LE INDULGENZE

LE INDULGENZE

[J.-J.- Gaume: il “Catechismo di Perseveranza”, Speirani ed. Torino 19881, vol. II, cap. XLI]

Che cosa siano le indulgenze. — Potestà di concederle. — Loro utilità. — Sono irreprensibili agli occhi della ragione. — Tesoro delle indulgenze. — Indulgenza plenaria e particolare. — Che cosa sia necessario per lucrarle. — Mezzi per guadagnare le indulgenze. — Che cosa sia il Giubileo.

Nella tema che fossimo spaventati e disanimati dal rigore delle penitenze, che siamo obbligati di fare per ragione dèi numero e dell’enormità delle nostre colpe, il Padre nostro celeste ha trovato un mezzo di provvedere alla debolezza de’suoi figli, conservando ad un tempo intatti i sacri diritti della sua giustizia. Egli perciò volle che l’innocente pagasse pel colpevole, e che le soddisfazioni soprabbondanti dei nostri fratelli ritornassero abbastanza a comune profitto, e d’altrettanto diminuissero il nostro debito; questo mezzo di cui parliamo sono le indulgenze. Noi non temiamo di asserire, che questo è uno dei più bei dogmi del Cristianesimo, e nello stesso tempo uno dei mezzi i meno apprezzati e i più calunniati. Per rivendicarlo dai blasfemi, basterà, noi crediamo, di esporre ciò ch’egli è realmente, e questo appunto apprendiamo a dimostrare.

Che cosa sono le indulgenze? — In una famiglia, un fanciullo si mostra disobbediente, ed il padre perciò gl’impone una penitenza. Il colpevole è in procinto di eseguirla, allorché la madre, o il fratello, o la sorella, sopraggiungono ed implorano grazia pel medesimo. Il padre si lascia piegare e perdona, a riguardo delle preghiere e della intercessione della sua sposa o de’ suoi figli: ed ecco che questo padre di famiglia ha accordato un’indulgenza. – In un regno, un uomo si rende colpevole di delitto, e le leggi lo condannano a morte. Già sale sul patibolo, quando un illustre personaggio gettasi a’ piedi del monarca, ed implora grazia pel condannato. Il re si lascia piegare, ed il colpevole è salvo: questo re concede un’indulgenza. Nella persona di Adamo il genere umano tutto intero si ribellò contro Dio, e fu quindi condannato alla morte eterna. Ben tosto il Figlio di Dio si presenta e si offre di morire in vece nostra. L’eterno Padre accetta il sacrifizio, e l’uomo viene assolto: Iddio allora accordò un’indulgenza. Fondato su questo mistero, il Cristianesimo intero non è che una grande indulgenza concessa al genere umano, che si è reso malfattore, ad intercessione del Giusto per eccellenza, volontariamente sacrifìcatosi per il mondo colpevole. Voi vedete perciò che l’indulgenza, in generale, è la riversibilità dei meriti del giusto sul colpevole; è la sorgente consolatrice, e ad un’ora terribile, della fraternità e della solidarietà che stringe fra di loro tutti gli uomini; è in fine la base stessa delle società, l’essenza stessa del Cristianesimo. Scendiamo ora da queste generali indicazioni, e vediamo che cosa si abbia ad intendere sotto il nome d’indulgenza propriamente detta, di cui è nostro obbligo occuparci al presente. La teologia definisce l’indulgenza: La remissione della pena temporale che rimane a subire dopo la remissione della colpa e della pena eterna; remissione accordata fuori del Sacramento della Penitenza, per l’applicazione de’ meriti di Gesù Cristo e dei Santi. [“Indulgentia est gratia, qua certo aliquo opere quod concedens praescribit, praestito, debita Deo poena temporalis (non autem culpa) extra Sacramentum, sacrifìcium et martyrium, per applicationem satisfactionum Christi et Sanctorum remittitur”. S. ALPH., lib. VI, tract. IV, n. 531; Ferraris, art. Indulg.] – Per comprendere la natura delle indulgenze e gli effetti che producono, è mestieri ricordarsi: 1° che ogni peccato deve essere punito in questa vita o nell’altra. Se il peccato è mortale, dev’essere punito nell’altra vita con pene eterne senza pregiudizio delle pene temporali: se poi non è che veniale, esso dev’essere punito con pene temporali qui in terra, oppure nel purgatorio; 2° che dopo la remissione, mercé il sacramento della Penitenza, tanto del peccato veniale quanto del mortale e della pena eterna che a questo è dovuta, rimane ordinariamente da subire una pena temporale: imperocché è raro che si abbiano disposizioni perfette di contrizione e di carità, che escludano ogni affezione al peccato e che pienamente ne giustifichino in faccia a Dio. – Che nel rimettere il peccato e la pena eterna, Iddio non rimetta già sempre la pena temporale che Gli è dovuta, ella è questa una verità resa incontestabile dalla condotta di Dio medesimo per riguardo ai più illustri penitenti. Adamo diviene colpevole, e Iddio gli rimette e il suo fallo e la pena eterna ch’esso merita; ma nullameno non lo esonera dalle pene temporali dovute al suo peccato: gli lascia il duro incarico di procacciarsi il pane col sudore della fronte, e la triste necessità di patire e di morire. Gl’Israeliti sono assolti dalle loro mormorazioni, e Davide egualmente dal suo doppio delitto; pur ciò nonostante subiscono per queste colpe, già perdonate, delle pene temporali. Ora, in questo disegno, noi dobbiamo riconoscere la sapiente sollecitudine del nostro Padre celeste, « il quale, dice sant’Agostino, allo scopo di mostrare al peccatore la grandezza del male che ha commesso e la punizione che ha meritato; affine di correggere una natura sempre inclinata all’errore, ed indurla ad esercitare la pazienza che le è necessaria, permette che pene temporali colpiscano l’uomo, anche quando più non sia condannato per i suoi falli ad una eternità di supplizi ».

