UN’ENCICLA AL GIORNO TOGLIE L’APOSTATA SCISMATICO DI TORNO: “CHARITAS QUAE”

Oggi ci occupiamo di una Lettera enciclica di Pio VI, che pur nata in un contesto burrascoso, come la situazione politico-religiosa della Francia rivoluzionaria, ricorda da vicino le vicende nate nella Chiesa Cattolica [o almeno ritenuta ancora tale, e non scismatica come oggi ben sappiamo] o in ambienti autoproclamatisi tradizionalisti, in realtà ambienti generati dalle manovre massoniche di accerchiamento della Chiesa condotte dall’interno di essa attraverso la quinta colonna dei marrani infiltrati fino ai massimi livelli occupati con usurpazioni e violenze. In questo scritto, Pio VI denunciava gli abusi compiuti in Francia nella nomina di vescovi graditi ed imposti dall’Assemblea nazionale, “vescovi” ovviamente totalmente privi di ogni potestà ecclesiastica, essendo privi della indispensabile Giurisdizione concessa dalla Sede Apostolica, e quindi da considerarsi totalmente invalidi nei loro atti, compresi quelli sacramentali, illeciti e sacrileghi. Certamente c’è da sorbirsi un po’ di situazioni storiche e personaggi coinvolti nelle vicende, ma a ben pensarci, sostituendo questi nomi con quelli più recenti di pseudo-consacrati senza giurisdizione, o di falsi vescovi e “monsignori” da operetta, fondatori di pittoreschi seminari e fraternità varie, scomunicati e censurati dalle leggi ecclesiastiche, nonché “figliocci” spirituali [come essi stessi si proclamano] di elementi giunti ai vertici della massoneria, e quindi almeno fiancheggiatori di tali personaggi ben noti adoratori di lucifero, si tratta della medesima situazione. Anzi volendo, le false consacrazioni odierne sono ben più gravi di quelle denunciate da S.S. Pio VI in quella funesta e violenta epoca, ma ognuno giudichi da sé! Quello che si vuole sottolineare è che in ogni caso, una consacrazione senza mandato Papale è atto da brigante e da lupo rapace, atto decisamente scismatico, atto che pone tutti, falsi consacratori, falsi consacrati e falsi fedeli, che attingono sacramentalmente e spiritualmente da questi impostori, fuori della Chiesa cattolica e sulla via della eterna perdizione. Per dirla con Pio VI, “le consacrazioni fatte da costoro sono indegne e completamente illegittime, sacrileghe e contrarie alle norme dei Sacri Canoni; pertanto coloro che sono stati eletti così temerariamente e senza alcun diritto sono privi di ogni giurisdizione ecclesiastica e spirituale sul governo delle anime, ed essendo consacrati illecitamente sono sospesi da ogni esercizio dell’ordine episcopale”, … si persuadano che incorreranno nel Nostro anatema e che li denunceremo a tutta la Chiesa come scomunicati, come scismatici dalla Comunione ecclesiale e da Noi allontanati…” – “… debbono ritenersi totalmente privi dell’esercizio dell’Ordine episcopale né godranno del Ministero sacerdotale ora o in futuro”, – “… tutti gli atti conseguenti, considerati scismatici, sono tenuti in nessuna considerazione e fatti oggetto delle più gravi censure …” – Ma la sentenza più importante, per gli scismatici di ogni tempo, per i modernisti, ecumenisti vat-secondisti, settari di ogni risma, come per pseudo-tradizionalisti, sedevacantisti o sedeprivazionisti, per i cani sciolti e per i leoni ruggenti che divorano anime, è quella che ribadisce, senza esitazioni e senza mezzi termini “ipocrito-ermeneutici”: “nessuno infatti può far parte della Chiesa di Cristo, se non si mantiene unito al suo Capo visibile, e stretto alla Cattedra di Pietro, … a quella cattedra infangata, imbrattata, usurpata nel 1958, ma non abbattuta, abolita o sparita, tuttora viva, pur eclissata. Ora nessuno è ignaro, nessuno potrà dire, quando sarà chiamato dal divin Giudice al Sommo Tribunale: “ … io non sapevo!…”

”CHARITAS QUAE”

DEL SOMMO PONTEFICE PIO VI

“SULLA CONDANNA DEL GIURAMENTO CIVILE

DEI CHIERICI DOPO LA RIVOLUZIONE FRANCESE”

I VENERABILI FRATELLI, PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI

E AGLI ALTRI ORDINARI AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE PACE E COMUNIONE

PIO PP. VI

SERVO DEI SERVI DI DIO

VENERABILI FRATELLI, SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

La carità, che – come insegna l’apostolo Paolo – è paziente e benigna, tollera e sopporta tutto, fintanto che rimane la speranza che per mezzo della mansuetudine ci si possa opporre agli errori che ormai hanno cominciato a farsi strada. Tuttavia, se gli errori crescono di giorno in giorno, a tal punto da far precipitare nello scisma, allora le stesse leggi della carità, strettamente congiunte agl’impegni apostolici, che indegnamente svolgiamo, richiedono ed impongono che sia approntata una medicina – paterna, ma pronta ed altrettanto efficace – contro la malattia incipiente, dopo aver mostrato a coloro che sbagliano l’orrore della colpa e la gravità delle pene canoniche nelle quali sono incorsi. In tal modo, coloro che si sono allontanati dalla via della verità possono riaversi e, abiurati gli errori, potranno rientrare nella Chiesa che, come madre affettuosa, accoglierà a braccia aperte il loro ritorno; e gli altri fedeli eviteranno opportunamente gl’inganni degli pseudo-pastori, i quali (entrati nell’ovile in tutti i modi, ma non per la porta) non chiedono altro se non di rubare, uccidere, distruggere. Avendo davanti agli occhi questi precetti divini, a malapena abbiamo udito il rumore della guerra alla quale aizzavano contro la Religione Cattolica i filosofi innovatori riuniti nell’Assemblea Nazionale di Francia, della quale costituivano la maggior parte; piangemmo amaramente davanti a Dio e dopo aver partecipato ai Venerabili Nostri Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa l’ansietà del Nostro animo, abbiamo indetto preghiere pubbliche e private. In seguito, con lettera del 9 luglio 1790 al Nostro carissimo figlio in Cristo Ludovico, re cristianissimo, lo abbiamo reiteratamente esortato a non sanzionare la “Costituzione Civile del Clero” che avrebbe portato la Nazione verso l’errore e il Regno verso lo scisma. Non poteva in nessun modo avvenire che un’assemblea politica di persone cambiasse l’universale disciplina della Chiesa, conculcasse le sentenze dei Santi Padri e i decreti dei Concilii, sovvertisse l’ordine gerarchico, regolasse a suo capriccio l’elezione dei Vescovi, distruggesse le sedi episcopali e, eliminata la migliore organizzazione, ne introducesse nella Chiesa una peggiore. Affinché le Nostre esortazioni penetrassero più a fondo nell’animo del Re cristianissimo, scrivemmo altre due lettere in forma di Breve, il giorno 10 dello stesso mese, ai Venerabili fratelli arcivescovi di Bordeaux e di Vienne, che erano al fianco del re, e paternamente li ammonimmo perché unissero il loro intervento ai Nostri; si doveva scongiurare che, se l’autorità regia avesse accettato la predetta “Costituzione”, il Regno stesso diventasse scismatico, e scismatici i vescovi che fossero creati secondo la forma fissata dai Decreti; nel qual caso Noi saremmo obbligati a bollarli come intrusi, totalmente privi di giurisdizione ecclesiastica. Perché non si potesse minimamente dubitare che le Nostre ansiose sollecitudini fossero motivate soltanto da preoccupazioni religiose e per chiudere la bocca ai nemici di questa Sede Apostolica, decretammo che fosse sospesa in Francia l’esazione delle tasse, dovute ai Nostri uffici dalle precedenti Convenzioni e dalla ininterrotta consuetudine. Il Re cristianissimo si sarebbe certamente astenuto dal confermare la Costituzione, ma l’incalzante, impellente comportamento dell’Assemblea nazionale lo indusse a subire e a sottoscrivere la Costituzione, come dimostrano le lettere che Ci ha inviato il 28 luglio, il 6 settembre ed il 16 dicembre; in esse chiedeva che Noi approvassimo, almeno per precauzione, prima cinque e poi sette articoli, i quali, poco dissimili l’uno dall’altro, costituivano quasi un sunto della nuova Costituzione. Ben presto ci rendemmo conto che nessuno di quegli articoli poteva essere da Noi approvato o tollerato, in quanto contrario alle regole canoniche. Non volendo tuttavia che da ciò i nemici cogliessero l’occasione di ingannare il popolo, come se Noi fossimo contrari a qualunque forma di conciliazione, e volendo continuare sulla stessa strada di mansuetudine, annunciammo al Re, con lettera del 17 agosto a lui stesso indirizzata, che gli articoli sarebbero stati da Noi attentamente soppesati e che i Cardinali di Santa Romana Chiesa sarebbero stati chiamati a consiglio e, riuniti, avrebbero esattamente ponderato. – Essi dunque si riunirono due volte, il 24 settembre ed il 16 dicembre, per esaminare i primi ed i secondi articoli; svolto un diligentissimo esame, ritennero all’unanimità che sugli articoli in questione si dovesse sentire il parere dei Vescovi francesi, perché indicassero essi stessi, se era possibile, qualche fondamento canonico che da lontano non si riusciva ad individuare, come già Noi avevamo scritto in precedenza con altra Nostra lettera al Re cristianissimo. – Una non lieve consolazione al dolore che fortemente Ci affliggeva derivò dal fatto che la maggior parte dei Vescovi francesi, spontaneamente spinta dai doveri dell’impegno pastorale e mossa dall’amore per la verità, si mostrava costantemente contraria a questa Costituzione e la combatteva in tutti i modi che sono propri del regime della Chiesa. Questa Nostra consolazione fu ulteriormente aumentata allorché il Nostro diletto figlio il Cardinale Rochefoucauld e i Venerabili Fratelli l’Arcivescovo di Aix ed altri Arcivescovi e Vescovi in numero di trenta, per prevenire tanti e tanto grandi mali, si rivolsero a Noi; con lettera del 10 ottobre mandarono una “Esposizione sopra i principi della Costituzione del Clero”, firmata da ognuno col proprio nome, chiedendo il Nostro consiglio ed il Nostro aiuto; implorarono da Noi, come da un comune Maestro e Genitore, la corretta norma di comportamento, alla quale affidarsi con tranquillità. Ciò che soprattutto accrebbe la Nostra consolazione fu che molti altri Vescovi si unirono ai primi, sottoscrivendo la predetta “Esposizione”, di modo che dei 131 Vescovi di codesto Regno soltanto quattro si mantennero di diverso avviso; ed insieme a questo così grande numero di Vescovi anche la moltitudine dei Capitoli e la maggior parte dei Parroci e dei Pastori di second’ordine conveniva che questa “Esposizione”, fatta propria col consenso degli animi, dovesse far parte della Dottrina di tutta la Chiesa Francese. Noi stessi, senza frapporre indugio, mettemmo mano all’opera e sottoponemmo ad esame tutti gli articoli di detta Costituzione. Ma l’Assemblea Nazionale Francese, nonostante udisse la voce concorde di codesta Chiesa, non pensò minimamente di desistere dalla propria impresa, anzi fu maggiormente irritata dalla coerenza dei Vescovi. Rendendosi perfettamente conto che fra i Metropolitani e fra i Vescovi più anziani non se ne sarebbe trovato nessuno disponibile a legittimare i nuovi Vescovi, eletti nei Distretti municipali col voto dei laici, degli eretici, degli infedeli e degli ebrei, secondo quanto disponevano i nuovi Decreti; consapevole inoltre che questa assurda forma di regime non avrebbe potuto sussistere da nessuna parte, dal momento che senza Vescovi scompare qualunque forma di Chiesa, l’Assemblea pensò di pubblicare altri Decreti ancora più assurdi; cosa che fece il 15 e il 27 novembre e poi ancora il 3, 4 e 26 gennaio 1791. Con questi ulteriori Decreti, ai quali aggiunse forza l’autorità regia, venne stabilito che – qualora il Metropolitano oppure il Vescovo più vecchio si fosse rifiutato di consacrare i nuovi eletti – qualunque Vescovo di un altro Distretto avrebbe potuto farlo. Inoltre, per far sì che con un’unica azione ed in un solo momento venissero tolti di mezzo tutti i Vescovi onesti e tutti i Parroci animati dalla religione cattolica, fu disposto anche che tutti i Pastori, sia del primo sia del secondo ordine, giurassero tutti, senza alcuna aggiunta, di osservare la Costituzione: sia quella già promulgata, sia le norme che fossero approvate in seguito. Coloro che si fossero rifiutati di prestare giuramento, sarebbero addirittura stati rimossi dal loro grado e le loro sedi e le loro parrocchie considerate vacanti del pastore. Espulsi dunque, anche con la violenza, i legittimi Pastori e Ministri, sarebbe stato lecito procedere all’elezione di nuovi Vescovi e Parroci nei Distretti municipali; messi in disparte i Metropolitani ed i Vescovi più vecchi, che non si fossero piegati al giuramento, questi eletti avrebbero dovuto presentarsi al Direttorio (cui competerebbe la designazione di qualunque Vescovo) per essere confermati ed istituiti. Decreti di questo tenore, successivamente pubblicati, gravarono il Nostro animo di un dolore smisurato ed aumentarono la Nostra pena, perché Ci toccò occuparci anche di questi temi nella risposta ai Vescovi che stavamo preparando. I decreti Ci sollecitarono di nuovo ad indire pubbliche preghiere e ad implorare il Padre di ogni misericordia. Essi furono anche la causa per cui i Vescovi francesi, che già con egregie, meditate pubblicazioni si erano opposti alla Costituzione del Clero, diedero alle stampe nuove Lettere Pastorali al popolo, e si diedero da fare con il massimo impegno a contrastare le disposizioni relative alla deposizione dei Vescovi, alle vacanze delle sedi episcopali, alle elezioni e ratifiche dei nuovi Pastori. Da ciò è derivato che – per espresso accordo di tutta la Chiesa francese – i giuramenti civici vennero considerati come spergiuri e sacrileghi, totalmente indegni non solo degli ecclesiastici ma di qualunque persona cattolica; tutti gli atti conseguenti, considerati scismatici, furono tenuti in nessuna considerazione e fatti oggetto delle più gravi censure. – A queste lodevolissime dichiarazioni del clero francese corrisposero anche i fatti; quasi tutti i Vescovi, infatti, e la maggior parte dei Parroci si rifiutarono, con invitta coerenza, di prestare il giuramento. Allora i nemici della religione si resero conto che tutti i loro malvagi disegni sarebbero andati a vuoto se non fossero riusciti a guadagnarsi l’animo di qualche Vescovo, debole o mosso dall’ambizione; qualcuno che prestasse il giuramento di proteggere la Costituzione e muovesse le sacrileghe mani alle Consacrazioni, affinché niente più mancasse per introdurre lo scisma. Fra quelli abbattuti dall’altrui malizia il primo fu Carlo, Vescovo di Autun, difensore acerrimo della Costituzione; il secondo fu Giovanni Giuseppe, Vescovo di Lidda; il terzo Ludovico, Vescovo d’Orléans; il quarto Carlo, Vescovo di Viviers; il quinto il Cardinale di Loménie ed Arcivescovo di Sens e pochissimi, infelicissimi Pastori di second’ordine. – Per quanto attiene al Cardinale di Loménie, con lettera indirizzata a Noi il 25 novembre scorso, tentando di giustificare il giuramento che aveva prestato, affermava che non doveva essere considerato come un “consenso dell’animo” e che comunque egli si trovava profondamente dubbioso se rifiutarsi di imporre le mani agli eletti (come fino a quel momento aveva evitato di fare) oppure no. Poiché il problema più importante era che nessuno dei vescovi consacrasse gli eletti (cosa che avrebbe rafforzato la via dello scisma), Ci parve opportuno sospendere la Nostra risposta ai Vescovi, che era quasi conclusa, e senza indugio riscrivere, il 23 febbraio, al Cardinale, dimostrandogli sia il suo errore di valutazione nel prestare giuramento, sia anche quali pene sono previste dai Canoni; pene alle quali, non senza dolore nell’animo Nostro, avremmo dovuto sottoporlo, privandolo anche della dignità cardinalizia, se non avesse riparato la pubblica offesa con una tempestiva ed adeguata ritrattazione. Per quanto poi atteneva al dubbio se consacrare o no gli pseudo-eletti, gli ordinammo formalmente di non procedere oltre nell’istituire nuovi Vescovi, neppure per stato di necessità, per non aggiungere nuovi interlocutori ostili alla Chiesa. Si tratta infatti di un diritto che spetta unicamente alla Sede Apostolica, sulla base di quanto fissato dalle norme del Concilio di Trento, e che nessuno dei Vescovi o dei Metropoliti può arrogarsi; in caso contrario, Noi siamo obbligati dal nostro dovere apostolico a considerare scismatici tanto coloro che consacrano quanto coloro che sono consacrati, e di nessun valore tutti gli atti che sia gli uni sia gli altri andranno producendo. Esaurite queste incombenze, che C’imponeva la natura del Nostro supremo compito pastorale, fu opportuno per Noi rimettere mano alla risposta, che già era costata grande impegno e lunga fatica, per le molteplici novità che si erano accumulate. Con l’aiuto di Dio la completammo, affinché una volta esaminati tutti gli articoli, chiunque avesse ben chiaro che la nuova Costituzione – sulla base del Nostro giudizio e di quello della Sede apostolica, che i Vescovi francesi Ci avevano richiesto e che i Cattolici francesi desideravano grandemente – nasceva da principi contaminati dall’eresia, e perciò in parecchi decreti era eretica a propria volta e contraria al dogma cattolico; in altri invece sacrilega, scismatica, distruttiva dei diritti del Primato e della Chiesa, contraria sia alla vecchia sia alla nuova disciplina; in definitiva, strutturata e diffusa senz’altro scopo che abolire la religione cattolica. Ogni libertà di professarla viene infatti negata, i legittimi Pastori vengono rimossi, i beni occupati; invece, gli uomini di altre sette vengono pacificamente lasciati nella loro libertà e nel possesso dei loro beni. Nonostante avessimo dimostrato con chiarezza tutto ciò, e tuttavia non volendo abbandonare la strada della mansuetudine, dichiarammo che fino a quel momento ci eravamo astenuti dal considerare separati dalla Chiesa cattolica gli autori della malefica Costituzione civile del clero; ma contemporaneamente dovemmo ripetere che (come la Santa Sede ha sempre usato fare in casi di questo genere) saremmo purtroppo costretti a dichiarare scismatici tutti coloro che non si allontanassero dagli errori che Noi abbiamo illustrati, sia che si tratti degli autori di questa Costituzione, sia di persone che vi abbiano aderito con giuramento; che siano stati nominati nuovi pastori o che abbiano consacrato gli eletti, o che dagli eletti siano stati consacrati. Tutti costoro infatti, chiunque fossero, sarebbero privi della legittima missione e della comunione con la Chiesa. Poiché – fatti salvi il dogma e la disciplina universale della Chiesa – il Nostro animo è disposto a favorire, fin dove è lecito, l’illustre nazione francese, seguendo il consiglio dei Cardinali convocati per questo motivo e ripetendo ciò che già avevamo scritto personalmente al Re cristianissimo, esortammo i Vescovi, sotto i cui occhi le cose si svolgevano, a prospettarci qualche altro tipo d’intervento – se fosse possibile trovarlo – non in contrasto con il dogma cattolico e con la disciplina universale, da sottoporre al Nostro esame ed alla Nostra decisione. Questi sentimenti del Nostro animo vennero da Noi esposti anche al Nostro carissimo figlio in Cristo, il Re cristianissimo, al quale mandammo copia della Nostra risposta ai Vescovi; inoltre lo esortammo nel Signore a preparare, con l’aiuto dei Vescovi più saggi, una medicina più adatta al male che era derivato anche dall’autorità regia e lo assicurammo che contro coloro che si fossero mantenuti pervicacemente nell’errore Noi avremmo eseguito (come deriva dall’obbligo pastorale) ciò che, posti nella stessa condizione, anche i Nostri Predecessori disposero. Entrambe le Nostre lettere, quella al Re e quella ai Vescovi, furono spedite il 10 marzo con un corriere speciale, che partì il giorno successivo. Di nuovo, il giorno 15 dello stesso mese, con l’arrivo del corriere ordinario proveniente dalla Francia, da ogni parte Ci venne riferito che il 24 febbraio a Parigi si era raggiunto il culmine dello scisma. In quel giorno infatti il Vescovo d’Autun (già colpevole di spergiuro e reo di defezione per aver abbandonato la Chiesa di propria volontà e davanti ai Laici) con un comportamento ben dissimile da quello del suo Capitolo, meritevole invece d’ogni elogio, si unì ai Vescovi di Babilonia e di Lidda. Il primo di questi, che era stato da Noi insignito del pallio e gratificato anche di sussidi, si dimostrò degno successore di un altro Vescovo di Babilonia, quel Domenico Varlet ben noto per lo scisma della Chiesa di Utrecht; il secondo, già colpevole di spergiuro, era già incorso nell’odio e nella disistima dei buoni allorché s’era mostrato dissidente dalla retta dottrina del Vescovo e del Capitolo della Chiesa di Basilea, della quale egli è suffraganeo. In quel giorno, dunque, il Vescovo d’Autun, con l’aiuto di questi due vescovi, senza farne parola all’Ordinario, nella chiesa dei Preti dell’Oratorio osò imporre le sacrileghe mani a Luigi Alessandro Expilly e a Claudio Eustachio Francesco Marolles, senza averne ricevuto alcun mandato dalla Sede apostolica, senza richiedere il giuramento dell’obbedienza dovuta al Pontefice; tralasciando inoltre l’esame e la confessione di fede prescritta dal Pontificale Romano (formalità che devono essere osservate in tutte le chiese del mondo) e trascurando, violando, disprezzando anche tutte le altre norme. Tutto ciò, sebbene non potesse ignorare che il primo dei due era stato eletto illegittimamente Vescovo di Cornovaglia, nonostante le gravi e ripetute contestazioni di quel Capitolo, e che l’altro ancor meno legittimamente era stato nominato Vescovo di Soissons, della diocesi che ha invece come proprio pastore vivo e vegeto il reverendo fratello Enrico Giuseppe Claudio de Bourdeilles. Questi ritenne suo preciso dovere opporsi con veemenza a tanto grande profanazione e difendere con impegno la sua diocesi, come testimonia la sua sollecita lettera al popolo datata 25 febbraio. Contemporaneamente Ci venne riferito che il vescovo di Lidda aveva aggiunto al vecchio anche un nuovo crimine. Il giorno 27 dello stesso mese di febbraio, in compagnia dei nuovi pseudo-Vescovi Expilly e Marolles, nella stessa chiesa aveva osato consacrare in maniera sacrilega il parroco Saurine come Vescovo di Aix, quantunque anche questa Chiesa gioisca lieta dell’ottimo suo Pastore, il reverendo fratello Carlo Augusto Lequien. Forse da ciò è derivato che lo stesso vescovo di Lidda, Giovanni Giuseppe Gobel, pur essendone tuttora vivo l’Arcivescovo, fu nominato capo della chiesa di Parigi, sull’esempio di Ischira, che, a compenso del crimine commesso e dell’ossequio tributato nell’accusare e nel cacciare dalla sua sede Sant’Atanasio, nel Conciliabolo di Tiro fu proclamato Vescovo di quella città. Notizie così dolorose e tristi riempirono il Nostro animo di dolore e tristezza incredibili. Confortati tuttavia dalla speranza in Dio, il giorno 17 di marzo ordinammo che fosse di nuovo convocata la Congregazione dei Cardinali, affinché Ci esprimesse il proprio parere su una situazione di tale gravità, come già aveva fatto altre volte. Mentre Ci preoccupavamo di dar corso alla delibera assunta con il consiglio dei Cardinali, il giorno 21 dello stesso mese un altro corriere giunto da codesto Regno riferisce che il Vescovo di Lidda, divenuto ancora più perfido, insieme agli pseudo-Vescovi Expilly e Saurine, il giorno 6 dello stesso mese, nella stessa chiesa, con le stesse sacrileghe mani aveva consacrato Vescovo di Beauvais il parroco Massieu, deputato dell’Assemblea francese; un altro deputato, il parroco Lindet, Vescovo di Eureux; il parroco Laurent, anch’egli deputato, Vescovo di Moutiers; il parroco Heraudin Vescovo di Châteauroux. Egli osò far questo nonostante le due prime diocesi abbiano tuttora i loro pastori legittimi e le altre due chiese non siano state ancora erette dall’autorità Apostolica in sedi vescovili. Quale giudizio si debba dare di coloro che accettano di essere eletti e consacrati in Chiese regolarmente rette ed amministrate dai loro Vescovi, lo spiegò egregiamente, molti anni prima di Noi, San Leone. Scrivendo infatti a Giuliano, Vescovo di Coo, contro un certo Teodosio che aveva occupato la sede del Vescovo Giovenale, ancora vivente, al cap. IV sostenne: “Che uomo sia colui che s’introduce nella sede di un vescovo vivente si desume con chiarezza dallo stesso gesto; né c’è da dubitare che sia un malvagio colui che è amato dai nemici della fede. Con quanta ragione la Chiesa si sia sempre tenuta lontana da coloro che vengono eletti dalla turba e dalla confusione dei laici (mentre eletti ed elettori si dimostrano affetti da una stessa malattia: quella delle false opinioni) Ce lo dimostrò, anche troppo, una lettera pastorale a Noi indirizzata – giunta per il tramite dello stesso corriere – che lo pseudo-Vescovo Expilly aveva fatto pubblicare il 25 febbraio per ingannare gl’inesperti e senz’altro disegno, certamente, che stracciare l’inconsutile veste di Cristo. Costui, dunque, dopo aver ricordato il giuramento – ovverossia lo spergiuro – al quale s’è vincolato, espone tutti i fondamenti della Costituzione francese, che riporta quasi parola per parola, e – condividendo le posizioni dell’Assemblea – ne consiglia l’approvazione; sostiene che una Costituzione come quella non offende assolutamente il dogma, ma soltanto introduce una forma migliore di disciplina, riportandola alla purezza dei primi secoli, soprattutto in quella parte nella quale, allontanato il clero, le elezioni vengono restituite al popolo e le istituzioni e le consacrazioni ai Metropolitani, grazie ai primi Decreti dell’Assemblea francese, i soli che egli cita. Per ingannare meglio gl’inesperti, egli ricorda una lettera che Ci scrisse il 18 novembre 1790, come se fosse stato in accordo con la Sede Apostolica. In seguito, rivolgendosi direttamente ai singoli Ordini della Diocesi, li esorta tutti ad accoglierlo come legittimo Pastore e ad accettare spontaneamente la Costituzione. Ah, l’infelice! Tralasciando Noi volutamente quei temi che attengono al governo civile, tuttavia, con quale mai coraggio egli intende difendere, sul piano religioso, una Costituzione che quasi tutti i Vescovi della Chiesa francese e molti altri uomini di Chiesa hanno riprovata e rigettata, considerandola contraria al dogma e difforme dalla disciplina consueta, in particolare per le elezioni e le consacrazioni dei Vescovi? Questa verità, che salta agli occhi, neppure lui avrebbe potuto dissimulare o celare se non avesse passato consapevolmente sotto silenzio i decreti più assurdi che ultimamente erano stati approvati dall’Assemblea francese. Decreti che, oltre le altre iniquità, sono arrivati al punto di attribuire il diritto di nomina e di conferma di ogni Vescovo all’arbitrio e alla volontà del Direttorio. Codesto infelice, che già tanto è avanzato sulla via della perdizione, si legga dunque la Nostra risposta ai Vescovi della Gallia, nella quale abbiamo confutato ed abbattuto in anticipo tutti i mostruosi errori della sua lettera, e capirà quanto chiaramente risplenda nei singoli articoli la verità che egli odia. Sappia intanto di essersi già condannato da solo. Se infatti è vero (come prevede l’antica disciplina sulla base del Canone del Concilio di Nicea, cui egli fa riferimento) che ogni eletto, per ottenere il riconoscimento legittimo del titolo, dev’essere confermato dal suo Metropolita e che il diritto dei Metropoliti deriva dal diritto della Sede Apostolica, come potrà accadere che Expilly si ritenga insediato legittimamente sulla base dei Canoni, dal momento che alla sua consacrazione hanno avuto parte altri Vescovi ma non l’Arcivescovo di Tours, di cui la Chiesa di Kimpercotin è suffraganea? Poiché questi Vescovi appartengono ad altre province, se poterono, con ardire sacrilego, conferirgli l’Ordine, non poterono tuttavia attribuirgli la giurisdizione, della quale essi sono completamente privi, come prevede la disciplina di tutte le epoche. Questa potestà di conferire la giurisdizione, sulla base della nuova disciplina, introdotta già da molti secoli e confermata dai Concilii generali e dagli stessi Concordati, non riguarda assolutamente i Metropoliti e – come se fosse ritornata da dove proveniva – risiede unicamente presso la Sede Apostolica; perciò oggi “il Pontefice Romano per obbligo del suo ufficio dà a ciascuna Chiesa i suoi Pastori, per dirla con lo stesso Concilio di Trento (Sessione 24, cap. 1 De ref.), e di conseguenza in tutta la Chiesa Cattolica nessuna consacrazione può considerarsi legittima se non conferita dalla Sede Apostolica. Non è assolutamente vero che la lettera che egli Ci ha inviato lo favorisca; anzi! Lo rende maggiormente colpevole e non può sfuggire alla taccia di scismatico. Infatti, pur simulando un’apparenza di comunione con Noi, la lettera non fa parola della conferma che da Noi deve ricevere, e semplicemente Ci riferisce della sua elezione, per quanto illegittima, come dispongono i Decreti francesi. Per questo, Noi, seguendo l’esempio dei Nostri Predecessori, giudicammo di non dovergli rispondere, ma ordinammo che fosse seriamente ammonito a non procedere oltre; speravamo che avrebbe obbedito. Egli era già stato ammonito, di propria iniziativa, dal Vescovo di Rennes, che gli negò l’istituzione e la conferma che egli insistentemente richiedeva. Perciò, anziché accoglierlo come Pastore, il popolo deve respingerlo con orrore come un invasore. Invasore, diciamo, perché rifiutò di professare quella verità che pure doveva conoscere; perché cominciò ad abusare dell’ufficio di Pastore, da lui carpito; perché divenne addirittura talmente arrogante che alla fine della lettera pastorale osò persino dispensare dal vincolo del precetto ecclesiastico quaresimale. Perciò ” della sospensione, di arrogarsi la giurisdizione episcopale o qualunque altra autorità relativa al governo delle anime, dato che non l’ottennero mai;”, come disse di un invasore analogo San Leone Magno scrivendo ad alcuni Vescovi dell’Egitto. Vedendo Noi pertanto che con questa molteplice serie di eccessi lo scisma si diffonde e si moltiplica nel Regno francese, così benemerito della religione e a Noi così caro; vedendo inoltre che per queste stesse ragioni di giorno in giorno in ogni luogo vengono eletti nuovi Pastori, sia del primo sia del secondo ordine, e che i legittimi Ministri sono rimossi e cacciati ed al loro posto vengono insediati lupi rapaci, non possiamo non esser mossi a pietà da una vicenda così lacrimevole. Per porre il più pronto riparo allo scisma che progredisce; per riportare al loro dovere coloro che hanno sbagliato e per rinsaldare nelle loro convinzioni i buoni; per conservare fiorente la religione in codesto regno; aderendo Noi ai consigli dei Nostri Venerabili Fratelli i Cardinali di Santa Romana Chiesa ed assecondando i desideri di tutto l’Ordine episcopale della Chiesa francese, seguendo l’esempio dei Nostri predecessori, con la potestà Apostolica che esercitiamo, con la presente in primo luogo intimiamo: Chiunque – Cardinali di Santa Romana Chiesa, Arcivescovi, Vescovi, Abati, Vicari, Canonici, Parroci, Presbiteri, tutti coloro che partecipano alla milizia ecclesiastica, secolari o regolari – abbia prestato puramente e semplicemente, come prescritto dall’Assemblea nazionale, il “giuramento civico, fonte avvelenata di tutti gli errori e causa principale di tristezza per la Chiesa cattolica francese, se entro quaranta giorni a contare da oggi non avrà ritrattato tale giuramento sarà sospeso dall’esercizio di qualunque ordine, e sarà colpevole di irregolarità se lo eserciterà. Inoltre dichiariamo specificamente che le elezioni dei predetti Expilly, Marolles, Saurine, Massieu, Lindet, Laurent, Heraudin e Gobel a Vescovi di Kimpercotin, Soissons, Aix, Beauvais, Eureux, Moutiers, Châteauroux e Paris sono state illegittime e sacrileghe e perciò sono state e sono da ritenersi nulle e come tali le annulliamo, cancelliamo ed abroghiamo, insieme con la nuova istituzione dei cosiddetti Vescovadi di Moutiers e Châteauroux e di altri. Dichiariamo e precisiamo inoltre che le consacrazioni fatte da costoro sono state indegne e completamente illegittime, sacrileghe e contrarie alle norme dei Sacri Canoni; pertanto coloro che sono stati eletti così temerariamente e senza alcun diritto sono privi di ogni giurisdizione ecclesiastica e spirituale sul governo delle anime, ed essendo consacrati illecitamente sono sospesi da ogni esercizio dell’ordine episcopale. Parimenti dichiariamo sospesi da ogni esercizio dell’ordine episcopale Carlo, Vescovo di Autun, Giovanni Battista, Vescovo di Babilonia, e Giovanni Giuseppe, Vescovo di Lidda, consacratori sacrileghi o assistenti; ugualmente sospesi dall’esercizio dell’ordine sacerdotale e da qualunque altro ordine siano tutti coloro che prestarono aiuto, opera, consenso e consiglio a tali esecrande consacrazioni. Perciò disponiamo e strettamente vietiamo al citato Expilly ed agli altri illecitamente eletti ed illecitamente consacrati, sotto la stessa pena della sospensione, di arrogarsi la giurisdizione episcopale o qualunque altra autorità relativa al governo delle anime, dato che non l’ottennero mai; né di dare lettere dimissorie per prendere gli ordini, né di istituire, incaricare o confermare, con qualunque pretesto, pastori, vicari, missionari, servitori, funzionari, ministri o comunque li si voglia chiamare, incaricati della cura delle anime e dell’amministrazione dei sacramenti; né decretare, sia autonomamente sia congiuntamente, attraverso conciliabolo, in materia attinente la giurisdizione ecclesiastica; inoltre dichiariamo e rendiamo noto a tutti che lettere dimissoriali, deputazioni e conferme, sia che siano già state presentate sia che possano esserlo in futuro, insieme a tutti gli altri atti che siano derivati per temerario ardire, saranno considerati illegittimi e di nessuna rilevanza. Allo stesso modo disponiamo e vietiamo, con analoga pena della sospensione, tanto ai consacrati quanto ai consacratori, che osino impartire illecitamente tanto il sacramento della Cresima quanto l’Ordine o comunque esercitare ingiustamente l’Ordine episcopale, dal quale sono stati sospesi. Di conseguenza, coloro che sono stati iniziati agli Ordini ecclesiastici da costoro sappiano di essere soggetti al vincolo della sospensione, e che se eserciteranno gli ordini ricevuti saranno anche colpevoli di irregolarità. Per prevenire mali maggiori, con la stessa autorità e lo stesso tenore disponiamo e rendiamo noto che tutte le altre elezioni alle Chiese, alle Cattedrali ed alle Parrocchie francesi, vacanti o, peggio, occupate; vecchie o, peggio, nuove e di illegittima costituzione, compiute sin qui secondo i criteri della ricordata Costituzione del clero da parte degli elettori dei distretti municipali; quelle che vogliamo si considerino esplicitate, e quante altre seguiranno, devono essere considerate illegali, illegittime, sacrileghe e di nessun valore per il passato, per il presente e per il futuro; e Noi, per il presente, adesso per allora, le annulliamo, cancelliamo e abroghiamo. Dichiarando inoltre che quegli stessi che sono stati eletti senza fondamento giuridico e gli altri che lo saranno in analogo modo, sia nelle Chiese sia nelle Cattedrali, sono privi di ogni giurisdizione ecclesiastica o spirituale relativa al governo delle anime; che i Vescovi sin qui illecitamente consacrati, che parimenti vogliamo si ritengano citati, e gli altri che in seguito lo siano, debbono ritenersi totalmente privi dell’esercizio dell’Ordine episcopale né godranno del Ministero sacerdotale ora o in futuro. Perciò proibiamo strettamente sia a coloro che sono stati eletti Vescovi, sia a coloro che eventualmente lo saranno, di osare ricevere l’Ordine, cioè la consacrazione episcopale, da chiunque, sia egli Metropolita o Vescovo. Quanto agli stessi pseudo-Vescovi ed ai loro sacrileghi consacratori, e a tutti gli altri Arcivescovi e Vescovi, non presumano di consacrare gli illecitamente eletti o quelli che lo dovessero essere in futuro, trincerandosi dietro qualsiasi pretesto o colore. Comandando inoltre agli eletti di questo tipo e agli eventuali futuri Vescovi o Parroci, che non si comportino assolutamente come Arcivescovi, Vescovi, Parroci o Vicari, né s’incoronino del titolo di alcuna Chiesa cattedrale o parrocchiale, né si arroghino alcuna giurisdizione o facoltà relativa al governo delle anime, sotto pena di sospensione e di nullità; pena dalla quale nessuno di quelli fin qui nominati potrà mai essere liberato, se non da Noi personalmente o da coloro che la Sede Apostolica avrà delegato. Con la maggior benignità possibile abbiamo illustrato fin qui le pene canoniche inflitte per emendare i mali fino ad ora compiuti e per evitare che si dilatino ulteriormente in futuro. Noi confidiamo nel Signore che i consacratori e gli invasori delle cattedrali e delle parrocchie, gli autori e tutti i fautori della Costituzione riconoscano il loro errore e, spinti dalla penitenza, ritornino a quell’ovile dal quale furono strappati non senza macchinazione ed insidia. Sollecitandoli con parole paterne, Noi li esortiamo e li scongiuriamo nel Signore affinché si allontanino da siffatto ministero; affinché distolgano il piede dalla via della perdizione nella quale si sono gettati a capofitto; affinché non permettano che uomini imbevuti della filosofia di questo secolo diffondano tra il popolo queste mostruosità dottrinarie, contrarie all’istituzione di Cristo, alla tradizione dei Padri ed alle regole della Chiesa. Se dovesse mai accadere che il Nostro benevolo modo d’agire, le Nostre paterne ammonizioni, Dio non voglia, restassero inascoltati, sappiano costoro che non abbiamo intenzione di liberarli dalle più gravi pene alle quali sono sottoposti dai Canoni. Si persuadano che incorreranno nel Nostro anatema e che li denunceremo a tutta la Chiesa come scomunicati, come scismatici dalla Comunione ecclesiale e da Noi allontanati. Infatti è quanto mai opportuno che “chiunque abbia scelto di giacere nel fango della propria insipienza, sappia che le leggi mantengono la loro forza e che condividerà la sorte di coloro dei quali ha seguito l’errore, come C’insegna Leone Magno, Nostro predecessore, nella lettera a Giuliano, Vescovo di Coo. A Voi ora Ci rivolgiamo, Venerabili Fratelli, che – salve poche eccezioni – avete correttamente riconosciuto i vostri doveri nei confronti del gregge e senza preoccuparvi dei rispetti umani li avete professati di fronte a tutti; che avete ritenuto che occorressero maggior impegno e maggior fatica proprio dove incombeva più grande il pericolo; a Voi adattiamo l’elogio nel quale il lodato Leone Magno accomunò i Vescovi dell’Egitto cattolico riuniti a Costantinopoli: “Sebbene io soffra assieme con voi, di tutto cuore, per i travagli che avete sopportato per osservare la Fede cattolica, ed io senta tutto ciò che avete subìto da parte degli eretici non diversamente che se fosse stato fatto personalmente a me, tuttavia riconosco che c’è ragione maggiore di gaudio che non di tristezza, dal momento che, con l’aiuto del Signore Gesù Cristo, siete rimasti saldi nella dottrina evangelica ed apostolica. E quando i nemici della Fede cristiana vi cacciarono dalla sede delle chiese, preferiste subire l’offesa dell’esilio piuttosto che essere infettati dal contagio della loro empietà. Pensando a voi, non possiamo non sentire grande consolazione e non possiamo non esortarvi con forza a perseverare nel comportamento. Richiamiamo alla vostra memoria il nesso di quel matrimonio spirituale con il quale siete legati alle vostre Chiese e che può essere annullato in forma canonica soltanto dalla morte o dalla Nostra autorità apostolica. Ad esse dunque mantenetevi stretti e non abbandonatele mai all’arbitrio dei lupi rapaci, contro le cui insidie, traboccanti di santo ardore, voi avete già levato la voce e non avete tentennato nel compiere i doveri derivanti dalla legittima autorità. Ora parliamo a voi, diletti Figli, Canonici degli spettabili Capitoli, che, come è giusto, siete fedeli ai vostri Arcivescovi e Vescovi e – come tante membra collegate con la testa – date vita ad un unico corpo ecclesiastico, che non può essere sciolto o sconvolto dal potere civile. Voi dunque, che così lodevolmente avete seguito i nobili esempi dei vostri Presuli, non allontanatevi mai dalla retta via sulla quale state procedendo, e non permettete che qualcuno, indossate le mentite spoglie di Vescovo o di Vicario, s’impadronisca del governo delle vostre Chiese. Esse infatti, se sono rimaste vedove del loro Pastore, apparterranno soltanto a voi, ad onta di qualunque nuova macchinazione venga compiuta contro di voi. Con la concordia degli animi e delle opinioni, tenete dunque lontano da voi, più che potete, ogni invasione e scisma. Ci rivolgiamo anche a voi, diletti Figli, Parroci e Pastori del second’ordine che, moltissimi per numero e costanti per virtù, avete svolto il vostro dovere, completamente diversi da quei vostri colleghi che – vinti dalla debolezza o catturati dall’ambizione – divennero schiavi dell’errore e che ora, da Noi ammoniti, speriamo ritorneranno sollecitamente al loro dovere. Continuate coraggiosamente nell’opera iniziata e ricordate che il mandato che riceveste dai vostri Vescovi legittimi non può esservi tolto che da loro; ricordate che, per quanto espulsi dal vostro incarico dal potere civile, tuttavia siete sempre Pastori legittimi, obbligati dal vostro dovere a tener lontani, per quanto possibile, i ladri che tentano d’introdursi nella vostra casa con l’unico disegno di perdere le anime affidate alle vostre cure e della cui salvezza sarete chiamati a rendere conto. Parliamo anche a voi, diletti Figli, Sacerdoti ed altri Ministri del clero francese, che – chiamati a partecipare del Signore – dovete attenervi ai vostri legittimi pastori e rimanere costanti nella fede e nella dottrina, nulla avendo di più caro che evitare i sacrileghi invasori, e rigettarli. Infine preghiamo voi tutti nel Signore, diletti Figli cattolici del Regno di Francia: ricordandovi della religione e della fede dei vostri padri, col più grande affetto del cuore vi sollecitiamo a non discostarvene, perché questa è la sola e la vera religione che dona la vita eterna e che sorregge e rende prospere anche le società civili. State ben attenti a non prestare orecchio alle insidiose voci della filosofia di questo secolo, che sono foriere di morte. Tenetevi lontani da tutti gli usurpatori, che si facciano chiamare Arcivescovi, Vescovi o Parroci, e non abbiate con loro nulla in comune, men che meno nelle cose divine. Ascoltate assiduamente le voci dei legittimi Pastori, quelli che vivono ancora e quelli che in futuro vi verranno assegnati nelle forme canoniche. In una parola, insomma, tenetevi solidali con Noi; nessuno infatti può far parte della Chiesa di Cristo, se non si mantiene unito al suo Capo visibile, e stretto alla Cattedra di Pietro. Affinché tutti siano spinti a compiere più coraggiosamente i loro doveri, Noi invochiamo per voi dal Padre Celeste lo spirito di saggezza, verità e costanza; in pegno del Nostro amore paterno dal più profondo del cuore impartiamo a voi, diletti Figli Nostri, Venerabili Fratelli e diletti Figli, l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, sotto l’anello del Pescatore, il 13 aprile 1791, anno diciassettesimo del Nostro

