S. S. GREGORIO XVII (G. Siri): Omelia della DOMENICA DELLE PALME -1970-

S. S. GREGORIO XVII [G. Siri]

Con le letture dalla Sacra Bibbia, in particolare quelle tratte dal Vangelo, col Santo Sacrificio, comincia la grande settimana, la Settimana Santa, nella quale i fedeli sono chiamati a ricordarsi di essere stati redenti e di avere una speranza al di sopra della loro talvolta misera vita unicamente perché Gesù Cristo è andato in Croce ed è risorto. – Il primo brano del Vangelo, cantato prima della processione delle palme, ha ricordato l’ingresso solenne di Gesù in Gerusalemme. Questo ingresso è avvenuto pochi giorni prima della Sua Passione; l’ha voluto Lui. È stata un’affermazione perché il Messia era anche Re, era il successore di Davide, non per esercitare un potere nell’ordine politico, ma perché raccoglieva un’eredità su un piano ben più alto, ad un livello divino. Volle gli onori reali, perché usare quella cavalcatura era allora privilegio dei re; che si stendessero i mantelli per terra, era cosa che accadeva pei re o pei grandi trionfatori. Il canto dei fanciulli: chi mai li aveva insegnato loro? Chi mai? Eppure i fanciulli soprattutto cantarono per Lui. E così il corteo si mosse e così entrò in Gerusalemme. Se qualcheduno aveva da lamentarsi di questo, aveva risposto colle parole del Profeta: “Se qualcheduno tacerà, saranno le lingue degli infanti ad aprirsi” (cfr. Mt XXI, 16). Insomma, ha voluto che esternoamente ci fosse un trionfo. Dopo sarebbe rientrato subito nell’umiltà della Sua evangelica vita e avrebbe salito il Calvario, il vero grande trionfo, del quale aveva detto poc’anzi: “Quando sarò innalzato sul legno, allora trarrò tutto a me stesso” (Gv XII,32). Vi prego di notare questo: Gesù Cristo ha voluto il trionfo, ha voluto gli onori regali, ha voluto la acclamazione, ed è evidente che anche tutte queste cose hanno una funzione nella realizzazione del piano del Dio. – L’ultima lettura è stata lunga, perché si letto tutto il racconto della Passione secondo Marco (XIV, 1-15, 47), non, come accadeva prima, secondo Matteo. E la narrazione più breve quella di Marco. Ma io non richiamo la vostra attenzione sui particolari, perché tutta questa narrazione si stende tra l’uno e l’altro dettaglio, però si compone tutta intorno ai dolori del Cristo paziente e morente in Croce. E allora vi invito ad una considerazione di carattere generale che è questa: per riparare i peccati degli uomini è occorso tanto. Sì, la Croce! Badate bene che sarebbe occorsa anche ci fosse stato un solo peccato tra gli uomini. Non è che questa sovrabbondanza di dolore sia legata al fatto dei molti peccati, ma è legata all’entità del peccato in se stesso, e pertanto la ragione non avrebbe cambiato se il peccato fosse stato uno solo. E allora ritorniamo in noi per accogliere con umiltà, con pazienza, coll’amore, il riflesso che tutto questo deve disegnare nell’anima nostra. Vuol dire che gli atti nostri sono importanti, e forse un atto della vita, un atto di fede che manca a molti di noi nella loro vita, è quello di renderci conto che i loro atti sono importanti, anche se questo piccolo mondo per gli stessi atti non ha che il silenzio e l’oblio. Perché se a ripagare un peccato, atto di volontà, c’è voluta la Morte del Figlio di Dio, vuol dire che il peccato è una cosa grave, ma prima ancora del peccato, che un atto umano è una cosa grave davanti a Dio e cioè davanti a Colui per il Quale soltanto le cose contano. – Il riflesso che accogliamo nella nostra anima, come vedete, è semplice, è apodittico, ma è tremendo: con che sorta di prudenza, di riflessione noi dobbiamo pensare ed agire. Naturalmente tra l’uno e l’altro ci sta di mezzo il parlare, che talvolta sostituisce l’uno e l’altro a torto, perché gli atti dell’uomo prendono sempre la loro potenza da una folgorazione intellettuale interna e da un atto di volontà. Ecco, cari, la prudenza, il ritegno, la riflessione su tutti i nostri atti. Sembra che le cose colino come l’acqua, fluiscano per disperdersi nel gran mare e non è vero. I nostri atti sono importanti. Stiamoci attenti bene. E quando pensiamo, non crediamo di essere autorizzati a pensare come a noi comoda, e quando parliamo, non crediamo di essere autorizzati a parlare come a noi piace, e quando agiamo, non crediamo di essere autorizzati ad agire come a noi porta benessere e gaudio. Davanti a Dio queste cose che noi dimentichiamo, prendono dimensioni alle quali la nostra stessa intelligenza non sa arrivare e allora sia per il peccato a evitarlo, anche piccolo, sia per la virtù, anche piccola da compiere, pensiamoci bene!