Chi può accordare le indulgenze? — Ma è forse necessario che queste pene temporali siano assolutamente da noi subite, in tutto il loro rigore e in tutta la loro estensione, o in terra, o nel purgatorio? No: La fede c’insegna che la Chiesa ha ricevuto dal Signor Nostro Gesù Cristo il potere di addolcirle, potere consolatore, che noi con gratitudine riponiamo fra i più segnalati benefizi del divino Mediatore: dogma sacro, che riposa, al pari della stessa Religione, sopra fondamenti inconcussi.Noi ben cel sappiamo: un padre nella propria famiglia, un re nei suoi domini, godono la pacifica prerogativa di conceder grazia; e perché dunque la Chiesa, nostra madre e nostra regina, non avrebbe ugual privilegio rispetto ai suoi figli? L’Unigenito di Dio che l’ha fondata, avrebbe forse mancato del potere o della volontà di concederlo alla medesima? Del potere? Niuno lo sostiene. Della volontà? Niuno può sostenerlo. E difatti il Salvatore ha donato alla Chiesa l’autorità di accordare le indulgenze, allorquando ha detto a San Pietro: “E a te io darò le chiavi del regno de’Cieli; e qualunque cosa avrai legato sopra la terra, sarà legata anche nei Cieli; e qualunque cosa avrai sciolta sopra la terra, sarà sciolta anche ne’Cieli [Matteo XVI, 19].Codesta promessa è generale e non ammette eccezione di sorta. Su di che noi formiamo il seguente raziocinio: La Chiesa ha ricevuto da Gesù Cristo, nella persona di San Pietro, che è il suo capo, la podestà di aprire le porte del Cielo ai peccatori pentiti; essa ha dunque il potere di togliere tutti gli ostacoli che potrebbero loro impedire di entrarvi. Ora, le pene temporali che rimangono ad essi da subire dopo la remissione della pena eterna, sono altrettanti ostacoli, che vietano al peccatore convertito il suo ingresso nel Cielo, ove non è dato di entrare senza aver pagato alla giustizia divina, e sino all’ultimo obolo, tutto ciò che le è dovuto. La Chiesa ha dunque ricevuto il potere di rimettere queste pene; ed ella ne usa col mezzo delle indulgenze. Brevemente, la Chiesa ha ricevuto autorità di rimettere i peccati: dunque a più forte ragione può rimettere la pena dovuta ai peccati. Un’altra prova che la Chiesa ha ricevuto da Gesù Cristo la podestà di concedere le indulgenze, desumesi dal contegno degli Apostoli. Ammaestrati da Gesù Cristo medesimo, hanno usato di tale autorità, testimonio l’apostolo San Paolo. Codesto infaticabile operaio di Cristo aveva predicato il Vangelo nella città di Corinto, dove era giunto a stabilire una Chiesa fiorente. Chiamato dallo zelo che l’infiammava in altre provincie, sente che uno de’suoi neofiti è caduto in gravissimo fallo. Tosto egli scrive alla Chiesa di Corinto di espellerlo dal suo seno [Cor. V] . Gli vien risposto che il colpevole si mostra pentito; l’Apostolo, tocco da compassione, scrive una seconda lettera, nella quale ei si mostra pronto ad usare indulgenza verso questa pecora traviata sì ma penitente, per tema che un eccesso di tristezza divenga per essa una tentazione a disperare, e soggiunge: Io ho usato indulgenza per amor vostro, e la ho usata a nome di Cristo [Cor. II, 10]. – San Paolo credeva dunque che il Figlio di Dio aveva concesso ai suoi Apostoli, e per conseguenza alla sua Chiesa, il potere di conceder grazia ai peccatori, per riguardo alle preghiere ed ai meriti de’suoi fratelli innocenti, vale a dire, il potere di accordare indulgenze. Gli eretici e gli empi, che hanno negato alla Chiesa questo diritto, oserebbero essi forse di credersi meglio istruiti sui disegni di Gesù Cristo che non San Paolo, e di determinare con maggiore esattezza tutta l’estensione dei poteri che il divino Fondatore ha accordato alla sua Chiesa? Il più grande inimico delle indulgenze nei tempi moderni, Lutero, non diceva forse, innanzi di venir condannato dal sovrano Pontefice: Se alcuno osa negare la verità delle indulgenze del Papa sia anatema? – Una terza prova ritrovasi nella condotta dei successori degli Apostoli, i quali sino dai primi secoli, e sull’esempio dei loro maestri, ritennero costantemente l’usanza di concedere delle indulgenze. Nel terzo secolo i montanisti, nel quarto i novaziani, combatterono con falso zelo la facilità colla quale i pastori della Chiesa ammettevano i peccatori alla penitenza, e loro accordavano l’assoluzione e la comunione. A far cessare consimili clamori, fu spinto molto innanzi il rigore delle penitenze che s’imponevano ai peccatori prima di riconciliarli colla Chiesa. Ma i pastori, malgrado la testardaggine degli eretici, continuarono ad usare indulgenza [‘ Essi erano autorizzati dai canoni dei Concili di Nicea, di Ancira, di Lerida, ecc. ecc.— S . BASILIO, S. GIOV. CRISOSTOMO, ecc. approvano tale condotta.] verso i penitenti, tanto per riguardo al fervore col quale essi compievano le loro penitenze, quanto per l’approssimare delle persecuzioni, onde poter loro distribuire la comunione, quale necessario preservativo contro i pericoli da cui erano minacciati, come in fine per rispetto ai martiri ed ai confessori trattenuti nelle prigioni o condannati alle miniere, i quali chiedevano spesse volte ai Vescovi cotali indulgenze in favore di alcuni penitenti. – Questi generosi campioni di Cristo, imitando il loro Maestro sul punto di spirare, racchiusi nelle carceri e destinati alla morte, erano da impulsi di carità sospinti verso i loro fratelli, e chiedevano grazia per loro. Quando sapevano o potevano scrivere ponevano il nome de’ loro protetti sopra un biglietto, ch’era perciò comunemente detto libello dei martiri; allorché non potevano scrivere si contentavano di nominarli ai diaconi da’quali erano visitati nelle carceri. I diaconi portavano tali libelli o riferivano le raccomandazioni verbali ricevute dai martiri ai Vescovi; e questi per rendere onore alla costanza dei martiri concedevano indulgenze ai penitenti, vale a dire, accorciavano la durata delle loro penitenze. Fra i figli della Chiesa tutti i beni spirituali essendo comuni, essi giudicavano che i meriti dei martiri potessero essere legittimamente applicati ai penitenti, pei quali i campioni della fede si degnavano di pregare [CYPR , ep. X, XI, XII, XIII, XXIII.]. – Dopo la conversione degli Imperatori non v’ebbero più martiri per intercedere in favore dei penitenti; ma non per questo si ritenne che la sorgente delle grazie della Chiesa fosse inaridita e nemmeno diminuita. E noi infatti vedremo fra poco che questa fonte è inesauribile. Ella è dunque verità di fede appoggiata sulle parole di Gesù Cristo medesimo, sull’esempio degli Apostoli e sulla tradizione di tutti i secoli, che la Chiesa ha la podestà di concedere indulgenze. Quindi il santo Concilio di Trento pronunzia l’anatema contro chiunque osasse asserire che le indulgenze sono inutili, o che la Chiesa non ha l’autorità di accordarle [Sess. XV, c. 23].