Pontificato.

PIO PP. VI

 

DOMENICA IV dopo PASQUA

DOMENICA IV dopo PASQUA

Introitus Ps CXVII:1; XCVII:2

Cantáte Dómino cánticum novum, allelúja: quia mirabília fecit Dóminus, allelúja: ante conspéctum géntium revelávit justítiam suam, allelúja, allelúja, allelúja. [Cantate al Signore un cantico nuovo, allelúia: perché il Signore ha fatto meraviglie, allelúia: ha rivelato la sua giustizia agli occhi delle genti, allelúia, allelúia, allelúia.]

Salvávit sibi déxtera ejus: et bráchium sanctum ejus. [Gli diedero la vittoria la sua destra e il suo santo braccio.]

V. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto. – R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in sæcula sæculórum. Amen.

Cantáte Dómino cánticum novum, allelúja: quia mirabília fecit Dóminus, allelúja: ante conspéctum géntium revelávit justítiam suam, allelúja, allelúja, allelúja. [Cantate al Signore un cantico nuovo, allelúia: perché il Signore ha fatto meraviglie, allelúia: ha rivelato la sua giustizia agli occhi delle genti, allelúia, allelúia, allelúia.]

Oratio

V. Dóminus vobíscum. – R. Et cum spiritu tuo.

Orémus. Deus, qui fidélium mentes uníus éfficis voluntátis: da pópulis tuis id amáre quod praecipis, id desideráre quod promíttis; ut inter mundánas varietátes ibi nostra fixa sint corda, ubi vera sunt gáudia. [O Dio, che rendi di un sol volere gli ànimi dei fedeli: concedi ai tuoi pòpoli di amare ciò che comandi e desiderare ciò che prometti; affinché, in mezzo al fluttuare delle umane vicende, i nostri cuori siano fissi laddove sono le vere gioie.] Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum. R. Amen.

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Jacóbi Apóstoli. Jac. I:17-21. “Caríssimi: Omne datum óptimum, et omne donum perféctum desúrsum est, descéndens a Patre lúminum, apud quem non est transmutátio nec vicissitúdinis obumbrátio. Voluntárie enim génuit nos verbo veritátis, ut simus inítium áliquod creatúræ ejus. Scitis, fratres mei dilectíssimi. Sit autem omnis homo velox ad audiéndum: tardus autem ad loquéndum et tardus ad iram. Ira enim viri justítiam Dei non operátur. Propter quod abjiciéntes omnem immundítiam et abundántiam malítiæ, in mansuetúdine suscípite ínsitum verbum, quod potest salváre ánimas vestras.” [Caríssimi: Ogni liberalità benéfica e ogni dono perfetto viene dall’alto, scendendo da quel Padre dei lumi in cui non è mutamento, né ombra di vicissitudine. Egli infatti ci generò di sua volontà mediante una parola di verità, affinché noi siamo quali primizie delle sue creature. Questo voi lo sapete, miei cari fratelli. Ogni uomo sia pronto ad ascoltare, lento a parlare e lento all’ira. Poiché l’uomo iracondo non fa quel che è giusto davanti a Dio. Per la qual cosa, rigettando ogni immondezza e ogni resto di malizia, abbracciate con animo mansueto la parola innestata in voi, la quale può salvare le vostre ànime.] R. Deo gratias.

DOMENICA IV. DOPO PASQUA

[mons. Bonomelli, Omelie – vol. II; Torino 1899, impr.]

Omelia XXI.

