé di chiamar barbari, non abbiano potuto far uso, per l’educazione della gioventù, degli autori profani. Essi li possedevano, poiché ce li han conservati. Essi li leggevano, poiché li hanno copiati migliaia di volte; ora, poiché essi li hanno e letti e trascritti, pare eziandio li capissero. – Inoltre, li sapevano apprezzare. Per conservarli facevano sacrifici che ci farebbero indietreggiare. Così, nell’ottavo secolo, un povero monaco, Lupo, abate di Ferrières, scrive in tutta Europa per chiedere manoscritti, affine di farli copiare e di servirsene per correggere quelli ch’ei possiede: « beninteso, aggiunge, che tutte le spese saranno a mio carico. » A quando a quando egli scongiura Eginardo di mandargli i manoscritti dell’Oratore di Cicerone, delle Notti attiche d’Aulo Gellio; prega il vescovo di mandargli i Commentari di Cesare. Ad Ausbaldo chiede il manoscritto delle Lettere di Cicerone, a Marquado, abate di Prom, il manoscritto di Svetonio per farlo copiare: a Papa Benedetto III, i Commentari di San Gerolamo, le Istituzioni di Quintiliano, i Commentari di Donato sovra Terenzio, Sallustio, i Discorsi contro Verre ed altri in gran copia. – Nel decimo secolo, il celebre Gerberto, prima umile monaco di Aurìllac, poscia arcivescovo di Ravenna, e finalmente Papa col nome di Silvestro II, non dimostra minor desiderio di conservare e di moltiplicare i manoscritti degli autori profani. Vescovi, religiosi, in Francia. in Italia, in Alemagna, nel Belgio, sono posti a contribuzione, ed il generoso pontefice compra a peso d’ oro quelle opere, le quali, così facilmente come gli autori cristiani, si sarebbero potute dare, e non si diedero, qual classici alla gioventù. Nei secoli seguenti, noi ravvisiamo lo stesso zelo perpetuarsi in tutta Europa sia in Lanfranco, arcivescovo di Cantorbery, sia in Desiderio, abate di Montecassino, poscia Papa col nome di Vittore III, e in molti altri il cui novero empirebbe intere pagine. I dotti conoscendo dunque nel medio-evo gli autori pagani, e studiandoli, ed apprezzandoli, chi oserà sostenere ch’essi non avrebber potuto proporli per modelli alla gioventù, ed essi medesimi imitarli? Che mai mancava loro per ciò? Le opere di quegli autori? ma le possedevano. Il buon gusto necessario per ammirarle? E che! tutti quegli ingegni di prima riga, i quali nel medio-evo e prima tennero sì alto e sì fermo lo scettro del sapere e della eloquenza, non avrebbero forse potuto, se voluto l’avessero, imitare il linguaggio dei pagani, l’architettura pagana, altrettanto bene e molto meglio che nol fecero i personaggi d’ogni fatta che da tre secoli se ne arrogano il privilegio? Né Sant’Agostino, né San Gerolamo, né San Crisostomo, né San Bernardo, né Alberto il Grande, né Dante, né Petrarca, né San Bonaventura, né San Tommaso, né mille altri non avrebber potuto copiare nel loro linguaggio la forma pagana, non meno di quello che gli architetti delle nostre immortali cattedrali avrebbero potuto copiare nei loro lavori le linee rette ed il pien sesto d’Atene e di Roma? No; se nol fecero, si è perché nol vollero fare; e nol vollero fare perché troppo buon gusto avevano per commettere simile stranezza, troppa ragione per risuscitare una forma logoratasi col pensiero ch’essa aveva rivestito, troppa altezza per abbassarsi, come fu fatto dipoi, alla parte d’imitatori servili e sgraziati. – Né solo le sommità del tempo conoscevano gli autori profani. Come nei primi secoli della Chiesa, lo studio ne era permesso quando cessava d’essere pericoloso. Ora, siffatto studio aveva luogo, e, ciò che forse vi meraviglierà, esso era, sino ad un tal quale punto popolare. Non citerò se non un esempio che da tutti gli altri dispensa. Ricordatevi dei bei versi dell’immortal cantore della Divina Commedia, in cui il venerando Cacciaguida, bisavolo di Dante, narra che le dame del suo tempo favellavano dei fatti di Troia, delle antichità di Fiesole e delle eroiche gesta dei Greci e de’Romani, filando la loro rocca o cullando i loro bimbi. – Confrontando le date, voi troverete che questo avveniva nell’undecimo secolo. Voi vedete pertanto che il Rinascimento non inventò, come se glie ne fa l’onore, i Greci ed i Romani. Prima del Rinascimento essi godevano, presso i nostri buoni avi, una onorata ospitalità. Solo il medio-evo aveva avuto il buon senso ed il buon gusto di porre ogni cosa a suo luogo: il Cristianesimo in prima fila, il paganesimo in seconda; il Cristianesimo come base e come corpo dell’edificio, il paganesimo come ornamento accessorio; il cristianesimo come modello, il paganesimo come cesellatura; il cristianesimo come l’essenziale, il paganesimo come forma secondaria di cui si poteva benissimo far senza, non recando nocumento di sorta né alla sodezza, né alla beltà dell’ordine sociale, né ai progressi della mente umana.

 

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.