III. Qual è l’utilità delle indulgenze? — Egli è certo che l’indulgenza concessa con quella discrezione, che sempre ha contrassegnato in modo si luminoso la sposa infallibile di Gesù Cristo, è interamente rivolta al vantaggio dei fedeli. Essa è per i Santi viventi una ragione di più per moltiplicare le loro buone opere; pei peccatori un motivo di confidenza nella comunione dei Santi, ed uno stimolo efficace ad evitare tutti i peccati ai quali è annessa la scomunica; pei giusti e pei peccatori ad un tempo un vincolo ammirabile di fraterna carità! È dunque errore gravissimo darsi a credere che le indulgenze conducano alla rilassatezza ed alla depravazione; poiché esse non hanno mai autorizzato un peccatore a ricusare la penitenza impostagli dal Confessore, ad esimersi da una restituzione, o da una riparazione che fosse in obbligo di fare. L’obbietta delle indulgenze fu sempre quello di supplire a penitenze omesse, o malamente adempiute, o troppo leggere per riguardo alla enormità delle colpe. La Chiesa dice presso a poco così ai peccatori, verso dei quali usa di tale favore: «Voi siete debitori di tanto; e nulla avete o quasi nulla per pagare: ma se voi fate quella tal cosa sarete esonerati dal debito ». È un padre, un re che commuta la pena meritata da un figlio disobbediente o da un suddito ribelle. Operando in tal guisa, la Chiesa non fa che seguire l’esempio di Dio medesimo. Che cosa infatti, come altrove abbiamo detto, che cosa è il Cristianesimo? Che cosa è la redenzione di Gesù Cristo, primo fondamento della nostra fede? Non è essa forse una grande indulgenza concessa all’uomo colpevole per riguardo alla gran Vittima innocente? In una parola: l’uomo è colpevole; egli non può soddisfare neanche per la più piccola delle offese; la divina giustizia reclama nonostante tutti i suoi diritti: dunque senza indulgenza, vale a dire, senza i meriti del Giusto applicati ai peccatori e ricevuti in pagamento del suo debito, non si dà remissione possibile, non redenzione, non Cristianesimo. Ecco ciò che mostra come il dogma delle indulgenze si fondi sulla base stessa della Religione di Gesù Cristo; imperocché le indulgenze che accorda la Chiesa non sono che una particolare applicazione della grande indulgenza, che è la base pur anco del Cristianesimo. – Il dogma delle indulgenze è esso contrario alla ragione? — Nulla è più conforme alla ragione quanto il dogma delle indulgenze, imperocché nulla concilia più mirabilmente i diritti della giustizia e della misericordia divina. Iddio non può lasciare un peccato senza punizione, più di quanto possa lasciare un’opera buona senza ricompensa: ed è rigorosamente necessario che un peccato sia punito quando lo merita. [Aug., lib. III, De Lib. Arbitr., c. 9 et 10; id. De Natur. Boni, c. 7. — “Nec sufficit solummodo reddere quod ablatum est, sed prò contumelia illata plus debet reddere quam abstulit…” — Anselm., lib. \, Cur Deus homo, cap. II]. La sua misericordia pertanto non è riposta nel dare l’impunità al colpevole, ma sebbene, come ci dimostra il dogma delle indulgenze, a contentarsi della soddisfazione di Gesù Cristo e dei Santi per l’espiazione dei peccati degli uomini. Egli potrebbe esigere da noi stessi tutto quanto Gli dobbiamo, sino all’ultimo obolo; ma, per bontà, degnasi accettare l’altrui soddisfazione in pagamento di un debito, che avrebbe avuto diritto di reclamare da noi in tutta la sua integrità.

  1. Qual è il tesoro delle indulgenze? — Queste nozioni suppongono: 1° che si danno nella Chiosa soddisfazioni sovrabbondanti; 2° che queste soddisfazioni possono essere applicate ai fedeli. Questa doppia supposizione è una realtà. E primieramente si danno nella Chiesa soddisfazioni sovrabbondanti. Difatti tutte le buone opere fatte in istato di grazia sono ad un tempo stesso impetratorie, meritorie, soddisfattorie; esse ottengono la grazia, meritano la gloria, espiano il peccato. In questo modo le azioni di Nostro Signore, esemplare di tutte le buone opere dei Santi, Gli hanno acquistato, per gli uomini grazie di salute, per la sua umanità il più alto grado di gloria, e finalmente hanno cancellato il peccato dal mondo. Egualmente un giusto che faccia un’opera buona in istato di grazia aggiunge una gemma di più alla propria corona, ottiene una grazia di più, e da ultimo espia qualcuno de’ peccati che può avere commesso. Che se questo giusto non ha peccati da espiare, oppure il merito della sua opera buona sopravanza il suo debito, la sua buona azione non ottiene che una parte della dovuta ricompensa, ed in quanto ella è espiatoria, rimane priva del suo effetto: e innanzi a Dio, che è la giustizia stessa, questo genere di merito non può andare perduto.Ciò premesso, egli è certo: che le soddisfazioni di Nostro Signore hanno di molto sorpassato i peccati del mondo; esse sono infinite, mentre i peccati del mondo non lo sono. Quindi le memorande parole del pontefice Clemente VI, che spiegano sì bene il pensiero della Chiesa sul proposito delle indulgenze. « Il Salvatore, immolato sull’altare della Croce, non ha soltanto versato una goccia del suo sangue, che pure, per ragione della dignità di sua natura, avrebbe bastato per la redenzione del genere umano, ma lo ha versato tutto quanto. Come dunque dev’essere immenso il tesoro delle grazie che ha acquistato alla Chiesa militante, affinché si gran copia di meriti non restasse vana ed inutile! Esso non ha sepolto codesto tesoro, ma sebbene ha donato al Principe degli Apostoli ed a suoi successori il potere di distribuirne le ricchezze ai fedeli [“Unigenitus Dei Filius… pretioso sanguine nos redemit, quem in ara Crucis innocens immolatus, non gutlam sanguinis modicam, quae tamen propter unionem ad Verbum prò redemptione totius humani generis suffecisset, sed copiose, velut quoddam profluvium nascitur effudisse… Quantum ergo exinde ut nec supervacua, inanis et superflua tantae effusionis miseratio redderetur, thesaurum militanti Ecclesiae acquisivit, volens suis thesaurizare filiis pius Pater, ut sic sit infinitus thesaurus hominibus quo qui usi sunt, Dei amicitiae participes sunt affecti. Quemquidem thesaurum, non in sudario repositum, non in agro absconditum, sed per B. Petrum Coeli clavigerum, eiusque successores, suos in terris vicarios, commisit fldelibus salubriter dispensandum, et propriis et rationalibus causis, nunc prò totali, mine prò partiali remissione poenae temporalis pro peccatis debitae, tam generaliter, quam specialiter (prout cum Deo expedire cognoscerent) vere poenitentibus et confessis miserieorditer applicandum”. Extravag. Unigenitus, etc.»]. – Egli è certo che i Santi hanno fatto molte soddisfazioni sovrabbondanti. Chi può negarlo della santa Vergine, la quale, esente da ogni macchia, ha ciò non ostante sofferto cotanto? Chi può negarlo di tanti Martiri, che dal sacro fonte del Battesimo, nel quale erano stati pienamente purificati, sono saliti ben tosto sul patibolo, ove han fatto il sacrificio della vita? Chi può negarlo di tanti altri Santi, che colpevoli appena di qualche leggiera mancanza, hanno nondimeno passata la vita nelle austerità, nei digiuni, nelle privazioni di ogni specie? Tale si è ancora la dottrina della Chiesa [Extravag. Unigenitus,]. Laonde il tesoro delle indulgenze si compone dei meriti sovrabbondanti del Signor Nostro Gesù Cristo, della santa Vergine e dei Santi: questo tesoro è inesausto, poiché i meriti del Salvatore sono infiniti. – Noi abbiamo detto in secondo luogo, che questi meriti possono essere applicati ai fedeli, e noi ciò abbiamo stabilito, col dimostrare che la Chiesa ha la podestà di concedere indulgenze. Aggiungiamo che la giustizia medesima esige che cosi appunto avvenga: ed è agevole l’intenderlo. Ditemi di grazia, non sarebbe forse cosa strana che in una società così perfetta com’è la Chiesa un tesoro sì dovizioso rimanesse sepolto? Iddio potrebbe mai lasciare inutili tanti meriti di Gesù Cristo e dei Santi? Egli non può farli servire né a benefizio del suo Figlio né de’ Beati, poiché essi non hanno debiti personali da pagare. La giustizia richiede dunque che simile tesoro divenga fruttuoso in vantaggio de’ suoi figli che ne hanno bisogno: e ciò Egli ha fatto sin dall’ origine del mondo, e lo fa tuttavia. Nel terrestre paradiso accettò l’intercessione del Figlio suo in favore dell’uomo colpevole : nell’antica Alleanza fu visto spesse volte perdonare ai più grandi peccatori, quantunque non facessero che leggiere penitenze, purché qualche santo personaggio offrisse per loro le proprie soddisfazioni. Così egli perdonò agli Israeliti ribelli per intercessione di Mose suo servitore; così avrebbe perdonato alle cinque infami città, se vi si fossero trovati solamente dieci giusti; così al profanatore Eliodoro, per riguardo al gran sacerdote Onia. Nella Legge novella moltiplica per sua grazia i meriti de’ Santi che ci sono applicati mediante le indulgenze.