 “Ogni buon dono ed ogni perfetto presente viene dall’alto, discendendo dal Padre dei lumi, presso il quale non vi è mutamento, od ombra di vicende. Egli di sua volontà ci ha generati colla parola di verità, affinché in certo modo fossimo la primizie dell’opera sua. Intendetelo bene, fratelli miei diletti. Ognuno sia pronto ad udire, tardo al parlare, lento all’ira. Perché l’ira dell’uomo non fa quello che è giusto dinanzi a Dio. Perciò smessa ogni bruttura e malvagità, accogliete docilmente la parola seminata in voi, la quale può salvare le anime vostre „ (S. Giacomo, I; 17-21).Queste poche sentenze leggiamo nella Messa odierna e si trovano nella epistola di S. Giacomo. Se non erro, è questa la prima volta che mi accade di dover togliere a soggetto dell’omelia un tratto di questa lettera. Essa, come si legge a principio, fu scritta da S. Giacomo apostolo. Son due gli apostoli di questo nome; il primo, detto il Maggiore, fratello di Giovanni e figliuolo di Zebedeo, ed uno dei tre prediletti da Cristo. Questi fu messo a morte da Erode Agrippa, dieci anni dopo l’Ascensione di nostro Signore, l’anno 42 dell’era nostra. L’altro, detto il Minore, forse per ragione dell’età, figliuolo di Alfeo o Cleofa e di Maria, sorella o cugina della Vergine, e perciò detto fratello di Cristo, ossia cugino. Visse sempre in Gerusalemme, ne fu il primo vescovo, venerato per la sua santità anche dai Giudei, ebbe la corona del martirio l’anno 62 dell’era nostra, ad istigazione del pontefice Anano, otto anni prima dello sterminio di Gerusalemme. La lettera è di questo apostolo e fu indirizzata, non molto prima della sua morte, a tutti i Giudei convertiti e sparsi in varie provincie. Il suo scopo è tutto pratico e morale e riflette mirabilmente il fare degli Evangeli e mostra la perfetta opposizione, che esiste tra Dio ed il mondo, l’amore dell’uno e dell’altro. Sembra anche, per avviso di alcuni autorevoli interpreti, che S. Giacomo si proponesse in questa lettera di correggere l’abuso, che per molti si faceva della lettera di S. Paolo ai Romani. Interpretando male quella lettera, essi dicevano, che la sola fede bastava a salute senza le opere, mentre san Paolo aveva insegnato soltanto che nessuno, né Giudeo, né Gentile poteva colle opere meritare il dono della fede. S. Giacomo stabilisce che la fede senza le opere è morta, e che queste sono necessarie a salvezza. Premesse queste comuni e non inutili avvertenze, io tolgo a chiosare i cinque versetti, che or ora ho voltato nella nostra lingua.«Ogni buon dono ed ogni perfetto presente, viene dall’alto, discendendo dal Padre dei lumi. „ Nei versetti che precedono, san Giacomo parla della concupiscenza e del peccato, che ne è il figlio e che genera la morte dell’anima. Ecco il mondo e l’opera del mondo: a questa l’apostolo contrappone il dono e l’opera di Dio, che produce la vita, e dice: “Ogni dono, ogni grazia perfetta non viene dal basso, dalla terra, ma discende dall’alto, discende da Dio, Padre e fonte d’ogni lume e d’ogni verità. „ Vi è un doppio ordine di beni o doni, che vengono da Dio: i beni dell’ordine naturale, che sono la vita, la ragione, la libertà e tutto ciò che conserva la vita e svolge le sue forze o facoltà: i beni dell’ordine sopranaturale, che sono la grazia, la fede e andate dicendo. Di quali doni scrive qui S. Giacomo? Di tutti, io credo, perché tutti provengono da Dio, ma certamente intende parlare dei sovranaturali in particolar modo, perché più eccellenti, e di questi soli ragiona nel versetto che segue. Miei cari! come i raggi della luce emanano dal sole e con essi il calore, che avviva ogni cosa sulla terra, così tutti i beni sgorgano da Dio, ed incessantemente si spargono sulle anime per fecondarle, abbellirle e santificarle. Tutti i beni derivano da Dio! Ma forse, donando continuamente a tutti, Dio si muta? Forse perde alcun che dell’essere suo? Porse passa sopra di Lui un’ombra sola d’imperfezione? No, mai. Egli dà sempre e nulla perde opera sempre e non si muta, tutto muove e non si muove. Egli è come la verità: essa è sempre la stessa: conosciuta da milioni di intelligenze in vari modi e applicata in tutte le forme, è sempre la stessa in tutti i luoghi ed in tutti i secoli passati, presenti e futuri. In cielo, in terra, corpi e spiriti, intelligenze e volontà acquistano o perdono, risplendono, si eclissano e si mutano, Dio solo è immutabile. « Presso di lui, grida S. Giacomo, non vi è mutamento, non ombra di vicende. „ A noi torna difficile concepire come Dio operi sempre e disponga ogni cosa, eppure non si muti. Io vi presenterò un fatto naturale, certissimo, che ci aiuterà a concepire l’immutabilità e la continua azione di Dio. Voi sapete che la terra e gli astri tutti del nostro sistema si muovono intorno al sole. Chi li muove incessantemente? Il sole colla forza, che dicono di attrazione. E il sole è immobile nel loro centro: esso tutti li muove in ogni istante e li illumina e li riscalda sempre egualmente, ed essi si muovono sempre e sempre sono illuminati e riscaldati variamente secondo i vari punti, in cui si trovano. Così Dio è immutabile in sé e muta le cose tutte. Non comprendete il mistero? Spiegatemi come il sole immutabile nel centro muti gli astri tutti, ed io vi spiegherò come Dio immutabile nella sua natura possa mutare le cose. S. Giacomo ha detto in genere, che Dio è fonte d’ogni dono, d’ogni grazia perfetta: ora passa a menzionarne una principalissima, che ne comprende molte altre. Udite: ” Dio, così Egli, di sua volontà, ci generò colla parola di verità. „ Dio Padre, della sua stessa sostanza, da tutta l’eternità genera il Figliuol suo in ogni cosa a sé eguale: questo Figliuolo, unico come unico è il Padre, è l’immagine perfetta e sostanziale di Colui che lo genera, è l’oggetto delle eterne sue compiacenze, lo specchio, in cui contempla se stesso e si bea e si letizia. Ma piacque a Dio formarsi altri figli fuori di sè, che fossero l’immagine del Figliuol suo, che in qualche modo crescessero e rispecchiassero le sue infinite perfezioni: tra questi figli di Dio, dopo gli angeli, sono gli uomini. – E come forma di noi, poveri uomini, suoi figli? Forse ci genera della sua sostanza, come l’eterno Figliuol suo? No, sarebbe empietà il dirlo e cosa impossibile: noi siamo creati dal nulla, e chi è creato dal nulla non può essere eguale a Dio. Come dunque? Dio ci fa suoi figliuoli, non per generazione naturale, ma per adozione. Che cosa è questa adozione ? E forse come quella che avviene tra gli uomini? No: l’adozione, che avviene tra gli uomini non mette nulla del padre adottante nel figlio adottato, doveché l’adozione divina mette in noi una forza, una qualità, un elemento divino. – Spieghiamoci meglio. Un pittore ritrae sulla tela una figura, uno scultore effigia sul marmo una statua: che fanno essi? Imprimono sulla tela o nel marmo una immagine: quella immagine donde la traggono? Certamente dalla loro mente, dalla loro anima. Quella immagine, pur rimanendo nella mente e nell’anima del pittore e dello scultore, si è impressa e stampata nella figura e nella statua e forma con essa una cosa sola ed è divenuta l’immagine esterna dell’immagine interna dell’artista, ed in qualche senso si può dire che la figura e la statua sono figlie dell’artista stesso e si chiamano parto del suo genio. Meglio ancora, o carissimi: un maestro ha intorno a sé una bella corona di figliuoli, che l’ascoltano: il maestro li istruisce a poco a poco. Non è egli vero, che il maestro, istruendo quei figliuoli, piglia le cose o verità, che insegna, e mediante la parola, le viene acconciamente travasando dalla propria nella loro tenera intelligenza, senza che egli nulla ne perda? Non è egli vero, che il maestro in tal modo viene ritraendo se stesso nei discepoli, e ponendo in loro ciò che ha di più proprio in sé, cioè le sue idee, la sua mente? Non è egli vero, che in quei fanciulli il maestro ritrarrà se stesso ed essi saranno sue immagini più o meno fedeli e formeranno la sua gioia, la sua gloria? Non è egli vero che quei fanciulli in qualche senso si potranno dire del maestro, perché nello spirito formati a sua immagine? Ciò è sì vero, che i nomi di maestro e di discepolo, di padre e di figlio si scambiano, perché, se non eguali, sono somigliantissimi. – Voi ora potete alcun poco intendere la nostra adozione in figli di Dio, accennata da san Giacomo. Dio ci adotta come figli, ma non mai come un padre adotta un figlio qualunque senza comunicargli nulla del proprio: Dio fa come e più assai del pittore, dello scultore con i lavori delle loro mani, del maestro con i suoi scolari: colla parola comunica alle anime nostre le eterne verità, che emanano da Lui e le stampa in esse per modo che vi restano e diventano la loro forma. Non è tutto: Dio versa nelle anime nostre la sua grazia, specialmente coi Sacramenti: essa le penetra, le investe, come l’acqua, come il calore penetrano i corpi, e le viene trasformando mirabilmente. Come sotto la mano dell’artista la figura e la statua acquistano a poco a poco la forma da lui vagheggiata, e sotto la parola e l’azione del maestro i fanciulli acquistano la fisionomia intellettuale e morale da lui voluta, così sotto la luce della verità evangelica, annunziata dalla Chiesa, e sotto l’azione della grazia interna, che Dio largisce in tanti modi, l’anima riceve l’immagine, i lineamenti di Gesù Cristo medesimo, divien simile a Lui, e si dice ed è figlio di Dio: “Ut filii Dei nominemur et simus”. – Questa adozione, generazione o rigenerazione, che Dio opera in noi, è il capolavoro della sua sapienza, è la sua gloria più bella fuori di sé, e qui S. Giacomo la chiama volontaria — “Voluntarie genuit nos verbo veritatis”,— per distinguerla dalla naturale, necessaria ed eterna, colla quale Dio Padre produce il suo Figliuolo unigenito. La nostra adozione in figli di Dio è dono della bontà sua, tutto suo dono, giacche a tanto onore non aveva diritto di sorta la nostra natura, né potevamo avere ombra di merito. È dunque nostro dovere riconoscere l’alto beneficio ricevuto, ringraziare Iddio e mostrare la nostra gratitudine colla più fedele corrispondenza. Dio, colla predicazione evangelica, ci ha chiamati alla dignità di suoi figliuoli, ed in tal modo, continua S. Giacomo, ci ha fatto l’onore insigne d’essere la primizie dell’opera sua, cioè della sua Chiesa: “Ut simus initium aliquod creatura ejus”. Tutte le cose che esistono in cielo ed in terra sono opere della mano di Dio, perché d’ogni cosa egli è Creatore; ma quelle creature si dicono specialmente sue, nelle quali più bella e più perfetta riluce la sua immagine e somiglianza: tali sono in cielo gli angeli e sulla terra gli uomini, che mercé il Battesimo fanno parte dell’ovile, della famiglia di Gesù Cristo, che è la Chiesa. Questa è la sposa di Gesù Cristo, che Gli genera i suoi figli, ed è l’opera sua per eccellenza. I Cristiani, ai quali S. Giacomo scriveva, erano entrati pei primi in questa Chiesa, primi de’ suoi figli, e perciò meritamente si dicono principio o primizie della sua conquista. Seguitiamo il commento. “Intendetelo bene, o fratelli diletti.„ Con queste parole l’apostolo richiama l’attenzione dei suoi lettori, e fa conoscere che la cosa che vuol dire, è di grande importanza, e lo è veramente nella vita pratica. Sopra, nel quinto versetto di questo capo, S. Giacomo esorta i Cristiani a far acquisto della verace sapienza coll’esercizio della preghiera e della pazienza nelle tentazioni: e qui passa, se ben vedo, a dare tre ammonimenti, che valgono non poco a far tesoro della sapienza: “Ogni uomo sia pronto ad udire, tardo a parlare e lento all’ira. „ Il mezzo più spedito e sicuro per apprendere qualunque scienza e la scienza stessa delle cose divine, egli è di ascoltare quelli che la insegnano. Senza dubbio il leggere i libri che ne trattano, o il meditare da sé le cose, sono mezzi utilissimi per apprendere; ma non tutti hanno tempo, ingegno e volontà ferma per studiare sui libri e meditare da sé e giungere con sicurezza e presto per queste vie al conoscimento della verità, mentrechè tutti possono ascoltare chi le annunzia e impararle con facilità e senza pericolo di errare. Gesù Cristo volendo ammaestrare tutti gli uomini nelle verità della fede non disse agli apostoli ed ai discepoli: Andate, scrivete, dettate libri, ma disse: Andate, predicate, ammaestrate! — E S. Paolo ci fa sapere che la fede viene dall’udito, cioè dalla parola predicata. E questo il mezzo per eccellenza che genera e nutre la fede nelle anime nostre, la parola di Dio. Sia dunque ognuno di voi pronto ad udire quelli che per ufficio vi ammaestrano. La scuola delle verità celesti è sempre aperta a tutti, ed è questa Chiesa; noi, che abbiamo il dovere di annunziarle, faremo del nostro meglio per adempirlo, e voi venite sempre e prontamente ad udirle. Che se dobbiamo essere pronti ad udire, secondo l’apostolo, dobbiamo essere tardi a parlare. — Perché questa differenza tra l’udire e il parlare? Perché coll’udire riceviamo la verità, col parlare la partecipiamo altrui, e prima di comunicare ad altri ciò che abbiamo appreso, si richiede che lo meditiamo attentamente, ed il conoscimento della nostra miseria ci persuade a preferire d’essere discepoli anziché farci maestri, come di sé scriveva sant’Agostino: “Io amo piuttosto imparare che insegnare — Ego plus amo discere quam ducere (Qæest. ad Ducitium). Di Maria non si legge che mai insegnasse se non coll’esempio, e si dice per contrario che ascoltava le parole di Gesù e le meditava in cuor suo: “Conservabat omnia verba hæc in corde suo” (Luca II, 51). Che più? Gesù, che venne per ammaestrarci, tacque fino ai trent’anni, e parlò solo per tre anni. La stessa natura, avverte S. Basilio, fa che dobbiamo essere pronti più ad udire che a parlare, perché se ci ha dato due orecchi, non ci ha dato che una sola lingua (De Verginitate.), e il molto favellare non è senza, colpa, è indizio d’animo leggero e stolto (Multum loqui stultitia est. S. Bernardus, De Interiori domo, c. 50), e recherà danno a se stesso. “Ognuno sia lento all’ira.„ Forse questa espressione si deve collegare colla antecedente in questa forma: Se vuol essere lento all’ira sia tardo a parlare —, e il senso è buono, perché generalmente è la lingua, come più innanzi dice ancora S. Giacomo, come una scintilla che appicca l’incendio, che è fonte funesta d’ogni male, che sparge un veleno mortifero. Ma questa sentenza si può pigliare anche separatamente, e in tal caso essa suppone che talvolta si possa secondare anche l’ira, volendo soltanto l’apostolo che siamo lenti, onde sta scritto: Sdegnatevi, ma non peccate —, cioè sdegnatevi contro il male, ma in guisa che non pecchiate, conservando sempre il pieno dominio sopra di voi stessi. S. Tommaso spiega assai bene questo luogo. Conviene distinguere, secondo il santo dottore, ira da ira. V’è un’ira, che previene la ragione, che spinge ad operare senza riflettere, seguendo la passione, e questa è riprovevole, perché operare senza la guida della ragione non è da uomo, ma da bruto; ma vi è un’ira, che è voluta, che è quasi un aiuto della ragione per operare, ne accresce le forze, e questa è buona; nobile è la santa indignazione, che proviamo alla vista del delitto, è lo zelo dei profeti, degli uomini di Dio, è quella ch’ebbe Cristo medesimo, del quale si dice nel Vangelo, che un giorno, vedendo la perfidia dei Farisei, li guardò con ira: “Circumspexit eos cum ira” (S. Thom. p. 3, q. 15, a. 9). Non sia mai, o dilettissimi. che noi ci lasciamo strappare di mano le redini della ragione e ci rendiamo schiavi neppure per un istante della brutta passione, che è l’ira. Essa stia sempre ai cenni della ragione e a lei non comandi, ma obbedisca, come il destriero ubbidisce al cavaliere. L’uomo, dice lo Spirito Santo, che raffrena l’ira, è più grande del conquistatore, perché vince se stesso.“Il perché, smessa ogni bruttura e malvagità, accogliete docilmente la parola seminata, in voi, la quale può salvare le anime vostre: „ è questa l’ultima sentenza della nostra epistola. Dopo avere esortato i fedeli a stare in guardia contro l’ira, S. Giacomo li esorta in genere a sbandire da sé qualunque passione, la gola, la lussuria, l’avarizia, l’invidia, comprese tutte in quella parola “ogni bruttura, omnem immundìtiam, ogni malvagità, che ribocca, et abundantìam malitiæ.„ E mondato il cuore, nettata l’anima di quelle sozzure, che devono essi fare? Allorché un vaso è purgato d’ogni feccia, lo si può riempire d’ogni liquore che sia buono: così devesi fare del vaso del nostro cuore. Purificato da tutte le immondezze dei peccato e delle passioni che lo insozzavano, con docilità di spirito e con amore, riceviamo e custodiamo in esso la verità e la grazie che sole possono salvare le anime nostre. La mente sia vuota dell’errore e ripiena di verità: il cuore sia sgombro d’ogni affetto sregolato, e come una coppa d’oro vi accolga il preziosissimo liquore dell’amore divino.

Alleluja Allelúja, allelúja Ps CXVII:16. Déxtera Dómini fecit virtútem: déxtera Dómini exaltávit me. Allelúja [La destra del Signore operò grandi cose: la destra del Signore mi ha esaltato. Allelúia.] Rom VI:9 Christus resúrgens ex mórtuis jam non móritur: mors illi ultra non dominábitur. Allelúja. [Cristo, risorto da morte, non muore più: la morte non ha più potere su di Lui. Allelúia]

Evangelium

Munda cor meum, ac labia mea, omnípotens Deus, qui labia Isaíæ Prophétæ cálculo mundásti igníto: ita me tua grata miseratióne dignáre mundáre, ut sanctum Evangélium tuum digne váleam nuntiáre. Per Christum, Dóminum nostrum. Amen. Jube, Dómine, benedícere. Dóminus sit in corde meo et in lábiis meis: ut digne et competénter annúntiem Evangélium suum. Amen. V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo.

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem. R. Gloria tibi, Domine! Joannes XVI:5-14 In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Vado ad eum, qui misit me: et nemo ex vobis intérrogat me: Quo vadis? Sed quia hæc locútus sum vobis, tristítia implévit cor vestrum. Sed ego veritátem dico vobis: expédit vobis, ut ego vadam: si enim non abíero, Paráclitus non véniet ad vos: si autem abíero, mittam eum ad vos. Et cum vénerit ille. árguet mundum de peccáto et de justítia et de judício. De peccáto quidem, quia non credidérunt in me: de justítia vero, quia ad Patrem vado, et jam non vidébitis me: de judício autem, quia princeps hujus mundi jam judicátus est. Adhuc multa hábeo vobis dícere: sed non potéstis portáre modo. Cum autem vénerit ille Spíritus veritátis, docébit vos omnem veritátem. Non enim loquétur a semetípso: sed quæcúmque áudiet, loquétur, et quæ ventúra sunt, annuntiábit vobis. Ille me clarificábit: quia de meo accípiet et annuntiábit vobis. [In quel tempo: Gesú disse ai suoi discepoli: Vado a Colui che mi ha mandato, e nessuno di voi mi domanda: Dove vai? Ma perché vi ho dette queste cose, la tristezza ha riempito il vostro cuore. Ma io vi dico il vero: è necessario per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito, ma quando me ne sarò andato ve lo manderò. E venendo, Egli convincerà il mondo riguardo al peccato, riguardo alla giustizia e riguardo al giudizio. Riguardo al peccato, perché non credono in me; riguardo alla giustizia, perché io vado al Padre e non mi vedrete più; riguardo al giudizio, perché il príncipe di questo mondo è già condannato. Molte cose ho ancora da dirvi: ma adesso non ne siete capaci. Venuto però lo Spirito di verità, vi insegnerà tutte le verità. Egli infatti non vi parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito: vi annunzierà quello che ha da venire, e mi glorificherà, perché vi annunzierà ciò che riceverà da me.] R. Laus tibi, Christe! S. Per Evangelica dicta, deleantur nostra delicta.

Omelia della domenica IV dopo Pasqua

[Del canonico G. B. Musso- Seconda edizione napolitana Vol. II -1851-]

-Dio principio e fine-

“Vado ad eum qui misit me”. Sono queste le parole colle quali il Divin Redentore prese congedo dai suoi discepoli, come ci narra S. Giovanni nell’odierno sacrosanto Vangelo. “Miei cari, più poco mi resta da star con voi, venni al mondo mandato dal Padre mio, ora men vado a Lui che mi mandò, “vado ad eum, qui misit me”.

Oh se queste divine parole potessimo noi ripetere appropriate a noi stessi, in giusto senso di verità! Felici noi. “Io men vado a Colui che mi mandò: Dio è il mio principio, Dio è il mio ultimo fine, da Lui vengo, a Lui mi porto; da Lui vengo come mia prima cagione, mi porto a Lui come mio centro; da Lui vengo per via di creazione, a Lui mi porto per la via dei suoi comandamenti”. Felici noi, lo ripeto, poiché saremo beati nel tempo e nell’eternità. Su questo pensiero io mi fermo, e per animarvi ad apprezzarlo colla mente, e a secondarlo coll’opera, passo a dimostrarvi che Dio è nostro principio, che Dio è nostro ultimo fine, e che nella cognizione di questo principio, e nel condurci direttamente a questo fine, consiste la nostra temporale ed eterna felicità. Di quanto peso sia l’argomento, e quanto debba impegnare e la vostra attenzione, e il mio e vostro interesse, voi lo conoscete, discreti ascoltanti. Diam principio.

.I. Ego sum alpha, et omega … principium et finis” (Apoc. XXII. 13). Così definisce se stesso il grande Iddio nel divino Apocalisse. Io sono di tutte le cose il principio, di tutte le cose il fine. A comprendere come Dio è nostro principio, ponderate questa proposizione. L’uomo non dà l’essere a se medesimo, perciocché dar l’essere a se medesimo involge contraddizione. Se l’uomo ha dato l’essere a se stesso, dunque esisteva, qual necessità di darsi 1’essere? Se poi non esisteva, come fece a darsi l’esistenza? Esisteva adunque al tempo stesso e non esisteva, era e non era, contraddizione manifesta, assurdo madornale, riprovata dal senso comune. Or se 1’uomo non può dare a sé l’esistenza, io domando, da chi egli mai 1’ebbe? Ascendiamo di generazione in generazione, e arriveremo a quel primo uomo da cui cominciò l’umana natura, cioè ad Adamo. Onde se voi mi dite che il primo uomo ebbe per padre un altro Adamo, io vi domando, e quest’altro Adamo da voi immaginato da chi ha avuto principio? Da un terzo, e questi da un quarto, e poi da un quinto, da un centesimo Adamo, e così fino all’infinito; ma questo progredire in infinito è una chimera fantastica, contraria al buon senso ed alla naturale ragione; perciocché convien ridursi a un punto fisso, ad un principio determinato. Questo punto, questo principio è il primo uomo; ma abbiamo veduto che quest’uomo da se stesso non si poté dar l’essere, dunque dovette averlo da una causa preesistente, da un principio eterno, indipendente, necessario, infinito, e questo è Dio. – Intelligenti delle cifre aritmetiche, ditemi se si può dare un numero che necessariamente non presupponga, che necessariamente non parta dal primo numero, qual è l’unità. Qualunque piccolo o grande numero necessariamente è basato sull’unità, come suo principio e fondamento; così che dall’unità comincia, e nell’unità con passo retrogrado conviene che ritorni e si fermi. Non altrimenti tutte le creature necessariamente suppongono una prima causa, un principio, da cui derivano, senza del quale non solo non sarebbero esistenti, ma né pur sarebbero possibili. Questa causa, questo principio è Dio, che da se stesso esiste, che “ab eterno” esiste, che necessariamente esiste, tolto il quale non v’è più creatura esistente, né possibilità di alcuna esistenza. – E perché di questo Dio, dite voi, non abbiamo un’idea chiara e adeguata? E di molte cose sensibili e naturali possiamo aver noi una chiara ed adeguata idea? Chi mi spiega la forza del moto, l’origine de’ venti, il modo onde l’anima è unita al corpo, e come il corpo materiale agisca sull’anima, e questa per mezzo degli organi corporei provi sensazioni or piacevoli, or dolorose, ed acquisti le necessarie nozioni a esulare i suoi moti, i suoi pensieri, i suoi voleri? Chi mi spiega la natura della luce così meravigliosa nella sua velocità, così meravigliosa nei suoi cambiamenti? Conosciamo noi la natura dell’aria, di questo fluido così terribile ne’ suoi fenomeni? Conosciamo l’essenza del fuoco così formidabile nei suoi effetti? Sudano i filosofi nello spiegare queste ed altre meraviglie che offre ai nostri sguardi la natura, ma un sistema di perfetto convincimento resta ancora a vedersi. Se dunque non possiamo penetrare nei segreti dell’ordine naturale, se di queste fisiche cose, delle quali abbiamo vista, tatto ed esperienza, non siamo capaci a formarci un’idea che sia compiuta, quale presunzione sarà la nostra pretendere idee e cognizioni perfette nell’ordine soprannaturale? Uomo meschino, non può fissar gli occhi in faccia al sole, e presume fissarli in volto a Dio? Sarebbe più facile racchiudere l’oceano in un vaselletto, che avere una idea adeguata di Dio; che tra un vaselletto e l’oceano vi à certa proporzione, tra noi e Dio v’è una infinita distanza. A finirla, se di Dio potessimo avere una compiuta idea, una delle due: o Dio cesserebbe d’essere Dio, o l’uomo sarebbe un altro Dio. – Basta che di Dio possiamo avere, come abbiamo di fatto, una cognizione, un’idea proporzionata alla limitata nostra capacità, un’idea giusta, veritiera secondo la retta ragione, e, senza paragone di più, secondo i lumi della rivelazione e della fede. E quale idea più elevata e più sublime di quella che Dio medesimo ci diede della sua esistenza? “Ego sum, qui sum” [Esod. III, 14] disse a Mosè dal misterioso roveto. Io sono quel che sono, vale a dire l’essere per essenza, la pienezza dell’essere, il principio di ogni essere, l’unico e solo che esiste per sua propria natura, ed ogni altro essere non si può dire che esista, mentre da Lui dipende e nella sua origine, e nella sua conservazione, così che tolta una, cessata l’altra, cessa la sua esistenza. – Ecco, o fedeli, la Causa prima, unica, eterna da cui discendiamo. Siam creature d’uno Dio, che colla sua onnipotenza ci trasse dal nulla.Unus est altissimus creator omnipotens[Eccl. I, 8]. Egli è d’ogni cosa il principio, e d’ogni cosa termine e fine. “Principium et finis, primus et novissimus. In questa cognizione ammessa e tenuta per fede, dice lo scrittore del libro della Sapienza, sta la nostra giustificazione. “Nosse te consummata iustitia est[Sap. 15, 3]. Ma questa cognizione esser non dee di puro intelletto, sterile, inefficace, ma una cognizione che muova la volontà, che ci porti a Dio per la via della giustizia, per la strada de’ suoi comandamenti, se vogliamo essere felici nel tempo e nell’eternità.

.II. Il cuore dell’uomo per naturale necessaria pendenza è portato a cercare la propria felicità; onde come l’ acqua corre al declive, come la pietra tende al centro, per simil modo il cuore dell’uomo è sempre in moto, e sempre in cerca d’un bene, ove crede trovare la sua pace, il riposo, la sua felicità. Questa quiete, questa felicità non può trovarsi che in Dio sommo ed unico bene; ma siccome la bontà, come parlano i teologi, è di se stessa diffusiva, così Iddio, Fonte inesausto d’ogni bene sparge varie stille di bene nelle sue creature, in alcune la bellezza, in altre il gusto, in queste il comodo, in quelle il vantaggio; così l’uomo, allettato da queste stille, abbandona sovente il fonte da cui derivano, quel fonte che solo può spegnere la sete dell’uman cuore, che è Dio, fonte d’acqua viva che sale in vita eterna. Avviene allora, all’uomo ingannato, d’incontrare la mala sorte d’una incauta farfalla, che si aggira intorno al lume sedotta dal suo splendore; uomo deluso, dice lo Spirito Santo, simile ai pesci ingannati dall’esca lusinghiera, simile agli augelletti allettati dal pascolo insidiosamente esposto dal cacciatore. – Convien distinguersi. Il nostro cuore è fatto per Dio; se fuor di Dio cerca il suo bene, in pratica resterà convinto che lo cerca dove non è, o che è un bene d’apparenza ingannevole, che non può fare il cuor contento, anzi il più delle volte un bene avvelenato, che affligge l’animo, e cagiona la morte. – Chi più d’un Salomone gustò i piaceri di questa vita, le delizie di questa terra? In quarant’anni di regno pacifico accumulò ricchezze immense, oltre le ereditate del suo padre Davide. La sua sapienza fu superiore a tutti i saggi del mondo che erano e che saranno; fu in altissima stima presso tutt’i popoli nazionali e stranieri, e nel colmo degli onori, e nell’apice della grandezza non negò a’ suoi sensi alcun piacere, né sfogo alcuno alle sue passioni. Lo confessò egli stesso: “Omnia quae desideraverunt oculi mei non negavi eis, nec prohibui cor meum, quin omni voluptate frueretur(Eccl. II, 10) . Questo grand’uomo dunque, questo gran re sarà arrivato al sommo grado della felicità, sarà stato pienamente, perfettamente contento. Per chiarircene, andiamo a trovarlo nel regio suo gabinetto. Osservate com’è tutto occupato da torbidi pensieri, come serio nel volto, come inquieto nell’animo, udite ciò che pronunzia: “La vita mi è di tedio e di peso”, tædet me vitæ meæ (Eccl. II, 17). Leggete ciò che scrive delle sue grandezze e dei suoi goduti piaceri, “vanitas vanitatum, universa vanitas et afflictio spiritus(Eccl. I, 14), tutto è vanità, non basta, è vanità di vanità, non basta ancora, è afflizione di spirito. – Cosi è, così sarà; un cuore che non è con Dio è fuori dell’ ordine da Dio stabilito, e un pesce fuor dell’acqua, e un osso fuor della propria giuntura, in istato di penosa violenza. Signore, il nostro cuore l’avete fatto per voi, e sarà sempre inquieto finché in Voi non riposi. Fecisti nos, Domine, ad te, et irrequietum est cor nostrum donec requiescat in te.” Lasciò scritta questa grave sentenza l’ingegno più acuto che vanti la Chiesa, un uomo, che, oltre l’impareggiabile talento, ebbe trentatré anni di esperienza: Desso è S. Agostino, che passò di accademia in accademia, di setta in setta per trovare la verità che lo convincesse, passò di piacere in piacere, lecito illecito, per trovare la pace del proprio cuore, ma vane furono le sue ricerche; finalmente e la verità e la pace trovò in abbracciare la fede di Gesù Cristo che è la via, la verità e la vita, via a conseguire la pace, verità a mantenerla, vita a goderne nel tempo e nell’eternità. – Questa pace, che cercano e trovano in Dio le anime giuste, oltr’esser la vera, essa anche è stabile permanente; perciocché, soggiunge il citato Agostino, siccome ha per oggetto un bene immutabile qual è Dio, così non è soggetta a disgustose vicissitudini. Chi ripone il suo contento in qualche bene di terra, al mancare questo convien che cessi ancor quello, ma chi lo mette in Dio, essendo eterno l’oggetto, sarà invariabile il suo godimento. “Vir habere gaudium sempiternum? Adhære illi, qui sempiternus est.” Ripetiamolo ancor una volta, “fecisti nos, Domine ad te”. Il nostro cuore è fatto per Dio, fatto per godere Dio, e perciò niun bene creato può appagarlo. Che mai sono i beni dì quaggiù? Onori, ricchezze, piaceri, ma gli onori son fumo, le ricchezze son terra, i piaceri son fango. Come dunque volete che l’anima nostra, nobilissimo spirito, fatto ad immagine di Dio, nel pascersi di fumo, di terra, di fango, trovi la propria felicità? – Me ne appello alla vostra esperienza. Quanto vi costa un piacere proibito, un’illecita soddisfazione; quanto vi tiranneggia una malnata passione; quante gelosie, quanti sospetti, quanti timori che non si scopra quell’amicizia, che non venga alla luce quel furto, quel delitto, quel fallo ignominioso? Se voi trovate la pace e la felicità nel peccato, e perché temete che il vostro peccato si sveli? Perché cercate le tenebre, perché raccomandate il segreto, perche vi copre di confusione il solo spavento che giunga all’altrui notizia? Accordate la pace del vostro cuore con tante apprensioni, con tanti timori, con tanti palpiti, con tanti affanni. Eh via che per i malvagi non v’è pace, non vi sarà mai pace, non può esservi pace. Lo dice Colui che ha fatto il cuore di tutti, lo dice Colui che vede il cuore in seno a tutti, lo dice Iddio: “Non est pax impiis, dicit Dominus Deus” (Isaia LVII, 21). – Conchiudiamo, miei cari. Se vogliamo esser felici di una felicità cominciata su questa terra e poi consumata e perfetta lassù nel cielo, con vivezza di fede riconosciamo Dio per nostro principio, con purità di cuore portiamoci a Dio come nostro ultimo fine. Viviamo ed operiamo in modo da poter dire in vita: Dio è mio principio, da Lui venni per creazione, e a Lui mi porto per la via de’ suoi precetti “vado ad eum, qui misit me”, e da poter ripetere in morte con dolce e fondata speranza, “vado ad eum qui misit me”.