VI . Che cosa si deve intendere per indulgenza plenaria, e per indulgenza parziale? — La remissione della pena temporale dovuta ai nostri peccati non ci sempre accordata nella istessa misura: talvolta essa è piena ed intera, altre volte non è tale. Da ciò le indulgenze plenari e le indulgenze parziali: per esempio di sette anni, di sette quarantene, ed altre, più o meno lunghe. – L’indulgenza plenaria è la remissione non solo di tutte le penitenze sacramentali e canoniche, ma ancora di tutte le pene del Purgatorio. [v. S. Alfonso lib IV, tract. IV, n. 535, p. 264, etc. etc.] Laonde il Cristiano, cosi felice da guadagnare in tutta la sua interezza un’indulgenza plenaria, diventa puro come il fanciullo all’uscire dal fonte battesimale: se muore in questo stato avventuroso, egli sale diritto al Cielo senza passare pel Purgatorio [Raccolte di indulgenze, etc. Roma, 1841, p. XVI]. Conoscete voi una verità più di questa consolatrice? Ma direte voi: Colui che acquista in tutta la sua pienezza un’indulgenza plenaria a benefizio de’ trapassati è sicuro di liberare infallibilmente dal Purgatorio quell’anima a cui si è inteso di applicarla? – No, egli non è sicuro, ed eccovi la ragione. Un’anima può essere ritenuta nel Purgatorio o per peccati veniali che non sono stati rimessi, ovvero, se sono stati rimessi, per subire la pena da essi meritata, non meno che per peccati mortali perdonati nel Sacramento della Penitenza. – Se l’anima è ritenuta nel Purgatorio per ragione di peccati veniali che non siano stati condonati, l’indulgenza non potrebbe liberamela, attesoché, e scolpitelo bene nella memoria, l’indulgenza non rimette né i peccati mortali né i veniali, ma solamente la pena temporale ad essi dovuta. Perciò allorquando voi leggete nella formula ossia concessione di qualche indulgenza le parole: «Colui che l’acquisterà, riceverà la remissione di tutti i suoi peccati, « remissionem omnium peccatorum » voi sempre dovete intendere le pene temporali dovute ai peccati stessi. [Ferraris, art. Indulg., p. 232]. Se l’anima è trattenuta nel Purgatorio per subire soltanto le pene temporali, egli è certo, secondo Sant’Agostino, San Giovanni Crisostomo, San Tommaso ed i principali Teologi, che l’anima è infallibilmente liberata, sempreché Iddio ne’ disegni imperscrutabili di sua giustizia non giudichi conveniente di negarle l’applicazione di quel benefizio nella intera sua estensione. Aggiungasi ch’è assai difficile il conoscere se noi abbiamo guadagnato in tutta la sua pienezza un’indulgenza plenaria; ed ecco perché, senza pretendere di scrutare i misteri di Dio, noi facciamo opera buona applicandone il più gran numero possibile alle anime che ci son care. – Rispetto alle indulgenze di sette anni, per esempio, di sette quarantene, ecc., esse rimettono la pena che sarebbe stata cancellata da sette anni, o da sette volte quaranta giorni, di penitenza pubblica imposta nei primi secoli della Chiesa; ma ciò non vuol significare menomamente ch’esse diminuiscano di sette anni o di sette volte quaranta giorni le pene del Purgatorio [“Indulgenza alia est partialis, qualis est unius, vel aliquot annorum; itera septenae, quadragenae, etc. Per quas non significatur tolli tantam durationem Purgatorii, sed tantam poenam remitti, quanta deleretur per ieiunium unius, aut aliquot annorum, aut quadraginta dierum in pane et aqua, secundum canones olira imponi solitum”. S. ALPH. , n. 555; FERRARIS, 225. — Noi faremo osservare con Sant’Antonino che il numero sette si trova spesso adoperato nelle indulgenze per contrapposizione ai sette peccati capitali.]. per eccitare in noi il più vivo desiderio di acquistarle, basta sapere ch’esse le diminuiscono in quella misura ch’è stabilita dalla misericordia sapientissima del Giudice sovrano. Ma è ormai tempo di passare alla settima questione, alla quale risponderemo con brevi parole.

VII. Che cosa dobbiamo fare per acquistare le indulgenze? — Siccome abbiamo superiormente insegnato, le indulgenze sono un immenso benefizio tanto per noi quanto per le anime del Purgatorio. Ciò che ne accresce il pregio e manifesta luminosamente l’infinita bontà del nostro Padre celeste, è la facilità delle condizioni che ci sono imposte per ottenerle. Facilità negli atti che sono richiesti. Talora è una breve preghiera, tal’altra una visita ad una Chiesa; spesso il conservare una croce, una medaglia, accompagnando tale azione con certi atti di pietà, che tutti, e dotti e ignoranti, e giovani e vecchi, possono egualmente adempire, Cosi, né alcuno di voi può ignorarlo, parecchie indulgenze sono annesse alla recitazione del rosario, degli atti delle virtù teologali, delle litanie dei santi nomi di Gesù e della Vergine, dell’Angelus e di una quantità d’altre preghiere che lutti sanno a memoria, o che leggonsi in quei libri che corrono per le mani d’ ognuno. Sono pure annesse delle indulgenze alle diverse confraternite della santa Vergine, del Santissimo Sacramento, del sacro Cuore , del catechismo, delle anime del Purgatorio, del Rosario, del sacro Scapolare, della propagazione della fede, ecc.; né fa d’uopo ch’io m’intrattenga nel dimostrarvi la facilità di tutte le pratiche religiose di queste devote confraternite. La giornaliera meditazione, l’atto pio di accompagnare il Santissimo Sacramento che si porta agli ammalati, non meno che la maggior parte delle opere di carità spirituale e corporale verso il prossimo, sono tutte sorgenti feconde di sante indulgenze. – Facilità nel modo di compiere gli atti prescritti. Si osservi primamente, che le indulgenze sono beni che appartengono alla Chiesa. Per goderne, bisogna dunque appartenere a questa santa società; è necessario essere battezzato. Questi sono beni destinati a pagare i nostri debiti; è dunque necessario di averne contratti; ossia, in una parola, aver commesso dei peccati. Laonde i fanciulli che sono senza peccati non potrebbero guadagnarne per se medesimi. – I fedeli defunti non cessano di esser membri della Chiesa, e possono perciò profittare delle Indulgenze. Ciò non ostante è necessario che il sommo Pontefice autorizzi ad applicare quelle tali indulgenze alle anime del Purgatorio, perciocché a lui spetta di regolare la distribuzione dei meriti di Gesù Cristo. È mestieri da ultimo che i fedeli abbiano intenzione di applicarle. – Ciò premesso, è necessario, per acquistare le indulgenze: 1° farle nel tempo e nel modo prescritti, e conforme all’intenzione di colui che accorda l’indulgenza; 2° farle intere, e personalmente; 3° essere in istato di grazia, allorché almeno si compie l’ultima azione comandata, giacché la pena dovuta al peccato non può essere rimessa prima che il peccato stesso abbia ottenuto perdono; 4° avere intenzione, almeno abituale ed interpretativa di acquistare l’indulgenza [FERRIRIS, p. 228. — “Etsi in opere praestito non habueris intentionem consequendi induldentias … et videtur certum si habueris interpretativam”. S. ALPH. , n. 5, 54, p. 261. — 1’intenzione interpretativa consiste nella disposizione in cui ci troviamo di acquistare le indulgenze, senza che vi sia per parte della volontà intenzione alcuna o attuale, o virtuale e nemmeno implicita. M. GOUSSET, t . I , p. 20. Vedi Raccolta etc. p. XXIII]. Per compiere quest’ultima condizione, basta il volgerle la propria attenzione nel mattino, dicendo per esempio: “Mio Dio, io ho l’intenzione di acquistare in oggi tutte le indulgenze che stanno unite alle orazioni e alle buone opere che io farò nel corso di questa giornata”. – È questo il luogo di fare quattro importanti osservazioni sulla confessione, sulla comunione, sulle preghiere da recitarsi, e sugli obbietti privilegiati d’ indulgenza.

1° Sulla confessione. Le persone che conservano la santa abitudine di confessarsi ogni otto giorni possono acquistare tutte le indulgenze che si presentano nel corso della settimana, purché perseverino nello stato di grazia. È d’uopo soltanto di eccettuare le indulgenze del Giubileo e quelle in cui la confessione è prescritta come parte essenziale dell’opera buona che deve farsi1.

2° Sulla comunione. Quando la comunione è comandata per acquistare un’indulgenza plenaria in particolare, ella può farsi nella vigilia della festa stabilita per l’indulgenza.

3° Sulle preghiere. Sebbene noi siamo obbligati a compiere da noi stessi le buone opere ingiunte, null’ostante la Santa Sede ha definito che le persone le quali recitano, alternativamente con altre, le preghiere stesse, acquistano le indulgenze.

4° Per acquistare le indulgenze annesse ai rosari, alle croci, ai crocifissi, alle medaglie, è necessario o di portare sulla propria persona questi diversi obbietti, senza che perciò abbiano a tenersi fra le mani, oppure conservarle presso di sé. Le preghiere prescritte come condizione per acquistare le suddette indulgenze devono essere recitate, o avendo addosso le croci, le medaglie, ecc., oppure tenendole custodite rispettosamente nella propria stanza, o in altro luogo decente della casa, ovvero recitando davanti a questi obbietti le preci ingiunte. Finalmente non è lecito donarle, venderle, prestarle ad altri allo scopo di acquistare indulgenze senza che perdano ben tosto il loro privilegio. Che cosa può darsi di più semplice e di più facile di tali condizioni? Per adempierle basta solo volere; ma quand’anche fossero così ardue come son facili, non dovremmo nemmeno per questo esimerci da verun sacrificio onde ottenere gli immensi benefizi che ne procurano le indulgenze.