Credo

Offertorium

V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo. Orémus Ps LXV:1-2; LXXXV:16 Jubiláte Deo, univérsa terra, psalmum dícite nómini ejus: veníte et audíte, et narrábo vobis, omnes qui timétis Deum, quanta fecit Dóminus ánimæ meæ, allelúja. [Acclama a Dio, o terra tutta, canta un inno al suo nome: venite e ascoltate, tutti voi che temete Iddio, e vi narrerò quanto il Signore ha fatto all’anima mia, allelúia.]

Secreta

Deus, qui nos, per hujus sacrificii veneránda commércia, uníus summæ divinitátis partícipes effecísti: præsta, quaesumus; ut, sicut tuam cognóscimus veritátem, sic eam dignis móribus assequámur. [O Dio, che per mezzo degli scambi venerandi di questo sacrificio ci rendesti partecipi dell’unica somma divinità: concedici, Te ne preghiamo, che come conosciamo la tua verità, così la conseguiamo mediante una buona condotta.]

Communio

Joann XVI:8 Cum vénerit Paráclitus Spíritus veritátis, ille árguet mundum de peccáto et de justítia et de judício, allelúja, allelúja. [Quando verrà il Paràclito, Spirito di verità, convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio, allelúia, allelúia.]

Postcommunio

S. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo. Orémus. Adésto nobis, Dómine, Deus noster: ut per hæc, quæ fidéliter súmpsimus, et purgémur a vítiis et a perículis ómnibus eruámur. [Concédici, o Signore Dio nostro, che mediante questi misteri fedelmente ricevuti, siamo purificati dai nostri peccati e liberati da ogni pericolo.] Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum. R. Amen.

IN ONORE DEL SS. CUORE DI MARIA, E DEL SUO PATROCINIO

IN ONORE DEL SS. CUORE DI MARIA, E DEL SUO PATROCINIO

Deus in adjutorium, etc. Gloria Patri, etc.

I. O Madre di misericordia, ed Avvocata pietosa dei peccatori, Maria, io ricorro al vostro potentissimo Patrocinio; e per lo zelo che ha sempre avuto il vostro Cuore amantissimo per la conversione dei peccatori; ottenetemi, vi prego, dal vostro divin Figliuolo la perfetta conversione del cuore, il perdono dei tanti miei peccati, ed un continuo dolore di averli commessi. Ave Maria,

II. O Dolcezza dei nostri cuori, e Cagione di nostra allegrezza, Maria, io mi metto sotto il vostro potentissimo Patrocinio; e per quella sollecitudine che il vostro amabilissimo Cuore ha sempre avuto per la salute e vantaggio delle anime nostre; ottenetemi grazia onde io fugga sempre le occasioni del peccato, e mi tenga lontano dai tanti scandali che vi sono nel mondo. Ave Maria,

III. O Rifugio dei tribolati, e Speranza sicura dei supplichevoli, Maria, io imploro il vostro potentissimo Patrocinio; e per quella protezione che il vostro pietosissimo Cuore ha sempre mostrata a quelli che ricorrono a Voi, vi prego di ottenermi forza per superare e vincere le mie passioni, e tenere a freno la concupiscenza della mia carne ribelle. Ave Maria, etc.

IV. O Aiuto dei Cristiani, e Protettrice amorosa di chi a Voi ricorre, Maria, io imploro il vostro potentissimo Patrocinio; e per quella cura che il vostro Cuore dolcissimo ha sempre avuto per quelli che sono stati lavati nelle acque del S. Battesimo, e professano la fede di Gesù Cristo vostro Figliuolo, vi prego a volermi difendere da tutte le astuzie ed insidie del demonio non solamente nel corso tutto della mia vita, ma ancora e malto più nell’ora della mia morte. Ave Maria,

V. O Vita delle anime nostre, e Aiuto potente dei miserabili, Maria, io mi metto sotto il manto del vostro potentissimo Patrocinio; e per quell’impegno che il vostro ardentissimo Cuore ha sempre mostrato in difesa dei vostri devoti, vi prego di ottenermi la mortificazione perfetta delle potenze dell’anima mia, e dei sensi del mio corpo. Ave Maria,

VI. O Consolazione degli afflitti, o Rifugio universale dei bisognosi, Maria, io mi metto sotto il vostro potentissimo Patrocinio; e per quella pienezza di grazie che Dio ha comunicata al vostro dolcissimo Cuore a nostro vantaggio, custodite, vi prego, la mia mente, il mio cuore e il corpo mio, ed ottenetemi la vera umiltà di cuore, la perfetta purità di anima e di corpo, e la costante perseveranza in queste sì necessarie e a voi si care virtù. Ave Maria,

VII. O Speranza delle Anime nostre, e Fonte perenne di tutte le grazie, Maria, io metto tutto me stesso sotto il vostro potentissimo Patrocinio; e per quella potenza che Iddio ha dato al vostro amantissimo Cuore, affinché possiate fare a noi tanto bene,, quanto amate farcene, abbiate voi cura della vita e della morte mia , ed ottenetemi il puro e perfetto amore del vostro Figliuolo divino, 1’adempimento perfetto della sua santissima volontà, l’imitazione perfetta delle sue divine virtù, la santa perseveranza finale, e l’eterna gloria del Paradiso. Ave Maria, etc.

ANTIFONA. Sub tuum praesidium confugimus Santa Dei Genitrix; nostras deprecationes ne despicias in necessitatibus nostris, sed a periculis cunctis libera nos semper, Virgo gloriosa et benedicta.

V. Ora prò nobis, sancta Dei Genitrix.

R. Ut digni efficiamur promissionibus Christi.

Concede quæsumus, omnipotens Deus, ut fideles tui, qui sub Sanctissimo Virginis Mariæ Nomine et Protectione lætantur; eius pia intercessione et a cunctis malis liberentur in terris et ad gaudia æterna pervenire mereamur in Coelis. Per Christum Dominum nostrum. Amen.

13 MAGGIO 1991: CONSACRAZIONE DELLA RUSSIA AL CUORE IMMACOLATO DI MARIA.

La consacrazione della Russia al Cuore Immacolato di Maria è stata la richiesta che la Madonna ha fatto a Fatima al Papa in unione con i Vescovi del mondo. I vari Pontefici succedutisi non hanno acconsentito ad esaudire il desiderio di Dio manifestato dalla Vergine Maria a Fatima, per cause diverse. I veri e validi Pontefici fino al ’58, forse mal consigliati, ostacolati, minacciati, più probabilmente eliminati [Pio XI, Pio XII] hanno tergiversato, tentennato, ritardato fino all’usurpazione del Soglio di Pietro, profeticamente vista e descritta da Leone XIII, e realizzata il 26 ottobre del 1958 con l’estromissione di Papa Gregorio XVII. Ma vogliamo iniziare il discorso dal sogno profetico di Don Bosco, il celebre “sogno delle due colonne”. Lo riportiamo qui di seguito dalle “Memorie biografiche” del Santo.

IL SOGNO DELLE DUE COLONNE IN MEZZO AL MARE

DON Bosco il 26 maggio aveva promesso ai giovani di raccontar loro qualche bella cosa nell’ultimo o nel penultimo giorno del mese. Il 30 maggio dunque raccontò alla sera una parabola o similitudine come egli volle appellarla.

“Vi voglio raccontare un sogno. È vero che chi sogna non ragiona, tuttavia io, che a voi racconterei persino i miei peccati, se non avessi paura di farvi scappar tutti e far cadere la casa, ve lo racconto per vostra utilità spirituale. Il sogno l’ho fatto sono alcuni giorni. – Figuratevi di essere con me sulla spiaggia del mare, o meglio, sopra uno scoglio isolato e di non vedere altro spazio di terra, se non quello che vista sotto i piedi. In tutta quella vasta superficie delle acque si vede una moltitudine innumerevole di navi ordinate a battaglia, le prore delle quali sono terminate da un rostro di ferro acuto a mo’ di strale, che ove è spinto ferisce e trapassa ogni cosa. Queste navi sono armate di cannoni, cariche di fucili, di altre armi di ogni genere, di materie incendiarie, e anche di libri, e si avanzano contro una nave molto più grossa e più alta di tutte loro, tentando di urtarla col rostro, di incendiarla o altrimenti di farle ogni guasto possibile. – A quella maestosa nave arredata di tutto punto, fanno scorta molte navicelle, che da lei ricevono i segnali di comando ed eseguiscono evoluzioni per difendersi dalle flotte avversarie. Il vento è loro contrario e il mare agitato sembra favorire i nemici. – In mezzo all’immensa distesa del mare si elevano dalle onde due robuste colonne, altissime, poco distanti l’una dall’altra. Sovra di una vi è la statua della Vergine Immacolata, a’ cui piedi pende un largo cartello con questa iscrizione: – Auxilium Christianorum; – sull’altra, che è molto più alta e grossa, sta un’Ostia di grandezza proporzionata alla colonna e sotto un altro cartello colle parole: Salus credentium. Il comandante supremo sulla gran nave, che è il Romano Pontefice, vedendo il furore dei nemici e il mal partito nel quale si trovano i suoi fedeli, pensa di convocare intorno a sé i piloti delle navi secondarie per tener consiglio [il Concilio Vaticano 1869-1870] e decidere sul da farsi. Tutti i piloti [i Vescovi e Cardinali ndr.] salgono e si adunano intorno al Papa. Tengono consesso, ma infuriando il vento sempre più e la tempesta, [scoppio della guerra franco-prussiana [1]] sono rimandati a governare le proprie navi. Fattasi un po’ di bonaccia, il Papa raduna per la seconda volta intorno a se i piloti, mentre la nave capitana segue il suo corso. Ma la burrasca ritorna spaventosa. – [1] Con lo scoppio della guerra franco-prussiana, Napoleone III ritirò la sua guarnigione francese da Roma. Con questa guarnigione, l’esercito nazionale Massonico italiano (guidato da Garibaldi e Vittorio Emmanuele II e pienamente [Fonte – approvata dalla Chiesa: La Civilta Cattolica : “Sulla questione ebraica in Europa: le cause, gli effetti, i rimedi “, 1890 dC .] sostenuto dalla Sinagoga di Satana [gli ebrei] è stato in grado di prendere lo Stato pontificio di Roma il 20 settembre 1870, con il risultato che Pio IX diventò un “Prigioniero nel Vaticano” per i successivi otto anni, fino alla sua morte nel 1878..” Così anche i successivi pontefici, fino a Benedetto XV, eletto nel 1914. Ben presto, però, sembrò che si sviluppasse un futuro politico ancor più terrificante. Dopo la rivoluzione comunista del 1917 in Russia, l’Europa sembrava minacciata da una ascesa comunista, e in Italia gli attivisti socialisti stavano conducendo battaglie dell’intensità più violenta … ” (BR Lewis, “Prigioniero del Vaticano: 60 anni di isolamento”, 6 aprile 2011)]

Il Papa sta al timone e tutti i suoi sforzi sono diretti a portar la nave in mezzo a quelle due colonne, dalla sommità delle quali tutto intorno pendono molte ancore e grossi ganci attaccati a catene. – Le navi nemiche (Giudeo-Massoneria) si muovono tutte ad assalirla e tentano ogni modo per arrestarla e farla sommergere.

il nemico” (la Giudeo-Massoneria) … Leone XIII svela la loro trama infernale per distruggere il Papato: “… ma contro l’Apostolica Sede e il Romano Pontefice arde più accesa la guerra. Prima di tutto egli fu sotto bugiardi pretesti spogliato del Principato civile, propugnacolo della sua libertà e de’ suoi diritti; poi fu ridotto ad una condizione iniqua, e per gli infiniti ostacoli intollerabile; finché si è giunti a quest’estremo, che i settari dicono aperto ciò che segretamente e lungamente avevano macchinato fra loro, doversi togliere di mezzo lo stesso spirituale potere dei Pontefici, e fare scomparire dal mondo la divina istituzione del Pontificato. (Humanum Genus, Lettera enciclica sulla massoneria, 20 aprile 1884). Le une cogli scritti, coi libri, con materie incendiarie di cui sono ripiene e che cercano di gettarle a bordo; le altre coi cannoni, coi fucili e coi rostri: il combattimento si fa sempre più accanito. Le prore nemiche l’urtano violentemente, ma inutili riescono i loro sforzi e il loro impeto. Invano ritentano la prova e sciupano ogni loro fatica e munizione: la gran nave procede sicura e franca nel suo cammino. Avviene talvolta che, percossa da formidabili colpi, [colpi formidabili” … Si dice che la verità è l’unica carità consentita nella Storia. L’eroico mons. Jouin denunciò il card. Rampolla essere massone al Conclave dopo la morte di Leone XIII. Rampolla non era solo un membro della Conventicola, ma anche Gran Maestro di una setta particolarmente occulta nota come OTO (Ordo Templi Orientis), in cui era stato iniziato in Svizzera qualche anno prima.] … riporta nei suoi fianchi larga e profonda fessura, ma non appena è fatto il guasto spira un soffio dalle due colonne e le falle si richiudono e i fori si otturano. – E scoppiano intanto i cannoni degli assalitori, si spezzano i fucili, ogni altra arma ed i rostri; [La guerra di San Pio X contro i Modernisti ha sicuramente mostrato e distrutto molte opere malefiche del furtivo “nemico Marrano”. Deo Gratias! Eppure, molte delle “talpe” moderniste sono tornate sotterranee per lasciar scorrere il tempo, sperando di rilasciare il loro veleno pestilenziale in un momento più opportuno.] si sconquassano molte navi e si sprofondano nel mare. Allora i nemici furibondi prendono a combattere ad armi corte; e con le mani, coi pugni, con le bestemmie e con le maledizioni. [“con le mani …” San Giovanni Bosco dice che i nemici stavano attaccando ad “armi corte” … e con le mani“. Ciò dimostra che NON era il combattimento tipico dei nemici che portano gli assalti dall’esterno della Chiesa (o con le loro talpe moderniste dall’interno), sparando sulla Nave ammiraglia Pontificia con falsi insegnamenti, ma è una chiara allusione ad un diverso tipo di assalto. Questo è un attacco da “vicino ad arma corta … con le mani” … un chiaro riferimento a quanto storicamente avvenuto al Conclave del 26 ottobre 1958.] – Quand’ecco che il Papa, colpito gravemente, cade. [“… il Papa colpito gravemente, cade.”. Questa parte cruciale della profezia è la chiave per capirla nel suo complesso. La cronologia di questa profezia papale – da Pio IX che convoca il Concilio Vaticano (1869-70), dagli eroici sforzi di San Pio X che distrusse i perfidi rostri dei nemici (1907, Pascendi) – si passa ora dalla battaglia, alla guerra totale, cioè al 26 ottobre 1958! Questo è il momento in cui i nemici della croce con la violenza e gravi minacce hanno detronizzato criminalmente il Vicario di Cristo legittimamente eletto: Sua Santità Papa Gregorio XVII (formalmente il Cardinale Siri di Genova). ” “Il Papa (Gregorio XVII) è stato colpito gravemente (dai manovratori del conclave) ed è caduto”. Sua Santità non era in grado di agire pubblicamente (visibilmente) per diritto divino nel suo ruolo di Santo Padre. L’antico obiettivo della Giudeo-Massoneria di rovesciare il Trono e l’Altare era stato raggiunto … dando così inizio all’Apostasia. È “de fide” che il Papato non sarà mai abbattuto. Il pontificato di Gregorio XVII di 31 anni è quello che la Chiesa definisce “sede impediti”…  cioè, è stato impedito da forze esterne di agire nel suo Ufficio, giustamente suo “de jure” (per legge).  Subito coloro che stanno insieme con lui, corrono ad aiutarlo e lo rialzano. [“corrono ad aiutarlo e lo rialzano” … Questa cruciale profezia papale si realizza dopo oltre tre decenni: il 14 giugno 1988 “Il Santo Padre sofferente profetizzato a Fatima (che bloccato dai poteri dell’oscurità sta [silenziosamente] conducendo il suo gregge), attraverso lo sforzo eroico di p. Khoat e della sua squadra, “viene rialzano”. La squadra di Khoat è riuscita a raggiungerlo dietro le “linee nemiche” e poi “lo ha sollevato”. Ciò significa che hanno salvato il vero successore di San Pietro (Gregorio XVII) e “lo hanno sollevato” esortandolo a compiere il Suo dovere, ad occupare operativamente il “suo” trono. La Santa Sede “esiliata” operava così “sotterraneamente” dal 14 giugno 1988 fino al 2 maggio 1989 nella sua peggiore persecuzione mai subita. Dove c’è Pietro c’è la Chiesa! Il Papa è colpito la seconda volta, cade di nuovo e muore. Un grido di vittoria e di gioia risuona tra i nemici; sulle loro navi si scorge un indicibile tripudio. [… “Il Papa è colpito la seconda volta, cade di nuovo e muore”. I carcerieri satanici di Papa Gregorio XVII hanno scoperto in qualche modo che egli stava operando attivamente per la Chiesa, con la creazione di suoi nuovi Cardinali e Vescovi (che sotto la sua direzione stavano organizzando pure una evacuazione di emergenza in elicottero del loro amato Comandante in capo). Gli usurpatori massonici della setta del Vaticano II lo uccisero (… pare con l’utilizzo di digitale, medicamento che sovra-dosato, provoca una morte terribile e crudele]. Sennonché appena morto il Pontefice un altro Papa sottentra al suo posto. I Piloti radunati lo hanno eletto così subitamente, che la notizia della morte del Papa giunge con la notizia dell’elezione del successore. Gli avversari incominciano a perdersi di coraggio. [La profezia di San Giovanni Bosco salta rapidamente e giunge al punto in cui il Cardinale (Camerlengo) designato da Papa Gregorio XVII, il 3 giugno 1990, annunciava un prossimo Conclave . I Cardinali, dopo aver superato molti ostacoli e pericoli, si sono riuniti a Roma per eleggere il suo successore nella primavera del 1991- 3 maggio 1991].

Il dettaglio storico della consacrazione pontificia della Russia al Cuore Immacolato di Maria. 

TCW [mondo cattolico odierno], anche se ha conservato per un po’ di tempo queste informazioni (direttamente ricevute [per iscritto] dalla Gerarchia) ora, attraverso la loro guida, pubblica i dettagli cronologici di questo evento di portata capitale:

1.- 2 maggio 1991, A Roma, a due anni dalla morte di Gregorio XVII, i suoi Cardinali celebrarono una Messa da Requiem in suo suffragio,  e continuarono subito dopo a tenere un Conclave.

 2.- 3 maggio 1991, È stato eletto il nuovo Pontefice che ha scelto il nome di Gregorio XVIII (262 ° Successore di San Pietro).

 3.- Il 13 maggio 1991, Gregorio XVIII ha consacrato la Russia, per nome, al Cuore Immacolato, in unione con tutti i Vescovi del mondo!

 4.-Il 14 maggio 1991 Gregorio XVIII ha tenuto una riunione con i suoi Cardinali e lasciava Roma per l’esilio in una località segreta, per volontà di Dio!

[TCW.(Riassunto): Sua Santità Gregorio XVIII (Gregorio XVIII) è stato eletto Papa a Roma in un conclave segreto. Il primo atto del Pontefice fu quello di consacrare la Russia per nome al Cuore Immacolato, in unione con tutti i Vescovi del mondo (cioè Vescovi Cattolici con missione canonica [* giurisdizione] da lui ricevuta, in una cerimonia pubblica per quanto consentito dalla prudenza. Dopo questo importante evento, ha colloquiato con i suoi Cardinali dando loro opportune disposizioni ed ha lasciato Roma per andare in esilio, in obbedienza alla Divina volontà.]

Il nuovo Papa sbaragliando e superando ogni ostacolo, guida la nave sino alle due colonne e giunta in mezzo ad esse, la lega con una catenella che pendeva dalla prora ad un’ancora della colonna su cui stava l’Ostia (Messa tridentina); e con un’altra catenella che pendeva a poppa la lega dalla parte opposta ad un’altra ancora appesa alla colonna su cui è collocata la Vergine Immacolata. (Atto Pontificio di Consacrazione della Russia al Cuore Immacolato, Il 13 maggio 1991 da Papa Gregorio XVIII, in unione con tutti i Vescovi del mondo).

– Allora succede un gran rivolgimento. Tutte le navi che fino a quel punto avevano combattuto quella su cui sedeva il Papa, fuggono, si disperdono, si urtano e si fracassano a vicenda. Le une si affondano e cercano di affondare le altre. [pseudo-tradizionalisti e sedevacantisti, negazionisti della bolla Ex Apostolatus officio, Fraternità paramassoniche del “cavaliere kadosh” e … “figlioccio”, i sedevancantisti menzogneri, etc. – La storia mostra che parte di queste comprendevano pure il capo controllore dell’opposizione, “il non-sacerdote M. Lefebvre]. – Alcune navicelle che hanno combattuto valorosamente col Papa vengono per le prime a legarsi a quelle colonne. – Molte altre navi che, ritiratesi per timore della battaglia si trovano in gran lontananza, stanno prudentemente osservando, finché dileguati nei gorghi del mare [“inghiottito nelle gole del mare” … Un riferimento agli imminenti 3 giorni di castigo dell’oscurità, che libereranno il mondo dagli eretici e dagli scismatici, cioè i nemici dell’invincibile Papato. Anche San Giovanni Bosco nella sua profezia ” Il Venerabile Vecchio del Lazio ” allude ai prossimi 3 Giorni, come hanno fatto molti altri santi e cattolici rinomati per santità.] – i rottami di tutte le navi disfatte, a gran lena vogano alla volta di quelle due colonne, ove arrivate si attaccano ai ganci pendenti dalle medesime, ed ivi rimangono tranquille e sicure, insieme colla nave principale su cui sta il Papa. Nel mare regna una gran calma. [“calma suprema” … questa calma suprema per il mondo cattolico – “periodo di pace” promesso da Nostra Signora a Fatima- sarà attuata dalla Divina Provvidenza dopo che “le nazioni sono state annientate” (con i 3 giorni di oscurità, il castigo prossimo che precederà la restaurazione gloriosa della Chiesa e il regno trionfale del Cuore Immacolato di Maria).]

Don Bosco a questo punto interrogò Don Rua: – Che cosa pensi tu di questo racconto? Don Rua rispose: – Mi pare che la nave del Papa sia la Chiesa, di cui esso è il Capo: le navi gli uomini, il mare questo mondo. Quei che difendono la grossa nave sono i buoni affezionati alla santa Sede, gli altri i suoi nemici, che con ogni sorta di armi tentano di annientarla. Le due colonne di salute mi sembra che siano la devozione a Maria SS. ed al SS. Sacramento dell’Eucarestia. – D. Rua non parlò del Papa caduto e morto e D. Bosco tacque pure su di ciò. Solo soggiunse: – Dicesti bene. Bisogna soltanto correggere un’espressione. Le navi dei nemici sono le persecuzioni. Si preparano gravissimi travagli per la Chiesa. Quello che finora è stato, è quasi nulla rispetto a ciò che deve accadere. I suoi nemici sono raffigurati nelle navi che tentano di affondare, se riuscissero, la nave principale. Due soli mezzi restano per salvarsi fra tanto scompiglio! – La Devozione a Maria SS. e la frequenza alla Comunione, adoperandoci in ogni modo e facendo del nostro meglio per praticarli e farli praticare dovunque e da tutti. Buona notte! – Le congetture che fecero i giovani intorno a questo sogno furono moltissime, specialmente riguardo al Papa; ma Don Bosco non aggiunse altre spiegazioni. – Intanto i chierici Boggero, Ruffino, Merlone e il signor Chiala Cesare descrissero questo sogno e ci rimangono i loro manoscritti. Due furono compilati il giorno dopo la narrazione di D. Bosco, e gli per gli altri due trascorse maggior tempo: ma vanno perfettamente d’accordo e variano solamente per qualche circostanza, che l’uno omette e l’altro nota”.

Memorie biografiche di San Giovanni Bosco, Vol. VII, Capitolo 18, pp. 169-172.

[in rosso il commento di TCW].

Nostra Signora di Fatima dice a Lucia, il 3 agosto 1931 dC (Rianjo, Spagna): (I Pontefici ) non hanno voluto rispettare la mia richiesta (la consacrazione dela Russia al Cuore Immacolato in unione con tutti i vescovi del mondo), ma come il re di Francia, si pentiranno e lo faranno, ma sarà tardi: la Russia avrà però già diffuso i propri errori in tutto il mondo, provocando guerre e persecuzioni alla Chiesa, ed il Santo Padre avrà molto da soffrire “.