VIII. Quali sono i motivi che abbiamo per guadagnare le indulgenze, tanto per noi stessi quanto pei trapassati ? — Parliamo primamente per noi stessi. Qual è colui fra gli uomini, che riguardando alla sua vita cogli occhi della fede non debba ripetere col profeta Isaia: « La mia vita rassomiglia a pannolino insozzato »; tante sono le imperfezioni ed i difetti che macchiano le nostre buone opere istesse [“Quasi pannus menstruatæ universæ iustitiæ nostræ”. Isaia, LXIV, 6]. – Chi è colui che non debba soggiungere con Davide: Il cumulo delle mie iniquità sopravanza l’altezza del mio capo? “Iniquitates meæ supergressæ sunt caput meum?” [Ps. XXXVII]. E non dovrà interrogare se stesso con quelle altre parole del Profeta: Chi è che gli errori conosca? [“Delicta quis intelligit?” Ps. XVIII]. – Qual è l’età della nostra vita che non sia stata bruttata da particolari peccati? Fra i dieci comandamenti di Dio avvi un solo che sia stato da noi costantemente rispettato? Ma che dico io mai? Qual è quella delle leggi divine che non sia stata trasgredita, e spessissimo trasgredita con pensieri, con parole, con opere, con omissioni? I precetti della Chiesa hanno essi forse ottenuto per parte nostra una fedeltà più religiosa, un rispetto più reale e più costante? Ohimè! e non li abbiamo forse disprezzati più facilmente ancora che non i comandamenti di Dio? Tale pur troppo è la fedele pittura dell’intera nostra vita. – E d’altra parte quali penitenze abbiamo noi fatto per tanti peccati? Quali penitenze facciamo noi presentemente? C’imponiamo forse di buon grado mortificazioni od austerità per soddisfare alla divina giustizia? «Le penitenze che ci vengono imposte nel sacro tribunale della riconciliazione sono elleno proporzionate al numero ed alla enormità dei nostri peccati? E con qual fervore si compiono da noi? Accettiamo noi forse, non dirò già con gratitudine, ma almeno con rassegnazione, le croci e le tribolazioni che nella sua misericordia ci manda il Signore? Lo scoraggiamento, la tristezza, i pianti, le mormorazioni, l’impazienza non sorgono forse nel nostro cuore, non escono forse dalle nostre labbra, non solo per rendere inutili questi avvisi salutari, ma anche per farne pretesto di nuove cadute? Tutto ciò significa che noi siamo carichi di debiti, che tutto giorno ne facciamo di nuovi, e che noi non ne paghiamo alcuno. Eppure Iddio è tale creditore, a cui niuno impunemente può rifiutarsi di pagare. Continuiamo pure a vivere nella spensieratezza, e tardi purtroppo ci persuaderemo, che ogni peccato sarà punito, punito come merita di essere, o in questo mondo o nell’altro! – Dacché noi per liberarci dai nostri debiti non facciamo nulla o quasi nulla, è evidente che in luogo di studiarci affin di addolcirli o di evitarli, noi procuriamo al mondo tanti flagelli pubblici e privati, come sono, per esempio, le rivoluzioni, le infermità, i dolori di ogni fatta che sono il castigo del peccato; ed inoltre egli è evidente che colla nostra noncuranza accettiamo, come condizione la più favorevole che nell’altro mondo possiamo sperare, il fuoco del Purgatorio, quei tormenti la cui durata è sconosciuta, il cui rigore sopravanza tutto ciò che di penoso può immaginarsi sulla terra. E siamo noi che facciamo questi calcoli, noi che tanto paventiamo il soffrire! – Sforzarsi di acquistar le indulgenze, non è utile soltanto per pagare i nostri debiti, ma ben anco per non incontrarne de’ nuovi; non solo per chiudere il Purgatorio, ma inoltre per aprire il Cielo. Abbiamo già detto, che per acquistare un’indulgenza mestieri di essere in istato di grazia. Ora, non è forse un possente stimolo per rimanere o per ritornare in questo felice stato il salutar pensiero che possiamo ottenere un’indulgenza? Quanto più noi apprezzeremo somigliante favore, tanto maggiori saranno gli sforzi che faremo per adempiere le condizioni, senza le quali non possiamo meritarla. Adunque il dogma delle indulgenze, anziché portare alla rilassatezza, come pretendono certi eretici, e come ripetono certi cattivi Cristiani, questo dogma degnamente apprezzato basta solo per innalzare i fedeli al più alto grado di pietà, per popolare la terra di Santi, per riempiere il Cielo di Beati. Tali sono i possenti motivi che abbiamo per ottenere le indulgenze a nostro particolare vantaggio; ma non meno possenti sono le ragioni che noi abbiamo per acquistarle a benefizio delle anime del Purgatorio. – Signore, venite e vedete, diceva al Salvatore la sorella di Lazzaro; e in così dire lo conduceva all’ingresso del sepolcro, in cui da quattro giorni era rinchiuso il suo fratello. E il Redentore pianse e risuscitò il suo amico. Io dirò altresì a voi: Fratello mio, mia sorella, veni et vide. Venite sul limitare del Purgatorio, ed osservate per entro quelle fiamme divoratrici il padre vostro, vostra madre, vostro fratello, vostra sorella, che sollevano verso di voi le loro mani supplichevoli, e vi scongiurano di liberarli. Essi colà patiscono, non già da quattro giorni, ma forse da molti mesi, e son condannati a rimanervi tuttavia per dieci, per venti, per un numero anche maggiore di anni. Voi potete alleviare questi loro tormenti, accorciarne la durata, ridurla forse anche a nulla: per questo basta il guadagnare e l’applicare ad essi le indulgenze, che la Chiesa vi accorda con tanta liberalità ed a sì facili condizioni, e voi ricusate farlo? E intanto voi oserete ripetere in tutti i luoghi il vostro affanno, il vostro rammarico per la perdita de’congiunti? vestirvi a lutto, e parlare del vostro affetto per coloro che avete perduto? Dolore pagano! Lutto ipocrita! Affezione mentita! Il vero affetto, dice il Salvatore, non è riposto in vane parole; esso consiste in atti positivi: se amate i vostri trapassati, dimostratelo col sollevarli. In caso diverso io vi chiederò: Avete voi la carità? È ben palese che ne siete privi. Vi domanderò ancora: Avete voi la fede? Allorquando si pensa alla prodigiosa influenza che il dogma delle indulgenze ha esercitato sui secoli cristiani; quando si riflette che più volte l’Europa intera coi suoi re, coi suoi guerrieri, colle sue intere popolazioni si è mossa per ottenere un’indulgenza; quando si legge che il più magnifico tempio dell’universo è stato terminato mediante un’indulgenza [Vedi ancora per quello che avviene nella Chiesa della Madonna degli Angeli il giorno dell’indulgenza plenaria, la Vita di San Francesco d’Assisi scritta da CHEVIN]; quando sappiamo che tutti i paesi cristiani si sono coperti di monasteri, di chiese, di meravigliosi monumenti per ottener delle indulgenze; quando ci si narra che S. Francesco Saverio non conosceva mezzo più