Foto della vera suor Lucia di Fatima (prima che fosse eliminata e sostituita da un sosia)

1927 – Nostra Signora di Fatima a Sr. Lucia : “È arrivato il momento in cui Dio chiede al Santo Padre di fare, in unione con tutti i vescovi del mondo,  la Consacrazione della Russia al mio Cuore immacolato, promettendo di salvarla con questo mezzo “. – “Sr. Lucia riflette e si lamenta perché la richiesta della Madonna per la consacrazione della Russia al suo Cuore Immacolato fu ignorata: “Lui (Dio) se voleva, poteva fare che la causa (le misure di Roma) si muovesse velocemente. Ma per punire il mondo, lo lascerà andare lentamente … la sua giustizia, provocata dai nostri peccati, lo richiede. Egli è dispiaciuto, non solo dai grandi peccati, ma anche dalla lassità e negligenza nel seguire le sue richieste. .. Sì, i crimini sono molti, ma soprattutto è molto più grande … “la negligenza di quelle anime che dovrebbero essere ardenti al suo servizio!” – Quando, nella Lettera Apostolica Sacro Vergente Anno del 7 luglio 1952, Papa Pio XII consacrò “i popoli russi” al Cuore Immacolato di Maria, molti credevano che tutto fosse stato adempiuto. Tuttavia, la suor Lucia scrive: “Sono rimasta afflitta che ancora non sia stata fatto nel modo che la Madonna ha chiesto. Pazienza! …” [in verità questa era già la falsa suor Lucia, l’agente degli Illuminati, che assicurava i suoi “mentori” che la Consacrazione di Pio XII (probabilmente “depistato” da agenti della “quinta colonna” infiltrati finanche nella sua Segreteria di Stato!) non era stata fatta secondo il desiderio della Vergine, per cui potevano esser tranquilli … infatti non si ebbe alcun effetto visibile sulla Russia che anzi intensificò la sua opera destabilizzante e di persecuzione – ndr. -].

 “Coloro che difendono la grande nave sono buone persone che amano la Santa Sede; Altri sono i suoi nemici che, con ogni sorta di armi, fanno tentativi per annientarla “.  (Don Michele Rua, amico di San Giovanni Bosco)

  “È necessario per la salvezza che tutti i fedeli di Cristo siano sottoposti al Romano Pontefice“. (Concilio Laterano V)

 Maria Ausiliatrice: Santuario di Maria Ausiliatrice Santuario di Maria Ausiliatrice (Torino, Italia)

Ho visto uno dei miei successori, con il mio stesso nome, Che stava fuggendo (da Roma) … egli morirà di una morte crudele “…

Visioni profetiche su Giuseppe Siri (Gregorio XVII) di Giuseppe Sarto (Pio X)

Nel 1909, durante un pubblico capitolo generale dell’Ordine Francescano, Papa Pio X è improvvisamente caduto in trance. Il pubblico aspettava in silenzio riverente. Quando si svegliò, il papa gridò:

“Quello che vedo è terrificante, sarà io stesso, o sarà il mio successore? Certo è che il Papa uscirà da Roma e lasciando il Vaticano dovrà camminare sui corpi morti dei suoi sacerdoti.”

Proprio prima della sua morte (20 agosto 1914), Papa Pio X ebbe un’altra visione:

Ho visto uno dei miei successori, mio omonimo (Giuseppe), che stava fuggendo sui corpi dei suoi fratelli, si rifuggerà in un luogo nascosto, ma dopo una breve tregua morirà di una morte crudele“.

Lo stesso Papa ha anche predetto la guerra per l’anno 1914 e, durante la sua agonia di morte (nel 1914), ebbe a dire:

  “Io vedo i  russi a Genova “.[1.]

[1] “… i russi a Genova”.  Riferimento ai carcerieri massonici di papa Gregorio XVII – che sorvegliavano ogni mossa del Papa in ostaggio a Genova (Italia) dove Sua Santità fu esiliato.

EFFETTI DELLA “VERA” CONSACRAZIONE

 [Gli effetti furono straordinariamente immediati:

Consacrazione: 13 maggio 1991;

Giugno 1991: prime libere elezioni in Unione Sovietica;

Agosto 1991: implosione e scomparsa del partito comunista sovietico,

8 Dicembre 1991 (festa dell’Immacolata): a Belaveža trattato che sancisce la dissoluzione dell’Unione Sovietica.

26 Dicembre 1991: l’Unione Sovietica venne sciolta formalmente dal Soviet Supremo e smembrata in tanti Stati indipendenti]

 “Autorità della Chiesa: coloro che sono stati accolti nella gerarchia ecclesiastica non sono scelti dal popolo, né da autorità secolari, ma sono collocati nei gradi di potere degli ordini mediante ordinazione sacra. Nel Pontificato supremo la persona legalmente eletta, accettando liberamente l’elezione, riceve il potere di competenza per diritto divino . ” Tutti gli altri ricevono la giurisdizione tramite la missione canonica (can. 109).- (Testo: “A Dictionary Of Canon Law”, Second Revised Edition, 1919 Imprimatur )

 La Chiesa militante

 “La Chiesa, è in ogni tempo militante, per lei non c’è pace permanente sulla terra, le conseguenze del peccato  la indeboliscono solo, ma non la distruggono; – la battaglia deve essere condotta sempre: battaglia intellettuale … deve esserci eresia; battaglia morale … deve esserci scandalo; battaglia fisica … ci devono essere disgrazie, calamità, pubbliche e private, nazionali e individuali. La vita dell’uomo è una guerra da condurre con le braccia e con le mani contro i poteri dell’inferno, gli impuri sulla terra, le passioni del cuore che gli si schiantano contro: egli deve combattere e combattere fino alla fine, deve conquistare prima di poter essere incoronato “.  (Catechismo di perseveranza : esposizione storica, dottrinale, morale e liturgica della religione cattolica, Abbé Gaume, 1850, Imprimatur)

S. Cipriano: “Chi aderisce ad un falso vescovo di Roma (un falso” papa “) è fuori dalla comunione con la Chiesa“.

 Dichiariamo, diciamo, definiamo e proclamiamo che ogni creatura umana, per la salvezza, debba necessariamente essere interamente sottoposta al Romano Pontefice “. -Papa Bonifacio VIII, Unam Sanctum 18 novembre 1302 ex cathedra (infallibile)

 “Allora la Chiesa sarà … nelle catacombe … Tale è la testimonianza universale dei Padri della Chiesa Primitiva “. -Cardinal Manning

“L’ apostasia della città di Roma dal vicario di Cristo e la sua distruzione da parte dell’anticristo possono essere pensieri così nuovi a molti cattolici, che credo bene di recitare il testo di teologi di grande reputazione. In primis Malvenda, che scrive espressamente sul soggetto, afferma come sia  opinione di Ribera, Gaspar Melus, Biegas, Suarrez, Bellarmino e Bosi, che Roma apostaterà dalla fede, allontanerà il Vicario di Cristo e ritornerà al suo antico paganesimo … Poi la Chiesa sarà dispersa, guidata nel deserto e sarà per un certo tempo, come era all’inizio, invisibile, nascosta in catacombe, in caverne, in sotterranei, in luoghi in agguato, per un certo tempo sarà come spazzata dalla faccia della terra …  Questa è la testimonianza universale dei Padri della Chiesa Primitiva .” [-Cardinal Manning, la crisi attuale della Santa Sede , 1861, Londra: pp. 8-9]

RIFLESSIONI SUI NOVISSIMI E L’ETERNITÁ

RIFLESSIONI SUI NOVISSIMI E L’ETERNITÁ

[da: Il giardino spirituale; Napoli 1903 – imprim.]

I.—Sopra la morte.

.1. Il primo de’ Novissimi é la Morte, e felice quel cristiano che non la perde mai di vista, e che procura di esser tale, quale vorrebbe trovarsi in quel punto estremo, decisivo di una Eternità, o felice, o disperata per sempre. Anima mia, pensaci spesso, che questo è l’unico preservativo per vivere da buon Cristiano e salvarsi.

2. La morte è certa, ma il tempo, il luogo, la Maniera tutte le sue circostanze sono incerte. – Soltanto so che ho da morire, ma quando, o pur di qual male e di qual accidente, questo punto nol saprò: Iddio così ha ordinato affinché io stia vigilante, e sempre pronto a comparirgli davanti. Dunque devo vigilare di continuo sopra di me stesso, e pregar sempre la divina bontà acciò mi usi misericordia.

3. La morte è certa, ed è certo altresì che una sola volta debbo morire: e se questa volta io muoio male, cioè in peccato, allora è finita per me qualunque speranza di rimediare al mal fatto, resterò eternamente col peccato nell’anima, per conseguenza nemico di Dio, ed eternamente rinchiuso nell’orribile carcere dell’inferno; oh! quanto dunque è importante, anzi importantissimo il morir bene ! E perciò domanda spesso al Signore, e con molte lacrime, questa grazia, perché errato che si è una volta, si errato per sempre.

II.— Morte del Peccatore

.1. Ridotto che sarà il povero peccatore al punto terribile della morte, si vedrà circondato da innumerevoli demoni, i quali pieni d’ira pel poco tempo che loro resta, fanno tutti gli sforzi per assicurarsi di quell’anima; e per riuscirvi, e con forti tentazioni, e con incitamenti alla disperazione, combatteranno il povero moribondo per vincerlo e farne loro preda. Ora se in vita egli non ha resistito alle piccole tentazioni, come resisterà allora?

2. Il demonio rappresenterà al povero moribondo in un punto tutti i peccati commessi dacché ebbe l’uso di ragione; ed a questa vista, oh! Come tremerà egli! Non vorrebbe vederli, ma sarà dalla propria coscienza a rimirarli senza perderli mai di vista: egli allora vorrebbe tempo per piangerli, e poi farne vera penitenza, e questo tempo non avrà: allora il misero piangerà, ma inutilmente, tanto tempo perduto. Or chi mai potrà concepire la confusione, in cui si troverà?

3. Qual pena e qual timore semini il peccatore moribondo nel vedersi già prossimo a dover passare all’eternità, assediato da tanti demoni, colla storia luttuosa della sua vita innanzi agli occhi. Oh Dio! ed in qual costernazione si troverà egli! Temerà, e con ragione, di cadere tra pochi momenti nelle fiamme infernali, e dirà: Io ho errato. Ah! se vuoi evitare una tal morte, fa adesso ciò che allora non potrai.

III.— Stato del corpo morto.

.1. Immaginati di vedere un corpo morto. Oh Dio! che spettacolo funesto! ei più non vede, non parla, non ha moto, né sentimento alcuno, egli è così contraffatto, pallido, deforme, schifoso e puzzolente, per esser prossimo a corrompersi, che fa fuggire ognuno, e non ispira altro che orrore e spavento. Oh! che capitale dunque di umiliazioni ti porge una tale riflessione! E pure 1′ uomo superbo non sa umiliarsi!

2. Ei lascia per sempre i beni , le case, i mobili e quanto ha in questo mondo, ed altro non porta al sepolcro che una veste lacera! Resta solo in una stanza, abbandonato da tutti per l’orrore, ed appena si trova, e con ribrezzo, chi gli fa la carità di vestirlo; e tutte le possessioni in altro non consistono che d’esser posto in una fossa, dove sarà coperto di vermi. E questo spettacolo non è bastante a farti ravvedere?

3. Se vuoi quindi contemplare quel cadavere, apri quella fossa e miralo, che già è divenuto un marciume puzzolente, schifoso, putrefatto; in quella marcia si generano i vermi, i quali s’impadroniscono di tutto il corpo; sicché tra poco quel cadavere diverrà un arido scheletro, che poi si ridurrà in polvere. In questo ritratto vedi te stesso, e quello che sarai fra breve. Pensaci seriamente.

IV.— Giudizio particolare.

.1. Separata che sarà l’anima dal corpo, subito sarà presentata al divin tribunale di Cristo Giudice per ricevere la finale sentenza. Alla sinistra vede il demonio, che ride e sghignazza aprendole in faccia un gran volume, acciò legga tutti i suoi peccati: alla destra vede l’Angelo suo Custode mesto e turbato, che le manifesta come un piccolo libro quel poco di bene che fece. Oh! che comparsa orribile. Che pentimento, ma inutile pentimento avrà allora dei suoi peccati.

2. Il mio esame sarà minutissimo sopra tutti i peccati commessi con pensieri, parole ed azioni. I demoni che m’istigarono, mi accuseranno; i compagni che io sedussi, mi accuseranno; la mia stessa coscienza, che mi avvisò con tanti interni rimorsi, mi accuserà; e Cristo Giudice, che fu testimonio di tutte le mie iniquità, me ne domanderà strettissimo conto. Dove fuggirò allora?

3. La mia sentenza sarà irrevocabile; non vi sarà scusa, né supplica e né appellazione: appena profferita la sentenza, se sarà di gloria, subito l’anima sarà accompagnata dagli Angeli con festa in Paradiso: se poi sarà di pena, sarà all’ istante dai demoni trascinata all’Inferno. Oh! che orrenda pena sentirà il misero peccatore al primo tocco di quelle fiamme eterne! Da quale disperazione sarà preso! Deh meditatelo con attenzione!

V.— Segni del Giudizio universali.

.1. I segni che precederanno questo Giudizio saranno terribili: il sole si oscurerà, la luna si eclisserà, le stelle cadranno giù dal cielo; tutti i corpi celesti si sconvolgeranno, il mare in tempesta muggirà, la terra si aprirà in profonde voragini, guerre, pestilenze, etc. E quale spavento non sentiranno allora i poveri peccatori!

2. S. Girolamo ogni qualvolta pensava al Giudizio tremava dal capo ai piedi. Il Nazianzeno disse che il timore del futuro Giudizio non gli permetteva di respirare: e così ancora si legge di vari altri Santi. Il Vangelo poi dice che gli uomini diverranno quel gran giorno intisichiti per il timore di ciò che sopravverrà all’universo. E tu, anima mia, che dici? se non temi, guai a te! è segno questo, che o non ci credi, o hai perduto il cervello.

3. Pioverà fuoco dal cielo e si distenderà sulle quattro parti del mondo, e si dilaterà in un mare sterminato di fiamme, che infine consumeranno ed inceneriranno piante, animali, campagne, città, palazzi: quanto vi sarà nel mondo tutto diverrà un mucchio di cenere.

VI.— Giudizio universale.

.1. Peccatore, adesso fa quel che vuoi, ma verrà un giorno in cui Dio farà ciò che vorrà, e questo giorno sarà quello del Giudizio finale. Allora tutti al suono della tromba risorgeranno e ripiglieranno i loro corpi, e cosi in anima e corpo compariranno avanti al tribunale della divina Giustizia nella gran Valle di Giosafat, per essere giudicati. Allora tutti, pieni di costernazione e di timore, piangeranno, e sbalorditi tremeranno dal capo ai piedi per ciò che loro avverrà.

2. Peccatore, quale sarà la tua confusione in quel giorno, quando Dio ti metterà avanti gli occhi tutti i tuoi peccati, cioè le ubriachezze, le mormorazioni, le bestemmie, i furti, le disonestà, ecc.. in cui senza mai emendarti, t’immergi con grande offesa di Dio, e disgusto del tuo Angelo Custode. Ed allora di qual orrendo rossore arderà il tuo volto?

3. Profferita la finale sentenza, i giusti andranno in anima e corpo a godere Dio nel Cielo, e i peccatori ancor èssi in anima e corpo saranno gettati nel fuoco dell’Inferno e penarvi per sempre in compagnia dei demoni, nemici implacabili del genere umano: « Ibunt hi in supplicium æternum, iusti autem in vitam æternum. » Cosi finirà tutto. Gran punto è questo! Punto da farci incanutire per lo spavento, anche prima dell’età. Pensateci.

VII.— Sopra l’Inferno.

.1. L’Inferno è una radunanza d’infelici, di scellerati, di gente senza pietà, è una prigione piena di disperati e furibondi, di uomini vendicativi e sanguinari, sempre pieni di odio, di rabbia, etc. L’Inferno è un carcere orribile pieno di demoni, i quali ad altro non attendono che a straziare ed a tormentare sempre quei miseri dannati. Oh! Che luogo infame! che società orribile!

2. Le pene dell’Inferno sono senza numero, sono eccessive ed intollerabili. Atrocissima è quella del fuoco, in comparazione di cui il nostro è una ombra; e questo fuoco in un istante s’insinua per tutto il corpo del dannato; ed all’ardore di questo fuoco bollono gli umori, il sangue nelle vene, il cervello nel cranio, le viscere tutte, e sin le midolle nelle ossa. Or pensate se potete abitare « cum igne devorante, et cum ardoribus sempiternis. »

3. La pena della soffocazione sarà oltremodo orribile nell’Inferno, perché tutt’i dannati staranno ammucchiati, gli uni sopra degli altri, strettamente a guisa di uve premute sotto al torchio dell’ira di Dio; ed il dannato come cadrà nell’Inferno, così resterà immobile, e si sentirà soffocato per tutta la Eternità, senza poter mai muovere un piede, né una mano, senza potersi voltare dall’altro lato. Oh Dio’ e come farà un tale sventurato?

VIII.— Pena del senso che si soffre nell’Inferno.

.1. Così la fame come la sete sono un tormento il più insoffribile in questa vita, in modo che se uno starà per pochi giorni senza cibo, muore da disperato. Or quale sarà quella de’ dannati, i quali soffrono una fame canina, ma più di tutto, una sete ardentissima, senza poter avere in eterno un boccone di pane, né una stilla di acqua, e per la gran fame son costretti ad addentarsi le proprie carni. Oh! fame infernale, quanto sei insopportabile! Adesso nessuno pensa a te; ma bensì alle crapule ed alla golosità! Oh pazzia, dei mondani! –

2. Quale orrore mai io avrei se udir potessi le grida spaventevoli di milioni di condannati all’Inferno, ì quali, tra urli e gemiti da disperati, non fanno altro che bestemmiare e maledire Dio, l’umanità santissima di Gesù Cristo, Maria santissima, i Santi avvocati, etc. Malediranno ancora là in mezzo a quelle fiamme i loro genitori ed il giorno che nacquero. Qual vita da demonio sarà mai questa! Qual disperazione! Ah mio Dio, usatemi misericordia! –

3. La densità delle tenebre affliggerà, e la quantità del fumo chiuso là nell’Inferno, crucierà in modo i poveri dannati, che piangeranno dirottamente ed urleranno disperatamente. Oh! che spavento sarà ancora l’aver sempre ai lati demoni bruttissimi ed in vari modi orribili, che tormentano, percuotono, insultano, etc. Cercate dunque di chiudere i vostri occhi ad ogni oggetto pericoloso, per non piangere poi inutilmente per tutta l’Eternità nell’inferno.

IX.— Pena del danno.

.1. Anima mia, leggi e con riflessione, e di’ a te stessa: perdere Dio, e perderlo per sempre, senza speranza di mai più ricuperarlo: perdere Dio, e perderlo per colpa propria, e perderlo per non vederlo mai più. Oh! che pena è mai questa! Perdere Dio, sommo Bene, e perché? pel desiderio che io ebbi di godere, e per l’aborrimento che io ebbi al patire. Oh me sventurato! come farò se andrò dannato? starò senza Dio per una Eternità!

2. Fremono per lo sdegno, e si disperano quegli infelici nell’Inferno per aver avute tante belle occasioni di salvarsi, ed averle disprezzate; per aver avuto tanto tempo di salvarsi, ed averlo speso per dannarsi. Si ricorderanno dei piaceri passati, si conturberanno e diranno tra sé: E come! per poche soddisfazioni prese, per un piacere momentaneo, abbiamo perduto il Paradiso, l’anima e Dio per sempre! Oh per quanto poco potevamo salvarci ! e questo poco non l’abbiamo mai fatto, perché l’abbiamo sempre differito, abbiamo fatto i sordi alle divine voci. Guai a me, se a queste riflessioni io non mi ravvedo!

3. Se l’Inferno non fosse eterno, non sarebbe inferno, e questo è il tormento maggiore dei dannati, l’eternità delle pene, la quale è di fede. O Eternità, sei pure spaventevole, Eternità, che sempre duri! O Eternità chi mai ti può capire!

X.— Sopra il Paradiso.

1. Se la minaccia dell’Inferno non ti ha persuaso o anima mia, a mutar vita, forse ti arrenderai alla promessa ed al premio del Paradiso. Dove al primo entrare avrai tutt’i beni senza mescolanza di alcun male; là godrai tutt’i contenti, senza un minimo patimento, in compagnia di Gesù Cristo, di Maria Santissima, e di tutti gli Angeli e Santi del Paradiso. Oh! che bella è consolante conversazione sarà mai questa! E qual ineffabile godimento si avrà in quella celeste Sionne!

2. Il maggiore di tutti i contenti, e la più viva di tutte le delizie dei beati nel cielo, è vedere, amare e benedire Dio. Oh! come stupirai, anima mia, allorché vedrai la grandezza, la santità, la bontà infinita di questo Dio! ed a questo Dio l’anima beata starà sempre unita e trasformata in Lui, in modo che parrà sia divenuta un altro Dio. Deh ! rallegrati di tanta bontà del Signore, e nei patimenti e nelle pene di questa vita alza gli occhi al cielo, dicendo: Paradiso, quanto sei bello! tu sarai la patria mia, se mi uniformerò sempre, ed in tutto alla divina volontà.

3. Se vuoi salvarti, anima mia, due strade vi sono: l’innocenza e la penitenza. Per la strada dell’innocenza, non puoi, perché l’hai perduta pel peccato; per la strada della penitenza, non vuoi; come dunque devi salvarti? Mortificati e fa penitenza dei tuoi peccati, altrimenti non ci è perdono per te né speranza di Paradiso. L’intendi? E se l’intendi, perché non metti la mano all’opera? Pensa seriamente che si tratta d’un Paradiso eterno!

I NOVISSIMI

Mortal, ricordati

Che dèi morire,

E del gran Giudice

Tu devi udire

La tua sentenza

A pronunciar.

Se pura hai l’anima

Nel cielo andrai;

Ma se colpevole

Allor sarai,

Nel fuoco eterno

Dovrai piombar.

Mortal, deh pentiti

Che Dio t’invita.

Pensa che l’ultimo

Della tua vita

Questo momento

Forse sarà.

A queste immagini

Cosi tremende,

Chi può resistere,

Chi non s’arrende

Perduto ha il senno

Nell’empietà.

AVVERTIMENTO SULL’ETERNITÀ

Sappi, o divoto lettore, che chi entra una volta nell’ Inferno, non ne uscirà mai più, perchè questo luogo si chiama Casa di eternità: Domus æternitatis; e nel Vangelo di S. Giovanni si legge: “Ibunt hi in supplicium æternum”, E chi mai potrà col pensiero concepire che cosa sia Eternità? Ma ti Sei mai fissato di proposito a considerare ciò che dir voglia Eternità di pene? O Eternità! chi ti può capire? Dimmi un poco, se tu avrai la disgrazia di dannarti, come farai? Allora a chi ricorrerai? Ti figuri forse esser ciò impossibile a succederti ? E si ora tu fossi colpito dalla morte, che la Scrittura ci dice che viene come un ladro, “tamquam fur”, e ti trovassi in disgrazia di Dio, non saresti precipitato certamente nell’Inferno? Questa lusinga quanti ne ha precipitati negli abissi giacché per esser loro venuta buona, per tanto tempo, nel quale Dio gli aveva aspettati a penitenza con tanta pazienza, si son lusingati che gli avrebbe in avvenire anche sopportati, e frattanto si son veduti all’ improvviso assaliti dalla morte, ed ora si trovano ad urlare e gemere nelle fiamme dell’Inferno, senza speranza di più uscirne. Ad un tal riflesso trema dal capo ai piedi e procura che non succeda anche a te questa disgrazia, come di fatti è succeduta a tanti ingannati cristiani, i quali, perduti dietro le cose presenti, non hanno pensato seriamente all’Eternità delle pene. Procura tu, o caro mio lettore, di meditarla spesso, e prendila per regola della tua vita e della tua condotta. Ah! se avessi vivamente presente, che dopo questa vita vi è una Eternità inevitabile, che sarà per te o un colmo di felicità o un abisso di miserie, e dicessi fra te stesso, come s. Ambrogio: “in hanc, vel illam æternitatem vadam necesse est”, certamente non differiresti tanto a convertirti, e a darti di vero cuore a Dio. O Eternità! esclama S. Agostino, o Eternità! e si può pensare a te, senza pensare anche a far penitenza? Oh! questo non si può mai, almeno quando non si abbia perduto la fede, o non si abbia più cuore nel petto. “O æternitas, qui te cogitat, nec poenitet, aut certe fidem non habet aut si habet, cor non habet”. Se queste verità saranno impresse vivamente nel tuo cuore, penserai senza meno a servire Dio, starai sempre unito a Dio e nel tempo e nella beata Eternità.

Riflessioni sull’ Eternità.

Oh quanto lunga! quanto profonda! quanto immensa! quanto beata o misera è la signora di tutti i secoli, l’interminabile e sempre vivente eternità! O uomini mortali, che avete anima immortale, studiate, meditate, pensate attentamente questa gran parola: eternità! –

O Eternità! quanto sei lontana dal pensiero degli uomini: quanto di rado gli uomini pensano a te: Eternità

O Eternità! che potrò dire di te? In che modo ti esprimerò? E chi mai intenderà ciò che vuol dire eternità?

Io penso mille anni, e centomila, e cento milioni di volte mille anni, ed altrettanti milioni di mille anni, quante foglie e germogli di erba sono sulla terra, quanti grani di arena e gocce d’acqua sono nel mare, atomi nell’ aria e stelle nel firmamento: e non ho ancora incominciato a dire ciò che significa questa parola eternità.

Eternità! Oh Eternità di Paradiso! Chi non ti ha da volere?

Oh Eternità d’Inferno! Chi non ti ha da temere?

Che voglio io dire? Non lo posso, e non posso neppur pensarvi: lino a che Dio sarà Dio l’Inferno durerà. Ma quanto tempo, e fino a quando? Per sempre: per una eternità. Sempre! Mai! Eternità! . I piaceri passano; e le pene dei piaceri sono eterne. Le afflizioni passano; e le ricompense dureranno eternamente. Scegliete: o il piacere di un momento e la pena dell’Eternità, o la pena di un momento ed il piacere dell’Eternità. L’Eternità dipende dalla morte; la morte dipende dalla vita; la vita da un momento; da un momento dipende l’Eternità.

Conversione dell’anima a Dio.

Piangi, anima mia, detesta i tuoi peccati, lascia le tue iniquità, innalzati verso il tuo centro, e non differire più la tua conversione. Mira quel fuoco tormentosissimo acceso dal furore di un Dio Onnipotente, per vendicarsi di te per tutta l’Eternità, se ora disprezzando le sue chiamate paterne, non ti lascerai accendere dal dolcissimo fuoco del suo amore. Il passato più non è, l’avvenire non è in tuo potere, ed il presente non è che un momento a te accordato per servire a Dio, guadagnarti la beatissima Eternità, e scansare l’infelicissima Eternità. Comprendi bene e pesa la forza di queste parole:

UN DIO! UN MOMENTO! UNA ETERNITÀ!

Un Dio, che ti vede.

Un momento, che ti fugge.

Un’Eternità, che ti attende.

Un Dio, che è tutto.

Un momento, che non è niente.

Un’Eternità,che è la felicità,o l’infelicità per sempre.

Un Dio, che tu servi sì male!

Un momento, di cui ti approfitti si poco.