efficace dell’indulgenza per togliere dall’abisso dei vizi i propoli cristiani delle Indie; e pel contrario quando si medita sull’indifferenza mortale che noi mostriamo per questo favore inestimabile, una profonda tristezza ci trafigge il cuore, ed abbiamo tutta la ragione di chiedere, tremando per la risposta: Questo nostro mondo ha ancora la fede? Io suppongo che andiamo a visitare una vasta prigione, nella quale trovasi rinchiusa moltitudine di sgraziati, carichi di catene. Eglino son condannati a pene gravissime, gli uni per anni dieci, altri per venti, altri per quaranta. Noi loro diciamo: Il re nella sua clemenza vuole abbreviare le vostre miserie, e forse ancora interamente perdonarvi, al solo patto che voi reciterete la tale preghiera, porrete in pratica la tal opera di pietà, del resto facilissima e brevissima. Se voi accettate si apriranno le porte della prigione, potrete rivedere i parenti, gli amici, la famiglia. – Vi sarebbe forse un solo prigioniero che ricusasse sì dolce, sì facile condizione? Or bene, questi prigionieri siamo noi; noi, debitori insolvibili verso la giustizia di Dio. Tale prigione si è il Purgatorio; le pene di questa terra sono un nulla in paragone di quelle che ivi soffronsi. Ci vien proposto di liberarcene a condizioni facilissime, e noi le ricusiamo: e noi le adempiamo con scandalosa svogliatezza! E possiamo dirci ragionevoli? Ma se un giorno saremo condannati a languire per lunga serie di anni nelle fiamme del Purgatorio, di chi ne sarà la colpa? – Parliamo da ultimo della grande indulgenza della Chiesa cattolica; il Giubileo. Il Giubileo è un’indulgenza plenaria alla quale vanno uniti molti privilegi straordinari: 1° Essa è più estesa; essa è data alla Chiesa universale, laddove le altre indulgenze plenarie non sono destinate che ad una parte dell’ovile di Gesù Cristo. 2° I Confessori approvati hanno facoltà di assolvere da tutti i casi riservati e dalle censure; di commutare i voti, non meno che le opere prescritte per acquistare il Giubileo, a quelli che non trovansi in grado di compierle. Queste opere sono per l’ordinario in numero di sette: la processione, la visita delle chiese, la preghiera nelle chiese, la confessione, la comunione, il digiuno e l’elemosina. Durante il Giubileo, tutte le indulgenze rimangono sospese, eccettuate le seguenti ed alcune altre: le indulgenze concesse in articolo di morte; quelle che stanno unite alla recita dell’Angelus, ed al pio costume di accompagnare il Santissimo Sacramento allorché vien portato agli infermi; quelle degli altari privilegiati pei defunti; quelle concesse direttamente pei defunti [Vedi FERRARIS, art. Giubileo.] – Il Giubileo propriamente detto, ossia il grande Giubileo, è quello che si celebra al compiersi di ogni venticinquesimo anno, che perciò vien detto l’anno santo. Oh! sì; anno santo per eccellenza, e perché la Chiesa ci fa una singolare applicazione dei meriti di Gesù Cristo, sorgente inestinguibile di ogni santità, e perché quello è sopra di ogni altro il tempo della grazia, della clemenza, della liberalità del Signore. I sommi Pontefici nel salire al trono di San Pietro, hanno pure il costume di concedere un Giubileo; ma non è di questo che ora ci proponiamo di parlare. – La parola Giubileo vuol dire ritorno o remissione. Era questo presso i giudei il nome che si dava ad ogni anno cinquantesimo. Al ricorrere di questo anno felice, tutti i prigionieri, tutti gli schiavi venivano rimessi in libertà; le vendute eredità tornavano agli antichi loro padroni, i debiti erano cancellati, e la terra si lasciava incolta: era questo un anno di grazia e di riposo [Levit. XV — Num. X]. – Ora il Giubileo della Legge antica non era che figura di quello della Legge novella. Il Giubileo del Cristianesimo rimette i debiti spirituali di cui sono carichi i peccatori; libera i prigionieri e gli schiavi del giogo del demonio, ci ritorna al possesso dei beni spirituali che abbiamo perduto col peccato. Finalmente, nell’intenzione della Chiesa, devono i fedeli tutti considerare quest’anno come tempo di santo riposo, e durante il medesimo, dimentichi delle cure terrene e raccolti nel silenzio e nella meditazione, occuparsi degli anni eterni. Laonde il Giubileo richiama alla mente dei Cristiani che la loro Religione è nata col mondo, che è l’adempimento delle figure Mosaiche, ch’essi sono figli del Dio d’Israele ed i veri eredi delle promesse fatte ad Abramo, ad Isacco, a Giacobbe. Risveglia pure il Giubileo tutte le rimembranze della pietà antica. Codesta ammirabile istituzione risale ad epoca più assai remota di quanto si creda comunemente. – Il pontefice Bonifacio VIII, al quale essa è attribuita, in sul principio del secolo quattordicesimo, non altro fece che regolare un uso assai antico; imperocché ci narra l’istoria, che ne’ primi giorni dell’anno stesso in cui questo Pontefice pubblicò la sua bolla intorno al Giubileo, gli abitanti di Roma, in ciò imitati da molti stranieri, per spontaneo loro impulso accorrevano a visitare la basiliche del Vaticano per acquistare quelle indulgenze che solevano ottenersi ogni cent’anni secondo la tradizione degli antichi. Clemente VIII giudicando che il periodo di un secolo fosse troppo lungo, atteso ché poche persone vedono la fine di tal periodo, e che perciò gran numero di fedeli rimanevano privi di tal grazia, stabilì che il Giubileo dovesse celebrarsi ogni anno cinquantesimo. Per somigliante ragione Paolo II, nell’anno 1460, ne fissò la ricorrenza ad ogni venticinquesimo anno. – Il grande Giubileo comincia a Roma la vigilia del Natale; ed è annunziato nel giorno dell’Ascensione precedente col mezzo della bolla papale, il che si fa colla massima pompa nella basilica di San Pietro dopo l’Evangelo della Messa solenne. Dura un anno in Roma, e poscia si estende a tutto l’orbe cattolico. Quant’era mai splendido, quanto esemplare, quanto commovente lo spettacolo che nei tempi addietro offriva la cristianità nell’occorrenza dell’anno santo! Appena la sacra tromba si era fatta udire dall’alto del Vaticano, le parole del comun padre dei Cristiani, col ministero dei Vescovi e degli Arcivescovi, giungevano alle estremità della terra. Allora tutti i cuori battevano dalla gioia all’udire questa voce sì cara alla pietà. Come i figli d’Israele, cosi i figli della Chiesa si rallegravano poiché ricevevano l’avviso che ben presto essi andrebbero alla casa del Signore, a quella eterna Roma che è dimora del Vicario di Cristo. Allora s’indossavano gli abiti del pellegrino, e preso il bordone ricevuto in eredità dai padri si mettevano in cammino. Da ogni parte numerosi viaggiatori, abbandonando la loro patria, i congiunti, gli amici, affrontavano a piedi un viaggio lunghissimo e disagi d’ogni sorta. Era questa un’immensa deputazione che ogni venticinque anni il mondo cattolico inviava al Vicario di Gesù Cristo per rendergli omaggio, protestargli al suo cospetto la propria fede, la propria affezione, raccoglierne le benedizioni e portarle in tutti i paesi abitati dalla numerosa sua famiglia. – Nulla era più edificante che il pellegrinaggio di queste religiose carovane. Dall’aurora di quel giorno in cui si ponevano in cammino, innalzavano al Cielo cantici devoti in lode del Signore e dei Santi, protettori dei pellegrini; oppure, come il marinaio perduto nell’immensità dell’Oceano, invocavano la Vergine del Buon Soccorso, rivolgendole quella preghiera angelica, della quale l’esule soltanto può appieno comprendere ed apprezzare la divina beltà e l’affetto inenarrabile che suscita in cuore. Al giungere della sera battevano alla porta di un monastero, e quivi ritrovavano durante la notte in quei religiosi albergatori tanti fratelli, prima d’allora non conosciuti, ma che la religione loro faceva ben tosto conoscere. I servigi i più cordiali, le sollecitudini le più ingegnose ristoravano i viaggiatori dalle loro fatiche, e loro facevano sembrare di trovarsi, benché tanto lontani dalla paria, in seno alla famiglia ch’essi avevano abbandonato: la fede spingeva ad intraprendere questo pellegrinaggio, la carità ne sosteneva, per cosi dire, le spese. – Frattanto si giungeva al termine del cammino. La città eterna cominciava a disegnarsi confusamente e da lontano agli occhi dei viandanti; i pellegrini salutavano quella apparizione con grida festose, anelando l’istante in cui potessero inginocchiati baciare rispettosamente i sacri suoi monumenti. L’accoglimento il più affettuoso aspettava questi pellegrini in quella Roma, che è patria comune di tutti i fedeli. – Immensi ospizi erano preparati per albergarli; erano figli, erano fratelli che si aspettavano da lunga pezza. Allora che nobile spettacolo! Quanti affetti si destavano in folla nel cuore commosso! Uomini di tutte le nazioni si assidevano alla mensa stessa, l’abitatore d’Europa a lato dell’Africano e dell’Asiatico; uomini che prima d’allora non si erano giammai veduti, che neppure intendevano le favelle l’uno dell’altro, mangiavano gratuitamente lo stesso pane, si amavano, si comprendevano, né altrimenti si consideravano che quali fratelli riuniti nella casa paterna. Il Padre comune di tanti Cristiani si riputava fortunato di poter visitare questa numerosa famiglia; e per imitare l’esempio del divino Maestro, li serviva colle proprie mani, li contemplava con immenso affetto, e stringeva al seno dei figli non più veduti, e che più non doveva rivedere. – Invano si cercherebbe nell’istoria delle diverse nazioni qualche cosa egualmente sublime, qualche cosa che più di questa toccasse il cuore. Qual circostanza più acconcia per proclamare altamente e sanzionare quella gran massima, la cui osservanza formò la gloria della Chiesa fin dal suo nascere, e formerebbe ancora la felicità della terra; vale a dire, che tutti gli uomini sono fratelli, che non devono avere che un cuor solo, un’anima sola, siccome non v’ha che un Dio, un Battesimo, una Chiesa, un Capo visibile di tutti i Cristiani! Che di più atto a richiamare l’uomo ai gravi e santi pensieri della religione, di questi esempi di fervore e di penitenza, che venivano offerti da persone di ogni grado e di ogni paese? Qual cosa infine è più efficace, onde rianimare la fede, della vista di Roma, teatro dei combattimenti dei martiri e delle vittorie del Cristianesimo? Codesti figli venuti da sì lontano, non redivano al loro paese se non dopo di aver ricevuto la benedizione del loro Padre comune. Ma chi può dipingere gli effetti che questa splendida cerimonia doveva produrre sopra gli uomini non abituati a simili pompe, e nelle quali il cuore e i sensi trovavano ciascuno ad un tempo un’alta soddisfazione? Si ricordino tutti quelli, scrive un autore, ch’ebbero il benefizio di esserne gli avventurosi testimoni, quanto la Religione apparisca divina, come il Sommo Pontefice si mostri grande, allorché circondato da tutta la pompa di un monarca e da tutta la dignità di capo della Chiesa universale, composta di cento milioni di cattolici, si avanza fra il suono delle campane ed il fragore delle artiglierie, preceduto da Cardinali e da Vescovi della Chiesa Greca e della Chiesa Latina, sull’immenso portico del maggior tempio del mondo, e di quivi si presenta a migliaia di spettatori accorsi da tutte le parti per contemplarlo. Quale spettacolo non offre questo Re, Pontefice e Padre di tutti gli uomini [Mettendogli la tiara sul capo, il Cardinale pronunzia queste parole: « Accipe thiaram tribus coronis ornatam, ut scias te esse patrem principum et regum, rectorem orbis in terra vicarium Salvatoris Domini Nostri Jesu Christi, cui honor et gloria in sæcula sæculorum »], immerso nella felicità di vedere nel più vasto recinto i suoi innumerevoli figli prostrati ai suoi piedi! Il Vicario di Gesù Cristo, il successore dei pescatori di Galilea, stabilito su quel circo medesimo ove il crudele Nerone immolò tante vittime al suo odio feroce pel nome cristiano! Qual trionfo per la Religione! Quale conforto per la fede! Da ogni parte regna profondo silenzio: ed allora dall’alto della cattedra Apostolica in cui si asside, e che sorge sublime adornata da tutta la pompa e magnificenza religiosa, il successore di Pietro getta uno sguardo di paterna bontà su questa immensa famiglia. Col cuore commosso egli si alza maestosamente in piedi, avendo cinta la fronte del triplice diadema e sembra, a chi riguarda nei suoi occhi pieni di fede, che, nell’impartire l’Apostolica benedizione, egli cerchi di attingere nel Cielo quei tesori di grazie, che egli prodiga a Roma ed all’universo, Urbi et Orbi ». – Testimonio di questa ineffabile cerimonia, uno dei nostri filosofi esclamava: In quel momento io ero cristiano». Queste parola non abbisogna di commenti! Noi ci siamo diffusi su questo argomento per mostrare quanto siano ingiuste le declamazioni degli empi contro il Giubileo, i pellegrinaggi e le pompe della Chiesa Romana.

Preghiera

O mio Dio, che siete tutto amor: ringrazio che abbiate lasciato alla Chiesa un tesoro d’indulgenze nei meriti sovrabbondanti di Gesù Cristo e dei Santi: concedetemi la grazia ch’io possa rimarne degno. – Mi propongo di amar Dio sopra tutte le cose, e il prossimo come me stesso, per amor di Dio, ed in prova di queste non ometterò nessun mezzo per acquistare delle indulgenze.

 

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.