Un’Eternità, che tu rischi sì facilmente.

 

O DIO! O MOMENTO! O ETERNITÀ!

O mio Dio! io mi presento dinanzi a voi con un sincero pentimento dei miei falli. Io vi adoro con umile sommissione. Io credo in Voi e nell’ Eternità. Io spero in Voi e da Voi una felice Eternità. Io vi amo con tutto il mio cuore, e per tutta l’Eternità. Io mi sottometto a tutto ciò che vi piacerà qui ordinare di me. Bruciate, segate, tagliate, purché voi mi risparmiate nell’ETERNITÀ. Accordatemi, Dio Onnipotente ed infinitamente buono, le grazie necessarie per servirvi fedelmente in vita, e possedervi per tutta 1′ ETERNITÀ.

O Maria, Madre dell’eterna benedizione, fate che benediciamo il vostro divin Figliuolo, e nostro amabilissimo Gesù per tutta l’ETERNITÀ. Così sia.

DEVOZIONE A MARIA SANTISSIMA

DEVOZIONE A MARIA SANTISSIMA

[da manuale di Filotea del sac. G. Riva, XXX ed. Milano – 1888,]

Invito alla devozione a Maria.

Come alla rovina del mondo concorsero un uomo e una donna, così fu stabilito nei consigli della eterna Sapienza che alla sua riparazione concorresse col divino Unigenito incarnato nel tempo, anche la divina sua Madre. L’uno come fonte da cui dipendono tutte le grazie, l’altra come canale per cui a noi si trasmettono. Di qui è che, dopo la devozione a Gesù Cristo, autore e consumatore della nostra salute, non potrà mai essere abbastanza raccomandata la devozione a Maria, da Gesù Cristo stesso stabilita per arbitra e dispensatrice di tutti i celesti tesori.

Importanza della devozione a Maria.

Infatti, a restringere il tutto in poco, non può immaginarsi una Devozione di questa più necessaria, più doverosa, più santa, più soda, più consolante, più salutare, più universale. Diciamo una sola parola su tutte queste qualificazioni; 1Devozione più necessaria, perché, come dice s. Bernardo, non vengono grazie sopra la terra che prima non passino per le mani di Maria; e s. Anselmo protesta che perirà infallibilmente chi non avrà servito a questa gran Vergine con una devozione sincera Gens quæ non servierit tibi, peribit, … 2°. Devozione più doverosa, 1. Perché per mezzo di Maria si è compita la più grande dì tutte le opere, qual è la Redenzione di tutto il mondo; 2. perché per la divina maternità di cui venne Maria onorata fu e sarà sempre esaltata al di sopra di tutte le figlie d’Eva, e quindi glorificata nel cielo più di tutti i beati uniti insieme, per cui la Chiesa le ha decretato un culto affatto particolare che si denomina di Iperdulia, cioè superiore a quello che si presta ai Santi e agli Angioli, inferiore solamente a quello che si presta a Dio; 3. perché infine se sul Calvario fu dichiarata da Gesù Cristo per nostra Madre, nel Paradiso fu stabilita nostra Regina e nostra Padrona. Dunque niente è più doveroso per noi che il condurci verso Maria da figli amanti, da sudditi ossequiosi, da servi fedeli. — 3Devozione più santa, sia per la santità dell’oggetto che si propone, essendo Maria la più santa di tutte le creature; sia per la santità del motivo che ce la inspira, che è 1. la venerazione dovuta al merito singolarissimo di Maria; 2. la riconoscenza dovuta ai continui suoi benefici, 3. l’obbedienza agli ordini divini abbastanza espressi nei tanti titoli che Dio le diede ad essere parzialmente venerata i n tutto il mondo, 4. l’assecondamento dello spirito della Chiesa che in tante guise ne insinua e ne raccomanda la devozione più fervorosa; 5. l’imitazione di tutti i Santi che riguardarono sempre l’esercizio di questa devozione un un dovere indispensabile per arrivare a salute”, sia per la santità degli effetti che in noi deve produrre, quali sono l’acquisto di tutte le virtù, il conseguimento di tutte le grazie nella vita presente, e l’assicuramento del Paradiso nella vita avvenire, 4. Devozione più soda perché fondata sui principii e sui sentimenti di tutto il Cristianesimo verso la Madre di Dio, Regina degli Angioli, e degli uomini, e la sovrana dell’universo, la più eccellente di tutte quante le creature. 5. Devozione la più consolante: qual dolcezza, qual consolazione maggiore di quella di aver per propria madre la Madre stessa di un Dio, di poter quindi assicurarsi della bontà e della protezione di Lei che non esamina il merito dì chi La prega, ma solamente l’intenzione e il fervore con cui viene pregata? E di poter quindi con filiale confidenza ricorrere a Lei in ogni occasione? Qual gioia non desta in un cuore cristiano il sol Nome di Maria? 6. Devozione più salutare; essa diviene per noi sorgente di tutte le grazie ad assicurarci beata la eternità. Quanti peccatori non devono a questa devozione il loro ravvedimento? Quanti giusti la loro perseveranza? Quanti beati la felicità sempiterna di cui già sono al possesso? 7. Devozione più universale, dal principio del Cristianesimo fino a noi; scorrendo regolarmente per tutti i secoli, essa fu costantemente praticata da tutti i Santi, raccomandata da tutti i dottori, abbracciata da tutti i fedeli, professata da tutte le nazioni. Quanti Re non si fecero un dovere di mettere i propri Stati sotto la protezione della gran Madre di Dio? Quanti altari eretti a di Lei gloria? Quanti templi innalzati sotto il suo titolo? Quante feste stabilite a suo onore? Quante società di devoti formatesi sotto il suo nome? Quanti privilegi accordati ai suoi figliuoli? Quanti miracoli operati a intercessione di Lei? L’universo intero è un gran libro che pubblica continuamente ad ogni pagina le sue sovrane beneficenze. – Però a mostrare col fatto quanto importi lo spiegare il più grande impegno per la devozione a Maria, basti il ricordare quanto ha fatto la stessa SS. Vergine per impegnare gli uomini a mettersi fiduciosamente sotto il di Lei patrocinio colla devozione di nuovi Santuari, com maggiore decoramento dei già innalzati, specialmente, per essere sottratti alle più imminenti sciagure, così spirituali come temporali. Nella Valtellina, che doveva essere esposta agli assalti dei Protestanti, apparve la Vergine nel 1304 al nobile signore Mario Omodei, e gli comanda di dire al popolo che si erigesse un tempio dove posava allora i suoi sacri piedi, e gli dà segno l’istantanea sanità di un suo fratello da molto tempo gravemente infermo. Alla Motta nel Friuli nel 1510, si fa vedere ad un villano, e gli ordina di esortare la città e i paesi circonvicini a digiunare tre sabati in suo onore, e gli promette che ivi quanti La onorerebbero, tanti ne riporterebbero grazie meravigliose, e fu sì vero che il tempio che ivi si edificò si chiamò il tempio della Madonna dei Miracoli. A S. Severino nelle Marche nel 1519 una statua dell’Addolorata versa copiose lacrime, e col seguito dei miracoli riscalda il popolo alla pietà. A Treviglio nel Milanese nel 1532 una immagine della Vergine piange e suda copiosamente, e così chiaramente appare il miracolo che il francese generale Lautrec cessa dal mandare a sacco il paese, e si congiunge ai cittadini nel lodare e benedire Maria. A Brescia nel 1526, una immagine di Maria muove teneramente gli occhi ed apre le mani che nel dipinto erano congiunte, il divin Bambino egualmente si vede volgere le pupille alla Madre e stenderle amorosamente la mano. Il prodigio commuove tutta la città, si infervorano nella devozione anche i più traviati e la fede si rinforza contro gli errori. In Savona nel 1536 la Vergine si fa vedere ad un buon contadino e gli ordina di esortare il popolo alla penitenza. Tre fiammelle che si fanno vedere sopra la città assicurano il popolo della verità del fatto: accorrono al luogo della apparizione, e mille prodigiose grazie infiammano il popolo nella Religione. Così si dica di molte altre apparizioni, come a Reggio di Modena, dove uno privo affatto della lingua, pregando innanzi alla Madonna della Ghiaja l’acquistò e poté liberamente parlare. Come a Napoli, dove la Vergine apparve a una povera donna manifestandole una sua immagine che stava sotterrata in alte rovine. Come in Mesagna di Brindisi dove l’immagine della Vergine versò copioso sudore; come a Termini dove coll’olio della lampada che ardeva avanti alla Madonna della Consolata uno storpio fanciullo riacquistò all’istante gagliardia al camminare; come a Roma dove la Vergine apparve a una povera donna e l’avvisò che se voleva la vista cercasse nel Rione dei Monti di un diroccato fenile in cui era dipinta una sua immagine, e l’acquisterebbe. Il fatto confermò 1’apparizione e fu principio di mille e mille altri miracoli che ottennero ì Romani. Che dirò poi di ciò che vide Roma nel 1796! Ecco Maria in molte delle tante venerate sue immagini e di quelle singolarmente più esposte al pubblico, nel cospetto d’affollata moltitudine dei più cauti ed accorti, dei più male prevenuti ed increduli, e non per un giorno, ma per sei mesi interi, non in una immagine, ma in più di cento, ecco apre quegli occhi di misericordia e di amore, e pieni di luce, di vita, or li muove soavemente in giro, ora li alza guardando pietosamente il cielo, or li abbassa mirando il popolo supplicante, che a sì nuovo e portentoso spettacolo confonde coi singulti, coi gemiti i clamori e le preci e si disfà in tenerissimo pianto, a cui succede il più pronto ed edificante ravvedimento dei proprii errori.

Pratica della devozione a Maria

Ció premesso, chi può mai essere indifferente pel culto di Maria, mentre attestano i Santi, che, credere di salvarsi senza professare tal devozione è lo stesso che pretendere di volare senz’ale? Ora fra le pratiche utilissime a questo scopo non dobbiamo mai trascurare le seguenti 1. Consacrarsi a Maria per tutta la vita, eleggerla per nostra madre, e aspettar tutto dalla sua protezione, 2. Onorare specialmente i di Lei misteri, accostarci ai Sacramenti nelle sue festività, e distinguere con orazioni apposite e con qualche mortificazione, le novene che le precedono, non che i sabati di lutto l’anno; 3. Recitare ogni giorno qualche determinata preghiera a di Lei onore, come sarebbe la coroncina de’ suoi Dolori, quella delle sue Allegrezze, e specialmente il Rosario; oltre l’esser fedele in salutarla con l’Angelus Domini all’invito che fa la Chiesa, alla mattina, al mezzogiorno, alla sera; 4. Tenere qualche sua immagine in propria casa, qualche sua medaglia, o suo abitino al collo; 5. entrare nelle confraternite stabilite sotto il di Lei nome, specialmente in quelle del Rosario, del Carmine, della Cintura e della commemorazione dei suoi dolori, adempiendone fedelmente tutti i doveri; 6. Adoperarsi di propagare tal devozione negli altri, ascoltar volentieri le di Lei lodi; mostrare grande venerazione alle sue immagini, e concorrere per onorarle; 7. distinguere ogni anno con ossequi particolari il Mese di Maggio, che una pietà illuminata ha in modo particolare consacrato in onore di Maria, e praticare con fedeltà tutto quello che dai libri appositamente per ciò composti viene giornalmente insinuato. – Quando voi siate costante in tutto questo, potete ritenere come assicurata la vostra eterna salute, essendo la Chiesa medesima che mette in bocca a Maria quelle famose parole: Beato chi veglia continuamente alle mie porte — Chi ritrova me ritrova la vita, ed avrà la salute dal Signore. Egli è perciò che, scorrendo i fasti della Chiesa, si rileva ad ogni passo che i Santi di tutte le età e di tutte le nazioni, furono sempre devotissimi di questa grand’Arbitra d’ogni grazia, e non lasciarono intentato alcun mezzo per diffonderne in altri la devozione; e quanto più erano eminenti in santità, tanto maggiore spiegarono il proprio zelo per questo culto, reputandolo caparra sicura dei più distinti favori in questa vita, e di eterna gloria nell’altra. Di qui è che il mellifluo S. Bernardo scriveva — Taccia la vostra misericordia, o Vergine beatissima, se si trova alcuno che non abbia ottenuto il vostro favore quando l’ha chiesto ne’ suoi bisogni — Ed in altro luogo ci esorta tutti a fiducialmente ricorrere a Lei, con le seguenti parole — O tu, che fra l’onde di questo secolo vai fluttuando, se non vuoi perire nella tempesta, non levare mai gli occhi da questa stella. Se si leveranno i venti delle tentazioni, se sarai vicino ad urtare negli scogli delle cattive occasioni, mira la stella, chiama Maria. Se ti assalta l’onda della superbia, dell’ambizione, della mormorazione, dell’invidia, mira la stella, chiama Maria. Se la navicella della tua anima ondeggerà e sarà in pericolo per la cupidigia o per altro sensuale appetito, mira Maria. Se cominci a sommergerti per la gravezza dei tuoi delitti e la bruttezza della tua coscienza, o spaventato dal giudizio divino ti affliggi e temi di cadere nell’abisso della disperazione, pensa a Maria. Nei pericoli, nelle angustie, nei punti pericolosi pensa a Maria, chiama Maria. Maria non parta mai dalla tua bocca, non parta dal tuo cuore, ed affinché tu ottenga l’esaudimento della preghiera, non lasciar mai gli esempi della sua conversazione, perchè seguendola non esci di strada; pregandola non disperi; pensando ad Essa non erri; attenendoti a Lei non cadi, difendendoti Essa non hai paura; essendo Ella tua madre non ti stanchi; ed essendo Essa propizia sei sicuro di giungere al porto della eterna felicità. – E che non vi abbia veruna esagerazione in tutte queste asserzioni di S. Bernardo, lo provano i vari innumerevoli fatti che si trovano nelle più autentiche storie.

Frutti della devozione a Maria

Ma tra i tanti fatti che provano una verità si consolante, non si può lasciare di addurne alcuni. A S. Gregorio il taumaturgo vescovo di Ncocesarea, Maria apparve sensibilmente ed ordinò a S. Giovanni evangelista, che era con Lei, di insegnargli con la maggior precisione quanto doveva egli credere e predicare intorno al mistero della SS. Trinità. Per ovviare i danni di cui Giuliano 1’apostata minacciava la Chiesa, ad istanza di S. Basilio, ordinò a s. Marziale martire che uccidesse il tiranno; e così fu fatto sui campi di Persia. Apparve a ,S. Martino, e lo ricreo essendo accompagnata da un coro di Vergini che con Lei discesero dal cielo. S. Cirillo Alessandrino, il quale per difendere la sua prerogativa di vera Madre di Dio, combatté l’eresiarca Nestorio, e lo vinse, fu da Essa soccorso nella sua morte, e gli fu impetrato il perdono della colpa da lui commessa nell’aver avuto sinistra opinione di S. Giovanni Crisostomo. A S. Giovanni Damasceno, restituì la mano destra che il barbaro Re Isiàm, mosso da una falsa accusa degli eretici gli aveva fatto troncare; e a testimonianza di questo miracolo restò per segno, una specie di filo rosso nella congiuntura dove la mano si riattaccò al suo braccio. S. Gregorio Magno, colla immagine della Vergine dipinta da s. Luca, che Égli ordino che fosse portata in pubblica processione, mitigò l ‘ ira del Signore, e fece cessare quella spaventevole pestilenza, che aveva rovinato in gran parte, e stava per render deserta la città di Roma; e mandò come dono preziosissimo ai suo intimo amico s. Leandro, arcivescovo di Siviglia, una immagine della Madonna al presente in Guadalupe, e fa ogni giorno tanti miracoli, per cui non solo in tutta la Spagna, ma in tutto il mondo è in somma venerazione. S. Idelfonso, vescovo di Toledo, per avere difeso contro gli eretici Elvidiani nel modo il più concludente, la perpetua verginità di questa Regina degli Angioli, meritò di vederla ed adorarla sulla sua cattedra episcopale di Toledo circondata da gran maestà, e ricevere dalla sua mano quella celeste pianeta che ancor si conserva fra le più insigni reliquie. A Ruperto abbate, Tuitense, che per essere tardo di ingegno, diffidava di poter penetrare ed intendere i tanti misteri nascosti nella Sacra Scrittura, impetrò la SS. Vergine tanta luce di scienza che divenne uno dei saggi uomini del suo tempo, illustrato da molti miracoli in vita ed in morte. Lo stesso beneficio ricevette Alberto Magno, frate dell’ordine di s. Domenico, che stava per uscir dal convento supponendosi incapace di riuscire nella carriera delle scienze che fra’ suoi sempre coltivaronsi con grande impegno. Ma appena dietro suggerimento di alcune Vergini a lui apparse insieme a Maria SS., supplicò del suo aiuto questa vera sede della sapienza, divenne uno dei più scienziati, e fu maestro dei due grandi Dottori della Chiesa, s. Tommaso d’Aquino e s. Bonaventura. – Se non che, qual è mai quel favore di cui Maria non abbia degnato i suoi devoti? Ella visita, abbraccia, ed asciuga il sudor della fronte ad alcuni monaci cistercensi che nel campo mietono affaticati. Fa vento e rinfresca agli ardori febbrili una vedova sua devota. Consola ed asciuga parimenti il sudore ad un sacerdote moribondo che spesso l’aveva compatita nei suoi dolori. Restituisce benignamente la lingua ad un sacerdote cui era stata tagliata dagli eretici per averlo trovato un tal sabato a dir Messa in onore di Lei. Sostenta con le sue braccia un suo devoto ingiustamente condannato a forca, e fa che non iscorra il fatal laccio a strangolarlo. Invita ed accoglie in magnifico palazzo, e deliziosamente ristora due Religiosi dell’ordine di S. Francesco, smarritisi di notte in una selva. Dona una preziosa mirabile veste a san Bonito, vescovo di Alvernia. Ricucisce di propria mano il cilicio e dona un anello da sposo a S. Tomaso Cantuariense giovinetto. Imparadisa colla sua presenza e col suo canto Tomaso monaco Cisterciense. Sveglia il dormiente B. Ermanno premostratese, e lo libera dal pericolo di trovarsi poco meno che dissanguato per essergli sciolta la benda di un recentissimo salasso; altra volta colle sue mani gli rincassa nelle gengive due denti che s’erano sveltì nella sua bocca in una precipitosa caduta. Risaluta graziosamente Adamo di S. Vittore, si stringe al petto s. Bernardo, s. Domenico, s. Roberto vescovo Carnotese, e il Beato Alano della Rupe. Libera per sempre da una desolantissima tentazione s. Francesco di Sales. Conversa tutta una notte con s. Filippo Neri, e lo risana perfettamente mentre diffidavasi di sua guarigione. Ringrazia in persona il vescovo S. Brenone per avere .celebrato con distinta pompa la festa della sua Natività: lo stesso fa pure col P. Gesuita Martin Guttierez per aver fatto difendere pubblicamente la preminenza dei di Lei meriti sopra quelli di tutti i Beati uniti insieme; e da una marmorea statua collocata all’ingresso dell’Aula dell’università di Parigi, innanzi alla quale si fa a pregarla il celeberrimo Scoto Giovanni Duns, china visibilmente la testa per assicurarlo della sua assistenza nella difesa che stava per fare della sua Immacolata Concezione davanti a più di 200 Teologi. – Ne fu mai meno ammirabile la sua misericordia verso i peccatori, di quello sia stata magnifica la sua liberalità verso i proprii devoti. Chi non sa come questa Madre ed Avvocata dei peccatori liberò quell’arcidiacono e maggiordomo di Adama, città di Cilicia, nominato Teofilo, il quale per essersi veduto falsamente accusato, vinto dall’impazienza, ed accecato dal dolore rinnegò Cristo e la benedetta sua Madre, e si diede tutto in preda al Demonio con cedola scritta e sottoscritta di sua propria mano, la qual cedola gli fu poi da Maria medesima retrocessa, appena a Lei si rivolse pentito, e finì ad ottenere ampio perdono del proprio fallo, e morì da santo? Che dirò poi d i Maria la penitente, detta Egiziaca, la quale, essendo stata dapprima per molti anni un vero vaso d’abominazione e di scandalo, appena prostrata innanzi a un’immagine dipinta presso la porta di S. Croce in Gerusalemme, si raccomandò alla Vergine delle Vergini, e le promise intera e costante emendazione di vita, si sentì cambiata in tutt’altra, divenne uno specchio di santità, un prodigio di penitenza, vivendo per ben 47 anni solitaria in un deserto al di là del Giordano, dove non vide mai faccia d’uomo, né fu da altri visitata che dall’abbate Zosimo, che per celeste inspirazione andò ad amministrarle l’Eucaristia poco prima della sua morte! Né degna di minor meraviglia è la grazia che fu concessa ad una donna alemanna la quale nell’anno 1094 presso la città di Landau, essendo stata, come rea d’omicidio condannata al fuoco, mentr’era condotta al supplizio, invocò con gran fervore l’aiuto della Beatissima Vergine, e lo ottenne così compiutamente che, gettata due volte nel fuoco, non bruciò nemmeno un filo della sua veste, per cui, come protetta visibilmente dal cielo, fu pienamente lasciata libera. Ma chi potrebbe contare tutti i prodigi di cui Maria fu liberale verso quanti si fecero ad invocarla? Ah troppa ragione ebbe S. Bernardo di esclamare: Lasci per sempre di invocare Maria chi può asserire con verità di averla una sola volta invocata senza

CONSACRAZIONE A MARIA.

Protesto, o Vergine SS., Madre di Dio, Maria, avanti la SS. Trinità e a tutta la Corte celeste, di tenere Voi sola dopo Cristo per mia particolare Signora, avvocata e Madre; e per tale vi eleggo oggi e per sempre; e interamente a voi mi offerisco in vostro servo perpetuo. — Vi stimo, vi riverisco come vera Madre di Dio, e credo fermamente tutto quello che di Voi crede la Santa Madre Chiesa. Spero per vostro mezzo di salvarmi, mediante un vero dolore dei miei peccati, una sincera emendazione dei miei difetti, ed una fedele perseveranza nel vostro santo servizio; e di tutto vi supplico umilmente ad impetrarmi la grazia dal vostro santissimo Figliuolo. Vi amo dopo il vostro Figliuolo sopra tutte le cose; e vorrei, o amabile Signora mia, che tutti vi amassero e vi onorassero quanto meritate. Piango e maledico quel tempo in cui non vi ho amato: e desidero di amarvi con quell’ardore con cui vi amano e vi hanno amato le anime più fervorose. — Mi rallegro della vostra grandezza, o Madre del divin Figlio, o Figlia del divin Padre, o Sposa dello Spirito Santo, o Regina degli Angeli, o Imperatrice dell’universo; me ne compiaccio infinitamente più ancora che se fosse mia propria, e ringrazio infinitamente tutta la SS. Trinità che a tanto onore vi ha esaltata. — Madre mia amorosissima, io Vi ringrazio infinitamente per gli innumerevoli benefici che avete fatto a me, il più sconoscente tra i vostri servi, il più indegno tra i peccatori, o inventrice ed arbitra della grazia, benedetta fra tutte le donne, o Madre della misericordia, allegrezza delcielo, consolazione della terra, terrore dell’inferno, sempre Immacolata e sempre Vergin, prima del parto, e dopo il parto, Madre del bell’amore, Maria, io ripongo in Voi tutta la mia confidenza, e prometto di volervi sempre onorare a tutto potere fino alla morte, O sostegno dei vivi, conforto degl’infermi, speranza dei moribondi, luce dei ciechi, fortezza dei deboli, o rifugio dei peccatori, io vi supplico umilmente ad impetrarmi dal vostro divin Figlio tutte le grazie che vedete a me necessarie, e specialmente una plenaria remissione de’ miei peccati, un total distacco dal mondo e da me stesso, una continua imitazione delle vostre virtù, la stabilità nell’amore di Gesù Cristo, e la perseveranza finale. Così spero. Così sia.

INDULGENZE PER IL MESE DI MARIA

Con rescritto della S. C. Delle Indulgenze, 18 giugno 1822, a tutti i fedeli che in pubblico o in privato onoreranno con particolari ossequi, orazioni ed atti devoti la SS. Vergine in tutto il mese di Maggio, Pio VII concesse 300 giorni di Indulgenza ogni giorno, e la Plen. una volta al mese, nel giorno in cui, ricevuti i SS. Sacramenti, pregheranno secondo la mente del sommo Pontefice [l’attuale Gregorio XVIII –ndr.-]. Tale Indulgenza per concessione di Pio IX, 8 Agosto 1859, può lucrarsi anche nel 1° di Giugno.

De Segur: BREVI E FAMILIARI RISPOSTE ALLE OBIEZIONI CONTRO LA RELIGIONE [risp. XLI-XLIV]

XLI.

NON BISOGNA ESSER BIGOTTO.

R. Eh! senza, dubbio, non bisogna esser bigotto! Chi vi parla di ciò? Il bigottismo non è la religione, esso ne è l’abuso. I difetti delle persone, che in tal modo abusano della religione, ordinariamente per ignoranza, non devonsi ad essa imputare. Si abusa di lei come si abusa di tutte le cose buone. Bisogna rigettare l’abuso, e conservare l’uso. Bisogna essere devoto: non bisogna esser bigotto. Dio ama l’uno, e non ama l’altro. Egli vuol vedere nel nostro cuore la devozione, cioè la prontezza al suo servizio, prontezza per i doveri che impone, e per l’amore alla sua legge; ma non vuol vedere il bigottismo,cioè queste smanie, queste abitudini meschine o superstiziose della Religione, che spesso sostituiscono al principale l’accessorio, e prendono i mezzi pel fine. Tuttavia, convien dirlo, che questi abusi della religione non sono né cosi grandi, né così odiosi come si vuol pretendere. – Ordinariamente non fan male a nessuno e non nuocono che a quelli che li commettono. Quei che vi cadono sono persone (donne per lo più; gli uomini sono meno portati a questi difetti) poco illuminate,che si stancano che s’impacciano in pratiche esteriori buone in sé ma troppo moltiplicate; che hanno modi singolari d’agire; che si angustiano la coscienza col timore di operar male: che s’accendono per un zelo mal inteso quando sarebbe meglio tacere ecc. Ecco che cosa è il bigottismo. È un difetto; ma piaccia a Dio che giammai vi sia altro abuso sulla terra! Quelli che declamano contro il bigottismo, quei che s’indignano per queste ridicolezze, mi rammemorano quel tale che condannato ai lavori forzati perpetui per un orribile assassinio, si sdegnava perché gli si era dato alla galera per compagno di catena… un Son ben più da condannarsi di quelli che essi riprendono. – Il loro libertinaggio, la loro condotta, la loro dimenticanza dei più sacri doveri, la loro ignoranza religiosa, ì loro discorsi impudichi, i loro esempi, ecc. ecc., tutte queste cose non sono esse abusi?E sovente non sono anche delitti? – La loro intera vita è un abuso; e l’abuso della devozione è il solo, io credo, di cui non sono colpevoli. Non sarebbe meglio, domando, che avessero questo solo e non gli altri? Non siate dunque bigotto, ma cristiano e buon cristiano. Amate Dio, serviteLo fedelmente, osservate tutti i suoi comandamenti, adempite per piacere a Dio tutti i vostri doveri, e siate docile agli insegnamenti dei ministri di Gesù Cristo.

XLIl.

LA VITA CRISTIANA È TROPPO FASTIDIOSA, È TROPPO TRISTE PRIVARSI DI TUTTO, AVER PAURA DI TUTTO: CHE VITA!

R. Eh! là là! piano piano, mio buon amico! non vi spaventale così presto! Non vi obbliga a temere tutto ed a privarvi di tutto. » Voi vi esagerate le cose; se la legge dell’evangelio è un giogo, nostro Signor Gesù Cristo che ce lo impose, ci dichiara Egli stesso a che questo giogo è dolce, che questo peso è leggero. » Conoscete senza dubbio dei buoni cristiani. Hanno essi forse l’aspetto sì triste, sì spiacevole, sì sgraziato? Tutti quelli che conosco, hanno al contrario un non so che dì piacevole, d’onesto, di gaio, sul volto; solo il vederli anima al bene. Io non nego che sia d’uopo per essere un vero cristiano, vegliare sopra se stesso ed evitare certi piaceri illeciti e dannosi. Io non nego che la lotta della volontà contro le passioni, non sia qualche volta difficilissima. Ma trovatemi uno stato di vita senza lotta e senza sacrifici! Per apprendere il vostro stato, per guadagnarvi la vita non è forse d’uopo che vi affatichiate e molto? Anche per divertirsi bisogna ordinariamente imporsi qualche sacrificio…. E si vorrebbe che la più grande, la più importante, la sola necessaria tra tutte le cose, che è l’opera della salute eterna, non costasse niente! Ciò è impossibile. Il mondo vede i Cristiani pregare, fare penitenza, imporsi dei sacrifici, dare ciò che hanno ai poveri, soffocare le loro passioni, privarsi dei piaceri del senso, e fare tali e tali altre cose che gli fanno parere questa vita sgradevole e rigorosa. – Ma ciò non n’è che la corteccia. Penetrate nell’interno, e vedrete il cuore giulivo e magnanimo che rende, facili anzi gradevoli questi sacrifici in apparenza sì penosi. – Un buon figlio che si priva di qualche cosa per sua madre, non è egli contento delle privazioni che si impone? La pietà cristiana cambia in dolce ciò che è amaro nella pratica del dovere, come le api che cambiano in miele il sugo amarissimo ch’esse raccolgono sul fiore del timo. Gustate e Bisogna provarle queste cose; le parole non le possono far comprendere a chi non ne ha l’esperienza. A tal fine forse voi non avete che a portare il pensiero ai giorni della vostra infanzia. Son pochi gli uomini, che non abbiano gustato questa pura contentezza dell’amore di Dio al grande e solenne momento della loro prima Comunione… Voi allora eravate felice!… Perché? Perché eravate puro, casto, dato al bene, in una parola perché eravate Cristiano. Ritornate a questo stato e ancora sarete felice. Il Dio della vostra infanzia non ha cambiato… come voi, eh! Egli vi ama sempre, ed aspetta il ritorno del suo figliuolo prodigo. Non abbiate paura di Lui; è desso l’amabile Salvatore, è il rifugio dei peccatori pentiti: Giammai, Ei disse, giammai Io rigetterò colui che viene a me! Addossatevi questo giogo dolce e leggero della vita cristiana, e troverete il riposo, la pace del cuore, la vera gioia in questo mondo, e dopo morte l’eterna felicità del cielo.

XLIII

BISOGNA LASCIAR PASSARE LA GIOVENTÙ

R. A far che? Sciocchezze? a ber vino? a perder l’anima, l’onore, la sanità, il denaro con libertini? a far ciò, che Dio proibisce di fare? Ecco al certo una ben strana morale! E non so da qual parte del vangelo, od anche dal buon senso sia stata dedotta! Si, bisogna lasciar passare la gioventù; ma è necessario che passi come tutta la vita nella pratica del bene, nella fuga del male, nell’adempimento del dovere. La sola differenza tra la gioventù e la vecchiezza consiste in ciò, che la gioventù ha più di vivacità e di forza, e che perciò deve fare il bene, con più zelo, più ardore, più prontezza. Sì, bisogna che la gioventù passi in guisa da essere onorevole avanti Dio e avanti gli uomini; per essere il preludio d una vecchiaia rispettabile e benedetta da Dio: per preparare di lontano in messe, che l’anima raccoglierà al giorno della sua partenza sulle soglie dell’eternità. Non vi ha nulla al mondo, che più rapisca, che una gioventù santa e pura. Non vi ha nulla di più bello, di più commovente, di più amabile d’un giovane casto, modesto, laborioso, fedele a’ suoi doveri! Oh! se la gioventù cristiana conoscesse ciò che essa è!… per nulla al mondo vorrebbe perdere la sua gloria! Perduta una volta non può più ritornare. Il pentimento ha le sue dolcezze, ma non è più l’innocenza! Oh se conoscesse la gioventù, se potesse la vecchiaia!

XLIV.

PIÙ TARDI PRATICHERÒ LA RELIGIONE, QUANDO NON AVRÒ PIÙ TANTI AFFARI. MI CONFESSERÒ PIÙ TARDI.  ALLA MORTE. CERTAMENTE NON MORRÒ SENZA SACRAMENTI.

R. Più tardi? — Certamente?

Sì, se v’ha un più tardi per voi, e se voi n’avete i mezzi al punto della morte, ciò che certamente è in dubbio. Quanti han detto come voi: « Domani, più tardi » per cui non vi ebbe più, che il giudizio e l’eternità!… Quanti han trascurato di confessarsi, quando facilmente il potevano, e non lo poterono fare quando l’avrebbero desiderato! Voi vi confesserete alla morte? Ma se Dio mette la morte avanti la confessione? « Oh! rispondete voi, .egli è misericordioso. » — Sì: e perciò Egli oggi vi offre un perdono, che non meritate. Ma Colui che ha promesso il perdono al peccatore penitente non gli ha promesso il domani. Ben all’opposto lo ha avvertito di tenersi sempre sulla vedetta perché la morte sarà mandata all’improvviso… Ascoltate il maestro ed il giudice: « A tutti il dico, vegliate! — State preparati, perché il Figliuol dell’uomo verrà in quell’ora che non pensate… Sì, il Signore verrà in un giorno, in cui non l’aspetterete, e nel momento, che ignorate; e rigetterà il servo infedele… Si è allora che vi sarà pianto e stridor di denti… » (s. Matt. c. XXIV). Qual follia metter a rischio l’eternità con un forse! Un giovane aveva abbandonato per trascuranza i suoi doveri religiosi. Tuttavia conservava la fede, e ragionava come voi: io mi confesserò più tardi; ad ogni costo non vorrò morire senza sacramenti. Egli cade gravemente ammalato. Sua madre gli parla dell’anima sua, di un prete, di confessione… Esita, e differisce. Il male peggiora. Finalmente si decide. Si corre a cercare il prete; era di notte. Era stato chiamato presso un altro malato… si passa qualche tempo nel cercarlo; finalmente si trova. Accorre in tutta fretta… Era troppo tardi!… Una crisi aveva tolto di vita l’infelice; moriva in un’orribile disperazione! Gli esempi di morti improvvise totalmente Impreviste, sono quotidiani. Egli è poco tempo (1849) un operaio padre di famiglia, e membro della società di mutua assistenza di s. Francesco Saverio, cadde dall’altezza di alcuni piedi sopra il lastrico della via de Vaugirard, a Parisi. Restò sul colpo. Non poté neanche mandare un grido!— Egli aveva capito l’avvertimento del Vangelo…si confessava e si comunicava ogni otto giorni. Se vi accadesse lo stesso in questo giorno, sareste voi pronto, come egli, ad entrare nella vostra eternità? Più recentemente ancora un uomo passava nella via di… vacilla e cade. Vien tosto circondato e portato in una vicina bottega. Si chiama un medico; egli esamina e dichiara che la morte era stata istantanea, anche avanti che l’infelice fosse interamente caduto a terra. Costui non era punto apparecchiato!… Dopo ciò, contate sul domani per salvarvi! Dopo ciò, parlatemi di più tardi! dopo ciò dormite tranquillo con questo pensiero: Io mi confesserò certamente alla morte! – Un fattorino aveva fatto da qualche mese la sua prima Comunione. Aveva preso una sola risoluzione, ma l’aveva presa seriamente: « Se vengo a cadere in un peccato mortale, andrò a confessarmi, avanti dì coricarmi, lo stesso giorno. » Questa disgrazia gli accadde. Era un sabbato; faceva tempo cattivo. Il prete stava lungi. Dice tosto fra sé: « Andrò a confessarmi fra alcuni giorni, ma la sua promessa gli passava per la memoria ed un non so che gli diceva: Fa ciò che hai pròmesso: vatti a confessare. Egli esitava. In questo combattimento interiore si mette a ginocchi, e dice un’Ave Maria per ottenere la grazia di conoscere la volontà di Dio…. La preghiera è la salute dell’anima… Si alza, e si mette in cammino. Al suo ritorno, incontra una signora, che gli domanda d’onde viene; colla gioia sul viso glielo racconta e le dice, che va a dormir in pace avendo ricuperata l’amicizia di Dio. Sua madre aveva l’usanza di lasciarlo in letto un poco più di tempo alla domenica che agli altri giorni. Secondo la sua usanza dunque essa non lo sveglia che a sette ore, picchiando alla porta della sua cameretta, e chiamandolo. Un quarto d’ora dopo Paolo dormiva ancora. La madre lo chiama di nuovo, e resa impaziente per non aver risposta, entra nella camera: «Su, pigro! sono ornai le sette e mezzo, non hai tu vergogna!… » Si avvicina al suo ragazzo, che non si moveva… gli prende la mano, la trova agghiacciata… Spaventata sta attonita . . . e mandando un grido spaventevole, cade a terra svenuta… Il fanciullo era morto, ed i1 suo cadavere già freddo!! Felice di non essersi rimesso al più tardi! di non essersi rimesso solo al dimani!! Voi che leggete questo libro, possiate essere altrettanto savio e fare lo stesso.

CONCLUSIONE

Mio caro lettore, forse voi udirete nel mondo, nelle officine, nei giornali sollevare altre difficoltà contro la religione. Noi qui non abbiamo notato che le più popolari. Quali esse siano, io vi do parola, che non sono che sofismi, cioè ragionamenti che hanno l’apparenza del vero, ma che peccano per qualche punto.— Contro la verità non si può aver ragione. – Se alcuna di queste obbiezioni vi colpisce, credetemi, andate a trovar qualche buon prete (grazie a Dio, fra noi non ne mancano); e state certo anzi tutto, che benevolmente vi accoglierà. Esponetegli francamente la vostra difficoltà; egli ve ne farà conoscere la soluzione. – Cercate d’istruirvi nella religione: più si conosce, più si ama, e più si ama, più si pratica. Molti l’attaccano, perché non la conoscono. Essi se la figurano lutt’altro da quello che è, ed hanno da ciò bel giuoco per burlarsene. Io auguro, che i miei discorsi con voi siano utili alla vostr’anima. —Rileggete, e meditate i punti, che vi fanno ancora difficoltà. Se gli argomenti che vi do, vi sembrano insufficienti, siate ben persuaso, che la colpa è solamente mia, non già della santa causa della verità, che ho voluto difendere. La necessità d’esser brevissimo nelle mie risposte e il povero mio ingegno, sono le sole cause della debolezza della difesa. Potessi io tuttavia esservi riuscito! Potessi aver aumentato nel vostro cuore il rispetto per la fede, l’amore per la virtù, lo zelo per la vostra salute; questa è tutta la mia pretensione in questa operetta! . . . Avrei faticato per la vostra felicità ed il mio libro sarebbe una buona azione. Prego Iddio di benedirlo, di benedir voi e di benedir me stesso. E con ciò vi lascio, mio caro lettore: a rivederci, come spero, in paradiso! G. S.

S. GREGORIO NAZIANZENO E GIULIANO L’APOSTATA

GIULIANO L’APOSTATA E GREGORIO NAZIANZENO

[J. –J. Gaume: il “Catechismo di perseveranza”: vol III, Torino 1881]

Giuliano, nipote del gran Costantino, era pervenuto all’Impero nel 355. Sedotto da filosofi pagani, e trascinato dalle sue proprie passioni, quel principe abiurò pubblicamente alla Religione, e si accinse a risuscitare l’idolatria, accendendo una persecuzione sorda e perfida contro i Cristiani. Saccheggiò le Chiese, revocò tutti i privilegi loro, soppresse le pensioni concesse da Costantino pel mantenimento de’ chierici, delle vedove e degli orfani, e proibì ai Cristiani di chiamare in giudizio e di esercitare gl’impieghi pubblici. Nè ciò bastandogli, vietò che essi insegnassero le belle lettere, ben conoscendo i vantaggi ch’essi traevano dai libri profani, per combattere il Paganesimo e l’irreligione. Quantunque affettasse in ogni circostanza un sommo disprezzo per i Cristiani, ch’ei chiamava galilei, ei però conosceva il vantaggio, che loro procacciava la purità dei costumi e lo splendore delle virtù, e non cessava di proporne l’esempio ai sacerdoti pagani. Fu questa l’indole della persecuzione di Giuliano; cioè la dolcezza apparente e la derisione del Vangelo. Quando però conobbe che tornavano inutili tutti gli altri mezzi, allora trascorse alle violenze, e sotto il suo regno gran numero di Martiri contrassegnarono la fede col proprio sangue. L’empio principe vedendo che tal guerra non aveva che un lento risultato, deliberò di abbattere il Cristianesimo con un colpo solo. A tal effetto si accinse a dare una mentita formale a Nostro Signore medesimo, volendo cosi convincerlo d’impostura, e abbandonare l’opera sua allo scherno di tutti i secoli. Ma vedremo quali sieno i consigli degli uomini, quando si volgono contro il Signore! – Il principale divisamento di Giuliano era di convincere di falsità le Profezie, tanto quella di Daniele, che predice la distruzione di Gerusalemme come irreparabile, quanto quella del Salvatore, che assicura espressamente che non vi rimarrebbe pietra sopra pietra, epperò intraprese a rialzare quell’edificio. Egli scrisse a tutti i Giudei una epistola lusinghiera, promettendo loro di aiutarli a tutto suo potere per far risorgere dalle sue rovine il tempio, ove per tanto tempo avevano adorato il Dio degli avi loro. A tal nuova accorrono i Giudei da Gerusalemme; con somma premura accumulano considerevoli somme; le donne giudee offrono le gioie e gli amuleti per contribuire alle spese dell’impresa; i tesori dell’Imperatore somministrano immense somme. L’Imperatore medesimo spedisce abili architetti dalle diverse provincie dell’Impero, affida la soprintendenza dei lavori ad Alipio suo amico intimo che invia sul posto per sollecitarne l’esecuzione. Tutto essendo per tal modo disposto, viene preparata una gran quantità prodigiosa di materiali, si lavora notte e giorno con un ardore incredibile a ripulire l’area dell’antico tempio e a demolire quanto rimaneva dei fondamenti. Alcuni Giudei avevano preparato per questo lavoro delle zappe e delle ceste d’argento. Le donne più delicate mettevano mano al lavoro, e trasportavano i scarichi nelle loro vesti più ricche. – Intanto, finita la demolizione si stava per gettare i nuovi fondamenti; ma Dio aspettava i propri nemici a quel punto. Ascoltiamo un autore, la cui testimonianza non ci può esser sospetta; è questo Ammiano Marcellino, pagano di religione, e che ha fatto di Giuliano l’eroe della sua storia. – « Mentre che il conte Alipio, assistito dal Governatore della provincia, sollecitava i lavori, spaventevoli globi di fiamme si slanciarono dai fondameti, arsero gli operai e resero loro inaccessibili i luoghi. Più volte gli operai si provarono a ripigliare il lavoro, ma persistendo sempre quell’elemento con una specie di ostinazione a respingerli, furono questi obbligati a tralasciare l’impresa »(lib. XXIII, c. 1). – Ecco in qual maniera si esprime uno storico che adorava gl’idoli del Paganesimo, e che era ammiratore di Giuliano. Chi ha potuto strappargli dalla penna una tale confessione, se non la verità? – S. Gregorio di Nazianzo, autore contemporaneo, aggiunge che cadde la folgore; che si videro croci di un colore nericcio scolpite sugli abiti di coloro che erano presenti; che molti, inseguiti dalle fiamme, vollero salvarsi in una chiesa vicina, ma un fuoco improvviso li raggiunse, consumò alcuni, mutilò altri, lasciando a tutti i segni i più visibili della formidabile potenza di Dio, ch’essi erano venuti ad insultare. Nonostante si ostinarono a intraprendere l’opera; ma quelle eruzioni di fuoco ricominciarono ogni qual volta vollero rinnovare i lavori, e non cessarono se non quando furono tralasciati del tutto. « È questo, egli dice, un fatto notorio, e da tutti riconosciuto » (Orat. IV, adv. Jul.). – Cosi, se rimaneva qualche pietra da togliere dai vecchi fondamenti del tempio, tutto quell’affaccendarsi riuscì a dare alle parole del Salvatore il loro compimento letterale. Giuliano voleva essere onnipotente, ma quando si trattò di riporre una sola pietra in quei fondamenti maledetti per sempre, ei vide venir meno tutta la sua potenza e tutto l’odio suo. È dunque vero che tutti gli attacchi diretti contro la Chiesa si volgono a sua gloria e trionfo! È questa un’osservazione che giova fare una volta per sempre. – Giuliano al colmo dell’ira giurò, a malgrado della propria disfatta, di spegnere il Cristianesimo, ma prima volle porre fine alla guerra contro i Persiani. Fece immensi preparativi, e innumerabili sacrifici, e sul partire giurò nuovamente di annichilare a tempo opportuno la Chiesa; ma Dio ebbe ancor modo a salvarla dall’arrogante e insensata minaccia. Questo principe essendosi impegnato all’avanguardia senza corazza, fu pericolosamente ferito. Mentre egli alzava la mano per incoraggiare le sue milizie gridando: « Tutto per noi »; fu ferito a morte da una freccia. Allora ei prese colla mano il sangue che scorreva dalla sua ferita, e scagliandolo verso il Cielo esclamò: « Finalmente tu hai vinto, o Galileo ». Fu questo l’ultimo grido del Paganesimo agonizzante. La notte dippoi, cioè il 26 giugno 363, Giuliano morì in età di trentadue anni, principe in tutto degno di avere per apologista un Voltaire ». – Questa morte funesta era stata predetta da un Santo che viveva a quei tempi. Un Pagano avendolo incontrato gli chiese beffandolo: che cosa fa in adesso il Galileo? – A cui il Santo rispose tosto: Sta preparando un feretro. – Egualmente noi pure, allorché, nei giorni del pericolo, vediamo la Chiesa combattuta, incatenata, spogliata, dileggiata ed udiamo richiederci fra le risa degl’empi: Che cosa fa il Galileo? Dobbiamo fidentissimi rispondere: “Prepara dei feretri.” Sì, egli apre sepolcri in cui devono cadere i suoi nemici; nei quali hanno da imputridire come in passato tutti gli avversari del regno del Cristo: Imperatori, filosofi, popoli interi. Giuliano non solo combatté la Religione con la spada, ma con la penna eziandio. Ma la Provvidenza suscitò de’ vigorosi antagonisti al coronato sofista. – Uno tra i primi a far mostra di sè è San Gregorio di Nazianzo. Questo dottore della Chiesa, sopracchiamato il Teologo, per la cognizione profonda ch’egli aveva della Religione, nacque nel territorio di Nazianzo, piccola città di Cappadocia in vicinanza di Cesarea. Gregorio suo padre era pagano, ma fu convertito per le preghiere di Santa Nonna sua moglie. Quella virtuosa donna dedicò al Signore suo figlio Gregorio fino dalla sua nascita. Ei corrispose ben presto alle premure, che i suoi genitori si presero di formarlo alla virtù. Dopo i suoi primi studi, fu mandato ad Atene, affinché profittasse delle lezioni de’ celebri uomini, di cui quella città era il soggiorno; colà si unì in stretta amicizia con San Basilio, che al pari di lui vi si era recato per terminarvi i suoi studi. Io vi citerò, ad esempio, e tutti i Cristiani citeranno per sempre, quei due grandi uomini come i perfetti modelli d’un’amicizia del pari tenera che santa. Essi erano inseparabili: solleciti di evitare le compagnie scandalose, non frequentavano che que’ loro condiscepoli, ne’ quali l’amore dello studio andava unito alla pratica delle virtù. Non mai furon visti assistere a spettacoli profani; non conoscevano nella città che due strade, quella che conduceva alla Chiesa, e quella che conduceva alle pubbliche scuole. Menavano una vita molto austera, e non adopravano del denaro inviato loro dalla famiglia, che il puro necessario per i bisogni indispensabili della natura, distribuendo ai poveri il resto. Gregorio tornò a Nazianzo, preceduto da una brillante reputazione, e suo primo pensiero fu di ricevere il Battesimo. Da quel momento, morto al mondo e a tutte le sue lusinghe, ei non conobbe altro zelo che quello per la gloria di Dio. Onde appagare il desiderio ch’ei nutriva della propria perfezione, ruppe ogni commercio col mondo, e andò a ritrovare San Basilio che viveva in solitudine. Le veglie, i digiuni e preghiere formavano le delizie di quei due grandi uomini; univano al lavoro delle mani il canto dei Salmi, e lo studio della sacra Scrittura. Nella spiegazione degli oracoli divini essi seguivano non già i propri lumi, nè il proprio particolare intendimento, ma le dottrine degli antichi padri e de’ dottori della Chiesa. Verso questo tempo Gregorio scrisse il suo celebre discorso contro Giuliano; in esso egli parla con quella energia che praticavano i Profeti, quando per ordine di Dio essi rimproveravano i delitti dei re e degli empi. Era suo unico scopo difendere la Chiesa contro i Pagani, smascherando l’ingiustizia, l’empietà e l’ipocrisia del suo più pericoloso persecutore. Dio non permise che quella splendida luce restasse più lungo tempo nascosta. La Chiesa di Costantinopoli gemeva da quarant’anni sotto la tirannia degli Ariani; i pochi Cattolici che ancora vi restavano erano privi di pastori e perfino di chies; si diressero a Gregorio, del quale conoscevano la dottrina, l’eloquenza e la devozione, e lo supplicarono caldamente di accorrere in loro aiuto. Molti Vescovi si unirono ad essi, onde ottenere più facilmente che fossero udite le loro preghiere, e dopo molta resistenza Gregorio dovrà arrendersi. – Non mi farò qui carico di narrare quanto ebb’egli a soffrire per parte degli eretici, mentre stette sulla sedia di Costantinopoli; basti dire che il Santo non oppose a tanti oltraggi che la preghiera e la pazienza. Le sue virtù e i suoi talenti traevano presso di lui un gran numero di persone. San Girolamo stesso abbandonò i deserti della Siria per recarsi a Costantinopoli. Ei si pose tra i discepoli di Gregorio, studiò sotto di lui la Scrittura, e si fece gloria per tutta la vita di avere avuto un tal precettore. – Intanto le turbolenze crebbero nella Chiesa di Costantinopoli, e fu adunato un Concilio per porvi un termine. Il santo Patriarca mostrò in tale occasione una grandezza d’animo superiore ad ogni elogio. Vedendo che vi era molto fermento negli animi, ei si alzò e disse all’assemblea: Se la mia elezione è quella che cagiona tanti torbidi, io mi sottopongo a subire la sorte di Giona; gettatemi in mare per calmare la tempesta che non ho suscitata. Io non ho mai desiderato di essere Vescovo; e se lo sono, ciò è mio malgrado; se vi sembra espediente che io mi ritiri, io son pronto a tornare alla mia solitudine, affinché la Chiesa di Dio possa finalmente ridivenire tranquilla. Vi prego soltanto di unire i vostri sforzi, affinché la sedia di Costantinopoli sia occupata da un personaggio virtuoso, che abbia zelo per la difesa della fede » (Carm. I). – Dopo avere così dato la sua dimissione, il Santo usci dall’assemblea e. si recò al palazzo; colà si gettò a’ piedi dell’imperatore Teodosio, e avendogli baciato la mano, « vengo, gli disse, o signore, non col divisamento di chiedere ricchezze ed onori per me o per i miei amici, né per sollecitare la vostra liberalità a pro delle Chiese, ma vengo a chiedere il permesso di ritirarmi. La maestà vostra non ignora che contro il voler mio fui collocato nella sedia di questa città, ch’io son divenuto odioso perfino a’ miei amici, perché io miro soltanto agl’interessi del Cielo; vi scongiuro a far sì che la mia dimissione sia gradita. Aggiungete alla gloria dei vostri trionfi quella di ristabilire nella Chiesa la pace e la concordia ». – L’Imperatore fu stranamente sorpreso di una tal grandezza d’animo, e non senza molta pena concesse al santo Vescovo ciò che ei domandava con tanto ardore. Gregorio si congedò con uno stupendo discorso, che pronunziò nella Cattedrale di Costantinopoli in presenza dei Padri del Concilio e d’una moltitudine immensa di popolo. Ei lo terminò prendendo commiato dalla sua diletta metropolitana, dalle altre chiese della città, dai Santi Apostoli che vi erano onorati, dalla cattedra episcopale, dal suo clero, dai monaci, da tutti i servi del Signore, dall’Imperatore e da tutta la corte d’Oriente e d’Occidente, dagli Angeli tutelari della sua Chiesa e dalla Santa Trinità che vi si venerava. « Figli miei, soggiunse, custodite il deposito della fede, e rammentatevi delle pietre che mi sono state scagliate, perché io mi affaticava a porre ne’ vostri cuori la vera dottrina ». I fedeli inconsolabili lo seguirono piangendo e pregandolo a rimanere con essi; ma dei motivi superiori lo costrinsero ad effettuare il suo proposito. Egli si ritirò nella solitudine d’Arianza, ove consumò il rimanente de’suoi giorni, poiché era allora ben vecchio ed infermo. Vi era nella solitudine un giardino, una fontana e un boschetto che gli facevano gustare i piaceri innocenti della campagna. Colà egli esercitava ogni specie di mortificazione corporale; spesso digiunava e vegliava, pregava molto in ginocchio, non adoprava mai fuoco, non si calzava, di una semplice tunica si vestiva, si coricava sulla paglia, e non aveva per coprirsi che un sacco. – In mezzo alle rigorose sue austerità quel grand’uomo compose dei poemi, per confutare gli eretici Apollinaristi. Tali furono le sue occupazioni fino alla beata sua morte, che avvenne nel 389. – Le opere di San Gregorio si compongono: 1° Discorsi in numero di cinquanta. Alcuni di quei discorsi trattano della fede e di diversi punti della morale cristiana; la maggior parte hanno per oggetto di difendere la dottrina della Chiesa contro gli assalti degli eretici, altri sono panegirici pronunziati in onore di diversi Martiri nel giorno della loro festa: ei dettò anche l’elogio di San Basilio suo illustre amico; 2° Lettere, in numero di 257. La maggior parte sono interessantissime, e ci fanno conoscere per minuto il carattere di quel grand’uomo; 3° Poemi e poesie amene in grandissimo numero. Secondo alcuni autori, San Gregorio è il primo tra gli oratori sacri e profani. Questo Padre concepì sempre le cose nobilmente, e le espresse con una delicatezza e una eleganza inimitabili. Vivo, caloroso, fiorito, maestoso, il suo stile contiene una serie di bellezze che non si potrebbero comunicare ad un’altra lingua. I suoi versi, degni dei suoi discorsi, meriterebbero ben più che quei di Virgilio, d’Omero o d’Orazio, d’essere i libri classici delle nostre scuole.

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Gregorio Nazianzeno, un altro Gregorio [come il nostro Santo Padre Gregorio XVIII] che ha sofferto per la Chiesa difesa strenuamente contro i nemici di Cristo. Anche oggi, alla nostra Chiesa Cattolica eclissata, molto beffardi chiedono: “… ma che fa il vostro Signore “il Galileo”, sta a guardare o forse dorme, visto che gli apostati modernisti “giuliani” hanno usurpato ed invaso tutti gli spazi della Chiesa?”- Cosa possiamo noi rispondere se non con le parole del santo dei tempi di Giuliano: “Sta preparando un feretro”, anzi tantissimi feretri ove sprofondare i nuovi apostati, i traditori, gli usurpatori, i nemici di Dio e di tutti gli uomini, i marrani e quelli che hanno per padre il diavolo! Exsurgat Deus!

 

QUIS UT DEUS? 8 Maggio. Apparizione di S. Michele

QUIS UT DEUS?

APPARIZIONE DI S. MICHELE ARCANGELO

8 MAGGIO.

La Sacra Scrittura e la Tradizione ci fanno conoscere più apparizioni di S. Michele; e come una volta la Sinagoga dei Giudei, così ora la Chiesa di Dio onorò sempre S. Michele, quale suo custode e protettore. Onde dopo l’era delle persecuzioni sorsero ben presto in suo onore molte Chiese, sia in Oriente specie a Costantinopoli, come in Occidente, prima a Ravenna e poi a Roma. La solennità odierna venne istituita a ricordare l’apparizione di S. Michele sul monte Gargano, nella Capitanata, essendo Pontefice Gelasio I. – Narra la Tradizione, che essendo capitati su quel monte dei cacciatori, e vedendo un cervo di singolare bellezza, uno lasciò scoccare l’arco verso di lui, ma la freccia anziché colpire il cervo ritornò sul cacciatore. A tal vista spaventati tutti fuggirono, mentre l’accaduto veniva narrato al Vescovo della città; il quale credendolo cosa prodigiosa ordinò a tutto il suo popolo tre giorni di digiuno e di preghiere. Terminati i giorni di digiuno, tutto il popolo con a capo il Vescovo si recò processionalmente sul monte, ove il Vescovo vide e udì l’Arcangelo S. Michele dichiarare che quel luogo era stato posto in sua tutela. A questo favore tutti caddero in ginocchio, rendendo grazie a Dio per avere mandato S. Michele a prendere possesso di quel monte sul quale la pietà dei fedeli vi eresse un tempio, in cui ben presto si operarono tali prodigi da confermare la tradizione. Il monte Gargano divenne da quel giorno luogo di grandi pellegrinaggi, specie nei tempi di calamità, né mai vi salivano invano, poiché ogni volta per intercessione dell’Arcangelo S. Michele si manifestava la bontà divina, concedendo quanto si domandava. – Fatto luminoso è quello di S. Romualdo, il quale nell’anno 1002 impose all’imperatore Ottone III di salir sul monte Gargano a piedi nudi per incurvarsi a S. Michele ed espiare così il delitto di cui erasi reso colpevole permettendo fosse ucciso il senatore Crescenzio, cui aveva solennemente giurato la grazia di aver salva la vita. – Certo tutti gli spiriti celesti come ci insegna la Chiesa sono ministri di Dio, ma S. Michele ha potere grande presso l’Altissimo poiché ne difese la gloria coll’abbattere il superbo Lucifero. Memorabili sono le sue parole pronunciate prima di incominciare la lotta contro gli spiriti ribelli, parole di cui è formato il suo nome: « Michael?» « Quis ut Deus? Chi è come Dio?». Ricordiamoci che S. Michele, principe delle milizie celesti, con una moltitudine di Angeli, venne a noi mandato da Dio, il quale consegnò a loro le nostre anime affinché le conducano alla vita eterna.

RICORDO. — A fianco di ciascheduno fu posto un Angelo Custode: non offendiamone la presenza col peccato.

PREGHIERA. — Dio che con ammirabile ordine dispensi i ministeri degli Angeli e degli uomini, concedi propizio che la nostra vita in terra sia difesa da coloro che in cielo sempre ti servono ed assistono. Così sia

Preghiera a s. Michele Arcangelo.

O Gran Principe della milizia celeste, Voi che sempre state in difesa del popolo di Dio , già combatteste col Dragone, e lo scacciaste dal Cielo: a voi dico, efficacemente difendete la santa Chiesa, le porte dell’ inferno non possano prevalere contro di essa; assistetemi col vostro potente patrocinio in ogni cimento contro il demonio, e specialmente in quello che proverò nell’ ultimo dei miei giorni, ove temo per la mia debolezza di poter essere superato: vi prego dunque, o Principe fortissimo, a non abbandonarmi in quel punto, acciò possa costantemente resistere al nemico infernale, mediante la divina virtù: perché in tal modo trionfando di questo capitale nemico, possa poi lodare e benedire con voi, e con tutti gli Angioli la somma clemenza del mio Dio nel cielo.

Sancte Michael Archangele, defende nos in prælio, ut non pereamus in tremendo iudicio.

Inno a s. Michele (1).

[Per ottenere gli efficaci effetti del suo patrocinio sia in vita che in morte].

O gran virtù del Padre,

Del ciel vivo splendore,

Vita del nostro cuore.

Amato mio Gesù.

Noi ti lodiam per tutto

Fra gli Angioli purissimi,

Arcangeli santissimi,

Che pendono da te.

Folta coron di Duci,

Che mille e mille sono,

Combattono pel Trono

Del Padre, Spirto e Te.

Ma Vincitor fra tutti,

Col volto fiero e atroce,

Spiega Michel la Croce,

Gran segno d’umiltà

Di Satanasso il capo

Ei schiaccia velenoso,

E nel Tartaro ombroso

Per sempre il confinò.

Dalla celeste rocca

Lo fulmina, lo scaccia,

Senza voltar mai faccia.

Senza tremare il pie.

Contro il superbo Duce

Michel noi seguiremo,

Con lui combatteremo,

Forti senza timor.

Acciò dal Padre e Figlio

La gloria a noi ne vanga,

Lo spirto ci sostenga

Di santa e pura fé

Al Padre insiem col Figlio,

E a te Spirito santo,

Gloria si dia frattanto

Sempre ed in ogni età. Cosi sia.

Antifona. O principe gloriosissimo Michele Arcangelo, ricordati di noi; qui e dovunque prega sempre per noi il Figlio di Dio.

V.. Nel cospetto degli Angeli ti esalterò, mio Dio.

R.. Ti adorerà al tempio santo tuo, e confesserò il tuo Nome.

Orazione.

Dio, che con maraviglioso ordine distribuisci i misteri degli Angioli e degli uomini,

piacciati di fare che da questi ministri, che in Cielo ti fan corona, sia la vite nostra in terra soccorsa e fortificata.

 

(1) [Pio VII con rescrìtto perpetuo del 6 maggio 1817 concesse a tutt’i Fedeli 200 giorni d’Indulgenza per una volta al dì a chi lo reciterà e l’Indulgenza plenaria a quelli che giornalmente per un mese continuo lo diranno, in un giorno ad arbitrio, in cui confessati e comunicati, pregheranno secondo 1’intenzione del sommo Pontefice.]

NOVENA in onore di S. Michele Arcangelo

I . Grande esemplare di umiltà che fin dal principio compariste nel mondo, e Zelatore ardente della gloria di Dio, per quella sommissione perfetta da voi prestata all’infinita Maestà di Dio e per quello zelo con cui cacciaste dal Paradiso Lucifero a Dio ribelle; ottenetemi la vera umiltà di cuore, affinché, sottomettendomi perfettamente a Dio, ed alle creature tutte per amore di Lui, meriti da Dio medesimo quelle grazie che Egli ha promesso ai soli umili di cuore. Pater, Ave e Gloria.

II. Principe del Popolo di Dio, per quell’impegno, che mostraste sempre pei suoi vantaggi, e che vi fece pregare il Signore a far finalmente finire la schiavitù dello stesso popolo in Babilonia, e ne foste esaudito; ottenetemi voi da Dio il perdono dei miei peccati che mi fecero schiavo del demonio, ed impetratemi ancora la perfetta, costante e perseverante mutazione di vita, e la santità de’ costumi, affin di meritare insiem con voi la gloria promessa ai mondi di cuore. Pater, Ave e

III. Terror dei diavoli e di coloro che sono loro seguaci, per quello spavento che incuteste a Balaamo perché non maledicesse il popolo del Signore, e 1’obbligaste a benedirlo; difendetemi da tutte le insidie che mi terranno gli amatori del mondo, seguaci del diavolo, affinché possa io, scampato dai loro lacci, camminare sicuro per la via dell’eterna mia salata- Pater, Ave e Gloria.

IV. Modello ammirabile di ogni angelica virtù, che nell’opporvi al diavolo perché non fosse manifestato agli Ebrei il sepolcro di Mose per non farli idolatrare, non ardiste proferire contro di lui voce alcuna di bestemmia, ma lo vinceste con quelle ammirabili parole : Ti reprima il Signore; ottenetemi voi da Dio un santo Zelo contro dei peccatori, ed un vero amore verso il mio prossimo, senza mai offenderlo o fargli male né con fatti, né con parole, affin di meritare il premio promesso da Gesù Cristo a quelli che avranno avuto la vera carità verso del prossimo. Pater, Ave.e Gloria.

V. Difensore potentissimo delle anime contro le potestà delle tenebre, per quella difesa che prendeste del Sommo Sacerdote Giudaico, chiamato Gesù, contro le accuse del diavolo che lo voleva veder condannato, onde poi si vide risplendere di virtù, e governare coll’ assistenza degli Angeli il popolo di Dio; difendetemi voi dalle accuse che il demonio farà di me al Tribunale di Dio, specialmente nell’ora della mia morte, ed ottenetemi il perdono dei peccati miei, mediante una perfetta contrizione di cuore specialmente nell’ultimo punto di mia vita, affinché la mia morte sia la morte dei giusti nel bacio del Signore. Pater, Ave Gloria.

VI. Gloriosissimo Principe della Milizia Angelica, per l’aiuto che prestaste a quell’Angelo che comparve a Daniele, e ne appagò le brame; siate sempre voi in mio aiuto nel combattere il demonio, il mondo e la carne, sino alla morte, onde adempiendo i divini precetti, meriti la gloria, che voi godete fin dal principio del Mondo. Pater, Ave Gloria.

VII. Zelatore ardentissimo della salute degli uomini per esser voi costituito da Dio in Principe e Protettore delle anime elette nell’uscire di questa vita; voi assistetemi in vita, e molto più in morte, ottenendomi da Dio tutte quelle grazie che mi bisognano per vivere bene e ben morire, affin di essere da voi presentato a Cristo Giudice come cosa vostra, e meritare così la sentenza delle anime giuste. Pater, Ave e Gloria.

VIII. Arcangelo accettissimo al cuor di Dio, che siete da lui destinato in protettore delle anime giuste che trovansi in Purgatorio; colle vostre orazioni ottenete da Dio la liberazione sollecita di quelle anime sante da quelle atrocissime pene, e la sollecitudine stessa mostrate per me, se salvandomi, come spero per divina misericordia e per vostra intercessione, mi troverò ancor io nel numero di quelle anime che penano in quelle fiamme. Pater, Ave e Gloria.

IX. Principe gloriosissimo del Paradiso per la destinazione da Dio fatta di voi in Protettor della Chiesa di Gesù Cristo, come Io foste un’altra volta della Chiesa Giudaica, e ciò sino alla fine del mondo, quando venendo voi cogli Angeli vostri in aiuto di Enoc, e di Elia, e dei Ministri della Chiesa, combatterete e vincerete l’Anticristo, il Diavolo e gli Angeli suoi ribelli, che saranno da voi sommersi negli abissi infernali, deh voi proteggete sempre con fortezza la Chiesa “vera” di Gesù Cristo ed i suoi fedeli, ottenendo da Dio la conversione ai peccatori, l’aumento della grazia ai giusti, e a tutti la perseveranza finale. Pater, Ave e Gloria.

ANTIPHONA.

Princeps gloriosissime Michael Archangele, esto memor nostri, hic et ubique semper precare prò nobis filium Dei.

V.In cospectu Augelorum psallam tibi,Deus meus.

R. Adorabo ad templum sanctum tuum, et confitebor nomini tuo.

OREMUS.

Deus, qui miro ordine, Augelorum ministeria hominumque dispensas: concede propitius, ut a quibus tibi ministrantibus in coelo semper assistitur, ab his in terra vita nostra muniatur. Per Christum Dominum nostrum. Amen.

[da: “Il giardino spirituale”;  Napoli 1903 – imprim.]

 

LA MADONNA DI POMPEI: Supplica e novena

Supplica alla Regina del SS. Rosario di Pompei

Da recitarsi a mezzogiorno l‘8 Maggio e nella prima Domenica di Ottobre.

 In nomine  Patris, et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

I. O augusta Regina delle Vittorie, o Vergine sovrana del paradiso, al cui nome potente si rallegrano i cieli e tremano per terrore gli abissi, o Regina gloriosa del Santissimo Rosario, noi tutti avventurati figli vostri che la bontà vostra ha prescelti in questo secolo ad innalzarvi un tempio in Pompei, qui prostrati ai vostri piedi, in questo giorno solennissimo della festa dei novelli vostri trionfi sulla terra degli idoli e dei demoni, effondiamo con lacrime gli affetti del nostro cuore, e con la confidenza di figli vi esponiamo le nostre miserie. – Deh! da questo trono di clemenza, ove sedete Regina, volgete, o Maria, lo sguardo vostro pietoso verso di noi, su tutte le nostre famiglie, sull’Italia, sull’Europa, su tutta la Chiesa, e vi prenda compassione degli affanni in cui volgiamo e dei travagli che ci amareggiano la vita. – Vedete, o Madre, quanti pericoli nell’anima e nel corpo ci circondano; quante calamità ed afflizioni ci costringono! O Madre, trattenete il braccio della giustizia del vostro Figliuolo sdegnato, e vincete con la clemenza il cuore dei peccatori; sono pur nostri fratelli e figli vostri che costano sangue al dolce Gesù e trafitture di coltello al vostro sensibilissimo cuore. Oggi mostratevi a tutti, qual siete, Regina di pace e di perdono. Salve, Regina, etc. ..

II. È vero, è vero, che noi per primi, benché vostri figliuoli, con i peccati torniamo a crocifiggere in cuor nostro Gesù, e trafiggiamo novellamente il vostro cuore. Sì, lo confessiamo, siamo meritevoli dei più aspri flagelli. Ma voi ricordatevi che sulle vette del Golgota raccoglieste le ultime stille di quel Sangue divino e l’ultimo testamento del Redentore moribondo. E quel testamento di un Dio, suggellato col Sangue di un uomo-Dio, vi dichiarava Madre nostra, Madre dei peccatori. Voi dunque come nostra Madre siete la nostra Avvocata, la nostra Speranza. E noi gementi stendiamo a voi le mani supplichevoli gridando: misericordia! – Pietà vi prenda, o Madre buona, pietà di noi, delle anime nostre, delle nostre famiglie, dei nostri parenti, dei nostri amici, dei nostri fratelli estinti, e soprattutto dei nostri nemici e di tanti che si dicono Cristiani, e pur lacerano il Cuore amabile del vostro Figliuolo. Pietà, deh! Pietà oggi imploriamo per le nazioni travagliate, per tutta l’Europa, per tutto il mondo che ritorna pentito al Cuor vostro. Misericordia per tutti, o Madre di Misericordia. Salve, Regina, etc. ..

III. Che vi costa, o Maria, l’esaudirci? Che vi costa il salvarci? Non ha Gesù riposto nelle vostre mani tutti i tesori delle sue grazie e delle sue misericordie? Voi sedete alla destra del vostro Figliuolo, rivestita di gloria immortale su tutti i cori degli Angeli. Voi distendete il vostro dominio per quanto son distesi i cieli, e a voi la terra e le creature tutte che in essa abitano sono soggette. Il vostro dominio si stende sino all’inferno, e voi sola ci strappate dalle mani di satana, o Maria. Voi siete l’onnipotente per grazia, voi dunque potete salvarci. Che se dite di non volerci aiutare, perché figli ingrati e immeritevoli della vostra protezione, diteci almeno a chi mai dobbiamo ricorrere per essere liberati da tanti flagelli. Ah, no! Il vostro cuore di Madre non patirà di veder noi, vostri figli, perduti. Il Bambino che vediamo sulle vostre ginocchia, e la mistica corona che miriamo nella vostra mano, c’ispirano fiducia che saremo esauditi. E noi confidiamo pienamente in voi, ci gettiamo ai vostri piedi, ci abbandoniamo come deboli figli tra le braccia della più tenera fra le madri, e oggi stesso, sì, oggi da voi aspettiamo le sospirate grazie. Salve, Regina, etc. ..

Chiediamo la benedizione a MARIA

Un’ultima grazia noi ora vi chiediamo, o Regina, che non potete negarci in questo giorno solennissimo. Concedete a tutti noi il vostro costante amore, ed in modo speciale la materna benedizione. No, non ci leveremo oggi dai vostri piedi, non ci staccheremo dalle vostre ginocchia finché non ci avete benedetti. Benedite, o Maria, in questo momento il Sommo Pontefice (Gregorio XVIII). Ai prischi allori della vostra corona, agli antichi trionfi del vostro Rosario, onde siete chiamata Regina delle Vittorie, deh! Aggiungete ancor questo, o Madre: concedete il trionfo alla Religione e pace alla umana società. Benedite il nostro Vescovo, i sacerdoti, e particolarmente coloro che zelano l’onore del vostro santuario. Benedite infine tutti gli Associati al vostro novello tempio di Pompei, e quanti coltivano e promuovono la devozione al vostro Santissimo Rosario. O Rosario benedetto di Maria, catena dolce che ci rannodi a Dio, vincolo di amore che ci unisci agli Angeli, torre di salvezza negli assalti d’inferno, porto sicuro nel comune naufragio, noi non vi lasceremo mai più. Tu ci sarai conforto nell’ora di agonia: a te l’ultimo bacio della vita che si spegne. E l’ultimo accento delle smorte labbra sarà il nome vostro soave, o Regina del Rosario della valle di Pompei, o Madre nostra cara, o unico rifugio dei peccatori, o sovrana consolatrice dei mesti. Siate ovunque benedetta, oggi e sempre, in terra ed in cielo . Così sia. Ave, Maria, etc. ..

Indulgenze: 7 anni o. v. plen. s.c. p.t.m.

NOVENA IN ONORE

DELLA SS. VERGINE DEL ROSARIO

Di POMPEI

Indulgenze concesse dal S. P. Leone XIII a chi recita la:

Novena d’impetrazione.

Con Rescritto della Sacra Congregazione dei Riti del 29 Novembre del 1887, il Santo Padre Leone Xlll ha concesso a tutti i fedeli i quali con cuore almeno contrito e per nove giorni continui devotamente reciteranno innanzi ad un’Immagine della Vergine di Pompei questa Novena composta di cinque preghiere, versetti, responsorii ed oremus, l’Indulgenza di trecento giorni una volta in ciascun giorno della Novena medesima, e l’Indulgenza Plenaria a quelli che avendola praticata come sopra, veramente pentiti, confessati e comunicati in un giorno, o dentro la Novena, o dopo averla compiuta, pregheranno per qualche spazio di tempo, secondo l’intenzione del Sommo Pontefice.

O Santa Caterina da Siena, mia protettrice e Maestra, tu che assisti dal Cielo i tuoi devoti allorché recitano il Rosario di Maria, assistimi in questo momento; e degnati di recitare insieme con me la Novena alla Regina del Rosario che ha posto il trono delle sue grazie nella Valle di Pompei, acciocché per tua intercessione io ottenga la desiderata grazia. Così sia.

V. Deus, in adiutorium meum intende;

R. Domine, ad adiuvandum me festina.

Gloria Patri, etc. ..

I. O Vergine Immacolata e Regina del S. Rosario, Tu, in questi tempi di morta fede e di empietà trionfante, hai voluto piantare il tuo seggio di Regina e di Madre sull’antica terra di Pompei, soggiorno di morti Pagani. E da quel luogo dov’erano adorati gli idoli e i demonii, Tu oggi, come Madre della divina grazia, spargi da per tutto i tesori delle celesti misericordie. Deh! da quel trono ove regni pietosa, rivolgi, o Maria, anche sopra di me gli occhi tuoi benigni, ed abbi pietà di me che ho tanto bisogno del tuo soccorso. Mostrati anche a me, come a tanti altri ti sei dimostrata, vera Madre di misericordia;Monstra te esse Matrem”; mentre che io con tutto il cuore ti saluto e t’invoco mia Sovrana e Regina del Santissimo Rosario.

Salve Regina, Mater etc. ..

II. Prostrata ai piedi del tuo trono, o grande e gloriosa Signora, l’anima mia ti venera tra gemiti ed affanni ond’è oppressa oltre misura. In queste angustie ed agitazioni in cui mi trovo, io alzo confidente gli occhi a Te, che ti sei degnata di eleggere per tua dimora le capanne di poveri ed abbandonati contadini. E là, rimpetto alla città, ed all’anfiteatro dai gentileschi piaceri, ove regna silenzio e rovina, Tu, come Regina delle Vittorie, hai levato la tua voce potente per chiamare d’ogni parte d’Italia e del mondo cattolico i devoti tuoi figli ad erigerti un tempio. Deh! Ti muovi alfine a pietà di quest’anima mia che giace avvilita nel fango. Miserere di me, o Signora, miserere di me che sono oltremodo ripieno di miserie e di umiliazione. Tu, che sei le sterminio dei demonii, difendimi da questi nemici che mi assediano. Tu, che sei l’Aiuto dei Cristiani, traimi da queste tribolazioni in cui verso miserevolmente. Tu, che sei la Vita nostra, trionfa della morte che minaccia l’anima mia in questi pericoli in cui trovasi esposta; ridonami la pace, la tranquillità, l’amore, la salute. Cosi sia.

Salve Regina, Mater etc. ..

III. Ah! il sentire che tanti sono stati da Te beneficati, solo perché sono ricorsi a Te con fede, mi infonde novella lena e coraggio d’invocarti a mio soccorso. Tu già promettesti a S. Domenico, che chi vuol grazie col tuo Rosario le ottiene; ed io, col tuo Rosario in mano, ti chiamo, o Madre, all’osservanza delle tue materne promesse. Anzi Tu stessa a’ di nostri operi continui prodigi per spingere i tuoi figli a edificarti un Tempio a Pompei. Tu dunque vuoi tergere le nostre lacrime, vuoi lenire i nostri affanni! Ed io col cuore sulle labbra, con viva fede Ti chiamo e t’invoco: Madre mia!… Madre cara!… Madre dolcissima, aiutami! Madre e Regina del Santo Rosario di Pompei non più tardare a stendermi la mano tua potente per salvarmi: che il ritardo, come vedi, mi porterebbe alla rovina.

Salve Regina, Mater etc. ..

IV. E a chi altri mai ho io a ricorrere, se non a Te, che sei il Sollievo dei miserabili, il Conforti degli abbandonati, la Consolazione degli afflitti?! – Oh, io tel confesso, l’anima mia è miserabile, gravata da enormi colpe, merita di ardere nell’inferno, indegna di ricever grazie! Ma non sei Tu la Speranza di chi dispera, la grande Mediatrice tra l’uomo e Dio, la potente nostra Avvocata presso il trono dell’Altissimo, il Rifugio dei peccatori? Deh, solo che Tu dica una parola in mio favore al tuo Figliuolo, ed Egli ti esaudirà. Chiedigli dunque, o Madre, questa grazia di che tanto io ho bisogno. (Si domandi la grazia che si vuole). Tu sola puoi ottenermela: Tu che sei l’unica speranza mia, la mia consolazione, la mia dolcezza, tutta la vita mia. Così spero, e così sia.

Salve Regina, Mater etc. ..

V. O Vergine e Regina del Santo Rosario. Tu che sei la Figlia del Padre celeste, la Madre del Figliuolo divino, la Sposa dello Spirito Settiforme; Tu che tutto puoi presso la Santissima Trinità, devi impetrarmi questa grazia cotanto a me necessaria, purché non sia di ostacolo alla mia salvezza eterna. (Si esponga la grazia che si desidera). Te la domando per la tua Immacolata Concezione, per la tua divina Maternità, pei tuoi gaudii, pei tuoi dolori, pei tuoi trionfi. Te la domando pel Cuore del tuo amoroso Gesù, per quei nove mesi che lo portasti nel seno, per gli stenti della sua vita, per l’acerba sua Passione, per la sua morte di Croce, pel Nome suo santissimo, pel suo preziosissimo Sangue. Te la domando infine pel Cuore tuo dolcissimo, nel Nome tuo glorioso, o Maria, che sei Stella del mare, Signora potente, Madre di dolori, Porta del Paradiso e Madre d’ogni grazia. In Te confido, da Te tutto spero, Tu mi hai da salvare. Così sia.

Salve Regina, Mater etc…

V. Dignare me laudare te, Virgo sacrata;

R. Da mihi virtutem contra hostes tuos.

V. Ora prò nobis, Regina sacratissimi Rosarii.

R. Ut digni efficiamur promissionibus Christi. 

Oremus

 Deus, cuius Unigenitus per vitam, mortem, et resurretionem suam nobis salutis æternæ præmia comparavit, concede, quæsumus, ut hæc mysteria sanctissimo Rosario Maria; Virginis recolentes, et imitemur quod continent, et quod promittunt assequamur. Per eumdem Christum Dominum nostrum.

R. Amen.